“Chi crede ha la vita eterna” (Gv 6,47) “Vi è infatti una risurrezione che viene dalla fede per la quale chi crede risorge nello spirito; e questa risurrezione nello spirito è la premessa della futura risurrezione nel corpo” (S. Agostino, Discorso 362, 20.23) Monastero Cistercense (Trappista) “Madonna dell’Unione” Via Provinciale Val Corsaglia, 1 12080 – Monastero Vasco (Cn) Tel. 0174 563388 Sito Web www.trappisti.it
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“Chi crede ha la vita eterna” (Gv 6,47)
“Vi è infatti una risurrezione
che viene dalla fede
per la quale chi crede
risorge nello spirito;
e questa risurrezione nello spirito
è la premessa della futura
risurrezione nel corpo” (S. Agostino, Discorso 362, 20.23)
Questi spunti su alcuni brani di Vangelo sono il frutto della Parola letta e ascoltata durante la Celebrazione vespertina dell’Eucaristica nella comunità monastica per l’anno A 2008 e sono pubblicati in quest’anno 2011 A. Si sono lasciati volutamente nello stile parlato, immediato e colorito fatto di
domande e risposte, esempi e personalizzazioni che aiutano a cogliere le varie
sfaccettature della Parola.
Troverete che ci sono vari errori di ortografia e di punteggiatura. Alle volte le
espressioni ed il periodare non sono chiari e sintatticamente non ben espressi. Vi
chiediamo di scusarci per la non esattezza e se avete la bontà e la voglia di
comunicarceli vi ringraziamo.
È un cammino a piccoli passi fatto nello Spirito Santo, con l’aiuto dell’“Abbas”
che conduce a un incontro sempre più profondo con il Signore e con se stessi.
SOMMARIO
Premessa 5
VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA DI PASQUA 6
DOMENICA DI PASQUA A 8
LUNEDI FRA L`OTTAVA DI PASQUA 10
MARTEDI FRA L`OTTAVA DI PASQUA 11
MERCOLEDI FRA L`OTTAVA DI PASQUA 13
GIOVEDI FRA L`OTTAVA DI PASQUA 15
VENERDI FRA L`OTTAVA DI PASQUA 16
SABATO FRA L`OTTAVA DI PASQUA 18
II DOMENICA DI PASQUA (A) 19
Lunedì della II settimana di Pasqua 21
Martedì della II settimana di Pasqua 23
Mercoledì della II settimana di Pasqua 25
Giovedì della II settimana di Pasqua 26
Venerdì della II settimana di Pasqua 27
Sabato della II settimana di Pasqua 29
III DOMENICA DI PASQUA (A) 30
Lunedì della III settimana di Pasqua 32
Martedì della III settimana di Pasqua 34
Mercoledì della III settimana di Pasqua 36
Giovedì della III settimana di Pasqua 37
Venerdì della III settimana di Pasqua 39
Sabato della III settimana di Pasqua 41
IV DOMENICA DI PASQUA (A) 42
Lunedì della IV settimana di Pasqua 45
Martedì della IV settimana di Pasqua 46
Mercoledì della IV settimana di Pasqua 48
Giovedì della IV settimana di Pasqua 50
Venerdì della IV settimana di Pasqua 51
Sabato della IV settimana di Pasqua 53
V DOMENICA DI PASQUA (A) 55
Lunedì della V settimana di Pasqua 58
Martedì della V settimana di Pasqua 60
Mercoledì della V settimana di Pasqua 62
Giovedì della V settimana di Pasqua 63
Venerdì della V settimana di Pasqua 66
Sabato della V settimana di Pasqua 68
VI DOMENICA DI PASQUA (A) 69
Lunedì della VI settimana di Pasqua 70
Martedì della VI settimana di Pasqua 72
Mercoledì della VI settimana di Pasqua 73
Giovedì della VI settimana di Pasqua 75
Venerdì della VI settimana di Pasqua 76
Sabato della VI settimana di Pasqua 77
ASCENSIONE DEL SIGNORE (A) 79
Lunedì della VII settimana di Pasqua 81
Martedì della VII settimana di Pasqua 82
Mercoledì della VII settimana di Pasqua 84
Giovedì della VII settimana di Pasqua 85
Venerdì della VII settimana di Pasqua 87
Sabato, Vigilia di Pentecoste 89
DOMENICA DI PENTECOSTE (A) 90
FESTIVITÀ 92
25 APRILE – S. MARCO, 92
31 MAGGIO -VISITAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA 94
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Premessa
Il Signore, risorto e vivo nel suo Corpo, la Chiesa, continua ad attuare per noi e in
noi la sua risurrezione, perché possiamo raggiungerlo anche noi sue membra, là
dove Lui ci ha preceduti con la nostra umanità, accanto al Padre nella gloria
(Ascensione). In questo tempo pasquale, mediante la santa Liturgia, il Signore ci
manifesta “i pensieri del cuore di Dio” (Sal 32,11), “pensieri di pace” (Ger. 29,11)
e di gloria per ogni generazione.
Il Santo Spirito, operante nei santi misteri, vuole attuare in noi quanto ha
dimostrato e realizzato nel Signore Gesù, “risuscitandolo dai morti” (Rm 6,4).
Ogni azione del Padre nel Figlio suo attuata dal Santo Spirito è creatrice. Poiché
agisce in noi che “eravamo morti per i nostri peccati” (Ef 2,5), l’attività creatrice
diviene trasformante, per poter conformarci al Signore risorto, al suo Figlio diletto,
“primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29).
La trasformazione esige un mutamento: “da morti che eravamo ci ha fatti rivivere
in Cristo” (Ef 2,18). La vita nuova ridonata a noi ha delle peculiari, specifiche
esigenze: “se siete risorti, camminate in una vita nuova” (Rm 6,4; Col 3,1; Rm
8,4).
Le puntualizzazioni pratiche, che si trovano in queste brevi annotazioni sui Vangeli
del tempo pasquale, non vanno intese come imposizioni morali, cioè obblighi
derivanti dal fatto che ci diciamo cristiani; vanno accolte come esigenze vitali,
quindi gioiose e riconoscenti, che dovrebbero sfociare nello stupore di tanta umiltà
del Signore (cfr Fil 2,6-11), che è entrato nella nostra morte per trasformarla in vita
con la sua risurrezione. Di conseguenza, tali annotazioni pratiche devono fare
sgorgare l’inno di lode alla sua umiltà e la gioia della nostra ritrovata – perché
donata – dignità di figli di Dio e fratelli del Signore risorto.
Il Santo Spirito che ci è stato donato dal Padre per mezzo del Figlio è il principio
attivo, perché vivificante, del nostro vivere e agire cristiano. Soprattutto è, e
dovrebbe divenire sempre più profondamente, la guida (Gv 16,13) del nostro
comportamento di ogni giorno, perché sia possibile manifestare nelle opere il
mistero di grazia ricevuto nel Sacramento. La fondamentale manifestazione nel
concreto della nostra vita è la testimonianza che lo Spirito dona e ci spinge a
manifestare che “Gesù è il Signore” (1Cor 12,3), che ci ha manifestato il cuore del
Padre, gioisce di noi e in noi quando mossi dai gemiti inesprimibili, ma reali, dello
Spirito con un sussurro lieve, ma giubilante, siamo condotti da Lui e con Lui a
lasciare sgorgare dal nostro cuore il suo giubilo: “Abbà, Padre”
(Rm 8,15; Lc 10,21)
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VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA DI PASQUA
(Gn 1, 1-2,2; Salmo 103; Gn 22, 1-18; Salmo 15; Es 14, 15- 15,1; Es 15,2-18; Is 54, 5-14; Salmo 29; Is 55, 1-11; Is 12, 2-6; Bar 3,9-15.32-4,4; Salmo 18; Ez 36, 16-28; Salmo 41; Rm 6, 3-11; Salmo 117; Mt 28, 1-10)
Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di
Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran
terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si
pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco
come la neve. Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite.
Ma l’angelo disse alle donne: “Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il
crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove
era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora
vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto”.
Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a
dare l’annunzio ai suoi discepoli. Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo:
“Salute a voi”. Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono. Allora
Gesù disse loro: “Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in
Galilea e là mi vedranno”.
Il Vangelo ci annuncia l'esperienza di queste donne, Maria di Magdala e
l'altra Maria, che vanno al sepolcro per vedere che cosa era successo, o meglio,
come dice un altro Evangelista, per fare quello che non erano riuscite a fare prima
della sepoltura il rito dell'unguento, degli oli per conservarlo, cosa che in parte
avevano già fatto ma non completato. Succede che il Signore non c'è. L'Angelo -
come afferma un altro evangelista – annuncia che è risorto. Il sepolcro è vuoto, Lui
non c'è. Dopo Lui appare e dice: Andate a dire ai miei discepoli che li precederò in
Galilea. Quante cose sciocche si sono dette, si dicono e si diranno sulla
risurrezione del Signore! Perché il Signore non è apparso a Gerusalemme nel
tempio con il trofeo in mano, con la lancia per infilzare tutti i Sommi Sacerdoti che
l'avevano condannato; perché non viene a sterminare tutti quelli che non credono?
Perché non abbiamo prove documentate, come si fa con l'inventario oggi
nelle grandi aziende, di che cosa è successo e di che cosa ha fatto? E perché
facciamo tanto fatica, perché tanta gente non crede? Qui possiamo andare avanti
con i perché… Si potrebbe ancora obiettare: Perché il Signore non è stato così
chiaro nel dimostrare la sua risurrezione? In realtà Lui lo ha dimostrato
chiaramente: le donne gioiscono e i guardiani hanno una fifa boia, come si dice.
Allora c'è un altro fatto della risurrezione che va considerato: Anche se uno
risuscitasse dei morti- come difatti è avvenuto – sarebbero persuasi, dice Abramo a
quel tale che era sprofondato nell'abisso. Il fatto oggettivo c'è, ma noi abbiamo il
terribile, stolto, a volte demoniaco potere di negare l'evidenza dei fatti.
Questo capita tutti i giorni e in tantissime occasioni. Non è che il Signore non
ci abbia fornito prove sufficienti: abbiamo sentito in tutte le letture, come
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preparazione alla comprensione della risurrezione, dei fatti che il Signore ha
operato, e non crediamo. Allora dobbiamo ritornare, adesso faremo il rinnovo del
nostro battesimo, dobbiamo ritornare alla rigenerazione del cuore, per capire la
risurrezione del Signore Gesù. Anche se apparisse qua, se il nostro cuore non è
rigenerato, non vale niente. Come vedremo nei giorni che seguono la Pasqua, sarà
detto: E' un fantasma, è un'illusione. Ogni volta che celebriamo l'eucarestia, il
Signore ci dice: Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue; ecco l'Agnello di
Dio che toglie i peccati del mondo. Ecco qui! Perché non crediamo o crediamo
poco? Possiamo credere, nella misura che noi viviamo il nostro Battesimo.
Ci ha detto San Paolo: Se siamo morti - il nostro uomo vecchio - con Cristo,
viviamo anche con Cristo risorto. Per il cieco, bisogna dimostrare che c'è il sole!
Se domani viene un cieco, per dimostrargli che c'è il sole, io lo devo portare dove
possa sentire un tantino del suo calore, però lui non lo vede. Per me, per tutti voi,
domani, vedere il sole è la cosa più banale di questo mondo. Così per il cristiano,
credere alla risurrezione è la cosa più banale e sublime, nella misura che
abbandona la sua cecità, il suo uomo vecchio, cioè se lascia crocifiggere, mediante
l'azione dello Spirito, le sue idee, le sue sensazioni. Con la spada, il Santo Spirito,
certamente, ma anche con un tantino di nostro “bun sens”, ci fa accettare che noi
non siamo poi tanto grandi da superare l'intelligenza del Signore. Vi ricordate la
lettura di Baruc? Impara dov'è la Sapienza, dov'è l'intelligenza, dov'è la vita.
E come fai a imparare? Nel Signore risorto, che ci ha rigenerati e ci rigenera
costantemente mediante il Santo Spirito. Che ha risuscitato Gesù dai morti: la
gloria del Padre - dice San Paolo -, non Lui. San Bernardo dice che fu obbediente
fino alla morte e alla morte di croce - questo è San Paolo -, e aggiunge: Fu
obbediente fino alla risurrezione, non sarebbe risorto fino a quando la gloria del
Padre lo avesse richiamato a vita. Si è richiamato da se stesso, perché anche Lui
era Dio, ma nell'obbedienza al Padre e al Santo Spirito. Noi possiamo crederlo, ma
dobbiamo confessare questo fatto, nella misura che siamo rigenerati, gioiamo e
fruiamo nel nostro cuore, nella nostra vita, del Signore risorto.
Il buon senso ci direbbe di dare più ascolto alla Parola del Signore,
all'annuncio della Chiesa che da 2000 anni continua, che non alle nostre
sensazioni. Soprattutto a tutte le fesserie, scusate la parola, che si scrivono sulla
risurrezione, anche da parte di teologi, perché possiamo conoscere, mediante
l'annuncio della Chiesa, il rinnovamento profondo del nostro essere, fatto, operato,
dallo Spirito Santo. Gesù è risorto dallo Spirito Santo: noi possiamo conoscere la
risurrezione, come fatto reale annunciato dalla Chiesa, mediante il Santo Spirito.
Se non c'è questo buon senso di accettare l'obbedienza al Santo Spirito, come
Gesù non poteva risorgere senza obbedire al Santo Spirito, così noi non possiamo
capire la risurrezione senza l'obbedienza al Santo Spirito.
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DOMENICA DI PASQUA A
(At 10, 34. 37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; 1 Cor 5, 6-8; Gv 20, 1-9)
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon
mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal
sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che
Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non
sappiamo dove l’hanno posto!”.
Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro.
Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e
giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide
le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con
le bende, ma piegato in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e
vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè
doveva risuscitare dai morti.
Celebriamo, confessiamo, affermiamo con la lode che il Signore è risorto.
Ecco il vivente, è Lui che serve il banchetto della vita in questo momento. La
Chiesa c'invita sempre ad esultare, ma per noi che cos'è questo vivente, questa
resurrezione? Dov'è? Perché facciamo fatica a credere, perché tanta gente non
crede nella risurrezione, anche tra i bravi cattolici? “Perché non avevano ancora
compreso le Scritture”. Ci sono tanti esegeti che le Scritture le sminuzzano fino
all'ultimo iota, come dice il Vangelo, eppure non credono. "Non avevano ancora
compreso le Scritture": che cioè doveva risuscitare dai morti. E' questa una frase
che avevano sentito più volte da Gesù quando era in vita. San Pietro dice: Non è
apparso a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo
mangiato e bevuto dopo la sua risurrezione dai morti.
Questo può essere vero, ma anche noi non lo vediamo, o per lo meno
viviamo come se non fosse risorto. Perché tutto questo? Possiamo conoscere tutta
la Scrittura, e dobbiamo conoscerla un po' di più, ma dobbiamo accettare la
testimonianza degli Apostoli e, per noi, della Chiesa, che ci trasmette la fede, la
testimonianza degli Apostoli. Ma anche questo non è ancora sufficiente, perché la
spiegazione - che è tutto l'impegno della nostra vita cristiana – è che il Signore ha
vinto la morte, la nostra morte in Lui, per darci la vita e ci ha aperto il passaggio
alla vita eterna. Io posso scalare la parete nord del Monviso, perché qualcuno ha
aperto il passaggio e ha lasciato i chiodi. Posso salire, ma se uno non andava prima
di me, io non ci potrei andare. Però io sulla parete nord del Monviso non ci sono
mai stato e ormai non ci andrò più. Così è per noi: il Signore risorto, il vivente, ci
nutre al banchetto della vita nuova con la sua vita, il suo corpo, il suo sangue.
Facevo l'esempio, stanotte, del cieco: io gli posso spiegare cos'è il calore, gli
posso dire che viene dal sole, lo posso portare fuori al sole e lui sente il calore, gli
posso dire che è il sole che scalda. Lui, siccome non vede, potrebbe però dirmi di
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un'altra sua esperienza: No, io mi sono scaldato stando vicino al fuoco, o quando
avevo freddo mettendo una sedia vicino al termosifone! Per cui il sole non c'è. E
non può fare altrimenti. Allora la Chiesa ci dice, mentre celebriamo la Pasqua del
Signore, "di essere rinnovati nel tuo Spirito", perché il Signore è stato rinnovato, è
risorto mediante lo Spirito; e noi siamo rinnovati dallo Spirito. Stanotte abbiamo
rinnovato il contenuto del nostro Battesimo, ma non è sufficiente: dobbiamo
rinascere ogni giorno nella luce del Signore risorto, che è un'altra luce.
Le Scritture danno testimonianza, la Chiesa ci trasmette questa
testimonianza; il battesimo ci ha rinnovati, ma noi non siamo in grado di esserlo, se
non rinasciamo ogni giorno nella luce del Signore risorto. Che cosa vuol dire
questo? Che dobbiamo smetterla di valutare le cose solamente con quello che
sentiamo noi. Noi pensiamo di essere intelligenti, e non lo siamo. Come diceva un
autore, ci sono più cose in terra e in cielo che noi non conosciamo, di quelle poche
che conosciamo. Se noi rimaniamo nella nostra cecità e non rinasciamo ogni
giorno alla luce del Signore risorto che si dona al Santo Spirito, possiamo discutere
all'infinito se è risorto o no. Se io non ho mai mangiato la papaia, che cresce in
Brasile e in Angola, possono dirmi com'è fatta, che colore ha, che sapore ha, che è
buona, tutto quello che volete, ma io non saprò mai che gusto ha la papaia, se non
me la metto in bocca, se non metto in moto le mie papille gustative.
Così possiamo discutere all'infinito se è risorto o non è risorto, rimane
sempre una stoltezza, per la nostra incapacità, perché dobbiamo rinascere nella
luce nuova. Ogni volta che noi dubitiamo, che neghiamo o che discutiamo se è
risorto o no, affermiamo la nostra stupidità di fronte ad una cosa che non possiamo
valutare senza questa nuova luce del Signore risorto. Sant'Agostino dice: Sarebbe
meglio di una scienza temeraria che crede di capire tutto, l'umile confessione della
fede, mediante la quale il Signore ci illumina con la sua luce di risorto.
Dobbiamo accettare che non possiamo stabilire noi che è risorto o non
risorto: c'è la Scrittura, c'è la santa Chiesa, c'è il Santo Spirito, ma noi dobbiamo
lasciarci ogni giorno trasformare. Se no resta che la papaia sta in Brasile e in
Angola, e noi possiamo discutere scientificamente tutte le sue proprietà. Prendete
allora un vocabolario, che descrive tutto, come nasce, come cresce, che proprietà
ha, com'è buona…, però non saprete mai che sapore ha. Così è il Signore risorto, di
cui abbiamo cantato: "Dobbiamo essere testimoni del risorto”. Dovremmo
vergognarci a cantare queste cose, o meglio queste dovrebbero essere una
provocazione per conformare la nostra vita a quello che la Chiesa ci fa professare.
Ma non illudiamoci: se non rinasciamo nella luce del Signore risorto, è
sciocco stare a discutere se è risorto o no. Allora, se non abbiamo ancora questa
luce del Signore in modo sufficiente, se non abbiamo la capacità, abbiamo almeno
un pochettino il buon senso di accettare con l'umile fede quello che la santa Chiesa
ci dice, ci trasmette, celebra e glorifica: il Signore risorto. Questa è la via - come
dice Sant'Agostino - dell'umiltà. Non capiremo mai, fin tanto che non avremo
abbracciato l'umiltà del Signore.
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LUNEDI FRA L`OTTAVA DI PASQUA
(At 2, 14. 22-32; Sal 15; Mt 28, 8-15)
In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le
donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli. Ed ecco Gesù venne loro
incontro dicendo: “Salute a voi”. Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo
adorarono. Allora Gesù disse loro: “Non temete; andate ad annunziare ai miei
fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno”. Mentre esse erano per via, alcuni
della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era
accaduto. Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una
buona somma di denaro ai soldati dicendo: “Dichiarate: i suoi discepoli sono
venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa verrà
all’orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia”.
Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si
è divulgata fra i Giudei fino ad oggi.
Questa diceria che i discepoli hanno rubato il Signore, mentre le guardie
dormivano, si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi; anche fra i pagani e fra i
cristiani-pagani quali noi siamo. E’ una diceria che è una menzogna: non è stata
una menzogna dire una cosa contraria a quello che hanno visto e vissuto? La
Chiesa ci dice di stare attenti che questa menzogna c'è anche in noi, mentre noi
siamo chiamti ad esprimere nella vita il sacramento che abbiamo ricevuto, la realtà
ricevuta nella fede, nel battesimo, nella cresima, nell'Eucarestia. Cos'è allora che
alimenta questa menzogna? E' lo spavento. Il Vangelo ci dice che “le donne sono
andate via in fretta a causa del grande timore e gioia grande”. Cioè la realtà
cristiana operata dal Signore non può lasciarci indifferenti, è una pietra d'inciampo,
una divisione netta: chi non è con me, è contro di me.
Una pietra sulla quale o risorgiamo, o ci sfracelliamo; a bloccarci è lo
spavento di fronte alla realtà di Dio, alla sua opera, lo spavento della Risurrezione.
Sarebbe invece la cosa più ovvia: a tutti noi con la paura di crepare e viene
annunciata la Risurrezione, e noi più o meno tacitamente, più o meno palesemente,
o sofisticamente, con certi argomenti: storici, filosofici, esegetici e teologici ecc. la
neghiamo, dimostriamo che non ci interessa. Perché? Di fronte alla realtà di Dio - e
questo lo troviamo frequentemente nella Bibbia - noi ci sentiamo completamente
spiazzati - come si dice - e dobbiamo completamente capovolgere tutto il nostro
mondo, il modo di sentire, di vivere, di pensare.
"Se siete risorti con Cristo", dovete cambiare radicalmente. Ed è lì il
problema, la difficoltà e l'incredulità di fronte a questo immenso amore di Dio, che
ha risuscitato noi; Gesù Cristo, come dicevamo ieri, non poteva morire, ma si è
assoggettato, mettendo in atto la sua onnipotenza, alla morte, per far vivere noi
della sua vita di risorto. Ma questo sconvolge tutto. Abbiamo cantato nell'inno
"ormai è in te la nostra vita"; ma se così è, se la mia vita è la sua, come faccio io a
mantenere tutte quelle cosettine che mi piacciono, chi mi gratificano.
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La mia vita però è solamente e veramente quella del Risorto, non c'è altra
vita, ma più o meno tacitamente e a volte anche apertamente diciamo a noi stessi:
“ma non bisogna essere radicali, bisogna avere buon senso; viviamo in questo
tempo, siamo moderni, ma...”. Sì, chiaramente siamo moderni e dobbiamo usare la
macchina per andare a Mondovì, ringraziare il Signore di averla, ma non è questo
il problema, il problema è più al fondo: è il nostro cuore. Come dice sant'Agostino:
se noi amiamo la nostra piccola affermazione e la amiamo con tutto il cuore, con
tutta l'anima e con tutte le forze; capovolgiamo tutto, arriviamo alla negazione, al
disprezzo di Dio, per l'affermazione di "io"; invece amando Dio arriviamo al
disprezzo del nostro "io". Sant'Agostino lo formulava così, ma anche il Signore ci
dice nel Vangelo molto semplicemente: "se tu vuoi custodire la tua esperienza
della vita, stai tranquillo che la perdi, mentre se la perdi, la trovi".
Non possiamo liberarci da questa menzogna con i nostri sforzi, con i nostri
studi, con le nostre ascesi; dobbiamo con timore e gioia grande assoggettarci
all'azione del santo Spirito, che è Amore di Dio e non ci lascia "nella nostra
bagna", come dicono i piemontesi, ma ci vuole trasformare, conformare al Signore
Risorto. Abbiamo vissuto la Quaresima, sempre col ritornello della conversione;
penso tuttavia che la conversione più radicale, è quella che ci viene proposta nel
tempo Pasquale.
Nella Quaresima un po' di cibo di meno, un po' di preghiera in più, qualche
attenzione in più agli altri, è una conversione abbastanza facile, mentre questa - che
noi non possiamo fare e che fa il santo Spirito - è molto più dolorosa, più difficile -
e direi - impossibile per noi, ma è quella che ci fa divenire noi stessi, ci trasforma.
Se siamo risorti con il Battesimo, se la Risurrezione ha un senso, noi non possiamo
più vivere come se non fosse una realtà, a meno di mentire continuamente a noi
stessi. Certo abbiamo tanta debolezza, facciamo tanta fatica, ma non è questo il
problema. Il problema è che noi non vogliamo, o facciamo fatica, ad accettare che
siamo chiamati ad una vita nuova.
Come descritto da san Paolo, poco fa nell'inno cantato: "abbiamo paura della
nostra grandezza"; essa è un dono di Dio, è la vita del Signore in noi. Noi abbiamo
paura della vita e preferiamo dirci: “ma va là, lascia .... un po’ di calma, non
esagerare, non essere così radicale...”. Non è questione di radicalità, è di essere
semplicemente innamorati della vita, della nostra dignità, del Signore Gesù che ha
sofferto per noi. Soprattutto essere innamorati dell'amore di Dio che è il santo
Spirito e lasciarci guidare dove Lui vuole, in vie che noi - certamente non sempre,
per non dire quasi mai - conosciamo.
MARTEDI FRA L`OTTAVA DI PASQUA
(At 2, 36-41; Sal 32; Gv 20, 11-18)
In quel tempo, Maria stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre
piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno
dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù.
Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato
via il mio Signore e non so dove lo hanno posto”. Detto questo, si voltò indietro e
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vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù:
“Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Essa, pensando che fosse il custode del
giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io
andrò a prenderlo”.
Gesù le disse: “Maria!”. Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in
ebraico: “Rabbunì!”, che significa: Maestro! Gesù le disse: “Non mi trattenere,
perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Io salgo
al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Maria di Magdala andò
subito ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore” e anche ciò che le aveva
detto.
"Della grazia del Signore è piena la terra". La terra nel senso della realtà
dell'uomo, di tutto il creato, che è riempito da questa luce che il Signore risorto
diffonde, che Lui è con la sua presenza. Nello stesso tempo è la terra del nostro
cuore, che Lui ha riempito con la sua resurrezione. Terra che penso sia buona, che
può portare frutto, come nella preghiera abbiamo espresso: "Questo frutto di vita,
di gioia, di libertà che noi pregustiamo già sulla terra", su questa terra, sempre nel
nostro cuore. Dobbiamo domandarci come ha fatto il Signore a risorgere. Noi
sappiamo la risposta che ci viene data: è per la potenza dello Spirito Santo che Lui
è stato risuscitato. Anche a noi è stata data questa potenza dello Spirito Santo, per
fare risorgere noi con Cristo, noi siamo risorti con Lui.
L'esperienza di questa grande libertà che lo Spirito dona, libertà di vivere,
libertà gioia, di vita, il Signore la vuole comunicare e la sta comunicando a noi, la
comunica anche oggi nell'Eucarestia. Ma noi istintivamente cerchiamo una
presenza del Signore nella nostra umanità, nella sua umanità, che possa soddisfare
il nostro modo d'essere uomini, il nostro modo di relazionarci con la realtà. Non è
che Dio lo disdegni, perché, se questa Maria non fosse andata al sepolcro, non
avrebbe facilmente incontrato il Signore. Nella ricerca del Signore, che lei ama,
Maria arriva dentro questa tomba, dove lei si ricordava fosse stato messo il suo
corpo. E vede questi Angeli, uno a destra e uno a sinistra.
Interessante questa realtà: vede gli Angeli. Nel suo pianto sta vivendo una
realtà cui sembra non far caso, perché: sono degli Angeli, quelli che mi parlano!
Chissà. No, lei va avanti con il suo discorso interiore di amore e di ricerca del
Signore, e di pianto perché non lo trova. Gli angeli gli dicono: “Cosa cerchi, perché
piangi?”. E' interessante il Vangelo che ci dice: Lei si volta in dietro e vede Gesù
che era lì. E poi ancora quando Gesù la chiama: Essa allora, voltatasi verso di
Lui…”. C'è una direzione doppia da prendere nel nostro cuore per poter vedere il
Signore presente. La prima è quella che Lui viene a noi sotto le specie del pane e
del vino, del fratello, della Chiesa, della sua Parola, degli avvenimenti. Lui è
nascosto dentro questa realtà e noi non lo vediamo. Però dobbiamo girarci a questa
presenza; e quindi noi dobbiamo essere rivolti nella nostra vita a cercare il Signore,
a far vivere il Signore nei suoi comandamenti.
Ma c'è un'altra realtà che ci fa rivolgere e convertire al Signore, che è questo
secondo atto, dove il nostro cuore veramente vede la presenza dell'amato, del
Signore, nel più profondo di se stesso, rivolgendosi proprio dentro di Lui, siccome
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Cristo abita per la fede nei nostri cuori, ha Lui presente in noi, non morto, non
assente. Per cui noi dobbiamo togliere questo senso del pianto per un assente e
dobbiamo entrare in una comunione reale, cuore a cuore, vita a vita, spirito a
Spirito, perché siamo diventati un solo Spirito, un solo cuore con il Signore.
Dobbiamo vivere quest'esperienza lasciandoci chiamare per nome cioè entrando in
questo rapporto personale del Signore con ciascuno di noi. Questa è l'esperienza
della Pasqua che Gesù stesso aveva annunziato: Vado, ma tornerò a voi, mi vedrete
e il vostro cuore sarà nella gioia. Esperienza che poi gli Apostoli, oltre che con la
Risurrezione, hanno con lo Spirito Santo, che è Gesù.
Lo Spirito del Signore è il Signore: è Lui, Spirito datore di vita, che
comunica a noi il suo amore in un'unità dove noi siamo gli interlocutori di questo
Signore che ama, perché amiamo, mossi dallo stesso Spirito, dallo stesso amore,
che muove il cuore di Cristo, la vita di Cristo. Chiediamo al Signore che ci faccia
entrare in questa luce, in questa dimensione, in questa terra buona del nostro cuore,
per godere i frutti di questa gioia che viene della libertà, per essere liberati da
quanto c'impedisce di godere e gustare la presenza del Signore, perché possiamo,
nell'abbondanza dei suoi doni, vivere nella pace, vivere - se volete - in quella
sicurezza che Lui è con noi, che è dentro di noi e ci ama, in modo da potere
camminare nello Spirito Santo, nella libertà dell'amore.
MERCOLEDI FRA L`OTTAVA DI PASQUA
(At 3, 1-10; Sal 104; Lc 24, 13-35)
In quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante
circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto
quello che era accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e
camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse
loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?”. Si
fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: “Tu solo sei
così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi
giorni?”.
Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù
Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il
popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo
condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a
liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono
accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al
sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche
una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono
andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno
visto”. Ed egli disse loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei
profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare
nella sua gloria?”. E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte
le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano
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diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta
con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere
con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo
diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla
loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto
mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”.
E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono
riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il
Signore è risorto ed è apparso a Simone”. Essi poi riferirono ciò che era accaduto
lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
O Dio, nella liturgia pasquale, che stiamo celebrando, ci dai la gioia di
rivivere ogni anno la risurrezione del Signore. Cosa significa rivivere? È un ricordo
di un anniversario per il quale facciamo festa? Io sono nato il tal giorno, compio gli
anni il tal giorno, dunque facciamo festa. Rivivo io che cosa? La mia nascita! Ma
questo rivivere è soltanto un aspetto mnemonico passato, nostalgico, o è una realtà,
che sono io, che vivo il ricordo della mia nascita? Allora non è più un ricordo, è
una realtà viva, perché, se mangio qualche cosa di più sostanzioso degli altri giorni
e bevo un bicchiere di vino migliore, vuol dire che sono io a farlo.
Il rivivere è dunque pur sempre un vivere. Questo Vangelo è praticamente lo
schema su cui, dopo, si è pian piano strutturata tutta la Liturgia Eucaristica. Se
vedete, noi abbiamo delle letture che ci spiegano il senso, il contenuto, che è il
Signore risorto. Abbiamo poi il Signore che spezza il pane per noi: Egli è presente
in mezzo a noi, abbiamo cantato nell'inno. Dunque questa gioia del rivivere è la
gioia che il Signore è presente in mezzo a noi. Abbiamo però - direi - tre ostacoli
da superare. Il primo è la nostra ignoranza, o meglio la nostra illusione: "Noi
speravamo”. Noi abbiamo nel Signore delle speranze vuote.
E' chiaro che dopo non saranno attuate, come per questi. Di conseguenza,
siamo sempre in depressione, tristi; andiamo all'Eucarestia perché la Chiesa ce lo
dice, la regola ce lo impone, suona la campana, ma abbiamo sempre la
rassegnazione: Che barba! Anche stasera alle sei bisogna andare ad annoiarsi per
un'ora in Chiesa! E poi, non conosciamo le Scritture. Soprattutto - e questo è il
punto fondamentale -, siccome è un rivivere, e il rivivere è una realtà presente, che
il Signore risorto più non muore e "io sono con voi fino alla fine del mondo",
dunque il problema di fondo è questo, se noi apriamo il cuore all'azione di Dio:
non che rende presente il Signore, ma che rende noi presenti a Lui che è presente;
se, semplicemente, vogliamo capire noi le scritture.
Normalmente anche nell'Eucarestia si fa più attenzione alle letture, come se
fossero la cosa più importante. La Parola di Dio è una preparazione per renderci
conto dell'azione di Dio nel nostro cuore, che ci rende, o almeno ci fa intuire che il
Signore risorto più non muore, che non è in cielo di là di Plutone o del sistema
solare, ma è in Dio, il quale è presente in cielo, in terra e in ogni luogo. Il Signore -
“dove sono due o tre riuniti nel mio nome"- soprattutto nella celebrazione
dell'Eucarestia è presente. Il problema non è la comprensione o non comprensione,
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è l'illusione che noi abbiamo del Signore. Ne abbiamo tante di illusioni!
La prima è quella che noi pensiamo di essere noi a capire il Vangelo, di
essere noi, santi, bravi, di essere noi che attiriamo l'amore del Signore, ecc. Sono
tutte illusioni che abbiamo nel cuore. Quando la realtà della vita ci smonta queste
illusioni, attraverso le difficoltà, che non sono poche, noi andiamo in depressione.
Questo invece è il momento in cui il Signore ci apre, cioè ha la possibilità - perché
possiamo anche chiuderci di più - di aprirci il cuore e farlo ardere con il suo
Spirito. Quando spezziamo il pane, riconosciamo il Signore.
Sant'Agostino dice: “Quand'è che noi riconosciamo il Signore? Quando
spezziamo il pane". Perché è Lui che spezza il pane: "Prendete e mangiate”. Allora
dobbiamo superare le nostre sbagliate concezioni spazio-temporali, le nostre
sbagliate, false sensazioni; dobbiamo credere di più alla Parola di Dio e soprattutto
aprire il cuore all'azione del Santo Spirito. Allora noi, anche se solamente per un
breve istante - San Bernardo dice "parva mora" -, conosceremo che il Signore è
presente.
GIOVEDI FRA L`OTTAVA DI PASQUA
(At 3, 11-26; Sal 8; Lc 24, 35-48)
In quel tempo, i discepoli di Emmaus riferirono ciò che era accaduto lungo la
via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di
queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”.
Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: “Perché siete
turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei
piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa
come vedete che io ho”. Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché
per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: “Avete qui
qualche cosa da mangiare?”. Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo
prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: “Sono queste le parole che vi dicevo
quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me
nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. Allora aprì loro la mente
all’intelligenza delle Scritture e disse: “Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e
risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le
genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di
questo voi siete testimoni.
I discepoli stanno discutendo di ciò che era accaduto, quei due di Emmaus,
come l'avevano riconosciuto nello spezzare del pane. Certo erano tante le questioni
sorte, c'era poi l'altro fatto: che anche a Pietro era apparso. Ma chi poteva credere
che quella dei discepoli di Emmaus e di Pietro non era stata un'allucinazione? La
discussione era proprio su questo, tanto è vero che quando Gesù si manifesta,
quelli presenti pensano, credono, si spaventano perché “è un fantasma”. Le loro
discussioni erano su questo: “Sono tutte fantasie vostre”. Queste fantasie sono
anche le nostre: crediamo noi che Gesù è risorto, che è vivo, che è presente?
Sì, con la testa ma nella vita rimaniamo stupefatti e pensiamo che sia una
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delle tante tradizioni religiose. Cioè: “Noi non siamo - come dice San Paolo –
stabili, saldi nella fede”, e corriamo dietro a tutte le nostre sensazioni, che, quando
stiamo bene, ci fanno dire: boh, forse è vero, ma, quando vanno al contrario: ma..!
Come facciamo ad essere radicati, saldi nella fede, se corriamo dietro più alle
nostre impressioni che alla realtà del Signore risorto? Mentre loro discutevano,
parlavano - qui dice - "apparve in persona”. Dove? È dietro la porta ad origliare dal
buco della chiave, o, avendo sentito attraverso la rete informatica che loro
discutevano, è sceso dal cielo? Nel latino - che poi è l’antifona che abbiamo
cantato stamattina - c'è un'altra espressione: non che apparve, ma "stetit".
Questo "stetit" è un verbo al passato. Mentre loro discutevano Gesù era già
presente e pazientemente sopportava le loro baggianate - come si dice -. E quando
lo crede opportuno, dice: pace a voi, – tonti –, lui che è presente. E' su questo
fondamento della presenza del Signore che noi dobbiamo radicare la nostra fede e
non correre dietro alle nostre impressioni, perché lui sta! Stetit, in mezzo agli
Apostoli; sta, nella sua Chiesa, sta presente e vivo in mezzo a noi, è qui. Chi è che
ci dice: prendete e mangiate questo il mio corpo? E' una pia commemorazione, o è
una realtà? È qui che dobbiamo fare la scelta.
E la scelta può essere fatta nella misura che ci lasciamo aprire la mente
all'intelligenza per capire il contenuto delle Scritture. Gesù aveva già detto diverse
volte nel Vangelo, prima di morire: il Cristo deve partire, morire, risuscitare dai
morti il terzo giorno. Aveva cercato più volte di istruirli, ma loro non capivano e
avevano paura di domandare spiegazioni. Perché? Se fosse stato vero, se avessero
accettato per vero quello che Lui diceva quando era ancora con loro e andava a
Gerusalemme, tutte le loro aspirazioni, di essere chi a destra chi a sinistra,
sarebbero crollate. Da tre anni seguono un Rabbì che parla bene, che fa prodigi, e
che poi dice che va a morire! Che promette: Voi avrete il centuplo su questa terra e
sederete nel regno dei cieli.
Di fronte a queste promesse, come si fa a credere che è morto? Allora è
necessario che la nostra mente sia aperta all'intelligenza, cioè a leggere dentro la
realtà. Per leggere dentro la realtà, noi dobbiamo stare saldi, fermi, e non
svolazzare con la nostra fantasia, le nostre emozioni ecc. Il Cristo non è stato sì o
no: è stato sì. Le sue promesse, le promesse di Dio sono amen. E' così, e stop!
È morto, è risorto e sta in mezzo a noi. Questa, essendo la nostra fede, deve
essere la roccia su cui fondiamo e alla quale riportiamo sempre il nostro modo di
pensare, di sentire. Sfracelliamo contro questa pietra tutti i nostri problemi, perché
questa è l'unica soluzione: il Signore è risorto e sta con noi.
VENERDI FRA L`OTTAVA DI PASQUA
(At 4, 1-12; Sal 117; Gv 21 1-14)
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E
si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo,
Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro
Simon Pietro: “Io vado a pescare”. Gli dissero: “Veniamo anche noi con te”.
Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.
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Quando già era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano
accorti che era Gesù. Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”.
Gli risposero: “No”
. Allora disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”.
La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. Allora
quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “E` il Signore!”. Simon Pietro
appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era
spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca,
trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un
centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce
sopra, e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso or
ora”. Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di
centocinquantatre grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù
disse loro: “Venite a mangiare”. E nessuno dei discepoli osava domandargli:
“Chi sei?”, poiché sapevano bene che era il Signore. Allora Gesù si avvicinò,
prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce.
Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere
risuscitato dai morti.
Una prima osservazione, che può essere anche una battuta ma non lo è, è
questa: che il Signore ha voluto ripagare la cena o il pranzo che gli avevano fatto il
giorno prima, con un pesce: “partem piscis assi et favum mellis”. Qua la traduzione
italiana: “Gli offrirono una porzione di pesce arrostito”. Ma non è vero, perché nel
latino - tanti si meravigliano che ci sia, e lo hanno espurgato – c’è “un favo di
miele”. Perché era un pesce secco, fatto seccare e salato - come si fa in Angola -,
che naturalmente non si poteva mangiare, allora col miele si ammorbidiva e
addolciva. Lui invece, gli fa trovare un pesce fresco, ben arrostito, ben saporito e
del pane. È uno scherzo che fa Gesù, certamente; ma è anche un segno che Gesù
vuol dare, ossia che noi possiamo dare al Signore solamente delle cose che sono
vecchie, stantie che non si possono mangiare, e Lui ci dà sempre cose nuove.
Queste cose nuove - è un'altra l'osservazione che possiamo fare –, “è la terza
volta che si manifestava ai Discepoli dopo essere resuscitato dai morti”. E' strano
che non va nel Tempio, non va in una Sinagoga, non va in Chiesa. Gesù Cristo che
dopo, appena risorto, non va in Chiesa! Scandalo è! Perché lungo la strada, in una
casa dove non c'era granché da mangiare? Questo richiama quello che ci dice San
Benedetto: di ricordarsi che "quando tu sei per strada, sei in cucina o nell'orto o in
un qualunque sia lavoro, guarda che il Signore è lì”. Queste apparizioni per strada,
in casa e sul lavoro, sono per indicarci che il Signore è sempre presente. Perché
con la risurrezione, con la nostra risurrezione, con il battesimo, noi siamo entrati in
Lui e non possiamo vivere se usciamo da Lui.
Una volta entrati in Lui, è chiaro che non c'è un momento, non c'è un'attività,
non c'è un nascondiglio, neanche quando abbiamo la pipa lunga che non vogliamo
vedere nessuno, o ci rifugiamo nella nostra cella, sotto le coperte, non c'è luogo
dove il Signore non sia presente, perchè noi non possiamo uscire da Lui.
Dovremmo avere la possibilità di distruggere il nostro essere, ma nessuno l'ha.
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Abbiamo la possibilità di sfregiarlo, di farlo funzionare male, ma di distruggerlo,
no! Noi possiamo rompere la nostra macchina, ma non abbiamo la fonderia per
ridurla al nulla. Il Signore è presente in ogni luogo, ed è lì soprattutto quando noi
siamo occupati e preoccupati di noi stessi, dei nostri affari, dei nostri lavori;
dobbiamo stare attenti che Lui è presente.
Eugenio, Gesù ti vede anche quando ti tagli le dita; per cui, se stai un tantino
più attento alla sua presenza, vai più piano, sei più tranquillo e ti spacchi meno le
dita. In tutte le cose, chiaramente, il Signore - come Dio, come verbo di Dio - è
sempre stato presente: Tutto in Lui fu fatto e niente di ciò che esiste è fuori di Lui.
E' presente anche come uomo, perché la sua umanità è unita alla divinità, e la
divinità ha unito anche noi mediante l'umanità. Per cui - direbbe Sant'Agostino -
state attenti voi a non disprezzarvi, perché il Figlio dell'uomo vi ha assunti nella
sua divinità. In che modo noi ci disprezziamo? Cercando sempre sotterfugi per
compensare quelle piccole frustrazioni che pensiamo di avere.
La vera frustrazione, la frustrazione più radicale, è quella di non lasciarci
possedere dal Signore Gesù. E' l'unica frustrazione che dobbiamo temere, perché:
Né la vita, né la morte, né l'angoscia, né la tribolazione ci può separare dall'amore
di Dio che è in Cristo Gesù; se non quel nostro stupido io, che pensa di essere
superiore a Dio.
SABATO FRA L`OTTAVA DI PASQUA
(At 4, 13-21; Sal 117; Mc 16, 9-15)
Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a
Maria di Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette demoni. Questa andò ad
annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era
vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere.
Dopo ciò, apparve a due di loro sotto altro aspetto, mentre erano in cammino
verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunziarlo agli altri; ma neanche a
loro vollero credere. Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li
rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto
a quelli che lo avevano visto risuscitato.
Gesù disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni
creatura”.
In questi giorni abbiamo ascoltato di vari episodi nei quali Gesù appare ai
discepoli. Qui elenca la Maddalena, poi appare con tanta delicatezza e premura a
quei due tristi, che se ne vanno e ritornano a casa delusi. Appare ai discepoli riuniti
in casa, e con tanta delicatezza dice: Pace a voi. Appare poi - qua non fa menzione
- a quelli che erano andati a pescare e gli prepara il pesce fresco arrostito. Poi
un'altra volta, mentre si trovavano ancora a mensa - probabilmente è un'altra
apparizione -, li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore: durezza di
cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato. C'è un
cambiamento di umore in Gesù, oppure c'è una realtà con la quale noi dobbiamo
pensare e nella quale vivere?
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Li rimproverò per la loro durezza di cuore, ma poteva anche aggiungere
quello che hanno detto qua i principi dei sacerdoti: senza istruzione e popolani.
Popolani: cioè proprio direi del popolino, quelli che non capiscono niente. Gesù
stesso conferma quello che hanno detto i Sommi Sacerdoti, ma quello che
meraviglia è che dice loro: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad
ogni creatura". Prima dice che sono increduli, che sono stupidi, che non sono
capaci di far niente, e poi li manda a predicare in tutto il mondo! E loro vanno. O
Gesù è uno sprovveduto che manda delle persone che Lui stesso definisce
ignoranti, duri di cuore e increduli, oppure c'è un'altra realtà. Sant'Agostino dice:
Per questo non ha scelto i dottori della legge. Alcuni erano contrari, ma c'era
Nicodemo che era un dottore della legge anche lui, e quindi avrebbe potuto
sceglierlo. Ce n'erano anche altri: ma non ha scelto chi era un avvocato, che sapeva
parlare bene, non ha scelto dei nobili. Questo perché? Chi opera nella predicazione
nella santa Chiesa non sono gli uomini: è il Signore Gesù che è sempre presente.
La povertà dei mezzi, degli Apostoli e nostra, è proprio necessaria, come dice San
Paolo: Noi non siamo venuti a predicarvi con dotte dottrine di sapienza, come
volevano i greci, ma con la stoltezza della croce, perché la vostra fede non sia
basata sulla nostra eloquenza, le nostre belle tesi teologiche, bibliche, ecc, ma sia
fondata sulla fede in Dio, sulla potenza di Dio che opera.
Questo è credere al Vangelo, e credere al Vangelo è credere al Signore Gesù,
che è vivo, presente, operante nella santa Chiesa, nella nostra vita, e nella misura
che noi accettiamo la stoltezza della predicazione. Che cos'è questa stoltezza? È
molto semplice: ritenere che Cristo è morto per i nostri peccati, cioè ce li ha
condonati, ed è risorto per la nostra giustificazione, cioè per ridarci la vita. È
risorto per farci risorgere, e noi siamo già perdonati e risorti con Lui. Nell'attesa -
come dice la preghiera – siamo rinati al battesimo, nel quale abbiamo ricevuto la
veste candida, segno del lavacro totale dei nostri peccati.
Camminiamo per rivestire la veste candida della vita immortale, e questo lo
opera il Signore mediante la stoltezza della Parola, della croce, e la potenza della
risurrezione, che è il Santo Spirito. Dobbiamo studiare di più la teologia, leggere di
più la Bibbia, il Vangelo soprattutto, ma dobbiamo anche accettare che tutto questo
serve a niente se non ci apre alla potenza del Signore, che opera nella santa Chiesa
mediante la potenza di risurrezione, che è il Santo Spirito inviato dal Padre.
II DOMENICA DI PASQUA (A)
(At 2, 42-47; Sal 117; 1 Pt 1, 3-9; Gv 20, 19-31)
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le
porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si
fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il
costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo:
“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto
questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i
peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”.
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Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne
Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli
disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel
posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”.
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche
Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a
voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la
tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”.
Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai
veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”.
Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati
scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo,
il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
“Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie del tuo amore”. Che l'amore di
Dio abbia fatto meraviglie, è fuori discussione; che noi le abbiamo contemplate…,
dobbiamo certamente dire: non sufficientemente. La meraviglia dell'amore di Dio è
la risurrezione del Signore; e la risurrezione del Signore non è un fatto che riguarda
il Signore, perché non poteva morire. I discepoli - come dice qua - erano chiusi in
casa per timore di Giudei, e, possiamo aggiungere, anche per timore di Gesù.
Avevano sentito che era risorto: che cosa brontolava, mormorava o girava nel loro
cuore? Se è risorto e ci incontra, cosa ci farà?
Pensiamo: cosa faremmo noi con uno che abbiamo aiutato tanto, il quale poi
ci ha piantato, ci ha tradito, ci ha rinnegato, ha lasciato che ci uccidessero, se lo
potessimo rincontrare? Che cosa sorgerebbe nel nostro cuore di fronte ad un
mascalzone del genere? Non lo sappiamo, però possiamo bene capire qualche cosa
quando il Signore ci dice di amare i vostri nemici, di perdonare le offese. Per
esperienza sappiamo com'è difficile, e che la nostra reazione è tutt'altro che
conseguente al comando del Signore. Per questo, loro avevano paura di Gesù. In
un altro passo è scritto: credettero che fosse un fantasma. Per la paura che fosse
reale pensavano che fosse un fantasma: perché se era reale quel Gesù che si
presentava in mezzo a loro, era inevitabile che almeno - come minimo forse
potrebbe concedere la nostra bontà - ricevessero qualche rimprovero.
Ma Lui dice: “Pace a voi”. Non è detto che Gesù dovesse apparire, è stata
un'iniziativa sua, un dono suo. Lui dice: "Pace a voi"; non era un diritto degli
Apostoli, è un atteggiamento della bontà del Signore. Che poi mandi loro ad
annunciare che è risorto, non è un merito loro. Lo Spirito Santo che ricevono, è un
dono. Allora possiamo capire che cosa significa: "Dio di eterna misericordia”.
Oggi si dice che è la festa, la Domenica della misericordia. E' vero, ma è anche
qualche cosa di più: è la festa, è la Domenica dell'umiltà di Dio, il quale ci trova, ci
ha trovati immondi, sozzi per i nostri peccati, e con la sua morte ci ha purificati,
mediante il Battesimo. Ci ha trovati morti: voi eravate morti per i vostri peccati.
Poteva dire: Beh, l'avete voluto, tenetevelo!
Egli ci ha rigenerati, ci ha ridato vita in Cristo e ci ha redenti. Eravamo
schiavi del demonio e di tutte le sue tentazioni e ci ha liberati, ci ha fatti suoi.
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Poteva dire: Beh, avete fatto quella scelta, godetevela! Nella sua umiltà ci ha
ripresi e uniti a sé. Questa è la grazia pasquale, e non finisce lì, perché è quella che
ci nutre con il sacramento pasquale che è l'Eucarestia. Gesù continua ad operare
nella nostra vita, non per i nostri meriti ma per la sua umiltà. A noi, che facciamo
tante cose contro di noi stessi perché sembra che ci piacciano, il Signore, nella sua
umiltà - che è qualche cosa di più della misericordia, perché la misericordia ha
pietà dei miseri, e avere pietà di un miserabile è abbastanza facile - si è preso
carico, si è assunto, ha preso Lui la miseria del misero, questo per donarci la sua
vita. Queste meraviglie le contempliamo noi?
Contemplare non vuol dire guardare chissà dove: contemplare significa
renderci conto che noi siamo stati purificati, rigenerati, liberati dalla schiavitù del
maligno con tutte le sue conseguenze, dalla schiavitù che ci impone - che vorrebbe
imporci e che noi ci lasciamo imporre - tutta la nostra società, con la pubblicità,
con tutte quelle menzogne, bugie fatte con cattiveria. Basta vedere gli inganni che
prendiamo quando aderiamo ad un invito - specialmente su internet -: compra
questo che risparmi tanto. È sempre lì, tutti hanno i soldi da buttarvi dietro. Prova,
compera, aderisci a quello che ti propone la Tim, la Telecom, ecc.!
Poi vedrai che cosa devi pagare! Noi a questi furfanti crediamo, al Signore
Gesù, alla sua umiltà e alla sua misericordia, che ci fa partecipi della sua vita, no,
facciamo fatica. Un po' è anche giustificabile, perché San Pietro ci ha detto che
dobbiamo subire delle prove per purificare la vostra fede, come si fa con l'oro. Le
prove che il Signore ci dà, che dispone che avvengono, sono frutto
dell'inestimabile ricchezza del Battesimo, che continua a purificarci; sono un dono
dello Spirito, che vuole che viviamo la vita nuova; sono il dono del frutto del
sangue versato sulla croce per noi del Signore Gesù per liberarci da ogni schiavitù.
Noi siamo nel mondo, e siamo sempre, non dico tentati, ma bombardati da
stimoli che ci portano in tutt'altra direzione. E' la forza del sacramento che ci dà la
possibilità di reagire in modo diverso a questi stimoli di coloro che li creano, che lo
vorrebbero. Sta a noi aderire al Signore Gesù, che, risorto, non è che è andato in
cielo, vive in noi e ci fa partecipi della sua risurrezione, della sua vittoria. Queste
sono le meraviglie che dobbiamo contemplare: la misericordia di Dio certamente,
ma anche l'umiltà del Signore Gesù, che si è fatto uomo, obbediente fino alla
morte, che è stato - come dire - triturato come il grano, e mediante il Santo Spirito
è diventato pane per noi, perché noi possiamo partecipare alla sua vita.
Queste cose le dobbiamo contemplare, gustare, in ogni momento della nostra
vita, della nostra giornata, e allora la misericordia di Dio e l'umiltà di Dio
diventano la gioia - come dice il Salmo - della nostra salvezza.
Lunedì della II settimana di Pasqua
(At 4, 23-31; Sal 2; Gv 3, 1-8)
C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, un capo dei Giudei. Egli andò
da Gesù, di notte, e gli disse: “Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio;
nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui”.
Gli rispose Gesù: “In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non
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può vedere il regno di Dio”. Gli disse Nicodemo: “Come può un uomo nascere
quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e
rinascere?”.
Gli rispose Gesù: “In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da
Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e
quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete
rinascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove
viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito”.
I racconti delle apparizioni del Signore risorto sono terminati, anche se
Giovanni ieri affermava alla fine del suo Vangelo che molti atri fatti sono avvenuti
e non sono stati scritti. Certamente dall’apparizione a Tommaso, che è l’ultima
ascoltata, fino all’Ascensione, il Signore sarà apparso ancora, perché Luca dice che
per quaranta giorni li istruì. Soltanto questi fatti scarni sono stati scritti, pochi ma
più che sufficienti per entrare nella beatitudine di coloro che credono senza vedere;
ci sarà spiegato dai passi evangelici successivi in cosa consiste questa beatitudine.
Non basta sapere come Nicodemo che “sei un maestro venuto da Dio, nessuno può
fare i segni che fai tu” perchè Gesù a questa confessione risponde che non serve a
nulla tale conoscenza se uno non rinasce dallo Spirito.
Il Signore infatti ha compiuto il disegno del Padre, ha dato se stesso, è morto
e è risorto per noi, ora è nostro compito lasciare compiere il disegno del Padre in
noi, che siamo già rinati dall’acqua e dallo Spirito; non dovrebbe esserci difficile, o
perlomeno non dovremmo essere così nell’inghippo come Nicodemo: “come si fa
a entrare una seconda volta nel grembo della madre”e aggiunge che è ormai
vecchio e neanche un bambino potrebbe fare una cosa simile. Ecco la vera
beatitudine: essere rinati dall’acqua e dallo Spirito, dono meraviglioso di Dio per
camminare nello Spirito di risurrezione, cioè per lasciarci ogni giorno risorgere,
come dice la preghiera, per lasciar crescere questo spirito di figli adottivi. Come si
fa?
Basta prendere in mano il capitolo ottavo della lettera ai romani e c’è tutta
una descrizione: “se voi vivete secondo lo Spirito, vivrete”. Cioè questa
risurrezione del Signore è un fatto storico, avvenuto, ma il Signore è anche il capo
del corpo, la Chiesa, che in parte è già con il Signore anche se non ancora del tutto
risorta, - i corpi dei santi non sono ancora risorti - e in parte siamo noi in via di
realizzare la risurrezione. Allora la testimonianza della risurrezione oltre ai fatti
concreti e testimonianze che la fondano, oltre ai fatti, richiede la nostra adesione
alla testimonianza del Santo Spirito che anche per noi, viene a porte chiuse; come
del vento che non sai da dove viene e dove va ma ne senti la presenza, così noi
quando seguiamo il Santo Spirito ne sentiamo la presenza.
Nel caso non sentissimo la sua presenza, possiamo esaminare un tantino noi
stessi e constatare i frutti che produce il Santo Spirito in noi. Se nell’orto vedo
delle piante che io penso siano di cachi, ma verificandone il frutto vedo che sono
pesche, devo dire che mi sono ingannato; posso anche dire che le l’albero mi
sembra di cachi, ma il frutto mi smentisce e mi mostra la qualità della pianta dal
frutto che porta. E allora la beatitudine promessa a noi mediante nel Vangelo
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consiste nell’imparare, edotti dal fatto di Tommaso, e nel crescere nella docilità al
Santo Spirito che realizza in noi ciò che manca al corpo del Signore, la nostra
risurrezione ed i frutti che essa produce.
Gesù, come capo, direbbe Sant’Agostino, è risorto ma noi come membra
dobbiamo lasciarci trasformare in risorti, non rientrando nel grembo della madre,
ma nella misura entriamo nella dinamica costante di ogni giorno, di ogni istante, di
questa risurrezione sempre attuale, effetto dell’azione del Santo Spirito. Egli ha
completato la Risurrezione e la glorificazione del nostro capo, il Signore Gesù, e la
va realizzando in noi sue membra, fino alla piena redenzione del nostro corpo, del
nostro essere completo.
Per concludere, la beatitudine è proprio questo aderire allo Spirito che ha
risuscitato Gesù dai morti, lasciando allo Spirito Santo la libertà di continuare in
noi la risurrezione del corpo del Signore, che siamo ciascuno di noi.
Martedì della II settimana di Pasqua
(At 4, 32-37; Sal 92; Gv 3, 7-15)
“In verità vi dico: dovete rinascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne
senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo
Spirito”.
Replicò Nicodemo: “Come può accadere questo?”.
Gli rispose Gesù: “Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? In verità,
in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che
abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di
cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?
Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal
cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato
il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”.
In questi giorni scorsi la Chiesa ci ha rammentato i fatti delle apparizioni del
Signore risorto, con diverse e poco numerose testimonianze, più che sufficienti
comunque. La Chiesa ci vuole indurre a considerare quanto il Signore, lo Spirito
Santo, ci suggerisce con le parole di San Paolo e delle Sacre Scritture: se Gesù, il
Signore è morto e risorto per noi, noi dobbiamo camminare in una vita nuova,
nello Spirito Santo. Non ci serve per niente sapere storicamente, nei minimi
particolari, come, dove, quando, a che ora Gesù è risorto, ma ciò che vale è vivere
in una dimensione diversa, proprio perché Lui è risorto; dobbiamo quindi risorgere
anche noi, se vogliamo capire qualche cosa della potenza della risurrezione, come
suggerisce l’orazione.
Posso credere che esistono gli americani, posso ricevere qualche lettera con
su il timbro del Canada', del Venezuela, o degli Stati Uniti, però in realtà non so
dove essi si trovano e come sono; allora per rendermi conto della realtà dovrei
vivere in quei posti. Così è per il Signore risorto, "regna in mezzo a noi" Dov'è?
Per trovarlo è necessario seguire un cammino di risurrezione, che lo Spirito santo
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stesso opera in noi, ha operato e attua continuamente. Ad un cieco posso dire che ci
sono le pesche in fiore, che c'è l'erba che comincia a diventare verde, che ci sono i
fiorellini che spuntano, che ci sono le api che ronzano, tutte le belle cose delle
quali rimaniamo meravigliati; lui ci risponde con un: “boh! tu lo dici, ma io non li
vedo”. Potrebbe forse accorgersi dell’ape che gli ronza attorno, se lo punge, ma
non riesce a vederla. Perché veda è necessario che tolga la cecità, che ricuperi la
vista.
Nello stesso modo è inutile che noi discutiamo all'infinito sulla risurrezione
del Signore, mentre il problema sta nel lasciarci risorgere; siamo noi che dobbiamo
- a Nicodemo lo dice chiaramente – “nascere di nuovo, rinascere dall'alto”.
Rinascere dall'alto significa – e Nicodemo non capisce e si sente dire "tu sei
maestro in Israele e non capisci?... tutti i Profeti te lo dicono" – è rinascere dallo
Spirito. “Toglierò il cuore di pietra, metterò in voi lo Spirito nuovo, farò
un'alleanza, che scriverò sui vostri cuori.” Avvenuto questo, non si ha più bisogno
di correre dietro a tutte le quisquiglie pseudo-storiche o pseudo-miracolose; lo
conosciamo per esperienza certa - è lo Spirito infatti che testimonia al nostro
spirito - che siamo rinati e allora ci lasciamo nutrire, crescere ogni giorno in questa
dimensione. E’ inutile star lì a discutere con il cieco che nega che ci siano i fiori,
perché, poverino, non ha la possibilità di vederli con i suoi occhi malati.
“Il Signore regna in mezzo a noi”, per vederlo e sperimentarlo basta lasciarci
trasformare da questa potenza di risurrezione. Ciò di per sé è già avvenuto nel
nostro Battesimo, ma noi lo dimentichiamo là nella Chiesa parrocchiale; per noi
magari è solo nel certificato dei registri di battesimo. Siamo già rinati e dobbiamo
ogni giorno crescere in questa nuova nascita, mediante la docilità allo Spirito che
testimonia al nostro spirito. "Se Io vi dico le cose della terra, come “guardate gli
uccelli del cielo, guardate i gigli del campo”, e voi non capite, come potete dunque
credere se vi parlo delle cose del cielo?” “Nessuno mai è salito al cielo, se non il
Figlio dell'uomo, che ne è disceso”. Solo lo Spirito Santo può metterci in
comunione con la vita del cielo, senza di Lui siamo nella più grande difficoltà ed
incapacità di vivere la vita del Figlio dell’uomo.
Dovrebbe essere nostro impegno e scelta quotidiana uscire da quello che
vediamo, sentiamo, pensiamo, giudichiamo noi; per guardare a Lui, per essere
illuminati da Lui. Tutta la vita umana, non è altro che un cammino di crescita.
Poco fa Monica mi ha fatto vedere il suo frugoletto appena nato; quando ha aperto
la portiera dalla macchina, non riuscivo a vederlo in mezzo a carrozzina, sciarpe,
plet… e le ho chiesto: dov'è? tanto era piccolo. Eppure quel frugoletto tra
vent'anni, trenta sarà un uomo maturo, capace di fare qualcosa; ma a quale
condizione? che lui si lasci crescere. Noi tutti abbiamo fatto questo percorso, più o
meno zoppicando, ma quando si tratta di obbedire al Signore Gesù vogliamo
camminare come Lui, in una vita simile alla sua?
Dobbiamo metterci in testa: che ogni giorno noi dobbiamo rinascere
dall'acqua e dallo Spirito; siamo sì nati, ma dobbiamo rinascere, cioè lasciarci
nutrire, guidare nella docilità al santo Spirito, se vogliamo capire qualche cosa
della risurrezione, nella quale il Signore ci ha preceduto, è andato avanti perché noi
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lo seguiamo. Se noi ci arrestiamo, imbocchiamo magari altre strade, Gesù si
chiederà: dov’è andato questo mio discepolo?
Se noi facciamo il nostro cammino ogni giorno, sappiamo dove và, perché
"chi segue me, non cammina nelle tenebre". Dovremmo stare molto attenti a non
interrompere questa luce del santo Spirito, che il Signore ha fatto risplendere nei
nostri cuori, e a cercare di vivere, crescere, anche quando dobbiamo - siamo
costretti a volte - ad uscire dai nostri schemi; anzi sarebbe per noi la più grande
disgrazia se il Signore fosse recepibile dai nostri schemi, dalle nostre sensazioni.
Questo personaggio non sarebbe, e non è certamente il Signore: il Signore è più
grande del nostro cuore. Per conoscere qualche cosa di Lui, dobbiamo
continuamente guardare a Lui, seguire Lui, mediante la docilità, l'obbedienza al
Santo Spirito.
Mercoledì della II settimana di Pasqua
(At 5, 17-26; Sal 33; Gv 3, 16-21)
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché
chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il
Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di
lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è gia stato condannato,
perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno
preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque
infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce, perché non siano svelate le sue
opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le
sue opere sono state fatte in Dio”.
Gesù, a Nicodemo che era andato di notte a chiedergli informazioni,
delucidazioni, su quello che insegnava, ha risposto: Nessuno può entrare nel regno
di Dio, se non rinasce da acqua e da Spirito. Noi tutti siamo rinati dall'acqua e dallo
Spirito, per cui siamo già entrati nel regno di Dio, anche se dobbiamo ancora
crescere e lottare. Questo implica, come ci dice il Signore, che: Chi crede in Lui,
non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato perché non ha creduto
nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.
Se io dico a qualcuno che c'é una realtà di là dall'Italia, sia a nord, sia a sud,
sia ad ovest, sia ad est, che può non avere visto, due sono le possibilità: o accetta
che esista l'America, il Giappone, la Norvegia, l'Africa, anche se non vi è mai
stato, o non lo accetta. Se non lo accetta, accresce la sua ignoranza; se lo accetta, sa
che esiste qualche cosa che lui non ha potuto o non può vedere. Questo significa
che la fede è basata sulla persona che ci comunica una realtà che noi conosciamo.
La fede non è una teologia: la teologia dà una spiegazione, un tentativo di
comprensione di che cosa noi crediamo. La fede ha, come base, una realtà che ci
comunica un'altra persona, per cui è una partecipazione alla conoscenza di un'altra
persona. In questo caso è la partecipazione alla luce del Figlio di Dio, il quale
asserisce che esiste una realtà che noi non conosciamo, ma che possiamo crescere
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nella conoscenza, nella misura che crediamo. Il primo passo della fede - ci insegna
Sant'Agostino - è sottomettere la nostra mente a Dio, e poi osservare i suoi
comandamenti. Nella misura che li osserva, la nebbia dell'intelligenza umana
piano-piano si chiarisce sempre più e viene alla luce.
Il problema della fede non è un problema di intelligenza: è un problema di
cuore, è un problema, conseguentemente, di vita. È inutile che io predichi al ladro
di essere onesto; prima di predicargli la necessità, la bontà dell'essere onesto, lui
deve smettere di rubare. Se non smette di rubare, non capirà mai le parole che io
gli posso dire, che è bene, è bello, essere onesti, perché sei tranquillo con gli altri,
non sei sempre angosciato, pauroso dei carabinieri, della polizia ecc. Prima
bisogna che smetta di rubare e allora potrà capire. È quello che ci dice chiaramente
il Signore: chi fa il male odia la luce, non viene alla luce perché non vuole che
altrimenti venga manifestata la sua malvagità. Non chi conosce, opera la verità.
Il Signore aveva detto a Nicodemo: se io vi dico le cose della terra e voi non
le accettate - vi dico di non fare agli altri, quello che non vuoi che gli altri facciano
a te -, come potete credere che il Padre ha tanto amato il mondo da dare il suo
Figlio? Allora la fede non è questione di un'adesione oscura o ipotetica: è
l'adesione ad una persona, che non è possibile se non cambiamo il nostro modo di
vivere, se non cambiamo il nostro cuore tortuoso in sincerità, se non siamo
consapevoli costantemente che anche la più piccola cosa fatta nel segreto sarà
rivelata sui tetti. La paura della luce è la paura di essere smascherati dalla nostra
condotta, che non piace neanche a noi, oltre ad impedirci di vedere la luce
dell'amore di Dio.
Giovedì della II settimana di Pasqua
(At 5, 27-33; Sal 33; Gv 3, 31-36)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo:
“Colui che viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra,
appartiene alla terra e parla della terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti.
Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza;
chi però ne accetta la testimonianza, certifica che Dio è veritiero.
Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito
senza misura. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel
Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di
Dio incombe su di lui”.
Il Signore parla ancora del nostro Nicodemo, quello che siamo ciascuno di
noi. Nicodemo viene della terra. Noi che veniamo della terra come possiamo
entrare nel regno di Dio? Sentiamo tante parole del Vangelo, ma viviamo sempre
dal vecchio, decrepito, Nicodemo: dottore della legge ma stolto nelle cose di Dio
perché viene dalla terra. Colui che viene dall'alto, il Signore Gesù, è al di sopra di
tutti. Chi accetta la sua testimonianza, certifica che Dio è veritiero, ha un
certificato per dimostrare che Dio è veritiero. Cosa significa questo? Che cos'è
questo certificato che autentifica la verità che Gesù dice di Dio? Sono le Parole di
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Dio, che Gesù proferisce e che lo Spirito dà senza misura.
Ma anche questo è una cosa ancora astratta. Il certificato che Dio è veritiero
siamo noi, nella misura che noi accettiamo in ogni mo mento della nostra vita, in
ogni istante la fecondità della Pasqua. Che cos'è la fecondità della Pasqua? La
morte e la risurrezione: la morte alla nostra carne, al nostro modo di sentire e la
risurrezione per vedere le cose nello Spirito, nella gioia dello Spirito Santo. Ma
questo che non è una cosa astratta, che noi possiamo trarre dai libri, si attua nei
"tuoi misteri". Noi certifichiamo che Dio è veritiero, nel nostro cuore, nella nostra
vita, nella misura che i suoi misteri si attuano in noi, cioè se noi diamo la
disponibilità che si attuino.
Quando io vado a mangiare e mi nutro, certifico che il cibo è nutriente,
sostanzioso, perché mi dà la possibilità di sviluppare tante energie durante la
giornata. Ma io non so come il cibo faccia questo. Sì possono esaminare tutti i
processi fisiologici della digestione, dell'assimilazione, posso leggere anche dei
libri di fisiologia della nutrizione, ma in sostanza non è quello che leggo che conta,
bensì il cibo che mi nutre, che mi dà energia.
E' così anche per la Pasqua, che si attua nei "tuoi" misteri, si attua in questo
momento in cui mangiamo il corpo e beviamo il sangue di Cristo. E nella misura
che noi manteniamo lo stomaco del cuore e il palato del cuore aperti al gusto e
funzionanti, cioè che producono i frutti dello Spirito e danno la morte ai flutti della
carne, noi testimoniamo, certifichiamo che Dio è vero: non a parole ma nel
profondo del nostro cuore; che poi si manifesta - se c'è - nella vita. Cedere al
Signore Gesù è importante, accogliere la sua Parola è fondamentale, ma bisogna
che la sua Parola trovi compimento in noi mediante l'azione del Santo Spirito.
L'azione del Santo Spirito è così nebulosa che nessuno la può acchiappare.
Solamente i piccoli entreranno nel regno dei cieli: i piccoli che si lasciano nutrire
da questi santi misteri che contengono la forza, l'efficacia del mistero Pasquale.
Che ci ridona la vita del Signore risorto nella misura che noi accettiamo la croce, la
morte del nostro io, delle nostre di reazioni. La vita cristiana non è una religione: è
la vita del Signore risorto in noi, che viene nutrita dei santi misteri che noi non
possiamo pretendere di comprendere, come non comprendiamo, non stiamo lì ad
analizzare chimicamente le proteine, gli aminoacidi, i grassi che ci sono nella
pastasciutta. Quando si ha fame si mangia e stop, dopo si ha la forza. Sono i piccoli
che si lasciano nutrire dei santi misteri, che ricevono quest'azione della potenza che
opera nei sacramenti, che certifica che Dio è veritiero.
È un certificato: non possiamo dire “eccolo qua” perché sarebbe un falso; è
un certificato che è il nostro essere figli di Dio.
Venerdì della II settimana di Pasqua
(At 5, 34-42; Sal 26; Gv 6, 1-15)
In quel tempo, Gesù andò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade,
e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi.
Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina
la Pasqua, la festa dei Giudei. Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande
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folla veniva da lui e disse a Filippo: “Dove possiamo comprare il pane perché
costoro abbiano da mangiare?”. Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti
sapeva bene quello che stava per fare. Gli rispose Filippo: “Duecento denari di
pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”.
Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: “C’è qui
un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta
gente?”. Rispose Gesù: “Fateli sedere”. C’era molta erba in quel luogo. Si
sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si
erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. E quando furono saziati,
disse ai discepoli: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”. Li
raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo,
avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire:
“Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!”. Ma Gesù, sapendo che
stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto
solo.
Finito il discorso con Nicodemo della rinascita, ovviamente se uno rinasce
dall'alto, dallo Spirito, non gli basta essere rinato, bisogna che cresca. Per crescere
bisogna nutrirsi, e per nutrirsi l'uomo non ha la possibilità di nutrire questa creatura
nuova che siamo noi, rigenerati dall'acqua e dallo Spirito. Gli Apostoli non
avevano la possibilità di sfamare la gente: c'era molta erba, ma non potevano
sfamarsi con l’erba. C'era un fanciullo che aveva cinque pani d'orzo e due pesci,
ma che serve? Tutti questi particolari, che sono reali, ci indicano che noi, con tutte
le nostre capacità, non possiamo nutrire ciò che siamo: questa creatura nuova.
Allora il Signore, con questa moltiplicazione dei pani, comincia un discorso:
del cibo che Lui vuole e che ci dà, il cibo che è il suo corpo e il suo sangue, come
andando avanti ci spiegherà. Noi abbiamo bisogno - per fare l'Eucarestia - di un po'
di pane e di un poco di vino, se no il sacramento non c'è. C'è questo ragazzo che ha
cinque pani d'orzo e due pesci, che forse si era portato dietro perché prevedeva che
gli sarebbe venuta fame, come un giovane che si fa sempre il panino, anche fuori
pasto. Il Signore glieli chiede e non dice niente. Il giovane avrebbe potuto dire: si,
voi siete senza mangiare, peggio per voi! Me li tengo io i miei pani e i miei pesci: è
un po' che non mangio, e poi devo tornare giù, perciò ho bisogno di mangiare.
Se poi qualcuno lì vicino avesse scoperto che aveva il pane e il pesce, avendo
fame, glielo avrebbe forse rubato, e se non voleva mollarlo l'avrebbe magari anche
pestato. Forse per questo quel giovane non s'era ancora osato tirarlo fuori. Così noi:
tutte le nostre capacità che ci teniamo dentro, che custodiamo, le nostre emozioni,
le nostre sensazioni, le nostre ragioni, le nostre belle intenzioni, le teniamo, e
finiamo o che ce le rubano o che marciscono o che le utilizziamo per ferire gli altri.
Avete visto voi, discepoli furbi? Non avete da mangiare, io sì! Voi, cretini, che
pensate… In pratica queste cose noi le facciamo. Dobbiamo dare invece al Signore
tutto quello che abbiamo, non perché Lui ci voglia privare, ma perché vuole
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colmarci dei suoi doni. Dobbiamo svuotarci per essere riempiti.
Nella misura che intraprendiamo questo cammino, faticoso e doloroso di
cedere noi stessi al Signore, ritroviamo noi stessi trasformati nel Signore.
Sabato della II settimana di Pasqua
(At 6, 1-7; Sal 32; Gv 6, 16-21)
Venuta intanto la sera, i suoi discepoli scesero al mare e, saliti in una barca,
si avviarono verso l’altra riva in direzione di Cafarnao. Era ormai buio, e Gesù
non era ancora venuto da loro. Il mare era agitato, perché soffiava un forte vento.
Dopo aver remato circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul
mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: “Sono io,
non temete”. Allora vollero prenderlo sulla barca e rapidamente la barca toccò la
riva alla quale erano diretti.
Noi siamo convinti di essere cristiani, ne siamo convinti, ne siamo certi.
Crediamo di essere battezzati, e crediamo anche che il Battesimo, oltre che a
purificarci di tutti i peccati, ci rigenera in figli di Dio. Pacifico no? Tutti noi lo
crediamo, ma in pratica le cose cambiano, a cominciare da Nicodemo: noi non
sappiamo come rinascere. La gente affamata - dicevamo ieri -, i Discepoli non
sapevano come sformarla. Questa sera, questi che erano provetti i pescatori, dopo
aver remato tre o quattro miglia - e non erano lontani da Cafarnao - non facevano
neanche un passo, non andavano avanti, perché il vento era contrario.
Quando videro Gesù avvicinarsi alla barca, ebbero paura. Noi crediamo e
pensiamo di agire da cristiani, pensiamo che le nostre capacità sono quelle che ci
fanno meritare la protezione, l'aiuto, il paradiso; siamo disposti anche a fare delle
cose che ci possono costare. Ma la cosa che ci richiede il Signore - che è la più
ostica per noi - è di accettare la nostra incapacità. Siamo come Nicodemo, come i
Discepoli che non sanno come sfamare la gente, come questi sulla barca - provetti
pescatori - che non riescono ad andare avanti fin tanto che non arriva Gesù.
E perché? Perché noi, figli di adozione, abbiamo bisogno di essere liberati
dalla nostra presunzione e di accettare il dono del Salvatore, che è la nostra vita,
dello Spirito Santo, che è la nostra potenza. Per ottenere questo, dobbiamo
sperimentare la paura delle nostre incapacità. La gente - normalmente tutta - ha
paura della noia, della depressione. Andiamo a consultare un medico e non c'è
rimedio, andiamo da un altro, non c'è rimedio; pensiamo anche magari: allora devo
avere bisogno di un esorcista, non c’è rimedio.
Abbiamo paura di non essere in grado di fare quello che noi pensiamo, non
soltanto a livello umano, ma a livello cristiano. Dunque, io non sono più in grado
di pregare, dunque il Signore non mi ama più! È lì che sta la nostra salvezza:
“Nella calma e nell'abbandono confidente, sta la vostra salvezza”. Dobbiamo
imparare a non far niente, se siamo capaci: a non fare niente materialmente. Ce ne
sono tanti di lazzaroni nel mondo, e ne abbiamo tanta anche in noi di 'lazzaronite',
ma, non fare niente per accettare l'azione del Santo Spirito in noi, quello è molto
difficile.
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Provate a stare mezz'ora, un’ora in preghiera! Sì, ci possiamo stare, ma che
cosa facciamo? Non facciamo altro che buttar fuori le nostre paure, i nostri desideri
- "Signore qua, Signore là…" -; come se il Signore fosse una gettoniera, noi
diciamo parole e Lui ci scarica quello che noi desideriamo. È tutto il contrario! Il
Signore ha bisogno di creare in noi il vuoto, perché noi incominciamo almeno ad
intuire il dono del Salvatore che è in noi: lo Spirito Santo, che ci trasforma. Questa
è la vera libertà, che ci conduce all'eredità eterna. È libertà perché: “Solo dove c'è
lo Spirito, c'è la libertà”. Noi oggi sentiamo parlare di libertà, di parità dei diritti,
ma è tutta una schiavitù. Io vado a Mondovì: sono libero e vado alla fiera di
primavera. Se voi venite a casa senza avere speso almeno 50 euro, e portato via
delle cianfrusaglie che non servono, di cui non avete bisogno, io scommetto quello
che volete: voi siete liberi di comperare quello che volete - questo vi sembra -, ma
comperate quello che vi mettono sotto il naso.
Sembra libertà, ma è la schiavitù che è dentro di noi, quella che ci fa aderire
alla schiavitù del potere - se volete - dei più furbi di noi. Allora dobbiamo imparare
ad avere paura della nostra noia, della nostra incapacità, della nostra impotenza -
ma non solo questo -, per poter ricevere l'amore, l'amicizia, del Salvatore e l'azione
dolce e potente del Santo Spirito. Questo significa essere cristiani. Dopo se il
Signore vuole che facciamo qualche servizio - e lo vuole -, potremo farlo con
libertà, senza pretendere risultati, e senza gloriarci se li otteniamo. Perché chi opera
- ne siamo più o meno consapevoli - non siamo noi. San Benedetto ci raccomanda:
il bene che tu vedi in te, che compi, lo devi attribuire solamente a Dio; è il male
che tu fai che è roba tua.
Il male molte volte – per non dire sempre - è all'origine della nostra
presunzione di poterci salvare da noi stessi; che poi: essere salvi è tutta una
tautologia che serve a niente. Essere salvi, significa lasciarci vivificare dalla vita
del Signore risorto e dalla potenza del suo Santo Spirito. Lì, anche se non siamo
capaci di non fare nulla materialmente, facciamo una grandissima cosa, l'unica che
ci è richiesta: quello di crescere come figli di Dio.