Progetti Frontiere Esperienze 10 Il Sole 24 Ore Nòva24 n. 540 17 luglio 2016 L’Italia del biomed investe nelle startup ma non fa sistema Delle 321 censite, la maggior parte opera nella diagnosi in vitro. Molte le soluzioni che potrebbero fare risparmiare il Ssn di Francesca Cerati a Trovare finanziamenti per un’idea in- novativa serve, ma se sei una startup bio- medicale non basta. Occorre avere tempo, per la certificazione Ce, la validazione cli- nica, l’approvazione da parte degli enti re- golatori. I tempi di sviluppo di un medical device sono per forza di cose più lunghi ri- spetto ai prodotti del settore Ict, perchè parliamo di tecnologie sanitarie, e l’aspet- to regolatorio fa la differenza nell’allunga- re i tempi. Insomma, rispetto ai 6 mesi per il lancio di una nuova app, qui dobbiamo mettere in conto almeno 5 anni. La nota positiva però è che il biomedi- cale è un settore che ha fame di innova- zione perchè ha un beneficio diretto sui pazienti, fa risparmiare il Servizio sanita- rio nazionale e ha maggiori potenzialità di sfondare in uno dei mercati più strate- gici, quello della salute. E chi è del settore ha ben presente la storia di Andrea Ventu- relli, che nel 2010 ha venduto la sua Inva- tec per 500 milioni di dollari alla multina- zionale Medtronic. Ma è partecipando alla seconda edizione di Startup Biomed Forum, che si è da poco svolta nella sede di I3P, incubatore del Poli- tecnico di Torino, che si tasta con mano l’atmosfera che avvolge questo settore. Una grande energia, ma soprattutto la de- terminazione di trasformare un’idea nata dal proprio background scientifico in un prodotto imprenditoriale. Come ci raccon- ta Massimo Bocchi, 39 anni di Bologna, in- gegnere elettronico con un dottorato in microelettronica e un’esperienza di 6 mesi in Silicon Valley «che è stata estremamente utile, lì ho capito il potere e il valore di fare networking». Poco più di due anni fa Mas- simo e il suo socio hanno fondato Cellplay, una piattaforma per ospedali per persona- lizzare la cura del cancro. Il test funzionale determina istantaneamente l’efficacia di un farmaco nel contrastare le cellule can- cerogene in un determinato paziente. E poi ci sono anche Alessandro Sappia ed Enrico Manzini, due giovani ingegneri informati- ci che con la loro Biotechware hanno creato un elettrocardiografo portatile e in part- nership con Telemedico offrono il servizio alle farmacie, alle case di cura, alle Asl. Un buon esempio di collaborazione. In effetti, il punto debole di questo setto- re è la resistenza a fare sistema, anche se si registra un aumento dei contratti di rete (due anni fa erano 5 oggi sono 37), questo processo è più lento rispetto al numero di startup. «Sono numeri ancora troppo bassi se si tiene conto che è un settore in cui ope- rano migliaia di Pmi e oltre 300 startup. Queste forme strutturate di collaborazio- ne tra imprse permettono infatti di accele- rare la crescita - spiega Paolo Gazzaniga, direttore del Centro studi di Assobiomedi- ca -. Dal nostro osservatorio emerge anche che c’è un’inversione di tendenza rispetto al numero di spin off accademici, che nei primi anni rappresentavano la percentua- le più alta, mentre ora sono diminuiti, an- che se rappresentano ancora il 46 per cento del totale. La ragione sta nella debolezza del sistema di trasferimento tecnologico. In Italia non possiamo adottare il sistema americano, quello che utilizza il Mit per in- tenderci, perchè non abbiamo lo stesso ti- po di risorse. Sarebbe più efficace il model- lo svizzero Unitrecta, attraverso il quale le Università di Zurigo, Berna e Basilea han- no creato un ufficio di trasferimento tec- nologico esterno che lavora a beneficio di tutti e tre. Non è utopistico pensare che an- che in Italia si possa creare un centro per il trasferimento tecnologico focalizzato sul- le life science, che avrebbe nel proprio data base tutte le informazioni su quali sono le industrie nel mondo potenzialmente utili a sviluppare o commercializzare una certa innovazione e fungere da hub per le diver- se facoltà: da medicina a ingegneria ad agraria». E restando nell’ambito dell’ap- proccio collaborativo, Gazzaniga aggiun- ge un altro importante tassello che riguar- da la nostra competenza clinica e la possi- bilità di metterla in rete. «Se ci fosse una re- te nazionale che cooptasse tutte le migliori strutture italiane con le migliori compe- tenze, sarebbe la piattaforma di elezione per sperimentare e sviluppare una nuova tecnologia. Una piattaforma strutturata e competente ha maggiore credibilità e po- trebbe essere non sola una sponda per le nostre startup, ma anche per la multina- zionale che ha la necessità di validare la propria tecnologia. Anche questo è un mo- do per aprire le porte all’innovazione». La massa critica per fare sistema in Italia esiste come evidenzia l’istantanea del set- tore fornita da Assobiomedica, che regi- stra rispetto all’anno scorso un aumento nel numero delle startup che operano solo nei dispositivi medici: da 250 a 321. «Il settore - spiega Vera Codazzi, re- sponsabile Area Innovazione di Assobio- medica - è caratterizzato da un’elevata complessità ed eterogeneità a livello di prodotti e tecnologie; una forte concentra- zione territoriale geografica ed è trainato in modo preponderante dall'innovazione. Sono 4368 le imprese censite attive nel set- tore dei dispositivi medici, che danno lavo- ro a oltre 70mila dipendenti. Prevale la componente manifatturiera, oltre il 50% del totale è produzione diretta». Da un punto di vista geografico, in Italia il 70% per numero di imprese si concen- trata in cinque regioni, che producono ol- tre l’80% del fatturato italiano: Lombar- dia, Emilia Romagna, Veneto, Lazio e To- scana. Il Piemonte è al settimo posto per numero di imprese, al sesto per fatturato. Le multinazionali sono una piccola per- centuale sul totale ma di fatto producono quasi il 60% del fatturato globale e sono le imprese di dimensioni maggiori. Per le startup il comportamento è analogo a quello delle imprese, ovvero concentrate in alcune regioni, le principali sono: To- scana, Emilia Romagna, Lombardia, in queste si concentra il 60% delle startup e il 64% di quelle innovative sul totale. La maggior parte opera nella diagnostica in vitro, seguita dai servizi software. Il settore della medicina sta andando incontro a dei significativi cambiamenti: da un lato l’allungamento della vita, l’au- mento delle malattie croniche, le cure a domicilio, dall’altro la spesa medica, che in tutto il mondo sta aumentando in ma- niera importante, spingono a cercare nuove soluzioni tecnologiche che faccia- no anche risparmiare. Il medtech ha quindi dentro di sè una forza scientifica, industriale e una grande opportunità di mercato sia nazionale che internaziona- le. «Il vero tema non sta tanto nell’offerta, ma sul fronte della domanda che è molto timida e lenta - spiega Marco Cantames- sa, ordinario presso il Politecnico di Tori- no, docente di Ingegneria gestionale e della produzione, presidente dell’I3P del Politecnico di Torino, il primo incubatore in Italia. La difficoltà per una startup è passare dal contatto al contratto, e visto che l’iter di sviluppo del prodotto in que- sto settore è molto lungo e problematico, serve un supporto da parte dei decisori, e anche una maggiore consapevolezza sullle opportunità che offrono queste aziende. Perchè le startup sono delle grandi aziende ancora piccole, non una moda passeggera». © RIPRODUZIONE RISERVATA di Francesca Cerati a Come si introduce un innovazione in ospedale? Con chi e di che cosa si deve par- lare affichè questa venga acquistata? Oggi il panorama del sistema sanitario nazio- nale è fatto da diverse figure, con punti di vista differenti, e ruolo diversi. Prima l'unico decisore era il medico, ora il siste- ma acquisti è molto più complicato e strutturato. L'ultimo miglio, quindi, po- trebbe essere il vero ostacolo per le startup biomedicali, che si devono inserire in una realtà in cui da un lato se non si innova si tengono a freno i costi, ma dall'altro si ri- schia l'immobilismo scientifico. L'ospedale è una grande azienda a tutti gli effetti, per numero di dipendenti, per asset, per valore delle tecnologie, per fattu- rato spiega l'ingegnere Paolo Pari, del con- siglio direttivo dell'Associazione italiana ingegneri clinici -. Il valore del parco scien- tifico tecnologico biomedico di un ospeda- le medio vale 40 milioni. Ma quello che di- stingue l'ospedale da altre aziende di pari dimensioni è l'enorme eterogeneità di tec- nologie. Da questo punto di vista l'ospedale è una holding, rappresentata dai vari di- partimenti e dai reparti, che arriva ad avere qualcosa come 320 classi diverse di tecno- logie all'interno di un'unica struttura. So- no questi gli interlocutori con cui le startup hanno a che fare. Quando si sottopone una nuova tecnologia, il management dell'ospedale deve capire come integrare il nuovo strumento nello scenario generale. Uno sguardo al trend mostra che gli anni caratterizzati da un incremento della nu- merosità delle attrezzature in servizio so- no finiti, mentre il valore della sostituzio- ne tende ad aumentare. Quello che invece tende a diminuire è il tempo di vita medio di una tecnologia che si accorcia molto, perché il “nuovo” resta efficiente fino a quando qualcosa d'altro per effetto dell'in- novazione ne prevarica le funzioni ren- dendolo obsoleta. Da un punto di vista del ciclo di vita di un prodotto, sono quattro le fasi: pro- grammazione acquisti, pianificazione degli investimenti, valutazione della tec- nologia, progettazione funzionale. Tutto questo ha una durata di diversi mesi. La fase più snella riguarda invece l’acceta- zione, l’installazione e la validazione del- l’attività funzionale. A oggi il processo che consente di valuta- re quali sono gli impatti dell'introduzione di una nuova tecnologia, oltre a essere di ti- po interdisciplinare, non distingue se si tratta di un device nuovo o se è innovativo. La trafila resta la medesima e chiama in causa clinici, infermieri, tecnici, ingegneri, amministrativi, associazioni dei pazienti... «C'è una direzione generale che deve dare gli indirizzi strategici nell'ambito di una programmazione, c'è una direzione sanitaria che deve occuparsi dell'analisi dei bisogni clinici e la validazione , c'è una direzione tecnica che deve fare ricerche di mercato per identificare le tecnologie al- terantive». Ciò detto c’è il tema della cen- tralità degli acquisti. Il sistema pubblico ha ritenuto e valutato di centralizzare con grandissime gare di appalto l'acquisizio- ne dei prodotti, che se da un lato porta a una riduzione dei costi, dall’altro potreb- be non rispondere ai bisogni dell'utenza che li utilizza. In tema di innovazione, il nuovo codice degli appalti ha introdotto strumenti specifici che consentono di co- struire dei percorsi specifici e adeguati nel caso ci sia una tecnologia innovativa che deve essere validata. «La centralizzazione degli acquisti non è il modo migliore per l'acquisto di una tecnologia che si affaccia per la prima vol- ta sul mercato – commenta Paolo Gazza- niga, direttore Centro sudi di Assobiome- dica -. In genere, viene provata in pochi centri e poi si diffonde. Se impera una lo- gica per cui una certa tecnologia viene ac- quistata da una stazione appaltante per tutti, difficilemnte verrà scritto che si deb- ba premiare il prodotto nuovo rispetto a quello che da vent'anni ha un certo prezzo e un collaudo. I paesi che hanno adottato un modello di centralizzazione più spin- to, hanno visto diminuire e rallentare il si- stema di diffusione dell'innovazione, so- prattutto in ambito pubblico». © RIPRODUZIONE RISERVATA Per introdurre un nuovo prodotto dobbiamo sapere chi sono gli interlocutori Lo stato patrimionale medtech dell’ospedale italiano CELLDYNAMICS SRL Attrezzature tecniche Sviluppa una linea di dispositivi per analisi cellulare in real-time che permettono di ottenere dei video delle cellule nel loro percorso di vita, anche durante la loro risposta a stimoli esterni come farmaci, virus. Trova applicazioni specifiche nel campo della fecondazione assistita e nello sviluppo di nuovi farmaci. 22 soci, 2 dipendenti, 14 collaboratori. Finanziamenti: 200mila da privati (professionisti ed aziende) 100 mila grant regionale startup innovative 2014 UBT-UMBRIA BIOENGINEERING TECHNOLOGIE Imaging L’idea di un mammografo a microonde è del matematico Gianluigi Tiberi (socio di maggioranza della Ubt), che durante i suoi studi di Post PhD all’Università di Oxford, ha verificato la validità teorica dell’ipotesi. L’assenza di radiazioni ionizzanti e la grande semplicità di utilizzo rappresentano i punti di forza in chiave di potenzialità di diffusione soprattutto per lo screening. Il progetto è stato interamente finanziato dai due co-inventori nei primi 4 anni, e un contributo dalla Regione Umbria pari a 33.000 euro PROBIOTIC CGB SRL Borderline Costituita nell’ottobre 2015, Opera nei settori nutraceutico e nutrigenetico. Il prodotto Probio-Cardio è un’ssociazione di probiotici, estratti vegetali e vitamine, che favorisceil metabolismo dei trigliceridi e del colesterolo, la regolarità della pressione arteriosa e l’equilibrio della flora intestinale 2 soci, 1 advisor scientifico, 3 dipendenti, autofinanziata dai soci 35 LA RAPPRESENTAZIONE Dati in percentuale LA GEOGRAFIA DELLE STARTUP Numero di startup nelle regioni italiane Per localizzazione Per età 2000-2007 Incubate nei parchi scientifici Non incubate 2008-2011 2012-2015 65 35 27 38 -- 100 25 25 50 -- 100 67 33 -- 9 91 56 11 33 15 85 34 40 26 59 41 24 38 38 38 68 38 31 31 2 1 2000 - 2007 2008 - 2011 2012 - 2015 NUMERO STARTUP BIOMEDICALI IN ITALIA A OGGI Totale startup in Italia 6.000 321 Piemonte, Lombardia, Emila Romagna e Toscana rappresentano: Il 35% ha meno di 4 anni La distribuzione dell’innovazione Il settore Life science è strategico per il nostro Paese. Le imprese attive solo nel settore dei dispositivi medici sono 4368, e danno lavoro a 70mila dipendenti. A queste si aggiungono le startup, a oggi 321, che nel loro piccolo hanno già creato un indotto. I dati sono forniti da Assobiomedica PIEMONTE 36 LOMBARDIA 59 TOSCANA 39 Sardegna 16 Sicilia 16 Lazio 16 Puglia 10 2 5 Campania 11 Calabria 3 Marche Molise Abruzzo Umbria 7 4 Veneto 14 Friuli V.G. 17 Trentino A.A. Valle d’Aosta -- Basilicata -- 11 Liguria 7 EMILIA ROMAGNA 55 LE REGIONI IN CUI SI CONCENTRANO LE STARTUP IN ITALIA Il 60% del numero delle startup Il 63% di startup innovative ITALIA Abruzzo Calabria Campania Emilia R. Friuli V.G. Lazio 41 15 44 Biomedicale Imprese che producono e/o distribuiscono vari dispositivi medici, per lo più monouso o single-user, tra cui gli impiantabili e i cosiddetti disposables 32 30 38 Biomedicale strumentale Imprese che producono e/o distribuiscono strumenti e apparecchiature per chirurgia, monitoraggio, riabilitazione, supporto 29 21 50 Borderline Imprese che producono e/o distribuiscono prodotti che hanno una finalità medica, ma non esercitano azioni farmacologiche, immunologiche o metaboliche, bensì agiscono solo tramite azione meccanica e non sono riconducibili ad alcuna delle altre famiglie di dispositivi medici 20 43 37 Diagnostica in vitro (IVD) Imprese che producono e/o distribuiscono dispositivi per diagnostica di laboratorio e diagnostica molecolare, bedside-testing e self-testing 10 35 55 Imaging Imprese che producono e/o distribuiscono dispositivi radiologici per immagini e a ultrasuoni; dispositivi per monitoraggio dei parametri funzionali (ECG, EEG, ecc.) 56 16 28 Servizi e software Imprese che forniscono servizi di gestione e manutenzione di tecnologie biomediche, di sterilizzazione di dispositivi medici e di logistica in ambito sanitario e assistenziale; imprese che forniscono servizi di telemedicina; imprese che sviluppano o commerciano software che trovano un impiego connesso ai dispositivi medici 53 12 35 Attrezzature tecniche Imprese che producono e/odistribuiscono attrezzature ospedaliere, strumentazione di laboratorio, per studi medici e odontoiatrici 46% Sono spin off pubblici 4% Spin off aziendali 35% Startup incubate nei parchi scientifico-tecnologici 49% Registrate come startup innovative Il 14% meno di 2 anni Il 35% sono incubate tra Piemonte e Toscana Valutazione dei bisogni Processo di acquisto Interdisciplinare Biomed forum Torino Collaborazione