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Campisano Editore Fulvio Lenzo Memoria e identità civica L’architettura dei seggi nel Regno di Napoli XIII-XVIII secolo Saggi di storia dell’arte
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Memoria e identità civica. L'architettura dei seggi nel Regno di Napoli XIII-XVIII secolo, Roma, Campisano editore, 2014

Apr 29, 2023

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Campisano Editore

Fulvio Lenzo

Memoria eidentità civicaL’architettura dei segginel Regno di Napoli XIII-XVIII secolo

Saggi di storia dell’arte

Con il loro aspetto di loggia aperta sulle vie e le piazze principali, i seggi erano fra le architetture più riconoscibili nelle città dell’anticoRegno di Napoli. La loro diffusione corrisponde con quelladell’omonima istituzione, nata alla fine del XIII secolo e abolita nel1800: da quel momento molti seggi sono stati abbandonati, convertitiad altri usi o più spesso distrutti, facendo perdere la memoria dellaloro originaria funzione e perfino della loro stessa esistenza. Grazie a un’estesa campagna di sopralluoghi attraverso l’Italia meridionale,accompagnata da un’accurata ricognizione delle fonti, questo volumedocumenta per la prima volta oltre un centinaio di seggi, indagandonele forme architettoniche, gli usi e le valenze simboliche.Destinati principalmente a ospitare collegi ristretti di famiglie chepartecipavano al governo della città, i seggi erano il luogo dove lestorie familiari e cittadine prendevano corpo in un vasto apparato di iscrizioni, opere d’arte celebrative e soprattutto preziose reliquiedell’antichità. Epigrafi, statue e frammenti architettonici ne affollavanolo spazio, prendendo talvolta la forma di vere e proprie collezioniantiquarie cittadine. Le istanze di autorappresentazione delle élites si caricavano così del peso della Storia, facendosi interpreti dellamemoria collettiva e, dunque, dell’identità civica dell’intera comunità.

Fulvio Lenzo (1975), formatosi come storico dell’architettura all’Università IUAVdi Venezia, ha svolto attività didattiche e di ricerca presso vari atenei italiani e istituti internazionali. Attualmente è assegnista post-doc presso l’UniversitàFederico II di Napoli per il progetto ERC/HistAntArtSI. I suoi studi vertonoprincipalmente sull’architettura del tardo Cinquecento napoletano, del Seicentoromano e del primo Settecento in Italia meridionale e in Veneto. Fra lepubblicazioni si ricordano l’edizione italiana e l’aggiornamento di Anthony Blunt,Architettura barocca e rococò a Napoli (2006), la collaborazione al volume diGiovanna Curcio, La città del Settecento (2008) e la monografia Architettura e antichità a Napoli dal XV al XVIII secolo. Le colonne del tempio dei Dioscuri e la chiesa di San Paolo Maggiore (2011).

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AbbreviazioniACC Capua, Museo Campano, Archivio Comunale di CapuaAGA Roma, Archivio Generale dell’Ordine Agostiniano

ASNa Napoli, Archivio di StatoBAV Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica VaticanaBCT Trani, Biblioteca Comunale «Giovanni Bovio»

BNBa Bari, Biblioteca Nazionale «Sagarriga Visconti Volpi»BNN Napoli, Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III»

BSPNa Napoli, Biblioteca della Società Napoletana di Storia PatriaENSBA Parigi, École Nationale Superieure des Beaux-ArtsUffizi Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe

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a Giovanna

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Nessuna parte di questo libropuò essere riprodotta o trasmessain qualsiasi forma o con qualsiasimezzo elettronico, meccanicoo altro senza l’autorizzazionescritta dei proprietari dei dirittie dell’editore.

Progetto graficoGianni Trozzi

© copyright 2014 byCampisano Editore Srl00155 Roma, viale Battista Bardanzellu, 53Tel +39 06 4066614 - Fax +39 06 [email protected] 978-88-98229-37-6

In copertina,Barletta, seggio del Popolo prima del 1925

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Fulvio Lenzo

Memoria eidentità civicaL’architettura dei segginel Regno di NapoliXIII-XVIII secolo

Campisano Editore

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Ringraziamenti

La ricerca che ha portato ai risultati qui pubblicati è stata condottanell’ambito del progetto HistAntArtSI (Historical Memory, AntiquarianCulture, Artistic Patronage and Civic Identity in the Centres of Southern Italybetween the Medieval and Early Modern Period), finanziato dall’EuropeanResearch Council all’interno del Settimo Programma Quadro (FP7/2007 -Grant agreement 2013) / ERC nº 263549; ERC-HistAntArtSI project,Università degli Studi di Napoli Federico II, Principal Investigator Biancade Divitiis. I primi risultati sono stati presentati all’RSA Annual Meetingdi Washington D.C. (22-24 marzo 2012), e le successive acquisizioni sonostate discusse al seminario Antiquities and Local Identities in Southern Italy:Art, Architecture and Literature between 1300 and 1700, presso il WarburgInstitute di Londra (16 novembre 2012).Il reperimento del materiale illustrativo è stato facilitato da diverseistituzioni: la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, laCollezione Intesa Sanpaolo - Gallerie d’Italia Palazzo Zevallos Stigliano di Napoli, il Museo Campano di Capua, la Biblioteca Comunale «Antoniode Ferraris» di Galatone, il Museo Correale di Terranova di Sorrento, la Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, la Biblioteca NazionaleMarciana di Venezia, la Bibliothèque Nationale de France di Parigi el’Institut Nationale d’Histoire de l’Art della stessa città.Numerosi sono i debiti contratti nel corso delle mie ricerche, e desideroringraziare: Francesco Aceto, Massimo Bulgarelli, Francesco Caglioti,Giovanna Curcio, Caroline Elam, Francesco Paolo Fiore, Veronica Mele,Lorenzo Miletti, Mabella Quero, Francesco Senatore, Elisabetta Scirocco,William Stenhouse e Giuliana Vitale.Bianca de Divitiis, direttrice del progetto HistAntArtSI e soprattutto amica,ha seguito e incoraggiato questo studio fin dall’inizio: a lei, a Sandro e ai piccoli Elio, Emiliano e Gigliola va la mia più affettuosa gratitudine.

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p. 9 Introduzione

21 L’istituzione

21 Le funzioni24 Le origini dei seggi: «la più oscura materia»30 L’età aragonese e vicereale

43 Loggia e sedile

43 Il nome e la forma45 I tocchi antichi e la Torre de Arco a Napoli49 I seggi nel Regno54 Spazio privato e visibilità pubblica60 Tra Napoli e Firenze

73 Nobiltà e trionfi

73 Nobili e Popolo75 Sedili per l’eternità78 Porta urbica e arco di trionfo82 Il trionfo di Alfonso il Magnanimo86 Altri trionfi all’antica90 Trionfi femminili, cavalcate e processioni94 Trionfi del Popolo

Indice

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105 Antichità

105 Tradizione e auctoritas109 Sculture mitiche e trofei113 Scritture esposte116 Collezioni e apparati decorativi121 L’antico da monumento a documento123 Architettura, identità e memoria

APPARATI

137 Appendice I. Edifici

199 Appendice II. Documenti

211 Bibliografia

243 Referenze fotografiche

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Introduzione

Intorno al 1343, da poco trasferitosi a Firenze, Giovanni Boccaccio rie -vocava nell’Elegia di Madonna Fiammetta l’atmosfera cortese della Na - po li angioina, dove aveva trascorso la sua prima gioventù. Rivolgendosia un consesso di donne, la protagonista femminile raccontava del suotravagliato amore per il fiorentino Panfilo e di come la lontananza dal-l’amato avesse trasformato tutte le feste e le «allegrezze in verissimeangoscie». Le occasioni certo non mancavano: Napoli era la città «oltrea tutte l’altre italiche di lietissime feste abondevole», e in particolare neiprimi giorni di primavera era

consuetudine antica [...] di convocare li dí piú solenni alle logge de’ cavalieri lenobili donne [...]; le quali poi che alli teatri in grandissima quantità radunate si veg-gono, ciascuna quanto il suo potere si stende dimostrandosi bella [...]. Quivi tracotanta e cosí nobile compagnia non lungamente, si siede né vi si tace, né mormo-ra; ma stanti gli antichi uomini a riguardare, li chiari giovini, prese le donne per ledilicate mani, danzando, con altissime voci cantano i loro amori 1.

Nel racconto di madonna Fiammetta, e nei ricordi di Boccaccio, Na -poli appariva come la città delle feste, in contrapposizione implicita conuna triste Firenze, città che aveva sottratto l’amato alla protagonista delromanzo e dove anche lo scrittore era da poco emigrato, sancendo inqualche modo la fine della spensieratezza giovanile. In realtà, feste diquesto genere dovevano risultare familiari anche ai lettori fiorentini diBoccaccio, come pure lo erano le «logge dei cavalieri». Più inconsuetaappariva la scelta di utilizzare il termine «teatro» come sinonimo perdefinire le logge: una spia del fatto che, forse, quei luoghi erano effetti-vamente qualcosa di diverso da quelli cui si era abituati a Firenze.

Un secolo dopo, nel 1444, un cronista veneziano avvertiva la necessitàdi spiegare meglio cosa fossero le logge dei cavalieri napoletani. E scri-veva:

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la ditta cittade se parte in cinque parte e cinque sedie: la prima è la sedia deCapuana, la sedia de la Montagna, la sedia de Portanova, la sedia de Porto, la sediadelo Nido: le qual sedie sonno lozie lavorate e ornate, dove se reduce tuti zen-tilhomeni dele ditte contrade e parte dela dicta citade; dove se reduce ale altre cita-de i zentilhomeni ale piace e palaci, li napoletani zentilhomeni se reduce ale dictesedie tuto’l zorno, la mattina da può la messa per fina a ora de manzare, da puòdisnare per fina a ora de de cena, e non se reduce ad altre piace né lozie. E in dic-te sedie non li anderia altri che i ditti zentilhomeni, che seria spinti e descazziattide fuora 2.

Le logge erano in questo caso chiamate «sedie», suggerendo che l’u-so fosse prevalentemente quelli di sedervisi: erano un luogo di ritrovodestinato ai «zentilhomeni» appartenenti a un gruppo preciso di fami-glie, che vi trascorrevano gran parte del loro tempo. L’autore ne sotto-linea l’esclusività, notando che si trattava di spazi riservati a un’éliteselezionata e preclusi a tutti gli altri, che ne sarebbero stati «descazziat-ti de fuora». I fruitori naturali erano quindi quegli «antichi uomini» chenel racconto di Fiammetta assistevano in silenzio alle danze, mentre legiovani donne festanti vi venivano ammesse soltanto nei «dì più solen-ni». Luoghi destinati a usi diversi, a secondo delle occasioni, che ave-vano paralleli a Firenze e Venezia, ma che mostravano anche caratterispecifici legati al contesto napoletano.

Il pluralismo delle funzioni si rifletteva anche nella varietà di nomiusati per designarli. Una definizione per certi versi analoga a «sedia»sarebbe stata usata qualche decennio più tardi da un altro veneto, l’ar-chitetto e antiquario Fra Giocondo da Verona. Nello stimolante am -biente culturale napoletano, dove si trovava fra 1489 e 1495, Fra Giocon -do approfittava delle missioni ufficiali affidatigli dal re in giro per ilRegno per lavorare alla sua silloge epigrafica, nella quale le iscrizioniantiche sono sempre registrate precisando anche il sito 3. Così, trascri-vendo due epigrafi antiche di Capua, segnalava che una si trovava«apud sessionem Antonianam», mentre l’altra «apud sessionem Oli -vae» 4. A Sessa Aurunca ne copiava tre «ante ecclesiam S. Matthaei adsessionem» 5, e a Napoli ben sette erano localizzate «in sessione» o«apud sessionem» 6. L’indicazione era chiaramente di natura topografi-ca, eppure, se in alcuni casi indicava un edificio preciso – le «logge deicavalieri» o «sedie» – in altri corrispondeva invece a un’area più ampia,un quartiere all’interno del quale si trovava il palazzo o la chiesa checustodiva l’antico testo inciso su marmo 7.

Il termine latino sessione, che Giocondo mutuava forse dal De rebusgestis di Bartolomeo Facio, doveva tradurre il nome locale seggio o sedi-

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le 8. La parola latina rifletteva le ambiguità della parola italiana seduta,indicante al contempo un oggetto fisico, un sedile, ma anche un’udien-za o appunto una sessione. Era una scelta precisa, poiché i napoletani ei regnicoli si servivano anche di altri nomi, ma nessuno di essi dovevasembrare appropriato a Giocondo. Il più antico era tocco, una volgariz-zazione della voce greca θῶκος che, con le stesse connotazioni dell’ita-liano sedile, indicava in origine un banco in pietra o in legno utilizzatoper sedersi, ed era poi passato a riferire lo scranno di un luogo assem-bleare 9. Il termine tocco si ritrova nei documenti medievali più antichi,fin dal 1146, e in aree geografiche profondamente impregnate di cultu-ra e lingua greca, come la Calabria, risulta in uso ancora fino al Sette -cento inoltrato 10. A Napoli, invece, era stato abbandonato da moltotempo già alla fine del Cinquecento, quando, a proposito di una deci-sione del Sacro Regio Consiglio relativa ai seggi, si scriveva «sedilia olimvocabatur Tocci» 11. Una parola arcaica, dunque, forse già desueta nelQuattrocento, che inoltre a un purista della lingua come Giocondodoveva apparire un grecismo inopportuno.

Iscrizioni capuane analoghe a quelle ricopiate dal frate veronese era-no già state trascritte qualche decennio prima dall’epigrafista LorenzoBehem, che scriveva di averle lette «in theatrum militum», nel teatro deicavalieri, indicando quei luoghi con gli stessi termini adoperati daBoccaccio 12. Anche il nome theatrum ricorre nei documenti medievalinapoletani, e nella prima metà del Trecento appare spesso seguito dal-la precisazione «theatrum sive toccum» o «theatrum seu sedile» 13.A me tà Quattrocento l’umanista Antonio Beccadelli detto il Panormita,parlando dei nobili napoletani, scriveva che «dividutur enim civitasomnis neapolitanorum in theatra quinque quae illi a consedendo sedi-lia appellant» 14. I seggi o sedili erano edifici il cui nome derivava dal-l’atto di sedersi insieme in consesso, ma allo stesso tempo erano ancheil fulcro di entità più vaste, che ripartivano l’intera città di Napoli incinque distretti: aree urbane dai confini precisi, quartieri e, al tempostesso, organi istituzionali dell’amministrazione civica 15.

Per questa accezione a Napoli si usavano anche il termine platea e ilsuo corrispondente italiano piazza. Questa, fra tutte, era la definizionepiù ambigua, poiché implicava un’ulteriore traslazione di senso frasignificato e significante. Con platee si indicavano le tre strade princi-pali della città antica, parallele alla linea di costa e ortogonali ai piùstretti e fitti vichi o angiporti. Ancora oggi il centro antico di Napoliconserva questo impianto urbano, risalente alla fondazione greca della

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città e differente dalle consuete griglie viarie romane imperniate su car-di e decumani di uguale ampiezza: una peculiarità sulla quale si sareb-be soffermato lo stesso Giocondo nella sua nuova edizione del De archi-tectura di Vitruvio, data alle stampe a Venezia nel 1511 16. Al significatooriginario si era aggiunto a partire dal XIII secolo quello di regio urba-na, e il termine platea ricorre con frequenza nei documenti angioini dimateria fiscale per indicare settori ben distinti della città 17. I rappre-sentanti delle diverse regiones erano coloro che si riunivano nei seggi,quindi i nomi finivano col coincidere e le stesse definizioni di seggio eplatea venivano usate indifferentemente per indicare ora la circoscri-zione urbana, ora l’assemblea che si riuniva nel seggio 18. Per riferirsi allasede di quest’ultima, alcuni umanisti del XVI secolo avrebbero preferitoil termine porticus, che, privo delle ambiguità delle altre definizioni,rimandava più direttamente alle strutture materiali dell’edificio assimi-landolo alle logge esistenti in altre città 19. I seggi erano dunque edificiporticati, chiamati con una varietà sinonimi che ne sottolineavano divolta in volta accezioni differenti e che, a loro volta, servivano a indica-re anche l’istituzione che aveva sede in questi edifici, i suoi membri e lacircoscrizione urbana ricadenti nella sua giurisdizione.

Nella storia dei seggi, architettura, gruppo sociale e istituzione civicasono intrecciati in un’unica vicenda, il cui inizio può vagamente esserefissato in età angioina, intorno al XIII secolo, e la cui fine è invece san-cita da un perentorio editto di abolizione promulgato il 25 aprile 1800da re Ferdinando IV di Borbone. Dopo tale data molti edifici sono sta-ti convertiti ad altri usi, modificati radicalmente o addirittura demoliti.Dei cinque seggi nobili napoletani, ad esempio, sussiste ancora soltan-to quello di Montagna, ma trasformato così profondamente che sareb-be oggi impossibile riconoscerne l’originaria funzione senza l’ausiliodella cartografia storica. Una sparizione rimpianta ancora nel 1920 daBenedetto Croce, che in un suo fondamentale saggio sull’argomentolamentava: «Una cosa di cui non mi so dar pace è che in Napoli sianospariti tutti gli edifizi dei ‘Sedili’ o ‘Seggi’ della città» 20. Si trattava infat-ti di una realtà talmente radicata nella napoletanità che ancora adesso,a più di due secoli dall’abolizione, continua a esistere in forma subli-mata nella Deputazione del Tesoro di San Gennaro, un organo autono-mo che gestisce la principale reliquia sacra della città 21.

Come abbiamo già potuto vedere attraverso le testimonianze relativea Capua e Sessa, i seggi non erano una peculiarità esclusiva della capi-tale del Regno. Tuttavia, la storiografia recente si è finora concentrata

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su Napoli, lasciando ai margini quelli delle altre città meridionali. Laletteratura, inoltre, ha privilegiato gli aspetti legati alla ritualità socialee al comportamento politico, riservando poca attenzione alle formearchitettoniche. Nei rari casi in cui è stata presa in esame l’architettura,sono stati considerati solo singoli seggi, senza tenere conto dell’esisten-za di una serie omogenea e trascurando di conseguenza le problemati-che relative alla funzione istituzionale loro demandata e al significatoche rivestivano. In definitiva, non esiste a tutt’oggi alcuna trattazioneorganica sull’architettura dei seggi nel Regno di Napoli, come neppureun semplice elenco, sia pur approssimativo, che dia conto della loro dif-fusione sul territorio.

Il quadro storiografico è frutto una situazione sfavorevole agli studi,poiché, oltre alla scomparsa di molti edifici, anche le carte d’archiviosono in gran parte disperse e solo poche città hanno conservato la docu-mentazione ufficiale prodotta dai seggi. Si può sperare che in futurovenga alla luce qualche atto rogato da notai privati, ma difficilmente taliscoperte varranno a compensare la perdita dei quasi duecento faldoniconfluiti dopo il 1870 nel Grande Archivio di Napoli, poi Archivio diStato, e qui periti a causa dei noti eventi bellici del 1943 22. Le ricerchepresentate in questo volume hanno cercato di superare queste difficoltàoggettive, lavorando su fonti di natura diversa. Indizi sulla presenza diseggi in molte città erano emersi già dallo spoglio preliminare delleprincipali corografie sei e settecentesche del Regno, come quelle diEnrico Bacco, di Giovan Battista Pacichelli, di Francesco Sacco e diLorenzo Giustiniani 23. Ma è stato soltanto grazie a un’estesa campagnadi sopralluoghi attraverso l’intera Italia meridionale, e al contempora-neo controllo incrociato su numerose cronache cittadine, manoscritte ea stampa, collezioni di statuti civici e fonti cartografiche, che è statopossibile documentare più di un centinaio di edifici 24. Eppure tale cen-simento non può essere considerato esaustivo, né definitivo, dal mo -mento che almeno in un’altra decina di centri urbani esistono vie e piaz-ze che serbano la memoria di seggi non altrimenti attestati 25. I dati rac-colti sono disomogenei per natura delle fonti, quantità e qualità di noti-zie, ma comunque sufficienti per mettere a fuoco almeno alcune que-stioni: a cosa servivano, e come venivano usati questi edifici? perché sisono replicati in forme identiche in un arco cronologico di cinque seco-li e in città spesso anche molto lontane fra loro? e perché erano così fre-quentemente associati all’esposizione di oggetti antichi?

Per tentare di dare risposta a tali interrogativi, si è ritenuto opportu-

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no cominciare col definire le mansioni che erano chiamati a svolgere,dedicando il primo capitolo alla discussione dei seggi come istituzione.L’obiettivo non è certo di delinearne in maniera compiuta la storia isti-tuzionale – ambizione che esulerebbe dai limiti di questa ricerca –quanto piuttosto di presentarne le funzioni principali e di fornire lecoordinate per comprendere i presupposti del dibattito sorto in seno aicircoli eruditi della prima età moderna sull’origine dei seggi, sulle loroprerogative e sull’identità aristocratica che li connotava. I seggi eranoluoghi assembleari destinati a consigli cui afferivano più famiglie dell’é-lite locale, che si riunivano per discutere di questioni che riguardavanosia il loro gruppo sociale, sia tutta la città. Si occupavano della gestionedelle infrastrutture urbane, regolavano il diritto di cittadinanza, legife-ravano in materia suntuaria e talvolta funzionavano anche come tribu-nale di primo livello. Trattandosi di un’istituzione civica di lunga dura-ta, esistente in città con storie, usi e tradizioni eterogenee, anche la fisio-nomia dei seggi appare mutevole col variare delle circostanze storiche egeografiche. Inoltre, benché strettamente interconnesse, non sempre lapresenza dell’istituzione corrispondeva con quella dell’edificio. Lasituazione più frequente era quella di città dotate di edifici riservati ainobili, e dove invece le assemblee di cittadini comuni, i cosiddetti seg-gi del Popolo, avevano sede in un portico, una chiesa, un convento, opiù semplicemente una piazza. Ma esistevano anche città dotate distrutture differenziate per i nobili e il Popolo, come Andria, Barletta eBitonto, e anche casi in cui persino i nobili non disponevano di un edi-ficio esclusivamente destinato alle proprie riunioni, come a Sarno o aMonteleone, odierna Vibo Valentia 26. D’altra parte, accadeva anche chein altre città si scegliesse di erigere la casa comune a tutta la cittadinan-za in forma di seggio, piuttosto che di palazzo pubblico, ed è il caso diBari, Benevento, Fasano, Minervino o Palomonte.

È significativo che, a dispetto della fluidità che caratterizza l’istitu-zione e della disomogeneità delle funzioni, si sia affermata una formaarchitettonica comune, riconoscibile nell’immagine della loggia, quidiscussa nel secondo capitolo. La verifica su un campione di casi moltopiù vasto di quanto disponibile finora, ha confermato che la conforma-zione tipica dei seggi disseminati sull’intero territorio del Regno diNapoli corrispondeva alle caratteristiche già evidenziate per quelli del-la capitale da Benedetto Croce, che li descrive come «portici quadrila-teri con cancelli di ferro, e a uno dei lati una sala chiusa per le riunioni,discussioni e deliberazioni» 27. Le loggie erano edifici frequenti anche in

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città di aree geografiche distanti dal meridione d’Italia e, come abbia-mo visto, erano il primo termine di confronto citato dai forestieri, comel’anonimo veneziano, per spiegare cosa fossero i seggi. Quello che ren-deva questi ultimi differenti dagli altri edifici analoghi esistenti in altrecittà d’Italia e d’Europa era il fatto che, fra i vari usi, non rientrava quel-lo mercantile. Una condizione che appariva innaturale a Poggio Brac -cio lini e Cristoforo Landini, che da Firenze criticavano l’arrogante evanagloriosa indolenza dei nobili napoletani che sprecavano il loro tem-po in esercizi cavallereschi o stando seduti nel seggio. Le risposte daparte degli umanisti meridionali non si sarebbero fatte attendere.E proprio la fioritura di una letteratura specifica che si interrogava sulruolo dei seggi è indice della loro sempre maggiore importanza nellavita sociale e politica delle città meridionali di antico regime. Una pre-gnanza di significati che, come messo in luce nel terzo capitolo, acco-muna l’istituzione e l’edificio.

La compresenza dei sedili collocati all’interno di uno spazio chiuso einaccessibile, e di uno o più archi in facciata, aperti ma schermati darecinzioni e inferriate, traduceva l’antinomia fra uso privato e visibilitàpubblica. Pur riservato a un’élite ristretta di cavalieri e dame nobili, ilseggio assumeva valenze capaci di rappresentare l’intera città. Era illuogo dell’identità sociale, di un gruppo preciso, ma al contempo anchedell’intera cittadinanza. Un ruolo che si faceva evidente in occasionedelle principali cerimonie pubbliche, quali i trionfi dei sovrani, le caval-cate rituali e le processioni religiose, quando i seggi diventavano il ful-cro di tali cortei, grazie anche alla loro stessa conformazione capace dievocare quella di apparati celebrativi effimeri.

L’istituzione si autorappresentava nell’edificio; questo a sua voltaaveva il compito di riassumere la circoscrizione urbana o la città, men-tre il gruppo sociale che ne faceva parte sussumeva la totalità dellapopolazione urbana. L’essenza dei seggi potrebbe essere definita, in ul -tima analisi, proprio nella capacità di figurare il tutto attraverso la sin-gola parte. Un significato che diventa ancora più chiaro quando si os -ser va da vicino il rapporto dei seggi con la storia, tema analizzato nel-l’ultimo capitolo. Il primo livello di questo dialogo con il passato siespli cava nel massicico ricorso al reimpiego di spolia. Nei seggi del l’Ita -lia meridionale tale uso si prolunga ben oltre il medioevo, come dimo-strato dal progetto del 1569 per il seggio di San Luigi ad Aversa. Colon -ne, capitelli e talvolta semplici blocchi di marmo sembravano poter tra-smettere un’aura di prestigio e una maggiore autorevolezza anche ai

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seggi e all’istituzione che vi aveva sede. In alcuni casi, come nel seggiodi San Matteo a Sessa, questi elementi erano usati con grande consape-volezza per riproporre anche le logiche compositive dell’architetturaantica, quale la volta a crociera impostata su colonne angolari. A Sapo -nara, invece, era l’intero arco di ingresso al seggio a essere formato daiconci della porta urbica dell’antica e distrutta città romana di Grumen -tum, a ribadire orgogliosamente la continuità fra il vecchio centro equello nuovo sorto poco distante. I seggi accoglievano poi an che altrireperti dalla potente carica evocativa, come le statue del Nilo e di Par -the nope e il rilievo raffigurante Orione, esposti rispettivemente pressoi seggi napoletani di Nido, Capuana e Porto, il frammento egizio collo-cato davanti al seggio di Dominova a Sorrento o, ancora più emblema-tica, la gigantesca statua bronzea detta “Colosso” posta all’ingresso delseggio del Popolo di Barletta.

Questo vasto apparato di segni testimoniava del passato glorioso del-la città, dando corpo alle parole di quei testi che ricordavano i momen-ti significativi per la storia cittadina e per le famiglie del ceto dirigente.Proprio come le cronache municipali e familiari – i cui autori, del resto,provenivano in massima parte proprio dalle fila del patriziato urbano –anche i seggi erano una sorta di narrazione 28. In entrambi i casi le tema-tiche prevalenti erano il mito delle origini, greco-romane o italiche, ilmarchio glorioso impresso alla patria dal passaggio di martiri e santi, lafedeltà al sovrano e alla famiglia regnante. L’intermittenza fra la storiascritta sulle pagine dei libri e quella raccontata dalle strutture materialidei seggi emerge ancora dai componimenti che ne cantavano le lodi,come l’epigramma scritto per il restauro del Colosso di Barletta nel 1491e l’elegia tardocinquecentesca dedicata al seggio napoletano diCapuana, dove le storie delle singole famiglie che ne facevano parte siintrecciano con quella della stessa città, fino a risalire indietro nel tem-po al mito dell’eroe troiano Capys. L’origine autoctona e lontana neltempo era un requisito irrinunciabile per la legittimazione del ruolopreminente delle famiglie dell’élite cittadina ed era strumentalmenteostentata per ribadire le ragioni della propria egemonia. Per questo, frale molte antichità esposte nei seggi, un rilievo particolare lo avevano leepigrafi che tanto attiravano l’interesse di Fra Giocondo e che, al pre-stigio emanante dal frammento antico, aggiungevano anche il vantaggiodi offrire un testo scritto che poteva documentare l’importanza dellacittà sin dal più remoto passato. In alcuni casi la quantità di oggetti anti-chi esposti pubblicamente nei seggi finiva col configurare vere e proprie

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piccole collezioni antiquarie 29. Accanto alle antichità trovavano postoanche sculture medievali, iscrizioni celebrative moderne e ancora stem-mi dei sovrani, della città, talvolta quello del seggio e più di frequentequelli delle famiglie che ne facevano parte. Così come il singolo fram-mento evocava di per se stesso l’intero, l’accostamento di più frammentidiversi, antichi, medievali e moderni, poteva ricostituire per immaginila totalità della storia cittadina.

NOTE

1 Boccaccio (ed. Pernicone) 1939, cap. V, pp. 92-93.2 Descrittione de la cità e governo di Napoli, (Modena, Archivio di Stato, Cancelleria duca-

le, Documenti di Stati e città, busta 25), in Dispacci sforzeschi (ed. Senatore 1997), p. 4. Il bra-no era stato edito con una trascrizione leggermente diversa e altra attribuzione in Fouchard1877, e quindi citato da Schipa 1908, p. 172; Croce 1920, p. 19.

3 Mommsen 1883; Ziebarth 1905; Pagliara 2001.4 CIL, X, 4190 «Capuae apud sessionem Antonianam»; CIL, X, 4425 «Capuae, apud ses-

sionem Olivae».5 CIL, X, 4744; CIL, X, 4748; CIL, X, 4756.6 CIL, X, 1484 «Neapoli in sessione Montanae»; CIL, X, 1799 «Neapoli, apud sessionem

Capuanam»; CIL, X, 2861 «in sessione Capuana apud domum comitis Sancti Angeli»; CIL,X, 717b «Neapoli in sessione Portuensi apud d. Robertum Bonifacium»; CIL, X, 2813 «Nea -poli in aede Sancti Angeli ad signum apud sessionem Montium»; CIL, X, 2814 «Neapoli insessione Nidi in S. Nicolao domus Brancatiorum»; CIL, X, 2764 «Neapoli in S. Andrea ses-sionis Nidi».

7 Erano collocate in palazzi le iscrizioni CIL, X, 717b e CIL, X, 2861, mentre si trovava-no in chiese e cappelle le iscrizioni CIL, X, 2764; CIL, X, 2813; CIL, X, 2814 .

8 Bartolomeo Facio, raccontando il passaggio del corteo trionfale di Alfonso il Magnanimoper le vie e i seggi di Napoli nel 1443 scriveva: «hoc modo laetis salutantium, et congratu-lantium vocibus, omnes urbanas sessiones, curru triumphans, praetervectus est. Nanqueomnis Neapolitana nobilitas, quae longe clarior, et potentior olim fuit, in quinque illustressessiones sive consessus appelare quis malit, divisa est. Erant enim hae sessiones, tum pul-cherrimis aulaeisque, pictisque stragulis ornatae, tum cultissimarum virginum, et nuptarumchoris ornatiores»; cfr. Facio 1560, pp. 186-187. Uno spoglio delle ricorrenze della parolaseggio nella letteratura del primo Trecento è in Petrucci 1993, pp. 45-46, 53.

9 Pape (1880) 1914, I, p. 1229, ad vocem: «θῶκος, ὁ, = ϑᾶκος, der Sitz; Hom.; Pind. P. 11,6; Sitzung, Sitz im Rath u. in der Volksversammlung; Od. 2, 26. 15, 468; ϑῶκόνδε, zurSitzung, Od. 5, 3; ϑῶκοι ἀμπαυστήριοιHer. 1, 181. – Der Sessel, Her. 9, 84. – Auch Tragg.,ἵνα μαντεῖα ϑῶκός τ‘ ἔστι Θεσπρωτοῦ Διός Aesch. Prom. 833. – Ep. auch gedehnt ϑόωκος,Od. 2, 26. 12, 318». Cfr. anche Autenrieth 1895, p. 141, ad vocem: «θῶκος and θόωκος (Att.θᾶκος) seat, Od. 2.14; assembly, Od. 2.26.—θῶκόνδε, to the assembly».

10 Santangelo 2013, p. 291. Cfr. anche infra, Appendice I.49, 83.11 De Franchis 1586, Decisio 2, n. 7, f. 7v; cfr. Tutini 1644, p. 35.12 CIL, X, 3978; CIL, X, 4150; CIL, X, 4174; CIL, X, 4249; CIL, X, 4344; CIL, X, 4411.

Per la derivazione dell’anonimo Rediano dalla perduta silloge di Behem, cfr. Ziebarth 1905.13 In un documento del 1343 si parla del «theatrum sive toccum Nidi»; cfr. Summonte

1601, I, p. 204. In uno del 1423 del «theatrum seu sedile» di Somma Piazza; cfr. Tutini 1644,p. 36. Per un quadro più articolato delle fonti, cfr. Schipa 1908, passim, e Santangelo 2013.

14 Panormita 1538, pp. 236-237. Il passo è poi trascritto anche da Summonte 1601, I,

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p. 205 e da Tutini 1644, p. 36.15 I confini dei distretti corrispondenti a ogni singolo seggio nobile di età moderna sono

descritti in Summonte 1601, I, pp. 152-153, e più dettagliatamente in De Pietri 1634, pp. 78-84 e Tutini 1644, pp. 135-136.

16 Vitruvio (ed. Giocondo) 1511, f. 12r. Cfr. Pagliara 2001, p. 329.17 Sulla platea augustale, e in generale sulle Plateae di Neapolis, cfr. Summonte 1601, I, pp.

52-53; Tutini 1644, p. 25; Beloch 1879, pp. 66-70; Capasso 1895, pp. 34-65; Capasso 1905,pp. 5-6, 157-158 nota 17; Greco 1986. Sull’accezione del termine platea, cfr. anche le consi-derazioni su Salerno in Delogu 1977, pp. 121-123.

18 Freccia (1554), 1579, III.34, ff. 465-466: «alii plateas quae nunc sedilia appellantur,exprimebat antiquitus, de quibus pleniuor est mentio in regestis regum... ». Summonte 1601,I, p. 205: «furono similmente questi seggi detti piazze, per esserno unioni d’huomini di quel-la piazza, e contrada [...] e così hora son più spesso denominati, perché quando si congre-gano i Nobili dicono far piazza, e son detti gentil’huomini di Piazza». Qualche decenniodopo Tutini 1644, p. 37, scriveva che «il nome di Seggio alla Piazza si considera come spe-cie al genere, onde si può dire, è Seggio dunque è Piazza, perche è una parte di essa; doveconvengono i Nobili, che dimorano in quella Piazza. Ma non vale il dire è Piazza dunque èSeggio, perche nella piazza si comprendono i Nobili, che sono fuori del Seggio, e Cittadini,che habitano in quella piazza».

19 Leone 1514, lib. II, cap. X, f. 30r, ad esempio, scriveva di preferire la parola portico perdefinire il seggio di Nola: «In media urbe tethreda quaedam extat, quod Segium vocatur asedendo. Mihi vero non tethredam hexedramve, sed porticum liceat appellare»; cfr. infra,Appendice II.3. A fine Cinquecento l’erudito napoletano Fabio Giordano, nelle sue mano-scritte Historie Neapolitane, tracciava una genealogia dei seggi che partiva dai criptoporticidi epoca romana, aggiungendo: «Ab is igitur sessionibus civiumque conventu (quas ob id etTheatra dictas eas Porticus reperimus) nostra Sedilia originem nomnque traxere»; cit. daSchipa 1906, p. 98. Marco Antonio Sorgente 1597, p. 102, identificava invece l’origine delseggio di Montagna dai portici che in antichità avrebbero circondato il vicino teatro roma-no «et hinc patet quare longus ille porticum tractus ad sedile Montanae fuerit constitutus;nempe, ut qui in theatrum ibant, haberent ubi deambularent, vel priusquam ludi incipiren-tur, vel iam finistis».

20 Croce 1920, p. 17.21 Strazzullo 1978; Strazzullo 1994; Hills 2012.22 Appena dopo il versamento, si trovavano nel Grande Archivio 191 volumi contenenti

atti dei seggi napoletani di Nido, Capuana, Portanuova e Montagna, del Tribunale di SanLorenzo, e dei seggi di Sorrento, di Pozzuoli e di Lettere; cfr. Trinchera 1872, pp. 415-421;Capasso 1876, pp. IX-X, 25-26. Per la distruzione di tale fondo, cfr. Gentile, Donsì Gentile1986, pp. 11, 110, 142. Sono ancora conservati i volumi relativi a Sorrento; cfr. Cuomo 2004,p. 56. I documenti prodotti dal seggio di Teggiano sono conservati presso l’archivio privatodella famiglia Carrano; cfr. Didier 1982, p. 938. Più fortunati i casi dei seggi di Salerno eTrani, i cui documenti sono stati pubblicati rispettivamente da Abignente (1886) 1930 e daBeltrani, Sarlo 1881.

23 Bacco 1609; Pacichelli 1703; Sacco 1795-1799; Giustiniani 1797-1805.24 I sopralluoghi, iniziati nel 2011 e proseguiti fino ad oggi, rientrano nell’ambito del più

ampio progetto ERC/HistAntArtSI (www.histantartsi.eu), intrapreso sotto la direzione diBianca de Divitiis con lo scopo di indagare da nuove prospettive il ruolo della memoria sto-rica, della cultura antiquaria e della committenza artistica nella definizione dell’identità civi-ca nelle città dell’Italia meridionale tra medioevo ed età moderna.

25 Per esempio a Brienza, Cancellara, Caulonia, Corato, Grotteria, Moliterno, Novi Velia,Rende, Tarsia, Vietri di Potenza. Cfr. infra, premessa all’Appendice I.

26 A Sarno le assemblee dei nobili si svolgevano nella sagrestia della cattedrale; cfr. Franco2004; Franco 2008. A Vibo Valentia il seggio nobile aveva sede nella chiesa di Santa Mariadel Gesù; cfr. Bisogni 1710, pp. 273, 296; infra, Appendice I.63.

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27 Croce 1920, p. 17. La sala chiusa serviva spesso anche per conservare le scritture del seg-gio. Lo statuto del seggio di Porto a Napoli, redatto nel 1526, menziona la presenza di libri,cosa che suggerisce la presenza di una sorta di archivio; cfr. Muto 2012, p. 218 nota 13.Quest’uso è attestato anche a Lecce; cfr. Infantino 1634, pp. 112-113.

28 Per le storie cittadine e familiari dell’Italia meridionale, cfr.Musi 2004; Lerra 2004. Perquanto riguarda la Calabria, ad esempio, un recente censimento delle cronache cittadinecomposte fra il XVI e il XVII secolo ha rilevato che nell’80% dei casi gli autori degli autoriappartenevano alla nobiltà di seggio; cfr. Campennì 2004, p. 71.

29 I primi risultati delle ricerche sulle antichià nei seggi dell’Italia meridionale sono statipubblicati in Lenzo 2014.

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Mappa dei seggi in Italia meridionale. I numeri rimandano alle schede dell’Appendice I

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