LE EPIGRAFI DELLA VALLE DI COMINO A TTI DELL ’OTTAVO CONVEGNO EPIGRAFICO COMINESE Atina, Palazzo Ducale 28/29 Maggio 2011 A cura di Heikki Solin ASSOCIAZIONE “GENESI” -MMXII-
LE EPIGRAFI
DELLA VALLE DI COMINO
ATTI DELL’OTTAVO CONVEGNO
EPIGRAFICO COMINESE
Atina, Palazzo Ducale
28/29 Maggio 2011
A cura di Heikki Solin
ASSOCIAZIONE “GENESI”
-MMXII-
HEIKKI SOLIN
SPIGOLATURE CIOCIARE
1. Nel precedente volume degli Atti dei nostri incontri (pp. 134-136 n. 2)
pubblicai un’iscrizione aquinate, che si trova nel giardino della casa di Roberto
Molle a Panniglia, in piena campagna di Aquino, in base alla trascrizione che
feci con Mika Kajava il 26 maggio 1992. In tale occasione scattai anche una
serie di foto, che tuttavia non consentivano una lettura sicura. Anche l’ispe-
zione della pietra stessa fu resa molto difficile dagli agenti atmosferici e dal
fatto che la pietra era coperta non solo di fango, ma anche da cespugli di ogni
sorta irti di spine. Non è dunque da meravigliarsi che la lettura dell’iscrizione
rimase in più d’un punto assai malsicura.
Il 26 marzo 2011 sono tornato sul posto con Carlo Molle; fummo accom-
pagnati da altri due amici, e così potemmo prima liberare il campo intorno alla
pietra dalla sterpaglia e dal fango, dopodiché abbiamo scattato una serie di ot-
time foto con la fotocamera professionale di Carlo. Qui presento ai lettori le
novità apportate in base alla nuova visita.
* Ringrazio sentitamente Gianluca Gregori del sostegno nell’interpretazione dell’ultima iscri-
zione, nonché Paola Caruso della revisione del mio italiano.
Nella prima riga la lettura pro-
posta nell’editio princeps è buona,
solo che di E è difficile distinguere
i contorni per il forte danneggia-
mento della superficie. Chi cade
nella tentazione di cercarvi un T.
Flavius, finisce col rimanere de-
luso: tale lectio facilior non s’im-
pone. Alle osservazioni sul genti-
lizio Laevius va aggiunto che il
prenome Titus non era finora atte-
stato nella gens Laevia. Nella se-
conda riga cominciano i guai. Va
respinta la lettura Caetr[oni]anus
proposta nella prima edizione. Certi
sono solo l’inizio CA (se non GA) e
la fine NVS. Dopo CA si vede un
tratto verticale e, a destra, nella parte
inferiore, avanzo di una traversa
che, se appartenesse a una L, preste-
rebbe CAL o GAL.Viene in mente
la tribù Gal(eria), una tribù non at-
testata nella nomenclatura di gente
locale nella zona del Lazio meridio-
nale.1 Alla fine, prima di NVS, si
potrebbe distinguere, anche se con
grande esitazione, un avanzo della
parte inferiore del tratto destro di A. Avremmo, in tal caso, un cognome -anus,
del cui inizio non si può distinguere niente di sicuro nel groviglio della superficie.
La ipotetica L si vede seguita da due tratti verticali che potrebbero formare
una H di cui la traversa è diventata illeggibile. Non escluso sarebbe Herianus,
cognome non molto diffuso (attestato solo da CIL VI 21041), ma con una for-
mazione ineccepibile, derivato dal gentilizio Herius, ben noto anche nel Lazio
1 Compare un paio di volte, ma le attestazioni non si riferiscono a gente locale: ad Anagni un
pretoriano da Pisa (CIL X 5912); a Cassino uno spagnolo da Tucci (AE 1992, 249); a Terracina
un cavaliere romano dell’età tiberiana (CIL X 6309), che non sembra oriundo di Terracina; si
può soltanto dire che era generalmente un italico (così H. Devijver, Prosopographia militiarum
equestrium quae fuerunt ab Augusto ad Gallienum, 1, Leuven 1976, p. 500 n. J 150; S. De-
mougin, Prosopographie des chevaliers romains julio-claudiens, Rome 1992, p. 224.
HEIKKI SOLIN138
meridionale (CIL X 5067. 5068. 5087. 5118; AE 1974, 246. 1981, 222. 2005,
311), anche ad Aquino stessa: CIL X 5402. Ma questa lettura rimane molto
ipotetica, come anche altre che mi sono venute in mente. Videant meliores.
Nella riga 3, i quattro tratti verticali IIII a destra sembrerebbero certi, se
non ci si cela qualche lettera di cui sono consunti tratti orizzontali. A sinistra,
circa tre lettere dall’inizio della riga, forse V. – Nella riga 4, la T segnalata
nella prima edizione con grande esitazione è diventata plausibile, seguita forse
da una linea verticale e da una V. Per es. Titi Iulii sono attestati nella zona cam-
pano-laziale: CIL X 606. 2543. 3427 e 3579 (ma marinai). 4760. 5252. 5968;
NSc 1892, 26. Meno comuni nella zona sono Titi Iunii, attestati a Pozzuoli
(CIL X 2065) e a Capua (CIL X 3778).
La riga 5 sembra finire con VIII; e riga 6 con AVII (a(nnis) VII?). Per il
resto non abbiamo visto di più di quanto segnalato nella prima edizione, solo
che nella riga 7 va scritto [---]+IS[---], poiché le lettere IS non si trovano a
fine riga.
Quanto alla struttura del testo, sembrano ricordate sepolture di più persone,
di Titus Laevius e di Titus Iu- almeno. Ma anche nelle righe successive, come
nella 7 era ricordata un’ulteriore persona, come fa pensare l’indicazione degli
anni nella riga 8. Altro, la pietra ostinata rinuncia ad offrire.
2. Blocco in calcare locale. Lati diritti, retro grezzo. Punti triangolari divi-
sori tra le parole, anche a fine riga (un fenomeno non comune nelle officine
lapicidine). 95 x 59 x 44. Alt. lett. 5 – 6,5. Ritrovato durante la costruzione di
una stradina che collega il casale con la strada. Colle Mastroianni (IGM 152
III S.E. 16-89,5), circa 300 metri a S di C. Tondoni. Il luogo di rinvenimento
sembra appartenere al territorio della romana Sora. Abbiamo visto, Mika Ka-
java, Kalle Korhonen ed io, il reperto il 26 maggio 1998, accompagnati da
Marcello Rizzello. Foto Solin.
Paquia ⊂mulieris⊃ l(iberta)
Pretiosa;
vixit annos
XXX; formosa.
Interessante epitaffio di una liberta. Il gentilizio Paquius è una variante di
Paccius Pacuvius, in origine un vecchio prenome sabellico.2 Solo questa va-
riante compare come gentilizio un po’ dappertutto in Italia, ma anche nelle
province. Data la sua origine linguistica, era particolarmente popolare nell’Ita-
lia meridionale, Lazio meridionale, Campania, Puglia e via dicendo. Non
2 Cfr. O. Salomies, Die römischen Vornamen. Studien zur römischen Namengebung (1987) pp. 83 sg.
SPIGOLATURE CIOCIARE 139
per portare altra legna al bosco, ricordo un C. Paquius Tertius nella vicina Atina
(M. Kajava nel primo volume di questa stessa serie [2005], pp. 37-39 n. 3). Il co-
gnome della donna, Pretiosa, non era molto in voga. Kajanto, The Latin Cogno-
mina (1965) p. 276 ne registra quattro casi dal CIL; ma in realtà si trova nel CIL
sei volte. Aggiungi ILBulg 354 (Mesia inferiore) Ovinnia Pretiosa. La defunta è
detta alla fine formosa, ‘bella’, epiteto usato forse consapevolmente come gioco
di parole, quasi un omoteleuto: non solo il cognome della defunta alludeva al
concetto di ‘preziosa’, ma si voleva dirla anche bella (i due concetti fianco a fianco
nell’epigramma sepolcrale africana di una fanciulla di Ammaedara CLE 1996).
L’epiteto formosa compare spesso negli epitaffi di donne (meno spesso di uomini:
CIL VI 8553 formonsior; XI 3163 formonsus; X 4041). Un altro aspetto interes-
sante è che formosus -a viene scritto spesso con una n inserita tra o e s. Le ragioni
di tale grafia non sono del tutto chiare: non è attestata al di fuori di questo agget-
tivo, ma in esso appare tanto più frequentemente, per cui non si può trattare di
una mera grafia inversa – probabilmente la n era effettivamente pronunciata (a
tale deduzione conducono anche alcune osservazioni dei grammatici romani),
mentre in altre parole, il nesso ns era pronunciato s, generando incertezze grafiche,
permanenti tuttora anche nelle derivate forme italiane, ad esempio constatare >
costatare. Il motivo per cui si cominciò ad usare la n, potrebbe cercarsi nell’ac-
cezione peggiorativa, dispregiativa del suffisso -osus che è insita in parole quali
vinosus, mulierosus, rabiosus, furiosus, ecc. Per sfumare questo senso peggio-
HEIKKI SOLIN140
rativo, si cominciò ad aggiungere la n a formosus -a, che da sempre aveva
un’accezione positiva.3 Nella nostra iscrizione non viene aggiunta la n, che
naturalmente non era, per così dire, necessaria, ma costituiva una grafia diffu-
samente venuta in uso. – L’iscrizione non è databile con esattezza. Forse I se-
colo d. C., senza del tutto escludere l’inizio del II.
3. Due frammenti combacianti di tegola. L’iscrizione è stata tracciata con
lo stilo prima della cottura della tegola. Non ci sono punti divisori; quei segni
che si vedono nella riga 3 tra lettere conservate, non sembrano consapevol-
mente marcati come segni divisori. (24) x (16) x 2; alt. lett. 6,5 – 7,5 (riga 1),
5,5 – 7,5 (riga 2), 5 (riga 3). Proviene da Termini dalla zona urbana della ro-
mana Interamna; ora in proprietà privata. Ho visto il frammento, accompagnato
da Paola Caruso e Pietro Garofoli, il 29 maggio 2011, quindi appena finito il
convegno atinate. Foto Solin.
- - - - - - (?)
[---]DEF[---]
[---]LMN[---]
[---]STVX[---]
La lettura è più o meno sicura. La terza let-
tera della prima riga è una F, di cui si vede la
traversa superiore che, conformemente alla
forma corsiva dell’età imperiale inoltrata, sale
verso destra (lo dico appositamente, perché
nella foto qui pubblicata non si distingue
bene). L’ultima lettera della riga 2 dovrebbe
anche essere una M, ma viene richiesta N
(come si vedrà tra poco). L’ultima della riga
3 potrebbe essere anche A o M, ma anche qui
viene richiesta X. La prima di 3 non può es-
sere altro che una S).
Abbiamo a che fare con un alfabeto, di
cui è conservata la parte centrale delle tre righe originarie. Non è difficile ri-
costruire l’andamento del testo sulla tegola. Nelle righe 1 e 2 mancano, evi-
dentemente, a sinistra le prime tre lettere dell’alfabeto; a destra è caduta la G
nella prima riga, ma nelle altre righe non dovrebbe mancare niente a destra.
Nella riga 2 a sinistra mancano egualmente tre lettere, ma nella riga 3 quattro.
Il testo sulla tegola aveva più o meno questo andamento:
3 Su ciò cfr. le importanti considerazioni di V. Väänänen, Le latin vulgaire des inscriptions
pompéiennes, Berlin 19663, p. 69.
SPIGOLATURE CIOCIARE 141
[A B C] D E F [G]
[H I K] L M N
[O P Q R] S T V X
L’unico punto non del tutto sicuro è costituito dalla fine dell’alfabeto. Se
tutte e tre le righe finivano a destra all’incirca con lo stesso margine posizionato
dopo G, N e X, allora la X era l’ultima lettera ad essere stata scritta. E così ve-
ramente sembra che stiano le cose, poiché le lettere nell’ultima riga sono più
piccole e scritte più compattamente; perché allora risparmiare spazio se lo
scrittore non aveva intenzione di aggiungere ulteriori lettere? Se questa rico-
struzione coglie nel segno, se ne deduce la mancanza della Y e della Z, come
si riscontra ancora in simili casi a Pompei; infatti non c’è alcuna traccia del-
l’uso di Y e Z nei numerosi alfabeti graffiti sulle pareti pompeiane.4 D’altra
parte l’uso della Z come ultima lettera divenne regolare negli alfabeti traman-
dati nelle iscrizioni dell’età imperiale inoltrata (e un paio di volte vediamo
anche l’alfabeto finire con Y). L’ipotesi dipende anche dalla datazione del no-
stro reperto. La scrittura sembra essere una corsiva romana già assai evoluta,
che si daterebbe a prima vista all’età imperiale protratta, come ci fa vedere per
esempio la L in 2 (è vero che forme simili si trovano già in graffiti pompeiani,
tuttavia con ductus diverso). Non è tuttavia necessario oltrepassare il secondo
secolo, per cui possiamo pacificamente ammettere che il graffito finisca con
X, senza del tutto escludere la possibilità che, dopo tutto, a X siano ancora se-
guite Y e Z o anche la sola Y.
Sulla funzione del graffito non si può dire niente di sicuro. Si potrebbe trat-
tare di esercitazione di scrittura, magari da parte di uno scolaro, oppure di una
scritta con scopo di filatterio. Vista la grande importanza delle credenze su-
perstiziose nelle società antiche, si potrebbe inclinare verso quest’ultima spie-
gazione. Colpisce che nella piena campagna del Lazio meridionale si trovi una
tale testimonianza della diffusione dell’alfabetismo tra gente comune, che per
una buona parte dovette essere analfabeta.
4. A Pignataro Interamna, nella località Sopra Gaeta, nella proprietà di Ro-
berto Carlomusto abbiamo trascritto e fotografato il 30 maggio 2011 (sono
stato accompagnato da Pietro Garofoli e Giovanni Della Rosa, che ringrazio,
come pure il proprietario) una singolare iscrizione edita dal Mommsen, senza
visione diretta, in CIL X 5351, che ne pubblica tre trascrizioni di noti autori
4 Cfr. H. Solin, Die Graffiti, in W. Kolbmann – H. Solin, Architekturwände. Römische Wan-
dmalerei aus einer Stadtvilla bei Stazione Termini in Rom, Berlin 2005, pp. 98, 103. Lì anche
sulla questione dell’estensione delle testimonianze degli alfabeti nell’età imperiale in genere.
HEIKKI SOLIN142
sette- e ottocenteschi (Masciola, Notarjanni e Bergamaschi) affiancate tra loro;
sono molto difettose e divergenti tra loro. Mommsen non fa alcun tentativo di
sanare il testo, e ha fatto bene, talmente corrotte sono le trascrizioni (ma il
testo, come vedremo, non presenta, tranne in un caso, difficoltà di lettura).
Masciola e Notarjanni la segnalano a Termini nella casa di Riccardo Carlo-
musto (dunque un antenato di Roberto), sulla porta di una stalla; noi l’abbiamo
vista nel giardino/cortile della casa. Il benemerito studioso locale Antonio
Giannetti non è riuscito ritrovare la pietra durante un suo sopralluogo nella
fattoria.5 Blocco in calcare locale. Retro rotto, come anche il lato sinistro. Lati
superiore e destro grezzi (il lato superiore potrebbe anche essere stato segato
in tempi recenti; su ciò vedi di sotto). Lato inferiore dritto, ma non liscio. Nel
lato superiore, una cavità, che potrebbe aver contenuto le ossa del defunto,
ammesso che si sia trattato di un monumento sepolcrale. Punti divisori trian-
golari incisi regolarmente tra le parole (nella riga 3 il punto non si distingue
bene, a causa del danneggiamento della pietra). 35 x 50 x 24; alt. lett. 4.
------(?)
[---]clusa essent
[---] dedit probavitque
[--- pr]ivato faciundam
[curavit?]
5 A Giannetti, RendLincei 1969, p. 60: “Presso la fattoria di Riccardo Carlomusto si notano
SPIGOLATURE CIOCIARE 143
L’unico dubbio nella lettura è costituito dall’ultima parola della prima riga.
Ho proposto di leggerne l’ultima lettera come una T, nonostante la mancanza
della traversa della quale si dovrebbe vedere almeno un piccolo avanzo. Tut-
tavia nel caso di una T con traversa anche un pochino montante, quest’ultima
potrebbe essere scomparsa con il danneggiamento del lato superiore (ma anche
di una T di altezza normale la non visibilità della traversa sarebbe ammissibile).
Ammettendo I in luogo di T avremmo ESSENI che non potrebbe essere altro
se non il genitivo del gentilizio rarissimo Essenius,6 ma quest’ipotesi non con-
vince molto, anche per la mancanza del prenome, fenomeno difficile da spiegare
per l’epoca dell’iscrizione. Per il resto la lettura dell’epigrafe è certa. Molto
meno chiara è la sua comprensione. Osservo per cominciare una generale tra-
scuratezza nell’esecuzione del testo epigrafico, che non vale soltanto per le sin-
gole lettere incise con una certa negligenza, ma anche per il fatto che l’ordinator
e il lapicida non hanno provveduto ad un’accurata impaginazione, come si
evince dal fatto che la riga 1 finisce molto prima delle altre (ma neanche 2 e 3
finiscono in maniera simmetrica). D’altra parte il fatto che le righe non termi-
nino allineate potrebbe essere stato causato dall’intenzione di distinguere tre
fasi diverse nell’esecuzione del testo. E qui si potrebbe nascondere la chiave
per capire la natura dell’iscrizione. Di solito un’epigrafe di questo genere, per
giunta ritrovata in piena campagna e non nel centro urbano di Interamna, do-
vrebbe essere sepolcrale, ma mi sembra difficile ammettere per la nostra un
carattere funerario: il blocco potrebbe infatti esser stato portato qui seconda-
riamente ed inoltre il testo poteva riferirsi a una costruzione per esempio nel-
l’ambito di un vico o di un pago; da notare anche che nella zona sono
conservati resti di edifici romani. Soprattutto la specifica [solo pr]ivato in 3
(come sembra vada integrato) è molto rara per sepolcri (conosco CILVI 5078.
X 3939. XI 5753), che normalmente venivano costruiti per l’appunto in aree
private, mentre ha senso per opere costruite ad uso pubblico da privati su suolo
di loro proprietà. Anche l’uso del verbo probare è raro in contesto funerario
di gente comune (CIL IX 1927; ILGR 219). Così proporrei di spiegare il do-
cumento come iscrizione di una costruzione pubblica o anche privata, per de-
stinazione religiosa o meno. Entriamo nei dettagli.
alcuni lastroni di pietra lavorata, resti sicuri di antichi edifici romani, ma nessuna traccia del-
l’epigrafe”. 6 Essenius è attestato una sola volta nel nome di un militare oriundo di Fermo: AE 1936, 25
(Roma?) L. Essenius Sex. f. Vel(ina) Rufus, natus Firmo Piceno … lixo ex cohorte XII. Cfr.
inoltre Essennius attestato a Venafro: CIL X 4930 (irreperibile, ma vista da buoni autori, incluso
lo stesso Mommsen, per cui la lettura dovrebbe essere giusta) Sex. Essenni Hilari. Sul nome
cfr. W. Schulze, ZGLE 161, che compara etr. ezna eznei ezunei. Ma che il nome sia di origine
etrusca, non so cosa questa comparazione possa mostrare.
HEIKKI SOLIN144
1 all’inizio della prima riga, cosa potrebbe esserci stato? Va esclusa la pos-
sibilità di un elemento onomastico, perché cognomi con la desinenza -clusus
-clusa non esistono. Prendendo lo spunto da essent, andrebbe cercato un neutro
plurale concordato col participio -clusa (oppure anche più sostantivi con l’at-
tributo in neutro plurale, del tipo cubiculu(m) et terra(m) et hypogaeum ma-
ceria clusa in AE 1996, 421 da Pozzuoli). Forse qualcosa come aedificia o
templa maceria clusa (o anche monumenta, che tuttavia rinvierebbe al contesto
funerario).7 Oppure [signa aliqua re -]clusa (cfr. CIL XI 364)? Prima poteva
esserci qualcosa come rogavit, ut o qualche altro verbo. Ora non sappiamo
quanto manchi a sinistra, ma deve esserci stato ancora il nome della persona,
di un collegio o del consiglio decurionale coinvolti, se tale indicazione non
stava nella parte del blocco andata perduta (non è possibile stabilire se il blocco
fosse franto sopra e così contenesse scrittura al di sopra dell’attuale prima riga;
da notare tuttavia che Masciola, il primo ad aver trascritto l’epigrafe, segnala
una riga illeggibile al disopra della prima conservata).
2 sulla persona cui riferire i verbi dedit probavitque della seconda riga si
possono fare solo delle ipotesi. Proporrei di vedervi una persona diversa che
finanziò e collaudò la costruzione, per tre ragioni: prima, perché c’è spazio da
colmare la lacuna a sinistra, secondo, perché la riga 2 sembrerebbe cominciare
un nuovo paragrafo, visto che dopo essent finisce la scrittura della riga 1, terzo,
perché la probatio alla riga 2, che rinvia a un collaudo, dovrebbe riferirsi a
un’azione diversa da quella di cui si parla nella parte iniziale del testo. Va tut-
tavia detto che il nesso dedit (et) probavit(que) è singolare e non compare nel
lessico municipale; si diceva piuttosto dedit idemque probavit (o nel plurale de-
derunt idemque probaverunt). Prima di dedit si può integrare (de) sua pecunia.
3 lo stesso vale per la terza riga. In favore dell’ipotesi di vedere qui ancora
una volta un diverso esecutore milita anche il fatto che il nome della costru-
zione cui si attese doveva essere femminile, mentre all’inizio del testo è un
appellativo neutro. Alla fine della lacuna va, come detto, integrato probabil-
mente [solo pr]ivato. Con la clausola faciundam [curavit?] finiva certamente
il testo dell’iscrizione (dopo curavit (o, nel caso, curaverunt) non sembra es-
serci stato altro); ma la collocazione di questa clausola a fine testo sembrerebbe
presupporre l’azione di una terza persona: se la persona fosse stata la stessa,
ci si aspetterebbe un ordine diverso, perché di solito si diceva faciendum curavit
7 Aedificium connesso con maceria clusum: CIL VI 10239 cum aedificio et vineis maceria clu-
sis; 13061 taberna et aedificium et area maceria circumclusa; XIV 3340 aedificium maceria
clusum; CollEpigrCapitol 72 hoc monimentum et aedificium et hortum ita uti maceria clusum
est. Cfr. anche CIL VI 36262.
SPIGOLATURE CIOCIARE 145
idemque probavit. Forse nella riga 3 era ricordata una separata costruzione,
mentre all’inizio il presumibile appellativo neutro plurale si riferiva alla totalità
del complesso. Integrazioni adatte non mancano: per esempio aedem (CIL I2
1511. 2225. 2285. VIII 18227. X 5904. XIV 4724. Inscr. It. IV 70. AE 1968,
80. 1982, 143.1980, 691), aediculam (CIL III 13903; IX 5081. XI 3303. Suppl.
It. 2 Teate Marr. 2), basilicam (CIL I2 1694. III 13676 = I. Ephesos 404; VIII
17787), oppure porticum (CIL I2 680. 1000. 1464. 3192. II 3430. III 3148. IX
2557. X 1136. 5160a. XIV 3664. AE 1990, 887. 2006, 389. ILGR 179).
La nostra conclusione, in via d’ipotesi, potrebbe essere la seguente. Si tratta
della copia epigrafica di un decreto relativo alla costruzione di un’opera forse
di natura pubblica divisa in tre fasi. All’inizio era ricordata forse la decisione
(del consiglio comunale o meno?) di costruire un complesso dentro un terreno
recintato. Nella seconda riga (conservata) viene ricordato colui che aveva fi-
nanziato e poi collaudato il progetto. Nell’ultima parte dell’iscrizione stava il
nome dell’esecutore di una struttura forse aggiunta al complesso. Devo tuttavia
ammettere che questa ricostruzione resta al momento assai ipotetica. – Daterei
il reperto entro l’inizio dell’età imperiale, soprattutto in base al formulario e
alla forma del gerundivo in -und-.
5. Carlo Molle ha il grande merito di aver pubblicato, con la consueta qua-
lità, un’interessante iscrizione funeraria ritrovata nella località Macchie nel
comune di S. Giorgio a Liri, che nell’età romana faceva parte del territorio di
Interamna Lirenas, in ZPE 174, 2010, pp. 237-240. Il dettaglio più importante
del testo è il nome del defunto, che egli pubblica nel suo exemplum nella forma
Timeio, mentre nel commento dà espressione all’esitazione tra questa lettura
e Timeto; rimane infatti molto incerto come interpretare questo nome. Ho visto
l’epigrafe il 29 maggio 2011, accompagnato da Paola Caruso e Pietro Garofoli.
Siamo riusciti a stabilire Timetus come nome del defunto, nome finora scono-
sciuto nell’antroponimia antica. Tratterò della possibilità di spiegare tale nome
in altra sede.
HEIKKI SOLIN146