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UNA CURIOSITÀ BOTANICA, IL CAPSICUM «CINESE» FRANCESCO FERRAIOLI ABSTRACT. The world’s production of chilies and peppers, dry and green, at 2012, is at a rate of over 3.300.000 tones. Asian continent is the world’s leading producer of these commodities. This has not always been the case. It is historically proven that Capsicum were unknown to European before 1492 and almost certainly to the rest of the world. But before this date, in the American continent, Capsicum was cultivated for centuries. The European merchants, in primis Spaniards and Portuguese, soon realized that this plant was a perfect food for the endless oceanic routes. Capsicum is a rich source of vitamin C and useful remedy for scurvy, «the ocean’s disease». This transport was a pivotal element for the rapid spread of Capsicum throughout the world. But where does the name Capsicum Chinese come from? The text tries to give not certain but likely explanation. Secondo la Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), le produzioni, a livello mondiale, del peperone e del peperoncino, fresco ed essiccato, risultano in costante aumento dal 1961 al 2012, intervallo da cui è stato possibile reperire stime di produzione di tali prodotti. La produzione mondiale di peperone e peperoncino al 2012 indica 3.352.163 tonnellate 1 di prodotto essiccato e 31.171.567 tonnellate di prodotto fresco. Il continente con la maggiore produzione mondiale di prodotto fresco ed essiccato è l’Asia, con una produzione di oltre 21.000.000 tonnellate di prodotto fresco e oltre 2.000.000 tonnellate di prodotto essiccato. Segue il continente americano che produce circa 4.000.000 tonnellate di prodotto fresco, più indietro Euro- pa e Africa con quasi 3.000.000 tonnellate cadauna di produzione totale tra prodotto fresco ed essiccato. La nazione maggior produttrice al 2012 è la Cina, con 16.000.000 tonnellate di prodotto fresco, seguono Messico e Tur- chia con oltre 2.000.000 tonnellate di prodotto fresco cadauna. In Europa la Spagna spadroneggia con una produzione di oltre 1.000.000 tonnellate di prodotto fresco, poco meno degli Stati Uniti. L’Italia e il Giappone producono rispettivamente 191.000 e 145.000 tonnellate di prodotto fresco. Il maggiore produttore di prodotto essiccato è l’India, con la ragguardevole produzione al 2012 di 1.299.940 tonnellate di prodotto essiccato. 2 1 Unità di misura del Sistema Internazionale. 1 t = 1 000 kg. 2 Chillies and peppers, dry and green, dati ufficiali di produzione. Fonte http://faostat.fao.org/
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Francesco Ferraioli, «Una curiosità botanica, il capsicum "cinese"», in Spigolature orientali. Scritti in onore di Adolfo Tamburello per l'ottantesimo compleanno, a cura di Giovanni

Apr 23, 2023

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una curiosità Botanica, il capsicum «cinese»

Francesco Ferraioli

aBstract. The world’s production of chilies and peppers, dry and green, at 2012, is at a rate of over 3.300.000 tones. Asian continent is the world’s leading producer of these commodities. This has not always been the case. It is historically proven that Capsicum were unknown to European before 1492 and almost certainly to the rest of the world. But before this date, in the American continent, Capsicum was cultivated for centuries. The European merchants, in primis Spaniards and Portuguese, soon realized that this plant was a perfect food for the endless oceanic routes. Capsicum is a rich source of vitamin C and useful remedy for scurvy, «the ocean’s disease». This transport was a pivotal element for the rapid spread of Capsicum throughout the world. But where does the name Capsicum Chinese come from? The text tries to give not certain but likely explanation.

Secondo la Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), le produzioni, a livello mondiale, del peperone e del peperoncino, fresco ed essiccato, risultano in costante aumento dal 1961 al 2012, intervallo da cui è stato possibile reperire stime di produzione di tali prodotti. La produzione mondiale di peperone e peperoncino al 2012 indica 3.352.163 tonnellate1 di prodotto essiccato e 31.171.567 tonnellate di prodotto fresco. Il continente con la maggiore produzione mondiale di prodotto fresco ed essiccato è l’Asia, con una produzione di oltre 21.000.000 tonnellate di prodotto fresco e oltre 2.000.000 tonnellate di prodotto essiccato. Segue il continente americano che produce circa 4.000.000 tonnellate di prodotto fresco, più indietro Euro-pa e Africa con quasi 3.000.000 tonnellate cadauna di produzione totale tra prodotto fresco ed essiccato. La nazione maggior produttrice al 2012 è la Cina, con 16.000.000 tonnellate di prodotto fresco, seguono Messico e Tur-chia con oltre 2.000.000 tonnellate di prodotto fresco cadauna. In Europa la Spagna spadroneggia con una produzione di oltre 1.000.000 tonnellate di prodotto fresco, poco meno degli Stati Uniti. L’Italia e il Giappone producono rispettivamente 191.000 e 145.000 tonnellate di prodotto fresco. Il maggiore produttore di prodotto essiccato è l’India, con la ragguardevole produzione al 2012 di 1.299.940 tonnellate di prodotto essiccato.2

1 Unità di misura del Sistema Internazionale. 1 t = 1 000 kg.2 Chillies and peppers, dry and green, dati ufficiali di produzione. Fonte http://faostat.fao.org/

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Innumerevoli sono i «prestiti» di piante dall’Asia orientale verso l’Europa, diverse vi arrivavano sin dall’antichità tramite le strade commerciali marittime e terrestri, altre invece sono ascrivibili a un periodo più recente come il Ginkgo biloba.3 Federico Maniero, compilando la sua Fitocronologia d’Italia nel 2000, segnalava la presenza sul nostro territorio di 5.180 entità botaniche non autoctone suddivise in 1.999 erbacee, 3.181 arboree e arbustive.4 di molte provenienti dall’Asia ce ne compendia sagacemente Adolfo Tamburello in Piante dall’Asia Orientale in Europa.5 dal riso (Oriza), conosciuto già da Teofrasto (371-287?), al cetriolo (Cucumis sativus) di origini himalayane e cinesi. Alcune ambientate da svariati secoli vengono ritenute autoctone, è questo il caso degli agrumi, di altre se ne conosce l’esistenza non per il loro luogo d’origine ma grazie al loro luogo d’esportazione, si pensi al kaki (Diospyros kaki) di origine cinese ma conosciuto dal Giappone. In qualche caso, nascondono storie enigmatiche e non ben definite in cui il luogo d’origine risulta incerto, è il caso del Capsicum chinense, descritto per la prima volta da Nikolaus Joseph Jacquin (1727-1817) e ritenuto di origine cinese nell’opera Hortus Botanicus Vindobonensis.6 Il genere Capsicum afferisce alla famiglia delle Solanaceae, conta diverse spe-cie ma solo cinque sono riconosciute come addomesticate: C. annuum, C. fru­tescens, C. chinense, C. pubescens, e C. baccatum. Gli studi di genetica più recenti considerano queste specie derivanti da tre linee genetiche principali, a una afferiscono le specie annuum, frutescens e chinense, le specie baccatum e pubescens appartengono invece a linee genetiche separate.7

Ne abbiamo in Europa notizie certe dopo i viaggi di Cristoforo Colombo (1451-1506). Le prime informazioni sono dovute a Pietro Martire d’Anghiera (1457-1526) e contenute in una lettera del 1493 indirizzata ad Ascanio Sforza,

3 Il Ginkgo biloba è un’entità legnosa risalente a circa 250 milioni di anni fa, conosciuta in Europa solo allo stato fossile ma vivente in Cina e Giappone. Per la conoscenza in Europa di questa pianta siamo debitori allo studioso tedesco Engelbert Kaempfer (1651-1716) che la ritrovava in Giappone e ne dava una prima descrizione nonché le attribuiva un nome, nell’opera Amoenitatum exoticarum [KaempFer, 1712, pp. 812-3]. Importata in Europa nei primi anni del ’700, in Italia un primo esemplare risultava censito nell’orto botanico di Padova dal 1750, data approssimativa di semina o interramento indicata da Giovanni Battista de Toni che al 1887 misurava l’altezza della pianta in 16,25 metri e una circonferenza a un metro da terra di 2,3 metri: de toni, 1887, pp. 11-13.

4 maniero, 2000, p. 1.5 tamBurello, 2005.6 jacQuin, 1770-1776.7 Hill et al., 2013, pp. 1-2; andrews, 1995, pp. 15-18.

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edita varie volte e poi raccolta insieme ad altre e pubblicata postuma ad Alcalà sotto il titolo De Orbe Novo nel 15308 e successivamente a Parigi nel 1587.9 Nella traduzione inglese del 1912 a cura di Francis Augustus MacNutt (1863-1927) si legge:

«Mastic, aloes, cotton, and similar products flourish in abundance. Silky kinds of cotton grow upon trees as in China; also rough-coated berries of diffe-rent colours more pungent to the taste than Caucasian pepper; and twigs cut from the trees, which in their form resemble cinnamon, but in taste, odour, and the outer bark, resemble ginger».10

Maggiori dettagli sulla pianta sono forniti da Gonzalo Fernández de Ovie-do y Valdés (1478-1537), considerato il primo cronista ufficiale delle Indie e il primo a documentare il Capsicum a seguito di una osservazione diretta. L’autore della Historia general y natural de las Indias11 pubblicata per la prima volta nel 1535 descriveva morfologicamente la pianta e l’uso che ne facevano le popolazioni indigene, in particolare ne raccontava l’uso abituale quale condimento, le diverse varietà coltivate e la propensione dei cristiani a usarla a loro volta abbondantemente come spezia oltre che l’abitudine a portarne i frutti nel viaggio di ritorno verso Spagna, in Italia e altrove, perché sostituisse come condimento piccante il ben più costoso pepe.12

Il Capsicum, ricco di vitamina C,13 facilmente conservabile e trasportabile era l’alimento ideale per essere usato come cibo di bordo e rimedio contro la «malattia del mare», lo scorbuto. Portoghesi e spagnoli, non consci delle proprietà chimiche del Capsicum ma continuamente vessati dallo scorbuto e da altre malattie che imperversavano durante i lunghi viaggi oceanici, ne do vettero intuire presto le utili proprietà. Lo caricavano con loro nel viag gio di ritorno, come descritto nel passo citato di Fernández de Oviedo, e in maniera del tutto naturale iniziava

8 almaGià, 1961.9 anGHiera, 1587.10 macnutt, 1912, p. 65; anGHiera, 1587, p. 7.11 Fernandez de oviedo y valdés, 1851.12 «[Sic.] Axi es una planta muy conosçida é usada en todas las partes destas Indias, islas é

Tierra-Firme [...] é es la pimienta de los indios [...] E no es menos agradable á los chripstianos, ni haçen menos por ello que los indios [...] Llévasse á España é á Italia é á otras partes por muy buena especia, é es cosa muy sana, é hállanse los hombres muy bien con ello en todas las partes donde lo aleançan: é desde Europa envian por ello mercaderes é otras personas, é lo buscan con diligençia para su propria gula é apetito»: Fernandez de oviedo y valdés, 1851, p. 275.

13 I peperoncini sono tra le piante più ricche di vitamina C. La vitamina C venne infatti estratta per la prima volta dai peperoncini nel 1928 dal biochimico ungherese Albert Szent-Györgyi (1893-1986): Boosland et al., 2012, p. 11.

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a essere usato come cibo di bordo lungo tutte le rotte commerciali marittime battute, così dai porti nei quali si attraccava per rifornimenti o per commerci si diffondeva verso i territori più interni, divenendo in breve tempo comune dall’Asia alle Americhe. Alla sua rapida diffusione contribuivano sicuramente anche gli uccelli che si cibavano avidamente dei suoi baccelli senza percepirne il senso piccante. I semi passavano indenni attraverso l’apparato digestivo ed erano espulsi pressoché integri costituendo materiale di semina per nuove terre.14

Secondo la studiosa statunitense Jean Andrewes, la prima qualità di Capsicum giunta in Europa in seguito ai viaggi di Colombo fu il Capsicum annum var. Annum, diffusosi prima in Spagna e poi grazie agli scambi commerciali anche in Portogallo, e da qui verso l’ Asia, passando per le coste africane. Il Capsicum chinense a causa del suo luogo di origine, i tropici, mal si adattava al clima europeo, necessitando di un clima tropicale per attecchire seguì un tragitto di-verso, trasportato in un primo momento dai portoghesi passò più probabilmente dalle Americhe all’Asia, transitando per le coste africane.15

I dubbi sulla provenienza della pianta iniziavano presto, causa prima la sua immediata distribuzione in Europa e soprattutto in Asia orientale, da cui si pensava derivassero alcune specie, forviando così diversi botanici euro pei. Leonhart Fuchs (1501-1566) nella sua opera De Historia Stirpium16 del 1542 descriveva la pianta con vari aggettivi, prima classificandolo come il Siliquastrum di Plinio (23-79),17 aggiungeva poi che potesse trattarsi dello Zinziber caninum di Avicenna (980-1037), infine lo denotava come: pi per Hispanum, piper Indianum, piper ex Chalechut, chiamato in tedesco Chalechutifcher Pfeffer [Sic.] e Indianifcher Pfeffer [Sic.]. Poi più avanti specificava che veniva coltivato da pochissimo anche in Germania.18

L’umanista olandese Carolus Clusius (Charles de l’Escluse, 1526-1609),19 nell’opera Curae Posteriores20 dedicava ampio spazio alla descrizione della pianta accreditando la maggior parte delle sue conoscenze al ben informato

14 Bosland - votava, 1999, p. 2.15 andrews, 1995, p. 16.16 FucHs, 1542. 17 Così descrive Plinio il Siliquastrum: «66. [174] Piperitis, quam et siliquastrum appellavimus,

contra morbos comitialis bibitur. Castor taliter demonstrabat: caule rubro et longo, densis geni-culis, foliis lauri, semine albo, tenui, gustu piperis, utilem gingivis, dentibus, oris suavitati et ructibus» [Naturalis Historia XX].

18 FucHs, 1542, p. 731.19 Clusius fu uno dei più importanti botanici europei del sedicesimo secolo, nel 1573 fu

invitato dall’imperatore Massimiliano II a Vienna come medico di corte e fu responsabile dei giardini imperiali. Nel 1593 venne nominato onorario della cattedra di botanica all’Università di Leida, carica che mantenne fino alla morte.

20 clusius, 1611.

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frate cappuccino Gregorio di Reggio21 di cui preambolava e poi esponeva, traducendo in latino, un’opera manoscritta dello stesso frate in cui venivano de scritte diverse varietà di Capsicum. Aggiungeva poi Clusius che veniva col-tivato in Castiglia da giardinieri e massaie e usato come condimento tutto l’anno, tanto essiccato che fresco. Egli stesso ne aveva visto nel 1585 una grande piantagione a Brunnae, probabilmente Brno, in Moravia.22

In Cina si diffondeva presto la specie Annum, già durante la dinastia dei Ming, nel XVI secolo della nostra era, come ci informa Lionello Lanciotti,23 specialista della civiltà cinese e amante del peperoncino. La Cina era abituata già ai sapori piccanti, il più costoso pepe, importato dall’arcipelago indonesiano, veniva sostituito da altre spezie piccanti quali lo Zanthoxylum piperitum. Un primo contatto si deve sicuramente ai mercanti e marinai portoghesi che lo utilizzavano come alimento sulle navi per le lunghe rotte commerciali poiché ricco di vitamine e minerali. Si diffondeva nelle zone montane povere della Cina meridionale dove un’alimentazione scarsa di vitamine lo accoglieva sicuramente di buon grado, e non solo per il gusto piccante. Secondo Lanciotti la prima provincia dove ebbe larga diffusione fu il Sichuan, e ancora oggi è elemento fondamentale della cucina di questa regione, da qui si sarebbe diffuso verso altre province quali il Yunnan e il Hunan.

Il commercio delle spezie non doveva essere solo monodirezionale, se ne accorsero presto i portoghesi che videro nella Cina un mercato florido per impor-tazioni ed esportazioni. Poco dopo l’occupazione di Malacca nel 1511, iniziarono i primi scambi con i mercanti cinesi delle coste meridionali della Cina, se non da qui una precoce introduzione avvenne da parte degli spagnoli tramite la rotta da Acapulco a Manila dal 1565.24 Primo punto di approdo in Asia fu quasi certamente l’India che il Capsicum raggiunse agli inizi del cin quecento.

Secondo lo studio di Ping-Ti Ho del 1955, relativo all’introduzione delle piante alimentari americane in Cina, che non menziona specificamente il Capsicum ma parla estensivamente di mais, patata dolce e arachide, l’arrivo di queste novità alimentari poteva seguire più rotte diverse, con luoghi diversi di

21 di questo personaggio si hanno poche e lacunose notizie. Nativo di Reggio Emilia, proba-bilmente moriva nel 1618. Non si ha notizia di sue pubblicazioni, a eccezione della traduzione del suo trattatello sul Capsicum eseguita da Clusius, ma il suo nome veniva elogiato spesso da famosi naturalisti europei del periodo: Ulisse Aldrovandi, Fabio Colonna, Prospero Alpino, Giovanni Pona, Caspar Bauhin, per fare alcuni esempi, che lo ringraziavano spesso per le informazioni, disegni, insetti e piante essiccate che si prodigava di fornire agli insigni studiosi: olmi, 2014; http://figura.art.br/revista/.

22 clusius, 1611, pp. 50-57.23 lanciotti, http://www.agichina24.it.24 simoons, 1991, pp. 385-86.

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introduzione e che tuttavia la ricezione locale delle nuove colture da parte della popolazione poteva avere risvolti diversi. Le novità potevano essere coltivate ampiamente, non coltivate affatto, diventare una coltura di nicchia dopo la lo ro prima introduzione, oppure attecchire in secondo momento a distanza di svariate decine di anni dalla loro prima importazione. due erano le vie principali di ingresso dei nuovi prodotti agricoli americani secondo Ping-Ti Ho, via ma re dalla provincia di Fukien tramite i commerci con le Filippine, e via terra dall’India e dalla Birmania per intermediazione di popolazioni tribali confinanti con i territori sud-occidentali del Sichuan, orientali del Sikang e settentrionali del Yunnan.25

In un articolo del 2008, edito su World History Bulletin si dà spazio a un’ipo-tesi diversa sui luoghi di introduzione del peperoncino in Cina. Lo studio si basa sull’analisi di cronache locali cinesi, dal finire del quindicesimo secolo in poi, e sui riferimenti relativi al peperoncino in esse contenuti. La prima menzione nel Sichuan risalirebbe solo al 1749, mentre la prima rilevanza nelle cronache del Hunan al 1684. Meno recenti sono i riferimenti che riguardano la presenza del peperoncino nella regione dello Zhejiang e addirittura a nord-est nel Liaoning dove sembra essere presente un riferimento su Gaiping County Gazetteer nel 1682, il che farebbe supporre anche una diffusione in Cina dal Giappone, tramite la Corea, dalle rotte commerciali marittime di giapponesi e portoghesi.26

In Giappone le specie diffuse di Capsicum sono la annuum e frutescens. La prima data di riferimento della presenza del Capsicum in Giappone, secondo Sota Yamamoto27 è il 1542 e sarebbe stato introdotto dai portoghesi. Lo studio di Yamamoto dipende dal trattato di agricoltura Sōmoku rokubu kōshuhō (草木六部耕種法) di Nobuhiro Satō (1769-1850) del 1832.28 Altro probabile ingresso potrebbe essere avvenuto durante la campagna di Toyotomi Hideyoshi (1536?-1598) in Corea, e quindi portato dalla penisola al Giappone. Nel saggio dal titolo «Honpō niokeru tōgarashi no hinshu bunka» (本邦に於けるとうがらしの品種分化) [La differenziazione delle varietà di peperoncino in Giappone] edito sulla rivista Enghei gakkai zasshi (園芸学会雑誌) [Giornale della Società giapponese per le Scienze orticole]29 si avanza un’altra ipotesi, e cioè che l’introduzione della spezia insieme al tabacco debbano attribuirsi ai portoghesi indicativamente alla fine del sedicesimo secolo.30 Una nota nell’en ciclopedia

25 Ho, 1955, pp. 191-201.26 reeves, 2008, pp. 18-19.27 yamamoto, 2013, pp. 38-42.28 Satō, 1832.29 Kumazawa - Hoara - niucHi, 1954, pp. 152-58 (risorsa elettronica).30 L’introduzione del tabacco da parte dei portoghesi sembra essere confermata dalla parola

giapponese tabako, ripresa dal termine portoghese tabaco. L’uso del tabacco dovette diffondersi

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coreana Jibong yuseol [discorsi attuali di Jibong] del 1614 riferisce che la spezia sarebbe stata introdotta in Corea dai giapponesi.31 Ancora Sota Yamamoto, ana-lizzando la diffusione del Capsicum frutescens sostiene che tale specie, diffusa in Giappone solo nelle Ryūkyū e nelle isole di Bonin ab bia seguito l’itinerario dall’Indonesia, passando per le Filippine o Taiwan, o direttamente dall’Indonesia verso le Ryūkyū, e dall’Indonesia passando per le Mariane verso le Bonin. Nelle Ryūkyū i frutti maturi di Capsicum frutescens vengono lasciati in infusione nel Shōchū32 per creare il condimento piccante Koregusu. Nelle isole Bonin i frutti maturi e a volte immaturi vengono schiac ciati nella salsa di soia per creare un condimento piccante da usare col pesce crudo.33

La specie chinense, causa il suo nome, crea ancora qualche imbarazzo sul luogo di origine. Jacquin come abbiamo sottolineato precedentemente repu-tava la pianta nel 1776 di origini orientali anche se poi lo stesso, nella sua descrizione, ammetteva di averla vista in coltura in Martinica.34 Cosa lo spinse a una tale conclusione?

Emil Bretschneider nell’opera History of European Botanical Discoveries35 del 1898, ci fornisce qualche possibile indizio, alla voce Capsicum sinense cita due opere riportandone il testo. La prima è Hortus Botanicus Vindobonensis di Jacquin, in seconda battuta cita invece la Encyclopédie méthodique: bota­nique.36 In quest’ ultima, la pianta viene denominata Piment de Chine oltre che Capsicum sinense e veniva descritta come pianta che cresce naturalmente in Cina.37 Nella descrizione viene riportata la fonte della comunicazione, co-municazione avvenuta da parte di Pierre Sonnerat (1748-1814) ad uno dei due curatori dell’Encyclopédie, Jean-Baptiste Pierre Antoine de Monet de Lamarck (1744-1829).38 Sonnerat, naturalista ed esploratore, vantava di versi

presto come dimostra un’annotazione del 7 agosto 1615 sul diario del capitano inglese Richard Cock, capo dal 1613 al 1621 della fattoria inglese a Hirado, nei pressi di Nagasaki, che riporta l’ordine del daimyō locale di bruciare tutto il tabacco in deposito e di estirparne le piantagioni: lauFer, 1924, pp. 1-2.

31 yamamoto, 2013, p. 38.32 Bevanda distillata giapponese.33 yamamoto - nawata, 2005, pp. 18-28.34 «CAPSICUM CHINENSE. A patria nomen stirpi indidi, quam a ‘congeneribus Linnæanis

arbitror specie diversam [...] In insula Martinica cultam vidi, fructusque in usum culinarem adhibitos»: jacQuin, 3, 1776, p. 38.

35 BretscHneider, 1981, pp. 120-22.36 lamarcK - poiret, 1783-1808.37 lamarcK - poiret, V [1804], pp. 326-27.38 Nello specifico Lamarck fu il curatore unico dei primi quattro volumi degli otto totali

della Encyclopédie méthodique: botanique, dal volume quinto all’ottavo venne affiancato da Jean Louis Marie Poiret (1755-1834).

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viaggi in Asia dove veniva mandato dal governo francese per motivi prin-cipalmente commerciali, intorno al 1774 partiva anche per la Cina e altre mete in Asia orientale.39 Verosimilmente Sonnerat durante i suoi viaggi, oltre a riferire al governo francese, manteneva corrispondenza costante con Lamarck, che infatti inseriva le sue notizie e comunicazioni nella Encyclopédie. Una possibile chiave di lettura potrebbe essere che Jacquin acquisiva informazioni sull’origine cinese della pianta proprio da Lamarck o direttamente da Sonnerat, che all’epoca della pubblicazione del terzo volume dell’opera Hortus Botanicus Vindobonensis, 1776, dove è presente la descrizione del Capsicum chinense, fosse già partito alla volta dell’Asia orientale da due anni, ovvero nel 1774.

Alcune vecchie ascrizioni botaniche hanno fatto supporre che il genere Capsicum fosse originario dell’Asia orientale, parliamo qui del genere Tubo­capsicum, appartenente alla famiglia delle Solanaceae e alla sottofamiglia delle Solanoideae, come il Capsicum. Il genere Tubocapsicum è confinato in Asia orientale, comprende due specie, il diffuso T. anomalum presente nella Cina meridionale, Taiwan e Filippine, e il poco conosciuto T. obtusum pre sente in Giappone. A causa di caratteristiche simili il genere Tubocapsicum e il genere Capsicum hanno fatto spesso pensare ad una parentela. Tuttavia lo studio di D’Arcy et al. [2001] sul Tubocapsicum considera questo genere più strettamente legato ai generi Aureliana e Withania, il primo appartenente alla tribù Capsiceae il secondo alla tribù Physaleae, stessa in cui viene ascritto il Tubocapsicum.40

La separazione del genere Capsicum da altre Solanaceae41 come il pomo-doro e la patata risalirebbe a circa 36 milioni di anni fa. Ulteriori modificazioni genetiche del Capsicum risalirebbero a circa 300 mila anni fa e avrebbero portato il Capsicum ad avere circa un 81% del genoma costituito da sequenze genetiche mobili, ossia sequenze che non hanno una posizione fissa sul cro-mosoma che le ospita.42

Degna di menzione è la diatriba viva storicamente e che riprese vigore negli anni ’50 sulla presenza di specie vegetali propriamente americane pre-senti in Cina e più generalmente nel sud-est asiatico prima dell’approdo degli Europei in America, ipotesi che sottende la più ampia teoria sui con-tatti tra popolazioni asiatiche e precolombiane. La speculazione in tempi recenti prendeva le mosse da un contributo di Berthold Laufer (1874-1934), presentato alla quindicesima sessione del 1906 del Congresso Internazionale

39 sonnerat, 1782.40 d’arcy et al., 2001, pp. 77-78.41 Le Solanaceae apparsero circa 156 milioni di anni fa, poco dopo la differenziazione tra

monocotiledoni e dicotiledoni.42 Qin et al., 2014, pp. 5135-5140.

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degli Americanisti, dal titolo «The Introduction of Maize into Eastern Asia». Laufer bollava categoricamente come priva di fondamento e basata su errata interpretazione di fonti storiche la teoria di una preesistente presenza di alcune specie vegetali americane in Asia orientale prima di Colombo, come il mais. Nonostante ciò, alcune sue fonti e indicazioni furono di sostegno ai diffusionisti radicali per sostenere l’esatto contrario.43 Per esempio, venne usata come pretesto la rapida diffusione del mais in Cina44 seguendo la testi-monianza riportata da Gonzales de Mendoza nella Historia de las cosas más notables, ritos y costumbres del gran reino de la China pubblicata a Roma nel 1585, di Martín de Rada (Harrada) (1533-1578) che testimoniava una enorme quantità di mais, inverosimile per un prodotto appena importato, inviata come tributo all’imperatore, testimonianza ritenuta dallo stesso Lau fer poco attendibile relativamente alla quantità di tale tributo.45 Il testo di Lauf-er lasciava tuttavia adito a più aperte letture. da queste prendevano il via diverse pubblicazioni espressamente diffusioniste, solo per citarne alcune: l’articolo di Charles Stonor e Edgar Anderson (1897-1969) «Maize among the hills peoples of Assam»,46 quello di George F. Carter «Plant Evidence for Early Contacts with America»47 e il volume di Thor Heyerdahl (1914-2002) American Indians in the Pacific: The Theory Behind the Kon­Tiki Expedition in cui veniva spiegato il motivo del viaggio intrapreso dallo stesso Heyerdahl nel 1947, su una zattera costruita con legno di balsa, dal Perù alla volta della Polinesia francese, sospinto dagli Alisei, a dimostrazione della fattibilità di viaggi e contatti transpacifici precolombiani con imbarcazioni primitive.48 Joseph Needham (1900-1995) nel quarto volume dell’opera Science and Civi­lisation in China affrontava l’argomento dedicando 13 pagine ricche di note e riferimenti bibliografici ai possibili contatti tra le civiltà precolombiane e la Cina.49 Citava inoltre come primo fautore della tesi e di tutta la querelle successiva Joseph de Guignes (1721-1800), che nel 1761 affermava di avere evidenze di contatti tra l’America precolombiana e la Cina,50 tre anni dopo aver affermato che i Cinesi erano una colonia degli antichi Egizi.51 Sempre

43 lauFer, 1907, p. 224.44 lauFer, 1907, p. 228.45 lauFer, 1907, pp. 235-36.46 stonor - anderson, 1949, pp. 355-404.47 carter, 1950, pp. 161-82.48 HeyerdaHl, 1952.49 needHam, 1971, pp. 540-53.50 de GuiGnes, 1761, pp. 503-25.51 de GuiGnes, 1760.

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Needham in collaborazione con Gwei-Djen Lu (1904-1991) nel 1985 dedicava un intero volume all’argomento: Trans­Pacific Echoes and Resonances; Li­stening Once Again.52 La questione arriva fino ai giorni nostri, dove nuovi studi basati su metodi scientifici, come le analisi al radiocarbonio e del Dna di reperti archeologici, ravvivano la questione. È questo il caso di un saggio inserito nei Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America [2007] dal titolo «Radiocarbon and DNA evidence for a pre-Columbian introduction of Polynesian chickens to Chile». Questo suggestivo articolo da analisi del DNA e al radiocarbonio confermerebbe la presenza di polli (Gallus gallus) in America latina almeno dal 1300-1400. Ossa di pollo recuperate dal sito archeologico El Arenal-1 situato nella penisola di Arauco in Cile e analizzate con l’ausilio di tali tecniche rivelerebbero la preesistenza dei volatili in tali territori, polli ipoteticamente importati dal sud-est asiatico tramite contatti tra popolazioni antecedenti all’arrivo degli Europei.53 Tuttavia tale studio è stato parzialmente rivisto nel 2014, sembra infatti che le ossa analizzate fossero contaminate da DNA più recente e che ciò ne abbia falsato i risultati.54

Ciò detto, è appena il caso di far notare che la bibliografia sull’argomento è piuttosto vasta e andrebbe raccolta in un unico volume.

52 needHam - lu, 1985.53 storey et al., 2007, pp. 10335-39.54 tHomson et al., 2014, pp. 4826-31.

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