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May 02, 2015

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Anunciata Vanni
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Il Mito di Pietroburgo fra passato e presente

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La quantità e la qualità di ciò che si può dire di S. Pietroburgo è infinita perché, fra le grandi capitali, è indubbiamente una delle città più segnate da un destino tragico e contraddittorio, da un'anima strana e per certi versi inquietante, di cui si è cercato di cogliere l'essenza attraverso una serie di opere letterarie e musicali che appartengono spesso alle vette della cultura europea degli ultimi tre secoli. Come dice il poeta Iosif Brodskij (1940-1996, premio nobel nel 1987) uno degli ultimi grandi cantori di Pietroburgo, questa è la città che ha cambiato il nome.

Va detto però che in Pietroburgo l'elemento più forte è quello petrino, legato cioè a Pietro il Grande ed al suo sogno veramente titanico di creare una città di tipo europeo sulla parte orientale del golfo di Finlandia, su un terreno poco propizio, esposto ai venti ed al freddo, lontano dal caldo ventre di una Russia madre ripiegata sulla sua dimensione continentale e poco propensa al contatto con lo straniero, con ciò che si stende al di là dei suoi sterminati orizzonti terrestri.

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La rivoluzione ha toccato poco la città: un simbolo potente di questa è la statua di Lenin davanti alla stazione Finlandia il cui piedistallo è costituito da un autoblindo, ardito accostamento costruttivista, che doveva simboleggiare il nuovo, la bandiera, in fondo, della rivoluzione.Vedete la statua da dietro: quello squarcio è stato provocato da una bomba, del 2 aprile 2009: vandalismo o vendetta contro la rivoluzione?Paradossalmente, la rivoluzione è ciò che ha salvato questa Pietroburgo che vediamo oggi, perché pochi sanno, anche fra i russi, che nell'ultimo periodo zarista erano stati predisposti piani di ricostruzione che dovevano trasformare Pitér in una città parigino-berlinese, cancellandone l'impronta del ‘700.I bolscevichi trascurarono Pietroburgo-Leningrado, trasferendo la capitale a Mosca e dedicando a quest'ultima le loro concezioni di edilizia popolar-socialista: poco male, perché Mosca, al di là della piazza Rossa e di qualche Chiesa, era ancora in larga parte costruita in legno e avrebbe dovuto comunque essere trasformata.Pietroburgo è settecentesca, razionale, ben disegnata: è nata a tavolino, su progetto, tutta d'un colpo: le strade, le piazze, le prospettive sono tracciate con la squadra, non conoscono quel sovrapporsi di strati che è proprio delle città vere.

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Tutto è perfetto.Si potrebbe direche è una città sull’attenti, militaresca.Come se il modellino di legno si fosse trasformato in pietra sotto le mani di architetti legati ad un preciso ordine del giorno.Questa era la visione di Pietro il Grande, questo, in parte, il suo spirito.

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Viene continuamente ricordato che essa è la finestra sull'Europa, ma, in realtà, Pietro la concepì già come Europa, perché voleva che la Russia fosse Europa, che avesse uno sbocco al mare, un suo grande porto, una sua marina, che potesse competere alla pari con le potenze vicine, prima fra tutte, allora, la Svezia.Città nuova, per una nuova cultura, centro della ragione, della scienza, dell'educazione. Ma questa europeizzazione veniva perseguita con spietati metodi che ricordano l'onnipotenza dei khan asiatici e di questo Pietro non fu mai perdonato.Il simbolo di tutto questo è la statua in bronzo a Pietro il Grande eretta da Falconet nel 1782 al centro della città per ordine di Caterina II.

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Puškin è il primo ad attirare l'attenzione sulla sua natura enigmatica, nel poema il Cavaliere di bronzo, in cui nel surreale paesaggio d'una Pietroburgo travolta dalle acque la statua si anima: da allora vi sono state innumerevoli interpretazioni del poema di Puškin e quindi dell'enigma della città e del suo destino: simbiosi fra realtà e letteratura in cui i due mondi si scambiano continuamente i ruoli.Questa è una costante per ciò che riguarda Pietroburgo: Puškin, Gogol’, Dostoevskij, ma anche Glin'ka, Musorgskij, Čajkovskij, Rimskij-Korsakov si sono ispirati alla città per creare le loro opere e poi hanno ritrasfuso la loro opera nella città: l'inconscio della città e dei suoi abitanti è stato modellato da ciò che è stato detto di lei: ed ora è fin difficile ritrovare la Pietroburgo vera.Un esempio: camminando con Delitto e castigo in mano si possono ripercorrere i passi dell'assassino di Dostoevskij, Raskol'nikov.

Aleksandr Sergeevič Puškin

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Questi, dopo aver ucciso l'usuraia in un cortile che nessuno ha difficoltà ad indicarvi,attraversa un certo ponte, che c'è ancora e che anche voi potete attraversare fino a sboccare, seguendo il lungofiume, in una grande strada dove vi indicano la stazione di polizia dove egli finì: bene è ancora oggi una stazione di polizia e vi par quasi che Raskol'nikov in catene debba apparire proprio a due passi da voi. La storia di Pietroburgo è anche quella della creatività russa fra ‘800 e ‘900. Molti hanno legato questo vigore creativo, che ha permesso alla Russia in pochissimo tempo di contribuire così potentemente alla cultura mondiale, proprio alla città, perché nel contesto della vita russa l'avvento di Pietroburgo fu paragonabile alla scoperta del nuovo mondo: così diversa ed estranea alla Russia tradizionale si offriva come uno specchio che permetteva d'osservarsi dall'esterno: e Pietroburgo è tutta acqua, tutta una superficie riflettente.

Casa di Raskol’nikov

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Torniamo alla statua di Falconet: lo Zar in toga romana e corona d'alloro con il braccio proteso scruta con orgoglio la città su di un cavallo impennato che rappresenta la Russia: pare che la Russia pur di non lasciarsi spingere in avanti da Pietro si sia imbizzarrita; un secolo dopo Annenskij, il maestro della poetessa Achmatova, attirò l'attenzione sul serpente che viene schiacciato dall'impetuoso cavaliere, lasciandoselo alle spalle: «Lo zar non è riuscito ad uccidere il serpente e l'oppresso è divenuto il nostro idolo». Dietro a questo si sente l'eco della leggenda che ha accompagnato la nascita improvvisa di questo mostro moderno sul desolato delta della Neva, paludoso, spazzato dai gelidi venti del Baltico: il numero di vite umane sacrificato al sogno di Pietro fu così alto che accanto all'ammirazione si fece strada una sorta di maledizione che assunse quasi un carattere mistico, presso il popolo, che riteneva che quegli operai morti si sarebbero presi prima o poi la rivincita.

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Le inondazioni, gli incendi che segnarono la città furono sempre percepiti come i segni premonitori di una qualche Apocalisse: dal nulla è sorta ed al nulla sarà restituita.Come nelle fiabe l'elemento benigno e maligno coesistono: la morte alla base della vita, la vita come risposta alla morte.Ecco un tema che attraversa l'arte, la musica, la letteratura sorte nell'alveo di Pietroburgo. E i presentimenti degli artisti si rivelarono profetici: nel XX secolo essa fu colpita da due guerre mondiali, tre rivoluzioni, da un assedio senza uguali, da purghe, fame, devastazioni, terrore: ha perso la status di capitale, i suoi uomini migliori, il denaro, il potere nonché la gloria cui Pietro l'aveva destinata.

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L’URSS non amò la vecchia Pietroburgo, simbolo della cultura pre-rivoluzionaria. La città, sbigottita se ne stette a guardare, si bloccò come in una fotografia. Così ne vediamo l’impianto settecentesco su cui fiorì poi il classicismo più smaccato, grazie agli architetti italiani e francesi che trovavano qui la loro Mecca: è tutto molto familiare, dai ponti, ai cortili, alle cancellate, ai colonnati è tutto un déjà vu che richiama spesso alla mente squarci dei Navigli, tratti di Venezia, angoli di Parigi: eppure nessuno dubita di trovarsi in una città russa, perché le dimensioni e la luce sono così diverse che gli stessi elementi a noi familiari proiettati sullo schermo offerto da questo cielo e queste acque si deformano secondo un moto proprio, specifico.

Piazza del Palazzo( Rossi)

Ermitage ( Rezzini)

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Un’esperienza dolorosa è quella di guardare più da vicino gli elementi di questo splendido scenario da film: molti palazzi sono vuoti o in rovina, le loro finestre sono come occhi ciechi aperti sul vuoto. E allora si capisce quanto questa città abbia pagato alla Storia. Pietroburgo è morta e Leningrado non è sorta, verrebbe da dire. Nella realtà, nonostante il nuovo nome di Leningrado, Pietroburgo non morì e questo permise a Leningrado di sopravvivere: secondo una bella immagine di Volkov si può dire che come un'Atlantide scomparsa continuò a vivere sommersa, perché il suo mito, i miti sono potentissimi centri che irradiano energia, ha continuato a vivere. E ancora una volta ha trovato la via per emergere grazie alla Achmatova e a Šostakovič, che in sintonia profonda fra poesia e musica hanno creato il suo nuovo epos, fra gli anni '40 e gli anni '50: alla leggenda delle ossa dei costruttori si è aggiunta quella dolente delle vittime del terrore staliniano e della guerra ed è nata la nuova variante mitologica che vede in Pietroburgo-Leningrado la città martire, simbolo della tragedia della Russia e delle speranze della sua rinascita.

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Di qui il ritorno, dopo la fine del comunismo, del vecchio nome. La Pietroburgo soffocata in patria trovò negli emigrati dei portavoce che seppero tessere un filo, con la nostalgia, fra passato e presente.Ecco è sulla nuova Pietroburgo che vorrei attirare la vostra attenzione: meta ideale per un soggiorno, durante le famose notti bianche, attraversare i ponti, camminare lungo i canali, soffermarsi nelle zone di verde che circondano i palazzi imponenti.Senza trascurare le residenze imperiali appena fuori Pitér che ci ricordano delle Versailles o delle Regge di Caserta, ancora una volta suggestive proprio perché russo-europee, dove l’elemento russo ci ricorda quel perenne movimento fra ragione e caos, fra innovazione ed imitazione che rende il tutto vagamente surreale.

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08/05/11 La Grande cascata di Peterhof