1 Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale “Gino Patrassi” SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE MEDICHE CLINICHE E SPERIMENTALI. INDIRIZZO: EPATOLOGIA CLINICA CICLO XXIII Tesi di Dottorato TERMOABLAZIONE PERCUTANEA ECOGUIDATA DI LESIONI NEOPLASTICHE EPATICHE PRIMITIVE E SECONDARIE CON UN NUOVO DISPOSITIVO A MICROONDE: RISULTATI CLINICI PRELIMINARI. Direttore della Scuola: Ch.mo Prof. Gaetano Thiene Coordinatore d’indirizzo: Ch.mo Prof. Angelo Gatta Supervisore: Ch.mo Prof. Liliana Chemello Dottorando: Dott. Mauro Mazzucco Gennaio 2011
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Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova ...paduaresearch.cab.unipd.it/3353/1/tesi_dottorato.pdf · radiofrequenza (RFTA), superando le limitazioni tecniche di quest’ultima
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Sede Amministrativa: Università degli Studi di Pado va
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale “Gi no Patrassi”
SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE MEDICHE C LINICHE E
SPERIMENTALI. INDIRIZZO: EPATOLOGIA CLINICA
CICLO XXIII
Tesi di Dottorato
TERMOABLAZIONE PERCUTANEA ECOGUIDATA DI LESIONI NEO PLASTICHE
EPATICHE PRIMITIVE E SECONDARIE CON UN NUOVO DISPOSITIVO A
MICROONDE: RISULTATI CLINICI PRELIMINARI.
Direttore della Scuola: Ch.mo Prof. Gaetano Thiene
Coordinatore d’indirizzo: Ch.mo Prof. Angelo Gatta
Supervisore: Ch.mo Prof. Liliana Chemello
Dottorando: Dott. Mauro Mazzucco
Gennaio 2011
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RIASSUNTO
Termoablazione percutanea ecoguidata di lesioni neo plastiche epatiche
primitive e secondarie con un nuovo dispositivo a m icroonde: risultati clinici
preliminari.
OBIETTIVI DELLO STUDIO Le tecniche di termoablazione percutanea sono diventate sempre più popolari ed utilizzate negli ultimi anni come opzione sicura ed efficace per il trattamento delle neoplasie primitive e secondarie del fegato non resecabili.
L’ablazione con microonde (MWTA) è una nuova promettente metodica in grado di ottenere aree di necrosi più ampie e in tempi più rapidi rispetto all’ablazione con radiofrequenza (RFTA), superando le limitazioni tecniche di quest’ultima metodica. In questo lavoro vengono riportati i risultati preliminari della termoablazione con microonde dei tumori primitivi e secondari epatici ottenuti con una nuova antenna coassiale.
MATERIALI E METODI Sono state trattate 83 lesioni epatiche non resecabili (53 HCC, 5 colangiocarcinomi intraepatici, 25 metastasi da tumori gastroenterici) in 64 pazienti (età media 68.9 anni, range 41-87, maschi 39). Il diametro medio delle lesioni era di 26.6 mm (range 8-73 mm); 33 lesioni avevano diametro > 30 mm. E’ stato usato un nuovo generatore da 2450 MHz e potenza massima di 70 Watt (AMICA GEN; Hospital Service) connesso ad un’antenna coassiale da 16 o 14 gauge dotata di un dispositivo miniaturizzato inserito nell’ago, detto minichoke, in grado di ridurre l’energia riflessa e di aumentare le dimensioni e la sfericità delle aree di necrosi. L’inserzione dell’ago-antenna avveniva sotto guida ecografica in analgo-sedazione. Una TC con m.d.c. è stata eseguita dopo 30 giorni dalla termo ablazione e quindi ogni 3 mesi per la valutazione dell’efficacia terapeutica.
RISULTATI La necrosi completa, valutata con TAC con m.d.c., è stata ottenuta in 66 lesioni (89.2%) e necrosi parziale (>90% dell’area neoplastica) nel 5.4% dei casi dopo la prima procedura; necrosi parziale (>50%) si otteneva nel restante 5.4% dei casi. Dopo un secondo trattamento la percentuale di successo è risultata del 93.2% (69/74 lesioni controllate). Complicanze minori sono state: 3 versamenti pleurici reattivi risolti spontaneamente. In 1 paziente dopo inserzione intercostale difficoltosa dell’ago si è avuto un distacco parcellare della punta dell’ago. Complicanze maggiori: 2 casi di emoperitoneo di grado lieve risolti solo con terapia medica e 1 biloma che ha richiesto il drenaggio percutaneo.
CONCLUSIONI Nella nostra esperienza il nuovo sistema a microonde per l’ablazione dei tumori primitivi e secondari del fegato si è dimostrato efficace e sicuro capace di creare aree di necrosi ampie.
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ABSTRACT Percutaneous US guided thermoablation of primary an d metastatic hepatic tumor lesions with a new microwaves device: prelimi nary clinical results
BACKGROUND Thermal ablative techniques have gained increasing popularity in recent years as a safe and effective options for patients with unresectable solid malignancies. Microwaves ablation (MWTA) has emerged as a relatively new technique with the promise of larger and faster ablation area without some of limitations of radiofrequency thermal ablation (MWTA). Here we report our preliminary results on feasibility and effectiveness of thermal ablation of primary and metastatic tumor lesions with a new coaxial antenna for microwave.
MATERIALS AND METHODS We treated 83 hepatic unresectable lesions (53 HCC, 5 intrahepatic cholangiocarcinoma, 25 metastases from gastroenteric cancer) in 64 patients (mean age 69.8 years; range 41-87 years; 39 males). Mean diameter of the lesions was 26.6 mm (range 8-73 mm, sd 13 mm); thirty-three lesions had diameter greater than 30 mm. We used a microwave generator (AMICA-GEN; Hospital Service) connected to a 14 or 16 gauge coaxial antenna working at 2450 MHz and endowed with a miniaturized sleeve choke in order to reduce back heating effects and increase the sfericity of the area of necrosis. The needle was placed into target lesions under US guidance. The interventional procedure was carried out in general anesthesia without intubation. Contrast enhanced CT was carried out 30 days after thermal ablation, and then every three months to assess therapeutic efficacy.
RESULTS Complete necrosis as assessed at contrast enhanced CT scan was achieved in 66 lesions (89.2%) and partial necrosis (>90% of neoplastic area) in 5.4% of cases after a single session; partial necrosis (>50%) in 5.4% of lesions. After a second session success rate was 93.2% (69/74 controlled lesions). A self-limited pleural effusion occurred in three patients while one patient required repeated thoracentesis for relapsing effusions. In one patient the needle tip has broken during a difficult insertion through the intercostals space without any complications. In two patients the procedure was complicated by the occurrence of self-limited haemoperitoneum while in one patient a biloma required percutaneous drainage . During the follow-up (median 6 months) no deaths, or other complications occurred.
CONCLUSIONS: In our experience the new tested device for microwaves ablation of primary and metastatic tumor lesions has proven to be an effective and safe percutaneous ablative method capable of producing large area of necrosis.
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CAPITOLO 1
NEOPLASIE MALIGNE DEL FEGATO
1.1 Epidemiologia ed eziologia
Il fegato rappresenta una sede molto frequente di neoplasie, sia primitive che
secondarie. I tumori primitivi sono rappresentati prevalentemente
dall’epatocarcinoma, neoplasia maligna che origina dagli epatociti. Esso tende a
colpire il sesso maschile quattro volte più frequentemente rispetto al sesso femminile
e si colloca al quinto posto per incidenza e al quarto per mortalità tra tutti i tumori
maligni, con un picco nelle regioni dell’Asia e dell’Africa sub-sahariana, dove
raggiunge un’incidenza di 500 casi/100.000 abitanti/anno; risulta invece essere molto
meno frequente nei paesi occidentali, dove l’incidenza, seppur in aumento negli
ultimi decenni, è intorno ai 2,4 nuovi casi/100.000/anno.¹ Le ragioni di tale
discrepanza vanno ricercate nella patogenesi dell’epatocarcinoma: oltre l’85% dei
casi si verifica infatti nei Paesi con alti tassi di infezione cronica da virus dell’epatite
B, principale agente eziologico di tale neoplasia. In queste aree, lo stato di portatore
di HBV inizia nel periodo infantile con la trasmissione verticale del virus da parte di
madri infette, fatto che conferisce nell’età adulta un rischio di HCC aumentato di 200
volte. Nei paesi occidentali dove l’HBV non è prevalente, l’HCC si sviluppa in oltre il
90% dei casi su un fegato cirrotico, di solito nel contesto di altre malattie epatiche
croniche, in particolare in pazienti affetti da infezione cronica da HCV. Sulla base
della frequenza conosciuta di cirrosi HCV correlata nelle popolazioni del mondo
occidentale, si prevede che l’incidenza di nuovi casi di HCC aumenterà di oltre 250
volte nella prossima decade.
5
Come accennato in precedenza, complessivamente la causa principale
dell’epatocarcinoma è rappresentata dall’infezione da parte di HBV; tale virus
possiede potere oncogeno diretto, è infatti in grado di integrare il proprio genoma nel
Dna dell’ospite, inducendo modificazioni nell’espressione di geni che, con il passare
degli anni, possono portare a proliferazione cellulare aberrante. Il genoma di HBV,
infatti, codifica per un elemento regolatore, la proteina X, che funge da attivatore
della trascrizione di molti geni; si suppone che nella cellula epatica infettata dal virus,
tale proteina possa alterare i normali meccanismi di controllo della crescita cellulare
attivando proto-oncogeni della cellula ospite e sopprimendo il controllo del ciclo
cellulare.² Meno chiaro è invece il meccanismo attraverso cui è implicato nella
indirettamente, inducendo un’infiammazione cronica con conseguenti cicli di morte
cellulare e rigenerazione che predisporrebbero all’insorgenza e accumulo di
mutazioni potenzialmente maligne. In generale, qualsiasi agente o fattore che causi
un danno epatocellulare cronico di entità ridotta e stimoli la mitosi rende il Dna degli
epatociti più suscettibile ad alterazioni genetiche; pertanto, ogni tipo di epatopatia
cronica rappresenta un fattore di rischio e predispone all’insorgenza dell’HCC.
Qualunque ne sia la causa, la cirrosi, condizione caratterizzata da fibrosi e noduli
rigenerativi con completo sovvertimento strutturale del parenchima epatico, è da
considerarsi il principale substrato istopatologico dell’HCC; è stato calcolato che il
rischio che si sviluppi un carcinoma epatocellulare in un paziente cirrotico è circa del
3 % su base annuale. Oltre che ai virus epatitici, che rendono conto della stragrande
maggioranza dei casi di epatocarcinoma, la cirrosi e, conseguentemente l’HCC,
possono associarsi a numerose altre condizioni, quali l’emocromatosi, il deficit di α1-
antitripsina, la malattia di Wilson, la tirosinemia, la cirrosi biliare primitiva e ,
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soprattutto, l’abuso di alcool; altri possibili fattori eziologici sono rappresentati dalle
epatiti autoimmuni e le condizioni di insulino-resistenza, come il diabete mellito, la
steatoepatite non alcolica (NASH) e la patologia del fegato grasso non alcolico
(NAFLD). Altra associazione eziologica importante è stata individuata con alcuni
contaminanti alimentari, in particolare l’aflatossina β, che si ritrova nelle granaglie e
nelle arachidi “ammuffite”, soprattutto in alcune regioni dell’Africa e nella Cina
meridionale; questa micotossina sarebbe in grado di indurre una specifica mutazione
G-T nel codone 249 del gene oncosoppressore p53. Curiosamente, invece, il
consumo di caffè sembrerebbe in grado di ridurre il rischio di HCC.³
Fig 1 : fasi di sviluppo dell’HCC: A-fegato sano B-cirrosi C-HCC (immagine modificata da www.tumorifegato.it)
A B
C
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Esiste poi una variante particolare di carcinoma epatocellulare, definito
fibrolamellare. Esso tende a comparire in giovani adulti, mediamente tra i 20 e i 40
anni d’età, con la medesima frequenza nei due sessi, non associato ad HBV o
cirrosi; i fattori eziologici implicati nella genesi di tale variante non sono ancora stati
chiaramente identificati.
Dopo l’HCC, il tumore primitivo epatico più frequente è rappresentato dal
colangiocarcinoma, neoplasia che origina dall’epitelio delle vie biliari intra- o, più
comunemente, extra-epatiche. Anch’esso colpisce più frequentemente il sesso
maschile (60% dei casi) e mostra un’incidenza massima tra il quinto e il settimo
decennio di vita; da alcuni studi emerge che l’incidenza e la mortalità delle forme
intra-epatiche sono in crescita in tutto il mondo 4-5-6, mentre quelle dei tumori
extraepatici risultano in lieve diminuzione6.
Sono stati individuati diversi fattori di rischio per tale neoplasia, come le
malformazioni congenite dell’albero biliare, la colangite sclerosante, la colelitiasi,
alcune infezioni parassitarie, in particolare da parte di Clonorchis sinensis, la
papillomatosi biliare, l’esposizione professionale ad agenti cancerogeni (come nel
caso di lavoratori della gomma e addetti agli impianti di produzione delle automobili)
e, infine, fattori genetici. Un’infezione cronica delle vie biliari è il denominatore
comune di tali condizioni: pare che questo background infiammatorio agisca nel
promuovere la carcinogenesi in associazione con alcuni costituenti della bile, in
grado di attivare una molecola anti-apoptotica, definita proteina1 della leucemia
mieloide.7 Gli aspetti istomorfologici della cancerogenesi biliare sembrerebbero
indicare che la sequenza metaplasia-displasia-carcinoma, ben nota nello sviluppo del
tumore del colon-retto, potrebbe essere valida anche per il colangiocarcinoma.8
8
Come detto in precedenza, l’HCC risulta particolarmente diffuso in Asia e nelle
regioni dell’Africa sub sahariana, mentre è piuttosto raro nelle aree occidentali, dove
la maggior parte delle neoplasie epatiche sono invece di tipo secondario, con
un’incidenza oltre venti volte superiore rispetto all’epatocarcinoma primitivo. Il fegato
rappresenta la più frequente sede di metastatizzazione per via ematica grazie alla
combinazione di diversi fattori, quali le sue dimensioni, il suo elevato tasso di
perfusione, la doppia vascolarizzazione fornita sia dalla vena porta che dall’arteria
epatica, e la presenza di fattori tissutali locali e particolari caratteristiche delle
membrane endoteliali che sono in grado di favorire l’impianto metastatico.
Potenzialmente tutte le neoplasie sono in grado di dare localizzazioni epatiche,
anche se le sedi primitive più comuni sono rappresentate dall’apparato
gastroenterico, il polmone, la mammella e il melanoma.
1.2 Caratteristiche cliniche
L’identificazione di un epatocarcinoma in stadio precoce su base puramente clinica è
spesso molto difficile, infatti, insorgendo su un fegato solitamente già alterato, la
sintomatologia tende a sovrapporsi a quella della sottostante cirrosi. Nella maggior
parte dei casi la presentazione clinica è silente; meno frequentemente vi può essere
dolore, solitamente in presenza di una massa addominale palpabile in ipocondrio
destro; a volte, in corrispondenza del fegato, si può avvertire un crepitio o un rumore
di sfregamento. In circa il 20% dei casi è presente un’ascite emorragica, mentre
l’ittero è piuttosto raro, a meno che non vi sia un importante deterioramento della
funzione epatica o un’ostruzione meccanica dei dotti biliari; quest’ultima si verifica più
tipicamente nel colangiocarcinoma dei dotti extraepatici, che si presenta dunque con
9
i classici segni di colestasi: ittero, urine ipercromiche, feci ipo/acoliche, prurito,
malessere e perdita di peso. Una piccola percentuale di pazienti con epatocarcinoma
può manifestare una sindrome paraneoplastica: può essere presente eritrocitosi,
legata ad un’attività simil-eritropoietinica del tumore, o ipercalcemia da secrezione di
PTHrP (parathormone-related petide); altre possibili manifestazioni sono
rappresentate da ipercolesterolemia, ipoglicemia, polimiosite, porfiria acquisita,
criofibrinogenemia, disfibrinogenemia e diarrea associata al peptide vasoattivo.
L’evoluzione naturale dell’HCC consta nel progressivo allargamento della massa
primitiva fino a quando non altera la funzione epatica o metastatizza, in genere prima
ai polmoni e poi in altre sedi. In generale, la morte può avvenire per cachessia,
emorragia gastrointestinale o da varici esofagee, insufficienza epatica con coma
epatico o, raramente, rottura del tumore con emorragia fatale.
Ancora più ardua è l’individuazione delle neoplasie epatiche secondarie: esse
tendono infatti ad essere asintomatiche e vengono prevalentemente scoperte nel
corso della valutazione clinica di pazienti con sintomi riferibili al tumore primitivo. In
caso di interessamento epatico diffuso si potranno rilevare epatomegalia, alterazioni
della consistenza dell’organo e rumori di sfregamento, eventualmente associati a
segni di malattia epatica attiva quali dolore addominale e ascite; è piuttosto comune il
riscontro di sintomi sistemici quali astenia, anoressia, calo ponderale e febbre, che
però risultano essere estremamente aspecifici.
1.3 Diagnosi
La diagnosi di epatocarcinoma si basa sulla combinazione di dati clinici,
laboratoristici, strumentali e anatomopatologici.9 L’ accertamento diagnostico e la
10
valutazione dell’estensione tumorale sono fondamentali per la gestione del paziente.
Le tecniche di diagnostica per immagini utilizzate nella identificazione delle neoplasie
epatiche sono l’ecografia, la TC, la RM e l’angiografia dell’arteria epatica. L’ecografia
viene frequentemente utilizzata per lo screening di popolazioni ad alto rischio e
dovrebbe essere eseguita come prima indagine nel sospetto di neoplasia. Tuttavia il
fegato cirrotico presenta noduli rigenerativi e noduli displastici che, ad una classica
ecografia, possono risultare indistinguibili da piccoli HCC. Molto importante ai fini di
una diagnosi differenziale diventa la valutazione dell’apporto vascolare alla lesione:
durante la progressione da displasia di basso grado a displasia di alto grado e infine
HCC precoce, si assiste allo sviluppo di nuove arterie che forniscono il principale
apporto di sangue alla lesione;10 questa neoangiogenesi determina peculiarità
nell’assunzione del mezzo di contrasto e permette quindi la diagnosi strumentale di
epatocarcinoma. Un protocollo standard per l’HCC dovrebbe includere una TC senza
mezzo di contrasto e una con mezzo di contrasto per lo studio delle fasi arteriosa,
portale-venosa e tardiva; è stato dimostrato che, in mani esperte, anche un’ecografia
con mezzo di contrasto può essere utilizzata per confermare la diagnosi di HCC; in
questo caso, il tumore evidenzierà un’ imponente impregnazione in fase arteriosa (in
15-30 s dopo la somministrazione del mezzo di contrasto), seguita da un rapido
wash-out, con aspetto iso- o ipoecogeno nelle fasi portale e ritardata. A differenza di
molte altre è possibile porre diagnosi di HCC in un fegato cirrotico mediante tecniche
non invasive (imaging e alfa-fetoproteina), anche se l’identificazione di masse di
piccole dimensioni, <2 cm, risulta estremamente complessa;11-12 ciò rappresenta un
problema rilevante data la diffusione dei programmi di follow up in pazienti
epatopatici. In caso di lesioni molto piccole, inferiori a 1 cm di diametro, gli esperti
suggeriscono la misurazione dell’ AFP e un controllo strumentale a intervalli di tre
11
mesi; per lesioni tra 1 e 2 cm o con caratteristiche atipiche all’imaging, bisognerebbe
prendere in considerazione l’analisi anatomo-patologica della massa.13-14 (Fig.2)
La scelta di effettuare una biopsia deve essere sempre valutata con attenzione, in
quanto trattasi di una procedura gravata da possibili complicanze molto significative,
in particolare sanguinamenti e seeding, ossia la disseminazione di cellule
neoplastiche al di fuori della capsula epatica, nei tessuti sottocutanei o nella cavità
peritoneale, in seguito ad una procedura percutanea. E’ stato stimato che il rischio di
seeding in seguito a biopsia epatica vari tra 0 e 11%,15 risultando particolarmente
elevato in caso di biopsie percutanee di lesioni localizzate in sede sottocapsulare.
Fig. 2 Algoritmo diagnostico dopo riscontro ecografico di lesione focale durante la sorveglianza dei pazienti con cirrosi epatica (AASLD Bruix J. And Sherman M.)
12
Sono stati dunque stabiliti dei criteri per identificare le situazioni nelle quali non vi è
necessità di biopsia: 1) pazienti non candidati ad alcun tipo di terapia a causa di
severe comorbidità; 2) pazienti con cirrosi scompensata già in lista d’attesa per un
trapianto; 3) pazienti candidati per una resezione epatica che possa essere eseguita
con un rischio di morbilità e mortalità accettabili.
Raramente, al fine di stabilire una diagnosi corretta, è necessario ricorrere alla
laparoscopia o alla minilaparotomia, con biopsia epatica a cielo aperto; questo
approccio diretto presenta l’ulteriore vantaggio di identificare quei rari pazienti con
tumore circoscritto resecabile che possono essere sottoposti ad un intervento di
epatectomia parziale.
L’alfa-fetoproteina è l’unico marker sierologico comunemente usato nella diagnosi,
ma ha una scarsa sensibilità che varia dal 39% al 65% e una specificità tra il 76% e il
97%;16 tale variabilità è legata ai differenti cut-offs utilizzati nei diversi studi. Per valori
superiori a 500 µg/l può essere considerata un efficace marker tumorale, tuttavia la
percentuale di pazienti con valori così elevati è piuttosto bassa; livelli inferiori si
possono riscontrare, oltre che nell’HCC, in caso di metastasi di grosse dimensioni da
neoplasie gastriche o del colon e in alcuni pazienti affetti da epatite acuta o cronica.
Gli esperti considerano dunque l’AFP di limitato valore nella sorveglianza dei pazienti
cirrotici, tuttavia una sua rapida e continua elevazione è un campanello d’allarme che
dovrebbe invitare all’esecuzione di un follow up più stringente.
Per quanto concerne i colangiocarcinomi, nella maggior parte dei casi la neoplasia
viene diagnosticata mediante colangiografia dopo il riscontro ecografico di alterazioni
del diametro dei dotti biliari intraepatici; qualsiasi restringimento focale di tali dotti
dovrebbe essere considerato maligno fino a prova contraria. La colangiografia
endoscopica permette di ottenere campioni di materiale per la citologia, che offre una
13
sensibilità di circa il 60%, ed eventualmente di inserire uno stent per il drenaggio
biliare. Un’alternativa per la diagnosi è rappresentata dall’aspirazione con ago sottile
eco-guidata, che si è rivelata in grado di identificare colangiocarcinomi con
un’accuratezza diagnostica dell’89%, anche in presenza di un esame citologico
negativo. I tests di laboratorio mostrano solitamente un aumento degli indici di
colestasi, ossia fosfatasi alcalina, γGT e bilirubina; in caso di ostruzione prolungata
dei dotti biliari principali si possono rilevare aumenti del tempo di protrombina e
riduzione delle vitamine liposolubili. Tra i markers tumorali il più significativo è il CA
19-9: si è visto che un valore > 100 U/ml nei pazienti con colangite sclerosante ha
una sensibilità dell’89% e una specificità dell’86% per la diagnosi di
colangiocarcinoma. Tuttavia un’elevazione di tale marcatore non è sufficiente ai fini
diagnostici, soprattutto nei pazienti non affetti da colangite sclerosante, dove la sua
sensibilità scende al 53%.17-18 Altri markers non specifici sono rappresentati dal
CEA, elevato nel 30% dei casi, mentre il CA 125 è elevato nel 40%-50% dei pazienti.
La diagnosi delle neoplasie secondarie avviene solitamente nel corso della
stadiazione del tumore primitivo: si esegue di solito una TC addominale con
conseguente biopsia delle lesioni sospette per accertarne la natura maligna.
1.4 Staging
La stadiazione dell’HCC è cruciale per la pianificazione della terapia ottimale e
comprende la valutazione dell’estensione tumorale, della funzionalità epatica, della
pressione portale e il performance status generale del paziente.
Le principali indagini strumentali per rilevare l’estensione della massa consistono
nella RM con mezzo di contrasto o nella TC dinamica; nelle malattie avanzate
14
dovrebbero inoltre essere eseguite una TC del torace e una scintigrafia ossea per la
ricerca di eventuali secondarismi. La funzionalità epatica viene valutata mediante
l’indice di Child-Pugh, che attribuisce un punteggio da 5 a 15 in base alla positività o
meno di alcuni parametri clinici e laboratoristici: bilirubinemia, tempo di protrombina,
albuminemia, ascite ed encefalopatia. I pazienti vengono quindi divisi in tre classi a
seconda del punteggio ottenuto, dalla classe A che corrisponde ad una buona
funzionalità epatica, fino alla C, che comprende invece soggetti epatopatici in fase
terminale.
Per la valutazione dell’ipertensione portale, suggerita dal riscontro di varici, si può
ricorrere alla misurazione del gradiente pressorio porto-cavale per via transgiugulare:
si parla di ipertensione quando tale valore risulta superiore a 12 mmHg.
Nel corso degli ultimi anni sono stati proposti sette differenti sistemi di stadiazione,
comprendenti in maniera variabile i parametri succitati, ma nessuno di essi è
unanimemente considerato il migliore. Tra le stadiazioni più utilizzate possiamo citare
la classica TNM e quella della Barcelona-Clinic-Liver-Cancer; quest’ultima risulta
particolarmente utile per la scelta dell’opzione terapeutica più idonea: essa identifica
infatti quei pazienti con HCC precoce che possono beneficiare di un trattamento
curativo (stadi 0 e A), quelli ad uno stadio intermedio o avanzato (stadi B e C) che
potrebbero trarre vantaggio da terapie palliative, e quelli che hanno invece una
scarsa aspettativa di vita (stadio D) (Fig. 3)
15
Altra classificazione diffusa è quella di Okuda, che prende in considerazione quattro
criteri: dimensione del tumore (< o > 50% del fegato), ascite (presente o assente),
bilirubinemia (< o > 3 mg/dl) e albuminemia (< o >3 g/dl). Questi criteri permettono
di dividere i pazienti in tre stadi: I (nessun criterio presente), II (uno o due criteri
positivi) e III (tre o quattro criteri positivi). La storia naturale della malattia e la
sopravvivenza media dei pazienti con HCC, in assenza di trattamento, dipende dallo
stadio della malattia al momento della diagnosi: circa 8 mesi per soggetti in stadio di
Okuda I, 2 mesi per lo stadio II e meno di un mese se in stadio III. (Fig. 4)
Fig. 3 Barcelona Clinic Liver Cancer (BCLC) staging classification modificata da Bruix J. and Sherman M.)
16
Anche nel caso del colangiocarcinoma, un’accurata stadiazione è fondamentale per
la scelta di una corretta strategia terapeutica.
Accanto alla classificazione TNM, sta acquistando sempre maggior valore il sistema
di stadiazione del Memorial Sloan-Kettering, (tab 1) che stratifica i pazienti in tre
gruppi, T1, T2 e T3, in base all’estensione tumorale nell’albero biliare e il
coinvolgimento vascolare; tale classificazione si è rivelata più efficace, rispetto alla
classica TNM, nel fornire informazioni sull’eventuale resecabilità della massa e sulla
Tumor involving biliary confluence+bilateral extension to secondary biliary radicles; OR unilateral extension to secondary biliary radicles with contralateral portal vein involvement; OR unilateral extension to secondary biliary radicles with contralateral hepatic lobar atrophy; OR main portal vein involvement
Tab. 1 Clinical T-stage criteria per colangiocarcinoma ilare (Memorial Sloan-Kettering)
Figura 4 Curva di sopravvivenza in relazione alla stadiazione di Okuda
17
1.5 Terapia
Le opzioni terapeutiche in caso di HCC sono strettamente dipendenti dallo stadio
tumorale dal grado di epatopatia e dalle condizioni del paziente (Fig.5).
I trattamenti potenzialmente radicali, con intento curativo, sono rappresentati dalla
chirurgia, dalle tecniche ablative locali e dal trapianto di fegato; le terapie palliative,
miranti a garantire una qualità di vita accettabile nei pazienti senza prospettive di
guarigione, consistono essenzialmente nella chemioembolizzazione arteriosa
(TACE), la radioterapia e la terapia sistemica.
RESEZIONE EPATICA : la resezione chirurgica rappresenta, insieme al trapianto,
l’opzione terapeutica di scelta nei pazienti con HCC, consentendo una sopravvivenza
a 5 anni che può arrivare fino al 70% in pazienti selezionati. Essa risulta
particolarmente efficace in quei soggetti che non presentano una fibrosi avanzata,
qualora sia possibile effettuare una resezione R0 (ossia con margini liberi da
malattia) senza il rischio di provocare un’insufficienza epatica postoperatoria a causa
di un tessuto epatico residuo troppo scarso. In caso di cirrosi, è opinione diffusa che
Figura 5 Algoritmo terapeutico nei pazienti con HCC (immagine modificata da Bruix et al, Clinical management of hepatocellular carcinoma, 2009)
18
la resezione sia sicura ed efficace soltanto negli stadi BCLS 0 e A, in presenza di
una singola lesione, un buon performance status e senza un’ipertensione portale
significativa. Purtroppo, dunque, meno del 20% dei pazienti presenta alla diagnosi un
tumore resecabile.19
TRAPIANTO EPATICO : il trapianto offre la possibilità di curare sia il tumore che la
e turbe del ritmo cardiaco, soprattutto in pazienti con preesistenti aritmie. Lievemente
più frequenti sono le cosiddette complicanze minori, tra cui spiccano dolore
addominale accompagnato da febbre, versamenti pleurici, stenosi dei dotti biliari,
ustioni nel sito di posizionamento delle piastre di dispersione, seeding, ascite ed
emobilia.
Complessivamente l’RFTA, se in mani esperte, può comunque essere considerata
una terapia sicura con una bassa incidenza di complicanze e un rischio di morte
trascurabile.38
Anche i dati sull’efficacia di tale procedura sembrano essere positivi: un’analisi
retrospettiva di diversi studi effettuati dalla fine degli anni ’90 ad oggi in vari paesi del
mondo ha mostrato che i tassi di ablazione completa per lesioni ≤ 3 cm oscillano tra
l’80 e il 100%, per lesioni tra 3 e 5 cm si attestano al 50-80% e scendono al 25% per
noduli di diametro superiore.39 Si è tuttavia visto che è possibile migliorare questi
24
risultati nelle masse di grandi dimensioni adottando strategie terapeutiche combinate,
ad esempio attraverso l’iniezione di etanolo immediatamente prima della procedura
di termoablazione40 o una chemioembolizzazione alcuni giorni prima.
Anche i dati sulla sopravvivenza complessiva sembrano sottolineare l’utilità di tale
trattamento, con tassi di sopravvivenza dell’80-100% a un anno, 63-98% a due anni,
e intorno al 41% a 5 anni (Fig. 6). Tali risultati non hanno dunque mostrato
significative differenze tra la RFTA e la resezione epatica, anche se quest’ultima
permette di ottenere una sopravvivenza libera da malattia nettamente superiore, in
quanto consente l’eradicazione della neoplasia bersaglio e dell’area circostante che
potrebbe contenere noduli satellite o micrometastasi. Complessivamente, dunque,
l’ablazione con radiofrequenze rappresenta un metodo efficace e una valida
alternativa alla chirurgia per il trattamento di neoplasie di dimensioni limitate, e grazie
all’associazione con altre terapie locoregionali e ad eventuali miglioramenti
tecnologici della strumentazione utilizzata, il generatore di corrente o gli elettrodi,
potrebbe accrescere ulteriormente la sua efficacia.
25
MW: l’utilizzo delle microonde costituisce la principale novità nel campo delle terapie
ablative. L’argomento verrà approfondito nel capitolo 2.
TACE: rappresenta il trattamento più diffuso per neoplasie epatiche in stadio
intermedio non resecabili in soggetti con funzionalità
epatica conservata, ed è molto utilizzata anche per quei
pazienti inseriti in lista d’attesa per il trapianto, al fine di
impedire la progressione della malattia in vista
dell’intervento. La TACE rappresenta la combinazione di
una embolizzazione intrarteriosa (TAE) e una chemioterapia regionale;41 la metodica
tradizionale consiste nell’embolizzazione selettiva delle arterie che vascolarizzano il
tumore mediante un’emulsione di un agente chemioterapico, solitamente
doxorubicina, mitomicina o cisplatino, combinato con Lipiodol, un olio etilestere
iodinato estratto dai semi di papavero, il cui ruolo è quello di emulsionare i farmaci e
veicolarli nelle lesioni. Vengono successivamente introdotti degli agenti embolizzanti
allo scopo di ridurre l’afflusso arterioso, indurre ischemia tissutale e limitare il
passaggio degli agenti chemioterapici nella circolazione sistemica, così da
prolungare il contatto tra il farmaco e le cellule neoplastiche. Tali emulsioni tra
lipiodol e farmaci sono però molto instabili e i chemioterapici vengono pertanto
rilasciati troppo rapidamente nella circolazione sistemica. Per ottimizzare il rilascio
del farmaco al tumore, sono state sviluppate nuove particelle: microsfere in
polivinilalcool e microsfere superassorbenti. Esse possono essere caricate con
l’agente chemioterapico ed essere rilasciate direttamente nella massa neoplastica,
raggiungendo concentrazioni intratumorali più elevate e livelli plasmatici più bassi,
così da limitare anche la tossicità sistemica.42
26
La TACE può associarsi ad un’ampia varietà di complicanze. Nel 60-80% dei pazienti
si verifica quella che viene definita “sindrome post-embolizzazione”, rappresentata da
dolore addominale transitorio e febbre, che normalmente si risolvono senza reliquati
nell’arco di pochi giorni. Altre complicanze si verificano in meno del 10% dei
trattamenti e comprendono ascessi epatici, colecistiti ischemiche, stenosi dei dotti
biliari, pancreatiti acute o ulcere gastroduodenali.
RADIOTERAPIA: le radiazioni rompono il DNA del tessuto bersaglio e inducono il
rilascio dall’acqua intracellulare di radicali liberi in grado
di ledere le membrane cellulari, le proteine e gli
organelli.43 Storicamente la radioterapia ha giocato un
ruolo di secondo piano nel trattamento dei pazienti con
tumori epatici non resecabili, soprattutto a causa della scarsa tolleranza dell’intero
fegato all’irradiazione. Tra le varie complicanze si sono infatti registrate la
riattivazione di epatiti virali e lo sviluppo di una tipica sindrome caratterizzata da
epatomegalia, ascite ed elevazione delle transaminasi; in aggiunta alla tossicità
epatica, bisogna sottolineare che anche gli organi adiacenti sono a rischio di danno,
in particolare stomaco, duodeno e reni.44 Sono stati pertanto introdotti dei
miglioramenti che permettano di indirizzare dosi più alte di radiazioni limitandone gli
effetti sfavorevoli: tecniche più avanzate di imaging per meglio definire il tumore,
studi tridimensionali del campo di irradiazione, radioterapia TC guidata per
localizzare esattamente la massa durante il trattamento e migliori conoscenze sulla
tolleranza del tessuto epatico alla radiazione.
La novità più recente in questo campo è tuttavia rappresentata dalla
radioembolizzazione, che consiste nell’applicazione diretta a livello del tumore di
particelle radioattive, solitamente microsfere di Yttrio-90, attraverso l’arteria epatica,
27
anche in presenza di trombosi della vena porta. Tale tecnica ha mostrato risultati
promettenti nel trattamento di HCC multipli e si candida come valida alternativa alla
TACE come trattamento di prima linea delle neoplasie non resecabili,45 anche se
ulteriori studi multicentrici dovranno confermarne l’efficacia.
TERAPIE SISTEMICHE: l’utilizzo di farmaci citotossici classici, tipicamente
doxorubicina o cisplatino, permette di ottenere bassi tassi di risposta (<10%) senza
benefici comprovati sulla sopravvivenza; inoltre la chemioterapia è scarsamente
tollerata, a causa della sottostante cirrosi, della concomitante citopenia e della
farmacocinetica resa imprevedibile dall’alterata attività degli enzimi deputati al
metabolismo dei farmaci.
Alcuni fattori di crescita, i loro recettori e la cascata dei mediatori implicati nella
trasduzione del segnale svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel
mantenimento di diversi tumori, incluso l’HCC, e sono dunque oggetto di interesse
per la realizzazione di nuove strategie terapeutiche (le cosiddette “targeted
therapies”). Tra i vari farmaci recentemente introdotti, uno dei più utilizzati è il
Sorafenib, un inibitore multichinasico, somministrabile per via orale, che blocca le vie
di trasduzione del segnale coinvolgenti PDGF, VEGF, c-kit e raf sia nelle cellule
tumorali che nelle cellule endoteliali circostanti. Recentemente, uno studio di fase III
contro placebo (Llovet et al. 2007)46 ha evidenziato una buona tollerabilità del
farmaco con un aumento della sopravvivenza statisticamente significativo (10,7 mesi
nei soggetti trattati con Sorafenib contro 7,9 dei pazienti del gruppo di controllo). Tra
gli effetti collaterali spiccano la cosiddetta hand-foot syndrome, caratterizzata da
lesioni di varia gravità a livello della cute di mani e piedi, diarrea ed astenia, mentre
28
non si è dimostrata alcuna tossicità a livello epatico. Tale farmaco dovrebbe essere
riservato ai pazienti con HCC non operabile, buona funzionalità epatica (Child-Pugh
A), che non siano candidati ottimali per la TACE.
Attualmente numerosi altri farmaci sono in sperimentazione; molto probabilmente la
combinazione di agenti con diversi bersagli molecolari, come antagonisti dei recettori
dei fattori di crescita, inibitori del proteasoma o citostatici, potranno migliorare la
risposta clinica in pazienti affetti da HCC avanzato, con effetti collaterali tollerabili e
gestibili.
Le modalità di trattamento fin qui descritte per l’HCC possono in gran parte essere
utilizzate anche per i colangiocarcinomi. Anche in questo caso, la resezione e il
trapianto di fegato rappresentano le uniche opzioni curative; in seguito al trattamento
chirurgico sono state riportate sopravvivenze a 3 anni comprese tra il 40% e il 60%.47
Anche il trapianto, in passato considerato non indicato per il trattamento di tali
neoplasia, ha recentemente mostrato buoni risultati, con sopravvivenze significative
(fino all’80% a 5 anni, per tumori in stadio 1 e 2).48 Nei pazienti con malattia non
operabile, l’approccio iniziale mira a fornire una terapia di supporto e, se necessario,
a realizzare una qualche forma di drenaggio biliare; tali terapie palliative consentono
tuttavia di ottenere una sopravvivenza non superiore a 18 mesi. L’ablazione
mediante radiofrequenze e la TACE sono altre possibili opzioni anche se l’efficacia
risulta inferiore rispetto ai casi di epatocarcinoma.
Un altro tipo di approccio palliativo che sta mostrando buoni risultati è rappresentato
dalla terapia fotodinamica: una sostanza fotosensibilizzante viene somministrata per
via sistemica e si accumula nelle cellule tumorali; un raggio laser induce
fotoattivazione di tale sostanza e permette la distruzione della neoplasia. Tale
29
trattamento facilita la decompressione delle vie biliari e sembra procurare benefici in
termini di sopravvivenza, miglioramento della colestasi, performance status e qualità
di vita.49
La chemioterapia sistemica ha finora dato risultati scadenti, mentre sembrano essere
promettenti, almeno per quanto riguarda i tests in vitro, nuovi farmaci a bersaglio
molecolare, in particolare gli inibitori del proteasoma.50 In ogni caso, si può affermare
che non esiste a tutt’oggi una strategia terapeutica realmente efficace e il
colangiocarcinoma continua a rappresentare una neoplasia devastante, con un
elevatissimo tasso di mortalità.
Per quanto concerne le metastasi epatiche, il trattamento di prima scelta è sempre
rappresentato dalla resezione, in grado di offrire sopravvivenze a lungo termine nel
25%-30% dei pazienti trattati. Sfortunatamente, anche in questo caso, l’intervento
chirurgico è un’opzione realizzabile in meno di un terzo dei casi; stanno pertanto
acquistando importanza sempre maggiore le tecniche di ablazione percutanea con
radiofrequenze, laser o microonde. Una possibilità, soprattutto nelle metastasi da
adenocarcinoma del colon-retto, è costituita dall’associazione di chemioterapia e
termoablazione, che permette di ottenere sopravvivenze a 1, 2, 3, 4 e 5 anni del
93%, 69%, 46%, 22% e 26% rispettivamente. Predittori della sopravvivenza
sembrano essere rappresentati da un valore di CEA inferiore a 200 ng/ml, diametro
delle lesioni ≤3 cm e un numero di lesioni ≤3.51
30
CAPITOLO 2
ABLAZIONE CON MICROONDE
Sviluppata in Giappone nei primi anni ’80 allo scopo di favorire l’emostasi durante gli
interventi di resezione epatica, la coagulazione con microonde è stata
successivamente utilizzata per il trattamento delle neoplasie epatiche, e rappresenta
ora una valida alternativa alla RFTA, di cui mostra i medesimi benefici, ma minori
svantaggi.
2.1 Principi fisici
Nello spettro elettromagnetico, le microonde si collocano tra i raggi infrarossi e le
onde radio, con frequenze comprese tra 300 MHz e 2450 Ghz corrispondenti a
lunghezze d'onda tra 1 m e 1 mm (Fig 7). Le modalità d’interazione tra microonde e
materia e, particolarmente, il trasferimento di energia dalle prime alla seconda,
discendono dal meccanismo microscopico descritto appresso.
RF MW
Fig. 7 Scala grafica frequenza onde elettromagnetiche
31
L’asimmetria nella distribuzione di cariche elettriche negative e positive al livello
atomico o molecolare (intrinseca o indotta da un campo esterno) porta alla
formazione di dipoli elettrici, i quali tendono a mantenere l’allineamento con un
eventuale campo elettrico applicato dall’esterno. Ne segue che, in presenza di un
campo alternato, tali dipoli ruotano di continuo, sperimentando una sorta di attrito che
determina la conversione di una parte dell’energia del campo applicato in calore: tale
fenomeno va sotto il nome di riscaldamento dielettrico; in particolare, una microonda
dotata di frequenza pari a 9,2 GHz è in grado di far variare la polarità di una molecola
fino a due bilioni di volte in un secondo ( Fig. 8 ) .
La quantità di calore generato è proporzionale al quadrato della grandezza del
campo applicato: Q= σ|E|², dove σ è la conduttività efficace (S/m), una misura
dell’assorbimento della microonda.
Questa forma di riscaldamento è particolarmente efficiente alle frequenze delle
microonde, in special modo in materiali ad elevato contenuto acquoso, proprio come
la gran parte dei tessuti biologici: le molecole d’acqua, infatti, sono di natura “polare”,
cioè tali da esibire un momento di dipolo elettrico non nullo anche in assenza di
campi esterni - a causa dell’intrinseca asimmetria nelle rispettive distribuzioni delle
Figura 8 Illustrazione schematica dell’interazione tra molecole d’acqua e microonde ( immagine modificata da Simon C. et al: Microwave ablation: Priciples and applications, 2005 )
32
cariche protoniche positive e delle nubi elettroniche negative -; il campo alternato che
genera il riscaldamento dielettrico non deve, in tal caso, spendere energia per
formare i dipoli molecolari e il rendimento del riscaldamento a microonde (rapporto
tra energia fornita alla materia per irraggiamento e il conseguente incremento di
temperatura) cresce sensibilmente.
Ne discende che un applicatore a microonde inserito all’interno del corpo umano può
depositarvi energia radiante in modo localizzato e controllato, portando rapidamente
la temperatura del tessuto investito dalle radiazioni oltre i 60°C necessari alla necrosi
coagulativa pressoché istantanea delle cellule.
2.2 Strumentazione e tecniche d’utilizzo
Come la termoablazione con radiofrequenze, l’ablazione con microonde può essere
attuata mediante diversi approcci: percutaneo, laparoscopico o laparotomico;
generalmente la via percutanea rappresenta la modalità d’elezione, mentre le altre
sono riservate a quelle lesioni non raggiungibili per via percutanea o ai casi in cui il
paziente debba essere trattato chirurgicamente per altre patologie addominali nel
corso del medesimo intervento. L’approccio percutaneo viene generalmente attuato
in anestesia locale o sedazione, mentre gli interventi in laparoscopia e a cielo aperto
richiedono un’anestesia generale. Le ablazioni vengono solitamente effettuate in
modalità eco- o TC-guidata, per confermare il corretto posizionamento
dell’applicatore al centro del tumore; attualmente, grazie alla realizzazione di
strumenti MR-compatibili, si stanno rendendo possibili anche procedure guidate dalla
Risonanza Magnetica.53
33
Qualunque sia l’approccio scelto, la strumentazione necessaria è costituita da tre
elementi fondamentali: un generatore di microonde, un sistema di distribuzione e un
applicatore, singolo o multiplo, che viene definito antenna. ( Figura 9 )
I generatori di microonde possono utilizzare due diverse fonti di energia: un
magnetron o un amplificatore dello stato solido. Un magnetron è in grado di generare
energia accelerando elettroni attraverso un campo elettromagnetico all’interno di una
cavità di risonanza; la geometria della cavità determina la frequenza della radiazione
prodotta. I magnetron si caratterizzano per una discreta efficienza, elevata potenza
prodotta ( >10 kW ), elevata affidabilità e bassi costi. I generatori solid-state hanno
un diverso meccanismo d’azione e generano potenza gradualmente; essi sono
solitamente meno efficienti, producono potenze inferiori ( < 150 W ) e hanno costi più
elevati, tuttavia, a differenza dei magnetron, sono di piccole dimensioni, maneggevoli
e più facilmente controllabili.54
L’energia prodotta dal generatore deve poi essere veicolata fino all’antenna.
Generalmente tale compito è affidato ad un cavo coassiale, costituito da tre strati
concentrici: un conduttore interno, un materiale isolante e un conduttore esterno.
Questo genere di cavo è sfruttato in vari settori grazie alla sua flessibilità, le sue
Figura 9 a) antenna b) generatore di microonde
a
b
34
dimensioni compatte e le eccellenti caratteristiche di propagazione; nonostante i loro
numerosi punti di forza, tuttavia, i cavi coassiali hanno una capacità piuttosto limitata
di veicolare energia alle frequenze delle microonde; riducendo le dimensioni del
cavo, anche la capacità di trasportare potenza diminuisce drasticamente e ciò limita
la possibilità di utilizzare cavi sottili e flessibili.
Si può utilizzare una singola antenna oppure più di una, tutte connesse al medesimo
generatore; è stato provato che la simultanea attivazione di diversi applicatori è in
grado di produrre aree di necrosi più estese ed uniformi, evitando la necessità di
molteplici procedure per il trattamento di lesioni ampie. Diversamente dagli elettrodi
utilizzati nelle ablazioni con radiofrequenze, le antenne sono in grado di liberare
energia in virtù della loro stessa geometria e non necessitano pertanto di ulteriori
elettrodi o di piastre di scarico. Sono state proposte diverse morfologie, tuttavia la
maggior parte delle antenne attualmente in uso ha una struttura ad ago.
Indipendentemente dalla forma, ogni antenna deve soddisfare alcuni requisiti:
dovrebbe essere scarsamente invasiva, estremamente efficiente ed emettere
radiazioni profondamente nei tessuti, così da creare ampie zone di riscaldamento
attivo. Solitamente vengono valutati due parametri per descrivere la performance di
un’antenna:
1- Il tasso di assorbimento specifico, definito anche pattern di riscaldamento;
idealmente l’area riscaldata dovrebbe avere forma perfettamente sferica, ma
la maggior parte delle antenne genera configurazioni ellissoidali o a goccia. La
forma cambia a seconda della geometria dell’antenna e spesso aumentando
l’invasività è possibile migliorare il pattern di riscaldamento; questo aspetto
deve essere preso in considerazione soprattutto nelle procedure non
percutanee in cui è consentito agire con maggiore invasività.
35
2- Il coefficiente di riflessione; minore è tale coefficiente, maggiore risulta la
capacità dell’antenna di trasferire energia ai tessuti.
Da un punto di vista clinico, la forma dell’antenna non rappresenta l’unico fattore che
determina l’area finale di ablazione. I cambiamenti delle proprietà dei tessuti che si
verificano durante la procedura tendono a modificare l’impedenza e dunque la
capacità delle onde elettromagnetiche di propagarsi nei tessuti stessi; per tale
motivo, la performance di un’antenna all’inizio di un’ablazione è spesso molto
differente da quella che si ha alla fine. Inoltre, bisogna ricordare che anche il
processo di conduzione termica dall’area di riscaldamento attivo, che è indipendente
dalla geometria dell’antenna, svolge un ruolo significativo nella determinazione della
zona finale di ablazione, soprattutto qualora la durata della procedura sia superiore a
6-7 minuti.
Una delle principali variabili nelle ablazioni con microonde è costituita dal diametro
dell’antenna: c’è una stretta relazione tra capacità di veicolare energia e invasività ed
è risaputo che aumentare la potenza sia il modo più semplice per accrescere le
dimensioni della zona ablata.55 Tuttavia quando la potenza aumenta, più calore si
sviluppa nel manico dell’antenna e nel cavo d’alimentazione, con la conseguenza di
ridurre la quantità di energia depositata nel tessuto e causare effetti collaterali, come
l’ustione delle zone sane attraversate dall’elettrodo nel corso del suo inserimento.
Per risolvere questo problema sono state pertanto ideate antenne internamente
raffreddate, in modo da prevenire l’eccessivo surriscaldamento delle strutture
d’alimentazione e aumentare la capacità di trasferire energia, permettendo così un
minor numero di sessioni e minimizzando la complicanze.
36
Come accennato in precedenza, un’altra peculiarità del trattamento con microonde
consiste nella possibilità di utilizzare contemporaneamente più antenne, tutte
connesse al medesimo generatore; il simultaneo posizionamento di diverse antenne
ha un effetto sinergico, migliore dunque dell’utilizzo sequenziale di più elettrodi. Un
potenziale svantaggio dell’uso di più antenne risiede nel fatto che il volume ablato
tende ad avere una configurazione non sferica;56 studi effettuati su animali hanno
però dimostrato che il posizionamento degli applicatori a una distanza < 3 cm
consente di ottenere zone di ablazione più confluenti e tendenti alla sfericità, dunque
più efficaci.57
2.3 Applicazioni cliniche
L’ablazione mediante microonde è stata applicata al fegato, rene, ghiandole
surrenali, polmone e ossa. Le indicazioni cliniche sono le medesime riportate per
altre terapie ablative, in particolare il trattamento di pazienti non candidati alla
chirurgia; l’obiettivo terapeutico può essere curativo o palliativo: in quest’ultimo caso
l’utilizzo delle microonde mira a ridurre la sintomatologia, soprattutto il dolore o il
sanguinamento ricorrente.
I tumori epatici, di cui si è ampiamente parlato in precedenza, costituiscono il
principale campo di applicazione delle microonde.
Gli studi finora realizzati sembrano dimostrare che tale tecnica rappresenti una valida
opzione terapeutica, caratterizzandosi per elevata sicurezza, affidabilità, rapidità ed
efficacia. In particolare, uno studio effettuato nel 2007 su un campione di 288
pazienti da Kuang et al. ha riportato sopravvivenze a 1, 2, 3, 4 e 5 anni
rispettivamente del 93%, 82%, 72%, 63% e 51%,58 con ricorrenza della neoplasia
37
nell’8% dei pazienti. Interessante è anche il confronto con l’altra principale opzione
terapeutica, ossia l’intervento chirurgico; uno studio di Yamanaka et al. ha messo a
confronto 27 pazienti trattati con termoablazione e 23 sottoposti a resezione,
dimostrando che il trattamento con microonde può consentire sopravvivenze a lungo
termine comparabili con quelle dei soggetti epatectomizzati, con un tasso di
complicanze significativamente inferiore.59
Il grado di differenziazione del tumore e l’indice di Child-Pugh si sono dimostrati
importanti fattori prognostici per i soggetti con HCC.60 In generale, tale trattamento
risulta ben tollerato dalla maggior parte dei pazienti epatopatici, ad eccezione di
quelli con una funzionalità epatica fortemente compromessa.
Le complicanze sono poco frequenti e solitamente di modesta entità; la loro
incidenza tende ad aumentare in caso di un elevato numero di tumori, diametro dei
noduli elevato e maggior numero di inserzioni dell’antenna. Ricercando in letteratura,
finora venti studi hanno esaminato le complicanze associate a questa procedura per
un totale di 995 pazienti; dolore e rialzo termico risultano un riscontro frequente ma
privo di importanza clinica. Altre complicanze frequenti sono rappresentate da
versamento pleurico, pneumotorace, ascesso epatico, emorragia, trombosi portale e
ustioni cutanee; soltanto due casi di morte sono stati riportati in seguito a procedure
di termoablazione con microonde, determinando un tasso di mortalità pari allo
0,002%.61
La valutazione dell’efficacia e della sicurezza di tale procedura sarà l’oggetto di
questa tesi.
38
Un crescente interesse è rivolto anche all’utilizzo di questa tecnica nel trattamento
delle neoplasie polmonari. Esse costituiscono la principale causa di morte per cancro
nel mondo, con una sopravvivenza media inferiore ad un anno dalla diagnosi nei
pazienti non trattati. Attualmente la resezione chirurgica costituisce, come nel caso
delle neoplasie epatiche, il trattamento di scelta, ma solo il 15% circa dei pazienti con
tumore polmonare è candidato alla chirurgia. L’ablazione percutanea con microonde
si presenta dunque come una valida opzione terapeutica, caratterizzandosi per
un’elevata sicurezza, buona efficacia, scarsa invasività, bassi costi e ridotti tempi di
ospedalizzazione rispetto ad una pneumonectomia convenzionale; essa non
Fig. 11 a: TC: 2 lesioni ipercaptanti in fase arteriosa al I e IV segmento (HCC). B: aree avascolari di necrosi dopo trattamento MW a 30 gg (casistica personale)
a b
Fig 10 a: posizionamento antenna MW su lesione epatica (US + CEUS); b) US durante trattamento: effetto iperecogeno dopo 60 sec (casistica personale)
39
rappresenta una terapia con soli fini palliativi, ma può essere utilizzata con intento
curativo nei casi di neoplasia limitata, in stadio IA. Nonostante si tratti di una
procedura moderatamente invasiva, un’attenta selezione dei pazienti risulta cruciale
per ottenere risultati soddisfacenti e prevenire complicanze.
Altri tumori che possono trarre beneficio da questo tipo di trattamento sono quelli
renali, sia primitivi che metastatici; considerate la morbilità e la mortalità associate
alla nefrectomia, sempre più spesso vengono cercate tecniche meno invasive per le
neoplasie più piccole e a decorso indolente. L’ablazione percutanea con microonde
offre l’indubbio vantaggio di consentire la distruzione di masse localizzate
preservando il parenchima renale non interessato da malattia.
Le stesse considerazioni possono essere fatte per i tumori surrenalici, che
costituiscono un eterogeneo gruppo di neoplasie con un’ampia variabilità prognostica
e terapeutica. Mentre gli adenomi benigni non funzionanti non richiedono solitamente
alcun tipo di terapia, le neoplasie maligne primitive o metastatiche necessitano di un
trattamento, generalmente chirurgico. L’ablazione con microonde potrebbe tuttavia
rappresentare una valida alternativa soprattutto per quei pazienti non candidati alla
chirurgia per difficoltà tecniche o per condizioni generali compromesse, con un minor
tasso di mortalità e morbilità.63
Anche se i lavori finora pubblicati riguardano soprattutto modelli animali o studi clinici
numericamente limitati, le termoablazioni sembrano garantire buoni risultati anche
nel trattamento dei tumori ossei, in particolare di tipo secondario. Le metastasi ossee
frequentemente si associano a complicanze quali dolore, fratture, difficoltà di
movimento e riduzione delle capacità funzionali e dunque della qualità di vita del
paziente.64 I trattamenti finora disponibili per i pazienti con secondarismi ossei sono
40
prevalentemente palliativi; nonostante la radioterapia rimanga l’opzione di scelta per
questi soggetti, oltre il 30% dei pazienti trattati non trova sollievo dal dolore.65 Inoltre,
coloro che manifestano nuovamente dolore in una sede precedentemente irradiata
non sono candidati per un ulteriore radioterapia, a causa della limitata tolleranza dei
tessuti a questo tipo di trattamento. Pertanto, le tecniche di termo ablazione
percutanea stanno guadagnando consensi sempre maggiori come opzione
terapeutica in pazienti con metastasi ossee sintomatiche.
2.4 Radiofrequenze versus microonde
Come detto in precedenza, il trattamento mediante radiofrequenze è attualmente la
modalità di termoablazione più diffusa, tuttavia l’utilizzo delle microonde sta andando
incontro ad un successo sempre maggiore. Entrambe le modalità si sono rivelate
sicure, efficaci e semplici da utilizzare; tuttavia, l’ablazione con microonde
presentano alcuni vantaggi rispetto a quella attuata con radiofrequenza.
● Innanzitutto, le microonde garantiscono un’efficienza di riscaldamento
nettamente superiore, ovvero una maggiore velocità di ablazione a parità di
potenza immessa. Ciò discende dalla capacità delle microonde, cioè onde
elettromagnetiche che si propagano attraverso un mezzo materiale - o anche
attraverso il vuoto - alla velocità della luce, di agire direttamente e con ritardi di
propagazione del tutto trascurabili su tutto il volume tessutale raggiunto dalla
radiazione: l’effetto di riscaldamento dielettrico avviene, pertanto,
simultaneamente su tutto il volume irradiato; non può dirsi lo stesso delle
correnti RF, le quali scaldano direttamente per effetto Joule soltanto la zona
immediatamente circostante l’elettrodo attivo, per poi diffonderne l’effetto
41
verso le regioni contigue in modo relativamente lento semplicemente in virtù
della conduzione termica intra-tessutale.
La conseguenza clinica immediata di tale maggiore velocità di riscaldamento
delle microonde è duplice: da un lato, a parità di volume di necrosi desiderato,
la durata del trattamento termoablativo si riduce drasticamente (meno della
metà rispetto alle RF); dall’altro, diventa possibile contrastare assai più
efficacemente l’effetto di drenaggio di calore (heat sinking) dovuto al transito
di fluidi corporei che, nel caso delle RF, rende incerto il conseguimento di una
necrosi coagulativa completa e omogenea in prossimità di grandi vasi
sanguigni o dotti biliari: ciò rischia di compromettere l’esito terapeutico del
trattamento e innalza la probabilità di recidive locali. L’uso delle microonde
appare, pertanto, più affidabile anche in distretti anatomici particolarmente
ostici per le RF. Considerando la ricca vascolarizzazione del fegato, è molto
frequente che una neoplasia possa trovarsi in prossimità di un grosso vaso,
con la conseguente perdita di efficacia del trattamento. Dal momento che
l’azione di raffreddamento esercitata dal flusso sanguigno è più pronunciata
nelle aree di riscaldamento conduttivo rispetto a quello attivo, le microonde
dovrebbero risentire meno di tale effetto.
● La propagazione delle microonde nei tessuti risulta assai meno soggetta a
vincoli e limitazioni di ordine fisico rispetto alle correnti RF, risultando in
ablazioni più omogenee, più ripetibili ed in performance coagulative più
uniformi su una ben più vasta varietà di tessuti (dai più grassi, ai più spugnosi
e irregolari, fino ai tessuti ossei e alle fibre muscolari). Ciò discende dalla
possibilità della radiazione a microonde di propagarsi anche attraverso il vuoto
oppure mezzi materiali isolanti, contrariamente alle RF che s’incanalano di
42
preferenza lungo percorsi a bassa resistenza elettrica: ciò porta ad una
distribuzione disomogenea delle linee di corrente - e quindi a una minore
uniformità dell’associata figura di riscaldamento - a fronte di una marcata
variabilità locale nella resistività dei tessuti.
● Mentre un elettrodo RF necessita di una piastra di dispersione applicata al
paziente per il ritorno delle correnti, un applicatore a microonde è un’antenna
(cioè, intrinsecamente, un bipolo) che non richiede altri dispositivi a chiusura
del proprio circuito elettrico e che opera in modo massimamente localizzato
nell’intorno della propria porzione attiva (a completa tutela di organi situati a
distanza dalla zona candidata al trattamento ablativo, con minore stimolazione
a largo raggio delle terminazioni nervose del paziente e senza impatto su
pacemaker o altri dispositivi impiantati a rischio d’interferenza
elettromagnetica). Vale la pena notare che l’applicazione sul paziente delle
piastre di dispersione in uso coi sistemi RF, oltre a complicare la preparazione
al trattamento, non è esente da rischi (esiste una certa possibilità di ustioni
superficiali in caso di un’adesione imperfetta alla cute) ed introduce gradi di
libertà relativi al posizionamento di difficile controllabilità ma con impatto non
trascurabile sull’esito terapeutico (spostare le piastre, infatti, equivale a
deviare le correnti iniettate nel corpo del paziente).
● L’impiego simultaneo di più applicatori RF è praticamente impossibile, visto
che le correnti tenderebbero a chiudersi tra coppie di elettrodi vicini anziché
fluire da ciascun elettrodo verso le piastre di dispersione. Ciò non accade con
gli applicatori a microonde, che possono quindi essere utilizzati in
contemporanea, o per ablare volumi tessutali di notevoli dimensioni oppure
43
per il trattamento di lesioni multifocali senza aggravio sulla durata complessiva
dell’intervento.
Diversi studi hanno messo a confronto queste due modalità di trattamento, ma finora
nessuno è riuscito ad evidenziare la significativa superiorità di una rispetto all’altra. In
particolare, uno studio retrospettivo realizzato da Ming-De Lu et al, valutando gli
effetti locali del trattamento, le complicanze e i tassi di sopravvivenza, ha mostrato
una sostanziale equivalenza delle due procedure.68 Diversamente, un altro studio
(Ohmoto et al.) ha evidenziato una maggiore efficacia del trattamento con
radiofrequenze, con tassi di ricorrenza locale significativamente più bassi e maggiori
tassi di sopravvivenza.69 Bisogna tuttavia precisare che gli studi succitati sono stati
condotti diversi anni orsono e non tengono dunque in considerazione i notevoli
progressi realizzati negli ultimi tempi nella tecnica di ablazione con microonde.
In conclusione, entrambe le tecniche si sono dimostrate efficaci e sicure nel
trattamento dei tumori epatici; la termoablazione con microonde costituisce una
modalità di trattamento promettente e presenta un’ ampia gamma di vantaggi teorici
che tuttavia dovranno ancora essere dimostrati con ulteriori studi randomizzati.
44
CAPITOLO 3
SCOPO DELLA TESI
Obiettivo dello studio è stato valutare l’efficacia e la sicurezza del trattamento di
termoablazione mediante microonde di neoplasie epatiche primitive e secondarie.
In particolare, è stata valutata la risposta al trattamento ablativo in termini di
percentuale di necrosi, differenziando le lesioni in base all’istotipo e alle dimensioni,
e le complicanze associate al trattamento.
Ecografia basale: nodulo ipoecogeno al IV segm. (HCC in cirrosi epatica)
CEUS: netta ipervascolarizzazione in fase arteriosa (HCC)
Termoablazione con microonde: area iperecogena secondaria al gas prodotto durante il trattamento
CEUS: ampia area avascolare di necrosi dopo il trattamento
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CAPITOLO 4
MATERIALI E METODI
4.1 Pazienti
Questo studio è stato condotto presso l'U.O.S. Di Epatologia Diagnostica ed
Interventistica dell'U.O.C di Medicina di Este, ULSS17.
Tra maggio 2009 e settembre 2010, 64 pazienti con 83 lesioni sono stati arruolati e
sottoposti a procedura di termoablazione con microonde. Il gruppo di pazienti era
costituito da 39 maschi e 25 femmine, con un’età media di 70 anni ± 3 ( range 41-87
anni ). Di questi, 44 erano affetti da epatocarcinoma, 16 da tumori metastatici e 4 da
colangiocarcinoma. Tra i pazienti con HCC, 42 presentavano una sottostante
epatopatia ad eziologia nota ( 27 HCV+, 5 HBV+, 7 esotossica, 3 coinfezione
HBV+HCV ), i restanti hanno sviluppato la neoplasia su un substrato di cirrosi
criptogenetica. 37 pazienti erano stati precedentemente sottoposti ad altri trattamenti
( 17 a RFTA, 11 a TACE, 2 a PEI e 7 a resezione epatica ) (Tab.2).
Tutti i pazienti sono stati informati sulla natura del trattamento e hanno firmato un
consenso a tal riguardo.
Prima di essere sottoposti alla procedura, tutti i pazienti hanno eseguito una TC con
mezzo di contrasto, una RM o una CEUS per valutare la sede e le dimensioni delle
lesioni. Criteri di inclusione per il trattamento erano i seguenti: conta piastrinica >
50000/ mm², attività protrombinica > 50%, concentrazione della bilirubina totale < 3
mg/dl e indice di Child-Pugg ≤ B8. I pazienti con trombosi neoplastica della vena
porta o metastasi extraepatiche sono stati esclusi.
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Caratteristiche dei pazienti
Età media Sesso M/F Istotipo della neoplasia :
• HCC • Colangiocarcinoma • Metastasi da Ca colon • Metastasi da Ca mammario • Metastasi da Ca gastrico • Altro