«Il Signore mi ha veramente assistito nel darmi garbo e amabilità ragionando a lungo di
cose religiose con il tenente Bufano di religione evangelica o meglio valdese. Gli ho
presentato, sotto forma di difficoltà a condividere le idee protestantiche, tutto ciò che
rappresenta contrasto fra quelle idee e il puro Vangelo. In fine del colloquio egli mi si
mostrò commosso e riconoscente.
Io lo credo in buona fede; certo egli ha un’anima bella. Che il Signore lo illumini. Oh!
come apprezzo sempre nel contatto con queste creature la necessità che noi siamo dolci, non
irosi, longanimi e insieme pronti e chiari nell’esporre la verità, nel rispondere alle
obiezioni! Altro che tuoni dal cielo! Carità ci vuole, carità e verità semplice, schietta,
amorevole»
(Agenda, 17 agosto 1918).
Visitatore Apostolico in Bulgaria
(1925-1934)
Incontro con il mondo ortodosso
1. Situazione geopolitica della Bulgaria:
- instabilità e tensioni;
- invadenze delle potenze europee
2. Situazione sociale e religiosa:
- gravi povertà;
- molteplicità dei riti cattolici;
- rivalità tra gli ordini religiosi;
- chiusura della Chiesa ortodossa
3. Missione affidata a mons. Roncalli da
Papa Pio XI: la “conversione” degli
ortodossi alla Chiesa romana.
4. Atteggiamento di Roncalli:
dall’unionismo all’unione, dal “ritorno
degli altri” all’avvicinamento di entrambi
al “centro” della fede
Avvicinamento graduale e approfondito: “Il patriarca Beniamino mi ricevette molto bene: Non toccammo affatto la questione dell’unione o altro: evitammo ogni scoglio. E pure non mancò materia di conversazione animata e interessante: apostolato di pace da parte di tutti i capi di confessioni religiose, studi bizantini, … il tutto con scambievole felice impressione” (27.05.1939).
2. Ogni occasione è buona per incontrarsi
3. Condivisione delle fatiche: “Mi fanno tanta pena questi ortodossi e vorrei poter loro fare tanto bene” (02.01.1936)
4. Perdono delle debolezze altrui: “Il patriarca Chrisostomos fu nemico implacabile. A sera mi sono recato a visitarne la salma esposta nella cattedrale ortodossa e a porne la firma in arcivescovado. In segno di perdono: come atto di rispetto all’autorità religiosa di cui era rivestito, come espressione di cortesia innanzi al lutto della Chiesa greca e dei greci, anche per rinnovellare con lo spirito di Gesù il “Pater dimitte illi: quianesciunt quid faciant”.
Riferendosi agli
ortodossi, Roncalli non
usa mai il termine
“scismatici”, che pure era
di uso ordinario all’epoca.
Li chiama sempre
“ortodossi”, “fratelli
ortodossi” o “greci”.
Talvolta, nella
corrispondenza ufficiale,
utilizza il termine di
“fratelli dissidenti”
«Purtroppo non le posso dire ora se non chela causa della Unione delle Chiese haacquistato nell’umile sottoscritto un amicoardentissimo che vorrebbe riuscire in unapostolo non inutile alla medesima»
«È nostro grave dovere intanto prepararetutti insieme uniti le anime, tanto deiCattolici come degli Ortodossi, penetrandoledi una più viva spiritualità che qui mancaaffatto, e che si debbano perciò favorire tuttequelle forme di fraternizzazione deiCattolici e degli Ortodossi che valgano aricondurre tutti più intimamente allesorgenti più pure della vita religiosacristiana»
(da una lettera del 09.07.1925 apadre d’Herbigny)
Desiderio di lavorare per l’unità dei cristiani
«I cattolici e gli ortodossi non sono nemici, ma fratelli. Hanno la stessa fede, partecipano agli stessisacramenti, soprattutto alla medesima eucaristia. Ci separano alcuni malintesi intorno allacostituzione divina della Chiesa di Gesù Cristo. Coloro che furono causa di questi malintesi sonomorti da secoli. Lasciamo le antiche controversie e, ciascuno nel suo campo, lavoriamo a rendere buonii nostri fratelli, offrendo loro i nostri buoni esempi. Più tardi, benché partiti da vie diverse ci siincontrerà nella unione delle Chiese per formare tutti insieme la vera e unica Chiesa di NostroSignore Gesù Cristo» (da una lettera del 27.07.1926 a Morcerfki)
«È domandato alla carità dei cattolicifar affrettare l’ora del ritorno dei fratelliall’unità dell’ovile [...]. Alla caritàassai più che alle discussioni scientifiche.Alla carità esattamente secondo l'elogiodi S. Paolo (1Cor 13,4)»
«Il Metropolita Stefano che fu moltocontento di fare da messaggero mi disseche rimasero molto sorpresi e interdetti.Risposero con cortesia, ringraziando:ma non seppero fare di più. Ripensandoora alla cosa mi trovo sempre piùcontento di averla fatta. L’uccello è statoferito leggermente. Vola e vola ancora,ma la ferita c’è sotto le ali. Con altricolpi bene aggiustati converrà ben checada “In funicoli charitatis”. So che sierano preparati provvedimenti contro icattolici. La nostra serenità e la nostradirittura finisce con il metterli inimbarazzo» (Lettera del 03.01.1928a p. d’Herbigny)
La via della carità
- Roncalli rende spesso omaggio all’antica tradizione cristiana di cui gli ortodossi sono custodi.
- Si reca pellegrino orante in Grecia, ai monasteri del Monte Athos e in seguito alle Meteore.
- Davanti all’antica icona russa della vergine di Iviron prega “con fervore, per l’Oriente, per la Russia, per la Chiesa universale”.
- A San Panteleimon, centro della spiritualità russa, dove vive il santo staretz Silvano, parla di “incontri edificanti di monaci raccolti e preganti”.
- Mons. Righi, suo segretario, racconta che a Vatopedi Roncalli fu introdotto dietro l’iconostasi; si inginocchiò per venerare il pane eucaristico che vi era conservato e invitò i suoi compagni a fare altrettanto, dicendo: “Non v’è dubbio: qui c’è Cristo e non è un Cristo ortodosso diverso da quello cattolico”.
Apprezzamento
della tradizione ortodossa
«Il rispetto che ho sempre tenuto a professare in pubblico e in privato per ciascuno e pertutti, il mio silenzio imperturbabile e senza fiele, il non essermi mai chinato a raccoglierequalche sasso gettato da qualcuno sul mio cammino, hanno dovuto dire a tutti la sinceritàdel mio cuore anche per i fratelli ortodossi, che sento di amare nel Signore con la stessacristiana e fraterna carità che il Vangelo ci insegna.
Una tradizione, anche oggi rispettata fra i buoni cattolici d’Irlanda, dispone che la vigiliadi Natale ogni casa abbia una finestra con una lampada accesa oltre i vetri, per indicare aGiuseppe e a Maria, che passassero di là nella notte santa, in cerca di un rifugio, che làdentro c’è una famiglia che li attende intorno alla fiamma del focolare, intorno alla mensaimbandita di ogni ben di Dio.
Miei cari fratelli, che sa le vie dell’avvenire? In qualunque luogo del mondo mi accada divivere, se alcuno di Bulgaria avrà a passare presso casa mai, durante la notte, fra ledifficoltà della vita, troverà sempre alla mia finestra la lampada accesa. Batta, batta, nongli sarà chiesto se è cattolico o ortodosso: fratello di Bulgaria, batta, entri, due bracciafraterne, un cuore caldo di amico lo accoglieranno a festa. Poiché questa è la carità delSignore le cui effusioni resero gioconda la mia vita di dieci anni in Bulgaria; questo è ilfiore più bello e gentile della pace di Gesù»
Il saluto ai Bulgari nel Natale 1934
Delegato Apostolico in Grecia e Turchia
(1935-1944)
1. Fine dell’antico ordine ottomano:- progressivo smembramento dell’impero - difficoltà di coabitazione di vari universi etnico-religiosi- forti pressioni nazionalistiche
2. Ataturk e il processo di laicizzazione dello Stato - liquidate le confraternite islamiche- tassati pesantemente beni e istituzioni religiosi- abolito l’alfabeto arabo- spostato alla domenica il riposo settimanale- divieto per i religiosi di indossare in pubblico abiti, copricapi e segni distintivi
3. La Chiesa cattolica: “una minoranza di minoranze”- presenza esigua di cattolici: circa 30.000, di cui la metà a Istanbul,- divisione tra i diversi riti: latino, armeno, caldeo, greco-bizantino, siro, melchita- pochissimi cattolici “turchizzati”: quasi nessuno conosce la lingua turca
«Senso di mestizia per le rovine trovate a Scutari, e perl’atmosfera di questo mondo turco ancora così lontano dallesorgenti della civilizzazione quantunque esse siano a duepassi, anzi sotto i suoi piedi. Eppure li amo in GesùCrocifisso, e non so soffrire che i cristiani ne dicano cosìmale, dando prova di pochissima penetrazione del Vangelonelle loro anime. Li amo perché ciò rientra nel mioministero di padre, di pastore e di Delegato Apostolico: liamo perché li credo chiamati alla redenzione. So che lospirito di parecchi tra i miei figli cattolici orientali è controdi me. Ma ciò non mi turba né mi scoraggia»(Agenda, 27.06.1936)
Nell’ottobre 1938 sta per morire Kemal Ataturk, ilpadre della nazione turca. Mons. Roncalli scrive:«Non condivido la freddezza intorno a queste due vite chesi spengono. Prego il Signore per l’uno e per l’altro. AlSignore il giudicarli. Penso che il giudizio debba essere piùmite e benigno del nostro. Chi scruta la profondità del cuoreumano? Il capo dei turchi, riformatore laico di quel popolo eil capo religioso degli Ortodossi di Grecia possono benoffrire al Signore alcune sinuosità spirituali sufficienti perfarvi penetrare l’onda della grazia salvatrice. Così sia»
L’incontro, la visita, il “culto dell’amicizia” sono la parte più notevole delle giornate di Roncalli in Turchia e Grecia.
Riceve in udienza, per molte ore al giorno, e percorre la sua diocesi: parrocchie, case dei religiosi, ospedali… non solo a Istanbul, ma a Brussa, Scutari, Adana, Izmir… visita tanti, tutti.
Di ritorno dal capezzale di una giovane donna malata, scrive:
“Queste visite del pastore che incoraggia e confortasono il meglio del mio ministero in questo paese. IlSignore sia benedetto e ci aiuti a far onore allanostra croce”
Benché le visite talvolta lo distolgono da altri compiti importanti, non vi si sottrae:
“Queste visite mi piacciono perché servono semprea fare un po’ di bene. Ma mi resta poco tempo peril buon lavoro della corrispondenza. Pazienza. Lacarità in tutte le sue forme deve passare innanzisempre”
Il dialogo
nella vita quotidiana
«Noi amiamo distinguerci da chi non professa la nostra fede: fratelli ortodossi,protestanti, israeliti, musulmani, credenti o non credenti di altre religioni; chiese nostre,forme di culto tradizionali e liturgiche nostre.Comprendo bene che diversità di razza, di lingua, di educazione, contrasti dolorosi diun passato cosparso di tristezze, ci trattengono ancora in una distanza che èscambievole, non è simpatica, spesso è sconcertante.Pare logico che ciascuno si occupi di sé, della sua tradizione familiare o nazionale,tenendosi serrato entro il cerchio limitato della propria consorteria, come è detto degliabitanti di molte città dell’epoca di ferro, dove ogni casa era una fortezza impenetrabile,e si viveva sui bastioni o nei propugnacoli.Miei cari fratelli e figlioli: io debbo dirvi che nella luce del Vangelo e del principiocattolico, questa è una logica falsa. Gesù è venuto per abbattere queste barriere; egli èmorto per proclamare la fraternità universale; il punto centrale del suo insegnamento èla carità, cioè l’amore che lega tutti gli uomini a lui come primo dei fratelli, e che legalui con noi al Padre»
Omelia per la Pentecoste del 1944
Lo stile del dialogo: la sintesi di Roncalli
- Stima, fiducia e cortesia verso ogni persona
- Predilezione per l’incontro e la relazione personale
- Cordialità e garbo nel linguaggio
- Sforzo di comprensione delle diversità
- Concentrazione prioritaria agli aspetti positivi
- Comunione dei cuori e solidarietà nei problemi quotidiani
- Ritorno alle sorgenti più pure della fede cristiana
Condizioni per un vero dialogo ecumenico nella pastorale di Roncalli
- Raggiungere l’unità dei cattolici tra di loro
- Ricercare i motivi di unione più che quelli di separazione
- Rifiutare i toni polemici.
- Riconoscere i propri torti
- Ritrovarsi uniti nei sacramenti e nell’Eucaristia
- Sostenere la “via della verità” insieme alla “via della carità”
- Pregare gli uni per gli altri
«Bisogna essere molto amabili
con i nostri fratelli separati.
Ma ritengo che i rapporti
personali possano essere un
saggio più utile di una
riunione di molte persone».
Roncalli a mons. Lebrun,
vescovo di Autun, sugli
incontri con la comunità
di Taizé (25.05.1945)
Nel 1944 frère Roger invita l’abbè
Couturier, pioniere del movimento
ecumenico, a celebrare la Messa
nella bella chiesa romanica di Taizé,
dove la comunità evangelica ha
ricevuto il permesso di pregare dal
vescovo, confermato dal Nunzio
Roncalli.
Nel 1949 frère Roger compie un
viaggio a Roma, dove incontra
mons. Montini e Pio XII. La visita a
Roma si ripete l’anno dopo, nel
1950.
Frère Roger Schutz (1915-2005)
Fondatore della comunità
monastica di Taizé
«Nel 1958 il card. Gerlier prese l’iniziativa di presentarci a
Giovanni XXIII, appena eletto papa. Poiché desiderava deporre
nel suo cuore il problema della riconciliazione dei cristiani, egli
domandò a Giovanni XXIII che la sua prima udienza fosse per
Taizé […]. Giovanni XXIII accettò dicendo: “A condizione
che non mi facciano domande troppo difficili”. E ci ricevette
subito dopo il suo insediamento, la prima mattina delle udienze
private. La sua accoglienza fu molto semplice, piena di
spontaneità. Il papa batteva le mani e diceva: “Bravo! Bravo!”
quando gli parlavamo di riconciliazione. Ci domandò di
ritornare per continuare. Quel giorno fu come un inizio per la
nostra comunità. Giovanni XXIII ci trasmise uno slancio
inatteso, impresse in noi un’impronta insostituibile. Con la sua
vita, questo papa amatissimo ci ha aperto gli occhi al ministero
del pastore universale, così essenziale per il cuore di questa unica
comunione che è la Chiesa. La vasta responsabilità che gli fu
affidata nella sua età avanzata ha certamente fatto sbocciare in
lui un’eccezionale intuizione della comunione tra cristiani. Egli
depose tale intuizione nella coscienza di moltitudini di persone» (frère Roger)
1ª udienza:
6 novembre 1958
«Fin dal nostro primo incontro con lui,
abbiamo avuto la certezza di essere amati,
compresi. Giovanni XXIII impresse su di noi
un segno indelebile…
Attraverso di lui una primavera entrò nella
nostra comunità. Per noi fu come una nuova
partenza. Giovanni XXIII rimane l’uomo che
forse ho più venerato sulla terra»
(frère Roger)
2ª udienza: 17 ottobre 1960
«Seguirono le udienze… e i
due, Roger Schutz e Max
Thurian, esponenti della
nota Comunità Protestante
di Taizé, raccomandati da
Ottaviani, Marella ecc.
Colloquio confidente e
amabile: ma juxta
modum et mensuram»
(Papa Giovanni XXIII,
Agenda 17.10.1960).
«Altre udienze: … e il dott. Roger Schutz priore di Taizé con due
confratelli» (Agenda, 25 febbraio 1963).
«Questo mi disse prima della sua morte: “La Chiesa è costituita da cerchi concentrici
sempre più grandi, c’è il più grande e c’è il più piccolo, però tutti fanno parte della Chiesa,
sia quello che è vicino al centro, sia quello che è lontano”. L’ho invitato a dirci in quale
cerchio noi eravamo: “Tutti siamo nella chiesa”, rispose. Disse ancora: “Voi siete nella
chiesa come tutti gli altri” […]. Giovanni XXIII ci disse queste parole sorprendenti,
confidandoci che Dio stesso gliele ispirava. “Io prego – ripeteva molto umilmente – io
prego, e Dio suggerisce sempre una parola. Il difficile è lasciarla passare, dirla agli altri
questa parola” […].
Gli chiesi: “Cosa vede nel nostro domani? Che testamento ci lascia per Taizé?”. Giovanni
XXIII faceva sempre un discorso molto chiaro: “Non andiamo in cerca di chi ha avuto
torto e di chi ha avuto ragione, ma riconciliamoci”. Quando abbiamo capito quel
discorso… abbiamo capito tutto di lui […]. Disse a noi di Taizé: “Voi siete nella chiesa,
state in pace”» (Frère Roger al “Concilio dei giovani” (Parigi, 29 dicembre
1978).
«Posso dire questa sera che poco prima
della sua morte, ho visto lacrime
scendere sul volto di questo vegliardo che
era Giovanni XXIII, perché molti
dicevano, a proposito del Concilio, che
egli aveva iniziato processo che non era
per il bene della Chiesa. In coscienza,
stasera io dovevo farvi questa
confidenza»
(frère Roger, Discorso inedito, Parigi
- St. Germain des Prés,
25 gennaio 1969)
“Papa Giovanni XXIII ha permesso che
Taizé uscisse dal freddo dell’inverno nel
quale eravamo dopo i nostri inizi. Egli è
stato lo strumento di Dio attraverso il
quale la primavera è entrata nella nostra
comunità.
Ci ha amati ed è stato per noi un vero padre.Papa Giovanni XXIII ho promosso una
immensa onda ecumenica sul mondo dei
battezzati non cattolici; sta a noi, con la
nostra attenzione contemplativa a Dio,
permettere che questa onda non ricada ma
aumenti sempre di più. Nella comunione
dei veri testimoni di Cristo noi ripetiamo
a Dio il nostro grazie”.
(Frère Roger a Camaitino,
10.10.1964)
“La comunità ecumenica di Taizé è impensabile senza Papa Giovanni XXIII e il
Concilio. Spesso frère Roger ripeteva che il fondatore di Taizé è Giovanni XXIII”
(frère Alois)
Il 2 dicembre 1960 Papa Giovanni XXIII
riceve la visita del primate anglicano
Fisher. La sera, sulla sua agenda, annota:
«A mezzodì ebbi la visita del primate
Anglicano di Canterbury doct. Fischer. Era con
me a riceverlo mgr. Samorè che fu mio buon
interprete. Niente di compromesso e di
compromettente. Visita di cortesia, e rimasta in
queste proporzioni. Credo che la buona
impressione fu mutua: e ciò fu gran principio di
bene. Il mio temperamento mi guida a cogliere in
tutto il lato migliore, piuttosto che a veder tutto
in senso pessimista. Tutto considerato questo
incontro fu felice; non riuscirà a gran cosa, ma
qui sulla porta delle grandi questioni di ordine
spirituale del mondo, ha posto un principio di
fiducia e di cortesia che è l’introduzione alla
grazia»
La prospettiva ecumenica del Concilio
- La data scelta per annunciare il Concilio: 25 gennaio, conclusione della settimana di preghiera per l’unità
- La costituzione del Segretariato per l’unità dei cristiani
- L’invito al Concilio di osservatori non cattolici
- Gli sforzi diplomatici per consentire ai delegati della Chiesa di Mosca di partecipare al Concilio
- Udienze concesse a delegati di altre Chiese cristiane
Papa Giovanni XXIII
e il Segretariato per l’unità dei cristiani
Sotto il Monte, sala civica, 25 gennaio 2018
«Oh, se questo Anno Santo potesse salutare anche il grande e da secoli atteso
ritorno all’unica vera Chiesa di Cristo di molti credenti in Gesù Cristo, per
vari motivi da lei separati! Con gemiti inenarrabili lo Spirito, che è nei cuori
dei buoni, leva oggi come grido di implorazione la stessa preghiera del
Signore: Ut unum sint (Gv 17,21).
Giustamente pensosi dell’audacia, con cui si muove il fronte unico
dell’ateismo militante, quel che da lungo tempo si domandava, oggi si invoca
ad alta voce: Perché ancora separazioni, perché ancora scismi? A quando
l’unione concorde di tutte le forze dello spirito e dell’amore? Se altre volte
dalla Sede Apostolica è partito l’invito all’unità, in questa occasione Noi lo
ripetiamo più caldo e paterno, spinti come Ci sentiamo dalla invocazioni e
suppliche di tanti e tanti credenti sparsi su tutta la terra che dopo i tragici e
luttuosi avvenimenti sofferti, volgono gli occhi verso questa stessa Sede, come
all’ancora di salvezza del mondo intero.
Per tutti gli adoratori di Cristo – non esclusi coloro che in una sincera ma vana
attesa l’adorano promesso nelle predizioni dei Profeti e non venuto – Noi
apriamo la Porta Santa, e insieme le braccia e il cuore di quella paternità, che
per inscrutabile disegno divino Ci è stata comunicata da Gesù Redentore»
(Pio XII, Radiomessaggio natalizio al mondo, 1949)
Il ruolo egemone del Sant’Uffizio
Giuseppe
Pizzardo
(1877-1970)
Prefetto del
Sant’Uffizio
1951-1959
Alfredo
Ottaviani
(1890-1979)
Prefetto del
Sant’Uffizio
1959-1965
Fino alla vigilia degli anni Sessanta
il Sant’Uffizio mantiene un ruolo
centrale nella gestione e nel
controllo di tutte le attività pastorali
connesse ai rapporti con le diverse
confessioni cristiane.
Il compito di salvaguardia della
dottrina della fede e dei costumi
porta il Sant’Uffizio a vigilare sia
sugli sviluppi esterni del movimento
ecumenico che sulle attività
teologiche e pastorali che si stanno
sviluppando dentro il cattolicesimo.
È un organismo che sorveglia più
che promuovere il dialogo.
Degno di nota è l’istruzione del S. Ufficio sul «movimento ecumenico» del
1949, all’indomani della costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese.
L’intenzione è sempre quella prudenziale, di mettere in guardia i fedeli
cattolici contro i pericoli dell’ecumenismo.
I vescovi devono vigilare perché «col pretesto che si dovrebbe dare maggiore
considerazione a quanto ci unisce che a quanto ci separa dagli acattolici, non
venga favorito l’indifferentismo»;
si deve evitare che, per spirito irenico, l’insegnamento cattolico venga troppo
«conformato o accomodato con la dottrina dei dissidenti»;
«nell’esporre la dottrina della Riforma e dei Riformatori non siano così
esagerati i difetti dei cattolici e invece così dissimulate le colpe dei riformati,
oppure messi così in evidenza gli elementi piuttosto accidentali, che a stento
si riesca a scorgere e a sentire ciò che soprattutto è essenziale, cioè la
defezione della fede cattolica».
Istruzione del S. Uffizio sul «movimento ecumenico» (1949)
Per quanto riguarda le adunanze miste e le conferenze, le restrizioni sono ancor
più aggravate, perché «se, da una parte, esse porgono la desiderata occasione di
diffondere tra i non cattolici la conoscenza della dottrina cattolica, che per lo
più da loro non è molto conosciuta, dall’altra però esse portano facilmente con
sé gravi pericoli di indifferentismo». Perciò «i fedeli non intervengano a quelle
riunioni senza uno speciale permesso della autorità ecclesiastica».
L’autorità ecclesiastica competente per conferenze e riunioni interdiocesane, o
nazionali, o internazionali, è Roma stessa; per cui, per partecipare a tali
riunioni, è sempre necessario il «permesso preventivo e speciale nei singoli casi
della Santa Sede».
Le riunioni «dove non appaia una speranza di buoni risultati, devono essere
tempestivamente sciolte e a poco a poco fatte cessare. Siccome l’esperienza
insegna che le grandi riunioni di questo genere portano poco frutto e molto
pericolo, non si devono permettere se non dopo un esame accuratissimo».
I buoni risultati e i frutti auspicati sono, naturalmente, le conversioni al
cattolicesimo. E a questo proposito l’istruzione fornisce una serie di consigli
pastorali.
Gli inizi del
Movimento
ecumenico
L’inizio del movimento ecumenico del sec. XX si
fa coincidere con la Conferenza mondiale sulla
missione tenutasi ad Edimburgo nel 1910.
Edimburgo è stato un evento molto importante
per diverse ragioni. Esso ha dato avvio a due
grandi correnti che sono poi sfociate nel
Consiglio ecumenico delle Chiese: “Vita e
lavoro” e “Fede e costituzione”.
Il contributo essenziale di Edimburgo è stato aver
associato l’impegno ecumenico della Chiesa e
quello missionario. Come a dire che la Chiesa
non è mai autosufficiente, ma deve sempre
guardare al di fuori e al di là di se stessa.
Importante è stato anche Paul Wattson, ministro
episcopaliano poi diventato cattolico) che ha
introdotto un ottavario di preghiera per l’unità dei
cristiani, celebrato per la prima volta dal 18 al 25
gennaio 1908.
Paul Wattson
(1863-1940)
Mentre Paul Wattson riteneva che l’obiettivo dell’unità
fosse il ritorno alla Chiesa cattolica, l’abbé Paul
Couturier, di Lione, negli anni Trenta del secolo
scorso, dette un nuovo impulso a questa Settimana.
Egli cambiò il nome da “Ottavario per l’unità della
Chiesa” a “Settimana universale di preghiera per
l’unità dei cristiani”.
Il testamento spirituale di Paul Couturier del 1944 è
molto significativo, profondo e toccante; si tratta di
uno dei testi ecumenici più ispirati che vale la pena
leggere e meditare ancora oggi.
L’autore parla di un “monastero invisibile, costituito da
tutte quelle anime alle quali lo Spirito Santo, a motivo
degli sforzi sinceri da esse compiuti per aprirsi al suo
fuoco e alla sua luce, ha permesso di comprendere
intimamente lo stato doloroso di divisione tra i
cristiani; in queste anime tale consapevolezza ha
suscitato una sofferenza continua e, di conseguenza, la
pratica regolare della preghiera e della penitenza”.
Paul Couturier
(1881-1953)
Proposte di rinnovamento delle strutture curiali
Con l’indizione del Concilio da parte di papa Giovanni XXIII, emergono
varie proposte di creare nuovi organismi che possano favorire il dialogo
ecumenico. Se ne fanno promotori, per esempio, il patriarca melchita
Maximos IV già nel marzo 1959. Analoghe richieste giungono dal mons.
Rupp, vescovo ausiliare di Parigi, e dal mondo cattolico tedesco: per
esempio, le università di Münster, Treviri e Friburgo.
Tra la fine del 1959 e l’inizio del 1960, l’azione congiunta del card. Bea e di
mons. Jaeger porta alla elaborazione di una proposta che diventerà la
“pontificia commissio pro unitate christianorum promovenda”. Agli inizi di
marzo il progetto – appoggiato dall’episcopato tedesco – giunge nelle mani
di Giovanni XXIII che lo approva subito.
A presiedere la commissione sarebbe stato un cardinale, nominato dal papa e
assistito da un segretario. Il personale sarebbe stato articolato secondo una
distinzione tra membri e consultori: i primi, provenienti dalle varie
congregazioni e con una certa competenza in materia, gli altri scelti anche al
di fuori e forniti di esperienza nel dialogo con i non cattolici.
La costituzione del Segretariato per l’unità dei cristiani
Uno degli strumenti più efficaci per realizzare la finalità ecumenica
assegnata al Concilio Vaticano II da papa Giovanni XXIII è l’istituzione
del Segretariato per l’Unità dei Cristiani, con il motu proprio «Supremo
Dei nutu» del 5 giugno 1960.
«In aggiunta alla Congregazione Orientale colsi l’occasione di ricevere
la Commissione o Segretariato dei rapporti con Fratelli Ortodossi e
Protestanti, e comunque Separati, istituita accanto alle Commissioni
che preparano il Concilio Ecumenico.
Mi venne presentata dal card. Bea che la presiede con tre o quattro
Ecclesiastici proposti da lui, e occupati a buon lavoro di chiarificazione
e di unione.
Li incoraggiai del mio meglio insistendo soprattutto sull’esercizio del
garbo, della pazienza, e del “mitis et humilis” con questi nostri fratelli
che di solito sono in buona fede, e non male intenzionati. I loro nomi
sono: Mgr. Willebrands Giovanni segretario…»
(Papa Giovanni, nota del 7 gennaio 1961)
Lo scopo fondamentale del Segretariato è aiutare i cristiani delle altre
confessioni a seguire più da vicino il Concilio. Ma questo organismo
contribuisce anche in modo decisivo a far conoscere le esigenze dei fratelli
separati allo stesso Concilio. Ciò si realizza mediante consultazioni con cui il
Segretariato sollecita dalle altre Chiese proposte da presentare al Concilio.
Emergono così le richieste che, per favorire l’unità dei cristiani, non si
definiscano nuovi dogmi, si completi l’ecclesiologia, si riconosca che anche
le altre Chiese hanno una loro consistenza ontologica, si proceda a
slatinizzare la Chiesa di Roma.
Grande importanza per lo svolgimento dei lavori conciliari ebbe l’iniziativa di
Giovanni XXIII, durante la prima sessione conciliare, di conferire al
Segretariato il rango di Commissione conciliare. Il Segretariato ha così il
diritto di proporre al Concilio, come le altre commissioni, dei testi da
prendere in esame.
L’annuncio di un Concilio che pone tra le sue prime finalità l’unità dei
cristiani sortisce l’effetto di mutare per incanto il clima rigido esistente tra la
Chiesa cattolica e le altre Chiese.
Agostino Bea, il cardinale dell’unità
Papa Giovanni affida al cardinale
Agostino Bea la presidenza del
Segretariato per l’unità dei cristiani.
Nato in Germania nel 1881, è ordinato
prete nel 1912.
Completa gli studi all’Università
Gregoriana e al Pontificio Istituto
Biblico di Roma dove si specializza in
Sacra Scrittura, disciplina che poi
insegna per molti anni.
Confessore di papa Pio XII dal 1945 al
1958, è anche uno degli ispiratori
dell’enciclica Divino afflante Spiritu.
Viene nominato cardinale da Papa
Giovanni nel 1959. Muore nel 1968.
«Particolarmente piacevole il primo
incontro con conversazione familiare
col Card. Bea… »
(nota del 9 gennaio 1960)
«Questo padre Bea è un uomo e un
religioso di grande valore; ispira
fiducia solo a vederlo: cosi dotto e
umile, asceta e studioso, capace di
scendere dalla cattedra per farsi
catechista. Ha la stoffa del pastore. Mi
sento portato ad aprirmi con lui
confidenzialmente e lo farò»
«Stamane ricevetti qui in privatis il
card. Bea, a cui affidai l’incarico di
preparare, come capo da me nominato,
di una Commissione pro unione
christianorum promovenda»
Nota del 13 marzo 1960)
Papa Giovanni XXIII e
il card. Agostino Bea
«Stamattina il riposo domenicale fu rallegrato dalla visita di due
Eminentissimi Tardini e Bea… Questi mi venne a parlare dei suoi
contatti a Villa Gazzada presso Varese: sempre in tema di Concilio e di
fedeli cattolici e di separati, scismatici e protestanti. Mi lascia sempre
una eccellente impressione»
(Papa Giovanni, nota del 18 settembre 1960).
Bea riferisce al Papa circa la riunione annuale della Conferenza cattolica
per le questioni ecumeniche che aveva discusso sul tema «Le differenze
compatibili con l’unità».
Pochi giorni prima, il 15 settembre 1960 Bea aveva anche incontrato a
Milano, in forma riservata, il segretario generale del Consiglio Mondiale
delle Chiese, il pastore W.A. Visser’t Hooft.
«Sempre buon lavoro del card. Bea Agostino presidente del Segretariato
per l’Unita dei Cristiani. Benemeritissimo che ora parte per l’America,
dove l’attendono occasioni di fare molto bene. Mi è bisogno del cuore
accompagnarlo con particolare unione di spirito e di preghiera»
(Papa Giovanni, nota del 23 marzo 1963)
Nell’udienza, Bea presenta a Giovanni XXIII un elenco di questioni importanti.
- Il primo punto all’ordine del giorno è il viaggio in America durante il quale
Bea, oltre a tenere alcune conferenze, deve incontrare l’ambasciatore russo e il
consigliere di Kennedy per le questioni religiose.
- Il secondo punto riguarda lo stato dei rapporti con le chiese orientali e
comprende la necessità di decidere sulla questione della restituzione delle
reliquie di sant’Andrea alla chiesa di Patrasso.
- Il terzo punto riguarda invece il Concilio e più precisamente il destino dei due
schemi preparati dal Segretariato per l’unità dei cristiani sulla libertà religiosa e
l’ecumenismo, oltre alla questione della condanna del comunismo.
- Bea intende infine trattare della proposta di Gerlier per una congregazione
religiosa femminile per l’unione dei cristiani.
Iª sessione plenaria del Segretariato (14-15 novembre 1960)
La prima sessione plenaria si svolge a Roma, dentro la più ampia
inaugurazione di tutto il lavoro preparatorio del Concilio. Sono
convocati tutti i membri e i consultori delle commissioni preparatorie
per ascoltare il discorso di Giovanni XXIII che traccia le grande linee
del lavoro preparatorio.
Nel pomeriggio dello stesso 14 novembre tutti i membri e i consultori
del Segretariato si riuniscono presso la Sala della Commissione biblica
dentro il Palazzo Apostolico vaticano. Nel suo discorso introduttivo il
cardinal Bea espone le tappe della costituzione, i compiti e
l’organizzazione del Segretariato.
Si passa quindi al giuramento di tutti i membri e i consultori: con
grande stupore ci si accorge che nella sede della Commissione biblica
manca una copia della Bibbia, necessaria per il giuramento!
Al termine vengono formate le commissione interne al Segretariato.
Nato nel 1909 a Bovenkarspel, diocesi di Haarlem
(Paesi Bassi), Johannes Willebrands, compie gli
studi di Filosofia e di Teologia nel Seminario
Maggiore di Warmond. Ordinato prete nel 1934,
completa gli studi a Roma, presso il Pontificio
Ateneo Angelicum dove consegue il dottorato in
Filosofia con una tesi su “Il senso illativo nel
pensiero di John Henry Newman”.
Rientrato in Olanda nel 1937, per tre anni è
cappellano ad Amsterdam. Nel 1940 assume la
cattedra di Filosofia nel Seminario Maggiore di
Warmond, di cui diventa rettore cinque anni dopo.
Dimostra presto un vivo interesse per la causa
dell’unione dei cristiani come presidente
dell’Associazione “S. Willibrord”, impegnata
nella promozione dell’attività ecumenica in
Olanda.
Nel 1951 organizza la Conferenza cattolica per le
questioni ecumeniche, cui partecipa un gruppo di
teologi impegnati nella discussione dei temi
relativi all’unione delle Chiese.
Nel 1958 i vescovi olandesi lo designano come
delegato per le attività ecumeniche e due anni più
tardi - il 24 giugno del 1960 - Giovanni XXIII lo
nomina Segretario dell’appena costituito
Segretariato per l’Unione dei Cristiani. Durante i
lavori del Concilio Vaticano II - sotto la guida del
cardinale Agostino Bea – prepara documenti
relativi all’ecumenismo, alla libertà religiosa e ai
rapporti con le religioni non cristiane.
Consacrato vescovo da papa Paolo VI nel 1964,
intraprende molte iniziative in favore
dell’ecumenismo e ha frequenti contatti con i
protestanti e gli Ortodossi. Nel 1969 è eletto
Presidente del Segretariato per l’Unità dei
Cristiani e mantiene l’incarico per vent’anni, fino
al 1989. Viene eletto cardinale nel concistoro del
1969. Nel 1975 diventa Arcivescovo di Utrecht,
Primate d’Olanda e Presidente della Conferenza
Episcopale Olandese. Il 3 dicembre 1983
rinuncia alla guida pastorale dell’arcidiocesi di
Utrecht. Muore nel 2006.
La figura di Willebrands è di grande importanza
nel Segretariato.
Benché si sia formato in un ambiente fortemente
segnato da preoccupazioni unioniste, è però
aperto agli stimoli del rinnovamento.
Egli mantiene sempre rapporti istituzionali
corretti con le autorità romane e questo gli
guadagna molta stima anche da parte di chi non
sempre condivide i suoi orientamenti, come il
card. Ottaviani.
I suoi obiettivi principali:
- far lavorare insieme teologi di varia estrazione
e provenienza geografica;
- coinvolgere esponenti dell’episcopato centro-
europeo;
- mantenere stretti legami con le autorità romane;
- stabilire rapporti di empatia con le attività del
Consiglio ecumenico delle chiese
Gli incontri di Paderborn e di Gazzada
All’inizio del 1959 Willebrands entra in contatto con alcune figure lombarde
sensibili alla questione ecumenica. I suoi primi interlocutori sono Carlo
Colombo e Alberto Bellini, professori del Seminario di Venegono e di
Bergamo. Anche il card. Montini ha una forte sensibilità ecumenica e
conosce bene gli ambienti europei più aperti a questo tema.
In un incontro di studiosi cattolici dell’ecumenismo, organizzato da
Willebrands nel 1959 a Paderborn, partecipano anche alcuni preti milanesi e
bergamaschi segnalati da Carlo Colombo, come don Bellini e don Locatelli.
Nel 1960 a Gazzada, presso Varese, il card. Montini accoglie i lavori della
Conferenza cattolica per le questioni ecumeniche presieduta da Willebrands:
oltre a Bellini e Locatelli, sono presenti altri 7 rappresentanti italiani:
Montini, Colombo, Oggioni, Sartori, Visentin, Volpi e Alberigo.
In quell’anno Willebrands tiene una serie di conferenze in Lombardia per
sensibilizzare sulla questione ecumenica. Viene anche a Bergamo
Lettera di monsignor Willebrands al cardinal Montini
«Dal 6 al 13 febbraio ho tenuto una serie di conferenze sul movimento
ecumenico, cominciando a Milano e proseguendo a Bergamo, Brescia,
Legnano e Torino. Fui invitato a Milano dal Centro Culturale San Fedele e
dal gruppo “Unitas”.
Le riunioni nelle altre città furono organizzate dai gruppi “Unitas”.
L’argomento ha destato sempre grande interesse […].
Io ero accompagnato dal prof. Alberto Bellini del Seminario Vescovile di
Bergamo […].
L’incontro [del 10 febbraio] era di carattere privato e amichevole, e alla fine il
pastore Ribet espresse il desiderio che questo non fosse l’ultimo ma il primo
di una serie di incontri che si dovrebbero svolgere alcune volte l’anno. A tali
riunioni vi dovrebbero prendere parte un uguale numero di pastori protestanti
e di teologi cattolici, e un problema teologico o pastorale sarebbe discusso
dopo una breve introduzione.
Il prof. don Alberto Bellini si occuperà di sottomettere a Sua Eminenza
questo desiderio espresso dal pastore Ribet e di proseguire con il progetto
insieme ad altri teologi cattolici qualora Sua Eminenza si dichiarasse
favorevole» (19 febbraio 1960)
Un membro bergamasco:
Alberto Bellini
(1919-2012)
Dopo aver studiato teologia a Roma,
viene ordinato prete nel 1945 da
mons. Bernareggi. Prosegue gli studi
di filosofia all’Università Cattolica di
Milano dove si laurea nel 1953 con
una tesi su “Il problema della
conoscenza di Dio nella Kirchliche
Dogmatik di Karl Barth”.
Dal 1950 inizia una lunga docenza
presso il Seminario di Bergamo e
tiene corsi di teologia protestante alla
Facoltà Teologica di Milano.
Per queste sue competenze, il 31
agosto 1960 viene nominato “perito”
nell’appena costituito Segretariato
per l’unità dei cristiani, nella
sottocommissione incaricata di
studiare la struttura gerarchica della
Chiesa. In questa veste partecipa al
Concilio Vaticano II.
In una lettera allo stesso
Willebrands del 15 luglio 1961,
don Bellini scrive:
«I nostri incontri di Milano da Lei
iniziati cominciano già a dare i loro
frutti. In una riunione ufficiale dei
pastori valdesi a Torino i pastori
Ribet, Giampiccoli e gli altri che
partecipano alle nostre riunioni
hanno preso direttamente posizione
contro i luoghi comuni antiromani
dei loro colleghi, suscitando un po’
di scalpore, perché il pastore Ribet
era famoso per essere un deciso e
arrabbiato anticattolico.
Tutto ciò è l’indizio del clima che
sta mutando.
Questa sua iniziativa di due anni fa
fu veramente provvidenziale»
Il clima tra le chiese sta
cambiando…
Temi rilevanti elaborati
dal Segretariato
Nella fase di preparazione del
Concilio, le competenze sono ben
definite: la commissione teologica
(dominata da esponenti della curia
vaticana e delle università romane)
deve occuparsi delle questioni
dottrinali; le altre commissioni
hanno un profilo pastorale.
Il Segretariato si trova nella
condizione privilegiata di poter
svolgere un lavoro non soltanto
pastorale ma anche di
approfondimento teologico su
temi che toccano i rapporti tra le
varie chiese cristiane.
Una nuova idea di “pastorale”
Giovanni XXIII non pensa a un Concilio che condanni particolari errori o
sancisca nuovi dogmi, ma a un “concilio pastorale”.
La commissione teologica attribuisce a questo termine un senso riduttivo:
“pastorale” è solo l’applicazione pratica di linee teologiche decise prima.
Il Segretariato invece intende il termine “pastorale” con un significato più
ricco: gli elementi teorici e pratici sono strettamente connessi.
Pastorale non è meno dottrinale, ma lo è in un modo che non si limita a
concettualizzare, definire, giudicare: esso vuole esprimere la verità
salvifica in modo da saper raggiungere gli uomini di oggi, assumere le
loro difficoltà e rispondere alle loro domande.
Per esempio, la questione della Bibbia è di natura teologica ma anche
pastorale: la Sacra Scrittura suppone una teologia della Parola di Dio, ma
assume un ruolo importante nella vita dei credenti, nella liturgia, nella
catechesi, ecc.