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ALLA SCOPERTA DEL LAZIO
LA GEOGRAFIA Il Lazio una regione amministrativa dell'Italia
centrale di oltre 5 milioni di abitanti, con ca-poluogo Roma.
Confina a nord con la Toscana e l'Umbria, ad est con le Marche,
l'Abruzzo ed il Molise, a sud con la Campania ed ad ovest con il
Mar Tirreno. Il nome della regione richiama l'antico nome dato alla
regione dai Latini, progenitori degli antichi romani ed a lo-ro
volta cos chiamati perch stabilitisi su di un territorio largo
("latus" in latino). Il toponimo Lazio proviene dal latino Latium,
il nome dato alla regione dai Latini, che da essa presero il nome,
che a sua volta deriva da latus "largo", inteso anche come "paese
pianeggiante". Secondo le discusse tesi di Giovanni Semerano il
termine deriverebbe invece per aferesi della voce accadica illatum,
ellatum (che significa confederati), che avrebbe dato origine anche
al termine greco - ("Ellade"). L'etimologia farebbe pertanto
riferimen-to non tanto alla pianura laziale, ma alla confederazione
albana dei popoli latini.
Gli aspetti geologici Antichi vulcani e ampie pianure; coste di
sabbia e di roccia e mon-tagne innevate; isole dallimpronta
squisitamente mediterranea e al-topiani carsici; lagune salmastre
costiere e grandi laghi vulcanici; fiumi e torrenti che scorrono in
su-perficie oppure nel buio di grotte e tunnel sotterranei. Il
Lazio senza dubbio una delle regioni italiane con maggiore variet
di paesaggi naturali, da cui deriva un comples-so insieme di
situazioni climatiche e microclimatiche e di ecosistemi. Elemento
fondamentale nel defini-re le diverse morfologie del pae-saggio
laziale , come sempre, la
natura geologica del paesaggio stesso, a sua volta definita da
una lunga e affascinante storia di trasformazioni e mutamenti
avvenuti nel corso delle ere passate. Vicende geolo-giche che
attraverso processi violenti e improvvisi, come le manifestazioni
vulcaniche, op-pure lentissimi come laccumulo di sedimenti di varia
natura sul fondo di antichi mari, han-no fornito calcari, tufi,
dolomie e arenarie, rocce di ogni tipo che costituiscono la
"materia prima" per ledificazione del territorio laziale. "Materia
prima" che venne poi rimaneggiata da immani forze della crosta
terrestre e modellata, in modo diverso a seconda della natura e
composizione delle rocce, dai mari e dai venti, dalle acque
continentali e dai ghiacci, fino a trasformarsi in quel mosaico di
paesaggi di notevole bellezza che oggi caratterizzano il Lazio.
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IL TERRITORIO LAZIALE
1 Geologia del Lazio La geologia del territorio della Regione
Lazio risulta di indubbio interesse soprattutto per la innegabile e
notevole variabilit, litologica e cronostratigrafica delle
Formazioni presenti in affioramento: spostandosi da sud a nord o da
ovest ad est possibile passare dagli aspri rilievi montuosi
costituiti da calcari bianco-avana compatti e a giacitura massiva
alle dolci acclivit degli complessi vulcanici costituite da
alternanze di prodotti piroclastici e colate laviche; oppure,
lasciati alle spalle i sedimenti delle pianure alluvionali
costiere, attraversa-re imponenti edifici vulcanici per addentrarsi
nel cuore dellAppennino, caratterizzato da al-ternanze di calcari e
marne, sottilmente stratificati, e profondamente incisi - quasi
sempre al loro contatto - da profonde valli fluviali. Come
naturale, partendo da un prodotto grezzo cos differenziato, le
forze esogene - che provvedono al rimodellamento ed allevoluzione
della superficie terrestre - hanno potu-to contribuire a produrre
forme e morfostrutture altrettanto varie ed affascinanti, tali da
de-finire veri e propri paesaggi geologici e geomorfologici: dagli
altipiani carsici ai laghi vul-canici; dalle profonde valli
fluviali intraappenniniche alla ampia valle del Tevere; dalle dolci
ondulazioni delle dune costiere (antiche ed attuali) allimprovviso
torreggiare di coni di sco-rie allinterno o nella periferia degli
apparati vulcanici. Tutto ci spesso accompagnato dalla presenza
diffusa e multiforme dellelemento vitale per eccellenza - lacqua -
visibile, nei grandi bacini naturali di raccolta (i laghi) e nelle
sue vie di comunicazione (i fiumi), o nascosta, allinterno degli
immensi serbatoi carbonatici. Una tale eterogeneit geologica, una
sorta di geodiversit, sicuramente tra le pi spinte dellintera
penisola, pu essere affrontata in questa sede solo introducendo
evidenti e marcate schematizzazioni e semplificazioni.
I caratteri geologici Ad un primo esame dello schema geologico
riportato nella figura1, appare evidente come le formazioni deposte
durante lattivit vulcanica costituiscano il dominio geologico
relati-vamente pi rappresentato, coprendo circa il 33% del
territorio regionale e sviluppandosi lungo lasse longitudinale
della regione, in direzione NW-SE, dai confini con la Toscana si-no
alle porzioni nordoccidentali della provincia di Latina. IL
VULCANISMO DEL LAZIO che, parte della pi ampia Provincia vulcanica
tosco-laziale, si sviluppa a partire dalla fine del Pliocene dando
luogo dapprima ad una attivit dal chimismo da acido ad intermedio;
successivamente si sviluppano quattro distretti vul-canici
caratterizzati da rocce petrograficamente appartenenti alla serie
potassica, o ad alto contenuto in potassio, allineati da NW a SE e
seriati dal punto di vista cronologico.
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Il vulcanismo acido, rappresentato, in ordine cronologico, dai
complessi vulcanici di Tol-fa, Cerite e Manziate, costituiti
prevalentemente da unit ignimbritiche seguite da domi la-vici a
composizione da riolitico a quarzolatitica. Questi complessi si
sviluppano tra il mar-gine occidentale del distretto sabatino e le
unit alloctone liguridi, in corrispondenza del settore tirrenico
settentrionale della provincia di Roma. In parziale contemporaneit
del vulcanismo tolfetano-cerite (tra 2 e 1 M.A.) si verifica
lattivit delle Isole Ponziane nordoc-cidentali, Ponza, Palmarola e
Zannone: per le prime due evidenze geofisiche indicano una
evoluzione della attivit da sottomarina a subaerea, mentre per
Zannone pu essere indi-cata una attivit esclusivamente subaerea. I
prodotti pi recenti del vulcanismo acido sono rappresentati dai
Monti Cimini, la cui attivit compresa tra 1.35 e 0.8 M.A., periodo
du-rante il quale si registr la risalita lungo strutture tettoniche
regionali di magmi viscosi ed acidi che hanno formato in superficie
domi e cupole di ristagno. Il Vulcanismo potassico rappresentato -
a partire dal confine con la Toscana - dal Di-stretto Vulsino.
Attivo a partire da circa 0.8 M.A., esso caratterizzato dalla
presenza in posizione baricentrale di una ampia depressione
vulcano-tettonica, attualmente occupata dal Lago di Bolsena.
Lattivit del distretto vulsino, si sviluppa attraverso quattro
centri principali (denominati Paleobolsena, Bolsena, Montefiscone e
Latera), dislocati - proba-bilmente - lungo i principali sistemi di
fratture. Tra questi lultimo rappresenta ledificio cen-trale pi
importante, il cui svuotamento della camera magmatica ha prodotto
il collasso calderico ben visibile dalla morfologia di superficie
attuale. Lattivit mista e porta alla messa in posto di lave, colate
piroclastiche e prodotti idromagmatici. Immediatamente a sud dei
Vulsini, si sviluppa lattivit del Distretto Vicano, in un arco
temporale compreso tra 800.000 e 90.000 anni dal presente. Dal
punto di vista vulcanolo-gico siamo di fronte ad un edificio
centrale, morfologicamente tipico (stratovulcano), con la parte
terminale delledificio troncata dalla caldera. Lattivit si
manifesta attraverso lalternanza di quattro fasi di emissione,
caratterizzate nellordine dalla pi antica alla pi recente da
ingenti quantit di piroclastiti da ricaduta, da imponenti colate
laviche, da atti-vit esplosiva e grandi colate piroclastiche sino,
nellattivit terminale, alla messa in posto di prodotti
idromagmatici la cui genesi fortemente condizionata dalla presenza
del bacino lacustre generatosi al centro della cinta calderica.
Spostandosi ulteriormente verso SE, lambientazione geologica del
Pleistocene medio si arricchisce di un nuovo Distretto vulcanico,
quello Sabatino, che interessa una porzione di territorio ben pi
ampia del Vulcano di Vico, e manifesta la sua attivit pressoch in
con-temporanea (da oltre 600.000 a circa 40.000 anni fa). Il
vulcanismo mostra sin dallinizio forti caratteri esplosivi, e dopo
aver esordito nel settore orientale dellarea (edificio di
Morlupo-Castelnuovo di Porto) si sposta verso ovest edificando
limponente struttura di Sacrofano, forse la pi importante dei
Sabatini, per durata dellattivit e volumi di materiali eruttati (le
colate piroclastiche sono presenti sino a pi di 40 km dal centro di
emissione, e le rinveniamo tuttora in affioramento nel settore nord
della citt di Roma). Placatosi il cen-tro di Sacrofano, lattivit
dei Sabatini si riposiziona nel settore orientale, con i tuff-ring
di Monte Razzano e Monte SantAngelo ed, infine, con, il centro di
Baccano, la cui attivit cessa intorno ai 40.000 anni fa. Il pi
meridionale dei distretti vulcanici a struttura centrale presenti
nella nostra Regione rappresentato dal Vulcano Laziale o Complesso
vulcanico dei Colli Albani. Questo occupa una posizione
particolarmente significativa nellambito dellassetto strutturale
della Catena Appenninica: confina a nordovest con le Unit
Meso-cenozoiche alloctone dei Monti del-la Tolfa, a sud con i
terreni di piattaforma carbonatica dei Monti Lepini, ad est con le
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cessioni Meso-cenozoiche dei Monti Prenestini e Tiburtini, oltre
che, sempre verso nord, con laltro importante sistema vulcanico dei
Sabatini. La formazione dellapparato ha avuto inizio tra i 500.000
e i 600.000 anni fa, mentre i prodotti pi recenti sono stati datati
a circa 20.000 anni fa; in questo periodo sono state emesse coltri
di depositi vulcanici estesi su una superficie di circa 1500 Km2
(da poco a sud della Bassa Valle del Tevere, sino alla Pianura
Pontina): allinterno della provincia magmatica romana, i Colli
Albani sono lapparato vulcanico caratterizzato dalle maggiori
dimensioni e - tra i vulcani centrali - dal maggior volume di lava
e di prodotti piroclastici eruttati (circa 290 Km3). Come per gli
altri vulcani, anche per i Colli Albani si possono individuare
varie fasi di attivit principali inter-vallate da periodi di stasi:
il vulcano esordisce con la Fase Del Tuscolano Artemisio che occupa
quasi met dellintera vita del vulcano (da circa 600.000 a circa
300.000 anni fa) e ha dato luogo alla messa in posto di 200 Km3
(circa il 70% del totale) durante quattro cicli che prendono il
nome di I, II, III e IV Colata Piroclastica del
Tuscolano-Artemisio; lattivit caratterizzata da eruzioni esplosive
parossistiche con messa in posto, principalmente, di ignimbriti,
con effusioni laviche e depositi di ricaduta intercalati tra i
principali eventi erutti-vi. A seguire, tra i 300.000 ed i 200.000
anni fa, lattivit procede col la Fase Dei Campi Di Annibale (o
delle Faete): caratterizzata da attivit mista allinterno dellarea
calderica del Tuscolano-Artemisio, risulta sicuramente meno
importante della prima, soprattutto se si considera la quantit
totale di materiale eruttato (poco pi di 2 Km3 ). Lattivit del
com-plesso vulcanico del Colli Albani si conclude con una fase
legata principalmente alle inte-razioni tra il magma residuo e
lacqua (Attivita Idromagmatica Finale): esplosioni caratte-rizzate
da energie veramente notevoli, provocano la formazione di tutta una
serie di crateri eccentrici, pi o meno allineati in direzione nord
- sud, i pi importanti dei quali (anche sot-to il profilo
paesaggistico) sono quelli di Ariccia, Nemi ed Albano, ai quali si
aggiungono quelli di Prata Porci, Castiglione, Pantano Secco, Valle
Marciana e Giuturna. Le ultime da-tazioni disponibili indicano che
i prodotti pi recenti di questa ultima fase sono rappresen-tati dai
materiali eruttati dal cratere di Albano, e risalgono a circa
20.000 anni fa. Passando in visione attraverso un criterio
cronostratigrafico - gli altri domini geologici rappresentati nel
territorio del Lazio, va dapprima evidenziata la presenza di un
limitato af-fioramento del BASAMENTO METAMORFICO di et Paleozoico
superiore Triassico, in corrispondenza del medio tratto del F.Fiora
al confine con la Toscana (Monti Romani). Si tratta di rocce a
basso grado di metamorfismo (filladi, quarziti micacee e
metaconglomera-ti) fortemente alterate dallattivit tettonica. Unico
altro sito in cui il basamento affiora nel Lazio lisola di Zannone,
con un piccolo lembo di terreni triassici (quarziti). LA DORSALE
APPENNINICA. Altro grande dominio geografico-geologico che
caratte-rizza il territorio della Regione Lazio costituito dalla
dorsale appenninica, che - nel suo insieme copre un altro 30% circa
della superficie della regione. Tale macrosistema prevalentemente
rappresentato da sedimenti carbonatici di et mesozoica deposti in
diffe-renti ambienti di sedimentazione. Alla scala del presente
lavoro, sufficiente individuare due grandi domini sedimentari, che
hanno dato luogo alla formazione di serie stratigrafiche
differenziate ed oggi nettamente individuabili sul terreno: una
appartenente al Dominio di Piattaforma Carbonatica ed una afferente
al Dominio di Transizione verso il bacino Pelagi-co. La prima nota
in letteratura geologica con il nome di Serie Laziale Abruzzese, ed
geograficamente individuata da due allineamenti montuosi: uno pi
interno, rappresentato dai Monti Simbruini Monti Ernici Monte
Cairo, e laltro prossimo alla linea di costa tirre-nica e
rappresentato dalla struttura dei Monti Lepini Monti Ausoni Monti
Aurunci. Le due dorsali, sviluppate in direzione NW-SE, sono
separate da una fascia morfologicamen-te e strutturalmente
ribassata costituita dalla Valle Latina dove il basamento calcareo
risul-ta coperto da coltri di varia potenza di depositi terrigeni
sintettonici (Formazione di Frosi-
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none), da depositi marini e continentali Plio-Pleistocenici ed,
infine, da depositi alluvionali recenti (Olocene Pleistocene). Dal
punto di vista litostratigrafico questa serie di piatta-forma
persistente costituita da una potente e monotona pila di sedimenti
calcarei e cal-careo-dolomitici, che vanno dai pi antichi calcari e
dolomie del Triassico superiore (For-mazione di Filettino),
attraverso potenti spessori (migliaia di metri) di calcari,
calcareniti e calciruditi depostisi lungo tutto il Giurassico e
Cretacico sino alla prima Epoca cenozoica (Paleocene) per finire
con i calcari organogeni di mare poco profondo del Miocene medio.
Dal punto di vista strutturale e tettonico lazione orogenetica che
ha prodotto lattuale as-setto e posizionamento delle due dorsali
carbonatiche di piattaforma citate si svolta pre-valentemente nel
periodo Neogenico (Tortoniano Messiniano); come in altre aree
dellAppennino, probabilmente anche in questo settore la tettonica
compressiva si svi-luppata in diverse fasi, a partire dal settore
lepino-ausono-aurunco per arrivare, nella fase messiniana, a quello
ernico-simbruino. In sostanza, lattuale assetto strutturale si
venuto a determinare per la migrazione nel tempo del sistema
orogenico (catena-avanfossa-avampaese) dai settori occidentali
verso quelli orientali1. Laltro grande domino appenninico presente
nella nostra regione costituito dal Dominio di transizione, ossia
da quella serie di sedimenti che si sono deposti in una fascia di
tran-sizione, dal punto di vista paleogeografico ed ambientale, tra
le aree di piattaforma carbo-natica (mare sottile) e le aree
pelagiche, ossia caratterizzate da mare aperto e profondo. Il
carattere transizionale di questi depositi sedimentari determinato
dal fatto che il mate-riale proveniente dalla piattaforma si
mescola con il materiale del bacino pelagico in corri-spondenza di
una scarpata morfologica sottomarina. Ad una scala geologica pi
ampia, che prenda in considerazione anche porzioni di territorio
fuori dalla regione, il Dominio pe-lagico rappresentato dalla Serie
Umbro-Marchigiana; ci che affiora allinterno del Lazio invece la
Serie di transizione, ben rappresentata nei Monti Prenestini e nei
Monti Sabini. Dal punto di vista litostratigrafico, la colonna tipo
delle Unit di Transizione risulta meno uniforme e monotona di
quella delle Unit di piattaforma cabonatica: al di sopra delle
eva-poriti triassiche, infatti, troviamo dapprima la formazione del
Calcare massiccio del Giu-rassico inferiore, seguito
stratigraficamente dalle formazioni giurassiche lacunose dovute
agli alti morfostrutturali e costituite da calcari nodulari, marne
calcaree e micriti; in facies eteropica rispetto ai precedenti, ma
con una et che si estende sino al Cretacico inferiore troviamo i
calcari, calcari marnosi, marne e marne argillose spesso selciferi
contenenti depositi calcareo-clastici provenienti dalla Piattaforma
Laziale-Abruzzese; il periodo com-preso tra il Cretacico inferiore
ed il Miocene inferiore rappresentato sempre da rocce
calcareo-marnose o schiettamente marnose, a luoghi selcifere,
conosciute nella letteratura geologica con i nomi di Formazioni del
Bisciaro, della Scaglia cinerea, della Scaglia e delle Marne a
Fucoidi; la serie di transizione si chiude al tetto con argille
marnose (Mar-ne a Pteropodi Auct.) e marne calcaree emipelagiche
con intercalazioni di calcari risedi-mentati (Marne con Cerrogna e
Formazione di Guadagnolo Auct.) che arrivano sino al Miocene
superiore. Dal punto di vista della strutturazione della Catena
Appenninica, anche il Dominio Sabino pu essere divise in unit
interne ed esterne, in funzione della fase tem-porale in cui
avvenuta la loro deformazione: mentre il settore dei Monti
Prenestini-Monti Tiburtini-Monti Lucretili- Monti Cornicolani ha,
infatti, subito le spinte orogenetiche nel Tor-toniano, la restante
porzione (Monti Ruffi-Monti Sabini orientali-Monti Reatini) ha
preso parte alla formazione della Catena Appenninica solo nel
Messiniano. Una fase tettonica compressiva successiva a quella
messiniana si avuta, poi, nel Pliocene inferiore interes-sando
queste porzioni di crosta gi coinvolte nella catena appenninica; le
superfici di so-vrascorrimento di questa ultima fase non possono
essere inseriti nella dinamica spazio-temporale con cui si sono
sviluppati i fronti di accavallamento della catena, e sono
pertan-to indicati come sovrascorrimenti fuori sequenza. Lelemento
principale di questi rap-
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presentato dal fronte Olevano Antrodoco, il pi esterno della
Falda Sabina, che rappre-senta pertanto il lineamento di
separazione tra il Dominio di transizione ed il Dominio di
Piattaforma. Successivamente alla fase orogenica durante la quale
si venuto a costruire ledificio a falde sovrapposte dellAppennino
(due delle quali sono per l'appunto la Serie di Transizio-ne e la
Serie Laziale Abruzzese) si attivata una tettonica distensiva,
connessa con lo svi-luppo del Bacino Tirrenico, durante la quale
allinterno delle falde impilate si sono create fasce ribassate
(Fosse tettoniche o Graben) invase dal Mare Tirreno nel
Plio-Pleistocene. In tali bassi strutturali si imposta, quindi, una
fase di sedimentazione, con complete sequenze trasgressive
(argille-sabbie-conglomerati) note in letteratura scientifica come
CICLO NEOGENICO (in relazione allet) o Ciclo Sedimentario
Postorogenico (in relazione alla causa che ha prodotto le aree
ribassate su cui ingredito il mare). I sedi-menti terrigeni di
questo ciclo sono diffusamente presenti nei Bacini intramontani, in
parti-colare nella porzione terminale del Bacino Tiberino (Graben
del Tevere), del Bacino reati-no-cigolano e nella parte terminale
della Valle Latina (limiti SE della Regione). I sedimenti pi
recenti in affioramento nella Regione Lazio sono rappresentati dai
DEPOSITI QUATERNARI che costituiscono le Pianure Costiere ed i
fondi alluvionali delle valli fluviali. Tra i depositi recenti,
maggiore interesse dal punto di vista geologico-geografico
rivestono le Pianure costiere, ed in particolare lAgro Pontino;
queste sono co-stituite in affioramento da una fascia di depositi
eolici (sabbie con orizzonti argillificati di paleosuoli) che
rappresentano i cordoni dunari antichi e recenti; con una larghezza
sino a qualche chilometro, separano dalla costa i depositi pi
interni, di origine fluvio-palustre e di natura limo-argillosa. Una
collocazione autonoma trovano i terreni flyschiodi a forte
alloctonia delle UNITA LIGURIDI E SICILIDI. Le formazioni
appartenenti a tali Unit, costituite da marne, argilliti, calcari
marnosi ed arenarie, sono di et compresa tra il Cretacico superiore
e lOligocene, e si tratta di flysch legati alla messa in posto di
una precedente e precoce catena al termi-ne della chiusura del
bacino ligure-piemontese. Nel territorio della Regione Lazio queste
unit sono significativamente rappresentate in affioramento in tutto
il settore dei Monti del-la Tolfa, in particolare con una
successione argillitica con intercalazioni silicee, calcaree,
marnose ed arenacee.
2 Geomorfologia del Lazio Una breve descrizione del paesaggio
fisico del Lazio pu partire dalle grandi Unit o Do-mini geologici
sopra descritti: i caratteri geologici comuni allinterno di
ciascuno di loro o al contrario le differenze reciproche, hanno
infatti chiaramente influenzato lazione degli agenti esogeni,
modellatori della superficie terrestre (gli agenti atmosferici, le
acque cor-renti, il mare, i ghiacci). Le grandi strutture
geomorfologiche sono, pertanto, praticamente coincidenti con le
Unit o Domini geologici individuati: i grandi distretti vulcanici,
le pianure costiere, le dorsali appenniniche carbonatiche
Lepino-ausono-aurunca e Simbruino-ernica e la relativa valle di
separazione (la Valle Latina), le dorsali calcareo-marnose pi
disarti-colate delle precedenti della Sabina, la porzione terminale
dalla Valle Tiberina. Allinterno di queste grandi strutture
geomorfologiche si raggiungono situazioni di uniformit e tipicit
tali da poter definire, in alcuni casi, veri e propri morfotipi
caratteristici, tra i quali si posso-no elencare:
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I distretti vulcanici acidi: caratterizzati da ampi ripiani
ignimbritici dai quali si innal-zano con fianchi relativamente
ripidi i rilievi lavici cupoliformi (domi).
I distretti vulcanici alcalino-potassici caratterizzati da
attivit centrale (Vico e Colli Albani): si individuano edifici
centrali ben sviluppati, di dimensioni notevoli nei Colli Albani,
con la tipica forma conica troncata nella porzione superiore e
fianchi a debo-le pendenza. In corrispondenza delle aree sommitali
si individuano le ampie de-pressioni dovute a collassi
calderici.
I distretti vulcanici alcalino-potassici caratterizzati da
attivit areale (Vulsini e Saba-tini): sono morfologicamente pi
tabulari dei precedenti e caratterizzati dalla pre-senza di molti
centri di emissione sparsi nellarea. Entrambi sono caratterizzati
dalla presenza di una depressione vulcano-tettonica occupata da un
bacino lacustre, da depressioni calderiche eccentriche (Latera per
i Vulsini; Sacrofano e Baccano per i Sabatini) e da numerosi centri
di emissione diffusi e morfologicamente ben indivi-duabili (coni di
scorie).
Il reticolo idrografico di tutti i distretti vulcanici laziali
risulta fortemente caratterizzan-te, oltre che per il pattern di
drenaggio (per lo pi centrifugo) soprattutto per le pareti vallive
fortemente acclivi (spesso subverticali) e gradonate, per
lalternanza fitta di litologie a diversa competenza (lave e
piroclastiti); i fondi vallivi sono spesso appiat-titi da fenomeni
di sovralluvionamento conseguenti al sollevamento eustatico del
li-vello marino e al ritiro dei ghiacci.
Il carsismo di superficie. Nel Lazio il modellamento legato a
fenomeni carsici mol-to spinto, e sono diffusi tutti i tipi di
strutture di superficie dalla scala macroscopica a quella
microscopica. Tra le prime sono molto diffusi i bacini carsici,
ampie depres-sioni dalle dimensioni dellordine del km2 con tipiche
forme a conca o allungate, a volte costituiti dalla coalescenza di
diversi bacini minori (es.: Bacino di Pastena nei Monti Ausoni).
Tra i bacini pi importanti per dimensioni e forma si ricordano
quelli dei Monti Ausoni-Aurunci (Pantano di Lenola, Campo Soriano,
Piano delle Saure, Piano del Campo, Conca di Campodimele) e gli
Altipiani di Arcinazzo nei Monti Ernici. Allinterno di questi
bacini si sviluppano tutte le mesoforme carsiche caratteristiche:
doline, lapiez, campi carreggiati, etc.
Il carsismo ipogeo. Altrettanto sviluppato e studiato il
carsismo ipogeo della Re-gione Lazio, con circuiti carsici di
inghiottitoi, pozzi e gallerie lunghi anche alcuni chilometri. Si
ricordano a tal proposito le cavit presenti nel settore dei Monti
Pre-nestini Monti Affilani; le Grotte di Pastena negli Ausoni;
linghiottitoio di Pietrasec-ca nei Monti Carseolani ed i circuiti
della dorsale dei Lepini.
Assetto idrografico La rete idrografica del territorio laziale
sostanzialmente rappresentata da due sistemi principali: quello del
F. Tevere, per larea settentrionale e quello del F. Liri
Garigliano, per larea meridionale. Il F. Tevere, con una superficie
totale del bacino di circa 17.200 km2 (di cui circa il 60% ri-cade
nel Lazio), rappresenta la principale via dacqua della regione. In
questo ambito terri-toriale, il tratto iniziale ha un andamento
appenninico (NW-SE) lungo il quale, in riva de-stra, il fiume
raccoglie le acque dei versanti orientali degli apparati vulcanici
vulsino, cimi-no, vicano e sabatino. In riva sinistra, attraverso
il F. Nera riceve il contributo consistente di alcune importanti
strutture carbonatiche appenniniche (Monti Sabini, Monti Reatini,
Monti Cicolani). Approssimativamente allaltezza della confluenza
con il F. Farfa, il F. Te-vere muta direzione ed assume un
andamento quasi trasversale al precedente (NNE-SSW); in questo
tratto in destra idrografica riceve il drenaggio del reticolo dei
versanti me-
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ridionali dellapparato sabatino mentre in riva sinistra
rilevante il contributo del F. Aniene che drena, oltre allintera
struttura simbruina, i versanti settentrionali dei Monti Prenestini
e dei Colli Albani. Come risulta anche dallo schema idrogeologico
riportato in Figura 8.2 (per quanto di estrema sintesi), si osserva
una profonda differenza dellassetto idrografico dei territori in
riva destra ed in riva sinistra; questa differenza dovuta alle
differenti modalit di scorrimento degli apparati vulcanici,
caratterizzati da un fitto reticolo idrografico svilup-pato con
andamenti centrifughi, rispetto a quelle delle strutture
carbonatiche, a loro volta caratterizzate da una densit di
drenaggio inferiore e con andamenti direttamente collegati ai
lineamenti geologico-strutturali. Il bacino del F. Liri Garigliano
ha una superficie complessiva di circa 4.900 km2 dei quali circa
3.750 km2 interessano il Lazio. Il maggior affluente di sinistra il
F. Sacco che scor-re nellampia Valle Latina, a prevalente andamento
NW-SE; il F. Liri in riva destra riceve dapprima il contributo del
F. Melfa e successivamente quello del F. Gari, dopo la cui
con-fluenza muta drasticamente direzione e prende il nome di
Garigliano. Nellinsieme il retico-lo di questa porzione di
territorio ha uno schema di tipo rettangolare, sostanzialmente
con-trollato da lineamenti tettonici ad andamento appenninico
(NW-SE) ed antiappenninico (NE-SW). Anche in termini di deflusso
idrico superficiale il F. Tevere ed il F. Liri-Garigliano
fornisco-no alla regione il contributo maggiore, infatti pi dell80%
del deflusso totale medio di ac-que continentali raggiunge le coste
del Lazio e si riversa a mare attraverso questi due fiu-mi. Il
regime di portata del F. Tevere si differenzia nettamente tra la
porzione settentrionale del bacino, che pu essere considerata
schematicamente esterna al territorio regionale, posta a monte
della confluenza con il F. Nera, e la porzione meridionale posta a
valle della stessa confluenza. Nel porzione settentrionale del
bacino prevalgono affioramenti di litolo-gie poco permeabili che
determinano un regime fortemente legato al ruscellamento e quindi
alla distribuzione ed allentit delle precipitazioni. Nel settore
meridionale, lungo il confine regionale, il regime di portata del
fiume muta drasticamente per effetto dei contri-buti del sistema
Nera-Velino che, drenando gli acquiferi delle strutture
carbonatiche ap-penniniche, determina il notevole incremento e la
sensibile stabilizzazione della portata. Pi a valle la confluenza
con il F. Aniene contribuisce ulteriormente allaumento ed alla
stabilizzazione del deflusso. Nellambito del bacino idrografico del
F. Liri Garigliano le caratteristiche di permeabilit e gli
andamenti morfo-topografici, prevalentemente rappresentati da
depositi di piattaforma carbonatica, determinano unelevata
infiltrazione efficace e conseguentemente lo scarso sviluppo del
reticolo idrografico e basso ruscellamento (Fig.8.2). Il regime di
deflusso del F. Liri Garigliano, alimentato da grandi sorgenti
degli acquiferi carbonatici risulta quindi particolarmente stabile,
ad eccezione del F. Sacco, privo di emergenze particolarmente
si-gnificative. I bacini minori del Lazio assommano ad una
superficie dellordine di 6.300 km2; in termini di deflusso medio
verso mare essi non superano il 20% circa del totale con un
contributo stimato di circa 75 mc/sec, comprensivo delle perdite
verso mare delle sorgenti sottomari-ne. Partendo dal limite
settentrionale e scendendo lungo costa i corsi dacqua principali
sono: F. Fiora (sup. totale del bacino pari a 826 km2 solo
parzialmente compreso nel territorio regionale), F. Marta (1071
km2), F. Mignone (496 km2), F. Badino (708 km2). Il bacino
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del F. Fiora impostato su formazioni geologiche mediamente poco
permeabili, rappre-sentate da flysch e da terreni di origine marina
argilloso-sabbiosi, presenta un regime idro-logico, coerente con la
natura litologica degli affioramenti, caratterizzato da
ruscellamento elevato nelle stagioni autunnali-invernali con
portate 3- 4 volte superiori a quelle estive. I terreni che
costituiscono il bacino imbrifero del F. Marta sono essenzialmente
di natura vulcanica e solo verso la costa sono rappresentati da
depositi argillosi recenti. Essendo lemissario del lago di Bolsena,
il quale drena la gran parte dellapparato vulcanico vulsino, nel
tratto alto del proprio percorso il F. Marta ha un regime di
deflusso confrontabile con quello delle grandi sorgenti lineari e
puntuali dellItalia Centrale. Proseguendo verso mare,
nellattraversare terreni a minore permeabilit, la portata del fiume
risente in modo apprez-zabile del ruscellamento specie nei periodi
piovosi. Nel bacino del F. Mignone prevalgono affioramenti poco
permeabili rappresentati da flysch e depositi marini
argilloso-sabbiosi, mentre i prodotti vulcanici sabatini,
maggior-mente permeabili, risultano subordinati. Il deflusso idrico
chiaramente influenzato dal ru-scellamento che determina un regime
fortemente impulsivo con episodi di piena molto rile-vanti ed a
rapido esaurimento. Il F. Badino costituisce il tratto terminale di
un sistema idrografico che comprende il F. Amaseno, il F. Ufente ed
il Canale Linea Pio. In particolare per lUfente ed il Linea Pio, il
deflusso in massima parte originato dal regime delle grandi
sorgenti alimentate dalle strutture carbonatiche dei Monti Lepini,
poste al contatto tra i rilevi ed i depositi limoso-argillosi della
Pianura Pontina. A queste si aggiunge il contributo delle emergenze
che ali-mentano il tratto alto del F. Amaseno; queste ultime, a
regime nettamente carsico, hanno per questo motivo carattere
impulsivo e forniscono un apporto limitato. Alla componente di
flusso delle sorgenti puntuali e lineari, poste in prossimit del
bordo nord orientale della Pianura Pontina, si sommano i contributi
delle acque meteoriche e di drenaggio laterale, raccolte da una
fitta rete di canali di bonifica che attraversa terreni
limoso-torbosi, topogra-ficamente depressi.
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Fig. 8.1
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Fig. 8.2
3 Lineamenti della flora e vegetazione del Lazio Il paesaggio
vegetale laziale molto variegato ed i fattori che determinano tale
variabilit sono, in particolare, il clima e la geomorfologia. Il
clima articolato e si rinvengono, a secondo della distanza dalla
costa, caratteri di tipo mediterraneo o temperato. Le varie
vicissitudini geologiche hanno contribuito alla forma-zione di
diversi tipi litologici. I pi diffusi sono rappresentati dalle
rocce calcaree della piat-
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taforma carbonatica Laziale-Abruzzese, dalle rocce
calcareo-argillose della successione Umbro-Marchigiana-Sabina, dai
complessi vulcanici a magmatismo alcalino potassico, dalle
arenarie, sabbie, limi e argille. Le attivit antropiche, che si
espletano soprattutto, a livello basale e collinare,
contribui-scono ad aumentare la variabilit della flora e della
vegetazione. La flora del Lazio (Anzalone, 1984) conta circa 3000
entit, pi del 50% della flora italiana (5599, secondo Pignatti,
1982), distribuite in 898 generi e 161 famiglie. Le famiglie pi
rappresentate sono Compositae (370), Graminaceae (283), Leguminosae
(270), Cruciferae (149), Caryophyllaceae (130), Umbelliferae (128)
e Labiatae (103). Il ge-nere pi numeroso Trifolium con 55 entit. Le
specie rare e rarissime costituiscono il 29% del patrimonio
floristico, quelle molto co-muni il 30% e quelle comuni il 19,2%.
Quindi quasi un terzo della flora costituita da spe-cie a
diffusione limitata, a conferma del notevole valore della flora del
Lazio. Anche la flora officinale, che raggiunge il 26.2%,
ampiamente rappresentata. Le principali formazioni del paesaggio
vegetale laziale
Vegetazione psammofila A causa della forte pressione antropica a
cui sono soggetti i nostri litorali, ormai non pi possibile
osservare la successione tipica delle fitocenosi psammofile. In
generale manca quasi sempre almeno una componente della serie e
queste, spesso, si distribuiscono in strutture a mosaico. Il
corteggio floristico presenta numerose specie caratteristiche di
tali habitat. La comparsa di piante di altri ambienti subordinata
alla presenza di attivit antropiche. Gli esempi pi belli di tale
vegetazione si hanno a Castelporziano ed al Circeo. A partire dalla
fascia afitoica, quella pi prossima al mare, si sviluppa una
associazione pioniera composta prevalentemente di terofite, quali
Cakile maritima, Salsola kali e Xan-thium italicum
(Salsolo-Cakiletum aegyptiaceae), che costituiscono consorzi
effimeri, frammentari ed a scarsa copertura. A seguire presente
sulla duna embrionale una fascia dominata da Agropyron junceum che
con i suoi rizomi costituisce il primo tentativo di stabilizzazione
della sabbia. Tale ce-nosi ascrivibile all'associazione Sporobolo
arenarii-Agropyretum juncei. Proseguendo verso l'interno, sulle
dune mobili, la vegetazione dominata da Ammophila littoralis,
graminacea cespitosa capace di opporsi al seppellimento da parte
della sabbia e di favorire laccumulo della stessa, contribuendo in
tal modo a una maggiore stabilit della duna. Le comunit vegetali
presenti fanno parte dell'associazione Echinophoro
spinosae-Ammophiletum arenariae. Nel versante retrodunale, ove le
condizioni ecologiche sono pi favorevoli allo sviluppo della
vegetazione in quanto la salsedine ed i venti provenienti dal mare
trovano una barrie-ra nei cordoni dunali pi elevati e consolidati,
si sviluppano consorzi caratterizzati da Cru-cianella maritima
ascrivibili al Crucianelletum maritimae.
Vegetazione rupestre litoranea Nella parte costiera meridionale
della regione (Circeo, Sperlonga, Monte Orlando), sono presenti
morfotipi rupestri, ove si rinvengono specie endemiche e/o di
limitata distribuzione di particolare interesse tra le quali
Centaurea cineraria ssp. circae, Helichrysum litora-neum,
Chamaerops humilis (palma nana), Campanula fragilis, Scabiosa
holosericea, Li-monium amyncleum e
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L. circaei. Le comunit vegetali pi significative legate alle
falesie marine rientrano nell'as-sociazione Crithmo-Limonietum.
Macchia E' costituita da elementi arbustivi sempreverdi che danno
luogo a formazioni per lo pi im-penetrabili. In generale
costituiscono fitocenosi in relazione seriale di degradazione o di
recupero con le foreste sempreverdi mediterranee. Le specie che
caratterizzano tali co-munit sono Quercus ilex (leccio) arbustivo,
Pistacia lentiscus (lentisco), Myrtus commu-nis, (mirto), Rhamnus
alaternus, (alaterno), Daphne gnidium, Juniperus oxycedrus ssp.
macrocarpa, (ginepro coccolone) J. phoenicea (ginepro feniceo),
Calicotome spinosa (sparzio villoso), Olea europaea var.oleaster
(oleastro) Phyllirea angustifolia (fillirea) Ci-stus salvifolius
(cisto femmina), C. monspeliensis (cisto di Montpellier) ed
Euphorbia den-droides. A seconda delle specie dominanti si
distingue:
macchia a ginepro coccolone e ginepro fenicio (Juniperetum
macrocarpae-phoeniceae) diffusa a Sabaudia, Torvaianica e
Castelporziano;
macchia a olivastro e lentisco (Oleo-Lentiscetum) presente al
Circeo, nelle isole Ponziane ed ai piedi dei M. Lepini;
macchia a mirto e calicotome (Calicotomo-Myrtetum) segnalata nel
Lazio setten-trionale;
macchia a oleastro ed euforbia arborescente (Oleo-Euphorbietum
dendroides) con-finata sul promontorio del Circeo.
Foresta sempreverde mediterranea Si tratta di fitocenosi quali
la lecceta costiera, la lecceta collinare ad orniello e la
sughereta tirrenica, tipiche della fascia mediterranea. Le
relazioni seriali di tali comunit, in particola-re della lecceta
possono essere sintetizzate secondo lo schema: foresta > macchia
> gariga Gli agenti che determinano tale dinamismo sono il
fuoco, la ceduazione e il pascolo.
Lecceta costiera (Viburno-Quercetum ilicis) La foresta di
latifoglie sempreverdi climatogena, diffusa soprattutto
nellambiente costiero (da Civitavecchia ai M. Aurunci) e sul M.
Soratte, costituisce l'aspetto pi termofilo delle leccete. Lo
strato arboreo formato esclusivamente da Quercus ilex, quello
arbustivo da specie sempreverdi quali Phyllirea latifolia, Pistacia
lentiscus, Myrtus communis, Ruscus aculeatus, Erica arborea ( erica
arborea) e Arbutus unedo (corbezzolo). Nello strato erbaceo, a
scarsa copertura, si rinvengono Cyclamen repandum, Brachypo-dium
sylvaticum e Asplenium onopteris. Lo strato lianoso rappresentato
da Rubia pere-grina, Clematis flammula e Asparagus acutifolius.
Lecceta collinare ad orniello (Orno-Quercetum ilicis) Si rinviene
in situazioni climatiche meno termofile della precedente in collina
e bassa mon-tagna. Tale fitocenosi costituisce l'interfaccia tra la
foresta sempreverde e quella caducifo-glia. Gli elementi arborei,
in generale di piccola statura e costituenti strutture aperte, sono
rappresentati da Quercus ilex, che assume sempre un ruolo
prevalente, Fraxinus ornus, (Orniello), Ostrya carpinifolia
(Carpino nero) Quercus pubescens (Roverella) e, raramente, Pistacia
terebinthus (Terebinto).
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Nello strato arbustivo, a densa copertura, sono presenti
Crataegus monogyna (Biancospi-no), Phyllirea latifolia, Arbutus
unedo, Juniperus communis, (Ginepro comune) Ligustrum vulgare
(ligustro) Viburnum tinus ( tino) e Ruscus aculeatus. Lo strato
erbaceo rappre-sentato da Brachypodium sylvaticum, B. rupestre,
Cyclamen hederifoium, C. repandum, Aplenium onopetris e Carex
distachya, mentre quello lianoso da Rubia peregrina, Tamus
communis, Smilax aspera, Hedera helix e Clematis vitalba. Nel Lazio
la lecceta collinare ad Orniello presente nella Tuscia meridionale,
sui Colli Albani, sul M. Soratte, lungo il corso del F.Treja e sui
M. Lucretili.
Sughereta (Cytiso-Quercetum suberis, Quercetum
frainetto-suberis) In passato molto probabilmente occupava un
areale maggiore dell'attuale. Nel Lazio si di-stribuisce lungo la
fascia costiera ed presente anche presso Roma (Insugherata,
Acqua-traversa). In tale consorzio, che predilige i substrati
acidofili e ambienti pi freschi della lecceta, lo strato arboreo,
costituito esclusivamente da Quercus suber (sughera) aperto ed
formato da esemplari ceduati di notevoli dimensioni. Lo strato
arbustivo, a densa co-pertura, come lerbaceo, caratterizzato dai
Cytisus villosus (Citiso trifloro), Crataegus monogyna, Erica
arborea, Rubus ulmifolius (Rovo comune), Cistus monspeliensis,
Phylli-rea latifolia, Osyris alba (Ginestrella comune) e Myrtus
communis.
Bosco di caducifoglie Si ascrivono a questo tipo di fitocenosi
il querceto misto a cerro e farnetto (Echinopo siculi-Quercetum
frainetto), il querceto a Rovere (Hieracio-Quercetum petraee,
Coronillo emeri-quercetun cerris), il querceto a Roverella
(Cytiso-Quercetum pubescentis, Roso sempervi-renti-Quercetum
pubescentis), il bosco misto (Melittio-Ostryetum carpinifoliae) e
la faggeta (Aquifolio-Fagetum e Polysticho-Fagetum).
Bosco misto caducifoglio a Cerro e Farnetto (Echinopo
siculi-Quercetum frainetto) Si tratta di fitocenosi caducifoglie
relativamente mesofile a dominanza di Quercus frainetto (farnetto)
e Quercus cerris (cerro). Si rinvengono nella fascia collinare e
presentano un sottobosco caratterizzato da specie a baricentro
balcanico. Costituisce la vegetazione cli-matogena della Campagna
romana, per le aree pi interne, e della pianura Pontina. Nel Lazio
si rinvengono, tra l'altro, nella Tuscia, nel bacino del F.Treja,
sul M.te Soratte ed al Circeo. Gli elementi arbustivi pi diffusi
sono Crataegus monogyna, Carpinus orientalis (Carpino orientale),
Fraxinus ornus, Rubus sp., Sorbus domestica (Sorbo domestico), S.
torminalis (Ciavardello) e Ruscus aculeatus. Nello strato erbaceo
sono presenti Festuca heterophylla, Viola reichembachiana, Lathyrus
venetus e Cyclamen repandum.
Querceto a rovere (Hieracio-Quercetum petraee) E rappresentato
da fitocenosi arboree caducifoglie dominati da rovere e cerro che
occu-pano ambienti pianeggianti o collinari e si rinvengono nella
Tuscia spesso in condizioni depauperate su depositi vulcanici.
Altre specie che concorrono alla formazione dello strato arboreo
sono Malus sylvestris (melo selvatico)e Quercus robur (farnia). Lo
strato arbustivo
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si presenta denso e le specie pi diffuse sono Rosa arvensis
(rosa cavallina), Juniperus communis e Genista tinctoria (ginestra
minore). Lo strato erbaceo risulta molto ricco di specie e presenta
una elevata copertura.
Cerrete con rovere e castagno (Coronillo emeri-Quercetum cerris)
Si tratta di fitocenosi con fisionomia di bosco a Quercus cerris
(cerro) nelle quali entrano spesso Quercus petraea (rovere) e
Castanea sativa (castagno). In molti casi sono state trasformate
dalluomo in castagneti. Sono distribuite su suoli vulcanici fertili
e profondi nel-la fascia collinare e montana. Oltre a Quercus
cerris, Quercus petraea e Castanea sativa partecipano allo strato
arboreo Prunus avium (ciliegio), Sorbus domestica e Sorbus
tormi-nalis. In quello arbustivo sono frequenti Mespilus germanica
(Nespolo volgare), Coronilla emerus (Dondolino) e Cytisus scoparius
(Ginestra dei carbonai). Nellerbaceo si rinvengo-no, tra le altre,
Lathyrus venetus, Lathyrus niger e Potentilla micrantha.
Querceto a roverella (Cytiso-Quercetum pubescentis, Roso
sempervirenti-Quercetum pubescentis) Nel settore interno
dellAppennino sono presenti querceti a Quercus pubescens
(roverel-la), con strato arboreo piuttosto aperto e sottobosco
caratterizzato da Cytisus sessilifolius, Juniperus oxycedrus,
Brachypodium pinnatum. I querceti a roverella del settore pi
prossimo alla costa sono riferibili al Roso-Quercetum pubescentis.
Rispetto ai primi si arricchiscono di specie mediterranee: Rosa
sempervirens (Rosa di S.Giovanni), Rubia peregrina, Smilax aspera,
Lonicera implexa (caprifoglio medi-terraneo), etc.
Bosco misto (Melittio-Ostryetum carpinifoliae) Questa formazione
si presenta, in genere, con fisionomia di bosco a dominanza di
Ostrya carpinifolia (Carpino nero) e caratterizza ampi settori
dellAppennino distribuendosi preva-lentemente nella fascia
collinare e montana. Oltre al Carpino nero partecipa allo strato
ar-boreo Acer obtusatum (lacero dUngheria), Tilia platyphyllos
(Tiglio ), Querecus pube-scens e Fraxinus ornus. Nello strato
arbustivo sono frequenti Laburnum anagyroides (Maggiociondolo) e
Cytisus sessilifolius, nellerbaceo Melittis melyssophyllum, Melica
uni-flora e Anemone apennina.
Faggeta (Aquifolio-Fagetum e Polysticho-Fagetum) Lassociazione
Aquifolio-Fagetum costituisce la vegetazione climacica della fascia
monta-na sui M. Simbruini, M.Lepini, e M. Ernici, tra 700-1400 m.
su pendii e altopiani esposti alle correnti atmosferiche umide. Lo
strato arboreo, monospecifico, costituito da Fagus sylva-tica
(faggio), mentre quello arbustivo dominato da Ilex aquifolium
(agrifoglio), specie ca-ratteristica. Lo strato erbaceo, a scarsa
copertura, ospita Viola reichembachiana, Galium odoratum, Cyclamen
hederifolium, Sanicula europaea, Lamium flexuosum, Geranium
ver-sicolor ed Aremonia agrimonoides. Nelle aree dove gli aspetti
di maggiore continentalit prevalgono su quelli legati alle correnti
umide (Terminillo, sistema Ernici-Simbruini) si dif-fonde la
faggeta interna appenninica (Polysticho-Fagetum).
Le formazioni erbacee
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Rappresentano fitocenosi molto diffuse nel territorio laziale e,
per la maggior parte, stret-tamente correlate alle attivit
antropiche. Nella fascia strettamente mediterranea le varie
associazioni afferiscono alla classe Thero-Brachypodietea. In
generale si presentano con copertura per lo pi discontinua, di
aspetto steppico e ricche di camefite e terofite. Occupano vaste
superfici della regione e sono ca-ratterizzate da numerose specie
termoxerofile ad areale tipicamente mediterraneo. Al di sopra della
fascia mediterranea sono diffuse praterie ascrivibili alla classe
Festuco-Brometea. Si tratta di pascoli steppici, perenni,
meso-eutrofici e poco compatti che si rin-vengono sui rilievi
montuosi. Su suoli alluvionali, lungo i corsi d'acqua e nelle piane
irrigate si sviluppano aggruppamen-ti mesofili che presentano
un'elevata copertura riferibili alla classe
Molinio-Arrhenetheretea. Infine nella praterie d'altitudine, che si
sviluppano al di sopra del limite del bosco di faggio a contatto
con i cespuglieti a Juniperus nana (ginepro nano) Arctostaphylos
uva-ursi (uva ursina) e Vaccinium myrtillus (mirtillo), si
rinvengono specie di seslerieto quali Sesleria te-nuifolia, Carex
kitaibeliana e Plantago atrata. Tali fitocenosi sono limitate ai
sistemi mon-tuosi pi elevati del Lazio (Monte Terminillo e Monti
della Laga).
La vegetazione igrofila La distribuzione della vegetazione
igrofila strettamente correlata alle caratteristiche eco-logiche,
idrauliche e geomorfologiche del corso d'acqua. Lungo il fiume la
velocit della corrente maggiore nel corso superiore montano, a
causa della maggiore pendenza dell'alveo e diviene, unitamente al
trasporto solido, un fattore li-mitante per l'insediamento della
vegetazione igrofila nellalveo, a causa delle sollecitazioni
meccaniche indotte. Al variare dell'energia della corrente fluviale
si vengono a determinare variazioni nel tra-sporto solido e nella
sedimentazione che portano alla costituzione di alvei con materiali
grossolani o con sedimenti fini, nella tipica seriazione
longitudinale o trasversale, che in-fluenzano la distribuzione
delle comunit vegetali. Anche l'elevata profondit del pelo libero
costituisce un ostacolo per lo sviluppo della ve-getazione
radicante, che manca negli alvei principali dei fiumi. L'elevata
profondit si ac-compagna poi, in genere, ad una scarsa trasparenza
delle acque e la torbidit limita la possibilit di sviluppo delle
piante. Quando la portata idraulica assume valori elevati duran-te
le piene, la vegetazione viene sommersa e la durata del periodo di
sommersione diven-ta un ulteriore fattore limitante lo sviluppo
delle fitocenosi igrofile. Anche il regime idraulico, che dipende
in modo particolare dalla distribuzione delle precipi-tazioni,
influisce sullo sviluppo della vegetazione. Regimi fluviali
caratterizzati da portate poco variabili durante lanno,
garantiscono alla vegetazione unhabitat igrofilo, mentre re-gimi
molto variabili creano condizioni di stress idrico che ne limitano
lo sviluppo. La vegetazione igrofila si sviluppa in accordo con i
parametri sopra delineati.
La vegetazione delle acque correnti Quando la corrente molto
veloce linsediamento delle macrofite impedito, mentre, in-vece, in
presenza di un flusso abbastanza veloce, ma compatibile con la
deposizione di sedimenti fini, l'insediamento delle comunit
vegetali erbacee avviene con la costituzione di isole pi o meno
sommerse. In generale le specie che vegetano nella zona
sopracorren-te, nelle parti esterne della fitocenosi, presentano
apparati fogliari nastriformi sommersi, in modo da porre minor
resistenza al flusso dell'acqua.
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Nella parte sottocorrente, verso il centro dellisola vegetale,
pi riparata, si sviluppano in-vece specie con apparati fogliari di
diverso tipo che raggiungono la superficie. In generale la
struttura della vegetazione si adatta alle caratteriste idriche del
corso d'acqua ed evolve con esso. Le fitocenosi acquatiche delle
correnti rapide si riferiscono all'alleanza Ranunculion flui-tans e
sono caratterizzate dalla presenza di specie del genere Ranunculus,
sottogenere Batrachium, che comprende i ranuncoli d'acqua a fiori
bianchi. Altre specie diffuse sono Veronica anagallis-aquatica,
Berula erecta, V. beccabunga e Apium nodiflorum . In presenza di
correnti pi lente, come nei corsi dacqua minori o nei canali
dirrigazione, la vegetazione raggiunge il pelo libero ed assume un
copertura densa. Nella classe Potame-tea pectinati si raggruppano
le comunit vegetali a rizofite (radicate sul fondo) e pleustofite
del tipo idrocaridi (che galleggiano liberamente sulla superficie
dell'acqua e con foglie gal-leggianti specializzate). Le specie pi
frequenti sono Hydrocharis morsus-ranae, Zanni-chellia palustris e
varie specie del genere Potamogeton.
La vegetazione ripariale legnosa La vegetazione ripariale
legnosa condizionata da particolari condizioni ecologiche legate al
rapporto con la falda che ne determina un carattere di azonalit
rispetto alle fitocenosi terrestri della serie climacica con le
quali entra in contatto. La sua distribuzione sul territorio
avviene con differenti e caratteristiche associazioni se-condo una
zonazione longitudinale lungo il corso dacqua ed una trasversale
allo stesso. Dalle sorgenti alla foce il fiume incontra situazioni
climatiche, ecologiche e geomorfologi-che differenti legate
allaltitudine, alla portata ed al regime idraulico, alla velocit
dellacqua, alla granulometria dellalveo, alle caratteristiche
chimico-fisiche delle acque, etc., che determinano situazioni
diverse nel corso superiore, in quello medio e nellinferiore.
Mentre nel corso superiore montano la pendenza elevata, che
determina una notevole capacit erosiva e di trasporto solido, pu
arrivare ad essere incompatibile con la presenza di associazioni
vegetali in alveo o, nelle situazioni di minore energia cinetica al
massimo con saliceti arbustivi, nelle parti inferiori del bacino
trovano spazio ecologico le formazioni ripariali arboree di salici,
pioppi e ontani. Per quanto riguarda la zonazione trasversale dei
fiumi italiani, che dipende principalmente dai vari livelli di
piena e dalle caratteristiche geometriche, morfologiche e
granulometriche dellalveo, possiamo far riferimento ad uno schema,
peraltro analogo a quello dei fiumi eu-ropei, che vede a partire
dalle sponde le formazioni a legno tenero di salici e pioppi che
entrano in contatto sul terrazzo fluviale con le formazioni di
legno duro a querce, frassini e olmi. Vengono di seguito descritte
le fitocenosi ripariali legnose dei corsi dacqua laziali secondo lo
schema di Pedrotti e Gafta, che rientrano negli ordini
sintassonomici Salicetalia purpu-reae e Populetalia albae
Salicetalia purpureae Comprende le associazioni pioniere
arbustive ed arboree delle rive soggette a frequenti e prolungate
piene e si distinguono in:
Arbusteti pionieri su alluvioni grossolane caratterizzati da
salici arbustivi (Salicion eleagni) Costituiscono cespuglieti e
boscaglie, ad elevati valori di copertura, dominati da Sa-lix
purpurea (salice rosso), Salix eleagnos (salice ripaiolo) e Populus
nigra (pioppo
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nero) sui greti sassosi dei torrenti appenninici nel corso
superiore, potendo giunge-re a colonizzare i depositi alluvionali
delle isole fluviali. Lo strato erbaceo compren-de numerose specie
caratteristiche sia dei greti sia degli ambienti circostanti quali
Saponaria officinalis, Equisetum arvense, Rumex conglomeratus,
Ranunculus re-pens, Urtica dioica, etc. Dal punto di vista
fitosociologico questi consorzi sono inquadrati nell'associazione
Saponario-Salicetum purpureae,che nel Lazio stata segnalata ad
Atina (Fr) e sul M.Terminillo.
Boscaglie su alluvioni fini caratterizzate da salici (Salicion
albae)
Rappresentano associazioni pioniere sulle sponde prevalentemente
sabbiose del corso medio ed inferiore dei fiumi, con suoli non
evoluti a basso tenore di humus e frequentemente sommerse dalle
piene. Lo strato arboreo dominato fisionomicamente da Salix alba
(salice bianco) con, in subordine, Populus nigra, mentre nello
strato arbustivo, a copertura rada, compaio-no Sambucus nigra
(sambuco comune), Populus nigra e Salix alba; nellerbaceo,
sottoposto a continuo disturbo da parte delle piene si trovano
specie ruderali e si-nantropiche quali Artemisia vulgaris,
Parietaria diffusa, Urtica dioica, etc.
Populetalia albae
Lordine comprende le associazioni che si insediano sui terrazzi
fluviali nelle zone meno frequentemente raggiunte dalle piene, su
suoli alluvionali evoluti o su suoli zonali con varianti
determinate da processi di gleyficazione.
Boschi di pioppi e frassino ossifillo (Populion albae)
Occupano, in genere, le stazioni poste sui terrazzi pi elevati
dei saliceti, nei corsi medi ed inferiori dei fiumi. Nei pioppeti
del Populetum albae lo strato arboreo ca-ratterizzato da Populus
alba (pioppo bianco), Populus nigra, Ulmus minor (olmo comune),
Fraxinus oxycarpa (frassino ossifillo), mentre nellarbustivo, ben
rappre-sentato, si trovano Euonymus europaeus (berretta da prete),
Crataegus monogyna, Ligustrum vulgare, Cornus sanguinea e Sambucus
nigra. Lo strato erbaceo carat-terizzato da Carex pendula, Stachys
sylvatica, Vinca minor, Lythrum salicaria, Me-lissa officinalis,
etc. Nella fascia costiera laziale si trova anche un frassineto a
Fraxinus oxycarpa riferi-bile allassociazione Carici
remotae-Fraxinetum oxycarpae con Ulmus minor, Popu-lus alba e
Quercus robur (farnia), con uno strato arbustivo simile a quello
del Popu-letum albae ed uno strato erbaceo a Carex pendula, Carex
remota, Ranunculus la-nuginosus, Brachypodium sylvaticum, etc.
Alcuni lembi di foresta della tenuta di Castel Porziano possono
ascriversi al Fraxino oxycarpaeQuercetum roboris, un querceto dei
depositi alluvionali pi alti, eccezio-nalmente raggiunti dalle
piene, su substrati misti sabbiosi, ove si formano suoli pro-fondi
e ricchi di humus, ma con caratteriche di gleyficazione. Lo strato
arboreo dominato da Quercus robur, accompagnato da Fraxinus
o-xycarpa, Ulmus minor, Populus alba, Populus nigra, Acer
campestre, mentre larbustivo da Fraxinus oxycarpa, Ulmus minor,
Acer campestre, Crataegus mono-gyna, Cornus sanguinea, Prunus
spinosa. Nello strato erbaceo, ben rappresentato si trovano Carex
pendula, Carex remota, Carex sylvatica, Brachypodium sylvati-cum,
Viola reichembachiana, etc.
Boschi di ontani (Alno-Ulmion)
Tali ontanete sono diffuse lungo la catena appenninica laziale e
sono costituite da
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uno strato arboreo monospecifico ad Alnus glutinosa (ontano
comune), con un sot-tobosco a Rubus caesius (rovo bluastro), Arum
italicum, Carex pendula Humulus lupulus, Eupatorium cannabinum,
Brachypodium sylvaticum, etc.
La vegetazione delle acque stagnanti Nelle situazioni di acque
stagnanti o debolmente fluenti si sviluppano fitocenosi flottanti o
affioranti ascrivibili all'alleanza Nymphaeion albae,
caratterizzate dalle ninfeidi (con fusti ancorati al fondo e foglie
galleggianti), quali, tra l'altro, Nuphar luteum, Nymphoides
pelta-ta, Myriophyllum verticillatum e Ninphaea alba. Nellambiente
palustre, piuttosto diffuso nel Lazio, la vegetazione
caratterizzata da con-sorzi a Phragmites australis, Typha sp. pl. e
Schoenoplectus lacustris, che rientrano nel-l'alleanza Phragmition
australis. Queste fitocenosi si sviluppano in ambienti legati a
pro-cessi di interramento e si distribuiscono secondo una precisa
zonazione dove, procedendo verso il corpo idrico, il fragmiteto
occupa la prima fascia, seguito dal tifeto e, in acqua, dal-lo
scirpeto che, rappresenta, quindi, l'aspetto pionieristico del
canneto. A ridosso delle comunit dell'alleanza Phragmition, in
particolare del fragmiteto, verso l'en-troterra si sviluppano le
fitocenosi a grandi carici appartenenti all'alleanza Magnocaricion.
Generalmente queste associazioni si trovano a diretto contatto con
i boschi ripariali ed i boschi umidi. Le specie pi diffuse sono
Carex riparia e C. pseudocyperus. Sempre nell'ambito palustre dove
l'acqua poco profonda ed evidenzia una certa mobilit e limpidezza
si sviluppa una vegetazione ascrivibile all'alleanza
Sparganio-Glycerion flui-tuans. Le specie che pi frequentemente
ricorrono sono Apium nodiflorum, Veronica ana-gallis aquatica,
Glyceria fluitans e Nasturtium officinale. Le comunit vegetali
appartenenti alle classi Lemnetea minoris prevalgono
particolarmen-te diffuse nei canali dell'Agro Pontino e sono
caratterizzate da pleustofite ( idrofite som-merse o liberamente
natanti in superficie, senza apparato radicante) di piccole
dimensioni che costituiscono fitocenosi libere e flottanti sulla
superficie dell'acqua. Le specie pi diffu-se e note appartengono ai
generi Azolla, Lemna, Spirodela, Wollfia e Salvinia.
4 Lineamenti del fitoclima del Lazio LItalia, a causa delle sue
caratteristiche geografiche e geomorfologiche presenta una grande
variet di condizioni climatiche, che tuttavia dal punto di vista
del rapporto clima-piante possono ricondursi alle due grandi
regioni bioclimatiche temperata e mediterranea. Il bioclima
mediterraneo si differenzia essenzialmente da quello temperato per
la presenza di un periodo di aridit estivo (evento raro sulla
superficie terrestre ove, di norma, in esta-te, per laumento della
evaporazione marina, aumentano le precipitazioni) e per
tempera-ture medie annuali pi elevate, con numerose
differenziazioni al suo interno, in funzione della latitudine,
altitudine e distanza dal mare. Il confine tra le due regioni
veniva individuato (Pignatti, 1979 e 1988) lungo lo spartiacque
dellAppennino Tosco-Emiliano, con la Pianura Padana e larco alpino
da una parte e la Liguria con la penisola e le isole dallaltra.
Recenti studi, che applicano gli indici di Rivas-Martinez ed
estendono a livello nazionale le analisi fitoclimatiche del Lazio e
della Campa-
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-
nia (Blasi, 1996), stabiliscono lappartenenza di gran parte
della catena appenninica alla Regione temperata, spostando verso
sud il confine tra le due grandi regioni bioclimatiche. La
correlazione tra le tipologie vegetazionali ed il clima stata
ampiamente dimostrata e gli studi fitoclimatici risultano
fondamentali per gli studi fitosociologici e fitogeografici della
vegetazione di un territorio. Uno studio sul fitoclima del Lazio
(Blasi, 1994) ha esaminato i rapporti tra il clima e la
ve-getazione individuando 15 unit fitoclimatiche, appartenenti a
quattro regioni bioclimatiche, definite in base ai dati di
temperatura e precipitazione (1985-1955), integrati con alcuni
in-dici bioclimatici ed il censimento delle specie legnose. Lo
studio descrive inoltre ogni unit fitoclimatica in termini
floristici e fitosociologici, individuando delle macroserie di
vegeta-zione. Nel rimandare per gli approfondimenti allo studio
suddetto, viene presentata una sintesi delle informazioni , sia in
termini di tabelle riassuntive che di descrizione. Vengono inoltre
riportati alcuni diagrammi ombrotermici di Bagnouls-Gaussen, che
forni-scono un utile strumento nelle classificazioni climatiche,
offrendo una rappresentazione delle variazioni delle temperature e
precipitazioni nel corso dellanno. Le 15 unit fitoclimatiche sono
state accorpate, per una analisi semplificata, nelle quattro grandi
Regioni fitoclimatiche (Fig. 8.7):
Fig. 8.7
20
-
Regione mediterranea Comprende la zona litoranea del Lazio ed
caratterizzata da condizioni climatiche caldo- aride; si va dagli
aspetti pi xerici della macchia mediterranea delle Isole Ponziane
caratte-rizzate da precipitazioni annue di 649 mm. con aridit
estiva di 5 mesi e temperatura me-dia delle minime del mese pi
freddo di 8,3, ai querceti misti di caducifoglie dellAgro Pon-tino,
con precipitazioni annue di 1133 mm., aridit estiva di 4 mesi e
temperatura media delle minime del mese pi freddo di circa 4. Le
unit fitoclimatiche di transizione tra questi estremi vanno dalle
formazioni sempreverdi di leccio e sughera a quelle dei querceti di
caducifoglie a roverella.
Regione mediterranea di transizione La fascia di territorio
della Maremma laziale interna, della regione tolfetana e sabatina,
del-la Campagna Romana, dei Colli Albani e dei versanti
sud-occidentali dellAntiappennino meridionale, fino alla piana di
Pontecorvo e Cassino caratterizzata da un clima con pre-cipitazioni
annuali comprese tra 810 e 1519 mm., una laridit estiva ridotta a
due o tre mesi ed una temperatura media delle minime del mese pi
freddo intorno ai 2,3 -4 . La vegetazione forestale prevalente
rappresentata dalle leccete, dai querceti a Roverella e dalle
cerrete.
Regione temperata di transizione I querceti a roverella e cerro
con elementi della flora mediterranea occupano la valle del
F.Tevere tra Orte e Monterotondo e la valle del F.Sacco tra
Zagarolo ed Aquino. Le precipitazioni vanno dai 954 ai 1233 mm. e
laridit estiva di uno o due mesi; la tem-peratura media delle
minime del mese pi freddo inferiore a 0 e distingue questa regio-ne
rispetto alle precedenti.
Regione temperata Tale fitoclima si riscontra nella parte del
Lazio a maggior distanza dal mare e sui rilievi montuosi,
comprendendo la regione vulsina e vicana, lAppennino reatino,
lAntiappennino meridionale (Lepini, Ausoni, Aurunci ), le vette dei
Colli Albani, i M.Simbruini ed i M. Ernici. Le precipitazioni sono
in genere abbondanti, fino a 1614 mm., laridit estiva assente o
poco accentuata, mentre la temperatura media delle minime del mese
pi freddo in ge-nere inferiore a 0. Tali condizioni climatiche
favoriscono una vegetazione forestale che, nelle parti pi elevate,
dominata dagli arbusteti altomontani e dalla faggeta, mentre nelle
zone pedemontane e nelle valli rappresentata dagli Ostrieti e dai
querceti misti di Rove-rella e Cerro. Considerazioni per limpiego
delle specie vegetali negli interventi di ingegneria na-turalistica
Tale distribuzione fitoclimatica per fasce caratteristiche in
funzione della distanza dal mare e dellaltitudine, con una regione
temperata a precipitazioni abbondanti ed assenza di ari-dit estiva
e con regioni di transizione fino alla regione Mediterranea
costiera calda, con
21
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aridit estiva fino a 5 mesi, pone problematiche differenti per
un impiego con successo delle tecniche di ingegneria naturalistica
nel Lazio. Le maggiori esperienze di utilizzo delle tecniche di
ingegneria naturalistica risultano, infatti, in ambiti climatici
diversi da quello mediterraneo, con situazioni ecologiche meno
sfavore-voli allattecchimento delle specie vegetali. Lambiente
storico di impiego delle tecniche di I.N. infatti quello delle
regioni dellarco alpino, caratterizzato da un clima pi mesofilo (pi
fresco, pi umido e con estati senza grossi stress idrici) di quello
mediterraneo. Tali condi-zioni sono assimilabili a quelle delle
zone dellinterno del Lazio, ove quindi possibile, con le necessarie
trasposizioni alle realt locali, un impiego delle specie vegetali
con modalit di intervento molto simili a quelle delle zone dellarco
alpino. I problemi legati allutilizzo delle piante vive in ambito
mediterraneo sono invece:
la presenza di un periodo estivo xerico con stress idrico, che
ha determinato nelle piante mediterranee una serie di adattamenti
biologici (sclerofillia, tomentosit, etc.);
la presenza di una stagione vegetativa pi lunga di quella delle
regioni alpine, con conseguente periodo pi breve per lutilizzo di
specie con capacit di riproduzione vegetativa, quali i salici o le
tamerici, le cui talee si raccolgono tipicamente nella stagione del
riposo vegetativo
la difficile reperibilit del materiale vivaistico, sia dal punto
di vista qualitativo che quantitativo.
Ne deriva la necessit di maggiori accorgimenti per la scelta
delle specie vegetali per gli interventi di ingegneria
naturalistica, in quanto le specie autoctone di comune impiego e
maggiormente reperibili nei vivai non sempre garantiscono
lattecchimento nelle condizioni ecologiche difficili dellambiente
mediterraneo. Analogamente lutilizzo massiccio dei salici, se
risulta compatibile, dal punto di vista ecologico, con le
caratteristiche delle stazioni umi-de, quali quelle delle
sistemazioni idrauliche, va ben valutato nelle altre situazioni
ambien-tali. Emerge quindi la esigenza del reperimento di specie
xerofile mediterranee erbacee, arbustive ed arboree, che non sempre
il mercato vivaistico pubblico o privato in grado di soddisfare.
Esiste inoltre il problema, soprattutto nelle aree protette, della
provenienza del materiale vivaistico anche per le specie autoctone,
per il pericolo dellinquinamento genetico dovuto a razze, variet o
cultivar provenienti da altre regioni o addirittura nazioni.
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5 Gli aspetti faunistici La natura del paesaggio geologico ha
influenzato nel corso del tempo le condizioni di e-sposizione e di
piovosit, la circolazione delle acque, che si infiltrano o scorrono
in super-ficie, la qualit e la natura della copertura
vegetazionale, e di conseguenza le comunit a-nimali. Questi fatti
hanno generato una estrema variet di ambienti, caratterizzati da
una vegetazione quanto mai diversa tale da riflettersi anche nella
fauna, che si presenta tra le pi ricche dell'Italia centrale e di
grande importanza per la conservazione della specie. La ricchezza
faunistica del territorio laziale si traduce sia nella presenza in
generale di popo-lamenti ad alta diversit, sia nella presenza di
singole specie di elevato valore perch rare o di particolare
interesse bio-geografico. A titolo d'esempio, basta ricordare che
tra le 60 specie censite di Mammiferi sono presenti almeno la met
(15 su 30) delle specie segnalate in pericolo di estinzione in
Europa. Tra questi, di estremo interesse sono le diverse specie di
carnivori, tra cui spiccano "ospiti d'eccezione" quali l'orso, il
lupo e la lontra. Analoga situazione si registra tra i
falconiformi, uccelli che come i carnivori si trovano al vertice
delle catene alimentari e quindi sono ottimi indicatori della
qualit ambientale. Il Lazio ospita ben 13 specie nidificanti, tutte
minacciate d'estinzione in Europa, tra cui si ricordano il lanario,
l'aquila reale, l'albanella minore. Per la sua particolare
posizione geografica, inoltre, il Lazio costituisce per l'avifauna
migra-toria una zona di transito tra le pi importanti d'Italia,
accogliendo durante il periodo dei passi stagionali centinaia di
specie diverse, dai piccoli passeriformi dei boschi agli uccelli
acquatici, tra cui si annoverano moltissime entit minacciate
d'estinzione a causa della in-calzante rarefazione delle zone umide
in tutta Europa. Ricca e diversa appare anche l'erpetofauna, che
comprende la maggior parte delle specie tipiche dell'area
appenninica. I Rettili comprendono 22 specie tra cui la rara
testuggine d'acqua e la vipera dell'Orsini. Tra le 15 specie di
Anfibi presenti sul territorio laziale, si ri-cordano specie di
elevato interesse quale la salamandra pezzata e la salamandrina
dagli occhiali, endemica appenninica, entrambe legate ad ambienti
particolarmente integri, e l'unica popolazione dell'Appennino
centrale del tritone alpestre. Interessanti endemismi si
riscontrano anche nell'ittiofauna d'acqua dolce, come il carpione
del Lago di Posta Fibreno e il ghiozzo di ruscello. Altri elementi
di elevato interesse biogeografico sono le cosiddette "specie
relitte", come il camoscio d'Abruzzo, presente nel settore laziale
del Parco Nazionale d'Abruzzo, e l'arvico-la delle nevi,
localizzata sulle Montagne della Duchessa, che analogamente alle
specie endemiche costituiscono le testimonianze viventi di antichi
eventi geologici che hanno at-traversato il Lazio in un
lontanissimo passato.
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I LUOGHI
Colli Albani I Colli Albani sono un gruppo di rilievi che si
innalzano nella campagna a sud-est di Roma, costituiti dai depositi
di un vulcano, il Vulcano Laziale, dell'Era Quaternaria, di cui
riman-gono tracce ben visibili nei laghi di Albano e di Nemi
formatisi da due suoi crateri. Le altezze maggiori sono raggiunte
in corrispondenza delle cime della Faete (956 m.), del monte Cavo
(949 m.), del monte Peschio (939 m.), del colle Jano (938 m.) e del
Maschio Lariano (891 m.). I Pratoni del Vivaro, situati tra
Velletri e Rocca Priora ma appartenenti principalmente al comune di
Rocca di Papa, si trovano ad una altezza di circa 550 m. La zona
dei Colli Albani comunemente indicata come i Castelli Romani o pi
semplice-mente i Castelli.
Storia La zona dei Colli Albani, abitata sin dal paleolitico, ha
visto un primo forte incremento de-mografico a seguito della
cessazione degli ultimi fenomeni vulcanici (circa 30-50.000 anni
fa) che ne hanno fissato l'attuale conformazione. I primi
insediamenti con caratteristiche di aggregati urbani, riferibili a
popolazioni di origine latina, sono posti dalla tradizione storica
romana nel XII secolo a.C. ( quattro secoli prima della fondazione
di Roma) e corrispondono alle antiche citt-stato di Alba Longa,
Tuscu-lum, Aricia e Lanuvium, tutte molto vicine tra di loro; altri
insediamenti di popolazioni agri-cole di etnia latina si ebbero sui
colli tufacei del Lazio e della Campania: i Falisci sul medio corso
del Tevere e gli Aurunci pi a sud dei 'Colli Albani'. La citt
latina di Alba Longa, la pi importante tra le citt latine dei colli
e quella da cui il mito fa discendere Romolo e Remo, sorse da un
insediamento di villaggi agricoli insediati sulla linea pedemontana
tra i laghi vulcanici e deve il suo nome all'andamento lineare
del-l'insediamento che costeggiava i bordi del lago, da cui il nome
di "longa" cio allungata. Gli abitanti latini dei colli rimasero
per secoli una spina nel fianco di Roma, e nonostante la
distruzione di Albalonga e la deportazione della sua popolazione
sul colle Celio, per opera del re di Roma Tullo Ostilio come
conseguenza della sconfitta dei Curiazi ad opera degli Orazi,
furono definitivamente sottomessi solo con la battaglia presso
Trifano del 339 a.C. ed il conseguente sciogliemento della Lega
Latina dell'anno successivo (338).
Aniene Il fiume Aniene (detto all'antica, popolarmente,
Teverone, termine che era relativo soprat-tutto alla parte bassa
del fiume e che non si usa pi da almeno cinquant'anni) lungo 99 km,
e il principale affluente di sinistra del Tevere dopo il Fiume
Nera.
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Nasce al confine tra il Lazio e l'Abruzzo, nei monti Simbruini
(il nome di questo sistema montuoso deriva dal latino sub imbribus,
cio sotto le acque), tra le province di Roma e di Frosinone. La
piovosit del bacino e la natura carsica del territorio (costituito
geologica-mente da calcari fessurati) generano in queste montagne
vari corsi d'acqua e sorgenti pe-renni, alcune assai copiose che
provengono in molti casi anche da molto lontano, proba-bilmente da
zone esterne al bacino idrografico dell'Aniene. L'Aniene genera da
due rami principali: Aniene propriamente detto e Simbrivio.
Riguardo all'Aniene propriamente detto, la sorgente pi lontana
dalla foce ha nome Capo Aniene o Sorgente di Riglioso ed posta
1.200 m/s.l.m. sul versante meridionale del Monte Tarino (m 1.959);
ma la sorgente pi copiosa (1,5 mc/sec) posta un po' a valle, alle
grotte del Pertuso, tra Filettino e Trevi, in provincia appunto di
Frosinone. Il Simbrivio, invece, nasce da una serie di sorgenti che
scaturiscono dal Monte Autore (m 1.853), dal Monte Tarinello e dal
Monte Arsalone e confluisce, da destra, nell'Aniene dopo Trevi.
Poco prima della confluenza con Simbrivio, l'Aniene forma le belle
e caratteristiche Cascate di Trevi che, specie negli anni '60 del
XX secolo fecero da ambientazione d'innumerevoli scene dei film di
genere mitologico e peplum girati da registi italiani ed americani.
A valle di Trevi, il fiume scorre in una valle molto incassata
ricevendo solo piccoli tributi idrici, fra i quali si annove-ra
quello della Sorgente dell'Inferniglio che gli tributa da destra
presso Jenne con portate variabili da 0,1 a 1,6 mc/sec. Dopo avere
bagnato Subiaco, la valle s'allarga e il fiume ri-ceve parte del
tributo delle copiose e famosissime Sorgenti dell'Acqua Marcia (fin
dall'epo-ca Romana captate per la maggior parte dall'acquedotto a
servizio di Roma (vedere dopo) che vi prende il nome. Dopo il salto
della grande cascata di Tivoli (e relative e successive cascatelle
visibili dalla via Palombarese), l'Aniene arriva nella pianura
romana, e si avvia al punto di confluenza con il Tevere, in comune
di Roma, ai Prati Fiscali nei pressi di ponte Salario.
Storia ed economia L'abbondanza e la continuit delle acque che
lo alimentano fanno dell'Aniene un fiume di buona portata, che fu
infatti utilizzato fin dall'antichit per alimentare acquedotti, e
succes-sivamente come risorsa per la produzione industriale locale
e per la produzione di energia elettrica. La captazione delle acque
dell'Aniene ha una lunga storia: comincia a met del II secolo a.C.
con il primo acquedotto fatto costruire dal pretore Quinto Marcio,
al quale fino all'et dei Claudi se ne aggiunsero altri due, sulla
stessa direttrice e in alcuni punti sovrapposti o paralleli. Da qui
il nome di acqua Marcia che l'insieme di queste acque assunse e
mantie-ne nell'approvvigionamento idrico di Roma (al quale ancora
contribuisce). In et romana sorsero lungo tutta la val d'Aniene
numerose ville romane, tra cui quella di Nerone a Subiaco. Nel
Medioevo poi la zona divenne rifugio di popolazioni in fuga dai
bar-bari e sede di castelli, eremi e monasteri (spesso insediati
sulle antiche strutture romane), il pi noto dei quali il monastero
benedettino di Subiaco. Due eccezionali "prodotti" dell'Aniene a
Tivoli sono:
la Villa d'Este, i cui giochi d'acqua furono alimentati
derivando l'acqua appunto dal-l'Aniene attraverso un cunicolo
artificiale;
la Villa Gregoriana, recentemente restaurata dal FAI, tipico e
poco noto esempio di giardino romantico.
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La variet della conformazione geologica del percorso e la
presenza di diversi salti hanno fatto s che l'Aniene fin dal 1884
sia stato utilizzato per la produzione di energia elettrica (il che
diede luogo nel secolo scorso ad un notevole sviluppo industriale
nelle citt di Subiaco e di Tivoli).
L'Aniene oggi La struttura amministrativa che oggi collega i
comuni lungo l'alta valle dell'Aniene la Co-munit montana X
dell'Aniene, che comprende i 33 comuni di:
Affile, gosta, Anticoli Corrado, Arcinazzo Romano, Arsoli;
Bellegra; Camerata Nuova, Canterano, Cerreto Laziale, Cervara di
Roma, Cineto Romano; Gerano; Jenne; Licenza; Mandela, Marano Equo;
Olevano Romano; Percile; Riofreddo, Rocca Canterano, Rocca Santo
Stefano, Roccagiovine, Roiate, Rovia-
no; Sambuci, Saracinesco, Subiaco; Trevi nel Lazio; Vallepietra,
Vallinfreda, Vicovaro, Vivaro Romano;
La chiusura tra gli anni '70 e '80 di quasi tutte le industrie a
monte non ha forse giovato al-l'economia locale, ma ha fatto s che
nel fiume, che nel secolo scorso le industrie (in parti-colare
cartiere) avevano pesantemente inquinato, sia ricomparsa la fauna
dei fiumi sani, trote e gamberi di fiume. La totale riconversione
economica della conurbazione romana verso il settore commerciale e
dei servizi e la nuova sensibilit ambientale hanno favorito
l'istituzione e la cura di aree protette anche nella zona
urbana.
Dati generali Lunghezza: 99 km Altitudine della sorgente: 1.075
m s.l.m. Bacino idrografico: 1.414 km Dove nasce: Filettino (FR)
Dove sfocia: Tevere (Roma ponte Salario) Paesi attraversati:
Subiaco, Tivoli + 31 in provincia di Roma; Trevi e Piglio in
provincia di Frosinone
Le Isole Pontine Le isole sono da sempre luoghi ideali, simboli
della mente. Quando dal mare appare la sagoma di un'isola, eccola
divenire luogo dell'anima; giunti sotto costa le rupi e le rocce
sporgenti ci ispireranno timore e meraviglia. Sbarcati a terra ci
sentiremo raccontare dagli isolani fiabe e leggende aventi per tema
co-se tremende o fantastiche: nell'Arcipelago Pontino queste storie
vengono narrate pi che altrove.
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Il gruppo delle isole Pontine formato da 2 sottogruppi: Ponza,
Palmarola, Zannone e Giavi, a nord-ovest, e Ventotene e Santo
Stefano, a sud-est. Tra i due sottogruppi corrono circa 22 miglia
nautiche. Entrambi i gruppi hanno origine vulcanica, con la sola
eccezione di Zannone, che presenta rocce sedimentarie e
metamorfiche. Tutte le isole vulcaniche hanno una morfologia
tor-mentata: cale, punte, faraglioni, grotte si susseguono senza
interruzione, formando un pa-esaggio emerso emozionante, che ha una
corrispondenza pressoch speculare nel pae-saggio sottomarino.
Ponza Molte isole in passato conobbero il destino di essere
luoghi d'esilio; Ponza lo fu, 2 millenni fa, per importanti
personaggi come Agrippina e forse anche Nerone. La saggezza dei
marinai dell'isola aveva avuto modo di farsi conoscere bene nel
passato del Mediterraneo; come quando i romani in difficolt contro
i cartaginesi, durante le guerre puniche, chiesero il loro aiuto. E
come quando, nel 157(dopo tanti vittoriosi scontri navali contro i
pirati barbareschi) le galee ponzesi, romane e napoletane
sconfissero a Palmarola una flotta piratesca. E quando, ai primi
dell'Ottocento, alcuni ponzesi divennero temuti navigatori
anti-pirati. In questi fondali prima lo sport, poi l'esplorazione
hanno avuto uno spazio grandioso ove svilupparsi. Anche perch
l'Arcipelago punteggiato da altre isole, ancora in gran parte
sconosciute e da scoprire: le sommerse isole d'acciaio, i relitti
di navi perdute nel tempo delle due guerre mondiali. ben noto il
relitto di una nave da trasporto Liberty, americana, affondata
dalla tempesta nel marzo 1944 presso la costa di Ponza, davanti a
Punta del Papa. A circa 6 miglia a sud-est di Ponza si erge
solitario dal mare lo scoglio della Botte.
Palmarola un isola di una certa grandezza che riesce ad essere
praticamente integrata malgrado disti poco pi di 60 miglia da una
grande metropoli d'Italia come Roma. Palmarola formata da rocce
vulcaniche multicolori e acque trasparenti e profonde, mi-raggio di
fondali da esplorare e scoprire. Oggi una riserva naturale
protetta.
Zannone Zannone parte viva e integrata del Parco Nazionale del
Circeo; sorvegliata da guardie forestali. La "casa del faro" evoca
il ricordo di vecchi film del mistero e d'avventure. Sull'isola si
trova la casa del custode, i ruderi di un convento medioevale. A
Zannone il mondo sottomarino riflette la realt dell'isola in
superficie: coperta dal manto di fitto bosco verde, fuori, un'altro
bosco copre molte pareti dei suoi fondali: selve di gor-gonie fitte
e fluttuanti, e viola delle loro chiome diventa rosso fuoco.
Sull'isola si trova an-che un interessante resto archeologico: una
pesciera di et romana ricavata nella roccia, collegata al mare da
un condotto subacqueo; accessibile attraverso una scalinata
ester-na, in prossimit dell'approdo del Varo.
Ventotene
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Meta anch'essa d'anno in anno di un turismo crescente, Ventotene
attira non solo per la bellezza o perch da luogo di pena diventato
luogo di luogo di vacanza; ma forse anche perch la "Roma antica",
altrove solo un rudere, qui viva. Infatti ancora operante il suo
porto, di grande suggestione per chiunque capisca cosa si-gnifichi
gettar l'ancora in uno spazio marino attrezzato, in un lembo di
tempo antico per il quale duemila anni non sono passati: il molo di
questo porto e le sue bitte, i suoi magazzi-ni tutti scavati al
vivo nella tenera roccia vulcanica locale, sono gli stessi di un
tempo. Santo Stefano destinata al lucubre compito di isola
penitenziario dal tempo dei Borboni si-no a tre decenni fa. E'
ancora dominata dall'edificio carcerario abbandonato al suo destino
ma tuttora mastodontico e integro nella sua struttura che ricorda
allo stesso tempo castelli di Kafkiana memoria. L'isola infatti
ebbe una presenza umana stabile solo quando Ferdinando IV, re di
Napoli, decise di costruirvi un carcere; dette incarico
all'architetto Francesco Carpi di progettare un ergastolo modello.
Fu ultimanto il 26 settembre 1795 e tra i primi detenuti si dice vi
sia stato proprio lo stesso progettista incarcerato dal re per
divergenze politiche. Nel corso degli anni l'ergastolo eb-be come
"ospiti" molti personaggi importanti, tra cui Luigi Settembrini,
l'anarchico Bresci, uccisore del re Umberto I, e Sandro Pertini con
altri antifascisti.
S.Stefano A poco pi di mezzo miglio da Ventotene, per lunghi
anni ha legato il suo nome all'erga-stolo (l'edificio circolare fu
costituito nel 1974-75 dall'Architetto Carpi) ormai soppresso. Gli
immobili del penitenziario costituiscono motivo per una visita non
solo curiosa.
Il Mar Tirreno Il Mar Tirreno ha la forma di un triangolo
rettangolo, un lato costituito dalla parte orienta-le delle coste
corsa e sarda, l'altro dalla costa settentrionale della Sicilia, il
lato pi lungo formato dalla costa calabra, campana, laziale e
toscana fino a Piombino dove passa il confine virtuale che lo
separa dal Mar Ligure.
Fondali scende fino a notevoli profondit e tra Ponza ed Ustica
raggiunge quella massima del Me-diterraneo occidentale con 3620 m.
La piattaforma continentale sviluppata soprattutto dal promontorio
di Piombino alla peni-sola sorrentina, lungo le coste del Cilento,
Sicilia orientale, Sardegna settentrionale e Cor-sica meridionale,
in queste localit dalla linea di costa la piattaforma si estende
con am-piezze variabili tra 9 e 65 km. La piattaforma continentale
pressoch assente ed il fondale raggiunge notevoli profondi-t nelle
immediate vicinanze della costa, lungo le coste calabre, Sicilia
settentrionale e a sud della penisola sorrentina. Oltre la
piattaforma continentale si arriva alla scarpata, caratterizzata
dalla presenza di ca-tene montuose sommerse, fosse e canyons
sottomarini. La piana batiale si trova nella zona centro
meridionale del bacino, ha una profondit media di oltre 3000 m ed
interrotta da veri e propri rilievi montuosi, come il Monte Vavilov
che si
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trova nel centro del Tirreno, immediatamente a nord ed a sud di
questo promontorio si raggiungono le maggiori profondit.
Venti il mar Tirreno data la sua grande ampiezza risente di
quelle che sono le condizioni del tempo del Mediterraneo
occidentale. Venti freddi ed impetuosi come il maestrale, che dalla
valle del Rodano si getta nel Medi-terraneo, e la tramontana
provocano mareggiate che investono le coste della Sardegna, le
coste toscane ed il Lazio, riversandosi poi nel Medio e basso
Tirreno ed in Sicilia. Il libeccio, che proviene da sud-ovest
origina forti mareggiate con venti di tempesta che battono
soprattutto le coste toscane, laziali e calabre. Lo scirocco e
l'ostro, sono venti me-ridionali caldo umidi che portano pioggia e
temporali.
Correnti la corrente principale di superficie proviene dallo
stretto di Gibilterra, lambisce le coste a-fricane entra nel
Tirreno, tocca le coste settentrionali sicule, risale quelle
calabresi e cam-pane dividendosi in due rami, uno forma una
circolazione ciclonica che interessa il basso tirreno, l'altro si
dirige verso le coste toscane ed il Mar ligure piegando di nuovo
verso sud per lambire le coste orientali sarde. A profondit
maggiori una corrente di acque pi calde segue lo stesso tragitto
mantenen-dosi pi bassa per effetto della maggiore densit dovuta
alla salinit pi elevata.
Pesca i tipi di pesca principalmente praticati sono la pesca con
reti da circuizione, per la cattura di alici e sardine, lo
strascico e reti da posta, per polpi, sogliole, naselli. La pesca
dei grandi pelagici come il tonno praticata dalle tonnare
salernitane che se-guono i tonni fino in Adriatico per pescarli con
i loro grandi ciancioli.
LE GENTI
Il contesto antropico del bacino del Tevere Negli ultimi
cinquanta anni aumentata enormemente la pressione antropica lungo
tutto l'asse del fiume, sono aumenti, infatti, gli insediamenti
civili, le infrastrutture, gli insedia-menti industriali, le opere
idrauliche. Nell'ambito del bacino idrografico del Tevere sono
lo-calizzati alcuni agglomerati civili di particolare importanza,
fra cui Roma, per un totale di 3.600.000 abitanti che rappresentano
un grande problema sulla qualit delle acque in ter-mini di scarichi
civili. Nel bacino del Tevere, e molto spesso nella valle del
Tevere, cio nelle strette vicinanze del corso d'acqua, si
localizzano agglomerati industriali particolarmente rilevanti. il
pi del-le volte tali agglomerati sono a margine dei grandi
insediamenti civili (Roma, Terni, Peru-gia, Rieti).In alcuni casi
si riscontrano anche poli industriali non secondari in zone non
im-mediatamente vicine ai centri abitati. (Tra questi si citano: il
comprensorio tra Orte, Civita Castellana e Magliano Sabino per le
attivit estrattive(tufi) e per la lavorazione e produzio-ne di
ceramiche; Narni, Orte, Orvieto, Deruta, Spoleto, Foligno,
Umbertine) per un totale di
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pi 700.000 unit di cui 51.000 potenzialmente a rischio di
impatto sulla qualit delle ac-que Due attivit particolarmente
critiche nei termini dell'impatto sul fiume sono quelle connesse
all'estrazione di materiali e alla gestione dei rifiuti, anche se
non semplice valutare signi-ficativamente quanto pesino sullo stato
ambientale del fiume o pi in generale del bacino. Gli impatti pi
gravi sono riconducibili ai seguenti aspetti: variazione del
trasporto solido, instabilit dei versanti, dissesti localizzati e
di versante, erosione alla foce, riduzione della qualit dell'acqua.
Le attivit maggiormente critiche sono ovviamente quelle di prelievo
di inerti in alveo o di estrazione di materiali in prossimit delle
sponde, in zone periodicamente soggette ad e-sondazione molto
spesso condotte in regime non propriamente legittimo. Le attivit di
gestione dei rifiuti che, da una parte rappresentano una porzione
non trascu-rabile dell'economia locale, costituiscono un fattore di
pressione di grande rilevanza sul territorio e conseguentemente sul
bacino idrografico. Il numero delle attivit dal 1991 al 1996 salito
vertiginosamente da 452 a 736 censite (quasi del 40%). La
situazione pi critica, quantomeno per dimensione, senz'altro quella
di Malagrotta, ove vengono smaltiti i rifiuti di Roma, Ciampino,
Fiumicino e della Citt del Vaticano per un totale di circa
1.600.000 tonnellate di rifiuti all'anno. La valle del Tevere
inoltre attraversata da due imponenti infrastrutture di trasporto,
la di-rettissima Roma Firenze e l'Autostrada del Sole che
attraversano pi volte il fiume, anche in viadotto, interferendo con
l'idraulica di superficie specialmente nelle situazioni di piena. A
tali infrastrutture si aggiungono la ferrovia lenta Roma Firenze e
le strade statali Tiberina e Flaminia l'autostrada Roma L'Aquila
lungo la valle dell'Aniene e, nel tratto terminale del Tevere,
l'autostrada Roma Fiumicino. Quest'ultima rappresenta senz'altro un
elemento di particolare interferenza con il fiume, per effetto
della morfologia dell'alveo, caratterizzato da ampie anse
attraversate dall'infra-struttura con imponenti opere e in ragione
dell' idraulica locale, frequentemente caratteriz-zata da fenomeni
di esondazione. Localizzate lungo il corso del Tevere, a monte di
Roma, vi sono altre opere che hanno modificato notevolmente la
portata media e quindi le capacit autodepurative del Tevere ; esse
hanno avuto, prevalentemente, finalit legate agli aspetti
idraulici: dalla utilizzazione delle acque per la produzione di
energia elettrica alla difesa dalle inondazioni. Cos la
co-struzione di dighe a monte della citt lungo il percorso del
fiume hanno mutato il regime locale dei deflussi e hanno anche
provocato cambiamenti negli equilibri ambientali di baci-no Gli
effetti pi importanti di tali opere in termini di bilancio
ambientale riguardano:
1. la riduzione dei fenomeni di esondazione. sia in termini di
frequenza degli eventi, sia in termini di magnitudo della
manifestazione
2. la creazione di invasi che hanno modificato localmen