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Il "De vulgari eloquentia" e l'articolazione del molteplice come fondamento dell'identità italiana

Mar 27, 2023

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Michael Waters
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Page 1: Il "De vulgari eloquentia" e l'articolazione del molteplice come fondamento dell'identità italiana

Collana del Center for Italian Studies dell'Universita di Pennsylvania

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L'ltalia allo specchio Linguaggi e identita italiane nel mondo a cura di Fabio Finotti e Marina] ohnston

Marsili a

Page 2: Il "De vulgari eloquentia" e l'articolazione del molteplice come fondamento dell'identità italiana

Con il patrocinio di Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura Italiane (AISLLI)

e Universita degli Studi eli Trieste

.t .• ,'~, UNNERSITA ~-~.l DEGLI STUDI Dl TRIESTE

© 2015 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia

Prima edizione: gennaio 2015

ISBN 978-88-317-0715-2

www.marsilioeditori.it

INDICE

I. DANTE ALLE ORIGIN! DELL'IDENTITA ITALIANA

11 Dante's Sympathy for the Other, or the Non-Stereotyping Imagination. Sexual and Racialized Others in the «Commedia» di Teodolinda Barolini

43 ll «De Vulgari Eloquentia>> e I' articolazione del molteplice come fondamento dell'identita italiana di Fabio Finotti

55 Dante's France di Kevin Brownlee

73 Internationalizing the Hendecasyllable di Mary K. Re/ling

83 Abandoning the Polyphonic Nation: Vico's «True Dante» di Paola Gambarota

II. LINGUAGGI E IDENTITA

95 Glocalism and Identity: the Reality and Languages of Italicity di Piero Bassetti

101 Ethnicity and Language in Italy di Giulio Lepschy

117 A Short History of a Word: Italian di Lorenzo Tomasin

131 L'italiano ai margini. Rischi e opportunita di una dimensione minoritaria di Vincenzo Todisco

143 La triade lingue/economia/societa nella globalita: spunti per un approccio strategico di Remigio Ratti

III. STORIA E GEOGRAFIA: L'ITALIA DENTRO E FUORI L'ITALIA

157 Bridges and Identities di Jonathan Steinberg

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Paesaggio e appartenenza di Tullio Pagano

IN DICE

South and North. Pulcinella, a «Southern Thought» di Daniela Bini Un'isola italiana nel mare slavo: il caso dell'Istria e del Quarnero di Sanja Roic Albania, 21" Italian Region? di Rossella Rossetto

IV. L'ITALIA NEL CINEMA E NELLA LETTERATURA CONTEMPORANEA

231 Identity and «lmpegno» of a Neapolitan Adventurer: Rosi's Early Films di Gaetana Marrone-Puglia

241 History and Afterness. Italian National Identity on International Screens: Cannes 2008 di Millicent Marcus

251 A New and Impassable Frontier: ltalo Svevo and the Struggle for National Identity in «Zeno's Conscience» di Michael Dell'Aquila

259 Giacomo Debenedetti e «I mille versi di Carlo Michelstaedter» di Rosita Tordi

281 History and Identity in Contemporary Italian Literature. Arbasino and the Moro Case: «ln questo stato» (1978-2008) di Ugo Perolino

289 La lingua mascherata di Ornela Vorpsi di Ste/ania Benini

297 Milan in Senegal: Immigration and National Identity in the Novels of Pap Khouma di Meriel Tulante

311 Hollywood's Sicily: An Unchanging Face of Immigration di Lillyrose Veneziano-Broccia

V. MIGRAZIONI, RADICI E TRASFORMAZIONI

319 Glocal Identities: Argentina/Piedmont. A Bottom up Approach di Maddalena Tirabassi

337 Esperienza immigratoria italiana nella Pampa argentina. ll portale virtuale della memoria «gringa» di Adriana Crolla

347 Joseph Tusiani's «Gente Mia» Coincidences of E[im]migration di Anthony Julian Tamburri

363 Italian American Humor. From Sceccu to Chooch: The Signifying Donkey di Fred Gardaphe .

373 Beyond the Label: Deconstructing Little Italy di Stefano Luconi

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IN DICE

VI. L'ITALIA DA LONTANO

391 Genovesi, commercianti e cattolici fuor della «clemenza dell'italico cie1o». Sul romanzo «La Rosalinda» di B. Morando (1650) di Emilia Ardissino

405 Italy in his Heart: Lazar Tomanovic di Vesna Kz1zbarda

417 «0 Italia, o dolce Italia»: Percezioni dell'Italia nella poesia maltese in italiano dal 1900 al 1945 di Sergio Portelli

431 VII. LA LINGUA E LA CULTURA ITALIANA NEL MONDO

Cosmopolitanism and New Forms of Communication Plurilingualism

439 di Riccardo Giumelli Italian in the Adriatic Mirror di ]ufijana Vuco

A) STAT! UNIT!

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451 L'italiano fuori d'Italia: la sua identita multipla negli Stati Uniti di Hermann W Haller

465 The Question of Language in the Italian American Experience di Luciana Fellin

479 Languages and Identity Negotiations in an Italian American Family di Anna De Fina

495 L'italiano emigrato a scuola - indagine sociolinguistica sull'insegnamento dell'italiano negli Stati Uniti d'America di Serena Dal Pont

511 La «Questione della Lingua>> in the Italian American Experience di Nancy Carnevale

515 First Language Attrition in the Output of Italian Teachers in the U.S. di Rita Pasqui

B) AMERICA LATINA

537 Percorsi dell'italianistica in Argentina di Adriana Crolla

C) EUROPA

555 The Perception of Italian Culture in France: the Canon of Italian Literature in the Programs of the «Agregation d'italien» di Massimo Lucarelli

571 The Italian Language Spoken by the Italians of Continental Croatia di Vesna Def.eljin

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FABIO FINOTTI

IL <ill~ VULGAR! ELOQUEN'I'IA>> E L' ARTICOLAZIONE DEL MOLTEPLICE COME FONDAMENTO

DELL'IDENTITA ITALIANA

1. Nella Querela pacis eli Erasmo la diversita degli uomini e delle nazioni non divide i popoli, rna li congiunge in un reciproco tessuto eli influenze e eli scambi: ogni nazione collabora all'ident­ta delle altre. L'Italia e 1' esempio perfetto eli questa reciprocita: nell' edizione del 1526 degli Adagia, Erasmo evoca la circolazione eli libri dall'Europa alia Venezia eli Aldo Manuzio, e dalla tipogra­fia veneziana eli Aldo Manuzio al mondo, nel primo decennio del Cinquecento. E ricorda con ammirazione eli aver trovato in Italia un atteggiamento completamente diverso rispetto agli altri paesi. Pur essendo egli olandese, i dotti italiani si sono prodigati a offrir­gli consigli, libri, informazioni utili per la sua ricerca. In Italia la cultura - secondo Erasmo - sostiene con ogni mezzo gli stranieri, creando una civilta basata sulla partecipazione e non sulla tesau­rizzazione e sulla privatizzazione nazionale del sapere. ll successo dell' editoria italiana del primo Cinquecento si lega a questa dispo­nibilita e liberalita. Ben diverso invece pare ad Erasmo l'atteggia­mento eli chiusura e eli difesa del patrimonio librario che si prati­ca all'estero, dove i manoscritti son segregati nelle biblioteche dei monasteri o dei castelli.

Alia luce delle osservazioni eli Erasmo, la riscoperta della cul­tura an rica che costituisce un aspetto caratterizzante del Rinascimento italiano non pare dun que solo 1' effetto eli una smisurata passione per l'antichita, rna eli una profonda, radicale passione per l'umani­ta, e della volonta eli liberare tesori di conoscenza per comunicar­li ad una comunita non solo italiana rna mondiale. L'ampio respiro della civilta italiana e iscritto nella storia dell'umanesimo italiano e nella sua pratica del principia eli "reciprocita". I primi umanisti si

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DANTE ALLE ORIGIN! DELL'IDENTITA ITALIANA

muovono infatti in spazi e tempi non ristretti al lora paese, rna collocati entro una visione generale, universale dell'"umanita": il viaggio tra altre lingue, culture e costumi appare come una forma primaria, costitutiva della tradizione italiana. .

Aile diverse Italie elaborate da non italiani, risponde cosl un'lta­lia in movimento gia testimoniata da scrittori come Petrarca che definiscono la lora identita attraverso il dialogo con l'"altro", nel­le lettere e nei viaggi. E quel che accade nelle Familiari, a partire dalle due splendide epistole di Petrarca a Giovanni Colonna (Familiari, I, 4-5), in cui la lettera e il viaggio appaiono come la medesima cosa: forme dell'immersione nella diversita e molteplici­ta della spazio e del tempo.

Questi caratteri dell'umanesimo - a lora volta - vanno proba­bilmente riportati alla pluralita intema della civilta italiana, e ai modi in cui le molteplici Italie degli italiani sono state ripensate in quanta parti di un'identita complessa, a partire da Dante. TI De Vulgari Eloquentia, in particolare, appare come un'opera illuminan­te per l'apertura linguistica e antropologica verso i temi dell'alte­rita e della diversita, visti come aspetti non opposti a un'identita collettiva, rna costitutivi di essa.

2. De Vulgari Eloquentia 1: il titolo del trattato dantesco e di­scusso subito, all'inizio del testa, la dove Dante afferma orgoglio­samente il proprio primate. Altri hanna trattati di eloquenza in latina, nessuno mai specificamente si e concentrate sul volgare:

Cum neminem ante nos de vulgaris eloquentie doctrina quicquam inveniamus tractasse ... 2 (DVE, I, 1, 1)

Parlando di «eloquenza volgare» Dante non si riferisce a una specifica lingua, rna a una facolta propria del genere umano, al di la delle differenze tra volgari dovute alla geografi.a e alla storia. Questa prospettiva universale e evidente quando Dante compara la lingua parlata con quella letteraria:

Harum quoque duarum nobilior est vulgaris: tum quia prima fuit

1 Le citazioni sono tratte da: Mengaldo P.V. (a cura di) (1968), Dante Alighieri, De Vulgari Eloquentia, Padova, Antenore, 1968. ll trattate dantesco sara indicate con la sigla DVE. I corsivi seno miei.

2 [Date che non troviame nessuno che, prima di nei, abbia scritto un qualche trattato sulla teeria dell'eloquenza volgare ... ].

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IL «DE VULGAR! ELOQUENTIA» E L' ARTICOLAZIONE DEL MOLTEPLICE

humano generi usitata; tum quia totus orbis ipsa perfruitur, licet in diversas prolationes et vocabula sit divisa; tum quia natura/is est nobis, cum ilia potius a~tificialis existat3• (DVE I, 1, 4)

La <<Vulgaris locutio», prima di essere un idioma definite, e una facolta del genere umano: infatti non si identifica specificamente con nessuno dei volgari in cui e "divisa", rna tutti li rappresenta e li fonda: «Hec est nostra vera prima locutio»4 (DVE I, 2, 1). Nel Convivio il primate andava allatino, non al volgare. TI rovescia­mento della posizione nel DVE e chiaramente legato ad una pro­spettiva teologica. n linguaggio e donato da Dio all'uomo (DVE I, 2 e 4), e come tutti i doni di Dio all'uomo deve riguardare non una parte rna tutto il genere umano. La lingua "naturale", dunque, e cioe quella che tutti gli uomini ricevono da Dio come segno della lora natura, e piu nobile e universale, e si identifica col vol­gare. TI Iatino e invece una lingua letteraria, "artificiale", seconda­ria, data che puo essere conquistata solo da pochi (DVE I, 1, 3 ).

Se e vera che <<Vulgaris locutio» ha un sensa generale all'inizio del trattato dantesco, e indica una facolta piuttosto che uno spe­cifico volgare, la sua corretta traduzione piu che <<lingua volgare» dovrebbe essere <<il parlare in volgare»:

Sed quia unamquanque doctrinam oport~t non probare, sed suum aperire subiectum, ut sciatur quid sit super quod ilia versatur, dicimus, celeriter actendentes, quod vulgarem locutionem appellamus earn qua infantes assuefiunt ab assistentibus cum primitus distinguere voces incipiunt; vel, quos brevius did potest, vulgarem locutionem asserimus quam sine omni regula nutricem imitantes accipimus'. (DVE I, 1, 2)

La traduzione del titolo dantesco dovrebbe essere dunque «Dell'eloquenza nel parlare in volgare». Allo stesso modo anche la lingua che si oppone al volgare, la «gramatica>> non coincide solo

3 [Di questi due tipi di lingua, il piii. nobile e il volgare: in prime luogo perche e e la lingua usata per prima dal genere umane; in secende luogo perche e usata in tutto il mondo, per quanto divisa in diverse pronunce e diversi vocaboli; in terzo luogo perche ci e naturale, mentte 1' altra lingua e invece attificiale].

4 [Questa e la nostra vera lingua prim aria]. ' [Ma dato che si chiede ad ogni trattazione teorica non di dimostrare rna di dichiara­

re il proprio fondamento, cosi che sia chiaro cio su cui essa vette, diciamo, affrontando subito la questione, che definiamo il parlare in volgare quello che i bambini apprendono da colore che li circondano sin da quando cominciano a distinguere i suoni; o - per dirla piii. concisamente - definiamo parlare in volgare quello che apprendiamo senza bisogno di alcuna regola, per semplice imitazione della nutrice]. ·

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DANTE ALLE ORIGIN! DELL'IDENTITA ITALIANA

collatino, rna con l'insieme delle lingue "artificiali" che solo alcu­ni popoli hanno elaborato, e non tutti sono in grado di dominare (DVE I, 1, 3). Dato che none naturale, rna "secondaria", la «gra­matica» viene non da Dio, rna dagli uomini, e non e un necessaria pun to di partenza del loro cammino, rna un possibile pun to d' ar­rivo: «quia non nisi per spatium temporis et studii assiduitatem regulamur et doctrinamur in illa»6 (DVE I, 1, 3 ). Parlando della lingua volgare, come di una dote universalmente umana, Dante non si limita dunque ad essere primo per il soggetto affrontato, rna suggerisce il proprio primato per la scelta dei destinatari cui il trattato sull'eloquenza si rivolge. n suo pubblico ideale e infatti costituito da tutta l'umanita, senza distinzione di classe, di genere, di eta, e non solo dagli specialisti per i quali scrivevano gli altri trattatisti:

atque talen scilicet eloquentiam penitus omnibus necessariam videamus - cum ed earn non tantum viri sed etiam mulieres et parvuli nitantur, in quantum natura permictit ... 7 (DYE I, 1, 1)

E soprattutto la gerarchia tra «vulgaris locutio» e «gramatica» implica il fatto che il trattato dantesco primeggia sugli altri per l'importanza dell'oggetto: «Et de hac nobiliori nostra est intentio pertractare»8• (DVE I, 1, 5) La rivoluzione linguistica dantesca, che - dopo secoli di indiscussa supremazia - pone il volgare al di sopra dellatino, produce una rivoluzione culturale. n volgare di­viene un oggetto degno di essere studiato, e di li a poco di essere utilizzato in sostituzione del latino anche per gli argomenti piu nobill. n volgare non compromette, rna innalza e conferma !'auto­rita di chi lo sceglie. Ma come si concilia questa nobilta del «par­lare in volgare» con la molteplicita dei volgari in cui non solo l'Italia, rna tutto il mondo sembra essere diviso?

3. Come si e visto, all'inizio del suo trattato, Dante risale dalla molteplicita confusa e disarmonica di volgari, alia loro radice uni­versale, quella «prima locutio» (DVE I, 2, 1) in cui il "prima"

6 [Dato che non ne padroneggiamo le regole, se non con uno studio assiduo e prolun· gato nel tempo].

7 [E ci e ben chiaro che quest' arte dell' eloquenza e necessaria a tutti, giacche ad essa tendono - per quanto e concesso dalla natura - non solo gli uomini rna anche le donne e i bambini].

8 [Ed e di questa nostra piii nobile lingua che intendiamo trattare].

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IL «DE VULGARl ELOQUENTIA» E L' ARTICOLAZIONE DEL MOLTEPLICE

indica un primato sia temporale, sia sostanziale, indicando l'origi­ne stessa da cui deriva ogni discorso umano: «Haec est nostra vera prima locutio» (DVE I, 2, 1), e cioe «questa e la nostra vera lingua primaria». Con un balzo vertiginoso, Dante passa cosi dalla con­tingenza variabile dei volgari alia loro radice comune, dall' espe­rienza quotidiana alia sua sostanza universale, dalla pluralita degli epifenomeni all'unicita dell' origin e.

La prospettiva essenzialista e universalista del medioevo e in­somma applicata da Dante anche alia. riil.essione linguistica, con un decisivo trasferimento del discorso dal piano della molteplicita a quello dell'unita che la sottende, la fonda e ne definisce il senso e la posizione nella gerarchia dell' essere. Ogni lingua parlata non e che la storica e variabile manifestazione della capacita di parlare data da Dio al primo uomo all' atto della creazione e a ogni uomo alia nascita. Ogni lingua volgare (come fatto concreto) non e che 1' attualizzazione di quella Lingua (come facolta) che appartiene solo all'uomo, e ne stabilisce la posizione nell'universo, situandolo tra gli esseri che non parlano perche non possono (gli animali inferiori) e quelli che non parlano perche non ne hanno bisogno (gli angeli):

Haec est nostra vera prima locutio. Non dico autem "nostra" ut et aliam sit esse locutionem quam hominis: nam eorum que sunt omnium soli homini datum est loqui, cum solum sibi necessarium fuerit. Non angelis, non in/erioribus animalibus necessarium /uit loqui, sed nequicquam datum fuisset eis: quod nempe facere natura aborret9• (DYE I, 2, 1-2)

La linguae una dote sostanziale e speci:fica dell'umanita. Nella prospettiva teleologica e finalistica di Dante, ogni cosa dell'univer­so esiste in quanto serve ad un disegno complessivo. Dato che solo l'uomo possiede la facolta di parlare, la funzione della lingua dev'essere strettamente legata all'essenza stessa dell'uomo e ai modi in cui l'uomo puo compiere e realizzare la propria natura. La lingua non e insomma un semplice attributo, rna una condizione dell'umanita. Si puo cosi comprendere a pieno il senso della defi­nizione di lingua "naturale" riferita al volgare. n linguaggio volga-

9 [Questa e la nostra vera lingua primaria. Non dico perc "nostra", come se esistesse una lingua diversa da quella dell'uomo: infatti fra tutti gli esseri solo all'uomo e dato di parlare, posto che solo per lui era necessaria farlo. Parlare non e necessaria ne per gli angeli, ne per gli animali inferiori: questo dono sarebbe stato anzi inutile per loro, e la natura di certo rifugge da operazioni inutili].

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DANTE ALLE ORIGINI DELL'IDENTITA ITALIANA

re non e "naturale" solo perche viene appreso anche al di fuori di ogni istituzione scolastica, di ogni applicazione o codificazione, rna perche appartiene alia natura stessa dell'uomo, e lo accompagna non solo dalla sua infanzia, rna dalle origini dell'umanita, a partire dalla "loquela" creata da Dio col primo uomo («homini prima concreatam a Deo»: DVL I, 9, 6).

Qual e dunque la funzione della lingua? Perche la facolta lin­guistica definisce l'identita dell'uomo nella gerarchia dell' essere? Dato che l'uomo e unione di came e spirito, terra e anima, la lingua serve a comunicare attraverso i sensi: per questa gli angeli, che sono puri spiriti, non ne hanna bisogno. Mentre gli angeli possono guardare l'uno all' altro attraverso lo specchio della verita divina (DVE I, 2, 3), la lingua umana riflette i contenuti mentali e razionali in specchi materiali:

Oportuit ergo genus humanum ad comunicandas inter se conceptiones suas aliquod rationale signum et sensuale habere: quia, CUlll de ratione accipere habeat et in rationem portare, rationale esse oportuit; cumque de una ratione in aliam nichil deferri possit nisi per medium sensuale, sensuale esse oportuit. Quare, si tantum rationale esset, pertransire non posset; si tantum sensuale, nee a ratione accipere nee in rationem deponere potuisset10• (DVE I, 3, 2)

Dato che ogni uomo e un individuo distinto rna non separato dagli altri, la lingua gli permette di comunicare contenuti indivi­duali. Ne i demoni ne gli animali ne hanno bisogno, dato che i primi gia conoscono la reciproca malvagita, i secondi non hanna individualita, e non hanno linguaggio rna suono, non <<locutio» rna <<VOX».

Et si obiciatur de hiis qui corruerunt spiritibus, dupliciter responderi potest: primo quod, cum de hiis que necessaria sunt ad bene esse tractemus, eos preterire debemus, cum divinam curam perversi expectare noluerunt; secundo et melius quod ipsi demones ad manifestandam inter se perfidiam suam non indigent nisi ut sciat quilibet de quolibet quia est et quantus est; quod quidem sciunt: cognoverunt enim se invicem ante ruinam suam.

10 [Fu dunque necessario che il genere umano per la mutua comtmicazione dei suoi pensieri avesse un segno insieme razionale e materiale: doveva essere razionale per ricevere il suo contenuto dalla ragione, e per riportarlo alia ragione; doveva essere materiale perche da una ragione ali'altra nulla puo essere trasferito senza una mediazione dei sensi. Per cui se il segno fosse solo razionale non potrebbe compiere il suo viaggio, se fosse solo sensua­le nulla potrebbe ricevere dalia ragione o restituire ad essa].

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IL «DE VULGAR! ELOQUENTIA» E L' ARTICOLAZIONE DEL MOLTEPLICE

Inferioribus quoque animalibus, cum solo nature instinctu ducantur, de locutione non oportuit provideri: nam omnibus eiusdem speciei sunt iidem actus et passiones, et sic possunt per proprios alienos cognoscere; inter ea vero que diversarum sunt specierum non solum non necessaria fuit locutio, sed prorsus dampnosa fuisset, cum nullum amicabile commertium fuisset in illis.

Et si obiciatur de serpente loquente ad primam mulierem, vd de asina Balaam, quod locuti sint, ad hoc respondemus quod angdus in ilia et dyabolus in illo taliter operati sunt quod ipsa animalia moverunt organa sua, sic ut vox inde resultavit distineta tanquam vera locutio; non quod aliud esset asine illud quam rudere, neque quam sibilare serpenti [ ... ]. Et si dicatur quod pice adhuc et alie aves locuntur, dicimus quod falsum est, quia talis actus locutio non est, sed quedam imitatio soni nostri vocis ; vd quod nituntur imitari nos in quantum sonamus, sed non in quantum loquimur. [. .. ]

Et sic patet soli homini datum fuisse loqui11• (DVE I, 2, 4-8)

La necessita di comunicare e di unire rappresentata dalla lingua, acquista dunque valore sullo s/ondo delle di/ferenze che distinguono e dividono l'uomo dall'uomo.

Nel chiedersi perche illinguaggio sia necessaria all'uomo, Dante propane come prima spiegazione proprio questa irrimediabile con­dizione «singolare" dell'uomo. La liguistica dantesca si fonda cosl su una antropologia straordinariamente modema. La lingua espri­me e mette in contatto le differenze

11 [E se si obbiettasse che alcuni angeli caddero dal cielo, si potrebbe rispondere in due modi. In primo luogo che quando discutiamo su cio che e necessaria per il retto vive­re dobbiamo lasciare gli angeli caduti da parte dato che, nella loro perversim, decisero eli non affidarsi alia grazia divina; in secondo luogo, e ancor meglio, che i medesimi demoni per manifestare vicendevolmente la propria per:fi.dia non hanno bisogno d'altro se non che ciascuno sappia 1' esistenza e il grado dell' altro. E questo lo sanno eli certo: si conobbero infatti a vicenda prima della loro rovina. I Non fu necessario fornire eli linguaggio neppu­re gli animali inferiori, retti solo dall'istinto naturale: infatti tutti gli appartenenti alia me­desima specie hanno i medesimi comportamenti e passioni, e possono cosi conoscere gli altri in se stessi; tra le specie diverse, invece, illinguaggio non solo non era necessario, rna sarebbe stato certamente dannoso, dato che tra eli loro non esisteva nessun rappotto ami­chevole. I E se si ricordasse il serpente che parlava alia prima donna, o 1' asina eli Balaam per obiettare che entrambi hanno parlato, a questo rispondiamo che qui un angelo, li un diavolo hanno mosso gli organi degli animali, sicche la voce che ne risulto era articolata come una vera lingua, ma che certamente l'asino non fece altro che ragliare e il serpente sibilare ... E se si dicesse che anche oggi le gazze e altri uccelli parlano, noi diciamo che e falso, perche illoro atto non e linguaggio, ma una qualche imitazione del suono della nostra voce; ovvero che certano eli imitarci nel fatto eli produrre suoni, non in quello eli parlare ... I E cosi e chiaro che solo ali'uomo e stato dato eli parlare].

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DANTE ALLE ORIGINI DELL'IDENTITA ITALIANA .

Cum igitur homo non nature instinctu, sed ratione moveatU:r, et ipsa ratio vel circa discretionem vel circa iudicium vel circa electionem diversificetur in singulis, adeo ut fere quilibet sua propria specie videatur gaudere, per proprios actus vel passiones, ut brutum animal, _neminem alium intelligere opinamur. Nee per spiritualem lqcutionem, ut angelum, alterum alterum introire contingit, cum grossitie atque opacitate mortalis corporis humanus spiritus sit obtectus12• (DVE I, 3, 1)

Nella splendida, emozionante visione dantesca, ogni uomo e una specie. A differenza di quelle animali (DVE I, 2, 5), le specie uma­ne pero devono unirsi e non combattersi, e proprio la lingua per­mette di creare un «amicabile commertium», una relazione di ami­cizia e solidarieta tra diversi.

In Dante la linguistica e dunque tutt'uno con l'antropologia. ll fatto che ogni individuo quasi costituisca una specie a se e privi­legio rna insieme condanna dell'uomo. L'istinto naturale che rego­la gli animali produce effetti simili (DVE I, 2, 5), rna- come si e visto nel passo sopra citato - la ragione che guida gli uomini si manifesta in forme diverse nei singoli riguardo all' analisi della realta («discretio»), alla sua valutazione (<<iudicium») e alla finale decisione («electio»). La ragione individuale produce insomma differenze nell'ambito sia conoscitivo sia deliberativo: differenze che proprio la lingua pone in contatto e in dialogo.

La lingua e dunque condizione primaria per fondare una socie­ta umana basata su vincoli che uniscano le differenze, senza annul­larle.

4. Questa prospettiva pluralistica guida 1' analisi con creta che Dante conduce sulle lingue europee e su quelle italiane entro un'ot­tica ben lontana dal municipalismo con cui oggi molti difendono i dialetti italiani. La lingua d' elezione non sara necessariamente la lingua appresa dall'individuo nella famiglia e nella comunita in cui l'individuo e nato, come se improvvisamente il piccolo villaggio di Pietramala fosse divenuto il centro dell'universo:

12 [Poiche dunque l'uomo non e guidato dall'istinto naturale, ma dal1a ragione, e Ia ragione stessa si diversifi.ca nei singoli sulla base della visione delle cose, o della loro valu­tazione, o delle scdte, tanto che sembra che ogni uomo abbia il privilegio di essere una specie a se, crediamo che nessuno possa comprendere l'altro sulla base dei propri ani o delle proprie passioni, come le bestie. Ne peraltro e possibile 'che l'uno penetri nell'altro con un discorso solo spirituale, come gli angdi, dato che lo spirito umano e gravato dal1a materialita e dall'opacita dd corpo mortale].

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IL «DE VULGAR! ELOQUENTIA» E L' ARTICOLAZIONE DEL MOLTEPLICE

In hoc, sicut etiam in multis allis, Petramala civitas amplissima est, et patria maiori parti filiorum Adam. Nam quicunque tam obscene rationis est ut loeum sue nationis delitiosissimum credat esse sub sole, hie etiam pre cunctis proprium vulgare licetur, idest matemam locutionem, et per consequens credit ipsum fuisse illud quod fuit Ade 13 • (DVE I, 6, 2)

Nella linguistica dantesca nessuno puo dirsi padrone della lin­gua umana. L' approdo estremo di questa posizione sara nella Divina Commedia la convinzione che neppure 1' ebraico possa es­sere considerato davvero la "lingua d'Adamo". Dira infatti Adamo:

La lingua ch'io parlai /u tutta spenta r innanzi che a 1' ovra inconsummabile fosse la gente di Nembrot attenta;

che nullo effetto mai razionabile, per lo piacere uman che rinovella seguendo il cielo, sempre /u durabzle.

Opera naturale e ch'om £avella; rna cosl o cosl, natura lascia poi fare a voi, secondo che v' abbella.

Pria ch' '1' scendesse a l'infemale ambascia, I s'appellava in terra il sommo bene onde vien la letizia che mi fascia;

e El si chiamo poi: e cio convene, che l' uso de' mortali e come fronda in ramo, che sen va e altra vene14•

La molteplicita sincronica delle lingue si accompagnera dunque a una molteplicita diacronica. Dante potra enfatizzare a pieno da un lato i mutamenti prodotti dall'uso linguistico (persino sulla lingua d'Adamo), dall'altro la tensione umana verso un'unita lin­guistica giustificata dal fondamento comune, ontologico della lin­gua, rna mai conquistata una volta per tutte, e mai capace di an­nullare la molteplicita prodotta dall' uso, anche prima della torre di Babele.

Nel De Vulgari Eloquentia Dante e ancora convinto chela lin-

u [In questo, come in molte altre cose, Pietramala diventa una citta immensa, e patria della maggior parte dei figli d'Adamo. Infatti chi ragiona in modo cosl aberrante da crede­re che illuogo della sua nascita sia il piii delizioso sotto il sole, allo stesso modo attribuisce il primato sugli altri volgari al proprio, ovvero alia lingua materna, e di conseguenza crede che proprio il suo sia quello gia parlato da Adamo].

14 Paradiso, XXVI, vv. 124-138. Si segue il testo critico della Divina Commedia stabilito da G. Petrocchi, Torino, Einaudi 1975.

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DANTE ALLE ORIGIN! DELL'IDENTITA l~A ·

gua eli Adamo sia l'ebaico (cfr. DVE I, 6, 5-7). L'approdo estremo della Divina Commedia si va pero gia preparando. Nessun volgare puo vantare un privilegio sugli altri - neppure il proprio - quando viene misurato su un panorama universale. Non c'e dubbio che al fonda del pensiero dantesco resti la passione campanilistica eli un uomo che ama quasi forsennatamente il luogo eli cui e «civis e oriundus». Eppure la vera patria dell'uomo per Dante non e una sola citta, ne una sola lingua. E il mondo la vera patria dell'uomo:

Nos autem, cui mundus est patria velut piscibus equor, quanquam Samum biberimus ante dentes et Florentiam adeo diligamus ut, quia dileximus, exilium patiamur iniuste, rationi magis quam sensui spatulas nostri iudicii podiamus. Et quamvis ad voluptatem nostram sive nostre sensualitatis quietem in terris amenior locus quam Florentia non existat, revolventes et poetarum et aliorum scriptorum volumina, quibus mundus universaliter et membratim describitur, ratiocinantesque in nobis situationes varias mundi locorum et eorum habitudinem ad utrunque varias mundi lorcorum et eorum habitudinem ad utrunque polum et circulum equatorem, multas esse perpendimus firmiterque censemus et magis nobiles et magis delitiosas et regiones et urbes quam Tusciam et Florentiam, uncle sumus oriundus et civis, et plerasque nationes et gentes delectabiliori atque utiliori sermone uti quam Latinos 15 . (DVE I, 6, 3)

La struggente separazione prodotta dall' esilio diventa, cosl, eli­stacco volontario, e si a pre un orizzonte universale in cui 1' altro conquista il primato rispetto al se. n tema del "distacco" attraver­sa infatti in profondita tutto il prima libra del De vulgari eloquen­tia affiorando in particolare negli scrittori che sono stati capaci -come Guinizzelli - eli allontanarsi dalla lingua materna, per ricer­carne una sovramunicipale e sovraregionale.

Da questa orizzonte derived nel De Vulgari Eloquentia l'idea culturale e linguistica eli un'Italia costruita trascendendo le realta municipali in una prospettiva globale e secondo una ragione sovra-

15 [Ma noi, che abbiamo per patria il mondo come i pesci hanno 1' acqua, anche se abbiamo bevuto le acque del Sarno prima di mettere i denti, e amiamo Firenze tanto che proprio per il nostro amore patiamo un ingiusto esillo, noi peseremo il nostro giudizio con Ia bilancia della ragione piuttosto che del sentimento. E benche non esista in terra un luogo che piu di Firenze ci dia piacere e appaghi i nostri sensi, eppure quando giriamo le pagine dei volumi dei poeti e di altri scrittori che descrivono il mondo nella sua totalita universale e nelle sue parti, e quando ragioniamo dentro di noi sulle diverse posizioni dei vari luoghi del mondo e sulle !oro diverse distanze dai poll e dall' equatore, ci convinciamo e fermamente condudiamo che ci sono molte regioni e citta piu nobill e piu piacevoli della Toscana e di Firenze].

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IL «DE VULGAR! ELOQUENTIA>> E L'ARTICOLAZIONE DEL MOLTEPLICE

locale. La tensione all'unita non can cella mai 1' esperienza delle pluralita nelle quali gli uomini e le case del mondo si presentano. L'Italia appare in se stessa come un mondo: un mondo nel quale nessuna forma, nessun soggetto, nessuna comunita puo imporsi cancellando le altre. Nessun volgare con un atto d'imperio puo cancellare gli altri e affermare la propria supremazia: neppure il fiorentino. E neppure l'ideale volgare che Dante ricerca nel prima libro del suo trattato annulla i volgari reali nei quali si articola la realtd italiana.

Molti volgari portano infatti traccia del volgare illustre. Quella italiana e un'identita che- per Dante- non cancella la varieta, rna la salva. Dopo 1' analisi dei volgari d'Italia, in un passo davvero memorabile, Dante puo infatti affermare che il volgare italiano esiste, rna non e in nessun luogo. Cio non vuol dire che non esiste, rna che e in ogni luogo, in ogni volgare. «In nessun luogo e in nessun tempo vi e una parte eli te o della tua eternita, rna tu sei tutto dovunque» aveva scritto Sant' Anselmo nel Proslogion. Cos! anche il volgare illustre non e nessun luogo rna e dovunque e tutto consacra:

Que quidem nobilissima sunt earum que Latinorum sunt actiones, hec nullius civitatis Ytalie propria sunt, et in omnibus comunia sunt: inter que nunc potest illud discemi vulgare quod superius venabamur, quod in qualibet redolet cz'vitate nee cubat in ulla. Potest tamen magis in una quam in alia redolere, sicut simplicissima subst11ntiarum, que Deus est, in homine magis redolet quam in bruto, in animali quam in planta, in hac quam in minera, in hac quam in elemento, in igne quam in terra [ ... ] Itaque, adepti quod querebamus, dicimus illustre cardinale, aulicum et curiale vulgare in Latio, quod omnis latie civitatis est et nullius esse videtur, et quo municipalia vulgaria omnia Latinorum mensurantur et ponderantur et comparantur16• (DVE, I, 16, 4-6)

Davvero, a partire da Dante, idealismo e realismo si fondono

16 [Ma le operazioni piu nobill tra quelle che compiono gli italiani, non sono proprie di nessuna citta d'Italia in particolare, e sono comuni a tutte:· tra di esse si puo ora indica­re que! volgare di cui gia andavamo alia caccia, que! volgare che sparge il suo profumo in ogni citta, rna non dimora in nessuna. Puo pero farsi sentire in una piu che in un'altra. Cosi Ia sostanza piu semplice, e cioe Dio, fa sentire il suo profumo piu nell'uomo che nel bruto, nell' animale piu che nella pianta, nella pianta piu che nel minerale, nel minerale piu che in un elemento semplice, nel fuoco piu che nella terra; .. E dunque siamo giunti a cio che cercavamo, e definiamo in ltalia volgare illustre, cardinale, aulico e curiale quello che e di ogni citta italiana e non par essere di nessuna, e in base a! quale tutti i volgari muni­cipali degli ltaliani vengono misurati e soppesati e comparati].

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DANTE ALLE ORIGIN! DELL'IDENTITA ITALIANA

non solo nella nostra scienza dellinguaggio 17, rna nell'identita che la cultura italiana elabora di se. E chiaro che anche il volgare illu­stre italiano, per Dante, non e che il riflesso del Verbum: il riflesso - doe - di un Dio che e Parola: un Dio che fonda tutte -le lingue, a cui tutte le lingue tendono, e che il De Vulgari Eloquentia invo­ca proprio in apertura (DVE I, 1, 1). Ebbene, le capacita fonda­mentali richieste per aderire al Verbum sono due: da un lato ade­rire a noi stessi, per ascoltare la verita che parla in noi, e dall'altro staccarci da noi e aderire agli altri per ascoltare la verita che par­lain loro.

Potrebbe esserci una prospettiva diversa in una trattazione de­dicata alia lingua? Potrebbe esserci una prospettiva diversa in una trattazione dedicata all'Italia, se non appunto questa sua definizio­ne e fondazione come articolazione del molteplice?

17 Cfr. il memorabile libro eli Nencioni G. (1946), Idealismo e realismo nella scienZ!l del linguaggio, Firenze, La Nuova ltalia (poi Pisa, Scuola Normale Superiore, 1989).

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KEVIN BROWNLEE

DANTE'S FRANCE

1. In the present essay, I would like to explore the complex issue of Dante's representation of France in the Commedia: that is, the great poem's construction and representation of a France in accord with its overall polemical, ideological, cultural, and poetic agendas. More specifically, I will be focusing in tum on the political, the ecclesiastical, and (to a lesser extent) the literary aspects of the France constructed in the Commedia 1•

As is so often the case with Dante, these agendas do not involve simple-mindedly monumental or univocal categories. There is no question of an inherent or "essentialist" Frenchness, which must be condemned as such by the complex ideological stance of the Commedia2• The great poem's critique of what it calls «France>> involves a set of key Dantean ideological perspectives. There is no category involving an inherendy wicked French national character, or a geographically specific malevolent French area. Rather, as I will attempt to show, the Commedia's absolute standard for determining the negative or positive valence of France in political, religious, and historical contexts is its relation to the two divinely sanctioned universal authorities - both centered at Rome - of the Empire and the Papacy. -To the extent that French political or ecclesiastical power challenges the centrality of Rome by attempting to substitute for it new centers of authority or legitimacy (namely, Paris in the political and Avignon [backed by Paris] in the

1 All citations of the Commedia are from the text of Giorgio Petrocchi as found in Singleton 1970-1975. Translations are from Singleton with sdective emendations.

2 Richard Cooper identifies this formerly conventional view, then moves beyond it in his important article The French Dimensron in Dante's Politics, esp. 168 (1997) .

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