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May 01, 2015

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Fiore Zanella
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Gulu, tra la guerra ed Ebola

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Uganda:Formalmente indipendente dal Regno Unito dal 1971, da allora si sono succeduti solo pochi uomini alla presidenza dello Stato: da Amin Dada a Museveni(attuale presidente in carica continuativamente dal 1986).Un Paese sconvolto da una guerra civile che prosegue senza soluzione di continuità dal 1986 anno in cui nasce l’esercito dei ribelli LRA guidati da Joseph Kony.

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Grave instabilità politica

1979: Museveni costringe Amin Dada alla fuga e lui ripara in Sudan

1986: Museveni assume il controllo e la presidenza del Paese

1986: Alice Lakwena fonda l’esercito chiamato Holy Spirit Movement

1986: Joseph Kony si mette alla testa della LRA (Lord’s Resistance Army

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Un Paese senza pace

Dal 1986 inizia il terribile fenomeno del rapimento dei bambini e il Governo è costretto a sostenere un esercito regolare, l’UPDF, che difenda i civili approntando campi profughi e presidiandoli.

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La vita nei campi è durissima: a Gulu la densità abitativa di un campo rifugiati si valuta intorno ai 971 individui per chilometro quadrato.I campi, progettati per contenere un numero dieci volte inferiore di abitanti, si sono saturati creando condizioni di vita precarie e favorendo lo scoppio delle epidemie.

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Quello che doveva essere un fenomeno passeggero, per tamponare una situazione di emergenza si è trasformato, negli anni, in un vero esodo di massa. La vita, nell’Uganda del Nord, nei distretti di Gulu e di Kitgum è simile a quella di un girone infernale. A soffrirne sono tutti i civili, ma in particolare i bambini e le donne.

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L’esercito di ribelli guidato da Kony si introduce nei villaggi soprattutto durante la notte. Approfittando delle tenebre rapisce bambini anche molto piccoli per trasformarli in bambini soldato. È così che poco prima del tramonto file di bambini dai 5 ai 15 anni si spostano verso le città per passare la notte. Questo fenomeno, sempre più massiccio, ha preso il nome di Night Commuters. All’alba i bambini tornano a casa, percorrendo le stesse strade sempre col terrore di essere rapiti.

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Nelle piazze delle città, nei sagrati davanti alle Chiese, nei cortili degli ospedali i bambini trascorrono insieme la notte. La vicinanza favorisce il contagio e soprattutto il proliferare dell’HIV che qui ha un’incidenza altissima, più di tutti i paesi africani. Il St. Mary’s Hospital di Lacor, o semplicemente il Lacor, è l’unico baluardo di speranza per gli ugandesi del nord. Fondato nel 1958 dai padri comboniani è stato diretto con amore e passione dal medico italiano Piero Corti e dalla moglie Lucille Teasdale dal 1960 fino alla loro morte. Hanno entrambi contratto il virus dell’HIV curandone i malati.

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Nei campi la situazione non è migliore: la copertura dei servizi igienici è inferiore del 25%. Il 18% dei profughi è affetto da malaria, il 6% soffre di gravi affezioni respiratorie, l’11% di diarrea, il 10,5% di malnutrizione cronica, il 7% di tubercolosi e malattie della pelle. Un discorso a parte è poi riservato all’AIDS e alla terribile epidemia di Ebola che ha colpito Gulu nel 2000. L’accesso all’acqua potabile nei campi è difficile, in un campo che ospita circa 60.000 persone (e la stima avviene per difetto) esistono solo 3 pozzi d’acqua pulita. Le risorse disponibili per queste persone sarebbero a malapena sufficienti a coprire le necessità di 5.000 persone.

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Nel 2000 fa la sua comparsa Ebola. Si tratta di una malattia che non è guaribile e per la quale non esiste una cura specifica. Aggredisce gli organi interni e, con fortissime febbri emorragiche, li distrugge. Nel momento culminante della malattia l’emorragia fuoriesce dai tutti gli orifizi, perfino dagli occhi. Ancora oggi non si sa quale sia il fattore scatenante di Ebola, quello che è certo è che l’epidemia scoppiata a Gulu nell’ottobre del 2000 è la più terribile di cui si abbia traccia.

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L’epidemia di Ebola nel 2000

Alla direzione del St. Mary’s Piero Corti, ormai anziano e malato dopo aver contratto il virus dell’HIV, designa il brillante medico ugandese Matthew Lukwiya. Nel 2000, quando scoppia Ebola, Lukwiya manda dei campioni ad analizzare in Sudafrica. È solo grazie alla sua prontezza di riflessi e alla sua devozione che il virus riesce ad essere riconosciuto ed isolato. Per la prima volta nella storia i malati di Ebola vengono ricoverati in un ospedale e curati.

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Lukwiya tenne un discorso a tutto il personale del St. Mary’s, inclusi gli studenti. Chiese a quanti fossero disposti a lavorare con lui, opportunamente protetti, per ospitare e curare a Lacor i malati di Ebola, pur sapendo che questo avrebbe potuto significare anche la morte. Aderirono in cento e nel corso dell’epidemia morirono in dodici, Lukwiya compreso. Elio Croce, missionario cattolico, racconta che il medico, chiamato d’urgenza da un infermiere accanto ad un malato fuori controllo che schizzava sangue ovunque, nella fretta dimenticò di indossare gli occhiali protettivi. Fu allora che contrasse il virus che lo portò alla morte. Ma il suo sacrificio e quello degli altri medici non fu vano.

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Al funerale di Lukwija la gente gridava e le donne si sbracciavano sconvolte. Ma il sacrificio del medico e la sua grande tenacia ebbero ragione del virus che, appena pochi giorni dopo la sua morte, cominciò a regredire. Dopo un mese l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarava l’epidemia conclusa.

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Con la fine dell’epidemia di Ebola cominciarono a tornare i ribelli guidati da Kony. L’esercito della LRA prese a farsi rivedere sulle strade dei villaggi nei distretti di Gulu e Kitgum.

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Bambini e bambine di pochi anni continuano ad essere rapiti. I piccoli vengono catturati nei loro stessi villaggi, strappati con la forza ai loro genitori e condotti nel bush dove vengono addestrati a diventare dei ribelli. Costretti a marce forzate nella foresta, bastonati fino allo sfinimento, costretti ad uccidere a colpi di panga amici che tentano la fuga. Le bambine vengono assegnate ad un ribelle del quale diventano schiave.

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I racconti dei sopravvissuti sono agghiaccianti. Le marce avvengono quotidianamente spesso fino al Sudan dove i ribelli hanno trovato protezione. Chi non ce la fa viene abbandonato nella foresta e finito a colpi di bastone. Sono gli stessi bambini soldato che vengono costretti ad uccidere. Poi vengono fatti sedere sui corpi degli amici morti e, spesso, sono costretti a farli a pezzi. L’orrore e il terrore quotidiano servono a spezzare la volontà .

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Dall’inizio di questa tragedia le vittime non si contano più. In particolare gli appartenenti all’etnia Acholi, considerati dei nemici dalla LRA.

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Coloro che vengono considerati dei traditori vengono orrendamente mutilati durante le razzie nei villaggi. Vengono mozzati gli arti e tagliati barbaramente nasi e bocche. La crudeltà dei ribelli sui civili è incomprensibile. Chi è semplicemente sospettato viene devastato per sempre dalla furia cieca dei ribelli.

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Le strade che portano ai villaggi sono cosparse di mine. Non sempre è possibile percorrerle perché il Governo ne chiude l’accesso durante la notte e spesso anche di giorno. I villaggi sono sempre più isolati e la gente li abbandona.

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Quando raggiungono i villaggi i ribelli cercano cibo: nella regione di Gulu e di Kitgum non esistono più allevamenti e campi coltivati. Nel bush si trovano solo radici. I bambini catturati non vengono nutriti, sono costretti a rubare quel poco che riescono contendendoselo con gli altri compagni. Se vengono scoperti vengono uccisi. Una morte atroce e lenta, per loro non si sprecano pallottole, si usano solo i bastoni. E se non sono i ribelli ad ucciderli ci pensano la malnutrizione, le malattie e la fatica.

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Per le donne la situazione è ancora più drammatica: dopo essere state rapite sono costrette a trasportare sulla testa taniche d’acqua di circa 20 kg. Vengono stuprate e picchiate a sangue. Poi assegnate ad un ribelle per il quale devono cucinare e trasportare i bagagli durante le marce di trasferimento. Non sono mai unioni d’amore, anche se spesso nascono dei figli. Se il ribelle muore la sua donna viene subito assegnata ad un altro. Di conseguenza nascono altri figli. La maggior parte di queste bambine contrae l’HIV che in molti casi viene trasmesso ai figli.

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I bambini che tentano la fuga rischiano moltissimo. Se vengono catturati vengono immediatamente uccisi. Ma se riescono a fuggire gli ostacoli da superare saranno enormi. Non sempre le loro famiglie sono disposte a riprenderli con sé. Hanno paura di vedere come sono diventati e di ascoltare le crudeltà che hanno dovuto subire ed infliggere.

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A Gusco, nei distretti di Gulu e Kitgum, esiste un importante centro che si occupa del recupero dei bambini soldato. Questi bambini portano profonde ferite, soprattutto nell’anima. Appena arrivato a Gusco un bambino soldato non si fiderà di nessuno, perciò il primo intervento consisterà nello stabilire con lui una forma di dialogo e fargli comprendere che qui potrà sentirsi protetto e sicuro.

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Bisogna che il bambino esorcizzi l’esperienza traumatica subita e che la racconti, per quando terribile e crudele essa sia stata. Poi viene avviato a varie attività, prima di tutte la scuola. Ai più grandi si cerca di insegnare una professione. Ma il tempo di permanenza a Gusco, e in altri luoghi simili a questo, è davvero poco: solo tre settimane. Molti sono i bambini che devono essere riabilitati e poco lo spazio disponibile. Si cerca, nel più breve tempo possibile, di restituire a questi bambini una vita normale.

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Terminato il percorso di rieducazione si cerca di riportare a casa questi bambini. A volte la famiglia non è pronta e non li accetta. Ma, anche accolti dai propri genitori, la vita torna ad essere quella di prima. Si torna ad essere dei Night Commuters, o a vivere nel terrore di essere rapiti. Cosa non rara nell’Uganda del Nord.

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Joseph Kony imperversa nelle zone di Gulu e Kitgum dal 1987 quando, ispirato dal movimento fondato dalla sorella Alice Lakwena, e approfittando dei rapporti tesi tra il Sudan e il regime di Museveni ha saputo creare una rete di alleanze spesso incomprensibili.

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Nei distretti di Gulu e Kitgum ci sono 34 campi rifugiati ufficialmente riconosciuti. Nel giugno del 2002 l’ultimo censimento ha stabilito che 387.568 individui vivessero in questi campi, circa l’8% della popolazione ugandese di questi distretti.

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A Gulu non si trovano missioni di pace o caschi blu. A Gulu non si viene a fare i turisti. Gli unici bianchi che circolano da queste parti sono volontari di qualche ONG o medici. È grazie alla forza e al coraggio di associazioni come AMREF se qualcosa si può ancora sperare qui.

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Tra coloro che si sono distinti per la loro passione e il loro coraggio un tributo speciale ai coniugi Corti: Piero e Lucille che sono sepolti davanti all’ospedale di Lacor.

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E al dottor Matthew Lukwija morto durante l’epidemia di Ebola del 2000. A lui il missionario cattolico Elio Croce ha dedicato il libro-verità Più forte di Ebola.

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GULU

Nel 2002 Luca Zingaretti

con la compagna Margherita

D’Amico, redattrice del

Corriere della Sera, si recano

A Gulu per AMREF.

È così nasce Gulu, un

libro inchiesta ai confini

del mondo. Una lettura di un

istante che però fa riflettere

davvero molto a lungo.