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SiN, 1. Un destino glorioso - Martin Blackmore

Mar 15, 2016

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Casini Editore

SiN è la storia di una sfrenata corsa verso la celebrità. È il racconto di giovani ragazzi dal talento istintivo determinati a raggiungere la gloria. Tutto ha inizio con l’incontro tra la chitarra del protagonista ed Excel, bassista punk fuori dagli schemi. I due saranno la spina dorsale del gruppo rock Starlight Machine e ognuno di loro sacrificherà e rinuncerà a qualcosa – amore, amicizia, affetti, integrità – pur di conquistare il suo spazio sotto i riflettori del palcoscenico. Il rock come malattia. Il successo e tutto ciò che esso implica come unico obiettivo. Il patologico, deviato, osceno e putrido tentativo di raggiungerlo a ogni costo. Questo, in poche parole, è SiN. Il romanzo non va letto, ma ascoltato. Perché il linguaggio che ci guida attraverso questa parabola è quello universale della musica. SiN, più che un guitar hero lussurioso e goliardico, è un maledetto che ci urla dal sottosuolo. SiN è la parte peggiore, eppure così viva e sensuale, di ognuno di noi.
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© 2010 Valter Casini Edizioniwww.casinieditore.com

ISBN: 978-88-7905-155-2

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SIN

Un destino glorioso

Martin Blackmore

Casini Editore

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La fisso senza dire una parola, per non so quanti secondi. Poi, finalmente, la tipa della reception mi porge i maledetti in-cartamenti e, snervata dalla mia lentezza, li ripone sul bancone. Ma io non riesco nemmeno a toccarli. Sono come paralizzato. Lei storce il naso.

Al che sento un brivido tra le cosce. Il gelo mi sfiora i reni e in un secondo è alla nuca, dietro le orecchie. Le spalle hanno uno spasmo e credo che sto per vomitare in faccia alla stronza. Poi per fortuna mi riprendo, torno in me, e riesco a inventarmi un ghigno per risponderle. Quindi afferro questa fottuta car-petta gialla, biascico un addio e abbandono questo posto per sempre.

Per strada ripenso a quello che ho fatto e a quello che non ho fatto, agli errori, decisamente troppi, e alle cose che ho per-so. Ripenso a quelle voci e a quegli echi. Ma non c’è tempo di mettere ogni cosa a suo posto. Sono già davanti casa.

Apro la porta e la prima cosa che il mio sguardo incontra è un viso sorridente. È bello tornare e trovare qualcuno che ti aspetta, anche se non è una persona in carne e ossa, anche se è solo il gigante con la faccia da gnomo del primo vinile dei Gentle Giant. Gli dico: — Ehi, ciao tesoro, sono tornato.

Lui non risponde e diventa serio.Per prima cosa vuoto il cestino di metallo dai fogli appal-

lottolati che conteneva. Poi lo rimetto a suo posto. Quindi apro lo Zippo e lascio che un’avida fiammata cominci lentamente a

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divorare la fottuta carpetta gialla. La getto nel cestino ancora infuocata. La fisso ardere per qualche minuto. Il suo odore è buono e, per quanto debole, ne sento il calore sulle braccia.

Quindi mi verso un whisky, ma sono costretto a sputarlo un attimo dopo. Non mi credevo capace di comprare roba così scadente! Io bevo solo Talisker, o al massimo Bushmill. Deve averlo comprato quel tossico di Ozzy. Tossico e anche morto di fame, lo stronzo. Appena lo vedo gliene dico quattro, cazzo! Può annaffiarci le piante con ’sto schifo.

Però, a pensarci meglio, in questo istante ho proprio bisogno di un drink. Quindi, in mancanza di altro, diluisco questo whi-sky scadente con acqua e ghiaccio. Il bicchiere suda e si fonde con la polvere del tavolo di vetro: qui nessuno pulisce da anni.

Sprofondo nella poltrona, beato. Sorrido, vedo il riflesso del mio sorriso sullo schermo spento. Qualcosa del mio viso non mi convince, smetto di sorridere.

Il ronzio del frigorifero è sonoro, un drone ipnotico che pre-domina su tutti quegli altri rumori che, solitamente, permeano qualsiasi costruzione umana, come spifferi o gocciolii. Forse Ozzy è in casa, ma forse quello che sento sono solo gli scric-chiolii di eterno assestamento delle travi marce, perché non escludo che durante la mia assenza il coinquilino possa anche essere morto. Magari di overdose, che banalità.

Poi Ozzy spunta da sotto la madia, ha un topo rantolante in bocca. Mi guarda come per chiedermi che deve farsene di quel topo e lo chiede proprio a me che odio chi non è in grado di prendere una decisione. Sì, lui mi fissa e d’altronde potrebbe stare così per ore, come tutti i maledettissimi e pazientissimi gatti!

Alla fine gli dico di levarsi dalle palle, perché ho bisogno di silenzio per riuscire a scindere il passato dal presente.

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Andiamo con ordine. Cominciamo dall’inizio. Certo, non è il modo più originale di cominciare, ma d’altronde non sono mai stato molto interessato a essere originale. Quindi, ’fancu-lo, sì, io comincio dall’inizio, o almeno da quello che per me è stato l’inizio di tutto, il momento nel quale ho intrapreso il mio cammino.

È il 1988. Sono a scuola. Ho solo diciassette anni, eppure ne ho già le tasche piene della vita. Non che abbia vissuto par-ticolari traumi o peripezie, ma mi sento stufo e spossato come se tutto il vissuto, fino a quel momento, l’avessi trovato privo di logica. Per questo non sono proprio quel che si dice un tipo solare. Ho pochi amici, perché i coetanei mi sembrano marma-glia e non mi va di cagarli. E quei pochi amici che ho non sono compagni di classe e abitano tutti fuori città, motivo per cui li vedo davvero di rado.

Sì, si può dire che sono un solitario. Ma non un solitario di quelli incompresi e tristi o di quelli auto-commiseranti che passano le giornate sulla spiaggia d’inverno a scrivere poesie sull’amore ideale che non si può realizzare. No, tutt’altro. Io sono piuttosto una di quelle persone che si emarginano intenzio-nalmente e che vivono bene la propria autonomia. Sono felice di parlare con voi, di non sprecare fiato e formalità con tutti per amore di una “buona educazione” che per me è pura ipocrisia, o paura delle reazioni altrui. E poi sto con una ragazza, Bianca, che è una gran figa, quindi non sono certo uno sfigato.

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La ricreazione la trascorro comunque da solo, la maggior par-te delle volte. Deambulo senza meta nel cortile, sempre affollato da questa marmaglia informe, priva di interessi, gente destinata a dimenticare la propria passione, se mai ne ha avuta una. Ma il peso della mia passione è troppo perché io conviva con loro. Ogni volta che – per errore – comincio a parlare con loro della mia passione, ecco, finisce che mi incazzo.

Detesto quella loro espressione beota mentre mi ascoltano. Non sanno mai che dire quando azzardo a parlare di musica con loro. Due o tre nomi, le cose più banali, gli album più banali, e comunque ascoltati senza piglio. Io dopo un poco devo andar-mene o gli spaccherei il cranio. E le cose procedono in questo modo per i primi tre anni di studi liceali.

Poi, un giorno, capita qualcosa di inusuale, persino imbaraz-zante a raccontarla. Il fatto è che vedo ’sto tipo e che a pelle l’impressione è ottima. È vestito come un testa di cazzo, questo è vero, ma – a parte il look – non posso negare che si staglia sulla massa. Deve aver vissuto, il tipo, non è uno dei pischelli che af-follano la mia scuola. Lo si capisce da come gesticola, da come tratta la gente, da come si muove negli spazi.

Ha vissuto il tipo, ne sono certo, deve averne vissute di espe-rienze. Dev’essere persino morto e risorto. Nel suo sguardo si legge il superamento di Dio. E nelle sue mani la prontezza a reagire.

Lo vedo spesso solo, come me d’altronde. Ma lo vedo altret-tanto spesso in compagnia. E la gente con lui è felice, diverti-ta, appassionata. Con lui si divertono, è evidente. Dev’essere “simpatico”, nonostante il suo look da becchino. Ma d’altronde è anche la nuova moda. O forse sono io che sono già vecchio.

In ogni caso decido di soddisfare la mia curiosità, di capire se ci ho visto giusto, di capire se il mio intuito funziona. E, per quanto mi irriti l’idea di cominciare a parlare così dal nulla, mi metto in testa che voglio conoscerlo.

In questo istante lui sta fumando in disparte, quindi deci-do di approfittarne e gli vado incontro. Ma quando gli leggo quel nome ridicolo sulla maglietta la prima cosa che scappa di dire è: — Ramones? Non hai l’aspetto di un punk.

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— Non sono un punk — mi risponde impassibile. — Ascolto i Ramones, ma non sono un punk. Ascolto un milione di cose, io.

— Allora indossa una maglietta con scritto un milione di cose, ma non Ramones, ti prego.

Mi scruta e non risponde nulla. La mia battuta è divertente quanto irritante, eppure lui né ride né si indispone. Ciò che è certo è che non ha paura di me. Avevo ragione, dev’essere morto e risorto.

Mi scruta e non ha paura di me, ma non vuole nemmeno ri-spondere alla mia provocazione. Questo è il punto. Dopo qual-che secondo di silenzio aggiunge solo: — Non è una cattiva idea, secondo me dovresti fare il pubblicitario, da grande.

E lo dice con un tono meccanico, determinato, fiacco. Dopo-diché si alza lentamente dalla panchina e se ne va, senza salutare.

Osservo la sua camminata sghemba, e so per certo che se adesso mi scagliassi contro di lui per pugnalarlo alle spalle, ecco, sono certo che lo stronzo avrebbe la prontezza di colpirmi per primo. Perché ora so di aver visto giusto su di lui. È un tipo in gamba e i tipi in gamba sono rari, quando li vedi li riconosci subito.

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Mi capita di fissare Bianca e di non riconoscerla. Succede ogni volta che non la sento cantare da troppo tempo, e per troppo tempo intendo anche due ore, e per cantare intendo anche cantic-chiare, o fischiettare.

È come se a un tratto vedessi il suo viso come sarà tra trenta, quaranta, a volte cinquant’anni. Una vecchia, una ragnatela di rughe, la caricatura di un essere umano giovane. Non riesco a togliermi quest’allucinazione dalla retina e per un attimo non la riconosco più. Anzi, ne sono quasi disgustato, la trovo repellen-te. E smetto di amarla, improvvisamente, la dimentico.

Poi, fortunatamente, Bianca ricomincia a cantare. E lì ogni volta è un brivido. La camicia bianca le asseconda il diaframma. Il vento le culla la voce. Le fronde degli alberi oscillano al ral-lentatore. E mi sembra che la natura le sia riconoscente almeno quanto lo sono io.

La sua voce non è perfetta. Tecnicamente è discreta, ma non è perfetta. Il timbro è caldo, blues, a volte rauco. I suoi acuti non sempre sono intonati e se l’arrangiamento è difficile nelle improvvisazioni sbaglia pure qualche scala. Ma c’è qualcosa che un critico musicale non conoscerà mai, ed è l’empatia che per-mea la musica al di là delle registrazioni in studio e della storia. L’empatia è la vera musica. Parlo di quando qualcuno canta per te, guardandoti negli occhi o fingendo distrazione, o portandoti in un posto appartato per sussurrarti un pezzo che ha scritto per te o una canzone che amate entrambi. Ecco, tutto questo non può

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essere catalogato, né paragonato. In questo senso la più grande produzione musicale dell’uomo riguarda i rapporti intimi. La più grande produzione musicale dell’uomo non è mai stata registra-ta, per fortuna.

Quando ascolto Bianca so per certo che è lei, so perché me ne sono innamorato. I pezzi che facciamo insieme sono quelli di Joni Mitchell, Joan Baez, Janis Joplin, Nico, Patti Smith, ma anche di Bob Dylan o dei Rolling Stones.

Io l’accompagno con la mia Martin, e il più delle volte mi impegno a rendere gli arrangiamenti in modo fedele, coinvolto, anche se questa non è certo la musica che amo di più. La rispet-to, ma non è la mia strada.

Eppure in quegli istanti è irrilevante. Bianca canta e tutto il resto diventa irrilevante. I suoi lunghi capelli chiari diventano un pentagramma. Lo vedo chiaramente, disegnato nell’aria. I suoi occhi profondi, il naso e le labbra arroganti diventano note. Posso scriverle su di lei, sul suo corpo desiderabile. Il suo corpo è poesia. Ma, se devo essere sincero, è quando interpreta Jim Morrison che mi viene duro all’istante.

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Io credo che se, nella vita, hai la fortuna di ritrovarti ad avere una passione, una qualsiasi, allora devi seguirla a ogni costo. E che sia la più grande della cazzate è irrilevante. C’è tanta gente che si appassiona a cazzate, a me fanno un po’ pena, però almeno la loro vita ha un senso, li preferisco a chi non ha alcun interesse.

Se poi la tua è una passione di tutto rispetto, allora devi obbli-gatoriamente, tassativamente seguirla. Parlo di fotografia, pittu-ra, teatro o quel che vuoi, ma soprattutto della musica, indubbia-mente la più grande arte di tutte. E forse la più ardua. In miliardi ci provano, in miliardi cadono sul campo di guerra durante il tragitto. Ma è un bene, è giusto, è così che deve essere: è la legge del più forte, del più potente. L’importante è non mollare finché hai sangue nelle vene!

Eppure la maggior parte delle persone molla prima del tem-po, magari perché prima o poi arriva uno stronzo a dirgli che è roba da idealisti, aspirare al gotha della storia della musica. E la maggior parte delle persone, che d’altronde è composta da sfigati, insicuri e falliti, gli crede, a questo stronzo, che magari va in giro a scoglionare gli altri unicamente perché a suo tempo ha fallito anche lui. Ma se lo stesso stronzo provasse a fare a me questo discorso, io lo stenderei con un pugno e lo prenderei a calci nelle palle fino a fargliele sputare e poi ancora, fino a fargli cambiare sesso.

Sono disposto a qualsiasi sacrificio per il rock, figurarsi se mi creo problemi a pestare chi vuole intralciarmi. Perché per me il rock non è una semplice passione, ma è molto di più: il rock è

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espressione, denuncia, rivolta, violenza, gioia, sesso e sangue. Il rock è la voce migliore che l’uomo abbia mai avuto dall’inizio della sua stupida storia.

Che sia blues, rhythm’n’blues, rock’n’roll, hard rock, Prog, heavy metal, è irrilevante.

Da sempre il rock parla all’uomo dell’uomo, guidandolo e illuminandolo come nessuna religione ha saputo fare. Anzi, di-rei che il rock è un’anti-religione, perché così come le religioni non fanno altro che castrarti, con mille regole morali del cazzo, il rock ti vuole vivo, peccatore, il rock vuole il meglio per te. Il rock è l’unico Dio che ci ama davvero.

Era il 1983 quando il rock divenne il mio culto. Ricordo per-fettamente quei giorni, quel giorno nello specifico, quel 15 mag-gio del 1983. Affibbiandomi allo Zio, i miei mi stavano facendo un regalo enorme, anche se indirettamente.

Avevo undici anni ed ero ancora un pischello, non sapevo molto della vita, e anche fisicamente non ero molto sviluppato: avrei fatto un salto di qualità un paio d’anni dopo, recuperando in altezza e durezza quella mia infanzia da potenziale sfigato. Ai tempi ascoltavo i Led Zeppelin. Uno dei miei pezzi preferiti era Friends. Ma, come ho già detto, ero ancora l’embrione di me stesso.

Quando misi piede nel regno dello Zio la mia mente si aprì. Ricordo una chiara sensazione di vertigine, dal basso della mia altezza, rivolta alle cime di quelle librerie. Quello sbarellato del-lo Zio aveva una collezione di vinili sterminata, roba da record. Tutto catalogato in ordine cronologico e poi alfabetico, registra-zioni rare, cassette private raccattate chissà dove: un vero mu-seo.

Già dai primi giorni fui calamitato dal salone. Il resto del-la casa non m’interessava, era come se non esistesse. Ci avrei mangiato, dormito e pisciato nel salone, se lo Zio me l’avesse consentito. Me ne stavo là, su quel grande tappeto che al tatto era soffice quanto sporco, e ascoltavo di tutto, per ore e ore.

Già da allora, senza una vera coscienza, il mio approccio di-venne a poco a poco metodico, finalizzato, e non un discorso di

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puro intrattenimento. Già allora, senza una vera coscienza, stavo preparando le fondamenta per dar sfogo alla mia passione.

Ancora oggi, anche se la mia ricerca si è spinta ben oltre la collezione dello Zio, ho a disposizione il suo immenso archivio storico. E ne sono felice, perché fu questo il privilegio, fu il po-ter toccare con mano l’albero genealogico del rock, già da picco-lo, dandomi la certezza che ne sarei diventato la prossima foglia.

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Mio Zio dice che Robert Wyatt ha ucciso il rock nel 1974. In-nanzitutto, io non credo che Rock Bottom sia un disco rock. Con tutto il rispetto, credo che Wyatt al massimo abbia fatto fuori le proprie gambe, e magari qualche neurone, ma di certo non il rock. Anche perché in quegli anni, grazie a gente come gli Iron Butterfly, i Black Sabbath e i Judas Priest, in quegli stessi anni nasceva il metal. E dal ’74 a oggi sono nati Rainbow, AC/DC, Iron Maiden, Motörhead, Def Leppard e Black Flag!

E ancora oggi, a quattordici anni dal volo di Wyatt da quel terzo piano, i Mötley Crüe ti sparano una bomba come Girls, Girls, Girls. E mentre molte band storiche scaricano ancora de-cibel a tutta potenza, nascono gruppi come i Soundgarden che, a prescindere dai gusti, testimoniano che il metal è vivo e vegeto.

Tra i nuovi arrivati, trovo che neanche i Blind Guardian di Battalions of Fear siano male, anche se non mi convince il can-tante, sarà perché sono tedeschi. E poi ci sono i Metallica, cazzo, con quel capolavoro di Master of Puppets. Certo, è trash e speed, e qualcuno storce il naso, ma è comunque metal. Così come, pur citando Alice Cooper, sono trash anche gli Anthrax. E anche i Melvins, perché no, con un altro Osbourne a metà tra i Black Sabbath e i Black Flag. In ogni caso, dico, questa è musica adul-ta e, di certo, tutt’altro che postuma.

Ora, con tutto questo movimento, come si fa a dire che il rock è morto? Forse sono morti il progressive e la psichedelica, nel senso che hanno dato quel che potevano dare. Ma se mio Zio non ha orecchie per quello che è nato dopo il ’74, se mio Zio

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preferisce annaffiare gigli bianchi sui suoi vinili di Gong, Cara-van e compagnia bella, beh, insomma, saranno anche cazzi suoi.

Insomma, voglio dire, c’è modo e modo di seguire la propria passione. Se seguirla significa fare come lo Zio, no, a questo punto non so più se sia un bene. Essere così fanatici, ottusi, chiu-si alle novità, no, questo decisamente non è un bene. Bisogna sempre essere pronti ad approfondire, a esplorare, a ingoiare tap-pandosi il naso, se è il caso. Bisogna assaggiare tutto, prima di vomitarlo.

Io – ad esempio – credo che lo ascolterei pure il punk, la parte più dura del punk, quello insomma imparentato al metal, magari tramite i Venom. Sì, potrei persino ascoltarlo il punk, se non mi stessero sulle palle i punk. Nichilisti, arroganti e noiosi, i punk ti guardano sempre con distacco.

So che pensano che della musica sia importante solo la rabbia sociale e che gli arrangiamenti siano tempo perso. Anche per questo non li capisco, né mi piacciono, io che amo le strutture melodiche e armoniche, io che amo la musica potente ma com-plessa.

Eppure, anche se il tipo con la maglietta dei Ramones è molto vicino a questo stereotipo del punk, in qualche modo, a pelle, l’impressione è ottima. Il tipo mi incuriosisce e non posso farci niente.

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Guardo la sua camminata sghemba, dicevo, e so che se mi dovessi scagliare contro di lui per pugnalarlo alle spalle avrebbe la prontezza di colpirmi per primo. So di aver visto giusto su di lui. Dev’essere morto e risorto. Per questo, per evitare di avere uno zombie nella schiera dei miei nemici, il giorno dopo torno da lui e mi presento.

Dice di chiamarsi Excel. Io non riesco a trattenermi e chie-do quello che chiederebbe chiunque. Gli chiedo se quando sua madre ha deciso il suo nome era per caso ubriaca o drogata, la poveretta.

Lui mi tratta come un pischello. Anche stavolta non ride no-nostante la mia battuta, secondo me, sia più che buona. No, lui non ride. Dice che suona il basso in un gruppo hardcore da quan-do aveva tredici anni e che quello, nell’ambiente, è il suo stage name.

Forse crede che questo lo legittimi a presentarsi come Excel anche negli ambienti pubblici, dove secondo me dovrebbe esse-re illegale presentarsi con un nome inventato.

Excel, dico, ma stiamo scherzando? Nemmeno somiglia a un nome, al massimo può essere il titolo per un videogioco! Eppure non voglio fare polemica, voglio essere simpatico, cerco la sua amicizia, anche se a denti stretti.

— Guns N’Roses? Un altro dei tuoi gruppi punk del cazzo? — rido, ma non risulto simpatico.

— Davvero non hai nulla di meglio da fare che leggere le mie

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magliette? Non ti puoi permettere un libro? Se vuoi ti presto qualcosa, che so, un abbecedario? O magari ti basterebbe fare un giro, a leggere i cartelloni pubblicitari. O magari i cartelli stradali, forse è ancora meno impegnativo.

È lì che mi immobilizzo a guardarlo. Excel ha detto tutto ciò che ha detto senza prendere fiato, scandendo velocemente le pa-role, ottenendo un effetto violento, come un’onda d’urto di paro-le. Qualcosa che non credo saprei fare, essere violento a parole, senza essere volgare.

Fatto sta che mi ha spiazzato. E dallo stomaco mi risale come vomito, dolciastro e verde, una frase terrificante come: — Hai ragione. Ti chiedo scusa.

In quell’istante sento le budella che si intorcinano. Spasmi al ventre. Tremo. Ho crampi su tutto il corpo. In sedici anni non avevo mai chiesto scusa prima, a nessuno. E meno che mai pro-nunciato quella frase assurda, «Hai ragione».

A quel punto sento il profondo desiderio di ucciderlo. Lui e il suo soprannome del cazzo. Lui e le sue magliette punk. Lui e l’audiocassetta dei Guns N’Roses che mi sta porgendo in quest’istante.

Eppure, nonostante non ascolti punk, io, nonostante il mio desiderio sia quello di afferrare l’audiocassetta e sbriciolarla sotto le mie scarpe, non so che mi succede, ma gliela strappo di mano, me la infilo in tasca e vado via senza aggiungere altro.

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Quando Bianca smette di cantare ho sempre paura. Temo che il suo viso si trasformi in quello di una vecchia, in una ragnatela di rughe, nella caricatura di un viso giovane. Perché va detto che è bellissima Bianca, va detto che di lei non amo solo la voce. Di lei amo gli occhi e le labbra, i capelli sempre profumati e il collo lungo. Ma anche il seno turgido e i capezzoli chiari, le sue cosce tornite e il suo culo da concorso. Ma anche l’arroganza, la so-verchieria, la durezza e la dolcezza, e ogni altra cosa. Insomma, tutto in lei è perfetto.

Non ne cambierei una virgola. E ammiro la sua passione per la fotografia, per Tina Modotti in particolare. Non che me ne freghi molto della fotografia, ma ammiro che Bianca segua la sua passione, la stimo per questo. E poi, in qualche modo, riesce sempre a stupirmi, come quella volta che mi ha regalato il singo-lo di 2 Minutes to Midnight degli Iron Maiden.

Lei gli Iron Maiden non li aveva mai voluti ascoltare, proprio non li digerisce, anche perché in realtà non ne capisce molto di heavy metal, in genere. Eppure, è andata a beccare proprio la mia canzone preferita dei Maiden. Non so come abbia fatto. È stato allora che ho capito che Bianca è sempre molto attenta a ciò che dico, ai nomi che faccio, a prescindere dal suo livello d’interesse. Questa premura mi lusinga, mi fa felice, è una cosa davvero gratificante sapere che la persona con cui stai è sempre attenta alle tue parole. È una cosa che io non sono minimamente in grado di fare quando parla lei.

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E comunque. Nel singolo c’erano anche Rainbow’s Gold, una cover dei Beckett, un gruppo progressive talmente sconosciuto che non ce l’ha manco lo Zio, e l’inedito Mission from Arry, una conversazione tra McBrain, Harris e Dickinson. Insomma, roba curiosa, roba tosta che non avevo, e quindi, che mi fece proprio felice, cazzo!

Insomma, Bianca non è una ragazza come se ne trovano tan-te. Eppure sono certo che se diventasse muta scapperei da lei.

— Ti piacciono? — mi chiede. — Toccale, ti prego.— Sono più vellutate del solito.— È una carta speciale, si chiama politenata. Ha una vita bre-

ve, tende all’autodistruzione. Basta un po’ d’umidità e queste foto si creperanno.

— E qual è il vantaggio, allora? Torna alla carta normale, no?— Non durerebbero comunque in eterno. Ogni cosa deve mori-

re. Prima o dopo che importa?

Sbuffo, come ogni volta che Bianca fa la filosofa e tenta di deprimermi. Ogni tanto penso che se diventasse muta scapperei da lei, questo è vero. Ma ogni tanto penso anche che dovrebbe aprire bocca solo per cantare. O al massimo per amarmi.

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Lo so da me che ogni cosa finisce. Non ho bisogno che sia Bianca a dirmelo. I miei si sono separati nel 1982. Avevo un-dici anni. Da che avevo memoria, non hanno mai smesso di litigare. Quando mi spiegarono il senso della parola “divorzio” non ci rimasi male. Anzi, mi chiesi perché avessero perso tutto quel tempo a urlare.

Avevano entrambi un amante. Questo ovviamente io l’ho ca-pito anni dopo. Quando mi capitò di beccare mio padre, proprio a casa nostra, “abbracciato” a un’altra signora, più alta di mia madre, credo più giovane, e di guardarlo dieci minuti mentre le lisciava le gambe, prima di essere sgamato; insomma quella volta il disgusto fu accecante, ma al contempo non avevo idea del significato di quella cosa. Sapevo che faceva schifo, ma per assurdo pensai che fosse uno schifo normale, che succedeva in tutte le famiglie, una cosa che alla mia età non avevo il diritto di criticare e che avrei dovuto fare anche io da grande.

Non lo pensai ovviamente con la parola “tradimento”, ero ancora troppo piccolo: per me era solo la necessaria cattiveria che ogni uomo deve dosare nella propria esistenza.

Curiosamente questa cosa non mi fece sviluppare alcun ran-core nei confronti di papà, perché, come ho detto, anche mia madre aveva un amante, il che creava un certo equilibrio nelle parti. E sapevo che anche mia madre aveva un amante perché sì, non potrei giurarci, ma ho sempre avuto in mente un offu-scato ricordo di mia madre in ginocchio davanti a un tizio. E non gli stava lucidando le scarpe.

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Ma di questi siparietti erotici mi importò, e mi importa, poco e nulla. Non credo di aver subito alcun trauma. Ai tempi, come ho detto, metabolizzai il tutto in silenzio, con una sorta di stoi-cismo che forse avevo innato.

Il problema vero fu piuttosto che entrambi gli amanti dei miei avevano già un figlio, il che significò che per me non c’era più spazio. E fu così che mamma e papà furono costretti ad affibbiarmi allo Zio. Ma alla fine nemmeno questa rivoluzione familiare comportò traumi, bensì un sacco di vantaggi.

Sono capitato bene, devo ammetterlo. Lo Zio è la persona più calma del mondo. Ricordo bene di quella volta che gli è caduto un vasetto con un geranio sul piede e lui non ha fatto una grinza, non s’è incazzato. Certo, era un vaso piccolo, però gli è proprio esploso sull’alluce: ricordo un sacco di sangue, ma niente urla, solo parole a bassa voce che non ho capito, che for-se ai tempi ancora non conoscevo. Forse dipende dal fatto che gli cadono spesso gli oggetti di mano, quindi forse ormai ci ha fatto il callo, nel vero senso della parola.

Lo Zio si infervora soltanto una volta ogni tre mesi, quando viene a trovarlo un suo caro amico. È un tipo grassoccio, con dei grossi occhiali di tartaruga e un lurido gilet di camoscio su camicia a quadrettini.

Questo simpatico sfigato si presenta alla porta puntualmente, ogni tre mesi, come se avesse un appuntamento regolare con lo Zio. Si siede su uno dei due divani, sempre lo stesso, mi accarezza la testa senza dir nulla, si rolla del tabacco e prende un sospiro nostalgico. Poi comincia a parlare con lo Zio. E non finiscono più!

Discutono per ore, discutono per stabilire se è meglio, non so in base a quale criterio, Red dei King Crimson o Blonde on Blonde di Bob Dylan, se Cat food sia la versione jazz di Come Together, se il rock psichedelico l’abbiano partorito i 13th Floor Elevators o i Grateful Dead, e così via all’infinito. Ritornano regolarmente al tentativo di tracciare una distinzione tra generi e sottogeneri, di decidere chi abbia influenzato chi e chi abbia usato per la prima volta quel determinato effetto, o la sega mu-sicale o il theremin. Parlano tanto di musica da non interessar-

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sene più. Sono fossilizzati, confinati a più di dieci anni fa. Non capiranno mai che nel 1974 Wyatt non ha ucciso un bel niente.

Guardo lo Zio infervorarsi col suo amico. In qualche modo, anche se sono dei fossili, li ammiro. Anche loro seguono la pro-pria passione e per me questa è una cosa sacra. Se poi ricevessero la grazia di aprire gli occhi e scoprire Judas Priest, Iron Maiden, Motörhead o Mötley Crüe, allora sarebbero davvero in gamba.

Non dico che dovrebbero avvicinarsi al trash o allo speed, ma almeno scoprire che tra il ’70 e l’80 la tecnica chitarristica, ma anche la tecnica in generale, ha scoperto i suoi esecutori più sublimi. Lode a Hendrix, ma come si fa a non aver mai ascoltato Eddie Van Halen?

Se lo Zio e il suo amico sfigato esplorassero almeno fino agli anni ’80, dico! Magari diventerebbero grandi critici musicali. Magari metterebbero su una bella cover band di pezzi dei loro tempi, ma con qualche influenza più recente, attuale. Anche per-ché, da quel poco che ho sentito, mi sembra che le dita dello Zio sappiano correre sulla testiera di una chitarra. O potrebbero quantomeno fruttare la loro conoscenza per rimorchiare qualche disperata, dato che sono entrambi single. Ma purtroppo per loro, sono così ottusi che non andranno da nessuna parte.

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appendice

Estratto di SiN, Graphic Novel

Nightburst, dall’album Memory Lapse,Starlight Machine – 1990

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Continua...

A novembre in libreria.

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Casini Editore

I libri cambiano il mondo

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NightburstStarlight Machine

Memory Lapse: Beyond the Mistery of Timeh = 170

: 44SiN

1

: 44Syd

1

BB BB BB BB BB BBDH H

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

BB BB BB BB BB BBDH H

; 44Excel 1

: 44

Jordan

1 == BB BB BB BB B B BDL L ==

] 44Matt 1

h = 170

SiN

4

Syd

4

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

BB BB BB BB BB BBDH H

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

Excel 4 P P Q B BD

H =

Jordan

4 BB BB BB BB B B BDL L == BB BB BB BB B B BD

L L

Page 1/77

Matt 4 P P Q B B U B B U

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SiN

7 AAA P BBB BBB AAA Q BBB BBB BBBL

BB BB BB BB BB BBDL L

Syd

7

BB BB BB BB BB BBDH H

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

BB BB BB BB BB BBDH H

Excel 7

B B B B B BLH

Jordan

7 == BB BB BB BB B B BDL L ==

Matt 7 P

All

^

I

^

see

B

vanish

B

beyond

B

the

B

truth

BU

and

Ba

for

Ba

once

Bin

Ba

SiN

10 BB BBD BB BBF BB BB BDBDL

HBB BB BB BB BB BBD

L LBB BBD BB BBF BB R BDBD BB

L

H

Syd

10

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

BB BB BB BB BB BBDH H

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

Excel 10 BD B B BF B B BD

H H B B B B B BLH BD B B BF B R B B

H H

Jordan

10 BB BB BB BB B B BDL L == BB BB BB BB B B BD

L L

Page 2/77

Matt 10

my

Ba

life

Ba

I

Ba

know

Bwhat

Ba

I

Ba

should

Ba

understand

Ba

I

Bslowly

Ba

turn

Ba

down

Ba

my

Ba G

glance

B Q G

than

BL

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SiN

13 BB BB BB BB BB BBDL L

BB BBD BB BBF BB BB BDBDL

HBB BB BB BB BB BBD

L LSyd

13

BB BB BB BB BB BBDH H

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

BB BB BB BB BB BBDH H

Excel 13

B B B B B BLH BD B B BF B B BD

H H B B B B B BLH

Jordan

13 == BB BB BB BB B B BDL L ==

Matt 13

I

BU

forget

Ba

All

Ba

the

Billusions

Ba

and

Ba

all

Ba

the

Ba

memories

Bthat

Ba

my

Ba

dreaming

Ba

mind

Ba

has

Bcarefully

Ba

SiN

16 BB BBD BB BBF BB BB BDBDL

H

CC CC BB BB CC CC BB BB

Syd

16

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

BB BB BB BB BB BB BB BB

Excel 16 BD B B BF B B BD

H H B B B B B B B B

Jordan

16 BB BB BB BB B B BDL L

B B B B B B BD BF B B B B B BD

Page 3/77

Matt 16

set

Ba

no

Ba

regrets

B

the

B

view

B

of

B

life

B

was

B

high

Benough

Bto

Ba

rise

Ba

my

Ba

head

BAnd

Ba

Page 48: SiN, 1. Un destino glorioso - Martin Blackmore

SiN

18

CC CC BB BB CC BDB BBH H

CC CC BB BB CC CC BB BBSyd

18

BB BB BB BB BB BDB BBH H

BB BB BB BB BB BB BB BB

Excel 18 B B B B B BD BH H

B B B B B B B B

Jordan

18B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B BD

Matt 18

nobody

Ba

could

Ba

take

B

me

B

home

B

now

B

I

B

feel

B

your

Bmemory

Bhas

Ba

gone

Ba Ba

B Ba

SiN

20

CC CC BB BB CC BDBD BBDH H BB BB BB BB BB BBD

L L

Syd

20

BB BB BB BB BB BDBD BBDH H

BB BB BB BB BB BBDH H

Excel 20 B B B B B BD B

H HB B B B B BL

H

Jordan

20

B B B B B B B B B B B B B B B B B BD BF B B BD BF B B BDL

Page 4/77

Matt 20

Ba Ba B B B B B B B B B

U Ba Ba

B Ba

Page 49: SiN, 1. Un destino glorioso - Martin Blackmore

SiN

22 BB BBD BB BBF BB BB BDBDL

HBB BB BB BB BB BBD

L LSy

d

22

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

BB BB BB BB BB BBDH H

Excel 22 BD B B BF B B BD

H H B B B B B BLH

Jordan

22

B BD BF B B BD BF B BD BF B B BD AA B BD B B BD B B BD

Matt 22

Ba Ba B

aB Ba B

a Ba Ba

B Ba

SiN

24 BB BBD BB BBF BB R BDBD BBL

HBB BB BB BB BB BBD

L LBB BBD BB BBF BB BB BDBD

L

H

Syd

24

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

BB BB BB BB BB BBDH H

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

Excel 24 BD B B BF B R B B

H H B B B B B BLH BD B B BF B B BD

H H

Jordan

24 B B BD B B BD B B BD BQ Q

BL = B B B B B B BD

L L

Page 5/77

Matt 24

Ba Ba B

a GB Q GBL B

U Ba BaB Ba B

a Ba BaB Ba

Page 50: SiN, 1. Un destino glorioso - Martin Blackmore

SiN

27 BB BB BB BB BB BBDL L

BB BBD BB BBF BB BB BDBDL

HSy

d

27

BB BB BB BB BB BBDH H

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

BB BB BB BB BB BB BB

Excel 27

B B B B B BLH BD B B BF B B BD

H H B B B B B B B

Jordan

27 = B B B B B B BDL L

Matt 27

Ba Ba B

aB Ba BB

a Q Ba B B B B B B B BL

Ba Ba B

aB Ba

SiN

30 BB BB BB BB BB BB BBDL L

Syd

30

BB BB BB BB BB BB BB BDBD BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BDBD BB BB BB BB BB BBDH H

Excel 30

B B B B B B B BD B B B B B B B B B B B B B B BD B B B B B BLH

Jordan

30 =

Page 6/77

Matt 30

Ba Ba B

aB Ba

Ba Ba B

aB Ba

Ba B Ba B B

aBB Ba B B

Ua Ba BaB Ba

Page 51: SiN, 1. Un destino glorioso - Martin Blackmore

SiN

34 BB BBD BB BBF BB BB BDBDL

HBB BB BB BB BB BBD

L LBB BBD BB BBF BB BB BDBD

L

HSy

d

34

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

BB BB BB BB BB BBDH H

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

Excel 34 BD B B BF B B BD

H H B B B B B BLH BD B B BF B B BD

H H

Jordan

34 B B B B B B BDL L

= B B B B B B BDL L

Matt 34

Ba Ba B

aBBU Ba BU B

a Ba BaB Ba B

a Ba B B U U B B U

SiN

37 BB

Syd

37

BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BDBD BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BDBD

Excel 37

B B B B B B B B B B B B B B BD B B B B B B B B B B B B B B BD

Jordan

37

Page 7/77

Matt 37

Ba Ba B

aB Ba

Ba Ba B

aB Ba

Ba Ba B

aB Ba

Ba B Ba B B

aBB Ba B

Page 52: SiN, 1. Un destino glorioso - Martin Blackmore

SiN

41 BB BB BB BB BB BBDL L

BB BBD BB BBF BB BB BDBDL

HBB BB BB BB BB BBD

L LSy

d

41

BB BB BB BB BB BBDH H

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

BB BB BB BB BB BBDH H

Excel 41

B B B B B BLH BD B B BF B B BD

H H B B B B B BLH

Jordan

41 = B B B B B B BDL L

=

Matt 41

BUa Ba B

aB Ba B

a Ba BaBB Ba B B

a Ba Ba

B Ba

SiN

44 BB BBD BB BBF BB BB BDBDL

HBB BB BB BB BB BBD

L LBB BBD BB BBF BB BB BDBD

L

H

Syd

44

BB BBD BB BBF BB BB BDBDH H

BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BDBD

Excel 44 BD B B BF B B BD

H H B B B B B B B B B B B B B BD B

Jordan

44 B B B B B B BDL L

== AA BB B B BD

Page 8/77

Matt 44

Ba Ba B

aBB Ba B B B B

a Ba BaB Ba B

UBa Ba B

aB Ba

Page 53: SiN, 1. Un destino glorioso - Martin Blackmore

SiN

47 BB BB BB BB BB BBDL L

BB BBD BB BBF BB BB BDBDL

HBB BB BB BB BB BBD

L LBB BBD BB BBF BB BB BDBD

L

HSy

d

47

BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BB BDBD

Excel 47

B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B B BD B

Jordan

47

== AA AA == AA BB B B BD

Matt 47

Ba Ba B

aB Ba B B

Ua Ba BUa B B U B

a Ba BaB Ba

Ba Ba B

aB Ba

SiN

51

AA BBD BBH

AA BB BBH

Syd

51A B B

LZZZZ A B ZZZZZZB

L

Excel 51 A B B

H A B BH

Jordan

51

AA ADA AA AA

Page 9/77

Matt 51

BU B B B Ba B

UB B B B Ba B

U B B B Ba BU

B B B B Ba

Page 54: SiN, 1. Un destino glorioso - Martin Blackmore

Casini Editorevia del Porto Fluviale, 9/a – 00154 [email protected]

Finito di stampare nel mese di febbraio 2010Stampato per Casini Editore dalla Arti Grafiche La Moderna – Roma

Page 55: SiN, 1. Un destino glorioso - Martin Blackmore
Page 56: SiN, 1. Un destino glorioso - Martin Blackmore

ISBN: 978-88-7905-155-2

18,00 euro

Casini [email protected]

«Faccio un sogno ricorrente. Sono sulla torre più alta del palazzo imperiale del Re Cremisi.

È così alta che trafigge le nuvole. Le pietre che la compongono sono rosse, blu e viola.

E tra queste pietre scivolano lucertole di un verde acceso. Il cielo è buio e senza stelle, ma il palazzo è così luminoso

che sembra giorno.»

9 7 8 8 8 7 9 0 5 1 5 5 2