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LIBIDINOSA RECENSIO LA RECENSIONE DE IL TESTO DEI MORALIA In un passo famoso della Consolatio ad Apollonium (111 C-D), critican- do gli eccessi nel compianto anche per la morte prematura, l’autore argo- menta: nella prospettiva dell’eternità (pro;" to;n a[peiron ajforw'sin aijw'na), la differenza tra una vita umana breve e una lunga è insignificante; si pensi a quegli insetti del Mar Nero che si dice vivano un giorno solo e siano quindi giovani di mattina, adulti a mezzogiorno, vecchi la sera: non dovrebbero allora anche fra essi (se avessero un’anima razionale) suscitare com- pianto quelli che muoiono al mattino, e venire invece considerati piena- mente felici quanti, vivendo solo poche ore di più, arrivano a sera? Le parole in corsivo offrono solo una parafrasi indicativa, perché il testo qui non è sicuro. Una parte dei nostri manoscritti, incluso il Corpus Planudeum, ha il testo seguente, evidentemente difettoso: 1 Consolatio ad Apollonium 111 C-D ... oujci; kajkeivnwn h\n ei[per yuchv ti" ajnqrwpivnh kai; logismo;" eJkavstoi" tau'ta dhvpou g∆ a]n sunevpipten w{ste ta; nu'n pro; mevsou th'" hJmevra" ejkleiv- ponta qrhvnou" parevcein ...… fere P F v (= Y) Sembrano infatti mancare almeno un soggetto per h\n, un verbo go- vernato da ei[per, e un connettivo per collegare il seguente tau'ta ... a]n 1 Cfr. F. VENDRUSCOLO, La “recensione Q” dei “Moralia”: Plutarco edito da Demetrios Triklinios?, in “BollClass”, s. III, 12 (1992), pp. 59-106, in particolare p. 99.
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Libidinosa recensio. La “recensione Δ” e il testo dei Moralia, in Plutarco. Lingua e testo. Atti dell'XI Convegno Plutarcheo della IPS - Sezione italiana (Milano, 18-20 giugno

Feb 01, 2023

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Page 1: Libidinosa recensio. La “recensione Δ” e il testo dei Moralia, in Plutarco. Lingua e testo. Atti dell'XI Convegno Plutarcheo della IPS - Sezione italiana (Milano, 18-20 giugno

LIBIDINOSA RECENSIOLA “RECENSIONE D” E IL TESTO DEI MORALIA

In un passo famoso della Consolatio ad Apollonium (111 C-D), critican-do gli eccessi nel compianto anche per la morte prematura, l’autore argo-menta: nella prospettiva dell’eternità (pro;" to;n a[peiron ajforw'sin aijw'na),la differenza tra una vita umana breve e una lunga è insignificante; sipensi a quegli insetti del Mar Nero che si dice vivano un giorno solo esiano quindi giovani di mattina, adulti a mezzogiorno, vecchi la sera: nondovrebbero allora anche fra essi (se avessero un’anima razionale) suscitare com-pianto quelli che muoiono al mattino, e venire invece considerati piena-mente felici quanti, vivendo solo poche ore di più, arrivano a sera?

Le parole in corsivo offrono solo una parafrasi indicativa, perché iltesto qui non è sicuro. Una parte dei nostri manoscritti, incluso il CorpusPlanudeum, ha il testo seguente, evidentemente difettoso:1

Consolatio ad Apollonium 111 C-D... oujci; kajkeivnwn h\n ei[per yuchv ti" ajnqrwpivnh kai; logismo;" eJkavstoi"tau'ta dhvpou g∆ a]n sunevpipten w{ste ta; nu'n pro; mevsou th'" hJmevra" ejkleiv-ponta qrhvnou" parevcein ...…

fere P F v (= Y)

Sembrano infatti mancare almeno un soggetto per h\n, un verbo go-vernato da ei[per, e un connettivo per collegare il seguente tau'ta ... a]n

1 Cfr. F. VENDRUSCOLO, La “recensione Q” dei “Moralia”: Plutarco edito da DemetriosTriklinios?, in “BollClass”, s. III, 12 (1992), pp. 59-106, in particolare p. 99.

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Fabio Vendruscolo

sunevpipten. Esattamente ciò che troviamo in più nel resto della tradizio-ne, costituita dal famoso Parisinus Graecus 1956 (D) e dalla sua famiglia:2

... oujci; kajkeivnwn h\n a]n to; kaq∆ hJma'" pavqo" tou'to, ei[per yuchv ti"ajnqrwpivnh kai; logismo;" eJkavstoi" ejnh'n, kai; taujta; dhvpou g∆ a]n sunevpip-ten, w{ste ta; pro; mevsh" th'" hJmevra" ejkleivponta qrhvnou" parevcein ...…

fere D Q (=D) (vulg. Hercher Bernardakis Babbitt)

Comprensibilmente è questa seconda la lezione accolta nelle edizionia stampa dall’Aldina fino a Bernardakis3 e Babbitt. Ma, a prescindereforse da una certa ripetitività del testo (h\n a]n to; kaq∆ hJma'" pavqo" tou'to /taujta; ... a]n sunevpipten) – il giudizio del resto è soggettivo – questa scel-ta ha un punto debole: presuppone da parte di Y una strana doppia omis-sione, priva di visibile motivazione.4

In effetti l’edizione Teubner del 1925,5 seguita dalla successiva BellesLettres,6 esperisce una soluzione diversa:

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2 In realtà in D si legge kajkei'na, e in Z u Par. 1815 B kajkeivnoi" (cfr. infra, n. 27)3 Con “Bernardakis” mi riferisco sempre, salvo diversa precisazione, anche alla

nuova editio maior PLUTARCHI Moralia, 2 voll., recognovit G.N. Bernardakis, editionemmaiorem curaverunt P.D. Bernardakis - H.G. Ingenkamp, Athenis 2008-2009 (si cita-no le due introduzioni con le abbreviazioni INGENKAMP, Praefatio I e INGENKAMP,Praefatio II).

4 Per un tentativo parziale di spiegazione cfr. INGENKAMP, Praefatio, I, p. 17*, cheperò mostra di riconoscere la difficoltà.

5 PLUTARCHUS, Moralia, I, edd. W.R. Paton - I. Wegehaupt - M. Pohlenz, Lipsiae1925; una seconda edizione con Addenda et corrigenda di H. Gärtner è del 1974 (si faràriferimento all’introduzione con l’indicazione POHLENZ, Praefatio).

6 PLUTARQUE, Œuvres morales, II, éds. J. Defradas - J. Hani - R. Klaerr, Paris 1985;anche se la traduzione di Hani (p. 64) riflette il testo di D Q B e ignora la virgola primadi eJkavstoi": «n’éprouveraient-ils pas, eux aussi, les mêmes sentiments que nous, s’ils avaientchacun une âme et une raison semblables à celles de l’homme, et leur situation ne serait-elle pas évidemment la même …» (corsivi miei). Si noti che eJkavstoi", al plurale nondovrebbe riferirsi a quanto precede (così anche Babbitt [cit. infra, n. 25]: «if each of themhad within him …»), ma ai due gruppi distinti subito dopo («agli uni e agli altri, rispet-tivamente»; cfr. LSJ s.v.), ta; (o ta; me;n se così va corretto il ta; nu'n di Y) ... ejkleivponta ...ta; de; dihmereuvsanta. Con taujta; si intenderebbe “la stessa cosa (che succede per gli esse-ri umani)”; ma anche tau'ta di Y non è impossibile: cfr. KG I, p. 659 d) (dimostrativo“preparatorio”) e II, p. 13 A. 11 (givgnesqai, sumpivptein w{ste).

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Libidinosa recensio. La “recensione D” e il testo dei Moralia

... oujci; kajkeivnwn ei[per h\n yuchv ti" ajnqrwpivnh kai; logismov", eJkavstoi"taujta; dhvpou g∆ a]n sunevpipten, w{ste ta; pro; mesouvsh" th'" hJmevra" ejkleiv-ponta qrhvnou" parevcein ...…

corr. Paton (Hani)

Scartando il testo sicuramente accettabile di D, Paton riparte da quel-lo corrotto di Y e lo riconduce mediante una correzione, sia pur minima(la trasposizione h\n ei[per > ei[per h\n), a un dettato soddisfacente. Il pro-cedimento può sembrare arbitrario e contorto,7 ma ha una sua logica.Esso presuppone, evidentemente, che il testo di Y, offuscato da un pic-colo ma insidioso errore casuale (h\n ei[per) si trovasse già in un antenatocomune a Y e D, e che poi l’uno lo abbia tramandato intatto malgrado lasua problematicità, l’altro lo abbia emendato a suo modo, con un inter-vento molto più invasivo di quello di Paton, supplendo con disinvolturatutti gli elementi che sembravano mancare.

Il iudicium dell’editore non può qui accontentarsi di paragonare i testi(ad es. quello di Bernardakis e quello di Paton) e scegliere quello cheintrinsecamente appare “migliore”. La scelta più probabile (di questo sitratta) è quella capace di spiegare la situazione tradizionale nel suo comples-so nel modo più plausibile ed “economico”. Ora, di per sé, ipotizzareun’innovazione volontaria di questo tipo da parte di un copista non è par-ticolarmente economico. Ma la cosa cambia, se in una determinata tradi-zione – come avviene appunto per D (o D) – i casi spiegabili con un talecomportamento si moltiplicano e in alcuni di essi l’innovazione intenzio-nale è praticamente sicura. Vediamo per ora solo un altro paio di sempli-ci esempi di quest’ultimo tipo, ragionando anche qui in base a soli crite-ri interni, prescindendo cioè per ora da ogni eventuale considerazione stemmatica.

De audiendis poetis 29 Ftou' de; poihtou' levgonto" o{ti to;n Ai[anta meta; tw'n o{plwn ejpiovnta lam-pro;n oiJ me;n ”Ellhne" e[cairon oJrw'nte" ...

meta; om. SD ejpiovnta X3 coni. Wyttenbach (edd.*) : poiouvntwn D (BernardakisBabbitt) : eijpovnta cett. : fanevnta Ald. vulg.

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7 Infatti, dal punto di vista di INGENKAMP, Praefatio I, p. 16*: «Ne D sequeretur, Patontransposuit h\n et ei[per, ut omissis verbis ejnh'n kai; scriberet haec: …» (corsivi miei).

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Fabio Vendruscolo

Omero descrive i sentimenti degli opposti schieramenti all’avanzarsidi Aiace verso Ettore per affrontarlo in duello. Il genitivo assoluto di Dto;n Ai[anta tw'n o{plwn poiouvntwn lampro;n è accettabile (anche se un po’goffo) ed è stato accolto da alcuni editori, a preferenza dell’altra lezionetràdita eijpovnta, priva di senso. Ma la situazione complessiva della tradizio-ne si spiega molto meglio ipotizzando che quella di D sia una congettura(non priva, si noti, di una sua plausibilità paleografica) a fronte dell’assur-do to;n Ai[anta tw'n o{plwn eijpovnta lampro;n prodottosi in questa tradizio-ne a seguito dell’ulteriore caduta casuale di meta;. Il ritocco di una manocorrettrice del Marc. Gr. 250 (ejpiovnta per eijpovnta), pensato anche daWyttenbach, sana evidentemente il testo in modo ineccepibile.8

Consolatio ad Apollonium 104 B (EUR. fr. 415)kuvklo" ga;r auJto;" karpivmoi" te gh'" futoi'"qnhtw'n te genea'/. toi'" me;n au[xetai bivo" ...

qnhtw'n te genea'/ Stob. (vulg. edd.*) : qnhtw'n genea'" Y : gevnei brotw'n te D(unus Bernardakis) : gevnea'" qnhtw'n (sic) Q

Dice Euripide – con illustri precedenti – che sono simili il “ciclo”delle piante e quello della stirpe umana. La lezione di Y è metricamentee grammaticalmente difettosa, quella di D, molto diversa, irreprensibilesecondo entrambi i criteri. Ma il fortunato riscontro con Stobeo confer-ma che la prima è frutto essenzialmente di un errore meccanico, all’ap-parenza antico (caduta di TE dinanzi a GE), la seconda quasi certamentedi una competente ma troppo disinvolta congettura.9

Che nella complessa tradizione dei Moralia, testo più di altri diffici-le e mal trasmesso, giochi un ruolo, oltre alla contaminazione, anche l’in-clinazione di dotti copisti e lettori a cercar di correggere o migliorare,con interventi anche violenti, è una sensazione con cui i filologi convivo-no da tempo, come si dirà. Anche se una più serena prospettiva storica ciconsente oggi di inquadrare il fenomeno in termini più equanimi, rispet-

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8 È fra i casi di interpolazione in D evidenziati dallo stesso INGENKAMP, Praefatio,I, pp. 7*-8*; nell’edizione la lezione di D figura comunque a testo, con un segno di rin-vio alla Praefatio in apparato.

9 Cfr. VENDRUSCOLO, La “recensione Q”, p. 101, anche per i dettagli della varia lec-tio. Noto che la scelta di Bernardakis a favore di D (contro lo stesso Hercher) è mante-nuta nella nuova editio maior anche in questo caso, a mio parere “estremo”.

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Libidinosa recensio. La “recensione D” e il testo dei Moralia

to alla tradizionale esecrazione delle “foedae interpolationes”, “adulteri-nae lectiones” e simili.

In particolare, le lezioni peculiari e i sospetti “rimaneggiamenti” o “ri-scritture” (refecit, rescripsit negli apparati) del codice D (o della cosiddetta“recensione D”) sono l’oggetto di una lunga disputa di un certo rilievo perla storia, ma anche per la prassi dell’ecdotica degli opuscoli plutarchei. Lanotorietà del codice D si lega infatti principalmente alla scelta dichiarata diGregorios N. Bernardakis di eleggerlo a “guida” della sua edizione teubne-riana dei Moralia (1888-1896), e alle polemiche con cui quell’edizione fuaccolta e che affrettarono la sua (progressiva) “sostituzione”. Ma l’eccellen-za del testo di Bernardakis e la validità della sua impostazione ecdotica sonostate ora vigorosamente rivendicate da Heinz Gerd Ingenkamp, che ha conaltrettanta energia intrapreso, insieme a Panagiotes D. Bernardakis, la pub-blicazione della editio maior a suo tempo progettata dallo studioso greco, dicui salutiamo in questi giorni l’uscita del secondo volume.10 Da ciòl’“attualità” del tema, che giustamente gli organizzatori hanno ritenutodovesse figurare nel programma del convegno.

Il Parisinus Graecus 1956 è un codice membranaceo di medio forma-to attribuibile alla metà dell’XI secolo, che, nella sua configurazione ori-ginaria (attualmente turbata da dislocazioni e lacune), conteneva Moralia1-21 (con l’omissione di 20), 22, 68-69: ossia solo i cosiddetti hjqikav +la Consolatio ad Apollonium + i due dialoghi delfici che chiudono il CorpusPlanudeum.11 Ereditati dal suo modello (in quanto qui di mano del copi-sta) sono alcuni insoliti marginalia in dodecasillabi bizantini, che rivela-no un lettore sensibile all’integrità e alla correttezza del testo: ad es. (f.136v) feu' pou' to; lei'pon toi'" lovgoi" zhthtevon; (f. 148r) tiv" a]n to; loipo;neu\ katartivseie moi; Il codice approdò in Francia con il cardinaleMazzarino solo nel 1634, e alla Bibliothèque du Roy nel 1668.12

A Wyttenbach, primo editore a utilizzare D (sigla che gli assegnòegli stesso), il suo apporto all’emendazione del textus receptus doveva esse-re apparso, come appare a chi utilizza la sua edizione, piuttosto rilevan-

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10 Cfr. supra, n. 3.11 Per la relazione con la sequenza degli opuscoli nel Corpus Planudeum, cfr. F.

VENDRUSCOLO, L’edizione planudea della “Consolatio ad Apollonium” e le sue fonti, in“BollClass”, s. III, 15 (1994), pp. 29-85, in particolare p. 56.

12 Basti ora rinviare a S. MARTINELLI TEMPESTA, Studi sulla tradizione testuale del “Detranquillitate animi”, Firenze 2006, pp. 78-79.

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te; e questo benché un buon numero di lezioni (che oggi sappiamo) pecu-liari di questa tradizione fossero già insediate, talora fin dall’Aldina, neltesto della vulgata.13 Ma già il filologo olandese, pur accogliendo a testoparecchie lezioni (che lui riteneva) proprie del solo «probatissimus codexD.», spesso a conferma di precedenti congetture,14 in molti casi “nonaveva osato” adottarne le varianti, sospettando potesse trattarsi di secon-dari “interpretamenta”.15

Più esplicitamente, sulla stessa linea, Friedrich Dübner, nella Prae-fatio dell’edizione Firmin-Didot del 1839, aveva attribuito a D, da unaparte, numerose lezioni autentiche senza dubbio risalenti a Plutarco(«multas servavit sinceras scripturas et sine dubio a Plutarcho profec-tas»), dall’altra, molti «apertissima […] audacis interpolationis specimi-na», che egli si era guardato bene dal recepire, attenendosi a suo dire allavulgata in tutti i casi dubbi o sospetti.16

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13 Ciò, per tramite di codici Q (cfr. infra, n. 27); b infatti fu tra le fonti (diret-te o meno) dell’Aldina (cfr. F. VENDRUSCOLO, La “Consolatio ad Apollonium” fraMistrà(?) e Padova: apografi quattrocenteschi del Bruxellensis 18967 (b), in “BollClass”,s. III, 17 (1996), pp. 3-35:, in particolare pp. 29-35), e Z fu sicuramente consulta-to nel ’500 alla ricerca di varianti (cfr. MARTINELLI TEMPESTA, Studi, in part. pp. 181,213-14).

14 Cfr. PLUTARCHI CHAERONENSIS Moralia, I.1, ed. D. Wyttenbach, Oxonii 1795,p. 42; do alcuni pochi esempi tratti dal’inizio del corpus: p. 83 (22 D) «th;n Tuvchn]Sumpsi ex uno D. ut iam Krebsius correxerat. Vulgo, male: th;n yuchvn»; p. 96 (26 A)«tina" eujprepei'"] Sic unus D. Vulgo ta;" eujprepei'"»; p. 98 (26 B) «proshkovntw"] Dediex D Pol. Jannot. Vulc. Mez. Vulgo prosh'kon»; p. 106 (28 D) «ejptoh'sqai] sic recteSteph. ex Jannot. nec excerpta mea codicis D. dissentiunt. Vulgo pepoih'sqai»; p. 135(36 C) «katergasavsqw mutavi in katergavsasqai cum D. [revera?] Jannot. Mez.»; p.136 (36 E) «oi|on] D. Vulgo kaqavper», ecc.

15 Cfr. ad es. Moralia, I.1, ed. Wyttenbach, p. 47 (13 E) «prosorgisqevnta"] D.codex quamvis bonus pro;" kairo;n ojrgisqevnta" quod tamen haud scio an sit interpre-tamentum vulgatae»; p. 87 (23 D) «kakomhcana'sqai] Non ausus sum contra reliquo-rum librorum consensum mutare in kaka; mhcana'sqai quod habet D. et Mosc. 2. a cor-rectore, et Reiskio placuerat»; p. 111 (29 F) «fanevnta] Sic Ald. […]. Aliter item D.Ai[anta poiouvntwn tw'n o{plwn lamprovn [sic] […] Suspicor veram scripturam ejpiovntalatere in eijpovnta» (cfr. supra nel testo).

16 Cfr. PLUTARCHI Scripta moralia, 2 voll., ed. F. Dübner, Parisiis 1839 (19412), I,p. 4; peraltro, con riferimento al minimo specimen dei passi citati nelle due note prece-denti, Dübner accetta tutte le lezioni di D messe a testo da Wyttenbach e in più anchequella di 23 D, che Wyttenbach “non aveva osato” recepire.

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Libidinosa recensio. La “recensione D” e il testo dei Moralia

Contro queste diffidenze, Rudolf Hercher, come afferma in limine alprimo (e rimasto unico) volume della sua edizione (1872), attinge invecesistematicamente a D «opem auxiliumque» per la costituzione del testo,accogliendone numerose nuove lezioni peculiari.17 E sulla scia di questi,assumendosi dopo la sua prematura scomparsa (1878), il gravoso compitodi riprendere e portare a termine da solo i Moralia per l’editore Teubner, sipone appunto Bernardakis. Facendo anzi un passo in più, egli adotta aper-tamente D come “certissimus dux”, come punto di riferimento costante perla costituzione del testo (ovviamente per quella parte, minoritaria maimportante, del corpus che esso copre).18 Il fatto (ampiamente documentatonei suoi prolegomena) che D abbia da offrire così numerose lezioni peculiaripotenzialmente superiori a quelle note degli altri codici porta infattiBernardakis a ritenerlo l’unico vettore superstite di una tradizione più cor-retta e meno interpolata, e a contrapporlo a tutti gli altri, visti come unamassa unica (“ceteri”, “vulgata”), in una rappresentazione ipotetica che sur-roga la non effettuata recensio.19 E anche quando, dopo l’uscita dei primivolumi, Larsen e Paton cercarono di mostrare che fra quelle lezioni superio-ri ce n’erano almeno alcune che si spiegavano meglio come tentativi diemendare o di rendere più leggibile un testo corrotto, e che quindi eraimprudente affidarsi troppo a D,20 Bernardakis rispose duramente, in unapposito articolo, dimostrandosi impermeabile a questi sospetti che consi-derava arbitrari sofismi («nam simplicia et facilia sordent»), ribadendo l’ec-cellenza del Parisinus e difendendo una per una le sue lezioni, sostanzial-mente sulla base della loro, a suo giudizio, manifesta superiorità.21

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17 Cfr. PLUTARCHI CHAERONENSIS Moralia, ed. R. Hercher, Lipsiae 1872, I, p. V; ades., oltre a tutte le lezioni di D citate in n. 14, Hercher accoglie a testo anche tutte quel-le di n. 15, a eccezione dell’ultima (cfr. supra, p. 145).

18 Cfr. PLUTARCHI CHAERONENSIS Moralia, 7 voll., ed. G.N. Bernardakis, Lipsiae1888, I, p. XIX.

19 Cfr. soprattutto G.N. BERNARDAKIS, De Plutarchi Moralium codicibus praecipuequede codice Parisino D. n. 1956, in “Mnemosyne” 24 (1896), pp. 377-96, in particolare p.396: «nisi hic codex fuisset, Plutarchi scripta Ethica plurimis et lacunis et interpreta-mentis foedissimis laborarent. Unus codex D salvus et incolumis, quantum quidemfieri poterat, ex gurgite illo vasto, quo fratres et parentes demersi sunt, evasit».

20 C.S. LARSEN, Studia critica in Plutarchi “Moralia”, Hauniae 1889, pp. 7-11; W.R.PATON (ed.), The Treatise of Plutarch “De cupiditate divitiarum”, London 1896 (che non hopotuto consultare direttamente).

21 BERNARDAKIS, De Plutarchi Moralium codicibus, p. 378.

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Fabio Vendruscolo

Probabilmente Bernardakis, non senza un certo orgoglio “bédieriano”ante litteram, vedeva anche l’affidarsi alla guida di un codex optimus con-cretamente esistente, accuratamente selezionato e direttamente conosciu-to, un progresso metodologico, una soluzione più trasparente e linearerispetto all’incerto oscillare degli editori precedenti fra ossequio alla vul-gata e ricorso a congetture e lezioni di varia provenienza, per lo più attin-te a farraginose raccolte altrui.22 E forse la sua avrebbe potuto essere unadiscutibile ma ragionevole soluzione empirica, per le sue sole forze;23 nési può escludere che qualche decennio prima (o dopo) l’edizione avrebbepotuto trovare più sostenitori. Ma in una temperie filologica, specie inGermania, ormai pienamente “lachmanniana”, l’editio minor di Bernar-dakis, senza una vera recensio (che andasse oltre le pur meritorie esplora-zioni preliminari di Max Treu), e con un apparato critico quasi muto suimanoscritti, nasceva tecnicamente inadeguata ai tempi. Che fosserodovute a insufficiente consapevolezza, a precoce scetticismo anti-metodi-co o a oggettiva impossibilità di fare altrimenti, le scelte ecdotiche diBernardakis, provocarono le critiche, fra gli altri, di Wilamowitz, cheinnescarono la nota, violenta quanto sterile polemica personale.

Più produttivo fu l’impulso dato da Wilamowitz all’indagine siste-matica sulla tradizione manoscritta dei Moralia. Ma ci vollero alcunidecenni (anche a causa di travagliate vicende), e il contributo di diversistudiosi perché potesse apparire, nel 1925, il primo volume (l’ultimo èstato pubblicato addirittura nel 1978) di una edizione dei Moralia criti-camente fondata e dall’apparato adeguatamente informativo.24 Non èmio compito, né ne avrei la competenza, valutare se complessivamente iltesto plutarcheo della nuova teubneriana rappresenti un progresso oinvece un peggioramento (come asseriscono per esempio Babbitt e oraIngenkamp)25 rispetto a quello della precedente. Quello che ci interessa

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22 Si veda l’insistenza su questo punto in BERNARDAKIS, De Plutarchi Moralium codi-cibus, p. 378.

23 Cfr. ivi, e H.G. INGENKAMP, “Malim”, Asteriskus und Fragezeichen. Einige Worte zurVerteidigung und zum Lobe von Gregorios N. Bernardakis, in “Ploutarchos” 3 (2005/2006),pp. 103-26, in particolare pp. 109-10, 119-20.

24 Cfr. supra, n. 5.25 Anche se le ragioni non sembrano identiche: cfr. PLUTARCH’s Moralia, II, ed. F.C.

Babbitt, Cambridge, Mass. - London 1928, p. VIII: «But the text itself, as finally consti-tuted, is inferior to that of Bernardakis or of Wyttenbach. […] The editors seem too

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Libidinosa recensio. La “recensione D” e il testo dei Moralia

qui sono i risultati della recensio, finalmente affrontata, e le eventuali con-seguenze che ne derivino per l’utilizzo di D ai fini della constitutio textus.

Nella Praefatio di Pohlenz al primo volume, una sezione è dedicata allatradizione del corpus dei cosiddetti hjqikav (1-21 della numerazione planu-dea). Anche se l’autore rinuncia a proporre uno stemma codicum (p. XXXII),dalle sue affermazioni si ricavano innanzitutto l’esistenza di un archetipo(secondo Pohlenz tardoantico) all’origine della tradizione superstite (pp.XXX-XXXI, XXXII) e la fondamentale bipartizione di quest’ultima in duerami (pp. XXXII-XXXIII); quindi, con riferimento al Parisinus D:

a) il suo inquadramento stemmatico (in base a numerosi errori comu-ni), all’interno di uno dei due rami, in una più ristretta famiglia (RShiD)26

risalente a un perduto antenato comune S (pp. XXX, XXXIII);b) la presenza in D di “interpolamenta”, che devono essere di età

bizantina in quanto presuppongono errori propri di S (p. XXXIV);c) la presenza in D e/o in Q – capostipite perduto di una famiglia di

codici del XIV secolo, che però attinge contemporaneamente lezioni ancheal testo planudeo (pp. XXXIV, XXXVI-XXXVII)27 – di lezioni peculiari, spes-so interpolate «summa cum libidine» ma talora «genuinae atque antiqui-tus traditae» che entrambi, indipendentemente uno dall’altro, avrebberoattinto a una perduta «recensio D» (pp. XXXIV-XXXV);

d) l’esistenza di significative coincidenze tra queste lezioni D e la tra-duzione siriaca del De cohibenda ira (risalente al VI secolo d.C.), che per-mette di pensare a una recensione tardoantica, approntata da un dotto“pochi secoli dopo Plutarco” (p. XXXV).

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much inclined to subjective emendation, to rewriting Plutarch so as to make him saywhat they think he ought to have said»; INGENKAMP, Praefatio I, p. 4*: «… hanc [i.e.editionem Lipsiensem] non raro ieiunam et mancam esse iudicabis. Quis enim est quinvideat editores Lipsienses opinione praeiudicata eaque praefracta de virtutibus codicumteneri et ab ea ne tum quidem desistere cum errores testium neglegi non possint?».

26 Nessuno di questi codici però contiene tutti gli hjqikav.27 Testimoni primari del testo Q sono, per gli hjqikav, Bruxell. 18967 (40) (b), Marc.

Gr. 511 (coll. 590) (Z) e, almeno per aud., Neap. III E 28 (350) (n); per altri opuscolisi aggiunge la seconda parte del Vat. Urb. Gr. 98 (u) e per cons. ad Apoll. il Par. Gr.1815; cfr. soprattutto B. HILLYARD, The Medieval Tradition of Plutarch, “De audiendo”, in“RHT” 7 (1977), pp. 1-56, in particolare pp. 36-45; VENDRUSCOLO, La “recensione Q”;MARTINELLI TEMPESTA, Studi, pp. 138-40, 145-51. L’Ambr. Q 89 sup. (689) (a), utiliz-zato dagli editori Teubner, è dimostrabilmente un descriptus di b; cfr. da ultimoMARTINELLI TEMPESTA, Studi, pp. 138-39. Cfr. infra, n. 34.

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Fabio Vendruscolo

Il quadro delle ipotesi, in sé non molto economico, è in effetti quasi“a somma zero” ai fini della constitutio textus. A parte forse i pochi casi incui la lezione isolata di D(Q) presuppone un errore specifico di S (puntob; cfr. l’omissione di meta; ad aud. poet. 29 F supra)28 ed è quindi stem-maticamente più “scoperta”, tutte le altre lezioni di qualsiasi tipo offerteda D(Q), ma anche solo da D (o solo da Q), possono infatti, in base a que-sta teoria, risalire all’antica recensione perduta ed essere accolte a testodall’editore come «genuinae atque antiquitus traditae». Ciò permettevaa Pohlenz di “salvare” come autentiche le numerose lezioni “giuste”, danessuno – neanche da Dübner – negate e spesso recepite già da secolinelle edizioni a stampa dei Moralia, che si erano confermate attestate soloda D(Q). Ma la dimostrazione dell’esistenza e l’individuazione delle asse-rite interpolazioni, restava di fatto affidata ai soli criteri interni, esempli-ficati all’inizio di questo contributo, e alla «summa [...] diffidentia atquecautio» raccomandata da Pohlenz (p. XXXV), esattamente come, peresempio, da Larsen trent’anni prima.

Per questo rispetto, avrebbe quindi ragione Ingenkamp a sostenereche le basi stemmatiche stabilite da Pohlenz sono fragili e soprattuttoinutili e a rivendicare un forte ruolo decisionale per il iudicium, «ac si illafundamenta iacta non sint».29 Anche se da ciò non seguirebbe che la pre-senza di innovazioni intenzionali in D(Q) sia una “illazione” basata suuna «petitio principii»,30 perché a indicarla, quella presenza, basta inmolti casi il solo confronto interno tra le varianti, come si è visto all’ini-zio. E il iudicium, anche in assenza di uno stemma, non può accontentar-si, come detto, di scegliere la lezione intrinsecamente migliore (o il codi-ce migliore), senza spiegare la sua relazione con le altre lezioni tràdite,specie ora che (a differenza che ai tempi di Bernardakis) il quadro dellavaria lectio può ritenersi completamente esplorato. Pena il rischio dicostruire davvero su basi effimere.

Personalmente peraltro non credo neanche che le basi stemmatiche sucui oggi possiamo costruire siano realmente così fragili o così inservibi-li. Dai tempi della Praefatio di Pohlenz, infatti, alcuni studi sulla tradi-

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28 E cfr. infra, n. 82 (454 A ta; ejpithvdeia).29 INGENKAMP, Praefatio I, p. 1*, con allusione al giudizio di Wilamowitz sull’edi-

zione di Bernardakis «fundamentum recensionis non esse iactum»; cfr. INGENKAMP,“Malim”, p. 104.

30 Così INGENKAMP, “Malim”, p. 112.

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zione completa di singoli opuscoli, condotti con tenacia e con l’apportodei nuovi strumenti storici, paleografici e codicologici, hanno mostrato,a mio parere, che, malgrado le interferenze e le complessità della trasmis-sione, è possibile delineare con una certa sicurezza il quadro della storiatestuale dei Moralia e tendenzialmente anche tracciare quegli stemmatacodicum cui Pohlenz aveva preferito rinunciare.31

A livello stemmatico, appunto, questi studi confermano, per quantoriguarda gli hjqikav (1-21), l’inquadramento di D all’interno di uno deidue rami (“B”) della tradizione e poi all’interno della famiglia S. Ma inpiù mostrano che lo stesso vale anche per Q, ossia che per spiegare il rap-porto fra D e Q non c’è alcuna necessità di pensare a una antica “fonte” cuientrambi attingevano. Il fatto che D e Q tra loro differiscano e che Qabbia in sostanza solo una parte delle lezioni D si spiega con la sistemati-ca contaminazione, non ipotizzata, si badi, ma quasi toccata con mano(specie nel caso di cons. ad Apoll.), con il Corpus Planudeum.32 D pertanto,se così vogliamo continuare a chiamarlo,33 può essere immaginato sen-z’altro come un ascendente prossimo di D e Q, un codice derivato da S(quindi verosimilmente medievale), quasi privo (o depurato) di veri epropri errori e arricchito di tutte le lezioni peculiari che caratterizzano ein parte accomunano i suoi discendenti.34 Il che rende assai più lineare eplausibile il quadro, e in particolare evita di ipotizzare, con Pohlenz, duedistinti momenti di “recensione” del testo (cfr. sopra: punti b e c) perspiegare fenomeni del tutto omogenei.

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31 Sono soprattutto i lavori di Hillyard, Martinelli Tempesta, Vendruscolo di cui siriassumeranno i risultati sotto nel testo. Cui si aggiunga almeno PLUTARCO, La curiosi-tà, a cura di L. Inglese, Napoli 1996, pp. 38, 52-54, 69-71.

32 Cfr. supra, n. 27. All’origine sembra esserci stato un codice affine a D (o forse unasua copia), fittamente postillato con le varianti planudee, che si distribuiscono e com-binano in modo vario e differenziato nei testimoni superstiti; cfr. VENDRUSCOLO, La“recensione Q”, pp. 72-77, 83-85, e HILLYARD, The Medieval Tradition, p. 42, sui compor-tamenti «perplexing» di n, che sembrano spiegabili nello stesso modo.

33 Cfr. HILLYARD, The Medieval Tradition, p. 4, n. 1: «I find it slightly misleadingthat the apparatus criticus [dell’edizione Teubner] uses D as DZba, after it has been sta-ted that D is a source from which D and Q take readings».

34 Ciò si intravede già nell’esempio di aud. poet. 29 F presentato supra (pp. 145-46),dove tanto l’errore condiviso con S quanto la congettura che cerca di porvi rimedio sonoin D, ossia anche in Q, e non solo in D come previsto dallo schema di Pohlenz (cfr. supra,p. 151).

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Rimossa quindi l’apparente necessità di ipotizzare una fonte perduta(“extrastemmatica”), le lezioni peculiari di D (negli hjqikav), per quanto“interessanti”, appaiono a tutti gli effetti come lectiones singulares, stem-maticamente isolate. Come spiegarne allora l’origine? Di nuovo la solu-zione più probabile è in linea di principio quella più economica. E sicco-me alcune di tali lezioni sono quasi certamente, come abbiamo vistoall’inizio, innovazioni volontarie, disinvolte, ma che dimostrano singola-ri qualità filologiche, l’ipotesi di lavoro degli studi più recenti, a partirein particolare da Hillyard, è che (a parte i rari errori “scribali”) esse sianotutte o quasi tutte – dalle più chiaramente arbitrarie alle più sicuramentegiuste – innovazioni volontarie. Che siano cioè congetture più o menoriuscite, che a questo punto è logico attribuire tutte a uno stesso ambien-te, e anzi tutte alla stessa persona, un “recensore”, probabilmente bizan-tino, collocabile al più tardi nell’XI/XII secolo, e da identificare forse conl’autore dei curiosi marginalia in dodecasillabi citati sopra (p. 147).

A ben guardare, in effetti, anche le numerose lezioni certamente opotenzialmente giuste di cui si è detto (Hillyard, come si vedrà, ne elencauna quarantina per il solo De audiendo) si rivelano tutte o quasi tutte possi-bili correzioni congetturali. Esaminando il materiale, si osserva infatti cheregolarmente sembra esservi sia la motivazione a congetturare (un “problema”nella lezione alternativa, che si ipotizza risalire all’archetipo), sia la possibi-lità, nel contesto, di trovare ex ingenio la soluzione offerta da D.35 Occorre,beninteso, immaginare un recensore colto, intelligente e talora brillante, masi tratta comunque di soluzioni attingibili e talora in effetti attinte (oltreche da altri copisti medievali) anche dai filologi moderni. È ipotesi da veri-ficare, certo, ma che la filologia più “storica” di oggi è evidentemente piùdisponibile ad ammettere rispetto a quella tedesca di inizio ’900,36 i cuipregiudizi non lasciavano altra scelta a Pohlenz se non ipotizzare una fonteantica, cui accreditare, oltre alle interpolazioni, le lezioni giuste.

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35 Cfr. infra, pp. 157-58. La sensazione è che manchino, o quasi, divergenze “imprevedi-bili”, come supplementi di lacune non percepibili, o varianti realmente adiafore o inspie-gabili quali, per esempio, quelle attestate da Stobeo: tranq. an. 466 A fauvlwn] blaberw'nStob., 466 B ei\ta rJa'/on] ajnomoiwvteron Stob. Ma ovviamente l’indagine va approfondita.

36 Ma in realtà cfr. già LARSEN, Studia critica, p. 8: «haud scio an etiam in iislocis, quibus solus [scil. D] genuina ac vera verba dare videtur, interdum magis feli-cibus coniecturis quam traditis scripturis diligenter servatis excellat» (si noti peròl’“i n t e r d u m” evidenziato dall’autore stesso).

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Ma naturalmente, per quanto dotto e acuto, un tale recensore bizantinonon avrebbe potuto avere gli scrupoli e la consapevolezza di un filologomoderno. È naturale pensare che abbastanza spesso egli avrebbe potutobanalizzare un testo solo apparentemente problematico o anomalo, o tenta-to di migliorare un testo accettabile, o, a fronte di lacune o di corruttelereali, sbrigliato la fantasia ben oltre il limite della verosimiglianza paleogra-fica. E ciò ovviamente sarebbe all’origine delle congetture innecessarie otroppo disinvolte, dei rifacimenti e delle riscritture di D, che sono stati ipo-tizzati e talora provati quasi al di là di ogni dubbio.

Se le cose stessero così, però, è evidente che ai fini della constitutio tex-tus, l’editore non sarebbe più legittimato ad adottare lezioni D di qualsia-si tipo. Dovrebbe vagliare ogni lezione peculiare (che non sia chiaramen-te erronea) di D(Q), alla stregua di una congettura moderna. Potrebbeaccoglierla se la giudica necessaria a emendare una corruttela e se essa rap-presenta la soluzione migliore e più plausibile (in termini di genesi dell’er-rore). Dovrebbe relegarla in apparato se, rispetto alla lezione concorren-te, appaia a ben vedere banalizzante o innecessaria, e comunque in tutti icasi in cui sia graficamente troppo distante dall’altra e quindi, come conget-tura, troppo poco probabile. E ripartirà invece di norma dalla lezioneconcorrente, in tali casi, per quanto problematica o corrotta, nel tentati-vo di comprendere o di restaurare in modo più plausibile il testo (si pensiagli esempi visti all’inizio).

Alla luce di tali rigorosi criteri, ci sarebbero ancora, a mio vedere, nellastessa edizione Teubner, malgrado la “diffidenza e cautela” raccomandate daPohlenz, numerose lezioni peculiari di D o D accolte faute de mieux a frontedi un testo gravemente corrotto nel resto della tradizione, che dovrebberoessere seriamente revocate in dubbio.37 Una linea quindi esattamente oppo-sta a quella adottata nel nuovo Bernardakis maior, che mira a riportare inauge molte lezioni di D, accolte a suo tempo dall’editore greco e accantona-te invece come interpolazioni dagli editori successivi.

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37 Un caso di un certo momento è, solo per fare un esempio, quello di coh. ira 456E, dove le fattezze testuali con cui è recepito nelle raccolte il fr. 158 di Saffo (cfr. ad es.SAPPHO et ALCAEUS, Fragmenta, ed. E.-M. Voigt, Amsterdam 1971, pp. 143-44) dipen-dono in misura determinante dall’accoglimento di aggiunte e varianti “molto peculia-ri” dovute ai soli D Q. Mentre, si noti, con riferimento al minimo specimen di nn. 14-15, Pohlenz in effetti scarta tre lezioni su sei (26 A, 26 B, 36 E) della prima lista (maaccoglie 23 D della seconda).

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L’ipotesi fatta, che tutte le lezioni peculiari di D siano congetture, hail pregio di spiegare i dati in modo lineare ed economico. Ma natural-mente una cosa è formularla, un’altra dimostrarla con sufficiente forza diconvinzione. Soprattutto perché le opinioni possono divergere sensibil-mente non solo su quale sia la lezione giusta, ma anche su che cosa siacongetturabile e che cosa no. E c’è in effetti il rischio che pesino sullavalutazione del singolo caso orientamenti “a priori” dello studioso, nelsenso che, per esempio, per difendere una lezione ritenuta giusta ma noncongetturabile si sarà portati a sostenere che deve esserci stata una fontecui attingerla, mentre chi ritiene improbabile l’esistenza della fonte saràportato per ciò stesso a giudicare tale lezione errata e frutto di un inter-vento arbitrario (o, in alternativa, giusta ma congetturabile).38

Nella fattispecie, anche gli studiosi più recenti cui si è fatto riferi-mento, pur orientati a spiegare le lezioni giuste di D e D come intelli-genti congetture bizantine, non di rado ricorrono da ultimo, come vedre-mo, nuovamente all’ipotesi di una fonte “extrastemmatica” perdutaaccessibile al recensore, per spiegare sia pur pochissime lezioni apparen-temente giuste ma non congetturabili. E nel far ciò accennano anchevolentieri al rapporto fra D e l’antica versione siriaca del De cohibenda ira,chiamato in causa da Pohlenz.39 Personalmente invece sarei portato aesplorare fino in fondo la possibilità di fare a meno dell’ipotesi – ulterio-re e che indebolisce il quadro dimostrativo – che l’anonimo recensoreavesse accesso a specifiche fonti perdute, oltre alla sua cultura e al suo inge-gno.40 Così come credo meritino di essere vagliate con una certa severitàle presunte coincidenze fra D e la versione siriaca e la loro significatività.

Naturalmente, ciò richiederebbe ben altro approfondimento rispettoa quello a me possibile in questa occasione. L’ipotesi che le lezioni pecu-liari di D siano “tutte” congetture andrebbe verificata mediante un vagliocomplessivo o molto ampio del materiale pertinente, che metta alla provala coerenza del quadro d’insieme, cercando se si possano riconoscere per

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38 Oppure, a fronte di una lezione certamente giusta, chi non crede alle capacità con-getturali dei bizantini sosterrà l’esistenza della fonte antica, chi non è incline a crederealla fonte antica tenderà a enfatizzare le capacità divinatorie dei bizantini.

39 Cfr. infra, n. 77.40 Ovviamente, a proposito della “cultura” dell’anonimo recensore, deve essere

anche tenuta presente la possibile conoscenza di altri testi, per esempio poetici, citatida Plutarco, o comunque utili a ricostruirne il testo in casi specifici.

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esempio tipologie ricorrenti nei presunti interventi del recensore e se siapossibile spiegare, col confronto reciproco, i casi più dubbi. Per ilmomento mi limiterò a passare in rassegna i risultati di alcuni studi giàpubblicati, da una parte per confermare ed esemplificare brevementequando affermato sopra, dall’altra per provare se (e a quale prezzo), spin-gendo la critica più a fondo, i dati possano essere considerati fin qui com-patibili con l’ipotesi di lavoro più economica appena formulata.

In uno studio accurato e brillante dedicato al De audiendo, Brian Hill-yard inquadra stemmaticamente D e Q come discendenti dal perduto Bb

(=D),41 a sua volta discendente dal subarchetipo Ba attraverso un altro anel-lo (=S) comune con hi;42 tenuto conto che RS non contengono l’opuscolo,la coincidenza con Pohlenz è quasi piena (cfr. supra, p. 151). Quindi lo stu-dioso documenta, a fronte dell’assenza di veri errori, la presenza in D dialcuni disinvolti «attempts to improve the readability of the text» e soprat-tutto di una quarantina di «good readings» ad esso peculiari, che, pur nonpotendo per ragioni stemmatiche risalire all’«archetype», vanno a suo pare-re accolte a testo, o almeno in apparato con la dizione “fortasse recte”.43

Atteso che alcune lo sono certamente,44 lo studioso considera la possibilitàche tutte siano congetture. In effetti un esame della interessante lista diHillyard mostra che regolarmente si tratta di lezioni congetturabili, nelcontesto (per quanto talora non banali)45 e motivate, ossia logicamente o

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41 HILLYARD, The Medieval Tradition, pp. 37-39, 40; alle lezioni di Bb (=D) elenca-te a pp. 38-39 vanno sommate, oltre ad alcune analoghe tralasciate, le lezioni buone osuperiori del solo D esemplificate da Hillyard a p. 40 (cui si aggiunga ancora per esem-pio 44 E paravscoi D : parascei'n cett.), probabilmente anch’esse lezioni risalenti a D,in corrispondenza delle quali però i codici Q (Zban) si sono differenziati adottando lalezione planudea; cfr. supra, p. 153 e n. 34.

42 HILLYARD, The Medieval Tradition, in part. pp. 21-22, 43, 51; cfr. PLUTARCH, Deaudiendo, a text and commentary by B.P. Hillyard, New York 1981, in particolare p. XLIII.

43 HILLYARD, The Medieval Tradition, pp. 37-39.44 Istruttivi i casi di 78.8 o 80.15, dove D giunge solo in prossimità della lezione

giusta, conservata dall’altro ramo o ritrovata da altri correttori.45 Fra le più notevoli, per esempio: 38 B (77.5-6) tw'n lovgwn tou;" fauvlou" D (recte) :

tou;" lovgou" tw'n fauvlwn cett.; 40 A (80.22-23) a]n de; mhde;n h\/ D (recte) : a]n de; mhdeni; cett.;40 A (80.23) parabavllousan eJtevrou" D (recte): parabavllousa newtevrou" cett.; 43 A(86.21) peri; th~ tw'n ajorivstwn tomh'" D (recte): peri; th~ tw'n ajrivstwn tomh'" cett.; 45D (91.18-19) sundeivpnou ti carivento" e[rgon ejstiv D (recte): sundeipnou'nti carievntw" e[rgon ejstiv cett.

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linguisticamente richieste (correzioni ortografiche, lessicali o sintattiche;articoli, negazioni, connettivi in più o in meno).46 Ma alla fine, giudican-do che un paio di esse «would be excessively clever», Hillyard dubitativa-mente riaffaccia l’ipotesi della fonte extrastemmatica («probably some ofthese readings at least are transmitted readings taken from a tradition dif-ferent from and superior to that represented by our archetype»).47

Concordando con l’impostazione e quasi sempre con i giudizi diHillyard,48 mi sembra che forse quest’ultima ipotesi non sia necessaria.Le lezioni che a suo parere la richiedono sono anch’esse secondo me inter-pretabili come congetture, che nella fattispecie credo non colgano (o noncolgano pienamente) nel segno.49

De audiendo 38 Bkai; Biva" oJ palaio;" ∆Amavsidi, keleusqei;" to; crhstovtaton oJmou' kai; fau-lovtaton ajpopevmyai kreva" tou' iJereivou, th;n glw'ttan ejxelw;n ajpevpemyen,wJ" kai; blavba" kai; wjfeleiva" tou' levgein e[conto" megivsta".

to; crhstovtaton oJmou' kai; faulovtaton D Q (edd. omnes) Ú to; crhstovtaton cett.(crhsimwvtaton CL)

L’aneddoto, variamente attribuito a questo o quel sapiente, ricorre trevolte in Plutarco e anche in altre fonti.50 L’arguzia del saggio doveva consi-stere in buona parte nel fatto che, invece delle due parti della vittima appa-rentemente richieste dal tiranno, la migliore e la peggiore, egli ne mandauna sola, la lingua, rispondente a entrambi i requisiti, in quanto capace siadei peggiori danni che dei massimi benefici. La cosa è molto esplicita a 506C, dove il secondo articolo (to; kavlliston kai; to; ceivriston), tramandato da

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46 Cfr. supra, p. 154.47 HILLYARD, The Medieval Tradition, p. 39, e cfr. p. 52.48 Ma per esempio a 40 F (82.17-18), oiJ me;n ga;r di D (recepito anche da Paton), a

fronte del tràdito o{soi me;n, è paleograficamente meno probabile di altre soluzioni (peresempio wJ" oiJ me;n che si trova in h, con interpunzione debole).

49 In tutti i passi discussi, lascio nel testo greco la lezione accolta dagli editori odall’editore in questione, e invece a mio vedere dubbia o da respingere.

50 Il cosiddetto fr. 89 di Plutarco consta di una citazione di Eust. in Od. G 332 (p.1470) (wJ" Pittakovn fasi, pevmyanto" aujtw'/ tou' jAmavsido" iJerei'on kai; ajxiwvsanto" ajntipevm-yai tw'n morivwn aujtou' to; kavlliston a{ma kai; ceivriston, ejxelovnta th;n glw'ssan ajpostei'-lai) che è probabile faccia in realtà riferimento al passo del De garrulitate (506 C).

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tutti gli altri codici, manca appunto solo in D (lezione isolata, a torto accol-ta anche nell’edizione Teubner). È lasciata forse volutamente più ambigua a146 F (to; ponhrovtaton ejxelovnta kai; crhstovtaton codd.).51 Nel nostro passoil recensore bizantino sembra aver percepito meritoriamente la lacuna del te-sto tràdito (dovuta certo all’omoteleuto), e avervi provveduto ex ingenio ispi-randosi al contesto (cfr. poco sopra fauvlou" ... crhstouv");52 proprio oJmou', checome “di più” non necessario convinceva Hillyard della tradizionalità dellalezione,53 rivela a mio parere che si tratta di una disinvolta congettura delnostro recensore, il quale, come risulta anche da 506 C, questa volta noncoglieva appieno il punto. L’editore dovrebbe qui, secondo me, indicare lalacuna nel testo, mettere la lezione di D in apparato e ivi suggerire, per esem-pio, «to; crhstovtaton ãejxelovnta kai; ponhrovtatonà vel sim.», chiamando aconfronto soprattutto 146 F, che appare estremamente simile nel dettato.

De audiendo 45 F... kai; to; “qeivw"” kai; “qeoforhvtw"” kai; “ajprosivtw"” ejpilevgonte", wJ"oujkevti tou' “kalw'"” kai; tou' “sofw'"” kai; tou' “ajlhqw'"” ejxarkou'nto".

qeoforhvtw" D Q (et C2 M2P) (edd. omnes) Ú ajforhvtw" cett. (sed ajporrhvtw" velajporhvtw" Kmg J M1 Ú ajfqwrhvtw" K)

In questa censura delle acclamazioni esagerate del pubblico alle recitatio-nes,54 qeoforhvtw" è insediato nel testo a partire dall’Aldina e vi è rimasto

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51 Ma kai; ãto;Ã crhstovtaton è congettura attribuita a Méziriac (ma cfr. MARTINELLI

TEMPESTA, Studi, pp. 215-17), su cui si veda il commento di D. WYTTENBACH,Animadversiones, in PLUTARCHI CHAERONENSIS Moralia, VI.2, Oxonii 1810, p. 915:«Meziriacus legit kai; to; crhstovtaton, non sine acumine facti acumen animadvertens;siquidem mandatum erat, non mittere unam partem, quae simul et optima et pessimaesset, sed omnino unam vel duas diversas partes mittere».

52 Lo stesso HILLYARD, in PLUTARCH, De audiendo, p. 54 commenta: «[questo passorispetto agli altri paralleli] seems unusual in that its adjectives appear to have been cho-sen with an eye on the context (cf. 38A9, 38B4)».

53 HILLYARD, The Medieval Tradition, p. 39, n. 1 (p. 40): «Note also the use of oJmou'[…], which I would be surprised to find in a conjecture»; PLUTARCH, De audiendo, p. 55:«The oJmou' […] might not be expected in a conjecture». La stessa errata, a mio vedere,“sovrainterpretazione” sembra aver dato Eustazio (cfr. supra, n. 50): to; kavlliston a{ma kai;ceivriston (ma si può anche pensare che Eustazio conoscesse proprio la tradizione D).

54 Per cui si confronti 543 E oiJ de; rJhtorikoi; sofistai; to; “qeivw"” kai; to; “daimonivw"”(kai; to; “megavlw"” add. X) ejkdecovmenoi...

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anche dopo che la recensio lo ha dimostrato lezione isolata di D (sia pur este-sasi per via orizzontale, attraverso M2, fino al Corpus Planudeum).55 Purgenericamente plausibile (in pratica però un hapax legomenon),56 qeoforhvtw"ha l’aria di essere, come le altre varianti attestate (ajporrhvtw", ajporhvtw",ajfqwrhvtw"), un tentativo congetturale di emendare una lezione “strana”, inquesto caso suggerito dal precedente qeivw". Invece il tràdito ajforhvtw"(“irresistibilmente” o “terribilmente”? si confronti per esempio l’inglese“terrific”), merita forse una qualche apertura di credito: cfr. Suid. e 671jEktovpw": megavlw", ajprepw'", parhllagmevnw", ajforhvtw", Hsch. a 8721ajforhvtw": deinw'", ajbastavktw".57

A Stefano Martinelli Tempesta dobbiamo uno studio capillare della tra-dizione testuale del De tranquillitate animi, che include e disciplina fino ipostillati cinquecenteschi e le edizioni a stampa. Anche per questo opusco-lo, incluso anch’esso nel corpus degli hjqikav, lo studioso riesce, malgrado leforti interferenze della trasmissione, a far emergere, oltre all’unità di fondoe alla bipartizione della tradizione, l’appartenenza di D e Q (D) alla fami-glia S (RSnhiDQ), rispetto alla quale entrambi si differenziano poi per unatrentina di lezioni isolate, e Q si sottrae ancora ad alcuni errori, grazieall’apporto planudeo.58 Fra le lezioni isolate di D (la gran parte recepite daBernardakis) alcune sono abbastanza evidenti rimaneggiamenti,59 ma bendiciotto sono accolte a testo (e altre due prese in considerazione come pos-sibili) anche nell’edizione Teubner.60 E, se un atteggiamento più rigoroso

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55 Cfr. HILLYARD, The Medieval Tradition, pp. 33-34.56 Per le attestazioni invece dell’aggettivo qeofovrhto" («possessed by a god, inspired»

LSJ), si veda HILLYARD, in PLUTARCH, De audiendo, pp. 213-14.57 E anche Suid. f 595 Forhtw'": megavlw", dove sembra che il lemma vada corretto

in ãajÃforhvtw" o in ãoujà forhtw'". Suggestivamente, to; ajfovrhton kai; ajprovsiton fw'" silegge in JO. DAMASC, PG 96, 565, 7 (Homil. in transfig. domini).

58 MARTINELLI TEMPESTA, Studi, pp. 140-52; mi domando solo (senza voler quiapprofondire il discorso) se sia necessario postulare una congiunzione RSnhi di controa DQ (vale a dire l’intermediario s1 dello stemma a p. 258), o se i pochissimi errori chela dimostrerebbero (elencati all’inizio di p. 141) non possano essere errori di S, cui D sisarebbe sottratto per congettura felice.

59 MARTINELLI TEMPESTA, Studi, p. 148; cfr. in particolare 204.23/24 (471 D) («sicrecens. D» app. Teubner), 218.5-6 (476 F), 220.14-17 (477 E-F).

60 L’elenco in MARTINELLI TEMPESTA, Studi, p. 147, n. 205, cui si aggiungono193.17 (467 A) («non male»), 199.23 (469 E) («ft. recte») (cfr. ivi, p. 148).

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Libidinosa recensio. La “recensione D” e il testo dei Moralia

(o più cauto) potrebbe portare a scartarne qualcun’altra come innecessariao a favore di congetture moderne più economiche,61 la gran parte sarannoperò sicuramente giuste. Che anche queste peraltro, per le loro caratteristi-che, possano essere tutte congetture, sia pur talora brillanti,62 è propensoa credere anche Martinelli Tempesta, con la riserva (a mio vedere superabi-le) del «forse» per due di esse, che potrebbero cioè richiedere l’ipotesi della“immissione extrastemmatica”.63

A questa ipotesi lo studioso si vede invece indotto a ricorrere, pur conogni cautela,64 poco oltre, di fronte al caso «sconcertante» di una lezio-ne «certamente esatta» e «difficilmente congetturabile».65 Benché ilcaso esuli a rigore dal nostro tema, trattandosi di una lezione non del soloD, ma risalente a S (comune cioè anche a DRSnhiQ), vale forse la pena diesaminarlo per il suo interesse metodologico.

De tranquillitate animi 477 Doujc w{sper oiJ polloi; Krovnia kai; Diavsia kai; Panaqhvnaia kai; toiauvta"a[lla" hJmevra" perimevnousin, i{n∆ hJsqw'si kai; ajnapneuvswsin ...

Diavsia DRSnhiQ (edd. inde ab Bernardakis) : Dionuvsia cett.

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61 Per esempio, 193.17 (467 A), dove a fronte del tràdito proshvkein, sembra piùeconomico ãwJ"Ã proshvkei di Schwartz, rispetto a proshkovntw" di D, o 215.1 (475 D),dove kai; può essere mantenuto e 217.9 (476 D), dove l’articolo non sembra necessario.

62 Tra le più notevoli, per esempio: 189.10 (465 D) l’aggiunta di oJ con Stobeo,197.9 (468 D) h|/ dei' per il tràdito h[dh, 217.20/21 (476 E) il ripristino (ispirato a qual-che rigo sopra) di oujk e[stin eijpei'n caduto per omoteleuto.

63 A 192.8 (466 D) nulla garantisce che sia giusto prosfilw'" (accolto per primocome integrazione da Dübner), aggiunto dal solo D verosimilmente per dare un sensoal kai; proquvmw" seguente; ma la lezione tràdita, confermata anche da Stobeo, può esse-re giusta (“colui che prima rifiutava con ribrezzo … oggi mangia … e volentieri”); pro-sfilw'", di norma “gentilmente” o “in modo gradito”, sembra assumere il valore richie-sto (hJdevw") solo nel greco bizantino: Sch. D in Il. IV 345, Et. Gud. s.v. aJrpalevw", Hsch.l 1166, Sch. in Aesch. Sept. 179c, Sch. in Arstph. Plut. 380 (Dübner), Georg. Acrop.Laud. Petri et Pauli 21. 9 (Heisenberg). A 211.14 (474 B) la correzione Deinaivh à Dhnaivhpuò essere stata trovata per congettura da D, come poi da Turnèbe e da Bentley («utcontraria inter se comparentur»); cfr. MARTINELLI TEMPESTA, Studi, p. 205 (dove delresto si riconosce che anche in D «è altamente probabile che la lezione avesse a sua voltaorigine congetturale»).

64 Cfr. MARTINELLI TEMPESTA, Studi, pp. X, 137, n. 162, p. 152.65 Ivi, p. 149.

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Se come variante tràdita saremmo indubbiamente portati ad adottareDiavsia in quanto lectio difficilior (così gli editori a partire da Bernardakis),il sospetto, in base all’isolamento stemmatico, che possa trattarsi di unacongettura erudita ci obbliga, come se la proposta venisse da un filologomoderno, a severi controlli. E così, da una parte, va osservato che i Diasia,secondo le nostre fonti, erano festa dal carattere piuttosto mesto che alle-gro,66 dall’altra, soprattutto, suav. viv. Epic. 1098 B fornisce un aderenteparallelo plutarcheo (anche come contesto), che sembra avallare l’altra lezio-ne: hJdevw" te bebiwkevnai kai; bruavzein ... kai; ga;r oiJ qeravponte" o{tanKrovnia deipnw'sin h] Dionuvsia kat j ajgro;n a[gwsi periiovnte" ... Che il nomedella festa ateniese dedicata a Zeus Meilichios, ricordata in un passo impor-tante di Tucidide, in Aristofane, in Senofonte, etc. potesse venire in mentea un dotto bizantino è altresì positivamente dimostrabile.67

Nella Consolatio ad Apollonium (Plan. 22), non appartenente al corpusdegli hjqikav, la tradizione è più povera e D e Q ne rappresentano da soliuno dei due rami.68 Il testo del loro ascendente comune D sembra però averavuto le stesse caratteristiche che negli hjqikav. Rispetto all’altro ramo (Y),D presenta infatti, oltre a “normali” lezioni giuste e “normali” errori,69

anche lezioni apparentemente superiori, in cui però una critica guardingapuò sospettare degli interventi disinvolti tesi a correggere lezioni proble-matiche o apparentemente problematiche risalenti all’archetipo e conser-vate intatte dall’altro ramo. I due esempi visti all’inizio sono tratti da unelenco da me fatto a suo tempo, in cui, alle lezioni D di questo tipo rico-nosciute e perciò relegate in apparato dagli editori Teubner, ne aggiunge-vo altre a mio avviso analoghe, ma non ancora osservate.70

Qui vorrei integrare solo un ulteriore caso che all’epoca valutavo diver-samente.

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66 Cfr. ad es. A.B. COOK, Zeus. A Study in Ancient Religion, II, Cambridge 1925, p.1142; G.V. LALONDE, An Athenian Shrine and Cult of Zeus, Leiden 2006, p. 75.

67 Cfr. COOK, Zeus, p. 1141, per l’ambientazione fantastica nell’ambito proprio diquesta festa di un episodio del romanzo di Eumathios Makrembolites.

68 Anche se, al solito, i codici Q possono sempre optare per la lezione planudea, chedovevano trovare registrata come variante nel loro capostipite; cfr. supra, n. 34.

69 Naturalmente è impossibile identificare fra le lezioni giuste di D le eventuali corre-zioni congetturali riuscite del recensore, che però, per analogia, è logico ritenere vi siano.

70 VENDRUSCOLO, La “recensione Q”, pp. 99-101.

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Consolatio ad Apollonium 102 Aoujde; ga;r oiJ bevltistoi tw'n ijatrw'n pro;" ta;" ajqrova" tw'n rJeumavtwn ejpifo-ra;" eujqu;" prosfevrousi ta;" dia; tw'n farmavkwn bohqeiva", ajll∆ ejw'si to;baru'non th'" flegmonh'" divca th'" tw'n e[xwqen pericrivstwn ejpiqevsew"aujto; di∆ auJtou' labei'n pevyin.

divca D Q (edd. inde ab Hercher) : dia; P F v B t (vulg. edd. ante Hercher)

Credo ora che diav, la lezione vulgata fino a che Hercher non mise atesto divca, sia quella giusta. I medici accorti non trattano gli ascessi infase acuta, bensì li lasciano dapprima maturare e disinfiammarsi da sé“mediante (diav) l’applicazione” di soli linimenti esterni; proprio come, subi-to sopra nel testo, l’amico dell’afflitto dapprima si limitava ad assecon-dare e compatire, e solo successivamente passava a una più incisiva con-solazione filosofica. “Senza (divca) l’applicazione”, secondo la lezione (se-condo me congetturale) di D accolta dagli editori più recenti, rende iltesto a prima vista più scorrevole, ma in realtà banalizza, e svuota disignificato la specificazione e[xwqen pericrivstwn (in contrapposizione alprecedente farmavkwn).71

Nel De defectu oraculorum (Plan. 69), mancano forti indizi della pre-senza a monte di D (la testimonianza di Q qui manca) di un testo alta-mente recensito come in 1-21, 22, come ha mostrato Andrea Rescigno,nei prolegomena della sua esemplare edizione, smentendo l’esistenza dialcune presunte lezioni peculiari giuste, ed evidenziando una serie diinnovazioni quasi tutte interpretabili come mere sviste del copista.72 Madue lezioni del solo D sono accolte a testo dall’editore, e fra queste, a suogiudizio, la prima (422 B tw'n gegonovtwn kai; tw'n genhsomevnwn D : tw'ngegonovtwn kai; genhsomevnwn cett.) «può ancora spiegarsi come interven-to personale del copista, la seconda certamente no» e dovrebbe quindi«fare […] riferimento ad una tradizione autorevole». Anche qui, a mioparere, l’onerosa ipotesi della fonte antica forse non è necessaria.

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71 Cfr. anche F. VENDRUSCOLO, Sul testo della traduzione inedita della “Consolatio adApollonium” di Alamanno Rinuccini, in P. VOLPE CACCIATORE (a cura di), Plutarco nelle tra-duzioni latine di età umanistica, “Atti del Seminario di studi (Fisciano, 12-13 luglio2007)”, Napoli 2009, pp. 189-216, in particolare pp. 207-08.

72 PLUTARCO, L’eclissi degli oracoli, a cura di A. Rescigno, Napoli 1995, pp. 23-26.

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De defectu oraculorum 424 Beij de; kaiv ti" ajporroh; fevretai pro;" eJtevrou" ajf∆ eJtevrwn, oJmovfulon ãdei'Ãei\nai kai; proshnh' kai; pa'sin hjpivw" ejpimignumevnhn w{sper aiJ tw'n ajstevrwnaujgai; kai; sugkravsei"

ãdei'Ã Reiske (alii alia) hjpivw" D (edd. plerique), unde hjpivw~ eijkov~ coni. dub.Wyttenbach : oijkeivw" cett. (-oi" F)

La lezione di tutti gli altri codici, oijkeivw", adottata dopoWyttenbach ancora da Dübner, è di per sé irreprensibile o comunque nonnecessita di essere modificata; e ciò sia che si intenda “si mescola in modoappropriato con ogni cosa”, in linea con oJmovfulon,73 sia che si intenda “simescola amichevolmente con ogni cosa”.74 Anche se, certo, hjpivw" di D siadatta ancor meglio a connotare il modo “dolce” in cui passerebbero daun mondo all’altro gli eventuali “effluvii” (ajporroaiv), in contrapposizio-ne al timore dell’urto violento affacciato poco sopra, e lessicalmentesarebbe perfettamente in linea con proshnh' e con tevrpesqai ed eujmenw'"subito sotto.75 Ma hjpivw" può essere una congettura, per quanto fine efono-paleograficamente ineccepibile. L’editore non dovrebbe quindipacificamente metterlo a testo come lectio difficilior, ma soppesare atten-tamente se accoglierlo come congettura migliorativa (anche se, tuttosommato, sarei per il sì).

Più importante è la questione delle coincidenze testuali fra D e lafamosa versione siriaca del De cohibenda ira, nelle quali, come si ricorde-rà, Max Pohlenz indicava un argomento esterno a sostegno dell’ipotesiche D e Q attingano lezioni, autentiche o meno, a una fonte antica.76

Questo dato, accettato per lo più finora con una certa fiducia dagli stu-

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73 Cfr. ad es. 491 A wJ" oJ kassivtero" rJagevnta to;n calko;n sunarmovttei kai; sugke-ravnnusi ª...º oijkeivw" oJmopaqh;" ginovmeno", PLAT. Leg. 889b6 tuvch/ de; ferovmena th'/ th'"dunavmew" e{kasta eJkavstwn, h|/ sumpevptwken aJrmovttonta oijkeivw" pw", PTOL. Apotel. 2, 9,17. 5 oijkeivw" th'/ pro;" tou;" eJkavstote tw'n ajstevrwn sugkravsei.

74 Cfr. ad es. 490 F (subito prima del passo cit. in n. prec.) a[nper [scil. oiJ fivloi]ajmfotevroi" oijkeivw" e[cwsi kai; pro;" ajmfotevrou" oJmou' th'/ eujnoiva/ sunneuvwsin, PLAT.Menex. 243e5 aJsmevnw" kai; oijkeivw" ajllhvloi" sunevmeixan oiJ poli'tai, PLUT. Pomp. 6, 13tai'" povlesin hJdovmeno" oijkeivw" kai; filikw'" patrovqen ejcouvsai" pro;" aujtovn.

75 Cfr. ad es. 795 A hjpivw" kai; met j eujmeneiva"; e GREG. NAZ. In sanctum pascha (orat.45) 36. 641. 15 hjpivw" ejpimignumevnwn [scil. tw'n ajretw'n] kai; kirnamevnwn ajllhvlai".

76 POHLENZ, Praefatio, pp. XXXII, XXXIV-XXXV, cfr. supra, p. 151.

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diosi,77 meriterebbe anch’esso di essere riesaminato criticamente con ilsupporto di uno specialista.78 Per il momento, quanto risulta dall’appa-rato di Pohlenz non sembra sufficiente a dimostrare una relazione.

Poiché infatti «le caratteristiche della versione siriaca sono quelle diabbreviare o omettere o interpretare liberamente il testo greco»,79 sembraincauto ritenere significativo un caso come 461 D tevlo" (“alla fine”) om. DSyr. (lezione certamente errata in quanto dà luogo a uno iato, e che è un po’difficile pensare recuperata per collazione da un’antica fonte),80 a fronte dicoincidenze da ritenere invece casuali con altri codici, come 456 C toi'" pneuv-masi] tw'/ pneuvmati Q Syr. (ut. vid.); 460 F gunai'ka] gunai'ka" R Syr. (?).

Ed è lecito dubitare che la testimonianza di una versione di questotipo consenta di dedurre (come fa l’apparato Teubner) che nel suo model-lo greco si leggeva ijdei'n ti (con GY3D) piuttosto che ijdei'n a 453 F,81 ta;ejpithvdeia (con D) piuttosto che il quasi sinonimo ta; crhvsima a 454 A,82

ga;r («ut vid.», con D) anziché de; a 456 B, poi (con MDb) piuttosto chepou a 457 E,83 parelovmeno" («ft.») piuttosto che oJ parelovmeno" (con D)a 459 A, tov t∆ (con D) piuttosto che to; d∆ a 459 E (!).84

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77 Cfr. MARTINELLI TEMPESTA, Studi, p. 146, n. 198 con la bibliografia ivi citata (cuisi aggiunga L. INGLESE, in PLUTARCO, La curiosità, p. 70 n. 202); INGENKAMP, “Malim”,pp. 111, 119, e Praefatio I, p. 6*.

78 Per aggiornati ragguagli sulla versione e uno specimen di un tale auspicabile riesa-me, cfr. M.S. FUNGHI, Plutarco, “De cohibenda ira” 456F-457B, in B. PALME (hrsg. von),Wiener Papyri. Als Festgabe zum 60. Geburtstag von Hermann Harrauer (P.Harrauer),Wien2001, pp. 1-6, 4-5 n. 15 (con il contributo di Paolo Bettiolo).

79 FUNGHI, Plutarco, “De cohibenda ira”, p. 6, n. 18; istruttivo è provare a collazio-nare con il testo greco la traduzione italiana dal siriaco del cap. 8 di Bettiolo (ivi, pp.4-5, n. 15). Cfr. comunque già Pohlenz in Moralia III, p. 157 «interpres Syrus […]libere agens saepe in breviorem formam redigens».

80 Ma richiamata da Pohlenz anche in Praefatio, p. XXXV; e cfr. J. IRIGOIN, inPLUTARQUE, OEuvres morales, I, 1, Paris 1987, p. CCLX.

81 Come congettura (fatta, come si vede, non solo da D) l’aggiunta di ti si spiegain relazione al seguente tw'n wJfelouvntwn, altrimenti da costruire (così gli editori inclu-so Bernardakis) con il solo ajkou'sai (mhvt∆ ijdei'n mhvt∆ ajkou'sai ti tw'n wJfelouvntwn).

82 Anche ta; ejpithvdeia si spiega peraltro agevolmente come disinvolta congettura diD, tenendo presente che l’anonimo recensore non trovava nel suo modello ta; crhvsima, mal’erroneo ta; crhvmata risalente a S, come dimostrano R ed S (cfr. l’apparato di Pohlenz).

83 Corretto, come si vede, anche da altri copisti.84 E lo stesso vale per altre presunte lezioni di Syr. che troverebbero riscontro in

testimoni diversi da D, come 456 E ajnadivdwsi M2PQS2 Syr. (evidentemente una modi-

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Queste lezioni di D possono del resto tutte essere (o sono quasi certa-mente, come a 454 A) congetture, e, laddove il riscontro con la versione siaeffettivo, esso può anche semplicemente significare che la congettura ègiusta. Discorso che può valere anche per 461 B flegmaivnonti (X3)]flegmonai'" D Syr. flegmonw'n MP flegmaivnwn cett.85 Quel che è certo èche D non si affianca alla versione siriaca nel caso più significativo in cuiquesta appare esente da un errore comune a tutta la tradizione grecasuperstite: 460 C kolavzonta" ãkolavsanta" de;Ã Syr. coniecerat Reiske :kolavzonta" de; VJP : kolavzonta" ei\ta D : kolavzonta" cett.86 Né a 457A, dove è ora un frammento di codice del V secolo d.C. a trovare appa-rentemente riscontro nella versione: A ouj movnon (codd.)] ouj ga;r movnonP.Harrauer 1 Syr.(?) coniecerat Reiske.87

Una è in realtà la coincidenza che appariva probante a Pohlenz, che in-fatti la richiama una seconda volta nella Praefatio;88 la quale però, se sobria-mente riesaminata, fa propendere di nuovo per l’ipotesi della congettura.

De cohibenda ira 461 CKai; deino;n oujde;n ajrxamevnou" ajpo; th'" trofh'" siwph'/ crhvsasqai toi'"paratugcavnousi, kai; mh; polla; coloumevnou" kai; duskolaivnonta" ajter-pevstaton o[yon ejmbalei'n eJautoi'" kai; fivloi" th;n ojrghvn:

coloumevnou" D M2P Syr. (“uns erzürnen”) : foboumevnou" cett. : qumoumevnou"coniecerim

Per capire che i concetti contrapposti all’“adattarsi pazientemente e insilenzio alle evenienze”, dovevano essere ira e fastidio e non paura e fastidio,bastava il contesto; non avremmo certo avuto bisogno della versione siriaca.Così come non avrebbe avuto bisogno di alcuna fonte antica il recensorebizantino, che appare tanto acuto e pronto a intervenire sul testo. Ma intutto Plutarco, che pure di “ira” parla infinite volte, il verbo coloumai non

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fica planudea passata anche in Q e in S [cfr. MARTINELLI TEMPESTA, Studi, pp. 142-45]): ajnadeivknusi cett.; 457 E porrwtevrw] povrrw DRSQ(=S) Syr.

85 A mio parere congetture, tanto quella di D quanto quella di MP, forse ispiratea tuend. san. 134 C.

86 Cfr. anche POHLENZ, Praefatio, p. XXXII, n. 1.87 FUNGHI, Plutarco, “De cohibenda ira”, pp. 4-5.88 POHLENZ, Praefatio, p. XXXV: «(velut illud coloumevnou")»; è espressamente cita-

ta anche da IRIGOIN, in PLUTARQUE, OEuvres morales, p. CCLX.

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ricorre mai, salvo che in una citazione poetica (Sol. 16, 3) e in uno stessoapoftegma citato tre volte (195 F, Fab. 22, 7, Marc. 21, 5). Si potrà pensa-re che qui lo scrittore “omerizzasse” nell’imminenza di una citazione dal-l’Odissea. Ma più probabile è che si tratti di una congettura di D, giusta peril senso, ma non particolarmente meditata nella scelta lessicale. Valorizzan-done la diagnosi, ma ripartendo dalla lezione concorrente foboumevnou", èfacile trovare qumoumevnou", più soddisfacente dal punto di vista fono-paleo-grafico (scambio q/f, m/b), frequente in Plutarco e per cui in particolare siconfronti Fab. 20, 4 to; qumouvmenon kai; to; duskolai'non.

Questa breve rassegna non aveva altra pretesa che di esemplificare pro-blemi, concetti e metodi. Pur abbastanza convinto che la gran parte, forsela totalità delle lezioni peculiari, di varia portata, di D potranno essere spie-gate come congetture, ossia come innovazioni intenzionali e autonome delrecensore bizantino, sono consapevole, ripeto, che solo un adeguato allar-gamento dell’indagine, verificando la coerenza del quadro d’insieme, potràeventualmente confermare questa ipotesi in modo un po’ più convincente.

Torno da ultimo sulla nuova editio maior dei Moralia di Bernardakis,su cui questo intervento doveva in qualche modo contribuire a imposta-re una riflessione. Mi limito però a poche battute, lasciando ad altri piùqualificati di esprimere un giudizio complessivo su un’impresa di taleimpegno e di tale evidente qualità e accuratezza.

Concordo con Ingenkamp che D non è affatto quel codice “sinistro”(«unheimlich») che, nell’aggressivo linguaggio filologico del tempo, posso-no aver dipinto i critici di Bernardakis.89 È anzi un manoscritto estrema-mente interessante, dal punto di vista filologico e storico-culturale, su cuisarebbe bello un giorno poter sapere di più. Alla luce di quello che ne sap-piamo o intravediamo oggi, però, riproporre un’edizione dei Moralia (siapur parzialmente) incentrata su di esso come codex optimus, è una “scommes-sa” azzardata dal punto di vista metodologico, e ben più di quanto lo fosseal tempo di Bernardakis. Un’operazione che ha un carattere in parte provo-catorio e dichiaratamente anzi orgogliosamente “anti-scientifico”.90 Legitti-ma, beninteso, ma, mi si consenta, ugualmente un po’ “pericolosa”, perchéquando un’edizione si presenta con i tratti esteriori, la veste tipografica (in

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89 INGENKAMP, “Malim”, p. 119.90 Ivi, pp. 107-08, 123.

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questo caso smagliante) e l’avallo istituzionale di una nuova edizione “criti-ca”, fatalmente tenderà ad acquisire autorevolezza di opera “scientifica”,ovvero conforme agli standard metodologici attuali della disciplina. In que-sto caso, contro gli assunti del suo stesso curatore.

Concordo inoltre con Ingenkamp (e con Pasquali, da lui citato in li-mine al secondo volume) che al filologo e all’editore occorre esercitare iliudicium. Ma credo che esercitare il iudicium non significhi tanto sceglieresoggettivamente la migliore lezione o il miglior codice o la migliore edi-zione, quanto porsi i problemi razionalmente e nell’intento di trovare unasoluzione complessivamente soddisfacente. E credo quindi che il iudiciumnon debba porsi in contrasto o in “alternativa” al metodo.91 Così come ilmetodo non sostituisce il iudicium, ma può cercare di delimitare razional-mente il materiale su cui tale iudicium dovrà esercitarsi. I percorsi dell’unosono lunghi, faticosi e incerti, ma senza di esso il lampo sicuro del secon-do92 rischia di imboccare strade sbagliate, magari semplicemente perchésta confrontando tra loro entità disomogenee (nel nostro caso, a mio pare-re, dei “testimoni” di un testo con una “recensione” dello stesso).

E infine, anche se è vero che (ingiustificatamente, secondo me) la fidu-cia e le attese, ma forse soprattutto l’impegno dei filologi nei confronti del“metodo” sono calati, mi dispiace sempre vedere attribuito il “rompete lerighe” a Giorgio Pasquali.93 Ricordo che «recentiores, non deteriores» (esatta-mente così andrebbe scritto) non significava che si può fare a meno deglistemmi perché tutti i testimoni indifferentemente possono conservare lalezione giusta, ma al contrario che bisogna prendere in considerazione ecollazionare tutti i testimoni, anche i più recenti, perché possono rivelarsistemmaticamente indipendenti e quindi portatori di tradizione.94

Fabio VendruscoloDipartimento di Glottologia e Filologia classica

Università degli Studi di Udine

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91 INGENKAMP, “Malim”, p. 124, per il concetto di «Alternativausgabe».92 INGENKAMP, Praefatio II, p. 1*.93 INGENKAMP, “Malim”, pp. 107-08.94 Sia concesso rinviare a F. VENDRUSCOLO, Un ambiguo “motto” pasqualiano: «recen-

tiores, non deteriore», in Studi in memoria di Giovanni Maria Del Basso, a cura di R.Navarrini, Udine 2000, pp. 333-37. Sul “metodo” applicato alla recensio dei Moralia siveda quanto con grande equilibrio osserva MARTINELLI TEMPESTA, Studi, pp. 98-99, conla bibliografia citata in n. 9.

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Libidinosa recensio. La “recensione D” e il testo dei Moralia 169

ABSTRACT

Libidinosa recensio. The So-Called “Recensio D” and the Text of Plutarch’sMoralia

Codex Parisinus Gr. 1956 (D) and the Q MSS offer for Moralia 1-21 manypeculiar readings possibly superior to the competing ones. Against theearly suspicion that most of these were “interpolations”, G.N. Ber-nardakis followed D as his guide for the relevant part of his edition(1888-1896) and this choice is now defended by H.G. Ingenkamp. Thatthose of D(Q) are lectiones singulares which cannot go back to the medievalarchetype was consistently shown by accurate recensio, but the significanceof this result is reduced by Pohlenz’s theory that D and Q took readingsfrom an ancient lost source (D). Analyzing some examples and reviewingrecent works, the author provisionally concludes that: 1) on internalgrounds, conjecture by a clever byzantine “editor” seems to be a possibleexplanation for most (right or wrong) peculiar readings of D(Q), and theonly “economic” one in a number of cases; 2) the same explanation canhold also for the few cases where recent scholars still recur to Pohlenz’stheory; 3) also the external arguments for the existence of an ancient“extra-stemmatic” source (such as the alleged coincidences with the oldsyriac versions of some writings) are weak. If this were confirmed, thewitness of D(Q), interesting as it is from a historical point of view, shouldbe used under stricter limits for the constitutio textus, as providing supportto lessons according to its stemmatic position and conjectures to bejudged according to their pertinence and paleographical probability.