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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 1
Welfare e modelli di welfare
1. Alle origini dello Stato sociale
Il welfare state nasce, sul finire dellottocento, per dare delle
risposte ad una serie di problemi posti
dal rapido diffondersi dellindustrializzazione e
dellurbanizzazione delleconomie, quando le antiche
societ contadine si trasformano in societ industriali. Il
progresso tecnico irrompe nellorganizzazione
artigianale del lavoro e della produzione determinando nuovi
processi produttivi, lutilizzo di nuove
materie prime, di nuove forme contrattuali non regolamentate e
prive di restrizioni ( con il lavoro dei
minori, delle donne, nelle ore notturne, ecc); la formazione di
nuovi e pi ampi mercati, nuove vie di
comunicazione, lo spostamento di milioni di persone dai centri
rurali verso le citt industriali che iniziano
ad espandersi a macchia dolio.
Questo processo di grande fervore e produzione di ricchezza
presenta, come spesso accade,
alcuni elementi di debolezza; si moltiplicano gli incidenti sul
lavoro, legati allutilizzo delle nuove macchine a
fronte di una formazione inesistente, le malattie, per luso di
materiali nocivi alla salute, il disagio economico
nei momenti di stasi della produzione, il disagio abitativo per
il confluire di una massa di popolazione in
citt non attrezzate ai nuovi flussi migratori con conseguenti
effetti di sovraffollamento, carenze di
servizi igenici e, quindi, rapida diffusione delle malattie; il
disagio sociale determinato dalla crisi del sistema
assistenziale tradizionale basato sullaiuto reciproco e presente
nelle piccole comunit.
La presenza oggettiva dei diversi problemi economici e sociali -
insieme alla formazione dei
primi partiti operai e delle prime forme sindacali - fa s che si
determinino le condizioni politiche per le
prime leggi di intervento in campo sociale che nate per gruppi
ristretti di lavoratori e in singoli paesi, si
estendano, pi o meno velocemente, agli altri lavoratori e paesi
per limitare le tensioni ed i conflitti e,
quindi, per non ostacolare lo sviluppo della nuova
organizzazione produttiva; per fronteggiare una classe
operaia pi forte ed organizzata in partiti e sindacati, per un
generale processo imitativo.
Il primo modello di welfare si fa risalire, usualmente, alla
Germania di Otto Von Bismark ( 1815
1898 ), il cancelliere di ferro dellimpero di Guglielmo 1 di
Prussia, che nellarco di sei anni getta le
fondamenta del welfare con le tre famose leggi :
sullassicurazione contro le malattie ( 1883 ), sugli infortuni
sul lavoro ( 1884 ) e sullassicurazione contro la vecchiaia e
linvalidit ( 1889 ) considerate, allora, come le
principali cause di povert ed indigenza. Viene, invece,
attribuito ad un Arcivescovo inglese (1941), William
Temple, il termine welfare state , Stato del benessere, per
contrapporlo allo Stato di guerra
warfare state dei nazisti ( 1 ). Ed a partire da questi anni che
il termine inizia a diffondersi
nellaccezione oggi prevalente.
1Stevenson J (1984), British Society 1914-1945, Ed. J.H.Plumb,
England, p. 453
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 2
A Lord William Beveridge ( 1879 1963 ) (Regno Unito) viene fatta
risalire laccettazione e la
diffusione dellidea di uno Stato capace di farsi carico di tutti
i problemi sociali dei suoi cittadini in ogni
momento della loro esistenza ( dalla culla alla tomba , come si
dir poi ).
Nel suo Rapporto ( noto come Rapporto Beveridge, 1942 ), si
delineano i caratteri essenziali di un
moderno stato sociale che doveva essere gestito da ununica entit
( e, quindi, centralizzato per una maggiore
efficienza ed economicit ); essere universale ( accessibile a
tutte le classi sociali senza alcun limite di
reddito e coprire tutte le evenienze ) e finalizzato alla
sconfitta di cinque flagelli ( 2 ):
Linsicurezza del reddito
La malattia
Lignoranza
La miseria
Lozio determinato dalla disoccupazione
Scopo del Piano di interventi e provvidenze quello di assicurare
un reddito minimo ma sufficiente ( nel
senso che lammontare definito non dovrebbe aver bisogno di
integrazioni se non volontarie ), nel
momento in cui la capacit di guadagnare del singolo si
interrompe per disoccupazione, malattia,
incidente sul lavoro, per let del pensionamento e per venir
incontro a spese eccezionali quali quelle
legate alla nascita, alla morte, al matrimonio. Il reddito
minimo , anche, a tempo indeterminato e, cio, fin
tanto che permane lo stato di bisogno. Un soddisfacente schema
di sicurezza sociale dovrebbe, sempre
secondo Beveridge, prevedere anche assegni familiari per i figli
sino a 15 anni ( e sino a 16 se inseriti in
processi educativi ) perch le retribuzioni fanno riferimento
allindividuo e non alla dimensione della
famiglia ( anche allora erano le famiglie numerose ad avere,
insieme agli anziani, la pi alta probabilit di
cadere in povert ), servizi per la salute ( perch la malattia
implicava perdita di retribuzione e, quindi,
povert), per leducazione (come processo di mobilit sociale, un
bambino che non messo nelle condizioni di
sviluppare il proprio capitale umano ha molte probabilit di
divenire povero una volta adulto) e,
naturalmente, politiche per la piena occupazione perch nessun
Piano sarebbe finanziariamente sostenibile
in presenza di una disoccupazione di massa.
Il Rapporto Beveridge viene, quindi, a rappresentare la base di
importanti provvedimenti legislativi
quali il Family Allowances Act del 1945 (assegni familiari), il
National Insurance Act del 1946
(assicurazioni obbligatorie ) e del National Health Service del
1948 (sistema sanitario).
Per una definizione di welfare , largamente condivisa, si pu far
riferimento allo storico inglese Asa
Briggs (1961) ( 3 ) :
2 Beveridge W.H. ( 1942 ) , Social Insurance and Allied
Services, Her Majestys Office, London, p.6
3 Briggs A. (1961 ), The Welfare State in Historical
Perspective, in European Journal of Sociology II.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 3
Lo Stato del benessere quello nel quale il potere organizzato
viene impiegato al fine di modificare il
funzionamento dei mercati in almeno tre direzioni :
1. Garantire a individui e famiglie un reddito minimo
indipendentemente dal valore di mercato delle
loro risorse;
2. Ridurre le condizioni di insicurezza, ponendo individui e
famiglie in grado di fare fronte ad alcune
evenienze sociali (ad esempio, la malattia, la vecchiaia e la
disoccupazione), che altrimenti li
condurrebbero verso situazioni critiche;
3. Assicurare che tutti i cittadini, senza distinzione di classe
o posizione sociale, abbiano a disposizione
un certo insieme di servizi sociali, nella migliore qualit
disponibile.
In questo senso i servizi e le prestazioni di welfare non devono
dipendere dalla bont del potere
organizzato (governo, partiti, sindacati, fondazioni, ecc ) ma
devono essere collettivi e, quindi, organizzati
e finanziati dallo Stato ed erogati come diritti di cittadinanza
e non come assistenza, carit.
Lo Stato sociale ( stato del benessere welfare state ) pu quindi
essere definito come lo Stato che si
assume la responsabilit di coprire i grandi rischi sociali per
la generalit della popolazione.
Naturalmente i confini del welfare state, come insieme di
obiettivi e strumenti, non sono rigidi
ma si modificano nel tempo a seconda dello sviluppo delle forze
che lo governano ( monarchie e
democrazie parlamentari, composizione dei parlamenti e dei
governi, sviluppo ed evoluzione dei partiti
politici, dei sindacati, delle associazioni, dei valori
culturali, delle fluttuazioni cicliche delleconomia, e
cos via ) o per il verificarsi di eventi particolari come le
guerre (tutela degli orfani e delle vedove, ad
esempio, ricostruzione delle abitazioni, e cos via) o profonde
crisi economiche (come la grande crisi del
1929 in termini di disoccupazione, svalutazione dei patrimoni
finanziari, ecc ); schematizzando le fasi di
sviluppo e i beneficiari coinvolti , possibile leggere,
indirettamente, anche le forze che ne determinano
le tendenze.
Nella sua evoluzione il welfare state sembra attraversare almeno
due grandi fasi di sviluppo ed
almeno una di inversione di marcia; dal 1870 e sino alla seconda
guerra mondiale i benefici della
protezione sociale in termini di copertura per infortuni,
malattie, vecchiaia e disoccupazione coprono,
essenzialmente, la classe operaia; la legislazione, definita in
un determinato paese, si espande, poi, ai paesi
a medesimo livello di sviluppo per imitazione o per la
coincidenza dei nuovi problemi sociali determinati
dal processo di industrializzazione ed urbanizzazione (4).
4 Gli interventi legislativi diretti a coprire i rischi legati
alla malattia, ad esempio, si espandono dalla Germania ( 1883 )
all
Austria ( 1888 ), al Belgio ( 1894 ), alla Gran Bretagna ( 1911
) e cos via; quelli relativi agli infortuni sul lavoro ancora una
volta dalla Germania ( 1884 ), e, quindi all Austria ( 1887 ), alla
Finlandia (1895), allItalia ( 1898), al Regno Unito (1906), ecc;
quelli relativi alla vecchiaia dalla Germania ( 1889 ), alla
Danimarca ( 1891 ), al Belgio ( 1900), alla Gran Bretagna ( 1908 ),
all Italia ( 1919 ), ecc; quelli diretti alla disoccupazione
partono dalla Francia ( 1905 ), si estendono alla Danimarca ( 1907
), alla Gran Bretagna ( 1911), all Italia ( 1919 ), alla Germania (
1927 ), e cos via.
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modelli di welfare, Carmela D'Apice 4
Dalla fine della seconda guerra mondiale e sino alla fine degli
anni sessanta, i programmi di
protezione sociale si rafforzano e si estendono a settori
crescenti della classe media ( impiegati, insegnanti,
artigiani, commercianti, ecc ). Nella maggior parte dei paesi
avanzati la spesa sociale si espande anche
perch sono anni di sensibile crescita del Pil, di grande
ottimismo in termini di sviluppo, di valori legati
allequit, di rafforzamento del potere sindacale; questi elementi
determinano sia una estensione delle
provvidenze che lo sviluppo delle grandi infrastrutture sociali
(scuole, ospedali, edilizia popolare, servizi
sociali, ecc) quale garanzia di accesso alleducazione, alla
salute, alla casa, il tutto attraverso un ruolo
molto attivo dei sindacati e in presenza di un clima politico
culturale aperto agli interventi dello Stato in
campo sociale quale strumento di redistribuzione del reddito e
della ricchezza (non a caso questo periodo viene
unanimemente definito come lepoca doro dello stato sociale).
2. Tendenze recenti
Intorno alla met degli anni settanta il vento cambia e si
assiste ad uninversione di marcia, ad
analisi sempre pi critiche nei confronti dellintervento dello
Stato nelleconomia e nel sociale; le ragioni
sono diverse e tutte portano a sostenere la spesa pubblica e la
spesa in campo sociale come la principale
causa di tutti i mali delleconomia (riduzione del tasso di
crescita del pil, degli investimenti, inflazione e
disoccupazione elevata, debito pubblico, ecc ). Ma la spesa in
campo sociale viene, anche, messa
pesantemente in discussione partendo da alcune analisi che
sostengono (a seconda dei diversi paesi ) :
un utilizzo particolaristico categoriale della spesa sociale in
cui i costi sono a carico dellintera collettivit
mentre i benefici verrebbero distribuiti a singoli gruppi e
categorie sociali; vedi, ad esempio, i diversi
regimi previdenziali che avevano / hanno condizioni
differenziate in termini di contribuzione, et di
pensionamento, trattamento, cumulo pensione altri redditi, ecc,
o forme di redistribuzione perversa : a
trarre i maggiori vantaggi dal sistema sono le classi a reddito
medio alto; per quanto riguarda, ad
esempio, listruzione superiore si evidenzia la minore probabilit
di accesso, alluniversit, per i figli della
classe operaia rispetto ai figli delle classi a reddito
medio-alto; analogo discorso per i servizi della salute
ove le classi a reddito pi elevato hanno maggiori capacit nel
comprendere lopportunit di effettuare
visite specialistiche e medicina preventiva rispetto alle classi
a minor reddito; o, infine, di essere in presenza di
un diffuso fenomeno di burocratizzazione dei servizi : costi
gestionali elevati ed offerta di servizi
indifferenziati a fronte di una domanda sociale variegata e in
continua evoluzione. Come dire che alti
livelli di spesa sociale non realizzano necessariamente una
migliore distribuzione del reddito, delle
opportunit tra i diversi membri della collettivit.
Si gettano, cos, le premesse per introdurre, negli schemi
universali adottati, le prime misure selettive
(assegni familiari erogati non pi a tutti i lavoratori ma solo a
coloro che vengono a trovarsi al di sotto di
determinate soglie reddituali, ad esempio, come accade in Italia
a partire dagli anni ottanta); o per
trasferire i costi dalla fiscalit generale ai diretti fruitori
dei servizi (definizione, in Italia, di alcuni servizi sociali
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 5
quali servizi a domanda individuale - asili nido, refezione
scolastica, soggiorni estivi, ecc - e, quindi,
predisposizione di tariffe sempre pi vicine ai costi del
servizio stesso), e cos via.
Negli anni novanta tale processo si rafforza e si assiste ad
unapertura al mercato nelle diverse
aree del sociale; nella sanit, ad esempio, si incentiva lo
sviluppo delle assicurazioni private; nellistruzione
si assiste ad un sistematico contenimento delle risorse
destinate al settore pubblico mentre si amplia il
sostegno finanziario all istruzione privata; in campo
previdenziale lobiettivo diviene quello di un
progressivo indebolimento del sistema pubblico per indurre la
formazione di un secondo e terzo pilastro
pensionistico (previdenza complementare); il contenimento delle
risorse centrali da trasferire agli enti
locali (decentramento) chiude la strategia andando a
ridimensionare quellinsieme di servizi sociali che
coprono i bisogni delle fasce pi deboli (assistenza domiciliare
agli anziani, centri diurni, case di riposo,
assistenza alloggiativa, ecc).
In altri termini, si assiste ad un graduale processo di
internalizzazione dei costi dello stato sociale
allinterno dellunit familiare rispetto allesternalizzazione sul
sistema sociale ed economico; la rivincita dei
neo-liberisti che ritengono che ciascuno debba far fronte agli
eventi della vita con le proprie forze e che
uno stato sociale universale rappresenti solo un costo eccessivo
per la collettivit (crisi fiscale), modesti
sussidi (reddito minimo, ad esempio) potranno essere elargiti a
coloro che non riusciranno, con le loro
forze, a farsi carico degli eventi sgradevoli della vita (i
perdenti). Si riapre, cos, lantico conflitto di classe
tra chi ha le risorse per accedere ai servizi del mercato (una
minoranza) e la maggioranza della
popolazione che si ritrova nellimpossibilit di accedervi.
3. Modelli di welfare
Economisti e sociologi hanno cercato di classificare i diversi
modelli di welfare presenti ai nostri
giorni proponendo, essenzialmente, quattro modelli : modello
universale (o socialdemocratico); modello
residuale; modello corporativo e modello mediterraneo.
Il modello universale, tipico dei paesi scandinavi e dellOlanda,
si caratterizza per un approccio
universalistico nel senso che la protezione sociale intesa come
un vero e proprio diritto di cittadinanza, le
provvidenze sono, quindi, dirette a tutte le componenti sociali,
senza alcuna distinzione di classe, e si
basano su una combinazione di trasferimenti monetari e di una
ricca ed articolata struttura di servizi
sociali (, in assoluto, il modello con la pi alta incidenza di
spesa sociale sul pil). I diritti vengono
attribuiti, prevalentemente, su base individuale nel senso che
la famiglia gioca un ruolo marginale e
lobiettivo quello di minimizzare la dipendenza dalla famiglia ed
incoraggiare lindipendenza individuale.
Il sistema si finanzia, prevalentemente, con la fiscalit
generale.
Il modello residuale ( o liberale ) presente negli USA ,
Australia e Nuova Zelanda; la politica
sociale interviene solo ex-post quando i tradizionali canali (
mercato e solidariet familiare ) non sono in
grado di far fronte a determinati bisogni. Le politiche sociali
occupano, cos, un ruolo del tutto marginale
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 6
riguardando esclusivamente gli strati pi poveri della
collettivit ( politica assistenziale ) e gli interventi
sono soggetti alla prova dei mezzi (means testing), al
dimostrare dellessere in condizioni di bisogno,
di povert. Per gli altri, per i non poveri, la sicurezza sociale
va ricercata attraverso il mercato ,
nella libert di scegliere il modo migliore per soddisfare le
loro esigenze in termini di previdenza, sanit,
istruzione, servizi sociali; lo Stato pu intervenire, al pi, con
sgravi fiscali (detrazioni per gli oneri
connessi alle polizze sanitarie, al sistema previdenziale, alle
spese per interessi sui mutui per lacquisto
della prima casa, per listruzione, ecc). Anche questo modello si
finanzia, prevalentemente, con la
fiscalit generale.
Il modello corporativo o meritocratico (il bisogno si coniuga
con il merito individuale conseguito nel
mercato del lavoro), tipico dellEuropa continentale (Germania,
Austria, Francia, Belgio e Lussemburgo),
basato, essenzialmente, su principi di tipo assicurativo:
protegge, in primo luogo, chi lavora e la sua famiglia
(lo status rilevante quello del lavoro in corso o effettuato nel
passato); in questo senso si pu essere in
presenza di una pluralit di interventi ed istituti quanti sono i
lavoratori dei diversi settori. A differenza
degli altri modelli, si finanzia, prevalentemente, con
contributi sociali versati dai datori di lavoro e dai
lavoratori.
Il modello mediterraneo, tipico dellItalia, della Spagna, del
Portogallo e della Grecia, si presenta
come un sotto-caso del modello corporativo in cui maggiore la
frammentazione dei programmi di spesa
e in cui prevalgono i trasferimenti monetari, ad opera dello
Stato, rispetto ad unefficiente rete di servizi
sociali. Si differenzia anche per attribuire alla famiglia uno
spiccato ruolo di ammortizzatore sociale. Anche
questo modello si finanzia, prevalentemente, con contributi
sociali.
Al di l di singole peculiarit, la partita vera sembra giocarsi
tra il modello residuale e il modello
universale; allo stato attuale, lEuropa sembra difendere il suo
modello ma anche in corso un ampio
dibattito per un nuovo modello sociale europeo che riduce le
universalit ed amplia le selettivit.
4. LEuropa e le sfide sociali
Per un lungo periodo di tempo la Comunit ha adottato, in campo
sociale, un atteggiamento
fondamentalmente estraneo perch gli stati europei hanno sempre
mostrato una certa riluttanza a rinunciare
al loro potere in materia di politiche sociali sebbene uno degli
obiettivi del Trattato di Roma (1957) fosse
proprio larmonizzazione delle regolamentazioni sociali ( CEPR,
1998)5.
Occorre praticamente arrivare agli anni novanta per cogliere, in
una molteplicit di documenti ed
analisi, unattenzione ed un impegno diverso sino ad arrivare al
Trattato di Amsterdam6 (1997) quando si
pone una nuova base giuridica per una strategia europea comune
in campo sociale7.
5 CEPR (Centre for Economic Policy Research)(1998), Le politiche
sociali in Europa, il Mulino, Bologna
6 Nel 1992 ci fu un tentativo di inserire nel Trattato di
Maastricht un capitolo sociale teso ad armonizzare la politica
sociale
europea; il tentativo fall per lopposizione del Regno Unito ed
al Trattato fu allegato solo un Protocollo sulle politiche sociali
sottoscritto da 11 Paesi su 12. In occasione del Consiglio europeo
di Amsterdam del 1997 il nuovo governo laburista di T.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 7
Ma quali indicazioni si possono trarre da tale documentazione ed
in particolare dalle
raccomandazioni 8 inviate agli Stati membri ? Intanto un
principio importante: la protezione sociale
considerata quale componente fondamentale del modello europeo di
societ poich garantisce stabilit
politica, coesione sociale e progresso economico. La protezione
sociale, infatti, non solo ridimensiona la quota di
famiglie che verrebbero, in sua assenza, a collocarsi in
situazioni di povert 9 ma rappresenta anche un
investimento nelle risorse umane nel momento in cui contribuisce
a migliorare la qualit della forza lavoro,
ad aumentare la produttivit del sistema economico ed a sostenere
i mutamenti strutturali. Per cui
grazie alle sue politiche sociali sviluppate, lEuropa riuscita e
riesce tuttora a competere con successo
con il resto del mondo: sia con i paesi che possono vantare
tecnologie estremamente avanzate che con
paesi dai salari molto pi bassi (Commissione Europea 2000-
379)
In secondo luogo si sostiene la difesa delle culture nazionali
attraverso il principio della sussidiariet
in base al quale ogni Stato membro rimane responsabile
dellorganizzazione e del finanziamento del
proprio sistema di protezione sociale, in un contesto globale
(Patto di Stabilit e di Crescita) in cui lUE
svolge un ruolo di sorveglianza politica (Commissione Europea
2000- 163)10.
In terzo luogo, partendo dalla constatazione di essere in
presenza non di un unico modello di
welfare ma di una molteplicit di modelli, si punta ad una
convergenza degli obiettivi e delle politiche per
ridurre le disparit presenti, per evitare che differenze di
livello di protezione sociale ostacolino la
mobilit delle persone (che i lavoratori, in particolare, non
siano penalizzati dal fatto di dover cambiare
paese) ma anche per impedire che una competizione selvaggia
determini un succedersi di forme di
dumping sociale (meno regolamentazioni e meno tutela ) per
incoraggiare afflussi di capitale nei singoli
Stati membri.
La necessit di predisporre strumenti di coordinamento, di
armonizzazione e di convergenza
viene giustificata anche dal fatto che tutti i sistemi europei
di protezione sociale debbono confrontarsi
con problematiche comuni che appartengono al mondo del lavoro,
agli aspetti demografici, ai profondi
mutamenti sociali.
Blair pone fine allautoesclusione del Regno Unito e il
Protocollo diviene parte integrante del Trattato. Sempre in tale
occasione si decide si inserire nel Preambolo del Trattato un
riferimento alla Carta sociale europea del 1961 e alla Carta
comunitaria dei diritti sociali fondamentali del 1989. Cfr. Ferrera
M. (1998), Le trappole del welfare, il Mulino, Bologna 7 The Treaty
of Amsterdam, Art.2 states that the Community shall have as its
task.to promote throughout the
Community a high level of social protection. 8 Raccomandazione
92/442/CEE (Convergenza degli obiettivi e delle politiche);
Commissione Europea (1995), The future of
social protecion, a framework for a European debate, COM (95-
466), Bruxelles; Commissione Europea (1997), Modernising and
Improving Social Protecion in the European Union, COM (97- 102),
Bruxelles; Commissione Europea (1999), Agenda for modernising
social protecion, COM (1999-347), Luxemburg 9 In una comunicazione
del Consiglio del 1999 si legge, ad esempio, in mancanza di
trasferimenti sociali circa il 40% delle
famiglie vivrebbe in una situazione di povert relativa mentre
tale percentuale scende al 17% grazie appunto ai regimi fiscali e
ai sistemi di erogazione di prestazioni Commissione Europea (1999-
347). 10 Cfr.Social Protection in Europe(2000), COM (2000-163),
Bruxelles
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 8
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, ad esempio, la
diffusione delle nuove forme contrattuali
pi flessibili ma, al tempo stesso, pi precarie (contratti
atipici), se aiutano la competitivit dei singoli
Paesi e dellEuropa nel suo insieme, introducono forti elementi
di incertezza nei bilanci delle famiglie, in
particolare in quelle che vanno a formarsi, giovani coppie, ove
pi usuale la presenza delle nuove
forme contrattuali. Se in passato il lavoro a tempo
indeterminato del capofamiglia lasciava le famiglie
fuori dalla povert, oggi questo non pi vero e le analisi
correnti mostrano come il rischio di povert si
sia sensibilmente spostato (almeno sino ad oggi) dagli anziani
(per effetto di un sistema pensionistico
retributivo ante riforma) alle giovani coppie, alle famiglie
monoreddito, alle famiglie con pi figli a carico.
Questo significa che lesigenza di maggiore flessibilit va
coniugata con la sicurezza, con la solidariet,
con politiche di sviluppo capaci di determinare non soltanto pi
posti di lavoro, ma anche buoni posti
(Commissione Europea 1999- 347) e con una buona rete di
ammortizzatori sociali.
Per quanto riguarda la popolazione, linvecchiamento demografico
e laumento del tasso di crescita del
numero degli anziani dal 2010 in poi, quando la generazione del
baby boom raggiunger let del
pensionamento, pone, in quasi tutti i Paesi europei, problemi di
sostenibilit finanziaria dei sistemi
pensionistici. Ma laumento della popolazione anziana e della
vita media, si riflette, anche e naturalmente,
in una domanda crescente di beni e servizi sanitari e di servizi
sociali (assistenza domiciliare, case di
riposo, ecc ) anche per laccresciuta partecipazione delle donne
al mercato del lavoro che riduce la
componente assistenziale non retribuita del lavoro di cura.
La popolazione invecchia ma si struttura anche in un numero
crescente di famiglie ; in tutta
lUnione il numero delle famiglie sta aumentando pi velocemente
della popolazione e questo si riflette
in un graduale declino della dimensione media delle famiglie. Il
declino della dimensione media dei nuclei
implica, nuovamente, una domanda crescente di servizi sociali
essendo le famiglie stesse meno capaci a
fornire assistenza e sostegno anche e solo ai propri membri. Ma
le famiglie divengono anche pi fragili;
aumentano le separazioni, i divorzi, le famiglie monoparentali
dove la partecipazione delle donne al
mercato del lavoro prioritaria ma, nel contempo, si concilia con
grande difficolt con la cura dei figli
per la limitata disponibilit di adeguate reti di servizi sociali
per linfanzia.
Pi in generale, la stessa maggior partecipazione delle donne al
mercato del lavoro ( nel 1970, ad
esempio, meno del 40% delle donne di et compresa tra i 25 e i 54
anni aveva unoccupazione o la
cercava attivamente, mentre si supera il 70 % sul finire degli
anni novanta), elemento sicuramente
positivo e fortemente auspicato, richiede crescenti e
diversificati servizi sociali per conciliare le esigenze
familiari con quelle professionali.
La povert e lesclusione sociale sono diventati, ormai, fenomeni
evidenti anche in Europa; i dati pi
recenti disponibili in materia di reddito negli Stati membri
mostrano che il tasso di povert relativa11,
11 In Europa la povert viene misurata in termini relativi e la
linea viene fissata ad un valore pari al 60% del reddito
mediano
nazionale reso equivalente
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 9
al 16% circa della popolazione: si tratta di 80 milioni circa di
persone (vedi secondo modulo). Le antiche
forme di esclusione sociale (disoccupazione, malattia, handicap,
dipendenze da alcol e droga) si stanno
consolidando con lo sviluppo delle nuove forme: disoccupazione
dei capifamiglia scarsamente qualificati
e spiazzati dallinnovazione tecnologica, padri/madri
separate/divorziate; disagio economico dei giovani
assunti con le nuove forme contrattuali, delle famiglie con un
solo reddito, delle famiglie con pi figli
minori, e cos via.
Per far fronte a queste sfide comuni, gli Stati membri si sono
impegnati a sviluppare una crescita
economica sostenibile e unoccupazione di qualit che possa
ridurre i rischi di povert e di emarginazione
sociale. Con quali strumenti? Intanto sostenendo la crescita, la
competitivit e il dinamismo
delleconomia senza i quali diviene pi complesso ricercare
risorse da destinare alla coesione sociale. E
poi adottando una strategia globale capace, attraverso opportuni
dosaggi tra provvedimenti di politica
sociale, politica per loccupazione e politica per la
competitivit, di determinare un circolo virtuoso tra progresso
economico e progresso sociale. Le politiche per loccupazione
dovrebbero, cos, coordinarsi, pi che in
passato, con le politiche sociali, per ridurre la dipendenza
dalle politiche assistenziali; con le politiche
dellistruzione e della formazione, per mantenere e migliorare le
competenze della forza lavoro; con le
politiche fiscali, per migliorare loccupabilit dei lavoratori a
debole qualificazione (fiscalizzazione degli
oneri sociali per i lavoratori a bassa produttivit), e cos
via.
Ma nel corso di questi ultimi anni, in un contesto di bassa
crescita, perdita di competitivit e
difficolt nellincrementare la buona occupazione, il modello
sociale europeo12 inizia ad incrinarsi a favore
di un nuovo modello sociale europeo in cui il welfare
prevalentemente universale tende a divenire un
welfare prevalentemente selettivo. Si parla cos, sempre pi
sovente, di universalismo selettivo : le
prestazioni rimangono universali ma laccesso effettivo
condizionato alla disponibilit delle risorse
pubbliche sempre pi scarse; nel contempo si innestano, su
impianti universalistici schemi privatistici (
pensione pubblica minima di base e schemi privatistici per
pensioni integrative ); si espande la
compartecipazione degli utenti ai costi dei servizi resi
(istruzione e sanit, ad esempio); si ricercano
strumenti dintervento che non fanno capo n al mercato n allo
Stato ma alle organizzazioni del
volontariato e del Terzo settore per ridurre i costi dei servizi
e rendere pi flessibili i servizi stessi.
12 Il modello sociale europeo viene definito, nei diversi
documenti della Comunit, come quel modello in cui il progresso
economico e il progresso sociale procedono di pari passo e si
rafforzano a vicenda in quanto la protezione sociale non fornisce
soltanto una rete di sicurezza per i poveri ma contribuisce anche a
garantire la coesione sociale. Come dire che solo se le societ sono
in grado di offrire adeguati livelli di protezione sociale, gli
individui saranno pi disposti ad assumersi i rischi dei cambiamenti
imposti dal progresso economico in termini di formazione continua,
processi di riqualificazione, di mobilit, e cos via.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 10
5. La spesa sociale in Europa
Per meglio individuare il modello/ i modelli europei di welfare,
si delineano i caratteri generali della spesa
per la protezione sociale 13 attraverso i dati dellESSPROS
(European System of integrated Social
PROtection Statistics), per comprendere anche la direzione e le
ragioni delle riforme portate avanti a
partire dagli anni novanta e, in parte, ancora in corso. Ma,
prima di entrare nellanalisi dei singoli dati e nei
modelli nazionali di welfare, opportuno ricordare che la spesa
sociale presa in considerazione dall
ESSPROS al lordo del prelievo fiscale e, in quanto tale,
rappresenta solo unapprossimazione delle differenze tra
Paesi, essendo la tassazione sui trasferimenti abbastanza
diversa da paese a paese. Se il confronto fosse
effettuato pi correttamente al netto del prelievo, operazione
ancora oggi estremamente complessa ed
esclusa dalle elaborazioni ESSPROS, le differenze tra Paesi,
secondo alcune stime realizzate dalla OCSE
nel 1995 (Willem, 1999), sarebbero nettamente inferiori. La
spesa sociale netta della Svezia, ad esempio, si
avvicinerebbe molto a quella della Germania; quella della
Danimarca e quella della Finlandia a quella del
Regno Unito, e quella dellItalia e dellIrlanda a questi ultimi
paesi ( Commissione Europea, 2000- 163 ).
Partendo da questo studio OCSE, lEurostat14 ha condotto, nel
2008, uno studio pilota finalizzato
alla stima della quota di tasse e/o contributi sociali pagati
dai cittadini sui trasferimenti e per lassistenza
ricevuta dal sistema di protezione sociale. Prendendo come punto
di riferimento i dati relativi al 2005, si
stima che, con riferimento ai Paesi dellUnione Europea, il 7 per
cento del totale della spesa per la protezione
sociale assorbito da tasse e contributi sociali pagati dai
beneficiari delle prestazioni; per lItalia questo
valore medio sale all11% circa collocando, il nostro Paese al
sesto posto tra i paesi con pressione
fiscale e contributiva pi elevata. Di conseguenza, la quota
media di spesa per la protezione sociale sul
Pil nellUnione Europea subisce una riduzione di 4 punti
percentuali nel passaggio dal valore di spesa lorda a
quella netta : dal 26 (come vedremo) al 22 per cento circa (
vedi Figura 4.6 Istat). Come per lo studio
OCSE, le differenze tra Paesi rilevate a livello di spesa lorda
si ridimensionano in un confronto a livello
di spesa netta.
In attesa di elaborazioni pi puntuali, si pu iniziare lanalisi
considerando la spesa lorda per la
protezione sociale nel suo aggregato e la sua evoluzione dal
1990 al 2008, anno pi recente di disponibilit
di dati.
Nellanno 2008 le risorse destinate, nellUnione Europea a
15-1615, alle spese per la protezione sociale
rappresentano il 27,07% del Pil ; esistono, naturalmente,
divergenze ancora significative tra i diversi Paesi
variando la spesa dal 30,8% del Pil della Francia al 22,1%
dellIrlanda. Nello specifico presentano valori
superiori al valore medio europeo, la Danimarca (29,7%), la
Svezia (29,4), i Paesi Bassi (28,4%), il Belgio
13 Le spese considerate sono quelle incluse nella voce
protezione sociale costituita dalle spese per la salute, per la
previdenza, per
il sostegno alla famiglia, per la disoccupazione, per il
sostegno ai gruppi pi deboli e per la locazione .
14 Cfr. Istat 2011, Rapporto sulla Situazione del Paese.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 11
(28,3%), lAustria (28,2%), la Germania (27,8%), e lItalia
(27,8%); hanno valori inferiori al valore medio
sette paesi su quindici: la Finlandia (26,3%), la Grecia
(26,0%), Portogallo (24,3%), il Regno Unito (23,7%)
la Spagna (22,7%), lIrlanda (22,1%) e il Lussemburgo (20,1%),
(vedi tabella n.1 e figura n.1 dellEurostat).
15 LEuropa a 15 comprende il Belgio (BE), la Danimarca (DK), la
Germania (DE), la Grecia (EL), la Spagna (ES), la Francia
(FR), lIrlanda (IE), lItalia (IT), il Lussemburgo (LU), i Paesi
Bassi (NL), lAustria (AT), il Portogallo (PT), la Finlandia (FI),
la Svezia (SE) e il Regno Unito (UK)
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 12
Tabella n.1 Spesa per protezione sociale in percentuale sul PIL
per funzioni anno 2008
Paesi Spesa totale
Previd. Vecchiaia e supestiti
Invalidit.
Salute Famiglia Disoccupazione
Abitazione ed esclus.
Media Eu 15-16
27,07 10,1 2,1 7,7 2,1 1,4 0,6
BELGIO 28,3 10,8 1,9 7,6 2,1 3,3 1,0
DANIMARCA 29,7 11,1 4,4 6,7 3,8 1,4 1,5
GERMANIA 27,8 11,5 2,1 8,1 2,8 1,4 0,7
GRECIA 26,0 12,8 1,2 7,3 1,6 1,3 1,1
SPAGNA 22,7 8,8 1,6 6,8 1,5 3,0 0,5
FRANCIA 30,8 13,4 1,7 8,7 2,5 1,7 1,2
IRLANDA 22,1 5,5 1,1 8,5 3,1 1,8 0,9
ITALIA 27,8 16,1 1,6 7,0 1,3 0,5 0,1
Lussemburgo 20,1 7,1 2,3 5,0 3,9 0,9 0,6
PAESI BASSI
28,4 10,7 2,4 8,8 1,8 1,0 2,1
AUSTRIA 28,2 13,4 2,1 7,1 2,8 1,4 0,4
Portogallo 24,3 11,9 2,1 6,5 1,3 1,0 0,3
FINLANDIA 26,3 9,7 3,2 6,8 3,0 1,8 1,0
SVEZIA 29,4 12,0 4,3 7,5 3,0 0,9 1,1
Regno Unito 23,7 9,0 2,5 7,6 1,7 0,6 1,4
Fonte Eurostat, 2011, Statistics in focus, Population and Social
Conditions
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 13
Le differenze permangono anche quando si considera la spesa
media pro-capite espressa in termini di parit
di potere dacquisto (Purchasing Power Standards PPS) 16 dei
singoli Paesi; rimanendo nellarea dellUE a 15-16
la spesa varia dalle 9.557 PPS dei Paesi Bassi alle 4.791 del
Portogallo; lItalia presenta un valore pari a 7.090
, inferiore al valore medio UE a 15-16 ( 8108) (vedi figura n.2,
Eurostat ).
16 PPS : Purchasing Power Standards : unit indipendenti dalle
monete nazionali e serve a rimuovere le distorsioni dovute ai
diversi livelli dei prezzi. I valori in PPS si derivano dal PPPs
(parit di potere dacquisto) che si ottiene dalla media ponderata
dei prezzi in relazione ad un paniere omogeneo di merci e servizi
comparabile e rappresentativo per ogni Stato Membro. Il confronto
della spesa pro-capite per la protezione sociale potrebbe essere
effettuato anche in euro ma il confronto stesso perderebbe di
significativit nel momento in cui esistono ancora differenze di
rilievo, in termini di potere dacquisto, tra i diversi paesi. Per
la Danimarca, ad esempio, lEurostat stima un costo della vita del
39% in pi rispetto allItalia; esprimendo la spesa pro-capite in
euro la Danimarca avrebbe una spessa dell 88% in pi rispetto
allItalia; in termini di PPS il differenziale tra i due Paesi si
riduce al 35% (188/139=1,35) in pi per la Danimarca (Eurostat,
2002).
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 14
Se si considerano i diversi segmenti che compongono la spesa
sociale e, quindi, le funzioni , le quote
pi rilevanti vanno, in tutti i Paesi dellUnione, alla previdenza
( 10,1% del pil come valore medio) ed alla
salute (7,7%). A seguire le spese per linvalidit (2,1%) e la
famiglia (2,1%); la disoccupazione (1,4%) e
labitazione-esclusione sociale (0,6%) (vedi tabella n.1).
Se si considera la struttura della spesa, limmagine,
naturalmente, non cambia nel senso che le spese
per le pensioni e la salute rimangono le poste pi importanti
rappresentando, da sole, i due terzi della spesa
totale. E poich una gran parte della spesa per la salute
riguarda le persone anziane, si pu sostenere che
una parte significativa delle risorse destinate alla protezione
sociale diretta ad un segmento della
popolazione, quella anziana. Risorse relativamente contenute
finanziano i trasferimenti alle famiglie (assegni
familiari) ( 8,2%), la disabilit (7,0%), la disoccupazione
(5,9%) e labitazione-esclusione sociale (3,0%) (
vedi tabella n.2 ).
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 15
Tabella n.2
Composizione a 100 della Spesa per la protezione sociale,
anno
2008
PAESI Pensioni e superstiti
Salute Disabilit Famiglia Disoccup Abitaz e esclusione
sociale
Totale
Media Eu 15-16 46,2 29,6 7,0 8,2 5,9 3,0 100,0
BELGIO 40,7 28,4 7,1 7,8 12,5 3,6 100,0
DANIMARCA 38,4 23,3 15,2 13,2 4,8 5,1 100,0
GERMANIA 43,0 30,5 7,8 10,6 5,4 2,8 100,0
GRECIA 50,8 29,0 4,7 6,3 5,1 4,2 100,0
SPAGNA 39,6 30,8 7,2 6,8 13,6 2,1 100,0
FRANCIA 45,8 29,8 6,0 8,4 5,8 4,2 100,0
IRLANDA 26,2 40,9 5,5 14,8 8,7 4,1 100,0
ITALIA 60,7 26,4 5,9 4,7 1,9 0,3 100,0
Lussemburgo 36,0 25,2 11,5 19,8 4,6 2,9 100,0
PAESI BASSI 39,9 32,8 8,8 6,6 3,8 8,0 100,0
AUSTRIA 49,2 26,1 7,8 10,3 5,0 1,6 100,0
PORTOGALLO 51,5 28,0 9,3 5,5 4,5 1,2 100,0
FINLANDIA 38,0 26,8 12,6 11,6 7,1 3,9 100,0
SVEZIA 41,8 26,0 15,1 10,4 3,0 3,7 100,0
Regno Unito 39,7 33,3 11,0 7,3 2,5 6,1 100,0
Fonte : idem
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 16
Se si d uno sguardo agli anni che vanno dal 1990 al 2008 , il
sistema sociale europeo sembra
tenere17 e convergere nel senso che la quota di spesa sul pil
continua a crescere (anche se con intensit
diversa nel lungo periodo) in quasi tutti i paesi dellUnione
passando dal 25,5% del 1990 al 27,5%, con
un decennio 2000 in cui lincidenza sembra stabilizzarsi intorno
al 27% del Pil (vedi tabella n.3).
Elementi di convergenza si possono rilevare notando come la
spesa aumenti pi nei Paesi che
avevano una quota sul Pil nettamente inferiore al valore medio (
in Portogallo, ad esempio, si passa dal
15,2% del 1990 al 24,3% del 2008) rispetto ai Paesi che si
collocavano su valori superiori al valore medio (
in Svezia, ad esempio, si passa dal 33,1% del 1990 al 29,4% del
2008).
Secondo stime Eurostat la spesa pro-capite, espressa in valore
costante, cresce , nel periodo
2001-2008, ad un tasso medio annuo del 2% ; e poich la crescita
abbastanza differenziata tra i diversi Stati
membri e maggiore nei paesi a pi basso livello di spesa, anche
la spesa pro-capite tende a convergere;
crescono con tassi inferiori al valore medio la Germania, ad
esempio, (0,1%), lAustria (1,3%), l Italia
(1,5%), la Francia (1,7); crescono ad un tasso superiore al
valore media la Grecia (4,2%), la Spagna
(3,7%), lIrlanda (5,0%) (vedi tabella n.3).
.
17 E bene ricordare che la quota di spesa sociale sul pil un
rapporto tra la spesa stessa e il pil; se il pil cresce pi
lentamente
della spesa, la quota aumenta anche a parit di risorse destinate
alla protezione sociale.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 17
Tabella n. 3 Spesa per la protezione sociale come quota sul Pil
1990 2008
Paesi Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni Anni
Anni Tasso annuo spesa sociale pro-capite a
prezzi costanti
1990 1995 1997 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
2001-2008
Europa a 15-16
25,5 28,3 27,5 27,0 27,1 27,4 27,8 27,7 27,7 27,3 26,8 27,5
2,0%
BELGIO 26,4 28,1 27,4 26,5 27,3 28,0 29,1 29,3 29,6 30,2 26,8
28,3 1,7%
Danimarca 28,7 32,2 30,1 28,9 29,2 29,7 30,9 30,9 30,2 29,2 28,8
29,7 1,8%
Germania 25,4 28,9 28,9 29,3 29,4 30,0 30,3 29,6 29,7 28,7 27,7
27,8 0,1
GRECIA 22,9 22,3 20,8 23,5 24,1 23,8 23,6 23,6 24,6 24,6 24,5 26
4,2%
SPAGNA 19,9 22,1 20,8 20,3 20,0 20,3 20,4 20,6 20,9 20,9 21,0
22,7 3,7%
FRANCIA 27,9 30,7 30,4 29,5 29,6 30,4 30,9 31,3 31,4 30,7 30,5
30,8 1,7%
Irlanda 18,4 18,9 16,7 14,1 14,9 17,2 17,8 18,0 18,1 18,4 18,9
22,1 5,0%
ITALIA 24,7 24,8 24,9 24,7 24,9 25,3 25,8 26,0 26,4 26,6 26,7
27,8 1,5%
Lussemburgo 22,1 23,7 21,5 19,6 20,9 21,6 22,2 22,3 21,7 20,4
19,3 20,1 4,1%
Paesi Bassi 32,5 30,9 28,7 26,4 26,5 27,6 28,3 28,3 27,9 28,8
28,3 28,4 2,9%
AUSTRIA 26,7 29,6 28,6 28,1 28,4 29,0 29,3 29,0 28,9 28,4 27,9
28,2 1,3%
Portogallo 15,2 22,1 20,3 21,7 22,7 23,7 24,1 24,7 24,6 24,6
24,0 24,3 1,8%
Finlandia 25,1 31,8 29,1 25,1 24,9 25,6 26,5 26,6 26,7 26,4 25,4
26,3 3,1%
SVEZIA 33,1 35,5 32,7 30,7 30,5 31,3 32,2 31,6 31,1 30,3 29,1
29,4 2,0%
Regno Unito 23,0 28,2 27,3 26,9 26,8 25,7 25,7 25,9 26,3 26,0
23,3 23,7 1,9%
Fonte : idem
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 18
Unultima annotazione riguarda il sistema di finanziamento delle
politiche sociali. Dal confronto
internazionale emergono, essenzialmente, due fonti importanti di
finanziamento : la tassazione generale e i
contributi sociali sulle retribuzioni corrisposti sia dai
lavoratori che dai datori di lavoro. A livello europeo il
61,1 % del finanziamento totale della spesa deriva dai
contributi sociali ma esistono sensibili differenze tra
Paesi : superano tale valore medio i Paesi Bassi (66,6%), la
Francia (64,6%), la Germania (63,1%), e la
Spagna (62%), ad esempio ; si collocano al di sotto del valore
medio lItalia (56,2 %), il Lussemburgo
(50%); la Finlandia (49,6%), il Portogallo (46,1%), il Regno
Unito (43,8%), e la Danimarca (43,6%) (vedi
tabella 4 ).
Le differenze nella tipologia di finanziamento riflettono,
essenzialmente, il modo in cui
storicamente si sono formati i sistemi di protezione sociale;
quando la quota di finanziamento da
contributi sociali relativamente elevata significa che stato
privilegiato un approccio di tipo assicurativo
con uno stretto legame tra posizione lavorativa e diritto di
accesso ai benefici; quando la quota relativamente bassa
significa che si in presenza di un sistema fortemente basato su
una copertura universalistica dei cittadini
(tutti hanno accesso alle prestazioni indipendentemente
dallessere o meno lavoratori ) e il sistema si
finanzia, prevalentemente, con la fiscalit generale (contributi
governativi).
Nel periodo considerato (1990-2008), il sistema di finanziamento
si modifica in tutti i paesi
considerati per far fronte allintensificarsi della concorrenza e
guadagnare gradi di competitivit; si cerca,
cos, di ridurre il costo del lavoro trasferendo il finanziamento
della protezione sociale dai contributi al prelievo
fiscale generale servendosi, in alcuni casi, anche di tasse
specifiche come la tassa di solidariet in Francia introdotta
nel 1991 e limposta regionale sulle attivit produttive (IRAP)
introdotta in Italia nel 1998 per compensare i minori
introiti derivanti dalla soppressione dei contributi sociali
diretti al finanziamento del sistema sanitario
nazionale.
Come media europea i contributi sociali passano, cos, dal 67,1 %
del finanziamento al 61,1%, e la
riduzione coinvolge sia la quota a carico dei datori di lavoro
che passa dal 42,5 % del finanziamento totale
al 38,7% sia quella dei lavoratori che scende dal 24,6% al 22,4
%. Il ridimensionamento particolarmente
sensibile per lItalia ove la quota complessiva dei contributi
sociali passa dal 70,4 al 56,02% ( per la quota a
carico dei datori di lavoro si passa dal 54,9 al 40,2 % mentre
per i lavoratori si rileva un leggero aumento
:dal 15,5 al 16,0 %).
Alla riduzione della quota relativa dei contributi sociali fa
riscontro un aumento dei contributi
governativi che passano, in media, dal 28,8 al 35,4 % (dal 27,2
al 42,2 % per lItalia ) (vedi tabella n.4 ).
Con riferimento alle modifiche introdotte nel sistema di
finanziamento della spesa sociale, viene da
chiedersi se tale compensazione rappresenti una strategia di
breve periodo per evitare un opposizione da
parte dei sindacati, ad esempio, o una diversa modalit
strutturale di finanziamento dello Stato sociale. Le
riforme del sistema fiscale portate avanti nei diversi Paesi e
tese a ridurre limposizione, avranno come
conseguenza, almeno nel breve periodo, una riduzione delle
entrate e, quindi, inducono a ritenere la
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 19
compensazione pi che una diversa modalit di finanziamento, un
graduale ritiro dello Stato dallattivit di
redistribuzione.
Tabella n. 4 Entrate della protezione sociale : composizione a
100, anni 1990 2001 - 2008
Contributi
governativi
Datori di lavoro Lavoratori Altre entrate
Paesi 1990 2001 2008 1990 2001 2008 1990 2001 2008 1990 2001
2008
Media Eu 15-16 28,8 32,1 35,4 42,5 41,5 38,7 24,6 22,7 22,4 4,1
3,7 3,5
BELGIO 23,8 25,8 39,8 41,5 49,7 36,6 25,5 22,5 21,2 9,2 2,0
2,4
DANIMARCA 80,1 62,8 61,8 7,8 30,4 32,2 5,3 9,3 11,4 6,8 7,0
6,1
GERMANIA 25,2 32,4 35,0 43,7 37,8 34,9 28,4 27,6 28,2 2,7 2,2
1,9
GRECIA 33,0 27,8 34,6 39,4 38,5 32,7 19,6 23,5 21,1 8,0 10,2
11,5
SPAGNA 26,2 29,0 36,2 54,4 52,3 47,0 16,9 16,2 15,0 2,5 2,5
1,8
FRANCIA 17,0 30,3 32,0 51,0 45,7 43,8 28,5 20,3 20,8 3,5 3,7
3,4
IRLANDA 58,9 60,6 54,1 24,5 24,9 25,8 15,6 14,1 15,7 1,0 0,4
4,4
ITALIA 27,2 40,9 42,2 54,9 42,7 40,2 15,5 14,7 16,0 2,5 1,8
1,6
Lussemburgo 41,5 42,8 46,3 29,5 27,2 25,9 21,0 25,1 24,1 8,1 4,9
3,7
PAESI BASSI 25,0 16,1 21,3 20,0 32,4 32,4 39,1 35,6 34,2 15,9
15,8 12,2
AUSTRIA 35,9 32,3 33,2 38,1 38,9 38,0 25,1 27,1 27,2 0,9 1,8
1,5
PORTOGALLO 33,8 37,8 44,9 36,9 36,4 30,8 20,1 18,0 15,3 9,2 7,8
9,0
FINLANDIA 40,6 42,4 43,7 44,1 39,1 38,4 8,0 11,5 11,2 7,3 6,9
6,7
SVEZIA .... 45,8 49,6 .... 42,7 37,7 .... 9,2 9,8 .... 2,3
2,9
Regno Unito 42,6 48,5 49,4 28,1 30,2 32,4 26,9 19,5 11,4 2,4 1,8
6,7
Fonte : idem
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 20
6. La spesa sociale in Italia
Per quanto riguarda LItalia e facendo sempre riferimento alle
elaborazioni ESSPROS, il primo
dato che emerge, in un confronto europeo, che lItalia presenta,
in termini di spesa sociale in rapporto al
pil valori inferiori al valore medio e questo da quando sono
pubblicati dati armonizzati e, cio, dal 1981
(supera di poco il valore medio solo nel 2008 : 27,8 contro
27,07). Per le considerazioni svolte in precedenza
e se si considerasse la spesa sociale netta anzich lorda, la
nostra quota sarebbe ancora pi lontana dal valore
medio europeo.
Anche in termini di spesa media pro capite lItalia presenta un
valore inferiore al valore medio:
7.090 PPS contro una media europea pari a 8.108.
Il secondo dato di interesse, e che rappresenta anche il punto
su cui si incentrato il dibattito
interno ed internazionale, riguarda il peso che la spesa per la
previdenza assume sia come quota sul pil che
allinterno della spesa per la protezione sociale. Se in media la
Comunit destina alla spesa per la previdenza
il 10,1 per cento del pil, sempre con riferimento allanno 2008,
in Italia tale valore sale al 16, 1 %, sei punti
percentuali in pi, e questo aspetto viene usualmente indicato
come la grande anomalia del sistema sociale
italiano essendo la quota non solo superiore al valore medio ma
anche pi alta di quella presente nella
stessa Svezia (12,0%), ad esempio, considerata come il paese che
dispone del sistema a pi alta protezione
sociale.
Esistono, in realt, diverse ragioni che possono spiegare tale
differenza; intanto sembra opportuno
ricordare che nel calcolo della spesa pensionistica italiana
vengono incluse le erogazioni relative al
cosiddetto Trattamento di Fine Rapporto (TFR)18, un istituto non
presente negli altri Paesi e che se la
relativa spesa fosse esclusa, la spesa previdenziale sul pil
perderebbe, secondo alcune stime, due punti
percentuali circa in termini di peso sul pil. In una
pubblicazione del Ministero del Lavoro19 possibile, ad
esempio, leggere Il dato italiano in realt fortemente viziato
dalla considerazione del TFR nella spesa per
vecchiaia. Listituto, affatto peculiare nel panorama europeo,
appare uno schema di risparmio obbligatorio
legato al particolare contratto in essere del lavoratore
dipendente e quindi solo occasionalmente associabile
al rischio vecchiaia. E infatti erogato a ogni cambio di datore
di lavoro e quando il lavoratore va in
quiescenza tipicamente ne ha gi usufruito in maniera consistente
nel corso della vita lavorativa. In realt,
appare discutibile la stessa natura di prestazione sociale del
TFR. Se si escludesse il TFR, la propensione
pensionistica della spesa sociale italiana permarrebbe, ma
sarebbe molto meno accentuata.
C anche da tenere presente che lItalia ha la pi alta quota, in
Europa, di persone con unet
superiore ai 65 anni (20,1 % contro il 16,1% del Regno Unito e
della Francia, l10,9% dellIrlanda, ad
esempio ) (vedi tabella n.5) e che spesso la spesa previdenziale
stata utilizzata, pi che negli altri paesi, per
fini assistenziali o come ammortizzatori sociali (integrazioni
al minimo e pensioni sociali come forme
18 Il Tfr pari al 6,9% della retribuzione lorda e viene
accantonato presso le aziende in cui si lavora.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 21
assistenziali, pensioni di invalidit come indennit di
disoccupazione ). Questultimo elemento spiega anche
perch lItalia il paese europeo che destina ai trattamenti di
disoccupazione la quota pi piccola: 0,5 per
cento del pil contro un valore medio europeo dell1,4, vedi
tabella n.1 ). Probabilmente, se si riuscisse a
separare la componente assistenziale dalla spesa per pensioni, a
tenere conto della diversa struttura della
popolazione, del TFR e del prelievo fiscale, la spesa
previdenziale italiana cesserebbe dallessere considerata
come la grande incongruenza del welfare italiano.
Per quanto riguarda, invece, la salute anche per lItalia
rappresenta, come per gli altri paesi europei,
la seconda posta in termini di peso sul pil (7,0% contro il 7,7%
come valore medio europeo). Se lItalia
destina in media e per linsieme delle prestazioni sociali una
quantit di risorse inferiore al valore medio e
contemporaneamente presenta un valore superiore per la spesa
previdenziale, significa che alcune aree del
sociale hanno ricevuto e ricevono minori risorse rispetto a
quanto sarebbe stato, probabilmente, necessario.
Senza tenere conto del gap presente nella spesa per la
disoccupazione e che si pu, in parte, giustificare con
lutilizzo improprio delle pensioni di invalidit come indennit di
disoccupazione, carenze si rilevano per gli
aiuti alle famiglie (assegni familiari), con una quota dell 1,3%
sul pil contro un valore medio del 2,1 e per il
sostegno alle spese per affitto ed esclusione sociale pressoch
irrilevante ( 01 contro 0,6 ) per un paese che
presenta, tra laltro, un tasso di povert relativa superiore al
valore medio europeo .
Il diverso peso sul pil si riflette, naturalmente, sulla
struttura della spesa sociale; ponendo pari a
cento la spesa per la protezione sociale, la spesa pensionistica
copre, in Italia, il 60,7 per cento del totale
contro una media europea del 46,2 per cento e valori pari al
41,8 per la Svezia, al 45,8 per la Francia; al 43
per la Germania, e cos via (vedi tabella 2 ). Carenze si
rilevano per gli aiuti alle famiglie (assegni familiari,
spese per gli asili nido, le strutture residenziali, lassistenza
domiciliare a minori ed anziani) a cui si destina
solo il 4,7% del totale della spesa contro un valore medio
dell8,2% e per il sostegno alle spese per affitto ed
esclusione sociale: 0,3% contro il 3,0% come valore medio
europeo ( per quanto riguarda il finanziamento
vedi quanto detto in precedenza).
Il confronto tra il sistema di welfare italiano e quello degli
altri paesi europei, pur nei limiti della
non completa omogeneit dei dati e nel ridimensionamento della
anomalia riferita alleccessivo peso
della spesa pensionistica, evidenzia, comunque, delle specificit
che appartengono al modo stesso con cui
si sono costruiti, nel tempo, i welfare nazionali, allevolversi
delle componenti socio economiche della
popolazione (invecchiamento, partecipazione al mercato del
lavoro, peso dei lavoratori autonomi, e cos
via), e da motivazioni socio culturali. Per un lungo periodo di
tempo in Italia, ad esempio, la famiglia ha
giocato attraverso una bassa partecipazione delle donne al
mercato del lavoro un significativo ruolo
di supplenza in una molteplicit di lavori di cura ( nei
confronti degli anziani, minori, invalidi, portatori
di handicap, ecc.), e di redistribuzione del reddito al suo
interno ( per i giovani in cerca di occupazione,
19 Cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Quaderni
della Ricerca Sociale n.3 , Povert ed Esclusione Sociale,
LItalia nel contesto comunitario, Anno 2010
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 22
per le donne separate/divorziate, per le ragazze madri, e cos
via); compiti affidati, negli altri Paesi,
allintervento pubblico. Tale atteggiamento spiega, tra laltro,
non solo la relativa bassa partecipazione
delle donne italiane al mercato del lavoro (ad oggi permangono,
ancora, quasi 12 punti di differenziale
negativo in termini di tasso di occupazione rispetto alla media
europea), ma anche la particolare tutela
riservata ai disoccupati adulti ( in termini di fruizione della
Cassa Integrazione Guadagni,
prepensionamenti, pensioni di invalidit), rispetto ai giovani in
cerca di prima occupazione, esclusi da
ogni forma di sostegno. In questo senso e rispetto alla
situazione media dellEuropa, la struttura della
spesa sociale italiana risulta, come si visto, fortemente
sbilanciata a favore della spesa previdenziale con
alcuni settori palesemente sottosviluppati quali quelli
costituiti dal trattamento di disoccupazione e
dallassistenza sociale.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 23
Tabella n. 5 Alcuni indicatori demografici ed occupazionali
riferiti allanno 2010
Alcuni indicatori demografici ed occupazionali
Paesi
Popolazione 2009 (.000)
% popolazione 65 anni e pi
(anno 2008)
% occupati su popolazione 15-
64 (2010)
Tasso di disoccupazione
( 2010)
BELGIO (BE) 10.796 17,1% 62,0 8,3 DANIMARCA (DK) 5.517 15,6%
73,4 7,4 GERMANIA (DE) 80.967 19,9% 71,1 7,1 GRECIA (EL) 10.839
18,7% 59,6 12,6 SPAGNA (ES) 45.671 16,6% 58,6 20,1 FRANCIA ( FR)
61.059 16,4% 64,0 9,8 IRLANDA (IE) 4.468 10,9% 60,0 13,7 ITALIA
(IT) 59.752 20,1% 56,9 8,4 Lussemburgo (LU) 481 14% 65,2 4,5 PAESI
BASSI (NL) 16.223 14,8% 74,7 4,5 AUSTRIA (AT) 8.238 17,2% 71,7 4,4
PORTOGALLO (PT) 10.638 15,7% 65,6 12,0 FINLANDIA (FI) 5.317 16,5%
68,1 8,4 SVEZIA (SE) 9.297 17,5% 72,7 8,4 Regno Unito (UK) 60.734
16,1% 69,5 7,8 EU a 15 389.998
EU a 17 64,2 10,1
Fonte : European Commission 2010, Employment in Europe,
Luxembourg
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 24
7. Le innovazioni degli ultimi anni
Come visto nel prs.2, a partire dagli anni novanta e sino ad
oggi, in un quadro fortemente
evolutivo a seconda della forma di governo presente nei diversi
Paesi e della sua evoluzione (destra,
centro-destra, sinistra, centro-sinistra, democratici,
repubblicani, socialdemocratici, e combinazioni
diverse), si possono cogliere alcune tendenze comuni alla
generalit degli Stati membri, e che sembrano
muoversi verso uno stato sociale pi residuale che universale, al
di l delle affermazioni di principio presenti
nei diversi documenti comunitari.
Una prima tendenza quella di indebolire la protezione derivante
dalle culture universalistiche
spostando, pi o meno gradualmente, la copertura dei rischi
sociali (vecchiaia, malattia, disoccupazione,
povert, ecc) dalla sfera delle decisioni pubbliche a quella
delle decisioni individuali. In questa direzione
sembrano muoversi, ad esempio, le riforme del sistema
previdenziale, del sistema sanitario, delle indennit per
disoccupazione (dal welfare al workfare20), dei sussidi per
listruzione, per ledilizia pubblica, ecc .
Con le riforme pensionistiche, in corso nella generalit dei
paesi europei, ad esempio, si innalza
let pensionabile, si riduce la copertura per gli aumenti dei
prezzi e/o rispetto alla dinamica retributiva, si
trasforma il sistema da retributivo (pensione pari ad una certa
quota dellultima retribuzione o della media
delle retribuzioni di un determinato periodo di tempo) a
contributivo, con un collegamento stretto fra
contributi e prestazioni, in una logica assicurativa (pensione
contributiva ). E poich il nuovo sistema
determiner, mediamente, una pensione nettamente inferiore a
quella prevista dal sistema retributivo
(indebolimento del sistema pubblico), si incentiva la
costituzione di un secondo pilastro pensionistico
(previdenza integrativa)(vedi prs. successivi). Ma poich sembra
probabile che anche questo secondo pilastro
possa non essere in grado di ristabilire un adeguato rapporto
tra risorse disponibili nellet del lavoro e
del non lavoro, si ricercano ulteriori incentivi per la
formazione di un terzo pilastro (previdenza
completamente privata). In una situazione di questo genere non
difficile ipotizzare, a regime, pensionati
che, forti sul mercato del lavoro, saranno in grado di
assicurarsi adeguati livelli pensionistici (con un mix
di pensione obbligatoria contrattuale volontaria) a differenza
dei lavoratori pi deboli (in particolare
gli atipici e quelli inseriti nelle piccole imprese) che
potranno contare, prevalentemente, sul primo
pilastro, con un generale processo di aumento della
disuguaglianza nella distribuzione personale del
reddito. Di fatto, si stanno creando le premesse per riportare
ai margini della distribuzione del reddito un
gruppo importante della popolazione che, con difficolt, aveva
contribuito a determinare un sistema di
norme per far s che il tenore di vita dellet del non lavoro non
fosse drammaticamente diverso da quello
dellet del lavoro.
20 Per rendere i sistemi di protezione sociale pi incentivanti
sotto il profilo del lavoro, le indennit per la disoccupazione si
riducono nel loro ammontare e nei tempi di erogazione sino ad
annullarsi se la persona disoccupata non segue appositi programmi
di formazione o riqualificazione o se non accetta opportunit di
lavoro offerte dai centri per loccupazione, indipendentemente dalle
proprie aspirazioni professionali o vincoli familiari.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 25
In un medesima direzione si muovono, anche, le misure dirette a
contenere la dinamica delle
spese per la salute; limporre, ad esempio, agli ospedali budget
da rispettare e contenendo, in ogni caso, i
trasferimenti alle strutture stesse, come sta accadendo in
Italia, determina lunghe code di attesa per analisi,
visite specialistiche, piccoli e grandi interventi con il
risultato di indurre i pazienti, pi o meno benestanti,
verso le strutture private21 e/o a dotarsi di polizze
assicurative (in molti rinnovi contrattuali stanno
entrando polizze assicurative sanitarie con costi condivisi tra
aziende e lavoratori). Anche in questo caso
non difficile prevedere un aumento della disuguaglianza
nellaccesso al diritto alla tutela della salute cos
come non difficile prevedere un indebolimento della struttura
pubblica nel momento in cui si perde la
fruizione dei servizi da parte dei pazienti appartenenti alla
classe media e medio-alta che svolgono una
importante funzione di controllo nella qualit e nella tipologia
delle prestazioni sanitarie.
Una seconda tendenza quella di ridurre la tassazione basata
sulla capacit contributiva (sono in
corso in tutti i paesi europei processi di riforma della
tassazione personale tesi ad abbassare i livelli di
imposizione) ed aumentare il peso della tassazione in base al
principio del beneficio, rafforzando la
partecipazione degli utenti al costo dei servizi ( ed anche
questo sembra essere un tentativo di risposta
alla mobilit del fattore capitale, resa pi agevole dal
completamento del Mercato Comune Unico). Il
processo, iniziato negli anni ottanta, si sta espandendo
coinvolgendo, almeno in Italia, le prestazioni
sanitarie, listruzione, la generalit dei servizi sociali. La
contribuzione viene, a sua volta, modulata in
funzione della capacit contributiva dei soggetti (Indicatore
Situazione Economica Equivalente - ISEE)
determinando non pochi problemi nella gestione burocratica delle
procedure e nei necessari controlli,
soprattutto in un paese come lItalia in cui ancora elevato il
grado di evasione fiscale e il reddito
prodotto nelleconomia sommersa.
Una terza tendenza quella di trasferire a livello locale
(regioni, province e comuni) la gestione e il
finanziamento di quote crescenti di prestazioni e servizi
sociali. La tendenza, di per s positiva, presenta, in
assenza di una definizione a livello nazionale dei diritti e dei
doveri minimi e di un trasferimento di
risorse dallo Stato alle Regioni sempre pi ridimensionato, il
grave rischio che, a parit di bisogni, ci
siano, a livello locale, risposte fortemente differenziate in
funzione delle preferenze politiche locali e/o
delle risorse che possono essere messe a disposizione in campo
sociale. Sembra facile prevedere, anche in
questo caso, che le regioni economicamente pi forti e/o pi
attente alla dimensione sociale portino
avanti unarticolata politica sociale a differenza di quelle pi
deboli, determinando, cos, una chiara
discriminazione tra soggetti che presentano parit di
bisogni.
C da dire, infine, che queste tendenze trovano un marginale
aggiustamento nella tenuta o
nellampliamento ( a seconda del Paese considerato) della spesa
prettamente assistenziale e, quindi, molto
selettiva (sostegno alle spese daffitto, di acquisto di libri
scolastici, di mantenimento dei minori inseriti in
21 Nel 1997 la spesa privata per lassistenza sanitaria
rappresentava, gi, in Italia, il 30% della spesa sanitaria totale
contro il
15% in Svezia, Regno Unito, Belgio, Danimarca e solo l8% in
Lussemburgo
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 26
nuclei numerosi, di reddito minimo, quando previsto,ecc) .
Piccoli interventi che sembrano molto lontani
da un modello sociale in cui tutti dovrebbero poter condurre una
esistenza dignitosa cos come usuale
leggere nei documenti della Comunit ed in quelli governativi dei
singoli Paesi.
8. I sistemi pensionistici
Il sistema pensionistico22 italiano inizia a formarsi nel 1898
con listituzione della prima Cassa di
previdenza per linvalidit e la vecchiaia la cui iscrizione era
facoltativa per la maggior parte dei lavoratori
ed obbligatoria solo per alcune categorie (dipendenti dello
Stato, operai dei cantieri navali e delle zolfatare
siciliane)23. Nel 1919, partendo dalle conseguenze devastanti
del primo conflitto mondiale in termini di
vedove, orfani ed invalidi, la Cassa di previdenza per
linvalidit e la vecchiaia si trasforma in Cassa
nazionale delle assicurazioni sociali e il sistema da volontario
si trasforma in obbligatorio per i lavoratori
dipendenti con una triplice contribuzione : degli operai, degli
imprenditori e dello Stato. Durante il ventennio
fascista la Cassa nazionale delle assicurazioni sociali si
trasforma in ente pubblico (1933) ed assume la
denominazione di Istituto Nazionale Fascista di Previdenza
Sociale ( I.N.F.P.S. e, poi, I.N.P.S) .
Allorigine, il sistema si finanzia assumendo la forma della
capitalizzazione ( le pensioni pagate nel corso di
ogni anno vengono finanziate attraverso i fondi accumulati dai
lavoratori durante gli anni precedenti) e
limporto della pensione riflette lammontare dei contributi
versati e capitalizzati.
Nel 1961 l'assicurazione obbligatoria viene estesa anche agli
artigiani e nel 1967 ai commercianti; nel
1969 viene introdotta la pensione sociale (denominata, oggi,
assegno sociale) per i cittadini anziani privi di
reddito o con redditi inferiori a determinati livelli fissati
anno per anno.
Nel 1969, come era accaduto nella maggior parte dei paesi
europei, si passa dal sistema a capitalizzazione al
sistema a ripartizione : i contributi versati in un anno da
tutti i lavoratori attivi finanziano le pensioni
pagate nel corso dello stesso anno. Il sistema a ripartizione, a
differenza di quello a capitalizzazione, pu
essere retributivo quando le pensioni erogate sono collegate
alla retribuzione percepita dal lavoratore
durante la sua attivit lavorativa (solitamente le pensioni sono
calcolate come percentuale della
retribuzione media di n anni lavorativi o dellintera vita
lavorativa, sistema vigente sino alla riforma Dini
del 1995), oppure pu essere contributivo quando le pensioni sono
collegate all'ammontare dei contributi
versati durante il periodo lavorativo ( situazione attuale per
coloro che hanno iniziato a lavorare a partire
dal primo gennaio 1996).
Labbandono del sistema a capitalizzazione a favore di quello a
ripartizione derivava dalla necessit di tener
conto del fatto che gli alti tassi di inflazione del secondo
dopoguerra avevano eroso le riserve detenute dagli
22 Il sistema pensionistico di un paese determinato dalla
combinazione di caratteri diversi che riguardano lobbligatoriet
della partecipazione; il carattere pubblico o privato
dellistituzione che lo gestisce; il metodo di finanziamento della
spesa (a ripartizione o a capitalizzazione); il metodo di calcolo
delle prestazioni : retributivo e/o contributivo. 23 Cfr., Sepe
Stefano 1999, Le Amministrazioni della Sicurezza Sociale nellItalia
Unita, Ed Giuffr, Milano
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 27
istituti previdenziali ed eroso il potere dacquisto delle
pensioni stesse, nel contempo si era in presenza di
un'economia in rapida crescita, di buon equilibrio finanziario
del bilancio dello Stato, di strutture demografiche in
equilibrio, di un aumento del monte salariale e
delloccupazione24, tutti elementi rassicuranti in termini di
equilibrio finanziario tra prestazioni e contributi. Ma a
partire dalla met degli anni settanta, il modello
pensionistico pubblico inizia ad essere messo in
discussione:
- per la caduta del tasso medio annuo di crescita del pil, dei
salari e delle entrate contributive che avevano
garantito gli impegni di spesa assunti con gli assicurati;
- per la continua diminuzione del tasso di natalit e il
parallelo aumento della vita media : lallungamento
della vita media si riflette, naturalmente, sugli oneri
previdenziali nel senso che le prestazioni
pensionistiche devono essere erogate per un periodo medio pi
lungo nel tempo;
- per laumento dellet scolare : si entra pi tardi nel mercato
del lavoro e si versano, quindi,
contributi per un tempo inferiore;
- per la crescita del tasso di disoccupazione e il diffondersi
dei casi di prepensionamento che
determinano una progressiva diminuzione del rapporto lavoratori
e pensionati, incidendo
profondamente su quella relazione numerica tra contribuenti e
percettori di pensioni che alla
base dei sistemi a ripartizione.
I problemi provocati da questa evoluzione economica, demografica
e sociale si riflettono in un crescente
deficit del sistema pensionistico pubblico e nel peso sempre
maggiore della spesa pubblica per pensioni
rispetto al Pil: due indici che concorrono a spianare la strada
alle riforme degli anni novanta e che
cercano di rendere compatibile la spesa previdenziale con il
bilancio dello Stato.
Di fronte all'invecchiamento della popolazione e al calo delle
nascite, si risponde con
l'innalzamento dell'et pensionabile per accedere alle pensioni
di vecchiaia e di anzianit; con la revisione dei
meccanismi automatici di indicizzazione delle pensioni, con la
modifica della formula di computo della
pensione stessa e con laumento della contribuzione si cerca di
rallentare la dinamica della spesa e la sua
incidenza sul pil.
Nello specifico si ha una prima riforma, nel 1992, con il
governo di G. Amato (D.Lgs. 503 del 30
dicembre 1992, interventi diretti al contenimento della spesa
pubblica) che ridisegna il metodo di calcolo
della pensione in base ad un criterio di determinazione della
pensione che prevede due quote: la prima, per
i contributi versati fino al dicembre 1992, calcolata sulla base
della retribuzione annua media degli ultimi
cinque anni; la seconda, per i contributi versati dal gennaio
1993 in poi, calcolata sulla base degli ultimi dieci
anni di retribuzione (la base pensionabile viene determinata
facendo una media delle retribuzioni
percepite nel tempo e rivalutate) (per i nuovi assunti il
riferimento varr per lintera vita lavorativa); si
24 In generale, si sostiene che il sistema a capitalizzazione
evita i rischi legati a trend demografici sfavorevoli (incremento
delle persone non attive rispetto a quelle attive) e consente un
controllo finanziario tra contribuzione/prestazione; non c'
solidariet intergenerazionale e il rischio di maturare pensioni
insufficienti ad uno standard medio di vita grava interamente
sull'assicurato.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 28
prevede, inoltre, un innalzamento graduale dell'et pensionabile
(da 60 a 65 per gli uomini e da 55 a 60
per le donne), la revisione del meccanismo automatico di
adeguamento delle pensioni al costo della vita
(viene sospeso e non pi riattivato quello relativo alla dinamica
dei salari e reso pi morbido quello relativo
alla dinamica dei prezzi25); si aumentano le aliquote
contributive. Il diritto allintegrazione per una
pensione minima viene legato non pi al reddito personale del
richiedente ma a quello familiare. Si
armonizzano le normative tra pubblico e privato; si introduce,
infine, un divieto parziale di cumulo tra
pensione e lavoro autonomo.
Con la riforma di Lamberto Dini (lallora Presidente del
Consiglio) (L. 335 dell8 Agosto 1995), il
sistema pensionistico subisce una seconda e pi radicale riforma
attraverso lintroduzione del sistema a
capitalizzazione per il calcolo delle pensioni. La pensione non
sar pi pari ad una quota della retribuzione ma
il risultato di un complesso intreccio tra anni di lavoro,
contributi versati, tasso di capitalizzazione,
coefficiente di trasformazione. In pratica i contributi
versati26 nel corso dellintera vita lavorativa vengono
rivalutati ad un tasso di rendimento pari alla variazione media
quinquennale del prodotto interno lordo
(PIL) nominale (con riferimento al quinquennio precedente lanno
da rivalutare) formando il montante
contributivo individuale. Alla fine della carriera lavorativa,
lentit delle prestazione pensionistica sar
determinata moltiplicando il montante contributivo per un
coefficiente di trasformazione che rapporta il
trattamento allet del pensionato premiando chi arriva sempre pi
vicino alla soglia dei 65 anni di et27, e
trasformato in una rendita vitalizia che rappresenta la pensione
che verr pagata fin quando il pensionato
o i suoi superstiti sono in vita. Correttivi migliorativi
vengono previsti per chi effettua lavori usuranti.
Landata a regime del nuovo sistema prevista in modo graduale nel
senso che il nuovo metodo di
calcolo viene applicato immediatamente ai nuovi assunti (a
partire dal 1 gennaio 1996) e a coloro che non
avevano maturato almeno 18 anni di contribuzione28; vengono,
quindi, esclusi tutti i lavoratori che avevano
maturato pi di 18 anni di contribuzione per i quali la pensione
rimane calcolata con il metodo retributivo29
Il nuovo sistema, partendo dalla considerazione che l' ingresso
nel mondo del lavoro avviene
sempre pi tardi e in modo precario, per cui le prestazioni
pensionistiche future sono destinate a
25 Ladeguamento delle pensioni alla variazione dei prezzi
stimata dallIstat sar diverso a seconda dellimporto della
pensione
stessa; con riferimento allanno 2011, ad esempio, a fronte di un
aumento dei prezzi relativo allanno 2010 pari all1,4%, avranno un
aumento del valore della loro pensione pari allaumento dei prezzi
solo i pensionati con pensioni sino a 1.382,91 euro (valore pari al
triplo del minimo di pensione al dicembre 2010); per coloro che
hanno una pensione compresa tra 1.382,91 e 2.304,85 euro, laumento
sar pari solo al 90% dellaumento del costo della vita e, cio, pari
all1,26%; per coloro che hanno una pensione eccedente 2.304,85 euro
(cinque volte il minimo 2010), laumento sar pari solo al 75%
dellaumento del costo della vita e, cio, pari all1,05%. 26
I lavoratori dipendenti versano il 32,07% della retribuzione :
8,89 a carico del lavoratore e 23,81 a carico del datore di lavoro.
27 Il montante contributivo individuale viene moltiplicato per
5,163%, ad esempio, se il lavoratore va in pensione a 60 anni di et
e per 6,136% se va in pensione a 65 anni di et. La riforma prevede
anche di rivedere, ogni dieci anni, i coefficienti di
trasformazione in funzione dellandamento della speranza media di
vita. 28 In questo caso il lavoratore avr una pensione calcolata in
parte secondo il sistema retributivo, per l'anzianit maturata fino
al 31 dicembre 1995, e in parte con il sistema contributivo, per
l'anzianit maturata dal 1 gennaio 1996 29
E probabile che il nuovo governo di Mario Monti modifichi questa
norma estendendo anche a questo gruppo di lavoratori il metodo
contributivo a partire dal 2012.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 29
ridimensionarsi rispetto al passato, incoraggia, attraverso la
destinazione del Tfr trattamento di fine
rapporto a fondi pensione (di categoria, aziendali o
territoriali), la formazione di una pensione
aggiuntiva attraverso la previdenza complementare quale secondo
pilastro del sistema pensionistico, per avere,
quindi, livelli di copertura previdenziale pi adeguati rispetto
a quelli assicurati dal solo primo pilastro.
Schema n.1
Dal sistema retributivo al contributivo riforma Dini del
1995
Lavoratori con Sistema di calcolo della pensione
meno di 18 anni di contributi
Al 31.12.1995
Contributivo a partire dal 1.1.1996 e
retributivo per gli anni precedenti
almeno 18 anni di contributi
al 31.12.1995
retributivo
lavoratori assunti a partire dall1.1.1996 Solo contributivo
Schema n.2
Esempio di metodo di calcolo della pensione per un lavoratore
che inizia la sua attivit il primo
gennaio 2006 con una base retributiva annua imponibile pari a
15.000 euro.
Al 31 dicembre 2006 si definisce la prima quota di contribuzione
da considerare ai fini del calcolo della pensione e tale prima
quota sar pari al 33% della retribuzione imponibile (15.000 euro)
e, quindi, 4.950 euro su base annuale e versati mensilmente dal
lavoratore e dal datore di lavoro. Alla fine del secondo anno di
lavoro, 31 dicembre 2007, la quota maturata nellanno precedente,
4.950 euro, viene rivalutata in relazione al tasso medio annuo
nominale del Pil degli ultimi cinque anni. Ipotizzando una
variazione media del pil pari al 3%, la quota del primo anno
rivalutata risulter pari a 5.098,5 : 4.950 pi 148,5 pari al 3% di
4.950; i 5.098,5 euro rappresentano, quindi, la prima quota di
quella sommatoria di quote che andranno a costituire il montante
contributivo. Nel corso del secondo anno il lavoratore e il datore
di lavoro continueranno a versare, complessivamente, il 33% della
retribuzione e, quindi, 4.950 euro. Alla fine del terzo anno di
lavoro, 31 dicembre 2008, la quota versata nel 2007, 4.950 euro,
viene rivalutata sempre in relazione al tasso medio annuo nominale
del Pil degli ultimi cinque anni. Ipotizzando una variazione media
del pil pari al 3,5%, la quota del secondo anno rivalutata risulter
pari a 5.127,25 : 4.950 pi 173,25 pari al 3,5% di 4.950; i 5.127,25
euro rappresentano, quindi, la seconda quota del montante
contributivo. E cos via nel tempo; naturalmente nel momento in cui
la retribuzione dovesse aumentare per scatti di anzianit, rinnovi
contrattuali, passaggi di carriera, ecc, si modificherebbe anche la
base imponibile e, quindi, lammontare di contributi versati e,
quindi, anche la quota che andr a costituire il montante
contributivo. Alla fine della carriera lavorativa si determiner il
montante contributivo individuale inteso come somma dei contributi
via via accreditati e rivalutati. Per determinare limporto annuo
della pensione bisogner compiere unulteriore operazione; occorrer,
infatti, moltiplicare il montante contributivo per dei coefficienti
di trasformazione che consentono di trasformare il capitale
accumulato (montante) in una rendita vitalizia. I coefficienti di
trasformazione partono da 0,04720, per un lavoratore che decide di
andare in pensione a 57 anni, ed arrivano a 0,06136 per un
lavoratore che decide di andare in pensione a 65 anni; in tal modo
si incoraggia la permanenza nel mercato del lavoro.
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 30
La riforma prevede anche una graduale abolizione delle pensioni
di anzianit (pensione che matura
indipendentemente dallet e che legata agli anni di contribuzione
39 anni di contribuzione nel privato
e 40 se un lavoratore autonomo) entro il 2008 ed introduzione
della flessibilit dellet pensionabile ( 57-
67 per maschi e donne). Le pensioni di invalidit e reversibilit
si riducono in presenza di altri redditi; si
istituisce un fondo pensione per le casalinghe.
Dal retributivo al contributivo
La riforma Dini ha segnato il passaggio da un sistema a
ripartizione di tipo retributivo ad un sistema a
ripartizione di tipo contributivo. Quello retributivo era un
sistema che presentava poche incertezze: tutto si
basava sugli anni di lavoro e sulla media delle retribuzioni
percepite nel tempo. Il sistema contributivo, da
una parte, ha il vantaggio della trasparenza che garantita dal
fatto che ciascuno deve contribuire
personalmente a finanziare le prestazioni future, dallaltra, per
ha lo svantaggio di esporre il lavoratore
ad una serie di incertezze circa la reale consistenza della
pensione poich l'importo effettivo della stessa
dipender almeno da tre variabili:
a) la propria storia contributiva, vale a dire quanti contributi
riuscir a versare nel tempo;
b) la rivalutazione del montante contributivo, collegata al
tasso di crescita del pil;
c) i coefficienti di conversione in rendita che saranno in
vigore al momento della pensione, collegati alla
speranza di vita media.
Per quanto riguarda la rivalutazione del montante contributivo,
molto dipender dallandamento
delleconomia; se leconomia stagna come nel decennio 2000 la
rivalutazione del montante contributivo
sar molto scarna. I coefficienti di trasformazione del montante
in rendita sono, invece, collegati alla
speranza di vita media rilevata dall'Istat. Se al momento della
pensione la speranza di vita media sar pi
lunga, con lo stesso montante contributivo si potrebbe percepire
una pensione sensibilmente inferiore.
Nel sistema contributivo, quindi, si ha lo svantaggio di avere
una pensione molto incerta rispetto al sistema
retributivo perch molto pi difficile la sua stima.
Inoltre la pensione percepita dai giovani viene stimata intorno
al 50- 60% dellultima retribuzione, mentre i
lavoratori che beneficiavano del vecchio calcolo retributivo
potevano arrivare fino all80% dellultima
busta paga e ricevevano il TFR. I giovani, quindi, avranno
bisogno, pi degli anziani, di integrare la futura
rendita (primo pilastro pensionistico) con la pensione
complementare (secondo pilastro).
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Economia e Politica Sociale 2011-12 Terzo modulo: welfare e
modelli di welfare, Carmela D'Apice 31
Una fase ulteriore di riforma generale del sistema pensionistico
si ha con il primo governo di R.
Prodi ( legge 27 dicembre 1997 n.449 finanziaria 1998) che
accelera l'inasprimento dei requisiti minimi
per il pensionamento di anzianit previsto da Dini per i
lavoratori dipendenti del settore privato (tranne
operai e lavoratori precoci), che prevede lequiparazione dei
requisiti di accesso alla pensione di anzianit
del pubblico impiego a quelli previsti per i lavoratori del
privato e l equiparazione dei pensionati ex
dipendenti a quelli ex autonomi in materia di cumulo fra
pensione e redditi da lavoro autonomo. Eleva le
aliquote contributive di artigiani e commercianti.
Con la legge delega in materia previdenziale 23 agosto 2004
n.243 (governo Berlusconi ministro R.
Maroni), si innalza let di pensionamento (per le donne si fissa
una fascia da 60 a 65 anni mentre per gli
uomini il pensionamento consentito solo al raggiungimento dei 65
anni), si prevedono incentivi a
rimanere al lavoro per il periodo 2004-200730; si elimina, in
modo progressivo, il divieto di cumulo tra
pensioni e redditi da lavoro, si innalza da 57 a 60 anni ( pi
tre anni di lavoro) let per poter andare in
pensione di anzianit con 35 anni di contribuzione 31a partire
dall1.1.2008 (il famoso scalone Maroni
modificato, poi, nel 2007 dal governo Prodi); ed infine si
rilancia la previdenza complemen