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HAROLD DWIGHT LASSWELL
GLI STUDI
Lo studioso di scienze politiche, indicato tra i massimi pionieri dello studio scientifico della comunicazione, si laurea nel 1922 e consegue il Dottorato all’Università di Chicago nel 1926, per poi recarsi in Europa, dove studia Freud e Marx e conosce Keynes e Bertrand Russell.
LA PROPAGANDA
La sua prima opera
importante è la tesi di
dottorato apparsa nel 1927,
che analizza le tecniche di
propaganda impiegate
nella prima guerra
mondiale e costituisce la
prima testimonianza
dell’apparato concettuale
della Mass Communication
Research.
LA PROPAGANDA
Con lo studio della propaganda inizia il suo percorso di politologo consapevole della grande importanza della comunicazione politica ma anche attento alle esigenze metodologiche della sociologia empirica.
PUBLIC OPINION
Assistant Professor nel Dipartimento di Scienze Politiche dal 1926, insegna a Chicago fino al 1938, contribuendo alla fondazione (1937) della rivista Public Opinion Quarterly.
A ridosso del secondo conflitto mondiale, conduce due grandi ricerche (per la Library of Congress e per la Stanford University) riguardanti i simboli della propaganda, le opinioni dell’élite e la stampa di prestigio.
25 settembre1956, War College di Carlisle, (Penn.). Lasswell con il Comandante Man S. Johnson, F.
S. Dunn, il Vice comandante E. C. Doleman e William T. Fox (Columbia University.
YALE
Nel 1948 ottiene la docenza alla Yale Law School. Ricopre importanti ruoli per il governo e nel 1955 diventa presidente dell’American Political Science Association.
LA PROPAGANDA
Il suo lavoro del 1927 sulle
tecniche di propaganda usate da
americani, inglesi, francesi e
tedeschi durante la prima guerra
mondiale non giunge a formulare
una teoria generale, ma produce
una razionale analisi del campo di
indagine, distinguendo i messaggi
secondo i pubblici cui sono diretti
e individuando i temi ricorrenti,
ristretti sostanzialmente in 8 gruppi.
LA PROPAGANDA
L’opera ha quindi un carattere descrittivo e analitico, fondato sulla costruzione di tipologie. Fornisce tuttavia l’impressione che si possano ricostruire le strategie propagandistiche dei diversi governi e anche predire le mosse future degli eventuali nemici.
VISIONE TECNICA E STRUMENTALE
Le funzioni attribuite da Lasswell alla propaganda definiscono il suo concetto di comunicazione politica, ritagliato sull’orientamento elitista respirato durante la sua formazione e ampiamente condiviso dallo spirito dell’epoca.
CHARLES EDWARD MERRIAM
Lasswell è infatti un allievo
di Charles Merriam, che
insegna dal 1900 al 1940
nel dipartimento di
Scienza politica di
Chicago, predicando il
superamento della storia
delle idee e della teoria
politica e un contatto più
stretto con la psicologia e
l’economia.
CHARLES EDWARD MERRIAM
Secondo Merriam la
ricerca, nelle scienze
sociali, e nella
politica, deve essere
davvero empirica, sul
campo, e mirare alla
trasformazione della
società e delle
istituzioni.
CHARLES EDWARD MERRIAM
Da questa visione, che riserva alle dinamiche di formazione delle élites il segmento aureo della «scienza politica» (relegando le masse popolari sullo sfondo, come soggetto passivo ed elemento residuale), preoccupata di mettere in evidenza gli aspetti pratici della disciplina, discende una lettura della comunicazione politica in chiave pratica, che tende a identificare propaganda e democrazia.
VISIONE TECNICA E STRUMENTALE
Nell’ottica di Lasswell, che interpreta
un’opinione molto diffusa, la propaganda è uno
strumento indispensabile nelle democrazie
moderne perché è l’unico in grado di strutturare
il consenso delle masse popolari.
VISIONE TECNICA E STRUMENTALE
L’approccio scientifico alla propaganda viene così ancorato alla valutazione della sua efficacia, al riparo da considerazioni sulla distribuzione del potere o di tipo etico (che vengono dislocate in altri settori), e trae giovamento dall’inquadramento come un insieme di «tecniche», un mezzo neutrale che costituisce un’alternativa economica alla violenza e alla corruzione nella gestione del potere.
MAX WEBER
Per comprendere la facilità con cui si afferma una visione della comunicazione politica così attenta agli aspetti tecnici e così ambigua e «sbrigativa» sul piano morale, occorre considerare il quadro teorico generale della riflessione sociologica e in particolare la specifica influenza su alcuni punti del pensiero di Weber, morto nel 1920.
MAX WEBER
In particolare era ormai
manifesta l’influenza sulla politica
dell’agire razionale rispetto allo
scopo (Zweckrationalität), la
categoria enucleata da Weber,
del quale in quegli anni erano
particolarmente apprezzate sia
l’accentuazione «realistica» della
sua sociologia politica, sia l’invito
alla netta separazione tra giudizi
di valore e giudizi scientifici.
Weber.pptWeber.ppt
SCIENZA NATURALE
La separazione fra giudizi scientifici e giudizi di
valore contribuisce a plasmare una scienza
politica «comportamentale», che svincola l’azione
politica dalle radici storiche per poterla decifrare
in un contesto più «meccanico», con l’ausilio degli
strumenti offerti dalla psicologia e dalla sociologia.
SCIENZA NEUTRALE
Ma soprattutto può essere usata come un grimaldello per scardinare le responsabilità di tipo etico che gravano sulla politica e poterne così valorizzare più liberamente gli aspetti «tecnici» in termini di risorse, obiettivi e strategie.
In quest’ottica naturalmente diventano interessanti per l’analisi i comportamenti dei gruppi organizzati, delle élite, dei grandi personaggi, cioè dei soggetti «attivi» che fanno la politica anziché limitarsi a «subirla». Perciò Lasswell, introducendo la teoria elitista all’interno del dibattito politologico americano, sostiene in Chi ottiene che cosa, quando e come (1936) che la massa non riveste che scarso interesse per uno studioso della politica.
5 febbraio 1913, il governo di Francisco Madero a una cerimonia
Del resto, già nel 1933, nella voce
«Propaganda» scritta per l’Enciclopedia delle
Scienze Sociali, Lasswell ha chiaramente
ridimensionato l’idea fondamentale del
pensiero democratico secondo cui ciascuno è
arbitro del proprio interesse: «Non dobbiamo
soccombere» egli ha scritto «a dogmatismi
democratici del tipo che gli uomini sono migliori
giudici dei propri interessi».
Poiché la maggior parte delle persone è ancora preda della superstizione e dell’ignoranza, spiega lo studioso, l’avvento della democrazia, in America come in altri paesi, «obbliga a sviluppare un insieme di tecniche di controllo, soprattutto attraverso la propaganda», che è un «mezzo di mobilitazione di massa più conveniente della violenza, della corruzione o di altre possibili tecniche di controllo».
Se la gente comune non è in grado neppure di
capire qual è il suo interesse, è evidente che la
sorte delle masse è quella d’essere controllate
ed emarginate dalla vita politica. Un regime
democratico efficiente usa quindi la
propaganda come un mezzo lecito e
vantaggioso per indurre i cittadini a fare scelte
che spontaneamente non farebbero.
«Il nostro pensiero è stato troppo a lungo
distratto dalle logore contrapposizioni fra
democrazia e dittatura, fra democrazia e
aristocrazia. Il nostro problema è essere guidati
dalla verità sulle condizioni di relazioni umane
armoniche e la scoperta della verità è un
oggetto della ricerca specialistica; non è
monopolio del popolo in quanto tale né dei
governanti in quanto tali».
«Da che sono stati inventati e diffusi i nostri
metodi di accertamento, essi sono spiegati e
applicati da molti individui all’interno dell’ordine
sociale. La conoscenza di questo tipo è una
accumulazione lenta e laboriosa».
Nel suo discorso d’insediamento alla Presidenza
dell’American Political Science Association (la
più antica e vasta organizzazione americana di
scienziati politici, nel 1934, Walter J. Shepard si
scaglia contro «il dogma del suffragio universale»
e afferma che il governo dovrebbe essere in
mano a “un’aristocrazia di intelletto e di
potere”.
Ne deriva logicamente che agli “elementi
ignoranti, anticonformisti e antisociali” non deve
essere permesso di decidere l’esito delle elezioni,
come sciaguratamente è stato fatto in passato».
Se a qualcuno quest’idea rammenti il fascismo,
egli conclude, allora costui sappia «che esistono
molti elementi nella dottrina e nella pratica del
fascismo di cui faremmo bene ad appropriarci».
Secondo Patrick Deenan, la visione di Shepard è più rappresentativa di quanto si possa pensare delle tendenze più ampie di quel periodo. Queste voci a favore del fascismo non provengono da estremisti marginali ma da scrittori di successo, Presidenti di grandi associazioni, redattori di riviste popolari.
Col senno di poi, è facile pensare che Shepard avesse
un carattere un po’ autoritario o che fosse mal
consigliato. Tuttavia, è significativo che una figura
rispettata nell’accademia americana tenesse
ufficialmente un discorso di quel tenore. I suoi sentimenti
erano non erano lontani da quelli dei protagonisti della
rivoluzione comportamentale di quegli anni e
riflettevano molte idee correnti sull’insufficienza delle
istituzioni democratiche e del loro spirito di cittadinanza.
intellettuali di alto profilo di quel tempo che sarebbero
stati d'accordo con l'idea che la democrazia americana
fosse fallita e che fosse necessaria una novità.
Graham Wallas e Walter Lippmann, i politologi di
Chicago Charles E. Merriam, Harold F. Gosnell e
Harold Lasswell, gli psicologi di Harvard Elton
Mayo e William S. Mc-Dougall, il sociologo della
Columbia Robert S. Lynd e lo storico dello Smith
College Harry Elmer Barnes si sono espressi
criticamente sulla «democrazia», senza per
questo dover condividere l’ideologia fascista.
McDougall e il «negazionista» Barnes potevano
avere simpatie per il nazismo, ma molti di loro
credevano semplicemente che il modello
democratico americano avesse fallito e dovesse
essere superato da qualcos'altro, sulla base
della convinzione che l’essenza della
democrazia consistesse nei risultati ottenuti e
non nella semplice partecipazione.
Harry Elmer Barnes (1889-1968)
Lo stesso disprezzo per il cittadino comune viene esibito anche da Edward Bernays, che su questi temi riveste nel mondo degli affari quel ruolo chiave che negli studi accademici spetta a Lasswell: «L’americano adulto medio» osserva il guru delle pubbliche relazioni «ha solo sei anni di scolarizzazione (…) perciò i leader democratici devono fare la loro parte nell’ingegneria del consenso».
Il telespettatore medio italiano ha l’intelligenza di un bambino di undici anni, nemmeno troppo
intelligente.
Ettore Bernabei
Ricordate che i nostri spettatori hanno solo la terza media e non
sedevano nemmeno tra i primi banchi.
Silvio Berlusconi
In un articolo del 1947 Bernays chiarisce bene su
quali basi si sostenga l’uso della propaganda in
una democrazia. La propaganda è equiparata
alla persuasione e questa alla democrazia.
«L’ingegneria del consenso» asserisce convinto
«è la vera essenza del processo democratico, la
libertà di persuadere e di esortare».
All the King’s Men, Usa 1949
È lo stesso percorso illustrato da Lasswell venti
anni prima: «Si sono sviluppate nuove abitudini
che favoriscono la circolazione delle opinioni e il
comportamento elettorale. La maggior parte di
ciò che in precedenza sarebbe stato fatto con
la violenza e l’intimidazione deve ora essere
ottenuto con gli argomenti e la persuasione».
E conclude con una frase a effetto: «La
democrazia ha proclamato il dominio della
discussione e la tecnica per dominare il
dominatore si chiama propaganda».
Harold D. Lasswell, «The Theory of Political Propaganda», The American
Political Science Review, Vol. 21, No. 3, Aug. 1927, pp. 627-631,
In questa prospettiva, la propaganda in sé non
ha ovviamente nulla di negativo: è uno
strumento, moralmente neutro, che si può usare
bene o male, quanto la maniglia di una pompa
dell’acqua.
Il tentativo di condurre la scienza politica
nell’alveo delle scienze «esatte», oltre i suoi
tradizionali binari etico-filosofici e storici, viene
elaborato da Lasswell sulla scia delle indicazioni
di Merriam e sulla base di un marcato
orientamento elitista.
L’analisi della politica viene spostata sul terreno
concreto, in cui azioni e obiettivi specifici sono
valutati oggettivamente, entro un quadro
teorico ampiamente ispirato alla psicologia
dell’epoca che risemantizzare le nozioni di
«simbolo» e di «valore» con la patina fredda e
razionale di un gergo strettamente «tecnico».
Spunta anche qui l’entusiasmo
per le idee di Freud, già diffuso
da Bernays nelle pubbliche
relazioni, che sembrano poter
rendere la politologia ancor
più «scientifica», grazie al loro
carattere «sperimentale» e alla
promessa di poter modificare i
comportamenti umani.
Incoraggiato da Merriam,
dopo un soggiorno in Europa
tra il 1928 e il 1929, Lasswell
pubblica un volume ispirato
direttamente alle teorie
freudiane (Psychopathology
and Politics, 1930) in cui
propone, attingendo a piene
mani dalla psicoanalisi, una
disamina del comportamento
di alcuni leader famosi.
GUIDARE LE MASSEJames Elder Christie, The Pied Piper of Hamelin, 1881
«I risultati delle ricerche sulla personalità
mostrano che l’individuo è un giudice mediocre
del proprio interesse. La persona che sceglie di
impegnarsi su una linea politica in genere sta
provando ad alleviare il suo disturbo con
palliativi irrilevanti. Un esame delle condizioni
generali della persona frequentemente mostrerà
che la sua idea del proprio interesse è assai
distante dal percorso che veramente potrebbe
dargli una vita stabile e felice».
GUIDARE LE MASSE
«La propensione dell’uomo verso lontani obiettivi sociali, la dimestichezza coi quali e al di là dell’esperienza personale, tranne rari casi, è molto probabilmente il frutto di un adattamento simpatetico piuttosto che un comportamento sano e ponderato».
Harold D. Lasswell, Psychopathology and Politics, (University of Chicago Press, 1930)
L’affermazione che la gente è spesso all’oscuro del proprio vero interesse viene solitamente accusata di condurre alla conclusione che sia necessaria una dittatura. Ma nessuno studente di psicologia dell’individuo può ignorare la conclusione di Kempf che “la società non è sicura (…) quando è costretta a seguire la dittatura di un individuo, di un apparato assoluto, non importa quanto splendido e altruista sia il tipo di condizionamento”.
Egli elabora una
tipologia delle leadership
basandosi sulle
esperienze personali, gli
atteggiamenti e lo
sviluppo della personalità
dei loro interpreti,
classificati come teorici,
amministratori e agitatori.
La caratteristica essenziale dell’agitatore, ad esempio, è l’alto valore che egli attribuisce alla risposta emotiva del pubblico. Sia che difenda le istituzioni sociali, oppure le attacchi, l’agitatore, come dice il nome, si eccita così tanto per le questioni politiche da trasmettere il suo fervore a quelli che gli stanno attorno.
Béla Kun, leader della Rivoluzione ungherese del 1919
Secondo Lincoln Allison, l’idea più interessante e
meno riconosciuta del libro è la distinzione
polemica fra «noi», persone normali che si
godono i dettagli della vita, guardano il cielo,
sentono l’odore dei fiori, e «loro», i politici guidati
dalle loro psicopatologie che invece vogliono
svegliare le coscienze, aumentare la nostra
consapevolezza e perciò sono stati di volta in
volta “puritani”, “socialisti” e ora “ambientalisti”.
Costoro sono diversi da noi, non possono nemmeno mangiare senza interrogarsi sulla sostenibilità dell’economia che porta il cibo nel piatto e hanno bisogno di attenzione, potere, status etc. perché qualcosa non ha funzionato nella loro educazione.
Questa è l’idea centrale del libro, che però –dice Allison - invece di esplorarne le implicazioni teoriche consistenti, spende le sue 319 pagine per narrare una serie di case studies in cui le polluzioni notturne nel letto condiviso col padre conducono ad adorare Stalin oppure un’erezione durante un fustigazione motiva l’approdo al fondamentalismo religioso.
«Al tempo Lasswell sembra voler predisporre meccanismi per evitare che gli psicopatici giungano al potere: in un libro scritto dopo un soggiorno in Germania alla fine degli anni Venti, sembra comunque una buona prova di preveggenza!»
Lincoln Allison
Oggi questo «scientismo freudiano» sembra perfino risibile e lo stesso Lasswell (secondo cui le gelosie omosessuali represse nello stato maggiore avevano causato la sconfitta della Germania, p.178) era consapevole dei risultati “modesti” che aveva dato l’ibridazione tra il freudismo e gli studi politici. Perciò, mentre il brio con cui s’impossessava del gergo di altre discipline colloca talora Lasswell tra i padri della psicologia, molti studiosi tendono a espellere Psychopathology dalla sua biografia.
REFERENTI
• La psicologia delle folle
(Le Bon)
• Il behaviorismo
(Watson)
• Le teorie sul
condizionamento
(Pavlov)
• La psicologia sociale
(Mc Dougall)
Resta tuttavia il fatto che quest’approccio alla costruzione del leader politico - che trasforma in questioni di pubblico interesse motivi privati dislocati sul piano della sfera pubblica - struttura il percorso interpretativo dell’azione politica che forma l’ossatura costante del pensiero di Lasswell.
L’essenza dell’azione politica consiste infatti, secondo lui, nel “tradurre” gli stati psicologici individuali nella dimensione degli oggetti pubblici. L’azione può essere razionalizzata in termini di pubblico interesse o legge morale, ma in fondo è motivata da complessi, nevrosi e psicosi.
Convinto che gli scienziati politici devono
studiare il «comportamento politico» più che le
idee politiche, Lasswell definisce la politica
come quella parte del processo sociale che si
traduce nella competizione per il potere, nella
lotta per il possesso, la gestione e la distribuzione
delle risorse: l’abilità di partecipare alle decisioni
e di produrre effetti su altre persone.
La concezione di Lasswell è quella di un «gioco a somma zero», in cui si distribuiscono dall’alto risorse scarse e inevitabilmente l’impegno politico si traduce nel dividersi, nel parteggiare per gli uni o per gli altri, nel seguire percorsi istituzionalizzati per ottenere benefici a spese altrui piuttosto che in forme di aggregazione partecipativa. Ne risulta una visione proceduraledella democrazia, piuttosto arida e fredda.
La scienza politica studia perciò le
trasformazioni nella distribuzione
sociale dei modelli di valore e,
poiché la distribuzione è basata sul
potere, il punto focale dell’analisi
sono le dinamiche del potere. In
questo contesto i valori sono
definiti non come mete da
perseguire in nome degli ideali, ma
come gli obiettivi che guidano
materialmente le azioni individuali.
Lasswell individua otto «valori»,
quattro connessi al benessere
personale (salute, ricchezza, abilità
professionale e conoscenza) e
quattro al benessere «sociale»
(potere, affetto, onorabilità e
rispetto). Il potere ha la peculiarità
di essere non solo un valore-fine,
ma anche un valore-mezzo, ossia
una risorsa che permette il
raggiungimento di altri valori.
Per conseguire questi valori, che nell’ambiente sociale sono naturalmente distribuiti in maniera diseguale, vengono impiegate risorse sia materiali (beni economici e violenza), che incidono direttamente sulla «situazione» degli attori, sia intellettuali (i «simboli»), che agiscono invece sulle attività mentali e sulle «prospettive».
Sono le risorse simboliche ad attivare e articolare i processi mentali che attraverso dinamiche inconsce (io, es e super-io) traducono l’energia psichica della cerchia primaria (sfera privata) verso la cerchia secondaria (sfera politica). La capacità di usare i «valori» per influenzare la condotta altrui, mediante l’uso di meccanismi di sanzione o gratificazione, trova quindi il suo terreno elettivo nello «scambio simbolico» e nella comunicazione il suo strumento privilegiato.
Il pensiero di Lasswell viene dunque a collimare col processo di «indurimento» delle scienze sociali che, sedotte dal neopositivismo, cercano di guadagnare prestigio attraverso il rinnegamento delle ipoteche soggettivistiche e storicistiche e l’aspirazione a nuovi statuti scientifici improntati al metodo razionale e a un’oggettività di tipo «naturalistico».
La ricerca, più o meno affannosa, di nuovi paradigmi scientifici unisce alla percezione di una potente e irreversibile trasformazione della realtà la consapevolezza, da parte del pensiero occidentale, dell’impossibilità di attingere a verità «assolute», aggravata dalla crisi del positivismo.
Edmund Husserl (1859-1938)
Il peso di questa situazione sposta l’attenzione di
molti studiosi sugli strumenti di «mediazione» di
senso, per valutarne la portata e l’efficacia,
nella logica come nell’analisi del linguaggio e
nella ricerca sulla riproduzione sociale della
cultura.
1926, Margaret Mead tra due
samoane.
Questo orientamento orfano di ogni fondazione
“ontologica” trova una buona traduzione in
campo comunicativo nella chiara avvertenza di
Lippmann (ne L’opinione pubblica), secondo cui
quasi ogni nostro atteggiamento è ormai mediato
dalle rappresentazioni sociali di cui possiamo
disporre, aumentando in modo esponenziale il
valore strategico dei mezzi dedicati allo scambio
di significati.
La comunicazione vede così allentarsi i vincoli
che ancora la costringevano a confrontarsi con
la manifestazione dell’essere, con la descrizione
del reale, con la definizione del vero. Anche su
questo versante, la categoria dell’utile prende il
sopravvento su quelle del giusto e del vero.
La comunicazione può allora essere costruita
concettualmente come uno strumento, una
tecnica «neutrale» che trova il suo fondamento
negli obiettivi che la innescano e la sua «misura»
nel risultato ottenuto. Lo stesso «contenuto» non
deve più tanto rispondere a criteri «esterni» di
validazione quanto essere weberianamente
adeguato alle finalità di chi lo esprime.
Il lavoro di Lasswell s’inserisce perfettamente in
questa new wave. Il suo nome è infatti connesso
alla tecnica della content analysis, un metodo
per lo studio sistematico dei messaggi che si
coniuga con la rivoluzione comportamentista
che dagli anni Trenta agli anni Sessanta
egemonizza gli studi politici negli Stati Uniti.
ANALISI DEL CONTENUTO
L’analisi del linguaggio, e più in generale della comunicazione, è infatti per Lasswell lo strumento che permette la comprensione del comportamento politico; la ricerca sui modi di comunicare fornisce una base scientifica per lo studio della pratica politica.
ANALISI DEL CONTENUTO
Egli affianca fin dall’inizio al
lavoro di ricerca la costante
elaborazione degli strumenti
empirici in grado di decifrare
gli obiettivi espressi dalla
politica mediante la
comunicazione, che lo porta
a creare la metodologia di
cui è considerato il padre: la
content analysis (o analisi del
contenuto).
Secondo una notissima
definizione di Bernard
Berelson del 1952, la
content analysis «è una
tecnica per la
descrizione obiettiva,
sistematica e
quantitativa del
contenuto manifesto
della comunicazione».
ANALISI DEL CONTENUTO
«Insieme ampio ed eterogeneo
di tecniche manuali o assistite
da computer di interpretazione
contestualizzata di documenti
provenienti da processi di
comunicazione in senso
proprio (testi) o di significazione
(tracce e manufatti), aventi
come obiettivo finale la
produzione di inferenze valide
e attendibili».
LA CONTENT ANALYSIS
Questa procedura sistematica consente il monitoraggio dei flussi informativi implicati nel processo di policy-making e di formazione dell’opinione pubblica, attraverso la classificazione dei simboli in categorie pertinenti e il calcolo delle frequenze che permette di determinarne l’intensità e la direzione.
Lo studioso è ora in grado, grazie a una procedura scientifica funzionale allo studio obiettivo dei messaggi, di individuare i nessi significativi tra• la personalità, il ruolo sociale e le intenzioni
dell’emittente e i simboli chiave del messaggio.
• il contenuto della comunicazione e gli effetti sul pubblico
• i diversi tipi di simboli chiave ricorrenti nella comunicazione.
Piazza Rossa, 1° maggio 1920
Una delle più celebri applicazioni della tecnica
compare nel volume del1949 The language of
politics. Studies in quantitative semantics (a cura
di Harold Lasswell e Nathan Leites) ed è l’analisi,
condotta con il sovietologo Sergius Yakobson,
degli slogan esposti a Mosca dal 1918 al 1943
durante la tradizionale parata del 1° maggio.
Piazza Rossa, 1° maggio 1932
La ricerca dimostra che i contenuti degli slogan variano di concerto con la linea politica del partito. L’aumento dei simboli nazionalisti e di politica interna coincide infatti con il diminuire dei simboli che celebrano l’internazionalismo. Aumentano anche i moniti sui problemi interni rispetto alle denunce di possibili pericoli esterni.
Piazza Rossa, 1° maggio 1936
Viene così assodata da Lasswell e Yakobson la continuità tra le forme della propaganda e la linea politica ufficiale del partito comunista sovietico, che negli anni Trenta si concentra sulla stabilizzazione interna del potere e, constatate le enormi difficoltà ad esportare la rivoluzione fuori dai confini dell’URSS, accantona l’obiettivo internazionalista.
La comunicazione politica, la propaganda in particolare, costituisce un campo d’indagine particolarmente fruttuoso per lo studio del potere politico. l’agire politico, in quanto fenomeno storico-sociale, può essere adeguatamente compreso analizzando il linguaggio della politica, che si assume esserne una sorta di rispecchiamento fedele.
Lo studio della comunicazione politica può, in
particolare, contribuire a svelare il "mito politico",
come Lasswell lo chiama, ovvero l’insieme delle
istanze ideologiche (di cui i simboli-chiave
presenti nel linguaggio della politica sono
l’espressione diretta) che legittimano
determinati rapporti di potere.
«Il termine ‘mito’» precisa Lasswell «non implica
necessariamente l’attribuzione di un carattere
fittizio, falso o irrazionale ai simboli, anche se
talvolta ciò accade. Tale termine si ricollega a
concetti che hanno avuto un ruolo importante
nella letteratura politica classica: la ‘nobile
menzogna’ platonica, la ‘ideologia’ marxiana, il
‘mito’ di Sorel, la ‘formula politica’ di Mosca, le
‘derivazioni’ di Pareto, l’‘ideologia’ e l’‘utopia’ di
Mannheim, e così via».
E, a proposito dei simboli-chiave, osserva: «Un
simbolo-chiave è un termine elementare e
fondamentale del mito politico. Negli Stati Uniti
sono simboli-chiave parole come ‘diritti’,
‘libertà’, ‘democrazia’, ‘eguaglianza’. Tali
termini figurano negli oscuri trattati dei professori,
nelle sentenze emesse dai tribunali, nei discorsi
che si possono ascoltare al Senato e alla
Camera dei rappresentanti, agli angoli delle
strade, per tutto il paese».
«Una funzione evidente dei simboli-chiave è
quella di fornire una esperienza comune a tutti
all’interno dello stato, del leader politico più
potente, al filosofo, al più umile uomo della
strada».
BIBLIO
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Harold D. Lasswell," in Politics,
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Arnold A. Rogow (Chicago:
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• Brett Gary, The Nervous Liberals: Propaganda
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• Dwaine Marvick, "The Work of Harold D.
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