1 San Giustino e il Cristianesimo delle origini Introduzione L’apologista Giustino è forse la prima figura storica cristiana di cui si può delineare con sicurezza la fisionomia. Lo studio di questo filosofo e martire può consentire di fare il punto su ciò che era il Cristianesimo a poco più di cento anni dalla morte di Gesù; quasi un’istantanea sui riti, sul culto, sulla dottrina, quale si era venuta configurando nei primi tempi del religione cristiana. Ovviamente il processo ha caratteristiche di continuità, ma per le difficoltà di una ricostruzione sicura delle dinamiche di sviluppo della religione cristiana, soprattutto nei primi tempi, ho preferito la strada più agevole di vedere con sicurezza un primo risultato scegliendo proprio il momento in cui il Cristianesimo tenta l’incontro con la filosofia greca e si differenzia sicuramente dal giudaismo. Si tratta di uno snodo importante: fino a quel momento la cultura greca era stata tenuta ai margini dai cristiani, soprattutto in base a quanto sostenuto da San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, nella quale si respinge con forza la sapienza degli uomini: “Cristo non mi ha mandato a battezzare ma a predicare il Vangelo, non però con un discorso sapiente, affinché il sacrificio della croce non sia reso vano”. Lo stesso Paolo, però, aveva tentato nel celebre discorso dell’Aeropago, riportato negli Atti degli apostoli, un approccio con la cultura greca, che in quell’occasione, peraltro, si era rivelato molto insoddisfacente. Si era, quindi, in una situazione ambigua, che si chiarirà col tempo e porterà a quella sistemazione, prima patristica e poi scolastica, che si suole inquadrare come problematica del rapporto tra fede e ragione. Non è che la cristianità abbia risolto in maniera univoca questo rapporto e le discussioni attuali su scienza e fede, con le implicazioni relative alla bioetica, sono lì a testimoniarlo, però il ritorno a quando il problema fu impostato, per una ripresa, mutatis mutandis, di formulazioni teoriche dimenticate, è sembrato a chi scrive un percorso interessante ed auspicabile. Inoltre nel periodo in cui scrive Giustino, sotto la spinta della reazione antignostica, si procede ad una prima riflessione sul canone neotestamentario, che Marcione voleva molto ristretto (praticamente accettava soltanto parte del vangelo di Luca e
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Transcript
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San Giustino e il Cristianesimo delle origini
Introduzione
L’apologista Giustino è forse la prima figura storica cristiana di cui si può delineare
con sicurezza la fisionomia. Lo studio di questo filosofo e martire può consentire di
fare il punto su ciò che era il Cristianesimo a poco più di cento anni dalla morte di
Gesù; quasi un’istantanea sui riti, sul culto, sulla dottrina, quale si era venuta
configurando nei primi tempi del religione cristiana. Ovviamente il processo ha
caratteristiche di continuità, ma per le difficoltà di una ricostruzione sicura delle
dinamiche di sviluppo della religione cristiana, soprattutto nei primi tempi, ho
preferito la strada più agevole di vedere con sicurezza un primo risultato scegliendo
proprio il momento in cui il Cristianesimo tenta l’incontro con la filosofia greca e si
differenzia sicuramente dal giudaismo.
Si tratta di uno snodo importante: fino a quel momento la cultura greca era stata
tenuta ai margini dai cristiani, soprattutto in base a quanto sostenuto da San Paolo
nella prima lettera ai Corinzi, nella quale si respinge con forza la sapienza degli
uomini: “Cristo non mi ha mandato a battezzare ma a predicare il Vangelo, non però
con un discorso sapiente, affinché il sacrificio della croce non sia reso vano”.
Lo stesso Paolo, però, aveva tentato nel celebre discorso dell’Aeropago, riportato
negli Atti degli apostoli, un approccio con la cultura greca, che in quell’occasione,
peraltro, si era rivelato molto insoddisfacente.
Si era, quindi, in una situazione ambigua, che si chiarirà col tempo e porterà a quella
sistemazione, prima patristica e poi scolastica, che si suole inquadrare come
problematica del rapporto tra fede e ragione. Non è che la cristianità abbia risolto in
maniera univoca questo rapporto e le discussioni attuali su scienza e fede, con le
implicazioni relative alla bioetica, sono lì a testimoniarlo, però il ritorno a quando il
problema fu impostato, per una ripresa, mutatis mutandis, di formulazioni teoriche
dimenticate, è sembrato a chi scrive un percorso interessante ed auspicabile.
Inoltre nel periodo in cui scrive Giustino, sotto la spinta della reazione antignostica,
si procede ad una prima riflessione sul canone neotestamentario, che Marcione
voleva molto ristretto (praticamente accettava soltanto parte del vangelo di Luca e
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delle lettere paoline). Infine la sistemazione teologica è già interessante, anche se
ancora lontana dal fondamentale concetto di Trinità (1).
1) Noto che il prof. Mauro Pesce con maggiore ampiezza di riferimenti e risultati diversi si pone
sulla stessa linea d’indagine nel recente “Da Gesù al Cristianesimo”. Quello che noi
chiamiamo cristianesimo non è espressione della prima risposta (che proponeva che i
gentili si giudaizzassero), la quale viene oggi chiamata spesso “giudeo-cristianesimo”.
Non è espressione neppure della seconda che dovrebbe essere chiamata
semplicemente paolinismo. Il cristianesimo è solo la terza forma, quella che
“paganizzò” il messaggio di Gesù de-giudaizzandolo. Il cristianesimo è quindi, nella
mia interpretazione, la religione dei gruppi etnici che hanno aderito a Gesù
“paganizzando” il giudaismo, cioè per esprimersi in termini più corretti: quei gruppi
che eliminarono dal messaggio di Gesù gli elementi della cultura giudaica per essi non
significativi o comprensibili e lo re-interpretarono e ricollocarono all’interno dei
diversi sistemi culturali – non giudaici – dei “gentili”.
(Intervista al prof. Pesce a cura di E. Carnevali)
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Interessante è poi vedere come la nuova religione si vada differenziando
dall’Ebraismo. Prima di tutto dobbiamo correggere un’impostazione che vede nel
Cristianesimo il progetto di una religione nuova rispetto a quella ebraica. Non è così;
gli Ebrei sono chiamati a diventare seguaci di Gesù, messia e figlio di Dio ed è solo la
loro riluttanza nell’accettare Gesù che produce, nei fatti, le due religioni. Questo
avvenne sostanzialmente per tre motivi che schematizziamo in ordine d’importanza:
1) Il diverso rapporto con i Romani, che erano fortemente odiati dagli Ebrei
come oppressori, mentre i Cristiani, a parte l’adorazione nei confronti di altre
divinità e il rifiuto di offrire sacrifici per la salute dell’imperatore, non erano,
per principio, ostili allo stato romano.(1)
2) La presa di distanza da parte dei Cristiani circa le regole della Legge, che si
manifestò ben presto. In Giustino si ribadisce che gli Ebrei se vogliono
possono seguire le regole della legge sulla circoncisione e sul sabato, ma non
devono pretendere ciò dagli altri popoli.
3) Infine la questione monoteistica. Se Gesù è una divinità e non un uomo come
si concilia questo con il monoteismo?
Si tenga presente, a tale proposito, che solo dopo Giustino si affaccerà la
problematica della Trinità, che verrà definita tra aspre controversie solo nel corso
del IV secolo dai concili di Nicea e Costantinopoli.
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1) Nei vangeli sinottici, a proposito della distruzione di Gerusalemme, si nota chiaramente
l’atteggiamento non combattivo dei primi cristiani, invitati a fuggire sui monti.
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In conclusione, nel periodo in cui scrive Giustino il Cristianesimo andava
prendendo la sua fisionomia; da allora in poi si può veramente parlare di una
nuova religione (1).
Detto questo concordiamo con chi avanza riserve sullo spessore filosofico di San
Giustino e quindi ci è sembrato eccessivo discettare, per esempio, su concetti,
pur importanti, che coinvolgono il cristianesimo nel suo complesso, come il
creazionismo o la concezione del tempo e della storia. Questo studio, del resto,
vuole essere più di tipo storico che filosofico; analogamente non ci è sembrato
interessante andare a vedere i legami con i generi letterari del tempo. Per tutte
queste questioni rinviamo ad altri studi, nei quali il lettore, volendo, potrà
trovare le opportune risposte.
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1) Ci sembra interessante quanto si dice, nell’Intervista sul Cristianesimo di C.Augias al prof.Remo Cacitti, a proposito della separazione del Cristianesimo dal Giudaismo: Durante il colloquio lei ha più volte accennato a comunità giudaiche, giudeo-cristiane, solo cristiane. È possibile individuare quando questo magma ancora indistinto, fatto di giudaismo e cristianesimo, si apre, anzi si scinde come fanno le cellule, dando vita a due organismi separati e distinti? Ho già menzionato il valore simbolico dell'anno 135, poiché, con la definitiva caduta di Gerusalemme, i due rami del giudaismo sopravvissuti alla tragedia, il rabbinismo e il cristianesimo, in origine generati dallo stesso utero, dividono le loro sorti, acquistano connotati sempre più precisi che li portano ad accentuare progressivamente le rispettive differenze. Per affermare se stessi occorre negare, quando addirittura non eliminare, l'altro da sé. Nasce così quel micidiale processo di autoaffermazione che porta a diffamare gli altri e che segnerà tragicamente la storia dei rapporti fra ebraismo e cristianesimo sino a oggi. Credo utile precisare che cosa distingua il rabbinismo dal giudaismo tradizionale. Anche per vedere meglio quando uno dei due gemelli,il cristianesimo, dopo essere cresciuto nello stesso alveo, esce di casa per non tornarvi più. Gran parte degli storici vede il momento della separazione nella seconda caduta di Gerusalemme, avvenuta appunto nell'anno 135. Come abbiamo detto, la città era già stata espugnata da Tito nel 70. Nel 132-135 ci fu un'altra violenta fiammata con l'insurrezione guidata da Bar Kochba, unto come messia. Di nuovo la capitale venne espugnata e, dopo questa seconda catastrofe, l'imperatore Adriano le cambiò addirittura nome: Gerusalemme diventa Aelia Capitolina, e agli ebrei era addirittura proibito entrarvi. Ovviamente, nella data, l'anno 135, come sempre accade in casi del genere, c'è sì un avvicinamento alla realtà degli eventi, ma anche la necessità di fissare un punto di riferimento. Ciò che possiamo dire è che in quel periodo avviene da un lato l'uscita definitiva del cristianesimo dalla prospettiva giudaica; dall'altro, la riorganizzazione del giudaismo nel cosiddetto «rabbinismo». I rabbini, gli ebrei sopravvissuti, devono fare i conti con un'esperienza che li ha portati in sessanta, settant’anni alla catastrofe. È una sciagura imputabile alle componenti millenariste, apocalittiche del giudaismo. Il rabbinismo liquida questa esperienza, si organizza in sistema sapienziale, si arrocca su alcuni principi, emargina l'altro, il diverso, come avviene sempre nei momenti di crisi.
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SAN GIUSTINO
Nota biografica
Dall’ anno 66 al 70 d.C. la terra di Palestina fu teatro della guerra detta Giudaica
raccontata con molti dettagli dallo storico Giuseppe Flavio. Dopo la vittoria delle
legioni romane guidate da Tito, che distrusse il tempio di Gerusalemme e la resa, di
lì a qualche anno, della fortezza di Masada, la regione venne per un po’ pacificata;
infatti solo dopo una sessantina d’anni scoppiò una nuova rivolta.
I Romani per controllare i territori erano soliti mandare sul posto dei coloni-soldati:
fu così che il nonno di San Giustino, Baccheio, si stabilì in Samaria. Qui, a Flavia
Neapolis (anticamente Sichem, oggi Nablus) da un certo Prisco, figlio di Baccheio,
intorno all’anno 100, nacque Giustino.
Educato alla filosofia, pervenne più tardi al cristianesimo e tentò di armonizzare il
suo itinerario spirituale cercando di dimostrare quasi la confluenza del paganesimo
nel cristianesimo.
Scrisse molte opere, ma l’elenco della sua produzione è discusso; ci restano,
sicuramente sue, secondo i critici, due Apologie e il Dialogo con Trifone, un
maestro ebreo; inoltre restano gli Atti del suo martirio.
Giustino, dopo la conversione, infatti, fu strenuo difensore del Cristianesimo e
viaggiò molto per diffonderne la dottrina. Poi si stabilì a Roma dove fondò una
scuola. Scrisse le apologie per convincere l’ imperatore Antonino Pio ad accettare la
nuova religione. Non fu molto convincente e il successore Marco Aurelio,
l’imperatore filosofo, lo fece decapitare nell’anno 165.
Negli Atti del martirio c’è in sintesi la sua posizione filosofica e teologica.
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Atti del Martirio di San Giustino e compagni
I – 1) Al tempo degli uomini iniqui difensori dell’idolatria, furono emanati nella città e
nella regione empi editti contro i pii cristiani, con lo scopo di costringerli a sacrificare agli
idoli vani.
2) Arrestati dunque, i predetti martiri furono condotti dinanzi a Rustico, prefetto di Roma.
II – 1) Appena furono condotti al tribunale, il prefetto Rustico intimò a Giustino: "Prima di
tutto, credi agli dei e obbedisci agli imperatori!".
2) Rispose Giustino: "Irreprensibile e immune da condanna è per me obbedire ai comandi
1) In appendice n.4 la discussione sui risvolti antropologici del rito eucaristico.
2) Giustino difese il cristianesimo dagli gnostici nel suo trattato sulla Resurrezione, di cui
esistono frammenti in altri scrittori cristiani. Ricordiamo, però, che questa attribuzione è
dubbia.
Trattato sulla risurrezione, 2.4.7-9
« Credo la risurrezione della carne » (Credo)
Coloro che sono in errore dicono che non c’è risurrezione della carne, che è impossibile che essa, dopo esser stata distrutta e ridotta in polvere, ritrovi la sua integrità. Ancora, secondo loro, la salvezza della carne sarebbe non soltanto impossibile, ma pure nociva; biasimano la carne, denunciando i suoi difetti, la rendono responsabile dei peccati; dicono quindi che se questa carne dovesse risuscitare, anche i suoi difetti risusciterebbero… Inoltre, il Salvatore ha detto: «Quando risusciteranno dai morti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli.» Ora, dicono, gli angeli
non hanno carne, né mangiano né si uniscono. Dunque, dicono, non ci sarà risurrezione della carne…
Quanto sono ciechi gli occhi del solo intelletto! Non hanno visto infatti sulla terra «i ciechi ricuperare la vista, gli storpi camminare» (Mt 11,5) grazie alla parola del
Salvatore…, allo scopo di farci credere che, alla risurrezione, l’intera carne risusciterà. Se sulla terra, egli ha guarito le infermità della carne e ha reso al corpo la sua integrità, quanto più lo farà al momento della risurrezione, affinché la carne risusciti senza difetto, integralmente… Questa gente mi sembra ignorare l’operare divino nel suo insieme, all’origine della creazione, quando l’uomo è stato plasmato; ignorano il motivo per il quale
le cose terrene sono state fatte. Il Verbo ha detto: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza (Gen 1,26)… È ovvio che l’uomo, pur plasmato a immagine di Dio, era di carne. Quanto è assurdo allora considerare disprezzabile e senza alcun merito, la carne plasmata da Dio secondo la sua immagine! Che la carne sia preziosa agli occhi di Dio, questo è evidente, poiché essa è opera sua. E poiché proprio in questo si trova il principio del suo progetto per il resto della creazione, essa è ciò che c’è di più prezioso agli occhi del creatore.
1) 3 Samuele era morto e tutto Israele aveva fatto il lamento su di lui; poi l'avevano seppellito in
Rama sua città. Saul aveva bandito dal paese i negromanti e gl'indovini.
4 I Filistei si radunarono, si mossero e posero il campo in Sunàm. Saul radunò tutto Israele e si
accampò sul Gelboe. 5 Quando Saul vide il campo dei Filistei, rimase atterrito e il suo cuore tremò
di paura. 6 Saul consultò il Signore e il Signore non gli rispose né attraverso sogni, né mediante gli
Urim, né per mezzo dei profeti. 7 Allora Saul disse ai suoi ministri: «Cercatemi una negromante,
perché voglio andare a consultarla». I suoi ministri gli risposero: «Vi è una negromante nella città
di Endor». 8 Saul si camuffò, si travestì e partì con due uomini. Arrivò da quella donna di notte.
Disse: «Pratica la divinazione per me con uno spirito. Evocami colui che io ti dirò». 9 La donna gli
rispose: «Tu sai bene quello che ha fatto Saul: ha eliminato dal paese i negromanti e gli indovini e
tu perché tendi un tranello alla mia vita per uccidermi?». 10 Saul le giurò per il Signore: «Per la vita
del Signore, non avrai alcuna colpa per questa faccenda». 11 Essa disse: «Chi devo evocarti?».
Rispose: «Evocami Samuele».
12 La donna vide Samuele e proruppe in un forte grido e disse quella donna a Saul: «Perché mi hai
ingannata? Tu sei Saul!». 13 Le rispose il re: «Non aver paura, che cosa vedi?». La donna disse a
Saul: «Vedo un essere divino che sale dalla terra». 14 Le domandò: «Che aspetto ha?». Rispose: «È
un uomo anziano che sale ed è avvolto in un mantello». Saul comprese che era veramente
Samuele e si inginocchiò con la faccia a terra e si prostrò. 15 Allora Samuele disse a Saul: «Perché
mi hai disturbato e costretto a salire?». Saul rispose: «Sono in grande difficoltà. I Filistei mi
muovono guerra e Dio si è allontanato da me; non mi ha più risposto né per mezzo dei profeti, né
per mezzo dei sogni; perciò ti ho evocato, perché tu mi manifesti quello che devo fare».
16 Samuele rispose: «Perché mi vuoi consultare, quando il Signore si è allontanato da te ed è
divenuto tuo nemico? 17 Il Signore ha fatto nei tuoi riguardi quello che ha detto per mia bocca. Il
Signore ha strappato da te il regno e l'ha dato al tuo prossimo, a Davide. 18 Poiché non hai
ascoltato il comando del Signore e non hai dato effetto alla sua ira contro Amalek, per questo il
Signore ti ha trattato oggi in questo modo. 19 Il Signore abbandonerà inoltre Israele insieme con
te nelle mani dei Filistei. Domani tu e i tuoi figli sarete con me; il Signore consegnerà anche
l'accampamento d'Israele in mano ai Filistei». (Samuele 3,19)
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IL Nuovo Israele
Per Giustino è tutto chiaro: il Cristianesimo avanza, nonostante le persecuzioni che,
in verità fino ai suoi tempi, erano state meno intense e questo è il segno che Gesù è
il Cristo.
Ora dobbiamo fare noi una piccola e semplice considerazione. Il mondo occidentale
era allora ristretto all’area mediterranea. Questa religione che si andava
diffondendo, sia pure a fatica, tra popolazioni varie aveva come resistenza tenace
soltanto il popolo ebraico.
Dobbiamo chiederci il perché.
Consideriamo che nell’evangelizzazione dei popoli mediterranei non si poneva il
problema di Dio e di un altro tipo di vita. In un modo o nell’altro ci credevano tutti.
Per le istituzioni romane c’era solo il problema della fedeltà allo stato e
all’imperatore. Per il resto il bisogno di nuove fedi (ricordiamo che non c’era solo il
Cristianesimo a diffondersi) era intenso. Il Cristianesimo sintetizzò i vari culti,
assorbendoli dialetticamente, proprio in senso hegeliano.
Alcuni esempi per capire: la Madonna col bambino dell’iconografia cristiana si trova
nel culto di Iside, che ha in braccio il figlioletto Seth, la festività del Natale si collega
al culto mitraico, il fortissimo disprezzo per il mondo materiale, che ispira il primo
monachesimo orientale è di derivazione gnostica. Si può aggiungere il culto di San
Michele, che, rappresentato con spada e corazza, aiuta nella conversione di
popolazioni guerriere di origine barbarica e riassume in sé elementi del culto
mitraico (San Michele sul Gargano).
Solo gli Ebrei non ci staranno a farsi assimilare perché Gesù, così come era stato
compreso dalla cerchia dei suoi seguaci, non assecondava le loro aspettative di
riscatto politico e in prospettiva di supremazia, rompeva troppo con le tradizioni
(circoncisione e problema del sabato) e, infine, era presentato come una divinità che
rompeva il rigido monoteismo (il concetto, tardivo, di Trinità sembrava poco più di
un espediente). Essi saranno tollerati, più o meno, perché spesso saranno oggetto di
attacchi. Non saranno eliminati del tutto, forse perché non fanno molto proselitismo
e sono utili con le loro attività commerciali.
Comunque, Giustino, quando il cristianesimo è ancora all’inizio della sua storia e
soprattutto non occupa posizioni di potere, non ha perso del tutto le speranze di
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convincerli. Dice, infatti, più avanti: “Fratelli, non vogliate dir nulla di male contro
quel crocifisso! Non deridete le sue lividure, grazie alle quali tutti possono essere
guariti, come noi siamo stati guariti! Come sarebbe bello se credeste alle parole della
scrittura e circoncideste la vostra durezza di cuore!” (pag.375)
Alla fine Trifone così si esprime: “ Vedi, non è per calcolo che ci siamo trovati a
confrontarci su questi argomenti, ma confesso che sono rimasto pienamente
soddisfatto di questo incontro, e credo che anche gli altri condividano il mio
sentimento. Abbiamo trovato più di quanto ci aspettavamo e di quanto fosse lecito
aspettarsi” (pag.384).
Giustino dal suo canto si mostra tuttora fiducioso nella conversione degli Ebrei;
infatti dice “Vi esorto ad affrontare il supremo combattimento per la vostra salvezza
e a darvi cura di preferire ai vostri maestri il cristo del Dio onnipotente”(pag 384).
Insomma a metà del II secolo ci sarebbe ancora una possibilità, sia pure tenue, di
evitare il formarsi di due religioni. Purtroppo il tenue filo si spezzerà.
Com’è noto, dopo San Giustino procede l’elaborazione teologica dei padri della
Chiesa fino al grande Sant’Agostino. Il Cristianesimo definirà i propri dogmi e
scarterà le interpretazioni ritenute non ortodosse, parimenti sarà definito il canone
degli scritti ispirati e si provvederà a rimuovere i tanti scritti su Gesù ritenuti non
veritieri. Ritornare su ciò che è stato definito è operazione francamente inutile; non
spetta allo storico del pensiero stabilire chi ha ragione e chi ha torto. Solo si deve
dire che, se non si accetta la conclusione che la storia ha poi consegnato ai posteri,
del messaggio di Gesù non resta quasi nulla.
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Appendici
1) Gesù secondo la storia
Ricostruire, secondo la storia, la vicenda umana di Gesù presenta una certa
difficoltà, ma non è impossibile. Prima di tutto occorre considerare la sostanziale
attendibilità dei Vangeli.
Essa è data, tra l’altro, dal fatto che i redattori dei Vangeli registrano anche le loro
incomprensioni dottrinali e i tradimenti ed, infine, su una vicenda cruciale come la
resurrezione, non tralasciano di riferire la possibilità dell’imbroglio da parte di alcuni
di essi, attribuendo agli Ebrei questo sospetto. Questa sincerità è la miglior prova
della buona fede degli Evangelisti. Certo mancano notizie provenienti da altre fonti, a
parte qualche inciso di Tacito e Svetonio, ma ciò è comune nella storia antica anche
ad altre vicende; comunque di un personaggio importante come Giovanni Battista
parla lo storico ebreo Flavio Giuseppe, che nomina anche brevemente Gesù. Orbene
se la citazione di Gesù può essere, per il tono adoperato, un’aggiunta posteriore, è
probabile che il passo relativo al Battista, di una certa ampiezza, sia autentico.
I Vangeli furono scritti nel I secolo (i sinottici tra il 66 e il 68; quello di Giovanni
dopo il 90). Si può arrivare a questo tenendo conto che un altro testo importante, gli
Atti degli apostoli, si chiude con Paolo ancora vivo. Tenendo conto che gli Atti sono
la seconda parte della testimonianza di Luca, che ricalca Marco, si possono datare
questi due scritti appunto tra il 66 e il 68, comunque prima del martirio di Paolo; per
Luca si può essere più precisi, perché ricorda, in un passo, la possibile devastazione
di Gerusalemme da parte dei Romani, già con Vespasiano che arrivò fino ad Emmaus
e non attaccò per la morte di Nerone (Quando vedrete Gerusalemme circondata da
eserciti, allora la sua devastazione è vicina). Del resto nel 66 i Romani avevano già
provato a distruggere Gerusalemme, ma erano stati sconfitti. Quanto al testo attribuito
all'apostolo Matteo, ma opera di uno scriba che ha rifatto un originale aramaico,
secondo i più precede Luca; potrebbe essere, invece, posteriore perché il discorso
sulle beatitudini e la preghiera del Padre Nostro sono più ampie rispetto a Luca e lo
presuppongono; inoltre conclude con una affermazione trinitaria, assente in Marco
(mentre Luca non riporta l'evento). Su Matteo c’è da rilevare che si sforza di
collegare la vicenda di Gesù con le profezie e, tra l’altro, inserisce la nascita a
Betlemme per far concordare con le profezie la vicenda di Gesù, nato, invece, in una
località della Galilea, in seguito chiamata Nazareth, dall’appellativo nazareno dato a
Gesù (Matteo, invece fa derivare nazareno da Nazareth). In ogni casi Gesù è un
nazireo o nazareno anomalo, perché beve vino e si accosta ai cadaveri). Da quanto
sopra detto, il più attendibile dei sinottici è Luca, che si pone esplicitamente il
proposito di scrivere un’indagine circostanziata su quanto si dice su Gesù e la dedica
ad un certo Teofilo (attestato come padre del sommo sacerdote Mattia, anni: 65-66).
Per Giovanni, che non è l'apostolo, ma un suo omonimo, occorre considerare che il
suo Vangelo è anche una risposta alle sette gnostiche che negavano la realtà
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dell’incarnazione e avevano i loro vangeli e quindi è posteriore, in quanto la dottrina
cristiana parte dall’ebraismo e solo successivamente si scontra con gli gnostici. Si
tratta di un Vangelo importante sul piano teologico, meno su quello storico, perché
più tardivo e scritto con un intento dottrinale.
I Vangeli, infatti, ci presentano Gesù fondamentalmente come un ebreo eterodosso,
forse un nazireo anomalo, da cui deriverebbe il toponimo Nazareth, che vuole
rinnovare, in antitesi all’ebraismo ufficiale, la fede d’Israele. Il voto del nazireato,
previsto dalla legge mosaica, con qualche frequentazione essena, riguardava
certamente Giovanni Battista, che chiamò alla conversione le genti d’Israele; dopo la
sua uccisione da parte di Erode Antipa, Gesù intensifica la propria predicazione, che,
in seguito, si dilata oltre i confini dell’ebraismo, in quanto si diffonde la novità del
messaggio a popolazioni confinanti e Gesù si rende conto dell’enorme potenziale di
fede fuori d’Israele. Non viene, però, compreso in maniera univoca ed è confuso con
un messia prevalentemente politico; di qui, è probabile, scaturisca il tradimento di
Giuda, deluso nelle sue aspettative rivoluzionarie.
L’ostilità degli ambienti ebraici ufficiali è fuori discussione, per gli attacchi continui
di Gesù; quanto ai Romani è verosimile che non abbiano capito molto del
personaggio, ma abbiano acconsentito alla crocifissione per prudenza politica.
In effetti per alcuni decenni per i Romani non c’è distinzione tra Giudei e Cristiani
come evidenzia un passo di Svetonio che si riferisce ad una vicenda dell’epoca di
Claudio.
Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulit
“Espulse da Roma i Giudei che per istigazione di Cresto creavano continuamente disordini” (Vita
Claudii XXIII, 4)
Poi, forse su indicazione degli stessi Ebrei, i Romani compresero il carattere
peculiare della setta “cristiana” alla quale perciò non venne riconosciuto il carattere
di religio licita che per motivi politici c’era, fin dai tempi di Giulio Cesare, per
l’Ebraismo ufficiale.
L’esigenza politica, data la delicatezza del fronte orientale, di trovare dei
compromessi con gli Ebrei, nonostante le numerose rivolte e la grande Guerra
Giudaica, spinse i Romani a grandi cautele nei confronti degli Ebrei, ma all’epoca di
Giustino ci fu la rivolta guidata da Bar Kochba e l’imperatore Adriano prese
provvedimenti più severi, che portarono alla definitiva scomparsa della presenza
ebraica in Giudea, che prese l’antico nome di Palestina.
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2) A proposito di Logos = ragione
Nel pensiero di San Giustino il concetto di Logos riveste una fondamentale
importanza. Esso, tuttavia, ha una lunga storia alle spalle, che ci sembra giusto
riassumere, in quanto il significato del termine non risulta univoco nella storia del
pensiero.
Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, Giovanni ha iniziato il prologo del
suo Vangelo con le parole: "In principio era il λόγος". È questa proprio la stessa parola
che usa l'imperatore: Dio agisce con logos. Logos significa insieme ragione e
parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come
ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio,
la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la
loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice
l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un
semplice caso. (Dal discorso di Ratisbona di Benedetto XVI)
Si noti la concordanza tra le parole del pontefice e il concetto di Logos in San Giustino.
Va però osservato che la questione del Logos nel pensiero greco è estremamente complessa; in
questa appendice ci limitiamo ad una piccola antologia delle problematiche connesse.
Platone
In Platone il significato iniziale di logos non è dimostrazione, ma manifestazione
grammaticalmente collegata di verbi e nomi. Poi, a questo significato, se ne aggiungono altri che
portano a considerare il logos come segno distintivo della cosa e quindi via per la vera conoscenza.
Sarà poi la dialettica a consentire di distinguere un’idea dall’altra permettendo la conoscenza salda
(episteme).
SOCR. O via, chi dice così che cosa vuol significhi la parola ‘ragione’? A me pare una di queste tre
cose. TEET. Quali? SOCR. La prima sarebbe questa: [d] manifestare il proprio pensiero, mediante
la voce, con verbi e nomi, effigiando nelle parole che fluiscono dalle labbra, come in acqua o
specchio, l’immagine dell’opinione. Non ti pare che ragione sia qualche cosa di simile? TEET. Mi
pare. Certo chi fa codesto diciamo che ragiona.
TEET. Hai fatto bene a ricordarmelo: di fatti ne rimane ancora uno. Il primo era come chi dicesse
un’immagine del pensiero nella voce; il secondo, che abbiamo esaminato dianzi, era un giungere
fino all’intiero percorrendo tutta la serie degli elementi; e ora il terzo quale è? SOCR. Quello che
diranno i più: poter indicare un segno onde la cosa di cui si domanda differisce da tutte le altre.
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Vediamo adesso cosa ne pensa Aristotele
Ciò che attualmente si intende col termine logica, Aristotele chiamava analitica.
Anche per Aristotele col termine logos non si intende il ragionamento dimostrativo, ma la parola
grammaticalmente collegata, come evidenzia uno studioso contemporaneo.
Emilio Lledò :L’uomo animale politico
E' perciò importante, in questo senso, ricordare che Aristotele, nella stessa pagina in cui
definisce l'uomo come animale politico, come animale che vive in una polis e deve organizzare
il suo modo di vivere, lo definisce anche come zòon lògon èchon, che significa,
traducendo alla lettera, "animale dotato di parola", o per meglio dire: "animale
dotato di lògos". E' piuttosto singolare che questa definizione aristotelica dell'uomo
abbia dato origine all'altra famosa definizione: "l'uomo è un animale razionale". Non
era questo che Aristotele intendeva. Aristotele voleva dire soltanto che,
naturalmente, il lògos è una lotta per la razionalità: ma l'uomo non è un essere
razionale. E' invece, secondo questa famosa definizione, un essere che parla, che
muove la lingua - quella cosa così reale e così fisica che è la lingua - e muovendola
produce un suono semantico, dei suoni che creano comunità, che creano polis, che
creano uno spazio collettivo.(Tratto dall'intervista Origine dei concetti di felicità e uomo politico ,
Napoli, 21 aprile, 1988)
Stoicismo
Con lo stoicismo ci si avvicina al significato attuale del termine logica, perché, per gli stoici il logos è da una parte e in primo luogo, una forza cosmica, ma l’uomo può
esprimere il logos immanente, se coglie i collegamenti presenti nella realtà. La logica è la parte della filosofia che si occupa dei discorsi tesi ad esprimere il logos. Gli stoici vogliono superare le difficoltà che impediscono agli uomini di vivere secondo il logos
andando oltre Eraclito, che così si esprimeva:
Di questo lógos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo
ascoltato; benché infatti tutte le cose accadano secondo questo lógos, essi assomigliano a persone inesperte, pur
provandosi in parole e in opere tali quali sono quelle che io spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e
dicendo com’è. Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di ciò
che fanno dormendo.
L’uomo saggio è colui che sa vivere secondo il logos; il ragionamento, nel senso moderno del termine, è solo
una strada per uno stile di vita, che è l’obiettivo principale.
Filone
Con questo pensatore ebreo ci si avvicina al senso cristiano del termine Logos
Tra Dio e il mondo, Filone colloca molte potenze, che svolgono funzioni di
intermediari. La maggiore di queste, che comprendono anche gli angeli e i demòni, é il
Logos, un concetto che Filone riprende dalla tradizione greca. Egli lo dice "
primogenito " o " immagine " di Dio , ma non risulta del tutto chiaro se lo consideri
entità increata o creata da Dio stesso. Esso é il depositario delle idee, che svolgono
funzione di modelli per la creazione del mondo, come già aveva sostenuto Platone.
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Eccoci finalmente al pensiero di Giovanni apostolo nel celebre prologo del IV vangelo:
Dio nessuno l'ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato.
In seguito si trova questa espressione:
“Perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha
mandato”.
Logos=manifestazione della volontà di Dio
Dio è e, nello stesso tempo, si manifesta. Quindi il senso del termine non è la ragione in senso
dimostrativo.
Nella Bibbia, Dio non motiva mai le proprie decisioni; anche Gesù si esprime per parabole, non con
discorsi razionali.
Tuttavia, volesse Dio parlare
e aprire le labbra contro di te,
[6]per manifestarti i segreti della sapienza,
che sono così difficili all'intelletto,
allora sapresti che Dio ti condona parte della tua
colpa.
[7]Credi tu di scrutare l'intimo di Dio
o di penetrare la perfezione dell'Onnipotente?
[8]E` più alta del cielo: che cosa puoi fare?
E` più profonda degli inferi: che ne sai?
[9]Più lunga della terra ne è la dimensione,
più vasta del mare.
[10]Se egli assale e imprigiona
e chiama in giudizio, chi glielo può impedire? (Giobbe 11, 5-10)
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[16]Quando mi sono applicato a conoscere la sapienza e a considerare l'affannarsi che si fa sulla
terra _ poiché l'uomo non conosce riposo né giorno né notte _ [17]allora ho osservato tutta
l'opera di Dio, e che l'uomo non può scoprire la ragione di quanto si compie sotto il
sole; per quanto si affatichi a cercare, non può scoprirla. Anche se un saggio dicesse di