Anna Maria Farabbi
[Quaderni]
E la poesia non sta nell'osso ma nella polpa.
[Anna Maria Farabbi]
Titolo: Anna Maria Farabbi – [Quaderni]
Poesie di: Anna Maria Farabbi
Fonti: Fioritura notturna del tuorlo, Tracce,1996; Il Segno della Femmina, Lietocolle, 2000; Adlujè, Il Ponte del sale, 2003; Segni, con opere grafiche di Stefano Bicini, Pescara, Studio Calcografico Urbino, 2007; La magnifica bestia, Travenbooks, 2007; Solo dieci pani, Lietocolle, 2009
A cura di Margherita Ealla
Il presente documento è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore.
Poesia2.0
da Fioritura notturna del
tuorlo
Autoritratto
Primo paesaggio dentro e fuori la mia fronte
Non c'è bisogno dell'ascia per spaccarmi
la fronte.
Te lo dico con parole minerali, vegetali e animali,
ognuna delle quali in sé respira:
quel che c'è nella mia polpa, esiste.
Nel senso che sta su realmente.
Lampante.
Ho la fronte alta, è vero.
Accolgo le diagonali nervose
e le storie universali che mi ci sbattono. Spiano,
disposta come le terre per l'atterraggio
e a volte, il più delle volte, mi faccio il muso
decisivo e decollante assimilando quello
degli uccelli.
Non per il volo fine a se stesso
ma per raggiungere il mondo
agitato
di un'altra f(r)onte.
Ho la pelle semplice
che mi copre.
Mettici un bacio comunicante: ci trasmettiamo Dio.
Quanto all'incantamento dei sogni,
lo dico con la serietà forte dei sopravvissuti svegli,
gli angeli dentro la mia testa sono crepati.
Senza testamento.
Senza testimoni.
Senza la salma delle piume.
***
Ciò che è il monte dentro chi lo vive
Se i miei versi nascessero al rovescio
come una languida vegetazione che addormenta gli
uccelli]
mentre vi nidificano,
quegli uccelli morbidi
che non distinguono i limoni
dalla luna
e che al canto del gallo
tremano.
Se nel mio poema ci fosse acqua
per abbeverare i bambini
e i cortigiani del re,
sarei chiamata dal re
e da tutti i suoi uccelli
e finalmente pubblicata su un trono
visibile.
Chi sei, mi si chiede,
se non ti si vede non ci sei.
Io sono, rispondo. Io sono
un poeta piccolissimo quasi lontano quasi felice,
una bestia di montagna sola come il monte,
una bestia che impara
le lingue selvatiche del vento e degli alberi dritti, le
lingue]
del mondo.
Io sono i neri della lupa e i rossi
del gallo
e la tenerezza dei verdi fioriti.
Io sono i gialli seminati, mietuti a mano,
fasciati ed esposti, immagazzinati,
fatti nutrimento
contro l'inverno.
Sono quella che da dentro la stalla
vede le stelle di dio
e se le sente in gola brillare.
Il mio quaderno inedito sta dentro la stalla,
fatto di terra sedimentata
irrigata d'inchiostro: canta.
Selvatico e dritto
quasi lontano quasi felice
più grande del re.
***
Maternità
La lupa è scesa a valle,
zitta gravida e ancestrale.
Un tempo si era fatta neranera per assorbire le notti
montane
mimetizzata con le radici forti delle piante
e del monte.
Con il vento. Con il vento furioso
che impenna la fame furiosa
dei rapaci. Con il vento furioso.
Si era fatta giallagialla per ingoiare la luna micidiale
delle notti
dentro le cacce alle prede
con le narici gialle piene di fame.
Si era fatta rossarossa ululando
il suo sangue
sola golasecca rossa camminando e azzannando le
croste]
le trame
dure del monte.
È scesa, ora. Allatta.
La sua pancia tocca quella della valle,
ne è congiunta, meravigliata.
Nel seno le si accendono i mezzogiorno,
gli archi
della luce diurna, le facce piccole dei fiori,
le facce piccole in cui sostano le ombre fresche
degli insetti.
Potrei sembrarti ferma
con il capezzolo in bocca
a mio figlio,
io lupa di guerra,
ma canto
zitta gravida e ancestrale.
Canto il poema latteo sceso in me
con me
da me a mio figlio
come un fiumecaldo diurno potente, giù
dalla cima
del monte. Dalla cima del monte.
da Il segno della femmina
Cosa portargli se non quattro elementi per cena
e l’animale rosso che batte
sangue
dentro le mie costole.
Aprirò il pane con un solo taglio
di lingua.
Il suo petto
con la mia nudità regale.
Offrirò gli anelli
della mia spina dorsale
i miei diecimila anni per terra. Quello che vuole:
entrare.
un lunghissimo viaggio preistorico
dentro la mia aorta
meraviglia.
***
Che cosa racconti non so
le parole
se non in bocca quando mangiano il mio rosso
tenerissimo
capezzolo
la rotondità il respiro il ritmo.
Mi dispiace non capisco
l’alfabeto le cose non so
capire. Non ho il peso
né la testa.
Sono in amore: comanda leggerezza
cuore e pancia
la resurrezione allegrissima
del mio inguine.
Ronzio estivo e frizione dei globuli nel sangue:
l’accoglienza concava tra le mie cosce
mi allarga.
Mi rende non semplice ma elementare.
Gioco nel tuo bosco: l’ascella.
Mi trasformo in arte. Piena di grazia:
Ave.
Silenzio e grazie
per la tua lingua in bocca che mi attraversa
per il tuo portarmi in cielo con le mani.
Al sole.
Fare abbondanza felicissima:
qui ora
in tutta la nostra terra.
***
Notizia
Quando l’ho rivista dopo venti anni ero ancora
innamorata dell’Africa.
Guardavo il paesaggio umbro e non lo vedevo. Quel
mattino del mio compleanno mi alzai con la febbre.
Decisi di ritornarci. Di ritrovarla. Di chiedere ospitalità
all’Appennino. Sbagliai strada più volte. Chiesi
orientamento ai contadini. Trovata, ho spento il
motore. Sono scesa. Ho tremato. Ho visto in lei il mio
corpo, la mia interiorità, la mia scrittura. Sono nata a
Perugia ma la mia terra madre ha il nome di
Montelovesco. L’ombelico: il suo cimitero. Entrando
torno preistorica: nonna in quattro elementi. Mi apre,
mi riduce bassissima, orizzontale, seme. Cioè viva e
crescente.
Ringrazio mia madre che mi insegna prima della lingua
il linguaggio, il mio cammino nello stare zitta, la
precisione definitiva del segno e la potenza animale
dell’oralità.
da Adlujè
Imprimitura:bianco.
Dall'iteriorità del lievito.
(....che lasciata all'aperto, viene
invasa da microorganismi che ne
provocano la fermentazione e la comunicano
ad altra pasta )
***
: bianco.
Dell'interiorità del latte.
( ... denso e opaco, ricco
di carboidrati, grassi, sostanze
proteiche, sali, vitamine,
ormoni ed enzimi, secreto
delle ghiandole mammarie
delle donne e delle femmine
dei mammiferi
dopo il parto )
Canto la madre non vergine
mentre fa l'amore con me
Madre dei sordomuti,
e delle cornacchie che dalla paura
pisciano in volo, madre
che scompari accadi e accadi,
con una lingua precipitosa insisti
e insisti
dentro il mio inguine. Madre
che mi fecondi con la tua saliva seminale:
ti ricevo:
qui e ora:
apro le cosce cuore e cervello.
Le donne del mio paese sono tutte in lutto
per questo ti vengono a pregare
chiudendo gli occhi per fondersi
al nero.
S'inginocchiano sopra il tuo corpo
cioè sopra un magnifico altopiano
si racchiudono
riassumendo la forma e il significato
del feto.
Io sono uscita dal loro branco.
Mi sono strappata le palpebre per vederti
fino in fondo
e con il fondo dei miei piedi ti cammino
per avvicinarmi,
e più mi avvicino
latro
con la fame in gola
e la gola tra le cosce. Madre
che mi hai partorito urlando,
il tuo sudore e la tua lingua mi bagnano:
sono qui. Qui e ora. Qui,
secondo la mia natura di figlia
disuguale
che scopa con i sordomuti
e per sempre li contamina
e avvolge teneramente le cornacchie calve
soffiando loro
la mia aria
calda. La mia aria calda.
***
Ninnananna anna nel buio
I .
Venite più vicino orecchiette piccole ed enormi
affondatevi nella terra
per sentirmi
crescere
Soffio le mie ninnananne
con la bocca accesa
dentro la ceca della notte
Sono aperta a farvi il vento
il vento
***
II.
La mia prima ninnananna è un ululato
di dolore
che vi si deve ficcare
come una rama infuocata
nel sonno
Sono venuti qui qui qui
dentro la mia voce
tutti quelli che questa notte sono stati ammazzati
nelle guerre del mondo
E nelle guerre del mondo
quando un figlio cade fa il botto
mi assorda
e la sua morte schizza scintille
più che la coda della cometa
Così
qui che è qui
nel palco
nel palco che è una pianura in festa
raccolgo la faccia della morte
con la mia zampa di lupa
Ogni briciola è il rumore
che mi rifà l'eco
e l'ecro a stormo
mi ributta indietro
***
III.
Fammi il conto demonio della mia notte:
stuzzica l'ombelico della mia fronte
e con la punta dell'unghia scrivi
Ammutolisco
Ma se per caso tu vai via
la mia natura interiore si allarga
Riprendo i sensi
e la mia terra macerata ritorna carta buona
per metterci il segno
Una carta sterminata che lavoro con la penna
sentendola aratro
Dunque ascolta:
Fino ad ora oste della rovina siamo pari:
l'inferno che mi hai fatto mangiare
te l'ho vomitato sul piattino
del mio verso
Ti ci canto una ninnananna pura
Allargo il soffio
dove posso arrivare
***
IV.
Ninnananna piccola piccola
per il figlio che non mi è nato
Non c'è il senso quando la tempesta buia
abbaglia
storpia e poi affonda
non c'è il senso
***
V.
Madre! Non dormo! Nemmeno questa volta dormo!
Nemmeno adesso che il nero copre ogni cosa
e intorpidisce gli occhi
Ha colpa il rospo
che dal fondo delle mie orecchie intona
ciò che dura ed è durevole
intrigandomi
Più lo ninno e lo staccio
più lui di verde si ostina
brilla
e vuole fare l'amore
***
VI.
Vorrei farmi il fiato uguale uguale al vento
quando strofina l'acqua la drizza
e la ributta giù
poi la riprende
e le insegna a girare a girare a girare
Ma di notte
quando nessuno vede
e al posto degli occhi
si diventa assolutamente orecchi
Vorrei metterti in bocca - amore cechino -
la mia lingua pregna
per scandalizzarti
e poi il colore
Per una notte nell'incrocio buio e secco del tuo cuore
schizzarmi in te
***
VII.
Buonanotte
soffiata in piuma
fiorin del cuore
Ti appunto
la mia ape
per risucchiarti
mentre dormi
VIII.
M'inchino davanti alle cosce infiammate
delle putane al labbro spugnoso degli ubriachi
intrappolati di vino e dalla luna piena
buonanotte a loro
perché loro mi hanno insegnato
più dei poeti
E buonanotte a chi mi ha cercato fino ad ora
tra la cenere e il fuoco
Io sto qui in basso
che soffio le mie scintille per spigarle
Frugo nella pancia della notte
Avvampo
***
IX.
E poi basta di impastare con le mani
queste ninnananne dentro la notte
Fosse il cielo un pane nero reale
invece di una pignatta di inchiostro
Fosse un filone enorme
per sfamare i matti del mondo
e tutte le bocche vuote
***
Il cervello ninnando il cuore dice:
che non è notte non è
notte,
ma l'attraversamento profondo
dell'ombra
che camminando assorbo.
E il cuore acrobatico
in un ventaglio di grigi liquidi
intontito annuisce che sì, l'ombra sì,
ma il corpo cromatico da cui si origina l'ombra,
il midollo del corpo,
il liquor,
dov'è?
***
Ninnananna ago di paglia
che brilla
schizzando via velocissimo e preciso
nel buio.
Testa mia piccinapiccina
che trilla
dentro l'in
canto
della cartavia.
***
Sciogli l'orecchio
nel mio gorgheggio rossissimo
che venga pure dentro me
via
dalla tua faccia.
***
Diretta all'orizzonte
mentre conosce il fondo.
Non so se abbia il vomere
o la chiglia
questa ninnananna lunghissima
scia.
Se per i semi o i pesci non so.
So che mi canta in bocca
la luce che scioglie e cresce
il corpo dei semi o dei pesci. Non so.
***
VARIAZIONI SUL BUIO DI MIO FIGLIO
I.
E' NEL SONNO CHE SI DILATA E S'INCANTA
RICEVENDO,
ANCHE PER ME CHE LO VEGLIO,
RICEVENDO NEL SOGNO
I MIRACOLI DEGLI DEI.
Mio figlio dorme dentro l'inverno
mentre la vita gli tinge
il tenerissimo buio
delle narici.
Vi si sgelano gli angeli e gli uccelli
scoccati da dio.
***
II.
E' NEL SONNO CHE SI DILATA E S'INCANTA
RICEVENDO,
ANCHE PER ME CHE LO VEGLIO,
RICEVENDO NEL SOGNO
I MIRACOLI DEGLI DEI.
Mio figlio dorme
coperto dai suoi occhi chiusi:
sta cadendo in sé
come una piumina bianca.
Sottosotto è morbido il caldo
del suo terriccio cuore
dentro cui sta crescendo,
anche nel sonno,
la pianta.
III.
E' NEL SONNO CHE SI DILATA E S'INCANTA
RICEVENDO,
ANCHE PER ME CHE LO VEGLIO,
RICEVENDO NEL SOGNO
I MIRACOLI DEGLI DEI.
Mio figlio dorme
uscendo dalla luce
come un tranquillissimo fiume
notturno
che nel fluire dentro la sua lunghezza
tocca terra e mare
contemporaneamente.
Nel suo silenzio subacqueo
sono liquidi anche i venti e i canti
dei pesci.
***
:bianco.
Dell'interiorità del sale.
( ... estratto per evaporazione
dalle acque del mare e da sorgenti
salate e da giacimenti
minerali
usato per insaporire e conservare )
***
Notturno
I.
Mezzanotte prugna
in corpo:
sangue saliva e mosto.
***
II.
Scrivo la respirazione delle lettere,
intingendo nel buio
del foglio
la mia lingua calda.
Il carminio.
***
III.
Anche stanotte, caccia di frodo.
La bestia, l'amore, la nudità che voglio
non c'è.
E ancora la mia pista fulva va via da me
e spicca.
Corrente elettrica. Ritmo.
Ma prima o poi la troverò.
Chiamerà il mio nome
e dentro il mio corpo la sua
lingua.
Respiro il buio e annuso.
Ho fame di minio.
Amore, amore che non viene mai
da m
e.
IV.
Il mio passo è sul filo di lana
albicocca. Nel buio
e alla luce del sole
cammino e canto interiormente
la figura e il paesaggio
in me.
Saluto il re mentre legge
sulla parete delle mie spalle
il segno
e la mia felicità animata
dentro il cesto di vinco. Sorride
ma sento che
il tempo sanguigno nelle sue vene
rabbrividisce.
***
V.
La luce nella pesca. La pesca
Silenziosa
che rotola nella notte.
Dentro i miei occhi
e con la stessa costosa lentezza
si allontana.
***
VI.
Sono scappati perché sono bellae perché hanno paura
di leggere i cromi
della notte,
la lentissima fioritura del tuorlo,
la nudità della creatura
e del creato.
Non vogliono tremare,
per questo quando si allontanano
parlano.
Mentre io voglio la lingua
per l'intimità, l'umidità, il silenzio
profondo.
Il bacio.
***
VII.
Non è il refolo che accarezza
il trifoglio.
Qui a Montelovesco,
è la terra che si muove. L'odore.
Allegro con fuoco. Preistorico.
Qui è mezzanotte: lume e stelle
sono in calore.
Il sole è sotto.
Nelle incisioni sul mio palmo,
tra gli inchiostri,
brillano gli schizzi salini del tsunami.
Dentro la voce di Andrea Zanzotto:
26.12.1997, ore 23,20.
***
VIII .
Pensare che ho spremuto
il limone
per berne il giallo. Impararlo.
Volevo in un sorso maturare
l'interiorità del mio campo nero
Fare grano.
***
IX .
Schiena a terra.
Cielo cobalto australe.
La lucentezza del giallo stellare
ingiallisce gli occhi
e il cervello.
***
X .
Da queste parti le creature non conoscono il mare.
Racconto il movimento degli azzurri.
L'orizzontalità cangiante.
L'impossibilità del taglio.
L'unico, il lunghissimo, lontanissimo
lato.
Ma nessuno lo chiede.
Stanno in terra, dentro la notte,
guardando la profondità del cammino
con il fuoco che dal petto
gli fa luce.
Poi, quasi all'alba, prima del tuorlo,
mi tolgono l'argilla dagli occhi
leccandomi il muso.
***
Preghiera notturna
Un giorno - mi prometto -
vedrò il paesaggio intero
con l'amore reale
nel mezzo.
Dormirò nell'abbondanza,
con la felicità di sprecare luce
e tempo.
***
:bianco
Dall'interiorità del gheriglio.
( ... ossia il seme - della noce -
ossia la parte interna
commestibile. )
***
Bacio il fondo: la bocca
del foglio:
la placenta interiore dentro cui entrando
nasco: con la lingua
come una prua muscolosa tessuta di fossili
che attraversa e assorbe ombelichi
e midolli liquefatti uteri marini.
Cresco in viaggio blu tra i coralli
quasi silenzio quasi pesce quasi dimenticando
i nidi.
Se non fosse non fosse la madre
a farmi voltare
l'amante la donna il canto
l'inguine terragno aperto
lo strillo modulato in canto
il principio dell'ascolto il fango
nelle mie orecchie di fango.
Qui, adesso, nel sentire
nell'essere polpa segnata dal nome
-lei che mi chiama - mi trasforma in terra
e in parole
di terra: emergo dall'acqua
come scrittura sonora.
Circolazione sanguigna. Nervi.
Montagna.
***
C'E' UN SUONO NELLA CADUTA NELLA ROTTURA
DELLA FRONTE
NELLO SPARGIMENTO SALIVALE
DELLA LINGUA
ENTRANDO IN UN SOLO OCCHIELLO FILA:
IN BATTERE E IN UN LEVARE IN FA - RE
L'AMORE
Brilla tra le mie cosce
la mia amorina
concava, nadir cantabile,
focolare segreto
della mia vita:
accoglimento della lingua.
E la lingua finalmente è caduta
franata in me
dentro la mia crepa
così profonda e per questo sacra
così felicemente
bassa.
E il crollo della lingua
ha trascinato in sé l'altezza,
i celesti stellari, le mistiche
della fronte e del cuore
giù dentro di me nella natura,
facendomi natura: piena,
assolutamente analfabeta
e bagnata di grazia
salivale.
Prima che il mio ombelico vulcanico
erutti l'estate
e ti nidifichi con una colata
di febbre,
mi vedrai nuda:
mollica.
Cantica.
Ondulata fioritura nei verdi.
Leggerai la mia scrittura terragna
come i cechi.
Con il corpo nelle dita.
NASCE.
TI DICO: SENTI CHE - SENTI:
NASCE. NASCE.
Nel midollo dei neri, dentro l'origine
dei nervi:
silenzi minerali, tuorli fossili,
stratificazioni di linguaggi
geologici: senti:
il poema ha un battito
cardiaco
lentissimo.
Talpadidio, senti
come amando il cuore
del mio alfabeto terrestre,
resuscito dal buio
le primissime nevi.
***
a Sandro Penna
VIDI UN BAMBINO FERMO AL CENTRO
DEL GIROTONDO
CHE S'INCANTAVA CANTANDO
GIALLOGNOLA AZZURRINA BIANCA
LA FELICITA'.
E POI VIDI SOLTANTO
L'OCCHIO
DELLA RUOTA DEL CARRO.
Amore che chiarisce la notte
pisciando in faccia
alla morte, umiliandola
con la luce.
Amore dentro cui è cadutasciolta
la fronte,
che non pensa non pensa non batte.
Non batte.
***
:bianco.
Dall'interiorità della placenta.
( ... organo che durante la vita uterina
del feto umano e dei mammiferi placentati
ha la funzione di coinvolgere al feto, con il sangue
materno,
l'ossigeno
e le sostanze nutritive necessarie
alla vita
e all'accrescimento )
***
Preghiera:
introduzione al colore
Madre della luce scoperchiami gli occhi:
falli concavi
come un palmo.
Voglio che siano sosta per gli uccelli
affinché possano pernottare in me
sotto la mia fronte
raccogliendo l'atterraggio, il frullo, l'alzata in volo
e la brace quasi spenta del giorno. Voglio
tuffare la faccia nel colore
impazzire le vene fino al bulbo buio
e poi franare giù nel foglio
pregna:
io giallo verde blu in persona
con la bocca rosso
arancio,
il foglio,
come un letto zuccherino per fare l'amore.
***
Maternità del marrone
Nella mia terra mi guardo
come dentro un bacile
dove si è infeltrito
l'oceano.
Mi tinge il dito se la tocco
e me lo fa albero
con le radici in cima
che bucano il cielo.
***
Maternità del verde
Ho un filo di erba nel cervello
che fa l'ombra verde
alle parole zitte del pensiero.
Le mie parole bestie con il muso rinsecchito e
sformato
ricercano dio
tra la concimaia e lo stellame.
Trasportano la fame di arrivarlo
e di congiungersi a lui in branco.
E io le sento frugare l'uscio della luce,
le sento desolate nella loro solitudine
o in chiacchiericcio furibondo
quando si concepiscono a vicenda con il verde
dell'ombra.
***
Verde
Io sono il verde alcolizzato che divora
lampi lunepiene sole.
Sono lingua l'odore
ramosissimo del rosmarino che svetta.
La faccia delle mie radici. Lo stare
in terra da freccia piantata:
segno e sentinella.
Sono l'accoglimento per ciò che è alare
e ha perso il volo:
il canto quando mi rientra
in corpo,
il vento il vento
il vento quando mi spacca e mi spartisce
la luce e la scintilla via da me ovunque
ferendo l'ombra.
Verde per verde.
Parola per parola.
Foglia.
Giallo
Io sono un'esplosione gialla nel cervello muto
della solitudine. L'ape di luglio
che scotta.
Il miele.
Sono il miele che nevica
dentro la pancia della notte
ungendo d'oro
il vento.
***
Viaggio giallo delle talpe
I ciechi sentono il giallo
perché odora.
S'infilano la spiga piena
dentro la narice
il tempo che dura
la spiga.
Quando l'inverno crolla
sfondano la terra con il muso sotterraneo
dov'è posta la madia:
il granaio.
L'ambra febbricitante dell'estate.
La luminaria della brace.
***
Rosso
Io sono l'inferno ubriaco.
Lingua idrofoba in fuoco.
L'intensità illuminata
nella pancia ritmica
del tamburo:
vulcano in testa, scintilla, interiorità ustoria
della lente:
i tuoi miocardici del tuorlo.
Io sono il morso nel bucobuio
dell'orecchio del demonio. E il foglio
acceso in trono.
***
Gli azzurri
Io sono il cobalto blumelanzana
cielo pregno nel mare incolto fittofitto:
l'inchiostro
nel paiuolo in cui cuoce.
Sono la vampata il falò blu
dei miei uccellini
scricchiati sulla crosta del foglio:
uno sbattimento di ali
per levata in volo di pallini da schioppo
in amore con i trucioli accesi delle stelle
con il loro sonnambulo
solletico.
***
Blu
Entro nella polpa della notte:
mi ci affondo come se tornassi dentro la pancia buona
della madre
dove le teste e le cose
si sono appena addormentate,
sazie, in pace
e non fanno più rumore.
Dietro le spalle le mie ali sono più blu della notte
crescono
spingendomi il petto
incrostato di fossili intontito dai soli dai tuorli dai venti
e dalle scintille di dio.
***
Se avessi una rosa blu dentro la fronte
che partorisse il sangue il sudore e il pianto
blu
goccia nella goccia giù per le guance
e per la pelle nuda dei seni
traversando il ventre
fino a raggiungere le erbe dei campi
le radici
della quercia.
Se avessi una boccetta d'inchiostro blu
dentro la fronte
e venisse giù come una doccia calda
e tingesse me - la faccia di carta -
quella della terra e del mare
il sangue il sudore e il pianto.
Se avessi un bocciolo blu
che spingesse la luce
dentro il buio della mia fronte
bacerei la bocca della madonna
e ci farei l'amore
le spiegherei con la mia lingua
che la storia del blu viene dalla rosa
e la storia delle radici della rosa
viene dal culo
del mondo.
***
Nero
Io sono il nero tra le cosce.
Lo scandalo dove si frange si sfa
il sole: si scioglie.
Il fosso.
La forma umida della notte.
***
Bianco
Io sono la faccia plurale
del colore.
L'angelo concentrato
in un punto precisissimo della terra:
nell'embrione minerale vegetale carnale
del poema. Lievitazione del pane
nel corpo.
da La magnifica bestia
Sono presenti in me: quel bambino cieco, privo di braccia a causa della guerra, che sta leggendo con le labbra, fotografato da David Seymour (Roma 1948), e Jean Dominique Bauby che, non volendo arrendersi alla malattia, scriveva con le palpebre. Uno mi in/segna a leggere e l'altro a scrivere. Entrambi, contemporaneamente: la preziosità del ricevere e l'estenuante pratica di ogni relazione, la profondità del sentire e la parsimonia, la cerimonia, del segno.
***
L'invisibile multiforme uccellina affonda nel mio petto con leggerezza precisa e sibilante. Non so chi sia da dove la figura dell'arco......Sento muoio e mi moltiplico.
***
Porto con me la bestia e la foresta intera battendo la mia pelle di tamburo. Il dolore è basso. Cammina dentro le piante dei piedi. Mi bruca la pancia. Ma nell'ombelico profondo mia madre canta.
***
C'è un'alba in cui l'uccellina maestra ha dolore e sceglie di tacere. Di lavorarsi dentro il becco. Nell'intensità del sole non dice: risponde con l'intensità zitta nel becco. Come si sta soli né mani né piedi. Come si sente la storia biologica del proprio corpo....offrendosi al sorgere. Orientandosi. L'osso della fronte es/posto all'alba e la polpa alle radici. Il dolore non può fare altro e non guarisce con la poesia. E la poesia non sta nell'osso ma nella polpa. Chi sta zitto per immersione e per forza si trasforma. Coltiva umilmente il proprio orto.
Impara a divenire nel battito. Ad abitare la cellula del suo sangue la trasparenza del fiato: nel passaggio che è paesaggio tra l'inspirazione e l'espirazione.
***
Comunque sia....ovunque è in terra con me: presente: il fatto è questo. Vicina o lontana non conta. Io non sono figlia del dio del lutto.....ma della madre. Non creo per compensare. Non canto separazione o esilio ma l'appartenenza profonda la gioia tessendo il baratto.
***
Il m'io poema esce. S'in/china. S'interra profondamente diventando terra:
vocali consonanti rosso cardiaco fiato bacio e bestia.
da Solo dieci pani
il colloquio
tra figlia e madre
Ho studiato che il rosone di alcune chiese romaniche è
stato progettato come meridiana notturna affinché i
monaci, durante la preghiera, potessero conoscere
l’ora osservando le stelle, attraverso la rosa vitrea.
Non tanto per conoscere l’ora figlia mia, ma per
l’esercizio interiore della dilatazione. Per l’accoglienza
intima dell’infinito. Sì studia. Ma dimentica tutto
umilmente.
Raggiungi le terre oltre le chiese. Entra nel fuoco
assiale della tua lente interiore. La meta profonda del
viaggio è in te: saper mangiare pane respirando il
vuoto limpido.
***
andrò dalla vecchia
consegnandole il mio tempo
in una ciotola di argilla
al mio fianco il fiume scende
con dentro la montagna liquefatta
cercheranno la mia essenza acustica
e la migrazione della mia rondine interiore
***
Mi cercano nel paesaggio. Io sono uscita
morta diffusa: creo la quiete tra le tempie
mentre pellegrino scalza
nell’ombelico madre.
Chiedono se la mia voce esiste
o canta il linguaggio dei pesci
dove sono in che cosa si è trasformata
la radice dell’io.
Da animale a vegetale a minerale in pane.
La foresta bianco rosa dei ciliegi sulle sponde del
fiume
improvvisamente si è mossa: l’odore
e i petali nella brezza si staccano all’unisono
vibrando una leggerissima intima
bufera.
Anna Maria Farabbi è nata a Perugia il 22 luglio 1959.
Premio Montale nel 1995, è stata redattrice della
rivista letteraria “Lo spartivento” di Bologna, ora
inattiva. Ha collaborato per traduzioni, recensioni e
interviste a scrittrici e scrittori e per lavori di critica
letteraria a vari giornali e riviste, tra cui “Legendaria”,
e per la rivista bilingue africana “Sister Namibia”,
come corrispondente italiana.
Ha pubblicato opere saggistiche sulla rivista letteraria
“Il rosso e il nero”. Suoi racconti e poesie sono apparsi
su varie pubblicazioni, tra cui “Poesia”, “Atelier”, “La
Clessidra”, “Il vascello di carta”, “Versodove”,
“Poetrywave”, “Yale italian poetry”, “Pagine”,
“Famiglia Cristiana”, “Letture”.
Attualmente collabora con la Fondazione Bianciardi –
Il Gabellino – per un lavoro di interviste ad esponenti
autorevoli internazionali (storici, poeti, filosofi,
traduttori…).”
Anna Maria Farabbi ha pubblicato le raccolte di
poesia Fioritura notturna del tuorlo, Tracce,1996; Il
Segno della Femmina, Lietocolle, 2000 con cd;
Adlujè, Rovigo, Il ponte del sale, 2003; Kite, con
portfolio di 9 opere grafiche di Stefano Bicini, Studio
Calcografico Urbino, 2005; Segni, con opere grafiche
di Stefano Bicini, Pescara, Studio Calcografico Urbino,
2007; La magnifica bestia, Travenbooks, 2007, Solo
dieci pani, Lietocolle, 2009.
Ha anche pubblicato libri di prosa - Nudità della
solitudine regale, Zane Editrice, 2000 e La tela di
Penelope, Lietocolle, 2003 – e di saggistica con
traduzioni - Le alfabetiche cromie di Kate Chopin,
Lietocolle, 2003, una monografia su Kate Chopin; Un
paio di calze di seta, Sellerio, 2004, una scelta di
racconti di Kate Chopin; Il lussuoso arazzo di Madame
d’Aulnoy, Travenbooks, 2008. Opera edita critica
d’arte: “Maria Cammara“, Lalli,1999.
Sull’opera della Farabbi, Francesco Roat ha curato la
monografia L’ape di luglio che scotta, Anna Maria
Farabbi poeta, Lietocolle, 2005.