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Università degli Studi di Cagliari Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Beni Culturali Curriculum Archeologico Tesi di Laurea Giustino e la polemica antigiudaica nel Dialogo con Trifone Relatore: Prof. Antonio Piras Studente: Fabio Manuel Serra Anno Accademico 2009-2010
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Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

May 17, 2023

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Page 1: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

Università degli Studi di Cagliari Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea in Beni Culturali Curriculum Archeologico

Tesi di Laurea

Giustino e la polemica antigiudaica

nel Dialogo con Trifone

Relatore: Prof. Antonio Piras

Studente: Fabio Manuel Serra

Anno Accademico 2009-2010

Page 2: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

Indice

• Introduzione p. 3

• Capitolo I: Quadro Storico p. 7

• Capitolo II: La figura di Giustino nel II secolo d.C. p. 20

• Capitolo III: Il Dialogo con Trifone p. 33

• Conclusioni p. 49

• Bibliografia p. 51

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Introduzione

Questo lavoro intende trattare il tema della polemica antigiudaica, ma anche il

cruciale distacco del cristianesimo dal giudaismo, con il conseguente confronto sui testi

biblici. Per intraprendere questo percorso mi servirò delle nozioni storiche e letterarie

che provengono dalle fonti del I e del II sec. d.C., ma soprattutto utilizzerò la maggiore

delle opere antigiudaiche di parte cristiana a noi pervenute da quel periodo: il Dialogo

con Trifone dell’apologeta greco Giustino.

Pompeo, investito qualche anno prima dell’imperium infinitum su tutto il

Mediterraneo grazie alla proposta del tribuno della plebe Aulo Gabinio (che voleva così

risolvere definitivamente i problemi di pirateria nei mari), confermava Tigrane re

d’Armenia, ma lo privava della Siria, che passò sotto la giurisdizione di Roma.

Nel frattempo, in Giudea, il potere temporale e quello spirituale erano stati

unificati già da tempo1, e il figlio di Alessandra Salome (che prese il potere nel 76 a.C. e

morì nel 67 a.C.), Ircano II, ottenne dalla madre il titolo di sommo sacerdote, suscitando

però le invide del fratello Aristobulo II, e dando così vita ad una guerra per il potere.

Questa situazione, ovviamente, gettò nel caos la Giudea; la notizia della riduzione della

Siria a provincia romana, però, portò Ircano II ed il fratello ad appellarsi entrambi a

Pompeo.

Fu così che, nel 63 a.C., Gneo Pompeo entrò in Gerusalemme non di certo da

ospite, bensì da conquistatore, tant’è che entrò nel Sancta Sanctorum del Tempio2. La

questione tra i due fratelli si risolse con la conferma di Ircano II come sommo sacerdote,

e con l’esilio forzato a Roma di Aristobulo. Per quanto, invece, concerneva la Giudea,

essa veniva teoricamente costituita stato autonomo, ma in pratica aggregata alla

provincia di Siria ed obbligata a pagare un tributo.

Da questo momento i romani, diventavano direttamente parte attiva nelle

vicende storiche del popolo ebraico.

1 Dal tempo dell’elezione del primo re (Saul), fino ancora al tempo dell’esilio, il potere temporale e quello spirituale erano profondamente suddivisi (vedi ad esempio Ag 1, 14). Col tempo, durante il III sec. a.C. si unificarono, e il sommo sacerdote esercitò anche il potere temporale. 2 GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, XIV, 41. Cfr. P. MERLO (a cura di), L’Antico Testamento, Introduzione storico – letteraria, Roma 2008, p. 63.

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Di lì a poco, sotto il regno di Erode il Grande3, all’incirca intorno al 4 a.C.4,

nacque Gesù di Nazareth, che, durante la sua vita pubblica, dette corpo ad una

predicazione senza precedenti tale da condizionare profondamente le coscienze, fino al

momento della sua morte in croce, culmine ultimo della vita profetica del Cristo, cioè

dell’“Unto del Signore”.

Dopo la sua resurrezione, Gesù affidò ai suoi apostoli il compito di

evangelizzare la terra e di diffondere la Parola di Dio ovunque5, dando così vita al

cristianesimo6.

I pagani accusavano i “neonati” cristiani di essere essenzialmente nuovi in un

mondo in cui la novità era vista con sospetto e diffidenza7; la questione che veniva loro

posta dai pagani, infatti, era legata al fatto che se fosse vero quanto veniva predicato nel

Vangelo, era impensabile che i grandi saggi del mondo antico, quali ad esempio Omero,

Platone o Aristotele, non avessero avuto in merito conoscenza alcuna di ciò8. Intorno a

questo punto d’accusa si articolò la difesa dei cristiani, che avocarono a sé l’antichità

del loro culto, poiché consideravano ispirata la Settanta9, e riconoscevano il Dio degli

ebrei come il Padre predicato da Gesù, e dimostravano ciò mediante le citazioni

veterotestamentarie del contenute nei Vangeli.

Il difendersi dai pagani, dunque, implicava l’interazione con l’altro grande

gruppo dei tria genera10, cioè quello degli ebrei. Come è ovvio, non era pensabile che i

3 Erode era figlio di Antipatro, principale alleato di Ircano II, e divenne Re quando il fratello e lo stesso Ircano furono catturati dai Parti. Cfr. MERLO, L’Antico Testamento cit., p. 65. 4 Data che deduciamo chiaramente dal Vangelo di Matteo, nel passo in cui è descritta la morte di Erode (Mt 2, 19) e gli succede Archelao (Mt 2, 22), per cui l’Erode che muore è Erode il Grande, storicamente deceduto nel 4 a.C. 5 Mt 28, 18 – 20; Mc 16 , 15 – 18; Lc 24, 47 – 48; At 1, 8. 6 Questa è una semplicistica schematizzazione. Probabilmente non è mai esistito un solo Cristianesimo, giacché sono coesistite svariate posizioni, dall’estremismo filogiudaico al marcionismo, ovviamente con in mezzo vari gradi di accettazione dell’uno o dell’altro estremo. Si veda, ad esempio, lo studio presente in R.E. BROWN - J.P. MEIER, Antiochia e Roma, Chiese-madri della cattolicità antica, Assisi 1987, pp. 10 – 18. Tra gli stessi Apostoli non c’era unanimità sul come muoversi nei confronti dei Gentili, ed alcuni erano estremamente filogiudaici (At 15, 5 – 6; Gal 1, 13 – 17; Gal 2, 15 – 16). 7 La mancata accettazione della novità sono tipiche espressioni culturali dei romani, e di ciò esistono anche riscontri in campo letterario. 8 Si veda sull’argomento l’importante studio in B.D. EHRMAN, I Cristianesimi perduti, Apocrifi, sette ed eretici nella battaglia per le Sacre Scritture, Roma 2008, p. 148. 9 La traduzione detta “dei Settanta”, o anche nota come la Settanta, era, fino al 70 d.C., la Bibbia Ebraica tradotta in greco. Dopo il 70 d.C. (cioè dopo il Concilio di Jamnia) gli ebrei modificarono la composizione della loro Bibbia, togliendo da essa i libri di Giuditta, di Tobia, di Gesù figlio di Sirach, il Primo Libro di Esdra, i Diciotto Salmi di Salomone, il Salmo 151, i Quattro Libri dei Maccabei, le Odi, il Libro della Sapienza di Salomone, la Lettera di Geremia e il Libro di Baruch; inoltre adottarono la cosiddetta “recensione breve” del Libro di Esther. I cristiani non adottarono mai la Bibbia di Jamnia, ma usarono sempre l’edizione greca della Settanta. 10 Trattasi della schematizzazione, operata dagli apologeti cristiani, secondo cui il genere umani era suddiviso in pagani, ebrei e cristiani. Cfr. L. CRACCO RUGGINI, Pagani, Ebrei e Cristiani: odio

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giudei potessero stare a guardare mentre i cristiani s’impossessavano dell’Antico

Testamento, dando una loro interpretazione delle Scritture e riconoscendo Gesù come il

tanto atteso Messia. Gli ebrei, inoltre, furono ben motivati dal difendersi da quella che

per loro era una profonda storpiatura del loro credo, giacché dopo la distruzione del

Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., ad opera di Tito Flavio, con la diaspora c’era il

reale pericolo della dispersione della cultura giudaica e della nascita di nuove sette

autonome con Scritture proprie e con interpretazioni personali, come già avvenuto del

resto nel periodo di Simone Maccabeo con la nascita dei gruppi dei farisei, dei sadducei,

ma soprattutto degli esseni11. Questi ultimi, estraniatisi dal mondo giudaico, erano un

gruppo che, aspirando alla purezza, al rispetto della Legge, e al sacerdozio legittimo,

polemizzava così coi farisei e minava la tradizione giudaica più antica. I cristiani, come

gli esseni, rappresentavano per gli ebrei un rischio di scissione e di sopraffazione della

loro cultura; e in effetti, questo era un rischio avvertito concretamente, quindi, se da una

parte nacque una polemica anticristiana (come, si vedrà di seguito, nella letteratura

talmudica e midrašica), da parte cristiana nasceva invece una prima fase apologetica che

nel tempo si trasformò in polemica antigiudaica sempre più veemente, in modo da

rivendicare profondamente la legittimazione d’essere i veri successori degli ebrei nel

culto di Dio.

Il Dialogo con Trifone di Giustino è la massima opera letteraria della polemica

antigiudaica del II secolo d.C., ed è il punto d’arrivo di un percorso proprio che

appartiene alla cristianità di area greca. Furono tanti gli eventi che si susseguirono dalla

morte e resurrezione di Gesù fino alla stesura del Dialogo (ca 160 d.C.), e non si

limitarono solo alla letteratura ma, come vedremo nel caso di Bar Kochba, anche ad

azioni belliche e sanguinose.

In merito a ciò, la caratteristica del II secolo d.C. è che la polemica antigiudaica

è profondamente pari alla polemica anticristiana; questa caratteristica si perderà nei

secoli successivi, quando i cristiani continueranno a polemizzare contro i giudei, mentre

sociologico e odio teologico nel Mondo Antico, in AA.VV., Gli Ebrei nell’Alto Medioevo (XXVI Settimana di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1980, pp. 25 e sgg. 11 Simone Maccabeo morì assassinato nel 135 a.C.; egli è considerato il fondatore della dinastia asmonea. Dopo la sua morte gli successe il figlio Giovanni Ircano I, e fu proprio nel periodo della successione che, a causa delle difficoltà del periodo maccabaico, si formalizzarono le scissioni di varie sette dalla dottrina ufficiale. I farisei rimanevano fedeli agli insegnamenti tradizionali, invece i sadducei, tra le altre cose, negavano la resurrezione (come ben attestato in Mt 22, 23; Mc 12, 18; Lc 20, 27; At 4, 1 – 2; At 23, 8). Gli esseni, invece, si ritiravano nel deserto presso comunità autonome (la più importante è certamente quella di Qumran), e producevano testi sacri propri. Sull’argomento di veda MERLO, L’Antico Testamento cit., p. 63.

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questi, “sconfitti”, verranno addirittura perseguitati con le accuse più turpi, ma

sostanzialmente per il semplice fatto d’essere giudei12.

Il nascente cristianesimo ortodosso13 dovette, nel contempo della lotta con i

giudei, non solo produrre una forte apologia per difendersi dalle accuse dei pagani14, ma

anche difendersi dai tentativi di prevaricazione interni di varie correnti ad esso opposte,

come quella del giudeocristianesimo15 od anche dal pericoloso gruppo dei cristiani

gnostici.

In tale contesto, Giustino fu impegnato sostanzialmente sia nella polemica

antigiudaica che nell’apologetica verso i pagani.

Per iniziare questo mio studio, partirò, di seguito, da un quadro storico che ci

porterà a valutare attentamente come si sviluppò la polemica antigiudaica nei suoi

aspetti salienti.

12 Un esempio eclatante può essere tratto dal Manuale dell’Inquisitore di Fra Nicolau Eymerich, che nel 1376, riferendosi ai cristiani che potevano aver scelto di diventare giudei, o ai giudei che avevano abiurato, ma si erano poi riconvertiti al giudaismo scrive: «Se vogliono abiurare il rito giudaico ma non accettano di abiurare il giudaismo né di fare penitenza, saranno perseguitati in quanto eretici impenitenti dai vescovi e dagli inquisitori, i quali li abbandoneranno al braccio secolare». Cfr. FRA N. EYMERICH, Manuale dell’Inquisitore, A.D. 1376, a cura di R. CAMMILLERI, Casale Monferrato 1998, p. 64. 13 Per “cristianesimo ortodosso” intendiamo sostanzialmente il vincitore della lotta interna fra cristiani. Sostanzialmente, quindi, ci riferiamo al “cristianesimo paolino”, profondamente diverso da svariate altre interpretazioni che poi finirono per essere obliate per sempre. 14 Che spesso sfociavano in persecuzioni. 15 Cfr. BROWN - MEIER, Antiochia e Roma cit., pp. 11 – 12.

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Capitolo I Quadro Storico

§ 1. Definizione di antigiudaismo

L’antigiudaismo, come tale, ha la peculiarità di voler costruire una rete di

informazioni e di idee riguardanti l’ebraismo, che hanno come obiettivo quello di

confutare teologicamente le posizioni giudaiche.

Facendo l’ovvia premessa che l’antigiudaismo trae le sue origini dal periodo

direttamente connesso al 70 d.C., cioè alla distruzione del Tempio di Gerusalemme ed

alla contrapposizione della Sinagoga ai giudeocristiani, possiamo dire che vi è uno

sviluppo sempre maggiore in tre secoli delle posizioni e delle tesi dei cristiani verso i

giudei, come si evince dalle fonti letterarie.

Essendo il cristianesimo di derivazione giudaica, come è ovvio, nacque il

problema di come affrontare i rapporti tra la dottrina ebraica e la nascente dottrina

derivante dagli insegnamenti di Gesù fin dalle origini.

Le posizioni verso il giudaismo, in origine, erano infatti molteplici e si potevano

distinguere varie correnti, dalle più filogiudaiche di derivazione farisaica a quelle più

estremiste rasentanti il marcionismo.

Il confronto col giudaismo, inevitabile, nasce inizialmente dal problema

scritturistico: Gesù, nei suoi insegnamenti, cita spesso la Bibbia16. Come intendere,

quindi, gli insegnamenti giudaici? Come rapportarsi con la Legge di Mosè?

Inoltre, nasce l’ampia questione della predicazione. Se Gesù ha predicato agli

ebrei, è giusto predicare ai non ebrei?

Queste domande chiave sono quelle che i cristiani si pongono propriamente.

Ed è dalle risposte che si danno i cristiani stessi che nasce una polemica con i

giudei, anche cogliendo le provocazioni che giungevano dalle Sinagoghe dopo il 70

d.C.17

16 La Bibbia citata da Gesù è ciò che noi oggi chiamiamo “Antico Testamento” rappresentato, in ambiente cristiano, dalla traduzione dei Settanta, più vecchio della Bibbia ebraica in uso ai tempi di Giustino di circa trecento anni, e contenente alcuni testi (es: Odi, Sapienza di Salomone, Siracide, Baruch, etc…) un tempo ritenuti sacri anche dagli ebrei ed oggi scomparsi dalla loro Bibbia e, alcuni di essi, scomparsi anche dalle Bibbie cattoliche (sopravvivono solo nelle Bibbie ortodosse). 17 Ci limitiamo solo a dire che i giudei, dopo la diaspora, espulsero i cristiani dalla Sinagoga bollandoli come eretici.

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Lo scontro tra giudei e cristiani, però, col tempo assume anche una dimensione

essenziale: la sopravvivenza in un mondo come quello dell’Impero Romano, in cui solo

i culti di maggiore antichità erano tollerati, mentre quelli di nuova invenzione erano

malvisti. L’obiettivo che sorse, quindi, fu senza alcun dubbio quello di “strappare” al

popolo ebraico la pretesa d’essere la religione antica, giacché l’essere “nuovi” era fra i

motivi per legittimare le persecuzioni dei Romani ai danni dei cristiani18.

Nei primi tre secoli della cristianità si può rilevare che le opere antigiudaiche

composte trattarono, per lo più, sempre gli stessi temi19. Ovviamente, questo, ha varie

sfaccettature, che passano attraverso l’area greca prima e latina poi. Questo terreno di

scontro, quindi, diventò molto sentito nelle comunità cristiane, e soprattutto in quelle

che vissero in aree ad alta concentrazione giudaica.

Un ulteriore motivo di polemica, non indifferente, era quello derivante dalla

progressiva scelta di diffondere il messaggio cristiano anche ai non giudei20. Questo

comportò degli scontri con le frange più radicali del giudeocristianesimo, ma comportò

anche scontri con gli estremisti (marcioniti) che rifiutavano gli insegnamenti

veterotestamentari. La via scelta dai cristiani ortodossi, dunque, fu quella non di

rifiutare l’Antico Testamento21, ma di darne una interpretazione diversa da quella dei

giudei. Attaccare l’interpretazione giudaica dell’Antico Testamento era quindi azione

necessaria ai cristiani per rendere possibile la diffusione della nuova religione anche

presso i pagani (la circoncisione, il Sabato, etc., sarebbero state considerate pratiche

poco attraenti)22, oltre che per giustificare le dottrine neotestamentarie.

Dall’insieme di tutte queste divergenze nacque così l’antigiudaismo.

18 Altro grande motivo era che i cristiani rifiutavano di tributare agli déi pagani. Se lo avessero fatto, sarebbero stati lasciati liberi, probabilmente, di praticare anche il culto cristiano. 19 Cfr. TERTULLIANO, Polemica con i Giudei, a cura di I. Aulisa, Roma 1998, p.26. 20 At 10, 44 – 48; At 15, 5 – 21. 21 Cosa che sarebbe stata impossibile, visto che Gesù lo citava abbondantemente. 22 Cfr. EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit., p.231.

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§ 2. Il cristianesimo prima delle Guerre Giudaiche di Tito (66 – 70 d.C.)

Affinché potesse verificarsi uno scontro tra giudaismo e cristianesimo, però, era

necessario che si formasse gradualmente la primissima dottrina cristiana, in quanto essa,

come detto sopra, era una rielaborazione degli insegnamenti diretti di Gesù (che era un

ebreo, nato da ebrei, che ha vissuto nella terra degli ebrei), ma era una progressiva

interpretazione della predicazione del Cristo, avvenuta soprattutto tramite la tradizione

orale prima e le produzioni scritte poi. Ad esempio, il più antico testo cristiano in forma

scritta, ossia la prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi (ascrivibile agli anni 40/50 del

d.C., quindi precedente alla distruzione del Tempio), ci tramanda la consuetudine di

trasmettere gli insegnamenti oralmente23, specificando, nell’ovvia ottica cristiana, che,

oltre alla parola, il messaggio di Gesù è trasmesso anche per opera dello Spirito Santo e

per mezzo della fede.

Per poter comprendere come mai il cristianesimo non divenne la naturale

continuazione del giudaismo, bensì una religione diversa e distaccata, si può prendere

ad esempio la situazione di divergenza che era intrinseca nelle nascenti comunità

cristiane, come attestato da alcune fonti letterarie, come ad esempio: gli Atti di

Nicodemo24 e gli Atti degli apostoli.

Dopo la morte e resurrezione di Gesù, gli apostoli ebbero notizia del lieto evento

ch’egli ancora viveva, e si trovava in Galilea.

Gesù apparve più volte agli apostoli, sia secondo i Vangeli che secondo Paolo, il

quale riferisce anche un’apparizione collettiva a più di cinquecento persone25. La

presenza di Gesù nel mondo si compì con la sua ascensione, avvenuta, secondo gli Atti

di Nicodemo, sul Monte Mamilch26, che secondo il Moraldi è identificabile con l’Orto

degli Ulivi27.

23 Cfr. 1 Ts 1, 5. 24 Questo titolo che do al testo è mio, è mutuato dal titolo che viene dato al testo dal manoscritto conservato a Roma nella Biblioteca Vaticana scoperto da C. Tischendorf (il quale ignorava il numero del manoscritto, cfr. L. MORALDI (a cura di), Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Vangeli, Casale Monferrato 1994, p.608): “Le memorie delle cose accadute al Signore nostro Gesù sotto il procuratore Ponzio Pilato, scritte in lettere ebraiche da Nicodemo capo della sinagoga degli ebrei”. Il testo è meglio noto sotto il nome di “Vangelo di Nicodemo”, o di “Atti di Pilato”. Per il testo seguo: MORALDI, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Vangeli cit., pp. 613 e sgg.; confronterò anche col testo M. CRAVERI, I Vangeli Apocrifi, Torino 19902, pp. 303 e sgg. 25 Cfr. 1 Cor 15, 6. 26 Cfr. Act. Nicod. 14, 1. 27 Cfr. MORALDI, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Vangeli cit., p. 630; vedi anche At 1, 12.

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Si può riconoscere nelle parole di commiato di Gesù che ascende al cielo la sua

richiesta di evangelizzare il mondo28.

Da quel momento, dunque, possiamo dire che storicamente inizia la missione

degli apostoli e dei discepoli di Gesù, che hanno come obiettivo quello di diffondere la

buona novella in ogni dove, «fino agli estremi confini della terra»29.

Le persone coinvolte in questa missione, dunque, hanno ricevuto un incarico che

ha due implicazioni: la creazione di un nuovo movimento, che va affiancato a quello

farisaico, sadduceo ed esseno, e ovviamente la diffusione del messaggio di Gesù a tutti.

La nascita di diverse correnti interne al primissimo cristianesimo si deve proprio

a questa genericità: “la diffusione del messaggio di Gesù a tutti” sì, ma tutti chi?

Sostanzialmente identifichiamo due gruppi primordiali che sono contrapposti, per lo

meno come si può evincere dalle fonti: da una parte vi sono come rappresentanti di una

corrente di pensiero Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea30, dall’altra Pietro, Giovanni e

Giacomo31.

La figura di Paolo è posteriore a queste che abbiamo per ora visto.

Se i primi due, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, rappresentano una parte

certamente molto filogiudaica, al punto che vorrebbe convincere il Sinedrio e i sommi

sacerdoti ad accogliere il messaggio di Gesù32, gli altri erano invece soliti scontrarsi con

le autorità per le dottrine che insegnavano, come ad esempio accadde a Pietro e

Giovanni, fatti arrestare dai sadducei33.

Il cristianesimo nascente, sempre mal tollerato dalle autorità ebraiche, che lo

reputavano non una nuova religione, bensì un’eresia, aveva però un carattere

innovativo: l’essere missionario. Tale peculiarità si manifestò quasi immediatamente

dopo l’istituzione dei diaconi34 ed il martirio di Stefano35, con la dispersione del

messaggio in varie comunità circostanti, per ampliare sempre più il raggio di espansione

dell’evangelizzazione.

28 Cfr. Act. Nicod. 14, 1; At 1, 8. 29 At 1, 8. 30 Cfr. Act. Nicod. 5, 1; 11, 3. 31 Cfr. At 1, 12; At 3, 1. Giacomo è il “fratello del Signore”, capo della Chiesa di Gerusalemme, e non è da identificare né con Giacomo fratello di Giovanni, che muore per ordine di Erode Antipa (At 12, 2) né con Giacomo figlio di Alfeo. 32 Cfr. Act. Nicod. 15, 6 – 8. 33 Cfr. At 4, 1 – 3. 34 At 6, 1 – 7. 35 At 7, 57 – 60.

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È da dopo il martirio di Stefano, inoltre, che appare la figura di Saulo, che è per

il momento ancora un persecutore, ma che presto diventerà Paolo, uno degli apostoli più

impegnati nella diffusione del messaggio cristiano.

Dalla diffusione del messaggio di Gesù fuori da Gerusalemme nacque

inevitabilmente l’incontro coi pagani, e quindi prevalse l’atteggiamento dell’annunzio

del messaggio cristiano non solo ai giudei, ma anche ai pagani36, cosa che non fu

accolta di buon grado dagli ebrei convertiti: così ci fu motivo di scontro37. Pertanto

prevalse la logica dell’evangelizzazione dei pagani: questo scontentò indubbiamente le

correnti più giudaizzanti, ma avviò il cristianesimo verso quel sentiero che lo avrebbe

portato all’emancipazione dall’ebraismo, con l’inevitabile polemica antigiudaica

conseguente.

§ 3. La distruzione del Tempio e il Concilio di Jamnia (70 d.C.)

Il momento cruciale di distacco del cristianesimo dall’ebraismo fu certamente

identificabile con il momento della distruzione del Tempio di Gerusalemme, ma

soprattutto con le conseguenze che tale evento determinò.

L’evento storico che portò alla presa del Tempio, oltre che alla distruzione della

stessa città ed anche alla fine del potere sacerdotale ebraico, determinò la scomparsa del

luogo simbolo, principale, di tutto il mondo giudaico.

Esula dal nostro intento la descrizione degli eventi storici della distruzione del

Tempio, quindi ci concentreremo essenzialmente su ciò che si verificò successivamente

a tale momento di spartiacque nella storia ebraica: il Concilio di Jamnia.

Il mondo ebraico, che era già spaccato naturalmente in più correnti di pensiero,

vedendosi defraudato del Tempio, vide in pericolo la propria sopravvivenza, e vide

anche a rischio di oblio le proprie tradizioni e le proprie usanze.

Fu per questo che a Jamnia38 si riunirono i Tannaim, ovvero i Saggi, che

avevano il compito di decidere come affrontare una crisi senza precedenti nella storia

del giudaismo.

Una delle cose che fecero i Tannaim fu quella di fissare una halakah, cioè una

interpretazione della Legge, che fosse universale ed immutabile. Per fare questo erano

36 Cfr. At 10, 44 – 48. 37 At 11, 1 – 3. 38 Città della Giudea, localizzata a nord – ovest rispetto a Gerusalemme.

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necessari due passaggi essenziali: fissare un canone definitivo e preciso, ed eliminare

ogni sorta di divisione interna all’ebraismo.

Il fissare una interpretazione, ovviamente, significava arrivare ad una rottura

definitiva con i cristiani e con tutti i gruppi “dissidenti”, tant’è vero che i Tannaim

condannarono una moltitudine di persone, non identificabili né con i sadducei né con gli

esseni, che furono raggruppate idealmente con il nome generico di amme ha-areş

(popoli della terra)39. Dunque, va considerato che una moltitudine di gruppi, distinti dai

Tannaim, potevano portare non solo una propria halakah, ma con essa un motivo di

divisione e probabilmente di dispersione e/o di alterazione di quella che la fazione

farisaica, quella dominante, rappresentata dai Saggi, considerava l’unica “legge orale”

valida.

Il canone della Bibbia ebraica fu fissato, come detto, durante il Concilio di

Jamnia, e fu composto dalla Torah40, che era il fulcro principale e più importante, dai

Profeti41 e dagli Scritti42.

La scelta di quali testi canonizzare, oltre alla Torah, fu molto accurata da parte

dei Tannaim, i quali scelsero solo i libri che potevano non sollevare dubbi circa la loro

halakah, e scartarono tutti i testi invece che potevano dare problemi in questo senso43.

Una frase decisamente significativa da citare in tale contesto, ci proviene dal

Talmud Babilonese:

«Rabbi Adda, figlio di Rabbi Chanina, disse: “Se Israele non avesse peccato,

solo il Pentateuco e il libro di Giosuè gli sarebbe stato donato, [quest’ultimo] perché

riferisce la distribuzione della Palestina [fra le tribù]”»44.

Fissato e riconosciuto il Canone, fu dato egual valore sia alla Torah come

“Legge scritta”, che all’halakah come “Legge orale”, procedendo, di seguito,

all’espulsione dalla Sinagoga di tutti quei gruppi che differivano dai criteri fissati dai

Tannaim, cioè dai Saggi.

39 Cfr. D. JAFFÉ, Il Talmud e le origini ebraiche del Cristianesimo, Gesù, Paolo e i Giudeocristiani nella Letteratura Talmudica, Milano 2008, p.20. 40 Che era già ritenuta canonica all’epoca di Esdra. Cfr. JAFFÉ, Il Talmud e le origini ebraiche del Cristianesimo cit. p.27. 41 Divisi in “Profeti Anteriori” (i nostri Istorikã) e “Profeti Posteriori” (i nostri Profetikã). 42 Gli Scritti erano stati da sempre un problema: era difficile identificare quanti e quali fossero, e, in questa ottica, prima di Jamnia era possibile che molti testi oggi ritenuti apocrifi fossero ritenuti canonici, come anche attesta la traduzione della Settanta, più vecchia del canone di Jamnia di circa trecento anni. 43 Cfr. JAFFÉ, Il Talmud e le origini ebraiche del Cristianesimo cit., p. 27. 44 La citazione è ricopiata testualmente da MERLO, L’Antico Testamento cit., p. 99; proviene dal Talmud Babilonese, b.Ned 22b.

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Questi criteri, peraltro, furono raccolti, nel corso del tempo, nel Talmud e nella

letteratura midrašica.

La sorte che toccava a chi veniva espulso dalla sinagoga era di subire in ogni

celebrazione le “maledizioni” dagli ebrei sotto forma di Birkat haminim (Benedizione

degli eretici), recitate verso i minim (gli ebrei dissidenti, che noi definiremmo “eretici”)

e i noşerim (i giudeocristiani)45, come si può ben notare in questo esempio:

«Per gli apostati non ci sia speranza, e che il regno dell’insolenza venga sradicato nei

nostri giorni, e che i noşerim e i minim scompaiano in un istante, che siano cancellati

dal libro della vita e non vi vengano iscritti assieme ai giusti. Benedetto Tu, o Signore,

che sottometti gli arroganti»46.

Questa Birkat haminim è un’ovvia testimonianza della polemica anticristiana che

si generò a partire dal Concilio di Jamnia, che espulse di fatto i cristiani dalla Sinagoga,

bollandoli come eretici. Dopo questa fase, dunque, si instaurò una decisa reazione da

parte cristiana, che, come è ovvio, partì da tutto il mondo antico orientale, che era quello

meglio cristianizzato (II sec. d.C.), per poi lentamente lambire anche l’Africa romana

nel secolo successivo.

45 Cfr. JAFFÉ, Il Talmud e le origini ebraiche del Cristianesimo cit. p.24. 46 La citazione di questa “Benedizione degli Eretici” è ricavata da JAFFÉ, Il Talmud e le origini ebraiche del Cristianesimo cit. p. 125.

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§ 4. La polemica antigiudaica tra il Concilio di Jamnia e la rivolta di Bar Kochba (70 – 132 d.C.)

La reazione dei cristiani alla loro espulsione dalla Sinagoga non si fece

attendere, tenendo conto anche delle premesse.

Desumeremo sostanzialmente la presenza di quella che è la posizione cristiana

dalle fonti letterarie, che da questo momento diventano il fulcro a noi utile per lo studio

e la conoscenza della cristianità delle origini. La produzione letteraria di questo periodo,

ad opera dei seguaci di Gesù tra la distruzione del Tempio e la rivolta di Simone Bar

Kochba47, è infatti segnata da un’opera che vogliamo qui definire certamente una pietra

miliare della la letteratura cristiana antica.

Ci riferiamo alla cosiddetta lettera di Barnaba, uno scritto in lingua greca in

forma epistolare, suddiviso in ventuno capitoli, quindici dei quali48 sufficientemente

diretti ad uno scopo polemico antigiudaico.

L’importanza di questo testo è sicuramente grande, ed è tramandata sotto il

nome di Barnaba, un compagno di Paolo; fatto, questo, che porterà più avanti a

considerare questa lettera come un testo canonico neotestamentario da parte di alcuni

Padri della Chiesa49.

Secondo Giorgio Otranto, la Lettera di Barnaba fu composta basandosi su alcuni

testimonia precedenti di ispirazione antigiudaica50, ipotesi, questa, che dovrebbe

ovviamente presupporre la data di composizione del testo posteriore al 70 d.C., o

meglio, posteriore anche al 100 d.C.

Cadrebbe, dunque, l’ipotesi di F. Martin, che data la lettera intorno al 70 d.C.51,

avvalorando la datazione della Prinzivalli, che la colloca intorno al 130 d.C.52

Il contenuto di questo testo è squisitamente polemico incentrato a dare ai

cristiani una spiegazione effettiva di cosa sia e di come si interpreti l’Antico

47 Bar Kochba significa “figlio della stella”, e deriva da Nm 24, 17. È l’ultima rivolta, stroncata da Adriano nel 135 d.C., del mondo giudaico che tenta di liberare così la Palestina. Cfr. CRACCO RUGGINI, Pagani, Ebrei e Cristiani cit. pp. 26 e 27. 48 Tolto il capitolo 1, che serve da introduzione generale all’opera, non sono da considerare parti della polemica i capitoli che vanno dal 17 al 21, che espongono la dottrina delle Due Vie. 49 Il celebre Codex Sinaiticus la inserisce accanto agli scritti neotestamentari. Didimo il Cieco ritiene la Lettera di Barnaba ed il Pastore di Erma autorità scritturali, e invece condanna la seconda lettera di Pietro, che invece è oggi un testo ritenuto “canonico”. Cfr. EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit., p. 289. 50 Questa ipotesi la ritroviamo in G. OTRANTO, La polemica antigiudaica da Barnaba a Giustino, in “Annali di Storia dell’Esegesi” 14/1 (1997) 55 – 82, p. 63. 51 Cfr. F. MARTIN, Le Livre d’Hénoch, traduit sur le texte éthiopien, Paris 1906. 52 Cfr. M. SIMONETTI -E. PRINZIVALLI, Letteratura Cristiana Antica, Casale Monferrato 2003, p. 128.

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Page 15: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

Testamento. A tal fine, l’autore esamina una serie di passaggi, tutti essenziali, che

diventeranno poi i temi della polemica antigiudaica anche del III secolo.

In ordine, questi sono così schematizzabili:

• I sacrifici giudaici;

• Il digiuno;

• L’alleanza di Dio;

• Il sacrificio del capro espiatorio

• La circoncisione;

• Le carni proibite;

• Le prefigurazioni battesimali dell’acqua e della croce;

• I due popoli (paragone del “maggiore che servirà il minore”);

• Il Sabato;

• Il Tempio.

In ciascuno di questi punti, la lettera di Barnaba si sofferma con citazioni

veterotestamentarie e con una forma di esegesi propriamente cristiana che tende a dare

una spiegazione in chiave cristologica di tutti i passi dell’Antico Testamento.

La lettera di Barnaba, addirittura, va ben oltre la semplice polemica esegetica,

poiché arriva ad accusare i giudei di aver fallito nell’interpretazione dell’Antico

Testamento, poiché si sono fatti ingannare da un angelo malvagio53. Si faccia bene

attenzione a questo “passaggio polemico”, giacché in esso si ritrova, certamente, una

reazione al Concilio di Jamnia. L’espulsione dei cristiani dalla sinagoga era, infatti,

causata da una loro diversa halakah, cioè dalla diversa interpretazione della Legge e dei

Profeti. Qui, di contro, Barnaba accusa i Tannaim, i Saggi giudei, di aver loro fornito

una interpretazione fuorviante della Legge e dei Profeti, e li condanna in quanto si sono

lasciati traviare da un angelo malvagio.

53 Barn. 9, 4.

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Page 16: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

§ 5. La perduta Disputa di Giasone con Papisco

Dopo lo stroncamento della rivolta di Bar Kochba, per opera di Adriano nel 135,

la polemica antigiudaica si accentua ulteriormente da parte cristiana, vista l’aggiunta di

un’aggravante, per lo meno agli occhi dei cristiani, circa la posizione dei giudei. Difatti,

ora non vi è più solo un precedente verbale, come prima del 132 d.C., quando cioè il

motivo di scontro era la halakah e la conseguente espulsione dalla sinagoga dei

cristiani, ma ora addirittura un duro scontro fisico, con la persecuzione effettiva, da

parte dei sostenitori di Bar Kochba54, nei confronti e ai danni della stessa fazione

cristiana. Persecuzione, peraltro, legata al fatto che Bar Kochba si sarebbe autodefinito

il “Messia”, e quindi avrebbe preteso la legittimazione di tale titolo anche da parte

cristiana; legittimazione, questa, che non poteva ovviamente essere ottenuta, in quanto i

cristiani riconoscevano come Messia solo Gesù di Nazareth.

Da questo momento in poi, in molti testi cristiani posteriori al 135 d.C.,

compaiono espliciti ed impliciti attacchi a Bar Kochba, mirati a demolirne l’immagine.

Un esempio particolarmente significativo lo troviamo nell’Apocalisse di Pietro, un

apocrifo del Nuovo Testamento55 pervenutoci in lingua etiopica56:

«Quando essi [Israele] vedranno la malvagità delle sue azioni andranno dietro

di loro rinnegando il primo Cristo, colui che fu crocifisso, colui che fu lodato dai nostri

padri, commettendo così un grande peccato. Questo impostore non è il Cristo. Quanti

gli si opporranno, egli li ucciderà con la spada, e vi saranno molti martiri»57.

Nella letteratura polemica che si andò dunque generando, già da dopo il Concilio

di Jamnia, si possono riconoscere diversi generi letterari, come individuati da Giorgio

Otranto58, quali appunto il dialogus, l’epistula, il tractatus, i testimonia, l’homilia ed il

sermo.

Un genere tipico che si sviluppò nel II secolo d.C., e andò poi evolvendosi fino

al Medioevo con esponenti dello spessore culturale di Abelardo59, è per l’appunto il

dialogus. La forma dialogica per l’appunto permetteva di scrivere testi contenenti una

54 Cfr. CRACCO RUGGINI, Pagani, Ebrei e Cristiani cit. p. 27 nota 22. 55 Il Canone del Muratori indica questo testo come la seconda Apocalisse del Nuovo Testamento, ed è realmente probabile che fosse considerata canonica fino alla prima metà del IV secolo, come attestato dalle fonti patristiche. Cfr. L. MORALDI (a cura di), Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Lettere Apocalissi, Casale Monferrato 1994, pp. 319 e sgg. 56 Cfr. MORALDI, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Lettere Apocalissi cit. p. 321. 57 Ap Pt 2; testo tratto da MORALDI, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Lettere Apocalissi cit. p. 330. 58 Cfr. OTRANTO, La polemica antigiudaica da Barnaba a Giustino cit. p. 55. 59 Cfr. CRACCO RUGGINI, Pagani, Ebrei e Cristiani cit. pp. 16 e sgg.

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Page 17: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

tesi ed una rispettiva antitesi, e quindi di poter confrontare, e soprattutto di poter

confutare, le varie posizioni circa lo stesso argomento. L’esempio più famoso a noi

giunto, (mi riferisco ovviamente al Dialogo con Trifone), è da collocare tra il 135 ed il

16060.

Altrettanto importante è anche il dialogus noto col nome

ÉIãsonow ka‹ Pap¤skou éntilog¤a per‹ XristoË (= Disputa tra Giasone e Papisco

sul Cristo). Questo testo, di lingua greca, oggi perduto e notoci solo attraverso

frammenti, fu attribuito da Giovanni di Scitopoli ad Aristone di Pella, uno storico

cristiano del II secolo, però questa attribuzione parrebbe oggi cadere61.

Il testo prende le mosse da quella che è presentata come la registrazione di un

incontro tra un giudeo ed un cristiano62, evento certamente non raro nel mondo antico,

ma si dimostra artificio letterario di parte cristiana, vista la notizia secondo la quale, al

termine della disputa, il giudeo si converte al cristianesimo, convinto della correttezza

della nuova dottrina; il tutto dopo una conversazione in cui l’interlocutore cristiano fa la

parte del leone.

L’opera godette di una certa popolarità nel II secolo, tanto è che Celso la nomina

nel suo ÉAlhyØw lÒgow e fu probabilmente tradotta in latino nel III secolo63. La perdita

di quest’opera ci impedisce però di conoscerne l’esatto contenuto del contenuto, ma la

sua esistenza, più volte citata nei secoli successivi, dimostra come la polemica

antigiudaica si sviluppò con vigore a decorrere dagli anni posteriori alla rivolta di

Simone Bar Kochba per opporre resistenza alle posizioni giudaiche, sia religiose che

politiche64.

60 La data è quella proposta da Giuseppe Visonà per la composizione del maggiore Dialogo del II secolo, cioè il Dialogo con Trifone di Giustino; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, a cura di G. VISONÀ, Torino 1988, p. 15 e pag 18. 61 Decisamente significativa a tal fine è la dimostrazione filologica di come il testo non possa appartenere ad Aristone di Pella; cfr. G. OTRANTO, La Disputa tra Giasone e Papisco sul Cristo falsamente attribuita ad Aristone di Pella, in “Vetera Christianorum” 33 (1996) 337 – 351, pp.341 e sgg. 62 Cfr. OTRANTO, La Disputa tra Giasone e Papisco sul Cristo cit., p. 345. 63 Cfr. Ibidem p. 341. 64 Nel mondo antico c’è sempre da tenere presente che la religione e la politica erano in più punti pressoché coincidenti, da qui si comprende l’importanza di affermare la propria autorità e legittimità di pensiero religioso.

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Page 18: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

§ 6. Polemica antigiudaica nell’Ad Diognetum

Se sinora abbiamo esaminato la polemica antigiudaica in testi composti

intenzionalmente con fine polemico, diretti contro la parte ebraica, ora, invece,

esamineremo il caso di un testo di lingua greca, come l’A Diogneto, che ha come

caratteristica prevalente l’essere un’opera riassuntiva della dottrina di un buon cristiano,

e non è dunque direttamente finalizzato alla polemica antigiudaica. Questo testo,

totalmente sconosciuto ai Padri della Chiesa, fu scoperto per puro caso a Costantinopoli

nel 1436 in un mercato del pesce65.

Moltissimi studiosi lo hanno elogiato, e il Norden lo definisce, ad esempio, la

perla della letteratura cristiana antica66.

Questo testo ha presentato vari problemi di datazione. Ci sono state proposte che

lo ponevano ad esempio prima del 70 d.C., ed altre che lo portavano al III secolo d.C.,

ma oggi è prevalentemente accettata la datazione alla metà del II secolo d.C.67

Interessanti per il nostro argomento sono i capitoli 3 e 4, in cui in particolare si

affrontano due temi: i sacrifici e il ritualismo giudaico.

Il discorso sui sacrifici è qui particolarmente duro e veemente, in quanto si

paragonano i giudei ai pagani nella loro forma cultuale sacrificale, e si dice

espressamente che “li si potrebbe giudicare non religiosi, ma pazzi68”. Ancora battente è

la polemica circa il ritualismo, in cui si vanno a condannare in breve i punti cardine del

culto giudaico, quali la circoncisione, il rispetto del sabato, i digiuni e il computo dei

noviluni69.

Ulteriore dato significativo per l’argomento legato alla polemica è

l’affermazione presente in A Diogn. 5, 17, secondo cui i giudei perseguitano i cristiani

in quanto li vedono come stranieri.

L’opera prosegue con altre tematiche apologetiche e trattatistiche che tendono a

presentare il cristianesimo agli occhi di un pagano70, evitando quindi di ripetersi in

65 Il manoscritto dell’A Diogneto sarebbe stato utilizzato come carta per incartare il pesce se non fosse stato scoperto da uno studioso recatosi a Costantinopoli per perfezionare le proprie conoscenze sul greco. Quel manoscritto ha avuto sorte comunque tragica nel 1870, quando fu distrutto durante la guerra franco – prussiana a causa dell’incendio della Biblioteca di Tubinga ove era custodito. 66 Come evidenziato dal Quacquarelli. Cfr. A. QUACQUARELLI (a cura di), I Padri Apostolici, Roma 1976, p. 351. 67 Cfr. QUACQUARELLI, I Padri Apostolici cit. p. 352. 68 Citazione testuale di A Diogn. III, 3. Per il testo uso G. GENTILI, A Diogneto, Bologna 2006. 69 I cristiani dei primi secoli ritenevano assurdo calcolare le feste sulla base del novilunio. 70 È stato proposto di identificare Diogneto con il maestro dell’Imperatore Marco Aurelio. Cfr. QUACQUARELLI, I Padri Apostolici cit. p. 351.

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accenti polemici antigiudaici, anche se la comparsa di questi toni in un testo come

questo è molto importante. Se l’A Diogneto è da considerare un “Manuale del

cristianesimo” del II secolo, allora è da accettare anche che la polemica antigiudaica era

una prerogativa essenziale del cristianesimo delle origini.

In tale contesto si andrà ad innestare la stesura del Dialogo con Trifone di

Giustino. In questo lavoro mi concentrerò principalmente su questa opera, che divenne

un modello per la polemica del secolo successivo, anche se Tertulliano, e soprattutto lo

Pseudo-Cipriano vi aggiungeranno nuove accuse e sposteranno l’attenzione sull’accusa

di deicidio71. L’analisi del Dialogo con Trifone, come vedremo, sarà utile perché ponte

effettivo tra grecità e latinità, e perché in esso sono presumibilmente concentrate tutte le

singole sillogi prodotte anche nelle opere perdute della polemica antigiudaica del II

secolo d.C.

Per esaminare coerentemente il Dialogo, non potremo prescindere dal descrivere

la figura di Giustino, che, come vedremo, si presenta come “filosofo cristiano”, cultore

della sapienza contenuta nei Profeti, e grande apologeta del nascente cristianesimo

ortodosso.

Di seguito, dunque, inizieremo l’analisi di questo personaggio, così importante

per la cristianità, autore del Dialogo e delle due Apologie oltre che di numerose altre

opere andate perdute72, che professò fermamente il suo Credo fino al momento del

martirio.

71 Per la verità, già accennata anche nel Dialogo (Dial. 16, 4 – 5), creata da Melitone di Sardi come concetto (La Pasqua 5, 72 – 75), ma l’accusa più veemente è sviluppata nello Pseudo-Cipriano (Adv. Iud. 4, 10 – 15). Tutta la polemica antigiudaica della latinità cristiana del III secolo prendeva le mosse da quella precedente della grecità del II secolo, ma muta sensibilmente d’atteggiamento, spostando la sua attenzione verso tematiche più accusatorie contro il popolo ebraico. 72 Si veda sull’argomento: GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 18 nota 9.

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Capitolo II La figura di Giustino nel II secolo d.C.

Giustino fu, senza alcun dubbio, uno dei massimi esponenti dell’apologetica e

della letteratura cristiana del II secolo d.C.

Degli personaggi ricordati da Girolamo nel De Viris Illustribus per quanto

riguarda il suo secolo, Giustino è l’unico ad essere presentato come “filosofo, che volle

sempre portare il mantello dei filosofi”73. La sua figura, molto venerata e molto

rispettata come quella d’un maestro d’altri tempi, è profondamente condizionata da

questa raffigurazione nelle vesti di filosofo, tra l’altro da lui stesso presentato nel

famoso prologo del Dialogo con Trifone.

Giustino nacque tra la fine del primo e gli inizi del secondo secolo74 a Flavia

Neapolis, l’antica Sichem di Samaria, da famiglia presumibilmente di coloni, di

probabile origine greca75. Egli, presentandosi all’imperatore Antonino il Pio nella Prima

Apologia, di sé scrive: ÉIoust›now Pr¤skou toË Bakxe¤ou,t«n épÚ Flaou˝aw N°aw pÒlevw t∞w

Sur¤aw Palaist¤nhw 76

Da qui ricaviamo il nome del padre e del nonno del filosofo cristiano, quindi

figlio di Prisco e nipote di Baccheio (o anche Bacchio). Da giovane, come era normale

per un ragazzo della sua condizione, fu educato secondo gli usi pagani del tempo, ed

ebbe come impostazione culturale quella dei pagani. Non è documentabile in alcun

modo una conoscenza del giudaismo samaritano, cosa peraltro da escludere, giacché dal

prologo del Dialogo con Trifone questo non solo non traspare, ma è smentito nei fatti.

Andando per ordine nell’esposizione della vita di Giustino, esamineremo di

seguito i punti cruciali della sua vita e delle sue opere, prima di cimentarci in un’analisi

della sua maggiore opera a noi giunta: il Dialogo.

73 Cfr. GIROLAMO, Gli Uomini Illustri, Introduzione, traduzione e note di E. CAMISANI, Roma 2000, p. 111. 74 Presumibilmente o sotto l’impero di Domiziano o sotto quello di Cocceio Nerva. 75 Cfr. GIUSTINO, Le Apologie, Introduzione, traduzione e note a cura di C. BURINI, Roma 2001, p. 5. Secondo il Drobner potrebbe trattarsi, oltre che di Greci, anche di Coloni Romani; cfr. H.R. DROBNER, Patrologia, Casale Monferrato 1998, p. 131. 76 Testo tratto da: GIUSTINO, Apologie, Testo Greco a fronte, a cura di G. Girgenti, Milano 1995, p. 36; I Apol. 1,1.

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Il percorso filosofico di Giustino e la sua conversione

La fonte di riferimento utile alla ricostruzione biografica di quella che fu la via

percorsa da Giustino è indubbiamente il già menzionato prologo del Dialogo con

Trifone. Nei primi due capitoli, Giustino si trova a passeggiare nel sisto77

(probabilmente di Efeso78) e viene notato da Trifone e da alcuni suoi amici, i quali

scorgono l’abbigliamento da filosofo e, come essi stessi affermano, lo avvicinano per tal

motivo: hanno, infatti, appreso da un socratico l’importanza di discutere ampiamente

con le persone che portano il mantello dei filosofi, poiché se ne può ricavare qualche

beneficio interiore e cognitivo79. Dopo questo primo approccio, quando Giustino

apprende che Trifone è ebreo, Giustino spinge lo stesso Trifone a spiegargli per qual

motivo egli s’accinge a parlare di filosofia pagana, anziché trovare conforto nelle parole

della Scrittura e nei Profeti. La risposta di Trifone è che il filosofo è degno d’indagare la

natura delle cose, e che lo scopo della filosofia è di indagare circa la vera natura di Dio,

per cui era positivo apprendere notizie dai filosofi80.

Dalla discussione su quale fosse il reale tipo di pensiero filosofico di Giustino, o

meglio da quale scuola derivasse, nasce il racconto autobiografico dell’apologeta

cristiano, il quale spiega come le scuole degli stoici, dei teoretici, dei peripatetici, dei

pitagorici, finanche dei platonici, siano nate dal fraintendimento di cosa fosse realmente

la filosofia e di come l’uomo non avesse colto la ragione per cui la filosofia fosse stata

inviata dal Divino81.

A tal proposito, dunque, Giustino giustifica la propria affermazione, raccontando

puntualmente il proprio percorso di ricerca filosofica, essendo la sua anima “bramosa di

ascoltare il grande insegnamento caratteristico della filosofia”82.

Il primo impatto con gli studi filosofici Giustino lo ebbe presso un maestro della

scuola stoica, il quale però non gl’insegnò nulla sul problema di Dio, nonostante il

tempo sufficiente trascorso dall’apologeta cristiano presso il maestro; questi, infatti,

insegnava al discepolo che non era necessario conoscere Dio83.

77 Il portico coperto del Ginnasio. 78 Come ricavato da Eusebio di Cesarea. Cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 17. 79 Dial. 1, 2. 80 Dial. 1, 3 – 4. 81 Dial. 2, 1. 82 Dial. 2, 4. 83 Dial. 2, 3; la posizione dello stoicismo è il raggiungimento dell’apatia, che si ottiene con la virtù e col rispetto delle leggi inflessibili ed ottime. Per questo motivo risultava inutile al maestro stoico il discorrere di Dio.

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Page 22: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

Giustino, reputando così il suo maestro impreparato sull’argomento da lui

richiesto e bramato, lo abbandonò per recarsi presso un altro maestro, stavolta afferente

alla scuola peripatetica. Quest’ultimo, che aveva grande fama di sapiente, tenne con sé il

discepolo per alcuni giorni, ma poi gli chiese di fissare un compenso, affinché il tempo

trascorso ad insegnare non fosse infruttuoso. Giustino, dunque, ritenendo il maestro

tutto meno che un filosofo, abbandonò anche lui84.

Bramoso d’imparare l’arte della filosofia, l’apologeta si rivolse dunque ad un

dotto ed importante esponente della scuola pitagorica, il quale gli domandò, come

premessa, se avesse studiato la musica, l’astronomia e la geometria; avendo Giustino

risposto negativamente, fu allontanato dal maestro, giacché per la sua dottrina era

impossibile contemplare la Bellezza coincidente con il Bene senza prima aver abituato

l’anima alle discipline sopra indicate85.

Infine, Giustino, sempre desideroso di conoscenza filosofica, venne in contatto

con un famoso maestro della scuola platonica, giunto da poco nella sua città in quei

tempi. Così, sotto la sua guida, egli divenne, giorno dopo giorno, sempre più sapiente e

più ferrato nella contemplazione del Mondo delle Idee; e perciò iniziava a reputarsi un

saggio86. In questa nuova condizione mentale, Giustino decise di isolarsi per un periodo

dagli uomini, al fine di contemplare meglio gli aspetti filosofici che aveva appreso. Così

si ritirò in un luogo molto vicino al mare, deserto e solitario.

Fu durante una sua passeggiata in questo luogo che si rese conto di non essere

solo: un uomo molto anziano, che ispirava venerazione dall’aspetto, lo seguiva. Iniziò,

dunque, ad interloquire con lui, e, dopo le presentazioni, si sentì “rimproverare”

dall’anziano del fatto di non essere un uomo d’azione in cerca della verità, ma un

sofista.

Ovviamente questo per Giustino non poteva essere che un punto di scontro,

giacché secondo la sua ottica, subito rimarcata, era la filosofia il bene supremo, l’unica

via per la felicità, la strada superiore alle altre e per la quale tutti gli uomini si sarebbero

dovuti impegnare, anche trascurando indubbiamente la via del fare87. L’anziano

interlocutore, proseguendo il suo discorso senza ribattere, spostò l’attenzione di

Giustino sul problema di Dio: su chi o cosa fosse. L’apologeta lo definì come essere 84 Dial. 2, 3. I peripatetici erano i seguaci della scuola di pensiero di Aristotele, ed erano così chiamati per l’abitudine di filosofeggiare passeggiando. 85 Dial. 2, 4 – 5. Il complesso mistico dei pitagorici si incentrava sui numeri e sulle arti liberali, dunque queste erano le uniche ed ovvie premesse che potevano essere accolte. 86 Dial. 2, 6. 87 Dial. 3, 4.

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immortale e supremo, causa di tutte le altre realtà mutabili, ma immutabile Lui stesso.

La definizione soddisfaceva entrambi, e così, proseguendo su questo tema, l’anziano

fece cadere in contraddizione Giustino, dimostrandogli che conoscere Dio non è come

conoscere la geometria, la musica o l’astronomia88. Ma il tema più arduo venne

affrontato subito dopo, quando l’attenzione dei due si indirizzò sul problema delle

anime. Il sottile gioco si andò ad articolare nel disquisire su come le anime immortali, se

considerate tali, possano essere premiate per le buone azioni. Se per Giustino solo le

anime buone possono vedere Dio perché capaci di comprenderlo, per l’anziano

interlocutore allora non si capisce per quale motivo anche le capre o le pecore non

possano vedere Dio, essendo queste anime identiche a quelle degli uomini ed altrettanto

giuste. Le motivazioni addotte dall’apologeta non convinsero il vecchio uomo, il quale

spostò poi il discorso sul tema cruciale della metempsicosi.

L’anziano saggio, parlando ancora delle anime, disse espressamente:

OÎte oÔn ır«si tÚn yeÚn afl cuxa¤, oÎte metame¤bousin efiw ßtera s≈mata 89

Nei meandri dei paradossi90, l’anziano sostenne quindi che le anime non vedono

Dio, e allo stesso modo non trasmigrano in altri corpi. Allo stesso modo sostenne che le

anime degli animali non possono vedere Dio.

A quel punto, l’anziano interlocutore dimostrò a Giustino l’inconsistenza

dell’ingenerazione dell’anima: l’anima è generata ed è mortale, se privata dello Spirito

di vita. Da qui la famosa scissione in spirito, anima e corpo.

La benedizione suprema dell’anima, così come una condanna a eterni supplizi,

non avviene per volontà propria dell’anima, ma per giudizio di Dio, creatore e motore di

tutte le cose.

A questo punto, Giustino, smarrito e privato delle certezze del platonismo,

scopre che l’anziano è un cristiano che ha appreso tutto questo non da un maestro di

filosofia, bensì dai Profeti, a sua detta unici veri maestri spirituali.

Giustino, abbracciando la fede cristiana, aveva dunque abbandonato tutte le altre

dottrine filosofiche, intendendo i Profeti e la Scrittura come una filosofia: l’unica

possibile. Per questo Trifone lo schernisce, e il prologo si conclude per dare poi inizio al

Dialogo, che vedremo nel capitolo seguente. 88 Dial. 5, 5 – 7. 89 Cfr. GIUSTINO, Apologie, cit., p. 228; Dial. 4, 7. 90 I ragionamenti che vengono proposti dall’anziano a Giustino sono molto tortuosi e complessi, e diverrebbe fuori luogo riproporli qui. La nostra narrazione vuole semplicemente avere il fine di narrare la conversione al cristianesimo di uno dei più grandi apologeti cristiani, soffermandosi solo sui punti preliminarmente importanti.

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Proseguendo nell’analisi della biografia di Giustino, però, dobbiamo tenere a

mente questo suo percorso, che lo ha segnato e che gli ha dato la spinta per la ricerca del

Bene supremo attraverso il cristianesimo.

Le opere perdute di Giustino

Dopo la sua conversione al cristianesimo, Giustino si attivò profondamente per

difendere il suo Credo per mezzo della letteratura, e il suo impegno produsse molti testi,

oggi purtroppo perduti. Girolamo ricorda, ad esempio, il libro Contro i Pagani, nel

quale tra l’altro si disserta sulla natura dei demòni, un libro intitolato Confutazione,

anche questo contro i pagani; e ancora, il libro Sull’unità di Dio, uno scritto intitolato Il

salmista ed un altro intitolato Sull’anima. Scrisse, infine, due libri contro gli eretici: uno

Contro le eresie, utilizzato anche da Ireneo di Lione, ed un altro Contro tutte le eresie91.

Oltre tutte queste opere, perdute purtroppo, restano i tre famosissimi libri di Giustino: le

due Apologie ed il Dialogo con Trifone. Brevemente accenneremo qui alle Apologie,

per soffermarci poi sul Dialogo nel capitolo seguente.

La Prima Apologia

Lo scritto in lingua greca indirizzato all’imperatore Antonino il Pio, a Marco

Aurelio e a Lucio Vero, che prende il nome di Prima Apologia, è un testo molto

importante per la storia della letteratura cristiana antica, ma anche per il cristianesimo

nascente. In esso si leggono chiaramente sia la visione teologica di Giustino, sia la

strenua difesa delle posizioni cristiane dinanzi alla giustizia romana, oltre che una

vivace nota di polemica antigiudaica, usata a fine apologetico per rivendicare la

necessaria antichità del culto.

Il testo della Prima Apologia lo possiamo suddividere in tre parti: la prima

(capitoli 1 – 22) è incentrata sulla confutazione dei miti pagani, sulla religione che essi

praticano e su come i cristiani siano incolpevoli dinanzi a loro; la seconda parte (capitoli

23 – 52) è la più corposa ed è l’esposizione costante di profezie a dimostrazione dei loro

adempimenti, con la conseguente ed inevitabile profonda polemica coi giudei, reputati,

a detta di Giustino, incapaci di interpretarle correttamente; l’ultima parte (capitoli 53 –

91 GIROLAMO, De Vir. Ill. 23.

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Page 25: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

68) è infine incentrata su come i miti della religione olimpica e della filosofia pagana

siano mutuati dai Profeti, e su come essi siano stati inventati ad hoc da parte di coloro

che, conoscendo l’Antico Testamento, lo hanno modificato adattandolo alle esigenze del

culto della loro religione. L’apologia si conclude con la Lettera di Adriano a Minucio

Fundano, proconsole d’Asia, nella quale si raccomanda di non condannare i cristiani a

priori, ma di istruire giusti processi.

Scendendo nel dettaglio, vediamo di seguito quali sono i punti preminenti di

questo importante testo di Giustino.

Nella prima parte i passi salienti sono sostanzialmente tre. Innanzitutto, l’opera,

scritta in greco, si apre con l’immediata difesa dei cristiani dalla sola colpa di esserlo. Il

nome “cristiani”, Xristiano‹, va assimilato non ad un qualcosa di negativo, ma ad un

qualcosa di ottimo (in greco “ottimi” si rende con xrhstÒtatoi)92: con questo gioco

di parole Giustino punta a dimostrare, oltre alla buona fede della parte cristiana, anche

l’inconsistenza dell’accusa di ateismo rivolta ai seguaci di Gesù semplicemente perché

rifiutano di tributare offerte agli idoli93.

L’apologeta attribuisce ai demòni la volontà dei pagani di torturare ed attaccare

ingiustamente i seguaci di Gesù94, così come gli stessi demòni, angeli ribelli a Dio,

scesero in terra e si unirono alle donne95, le quali partorirono i giganti. Poi, gli stessi

angeli ribelli mostrarono agli uomini le azioni più turpi, e si fecero venerare come déi

infondendo timore ed orrore nelle genti96. Giustino arriva a dire che Socrate è morto

perché fatto condannare dai servi del diavolo, i quali, avendo scorto ch’egli era sulla via

della verità e pronto ad comprendere quale fosse il vero Dio, fecero in modo che

morisse con accuse infamanti97.

La bontà del Signore fece sì ch’Egli si manifestasse ai barbari98 per annunziare

la sua via.

A questo punto l’apologeta sposta l’attenzione verso la seconda questione

importante della prima parte dell’apologia: l’idolatria e la mancanza di partecipazione ai

sacrifici e alle libazioni per le divinità della religione olimpica. Per i cristiani, infatti,

92 I Apol. 4, 1 – 5. 93 I Apol. 6. 94 I Apol. 5, 1. 95 I Apol. 5, 2; cfr. Gn 6, 1 – 4; ma soprattutto Enc 6, 1 – 6; Enc 7, 1 – 5. 96 I Apol. 5,2; questa descrizione non trova eguali nella Bibbia (inutile il tentativo di paragone con Gn 6, 5: Giustino ha desunto tutto questo da Enc 8, 1 – 3). 97 I Apol. 5, 3. 98 Il termine bårbaroi compare in Giustino (I Apol. 5, 4), e serve per designare i giudei.

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Page 26: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

questo è vietato dalla Scrittura99. Giustino fa presente che è inutile offrire sacrifici

terreni a statue, opere d’uomo, in quanto ciò è inutile all’uomo stesso100. Le statue che

gli uomini forgiano e fabbricano raffigurano le apparizioni di entità che altri non sono se

non i demòni di cui abbiamo parlato sopra, ed è dunque irrazionale offrire ad oggetti

inanimati corone ed onori101. A Dio, invece, non è necessario offrire nulla, in quanto è

Egli stesso che dona ogni bene all’uomo102.

Infine, la terza questione affrontata è correlata esclusivamente all’affermazione

evangelica: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di

Dio»103. Qui Giustino spiega come i cristiani siano fedeli all’Impero ed alle sue leggi,

specialmente per ordine divino: quindi, ribadisce, è inaudito accanirsi contro i seguaci di

Gesù solo per il fatto d’essere tali104. L’apologeta da qui in poi prosegue mostrando

delle analogie tra alcuni culti misterici e cristianesimo, riferendosi alla punizione dei

malvagi nel fuoco eterno, e mostrando come non si punivano tali culti, mentre si

contestava la fede in Gesù105. Da qui, dunque, si passa alla tematica principale del testo,

cioè alla Scrittura.

La seconda parte dell’Apologia, che è anche la più corposa, tratta

molteplici tematiche, ma soprattutto contiene alcune tracce di polemica antigiudaica

interessanti, visto che vengono esposte ad un imperatore pagano come metodo di difesa

del cristianesimo. A tal proposito Giustino elenca varie profezie e i loro adempimenti,

relativamente alla nascita verginale di Cristo106, alla distruzione di Gerusalemme107,

all’inibizione di Gerusalemme ai giudei108, etc., e per alcune di esse viene mostrato

come i giudei, volutamente o per inganno dei demòni109, non abbiano compreso gli

Scritti.

Qui si ravvisa una delle tematiche più forti ed importanti di Giustino: l’essere

cristiani prima di Cristo, tema trattato nel capitolo 46 della Prima Apologia. La frase in

questione, famosissima e rappresentativa, è: 99 Citare tutti i passi in cui si vieta di venerare immagini, statue od idoli sarebbe impossibile per ragioni di spazio; si veda, però, a titolo d’esempio: Es 20, 4; Dt 4, 15 – 19; Dt 5, 8; Sap 13, 10 – 19; Is 40, 18 – 19; Is 44, 9 – 20; Bar 6, 1 – 39; Bar 6, 45 – 71. 100 I Apol. 9, 1. 101 I Apol. 9, 1 – 3. 102 I Apol. 10, 1. 103 Citazione testuale di Mt 22, 21; vedi anche Mc 12, 17; Lc 20, 25. 104 I Apol. 17. 105 I Apol. 20, 1 – 3. 106 I Apol. 33, 1 – 5. 107 I Apol. 47, 1 – 4. 108 I Apol. 47, 5 – 6. 109 Cfr. Barn 9, 4.

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Page 27: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

Ka‹ ofl metå lÒgou bi≈santew Xristiano¤ efisi,kín êyeoi §nom¤syhsan,oÂon

§n ÜEllhsi m¢n Svkrãthw ka‹ ÑHrãkleitow 110.

Si noti l’affermazione della prima parte, su cui s’impernia la questione: coloro

che vivono secondo la legge di Cristo insita nel cuore degli uomini fin dalla nascita

sono cristiani a priori. Per rivendicare inoltre il valore dell’antichità della fede, Giustino

afferma che Socrate ed Eraclito furono considerati atei, ma erano, in realtà, veri e propri

cristiani. L’esame della questione è importante, giacché la ritroveremo anche sottintesa

nel Dialogo con Trifone. Va comunque tenuto presente che una visione di questo genere

può probabilmente derivare dalla lettera di Barnaba, in cui velatamente si afferma, in

polemica col giudaismo, che tutto l’Antico Testamento è in realtà un testo cristiano,

male interpretato e non capito, così reso vano dagli ebrei. La novità che troviamo in

Giustino è l’estensione di questa visione anche ai Gentili (Socrate ed Eraclito).

Giustino afferma che furono puniti tutti coloro che trasgredirono il Logos111, che

fu dato ad ogni uomo nel cuore, anche prima della nascita di Gesù112.

L’altra grande questione che possiamo esaminare è la tematica del lignum

crucis. Questo tema, molto caro a Giustino113, è qui chiaramente esposto. Giustino cita

vari passi veterotestamentari, soprattutto:

«Gioiscano i cieli ed esulti la terra;

si dica fra i popoli: “Il Signore regna”»114.

ed anche

«Il Signore regna, esulti la terra,

gioiscano le isole tutte»115.

Secondo Giustino, dopo l’espressione “il Signore regna”, dovrebbero seguire le

parole “dal legno”116; dunque, l’opinione cristiana era che i giudei avevano volutamente

alterato il testo per non offrire appigli riconducibili alla crocifissione di Gesù.

Per quanto riguarda il Primo Libro delle Cronache, però, la lezione della

Settanta non registra tale variante in nessun codice noto; così pure per il Salmo 96. Il

Visonà evidenzia come questo caso di interpolazione biblica, operato da parte dei

110 Cfr. GIUSTINO, Apologie, cit., p. 124; I Apol. 46, 3. 111 Giustino si riferisce al Logos spermatikòs, ossia alla legge morale di Cristo insita nel cuore degli uomini fin dalle origini. 112 I Apol. 46, 4. Questa dottrina della legge eterna deriva ancora, oltre che dallo Pseudo-Barnaba, anche dal Libro di Enoch (cfr. Enc 99, 2). 113 Ripreso soprattutto in Dial. 73, 1. 114 1 Cr 16, 31. 115 Sal, 96, 1. 116 I Apol. 41, 4.

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Page 28: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

cristiani, sia tale da far credere genuini i passi biblici “corrotti”, in contrapposizione con

l’esattezza dei testi giudaici, rifiutati dai cristiani come fasulli117.

Ritenere l’origine della questione legata prettamente allo Pseudo-Barnaba118 è

probabilmente inesatto. Il tema del lignum crucis, infatti, deriva sostanzialmente

dall’Apocalisse di Esdra, un testo ebraico molto importante per la storia della

cristianità: fu scritto da un giudeo in una data compresa tra l’81 ed il 100 d.C.119 e

divenne subito canonico per i cristiani. Fu inserito nella Bibbia come testo ispirato, e fu

considerato tale fino al Concilio di Trento, che lo dichiarò non canonico120. In varie

Bibbie, comunque, fu ancora stampato in appendice, dopo l’Apocalisse di Giovanni, per

altri centocinquant’anni circa. In tale testo si legge, infatti:

«Se però l’Altissimo ti concederà di vivere, lo vedrai pieno di confusione dopo il

terzo (periodo)! D’improvviso il sole risplenderà di notte, e la luna di giorno, dal legno

stillerà sangue, le pietre emetteranno voce, i popoli si agiteranno, l’aere si

muterà…»121

Anche nel libro della Sapienza ricorre un passo in cui si loda il legno122, così

come in Ezechiele123. Per Giustino, dunque, il legno è il trono di Cristo124, e la Scrittura

che egli conosce125 è pervasa di questi elementi.

Nella polemica antigiudaica si vedrà spesso l’accusa di aver corrotto la Scrittura

omettendo, per l’appunto, l’espressione “dal legno”.

Per quanto concerne il resto della seconda parte della Prima Apologia,

trascureremo qui alcuni passi della polemica antigiudaica, in quanto molti di essi si

noteranno meglio nel Dialogo con Trifone.

Infine, nella terza parte dell’Apologia, si trattano sostanzialmente due

tematiche importanti: la falsità dei miti pagani (e tutto ciò che intorno ad essi ruota) e

degli eresiarchi, e i due riti principali del cristianesimo, cioè il battesimo e l’eucaristia.

Per quanto concerne i miti pagani, Giustino muove l’accusa ai poeti dei tempi antichi di

117 Si veda sull’argomento: GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 246 nota 1. 118 Barn 8, 5; ma soprattutto Barn 12, 1. 119 Il Marrassini propone la data del 100 d.C., in quanto l’autore conosce Domiziano. Non ce la sentiamo, però, di escludere a priori una composizione nel ventennio precedente al 100 d.C.; cfr. P. MARRASSINI, Quarto Libro di Ezra, in P. SACCHI (a cura di), Apocrifi dell’Antico Testamento, vol. 2, Torino 2006, p. 244. 120 Cfr. MARRASSINI, in Apocrifi dell’Antico Testamento cit., p. 238. 121 Ap Esd 5, 4 – 5. 122 Sap 14, 7. 123 Ez 37, 19. 124 Ovviamente ci si riferisce al legno della croce. 125 Nota attraverso Testimonia che erano in circolazione al suo tempo.

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Page 29: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

essersi fatti plagiare dai demòni, i quali, avendo saputo dell’imminente nascita di Cristo,

hanno pensato di ingannare l’umanità facendo credere a molti d’essere figli di Zeus126.

Alcuni miti, addirittura, altro non sono se non storpiature delle profezie

veterotestamentarie, come il caso di Bellerofonte che cavalca un Pegaso, deformazione

delle profezie in cui il Messia entra a Gerusalemme su un puledro127; o anche il mito di

Perseo che nasce da una vergine, così come sarebbe dovuto accadere per

l’Emmanuele128.

Sempre nell’ambito delle descrizioni delle falsità, Giustino s’impegna

profondamente nella difesa del cristianesimo “ortodosso” dalle eresie derivanti da

Simone Mago129, Menandro di Samaria130 e Marcione del Ponto131.

Interessante è, inoltre, la descrizione della massima espressione della spiritualità

del cristianesimo: i riti del battesimo e dell’eucaristia. Come ben noto, il battesimo in

origine non si amministrava alla nascita del fanciullo; era necessario, infatti, che chi

riceveva il battesimo fosse preparato nelle Scritture e sapesse bene a cosa andava

incontro abbracciando la fede in Gesù132. Questo fatto è ovviamente rimarcato anche in

Giustino133, il quale descrive il rito del battesimo all’imperatore affinché i cristiani non

vengano malvisti a causa di pratiche sconosciute ai pagani. Ma l’apologeta cristiano non

si limita a questa descrizione, bensì volge l’accusa ai demòni di aver plagiato il

battesimo, dopo averlo conosciuto dal Profeta134. Giustino allude al lavacro obbligatorio

per i sacerdoti che entravano nei templi pagani135. Così, dunque, spiega l’importanza del

battesimo, per poi istruire il lettore sull’eucaristia, celebrata per i soli battezzati136, come

manifestazione del corpo e sangue di Gesù Cristo137. Avviandosi alla conclusione,

l’apologeta descrive i riti del dies solis (cioè della Domenica) in cui i cristiani si

riuniscono e celebrano l’eucaristia, dopo aver però prima letto, studiato e commentato la

Scrittura138.

126 I Apol. 54, 1 – 3. 127 I Apol. 54, 8. Cfr. Zc 9, 9. 128 I Apol. 54, 9. Cfr. Is 7, 14. 129 Che è lo stesso losco personaggio che appare in At 8, 9 – 24. 130 Per Simone e Menandro I Apol. 56, 1 – 3. 131 I Apol. 58, 1 – 3. 132 Cfr. At 1, 5; At 8, 12; At 8, 36 – 40; At 16, 30 – 33; At 18, 8; At 19, 4 – 5; Rom 6, 2 – 3; Gal 3, 26 – 27; Did 7, 1 – 4. 133 I Apol. 61, 2 – 3. 134 In questo caso è bene precisare che il Profeta in questione è Giovanni il Battista; cfr. Mt 11, 9 – 12. 135 I Apol. 62, 1. 136 I Apol. 66, 1. 137 I Apol. 66, 2 – 3. 138 I Apol. 67, 3 – 6.

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Page 30: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

La Prima Apologia si conclude con un appello finale all’imperatore, al quale si

chiede di considerare ciò che gli è stato inviato, altrimenti subirà comunque le

conseguenze delle sue azioni davanti a Dio139. Giustino allega all’apologia la lettera

dell’imperatore Adriano a Minucio Fundano, nella quale si raccomanda equità nei

processi per i cristiani, e chiede ad Antonino il Pio di agire rettamente come proposto

dal padre. Così si chiude, dunque, la Prima Apologia di Giustino.

La Seconda Apologia

Il testo greco conosciuto come Seconda Apologia, indirizzata al senato romano,

è decisamente più breve rispetto al precedente (ma non per questo meno pungente), e da

alcuni è stato ritenuto una continuazione della prima140, anche se è più ragionevole

pensare che sia stata scritta per un motivo occasionale che vedremo a breve.

La stesura di questa apologia si deve al fatto che il prefetto di Roma Lollio

Urbico ed altri governatori avevano scatenato una persecuzione contro alcuni

cristiani141. Tale gesto nasceva da una delazione del marito pagano di una donna

cristiana, la quale era stata costretta a lasciare il consorte a causa delle sue ripetute

azioni orgiastiche142; l’uomo, però, più per dispetto che per altro, denunciò al prefetto il

maestro dell’ex moglie, un cristiano di nome Tolomeo, che Urbico fece condannare a

morte per il solo fatto che questi si professava cristiano143. Dopo tale condanna, però,

dal prefetto si recò un tale di nome Lucio144 che si oppose all’ingiustizia commessa

contro Tolomeo. Avendo Urbico indagato ed avendo scoperto che anche Lucio era

cristiano, lo fece condannare a morte145.

Da questo punto Giustino inizia la sua polemica contro il filosofo cinico

Crescente; con giochi di parole simili a quelli già visti nella Prima Apologia146,

l’apologeta dice che il rivale non è filÒsofow147, bensì è filocÒfow148 e

139 I Apol. 68, 1 – 2. 140 Cfr. GIUSTINO, Apologie, cit., p. 28. 141 II Apol. 1, 1. 142 II Apol. 2, 1 – 7. 143 II Apol. 2, 9 – 14. 144 Da come viene descritto, costui sembrerebbe essere un legionario o comunque un personaggio non secondario; ma questa è solo una supposizione di chi scrive. 145 II Apol. 2, 16 – 20. 146 Ci si riferisce alla trasposizione di Xristiano‹ in xrhstÒtatoi. 147 Filosofo, vero amante del sapere: il massimo ideale di Giustino è il ricercatore della Verità, quindi il vero filosofo non può essere che cristiano. 148 Letteralmente: amante delle dicerie.

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Page 31: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

filokÒmpow149; questo filosofo, infatti, testimonia contro i cristiani pubblicamente150 e

lo stesso Giustino verrà condannato per causa di Crescente.

Inutile incitare i cristiani al suicidio per raggiungere quanto prima il loro Dio,

poiché questo offenderebbe la sua volontà di predicare sulla terra151; bensì si deve

tenere presente che il male si diffonde costantemente per opera degli angeli ribelli152 che

si unirono alle donne e così generarono i demòni153, i quali insegnarono malefici

all’umanità154 ed ispirarono i poeti ed i mitologi dell’antichità155.

Ma per Giustino non si può attribuire a Dio un nome specifico156, come per

Zeus, per Hermes, o per Athena; quindi, l’unico degno di un nome è lo stesso Gesù, il

Logos, per mezzo del quale fu creata ogni cosa157 e a motivo del quale Dio non

distrugge ancora il mondo, ma ritarda tale evento affinché tutti possano convertirsi158.

Avviandosi alla conclusione, l’apologeta parla della pena eterna dell’inferno di

fuoco, precisando che queste non sono fantasie, giacché le leggi devono essere fatte

rispettare, a motivo di una pena giusta data da un giusto legislatore, come del resto

avviene anche per gli uomini159. La punizione dei malvagi avverrà nel fuoco160, e la vera

prova di giustizia è quella che danno i cristiani non temendo la morte: pensiero, questo,

che affascinava Giustino già quando era ancora un platonico161.

L’apologia tratta di altre nozioni interessanti, come ad esempio il diluvio162, ed

altri raffronti con il paganesimo.

149 Letteralmente: amante della menzogna. 150 II Apol. 3, 1 – 3. 151 II Apol. 4, 1 – 3. 152 Chiamati più propriamente “Angeli Vigilanti” (cfr. Enc 1, 5; Enc 10, 7) poiché, come spiegato da Giustino, dovevano vigilare sull’umanità: II Apol. 5, 2. 153 II Apol. 5, 3. Questa affermazione è diversa da I Apol. 5, 2: qui i demòni non sono gli angeli malvagi, bensì sono i loro figli. Questa in apparenza grave incongruenza deriva sostanzialmente da Enc 15, 3 – 12, da cui si evince che gli spiriti dei giganti diventano i diavoli che tormentano l’umanità; soprattutto nei versetti 11 – 12 si afferma: «E gli spiriti dei giganti, dei Nafil oppressori sono corrotti, cadono, sono violenti, fracassano sulla terra, causano dolore, non mangiano alcun cibo, non soffrono sete e non si fanno conoscere, si elevano, queste anime, contro i figli degli uomini e contro le donne [perché sono usciti in tempo di uccisione e di corruzione]». Cfr. P. SACCHI (a cura di), Apocrifi dell’Antico Testamento, vol. 1, Torino 2006, pp. 489 – 490. 154 II Apol. 5, 4. Cfr. Enc 8, 1 – 3. 155 II Apol. 5, 5. Questa affermazione deriva da Gn 6, 4; da essa Giustino ricava che gli “uomini famosi” dell’antichità altri non sono se non i figli degli angeli malvagi, quindi i demòni. 156 II Apol. 6, 1 – 2. 157 II Apol. 6, 3. 158 II Apol. 7, 1. 159 II Apol. 9, 1 – 2. 160 Cfr. ad es. Enc 10, 13; Gdt 16, 17; Sal 10, 6; Sal 20, 10; Mc 9, 42 – 48; Ap 14, 10; Ap 20, 10; Ap Esd 7, 36 – 38. 161 II Apol. 12, 1. 162 II Apol. 7, 2 – 4.

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Page 32: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

La Seconda Apologia si chiude con la richiesta al senato di approvare lo scritto

affinché possa essere pubblicato163.

Il martirio di Giustino

La vita di questo grande filosofo del cristianesimo si chiuse con la “perfezione”

del martirio, avvenuto intorno al 165 d.C. a Roma.

La principale notizia della sua morte ci giunge da un testo in greco, redatto

presumibilmente pochi anni dopo questo evento: il testo è noto come Acta Iustini164.

Da tali Atti apprendiamo che Giustino, insieme a Caritone, a Carito, ad

Evelpisto, a Ierace, a Peone ed a Liberiano, furono condotti dinanzi al prefetto di Roma,

Rustico165, il quale li interrogò brevemente sul loro stile di vita e su quali fossero le loro

credenze. Giustino rispose che egli aveva cercato di praticare svariati principi, quindi

riassunse il suo percorso filosofico, fino alla scoperta di quelli veritieri cristiani, che,

disse l’apologeta, non trovano consenso presso coloro che hanno errate opinioni. Così

Giustino si dimostrò polemico verso i pagani fino alla fine166. L’interrogatorio proseguì

con tono autoritario da parte del prefetto, che voleva sapere da Giustino in quale luogo

si riunissero i cristiani. Ma la risposta, beffarda come sempre, fu che era impossibile che

tutti i cristiani si riunissero in un sol luogo, vista la grande moltitudine della gente167.

Nuovamente interrogato sull’argomento, Giustino indicò genericamente il luogo di

riunione della sua comunità presso i bagni di Mirtino, cioè presso casa sua168. Seguì

l’interrogatorio degli altri, i quali dichiararono tutti di essere cristiani. Infine, Rustico

chiese a Giustino se fosse convinto che, dopo la condanna, sarebbe salito in cielo. Alla

risposta affermativa dell’apologeta169, il prefetto sentenziò:

«Quanti non hanno voluto sacrificare agli dèi siano fustigati e condotti

all’esecuzione secondo la procedura di legge»170.

Giustino morì decapitato171 dopo essere stato fustigato, con la forza di chi aveva

difeso strenuamente i principi in cui credeva, e sostenuto da Dio e dalla fede in Lui.

163 II Apol. 14, 1 – 2. 164 Ci si rifà qui per il testo a: A.A.R. BASTIAENSEN - A. HILHORST - G.A.A. KORTEKAAS - A.P. ORBÀN - M.M. VAN ASSENDELFT (a cura di), Atti e Passioni dei Martiri, s.l. 2007, pp. 52 – 57. 165 Act. Iust. 1, 1. 166 Act. Iust. 2, 3. 167 Act. Iust. 3, 1. 168 Act. Iust. 3, 3. 169 Act. Iust. 5, 1 – 2. 170 Cfr. Atti e Passioni dei Martiri cit., p. 57; Act. Iust. 5, 6.

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Page 33: Giustino e la polemica antigiudaica nel \"Dialogo con Trifone\"

Capitolo III Il Dialogo con Trifone

§ 1. Introduzione alle tematiche del Dialogo con Trifone

La maggiore opera di Giustino a noi pervenuta è senza dubbio il famoso e ben

noto Dialogo con Trifone. Questo testo, redatto in greco presumibilmente intorno al 160

d.C.172, è indubbiamente la più antica opera antigiudaica a noi pervenuta173. La

strutturazione si presenta con un prologo (capp. 1 – 9), importantissimo e da noi già

analizzato nel capitolo precedente, seguito dal vero e proprio corpo dell’opera (capp. 10

– 141), in cui si narrano due giornate174 di dibattito con il giudeo Trifone, e che si

chiude con il commiato finale (capitolo 142). Rispetto ad altre opere del III secolo, ma

anche ad un testo fondamentale come La Pasqua di Melitone di Sardi175, il Dialogo è

sostanzialmente inorganico nella sua stesura. Giustino, in questo testo, non dimostra la

stessa eloquenza e la stessa maestria letterarie evidenziate nelle due apologie, ma anche

nel prologo stesso. Molto spesso, infatti, è prolisso e ripetitivo, accenna a varie

tematiche senza poi però affrontarle, per poi riprenderle successivamente. Esempio

degno di questa inorganicità è certamente la questione della nascita verginale di Cristo,

profetizzata da Isaia nel famoso versetto: fidoÁ ≤ pary°now §n gastr‹ ßjei ka‹ t°jetai uflÒn, ka‹ kal°seiw tÚ ˆnom

a aÈtoË

Emmanouhl 176.

Giustino affronta inizialmente la questione in Dial. 68, 6 in cui l’apologeta

apostrofa Trifone promettendogli una rapida dimostrazione di come questa profezia

171 Il fatto che la morte fosse per decapitazione si evince da Act. Iust. 5, 1. 172 Il Drobner, insieme alle due apologie, colloca il Dialogo tra il 150 ed il 160 (cfr. DROBNER, Patrologia cit., p. 132), mentre il Visonà è più preciso nel collocarlo al 160 (cfr. nota 76). 173 La Lettera di Barnaba, infatti, per quanto intrisa di polemica antigiudaica, non è un testo che può essere considerato polemico in tal senso. L’opera antigiudaica più antica in assoluto è invece la Disputa di Giasone con Papisco. 174 La suddivisione in due giornate non è più evidente nel testo in nostro possesso, a causa di una gravissima lacuna alla fine del capitolo 74, che deve essere molto estesa: in essa vi era la fine della prima giornata e l’inizio della seconda. Di recente Giorgio Otranto ha pubblicato il ritrovamento di un frammento appartenente a questa lacuna. Su tutto l’argomento si veda GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 19 e p. 249 nota 1. 175 In cui è immancabile una nota di polemica antigiudaica che, nel III secolo, verrà letta come accusa di deicidio verso il popolo ebraico; cfr. nota 88. 176 Is 7, 14.

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fosse riferibile al Cristo e non piuttosto ad Ezechia177, al contrario di quanto gli aveva

detto Trifone in Dial. 67, 1 accusando tra l’altro i cristiani di aver letto male la

Scrittura178, ma subito si perde in discorsi che esulano da tale dimostrazione e sfociano

direttamente nel tema preferito di Giustino: le opere del diavolo e dei demòni,

specialmente nell’elaborare i miti pagani179. La questione viene ripresa in Dial. 71, 3,

per essere però subito abbandonata perché Trifone180 sposta l’argomento sulle presunte

omissioni degli ebrei nella Scrittura, e quindi si sfocia nella tematica del lignum crucis

già vista sopra.

L’argomento della nascita verginale, finalmente, è riaffrontato e risolto solo in

Dial. 84, 1 – 4181 con un esame organico.

Nonostante questi costanti sbalzi d’argomento, è possibile individuare tre parti

fondamentali nel corpo centrale del Dialogo. La visione della Legge per i giudei e per i

cristiani (capp. 10 – 30)182, la figura di Gesù come Messia e come Cristo di Dio (capp.

31 – 108) ed infine la tematica della chiamata delle genti alla mensa di Giacobbe, cioè

del popolo cristiano che è divenuto il Nuovo Israele (capp. 109 – 141).

Una tematica filologica davvero molto importante è costituita da due punti: la

veridicità storica di quanto narrato nel Dialogo e la figura di Trifone.

Circa il primo punto, la questione è molto controversa, soprattutto nell’ottica

della critica contemporanea. Infatti la composizione di opere antigiudaiche è stata vista

in modo decisamente vario e contrastante fra i vari studiosi, passando dall’estremo dello

scontro costante tra giudei e cristiani puntualmente registrato dalla letteratura183

177 Ezechia fu re d’Israele tra il 716 ed il 687 a.C. (2 Re 18, 1 – 2; 2 Cr 29, 1) e fu contemporaneo del profeta Isaia. È famoso per essere stato degno di grande santità (2 Re 18, 3; 2 Cr 29, 2), per aver distrutto il famoso serpente di rame di Mosè (il serpente di Nm 21, 5 – 9 che, al tempo di Ezechia, era venerato come un dio e gli si offriva incenso, ed era chiamato Necustan; 2 Re 18, 4) e per aver tenuto testa a Sennacherib (2 Re 18, 13 – 17; 2 Cr 32, 1 – 8). Questa forma di esegesi è ignota a noi, sia dalle vicende bibliche che riguardano Ezechia che soprattutto dal Talmud (è presente nelle fonti solo un legame non netto, ma velatamente descritto, e riguardante non una vergine, ma una fanciulla); questo non esclude, però, che Giustino abbia conosciuto questa lettura della profezia. Cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 231 nota 2. 178 Ci riferiamo alla traduzione dall’Ebraico del termine " almah" (= fanciulla), che nella Settanta viene reso con pary°now, inteso col significato di “vergine” da parte dei cristiani. Trifone qui si rifà invece alla più recente traduzione in greco fatta da Aquila intorno al 130 d.C, che ha nean¤aw. 179 Dial. 69, 1 – 3 e sgg. 180 Teniamo ben presente che anche Trifone è Giustino, cioè l’autore del Dialogo; quindi è lo stesso Giustino che evita nuovamente l’argomento. 181 Quindi dopo l’estesissima lacuna del capitolo 74, e dunque il giorno dopo! 182 Che è comunque la parte più organica fra le tre. 183 Come ricordato da G. Otranto, Williams nega una “Letteratura Antigiudaica”, ma pensa ad una serie di opere composte ogni volta ad hoc per situazioni sempre nuove di scontro (cfr. G. OTRANTO, Giudei e Cristiani a Cartagine tra II° e III° Secolo, L’Adversus Iudæos di Tertulliano, Bari 1975, p. 92); e, come

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all’estremo in cui tutta la polemica è una pura finzione, utile solo ai cristiani per

chiarificarsi i dubbi che si ponevano da sé nel confronto col giudaismo, non senza un

fine apologetico verso i pagani184.

Per quanto riguarda il Dialogo con Trifone, è questo un testo scritto da Giustino

per un certo Marco Pompeo185 e, come detto sopra, redatto intorno al 160 d.C.,

presumibilmente dopo la Seconda Apologia, e dunque composto a Roma. Se riteniamo

vera l’affermazione di Eusebio di Cesarea, secondo cui l’opera è la registrazione di un

reale dibattito avvenuto ad Efeso, è ragionevole pensare che Giustino abbia scritto il

testo svariati anni dopo l’avvenimento del fatto. La cronologia comunemente accettata

di quello che sarebbe stato il reale discorso con Trifone fa pensare che essp sia avvenuto

tra il 130 ed il 140 d.C.186; l’apologeta cristiano, quindi, avrebbe composto l’opera circa

30 (o 20) anni dopo il reale avvenimento.

Questo, ovviamente, induce a pensare che Giustino non si poneva di certo un

fine cronachistico nello scrivere il Dialogo con Trifone! Alcuni hanno proposto di

considerare il Dialogo come un’opera composta per “distruggere” le posizioni giudaiche

dinanzi ad un incalzante Giustino (al quale poco o nulla s’oppone la figura di Trifone),

elaborata non a fine antigiudaico, bensì a fine apologetico verso i pagani e ad avallo

degli stessi cristiani nei loro dubbi spontanei circa i rapporti col giudaismo187; altri

hanno invece visto nel Dialogo un’opera studiata sostanzialmente per opporsi alle

tematiche giudaiche, basandosi sulla registrazione di un avvenimento realmente

accaduto e non costruito come finzione letteraria188.

Ciononostante è da registrare obiettivamente che il Dialogo non può essere un

testo scritto con finalità apologetiche verso i pagani: non è infatti indirizzato a nessuna

autorità romana, né tanto meno ai pagani189: non è pensabile che un testo di quel genere,

peraltro molto articolato sui temi della legge giudaica, potesse essere d’interesse per ricordato da G. Visonà, così anche Simon, che conferma le tesi di Williams (cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 52). 184 Come ricordato sia da Otranto che da Visonà, von Harnack è un tenace assertore dell’inesistenza di uno scontro reale con i giudei (cfr. OTRANTO, Giudei e Cristiani a Cartagine tra II° e III° Secolo cit., p. 92; GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 51). 185 Come ben si evince da Dial. 141, 5; la dedica è accennata anche nel Prologo, in Dial. 8, 3, ma ivi non compare il nome di Marco Pompeo. 186 Cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 54 nota 36. 187 Ibidem pp. 53 – 54. 188 Ibidem pp. 54 – 55. 189 Cosa che è invece presente nelle Apologie: si veda l’indirizzo ad Antonino il Pio in Giustino I Apol. 1, 1; l’indirizzo al senato romano in Giustino II Apol. 14, 1; II Apol. 15, 2; l’indirizzo ad un maestro pagano come Diogneto scritto dall’Anonimo autore del testo in A Diogn. 1, 1; l’indirizzo ai magistrati del popolo romano in Tertulliano Apol. 1, 1; l’indirizzo a tutti i pagani in Tertulliano Ad Nat. I, 1, 1 – 2; e molti altri esempi si potrebbero portare.

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qualche pagano190. D’altro canto, non è nemmeno pensabile che l’opera sia diretta solo

ed esclusivamente ai giudei, visti come diretti rivali dei cristiani; questo perché il

Dialogo è dedicato e diretto a Marco Pompeo191, certamente un cristiano. Come logica

implicazione, il Dialogo potrebbe essere diretto anche alle sette dei giudeocristiani, cioè

ad un gruppo di cristiani non ortodossi.

L’opera, quindi, è diretta sia a giudei delle comunità romane che ai cristiani,

come ipotetico chiarimento su eventuali dubbi correlati con i raffronti con la legge

mosaica. Il Dialogo, dunque, è certamente scritto sulla base di un incontro realmente

accaduto, magari registrato da Giustino in qualche diario, usato però come pretesto

letterario per dirimere altre questioni: da qui la sua inorganicità, giacché i brani del

diario vengono mischiati con altri brani tratti da testimonia vari.

Circa il secondo punto accennato prima, cioè la figura di Trifone, la questione

s’incentra su un tentativo, fatto da Eusebio di Cesarea, di indicare questo personaggio

come un rabbino, e più precisamente come il più illustre fra i rabbini presenti al tempo

di Giustino; sulla base di queste affermazioni, si è voluto cercare di identificare Trifone

con Tarfone, un noto rabbino del II secolo d.C.; oggi, però, questa ipotesi è stata

totalmente abbandonata192.

Più valida è la definizione fatta da Goodenough, che condivido, che descrive

Trifone come un “uomo di paglia”193. La figura dell’interlocutore dell’apologeta

cristiano è quella di un bersaglio comodo per Giustino, giacché quasi mai lui si oppone

a quello che, a volte, pare essere più un monologo che un dialogo. Da questo deduciamo

quanto poco possa essere attendibile il ritenere il Dialogo con Trifone una cronaca di un

evento storico; è impensabile che, ad alcune veementi accuse di Giustino, reputate da

molti contemporanei come un triste contributo all’antisemitismo194 della Chiesa verso i

190 L’unico argomento a favore di un interesse apologetico può essere quello evidenziato nella necessità di dimostrare l’antichità del culto, già evidenziato in EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit., pp. 148, 231, 242 – 243. Ciononostante la cosa viene già brillantemente fatta da Giustino nella Prima Apologia, senza discorsi prolissi e soprattutto inorganici, che più che altro confonderebbero le idee di un pagano. 191 Con ottime probabilità si tratta di un pagano convertito al cristianesimo. 192 Vista la debolezza lampante di Trifone, e visto il suo profilo caratteriale, è impensabile identificarlo come un rabbino, tantomeno come il più illustre dei rabbini; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 55 nota 37 e l’accenno a p. 244 nota 1. 193 La citazione di E.R. Goodenough è tratta da GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 53. 194 Si faccia attenzione a non confondere l’antisemitismo con l’antigiudaismo! Per antigiudaismo intendiamo lo scontro tra giudei e cristiani sul tema esegetico e teologico; l’antisemitismo, invece, è la pura violenza fisica e materiale ai danni degli ebrei per motivi razziali. Sull’argomento si veda la lettura di M. PESCE, Antigiudaismo nel Nuovo Testamento e nella sua utilizzazione. Riflessioni Metodologiche, in “Annali di Storia dell’Esegesi” 14/1 (1997) 11 – 38, pp. 13 e sgg.

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giudei195, Trifone non solo opponga poca o nulla resistenza verbale, ma a volte non

opponga proprio resistenza! Sarebbe stato più logico, per alcune accuse, come quelle

incredibilmente “cattive” di Dial. 112, 1 – 5196, che Trifone quantomeno se ne andasse,

o, peggio, facesse scoppiare una rissa! Invece, non solo l’ebreo incassa il colpo, ma non

dice parola per svariati altri capitoli, lasciando a Giustino campo libero per continuare

ad accusare gli ebrei!

§2. L’Antico Testamento nel confronto tra giudei e cristiani

Il terreno di scontro più aspro tra giudaismo e cristianesimo, indubbiamente, fu

quello dell’Antico Testamento. Scriveva Simon Wiesenthal nel 1995: «Voi cristiani ci

avete già preso la Bibbia, i profeti e i salmi. Lasciateci questo cimitero»197. Questa frase

è alquanto eloquente e ben descrive ciò che poi è stato il risvolto della polemica

antigiudaica più propriamente improntata sulla Scrittura: l’impossessamento da parte

cristiana di quei testi biblici che, prima, appartenevano esclusivamente al popolo

ebraico.

Se i giudei hanno vissuto come scippo questa situazione, i cristiani invece lo

hanno rivendicato come eredi di tali Scritture; e tale eredità è stata data da Gesù, che ha

rivolto il suo messaggio ad ogni popolo della terra piuttosto che solo al popolo ebraico il

quale, invece, ha fatto “ciò che è male agli occhi del Signore”198.

Ebbene Giustino è l’iniziatore di questo “scippo”, o, per i cristiani, “rivendicazione”.

Ma, come abbiamo già visto sopra, in realtà la faccenda è molto più complessa, poiché

viene contestata agli ebrei la manomissione della Scrittura, come ad esempio nella questione del

195 Come evidenzia il Visonà, così afferma B.Z. Bokser per la critica ebraica, ma anche Hoffmann e Joly per la critica cristiana; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. pp. 47 – 49. 196 Affermazioni che criticano duramente sia l’esegesi biblica dei giudei, sia gli insegnamenti dei loro maestri sia l’intelligenza stessa dei giudei. A titolo d’esempio cito: «[…] si fa come i vostri maestri, che si limitano a spiegarvi perché nel tal passo non si parla di cammelli femmina o che cosa s’intende per cammelli femmina, […] danno queste spiegazioni in modo meschino e terra terra, mentre quello che sarebbe veramente importante e meritevole di indagine non osano né parlare né dare spiegazioni, e quando noi diamo le nostre, di interpretazioni, vi intimano di non prestare assolutamente ascolto […]» (Dial. 112, 4). 197 Citazione di un passo apparso sul quotidiano La Stampa il 28 Gennaio 1995; tratto da G. GARDENAL, L’antigiudaismo nella letteratura cristiana antica e medievale, Brescia 2001, p. 17. 198 Dt 4, 25; Dt 9, 18; Dt 17, 2; Dt 31, 19; Gdc 2, 11; Gdc 3, 7; Gdc 3, 12; Gdc 4, 1; Gdc 6, 1; Gdc 10, 6; 1Re 14, 22; 1Re 15, 26; 1Re 15, 34; 1 Re 16, 19; 1Re 16, 25; 1Re 16, 30; 1Re 21, 10; 1Re 22, 53; 2 Re 3, 2; 2 Re 8, 18; 2 Re 8, 27; 2Re 13, 2; 2Re 13, 11; 2Re 14, 24; 2Re 15, 9; 2Re 15, 18; 2Re 15, 24; 2Re 15, 28; 2Re 17, 2; 2Re 17, 17; 2Re 21, 6; 2Re 21, 16; 2Re 21, 20; 2Re 23, 32; 2Re 23, 37; 2Re 24, 9; 2Re 24, 29; 2Cr 21, 6; 2Cr 22, 4; 2Cr 29, 6; 2Cr 33, 2; 2Cr 33, 6; 2Cr 33, 22; 2Cr 36, 5; 2Cr 36, 9; 2Cr 36, 12; Bar 1, 22. Questa espressione ricorre 49 volte nella Bibbia (48 in quella ebraica, giacché in essa, al Concilio di Jamnia, il libro di Baruch fu rigettato).

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lignum crucis. Questo deriva semplicemente dalla profonda differenza di fonti utilizzate dalle

due parti.

Gli ebrei si basavano sostanzialmente su:

• Scritture in lingua ebraica, ritenute canoniche al Concilio di Jamnia;

• Talmud e letteratura midrašica.

I cristiani si basavano invece su:

• Traduzione greca dell’Antico Testamento, detta Septuaginta;

• La considerazione canonica dei libri di Enoch e dell’Apocalisse di Esdra;

• Testimonia di varia origine e composizione;

• Targumim199 e midrašim200.

Ovviamente, a causa di queste palesi diversificazioni di fonti, anche i testi letti

dalle due parti erano, in alcuni punti, diversi. Da qui nascono punti di scontro e

divergenza, ma non per malafede dell’una o dell’altra parte, bensì semplicemente

perché leggendo libri diversi era impossibile ottenere una medesima lettura obiettiva (o

anche soltanto soggettiva).

Principali punti di discordanza fra le fonti di riferimento sono:

• La composizione del canone veterotestamentario: quello di Jamnia è più breve

della Settanta, il quale ha in più ben 16 libri201 rispetto al testo ebraico.

• La discordanza di esegesi in alcuni punti, come il passo già visto sopra di Isaia

7, 14, in cui il gli ebrei leggono fanciulla e i cristiani leggono vergine.

• La profonda differenza di esegesi, influenzata da una parte da quanto stabilito

dai Tannaim, dall’altra da quanto scritto come commento nei testimonia.

• L’accusa da parte cristiana di modifiche alla Scrittura, operate invece dagli stessi

autori dei Targumim.

• La Birkat haminim dei giudei rivolta verso i cristiani.

La parte cristiana, inoltre, faceva uso dei testimonia come si fa oggi con i lezionari:

poteva capitare, quindi, che si desse più credito a testi ricopiati da non si sa chi202 in

funzione liturgica, piuttosto che alla versione ufficiale della Settanta.

199 Si tratta di rimaneggiamenti della Scrittura, con aggiunte, soppressioni o modifiche varie; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, VISONÀ (ed.), cit. p. 63. 200 Si tratta di passi inesistenti nella Scrittura, composti con aggregamento di parti varie fra loro, od anche mediante trascrizione di tradizioni orali; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, VISONÀ (ed.), cit. p. 63. 201 Molti di questi oggi Canonici per i Cattolici, mentre alcuni sono stati esclusi anche dal Canone Romano – Tridentino; sopravvivono integralmente Canonici per gli Ortodossi. 202 Molti testimonia potevano essere pieni di errori e contraddizioni. A questo si aggiunga la mancanza di garanzia di un copista noto; talvolta, infatti, ci si improvvisava copisti.

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Nei paragrafi successivi, esaminando il Dialogo, vedremo alcuni punti di scontro

proprio sull’Antico Testamento.

§3. Il Nuovo Testamento nella polemica antigiudaica del II secolo d.C.

Circa il tema del Nuovo Testamento mi limiterò giusto ad un accenno sulle varie

questioni che lo riguardano.

Sopra abbiamo ricordato che non è mai esistito un solo cristianesimo, per lo

meno alle sue origini. Questo fatto ha ovvi riflessi sul piano letterario: il Nuovo

Testamento, infatti, non è altro che una raccolta di testi ritenuti sacri dal gruppo dei

cristiani proto-ortodossi, cioè dal gruppo che ha vinto la battaglia per affermare la

propria dottrina; questo ha provocato e la scomparsa di molti altri testi dei primissimi

secoli della cristianità203, soprattutto di vangeli, che alcuni gruppi di cristiani

conservavano e tenevano cari come vera e propria Scrittura204.

Un caso eclatante è quello verificatosi ad Antiochia circa quarant’anni dopo il

martirio di Giustino: il vescovo Serapione era andato in visita alla comunità di Rosso, la

quale faceva uso di un testo evangelico scritto da Simon Pietro in persona205. Il vescovo

accolse di buon grado il fatto che la comunità utilizzasse un testo scritto da un così

importante apostolo del Cristo. Quando, però, alcuni delatori fecero presente che il testo

conteneva alcune eresie, Serapione lesse il vangelo e ne proibì l’uso ai cristiani di

Rosso206.

Ma veniamo, dunque, all’autore del nostro Dialogo con Trifone. Giustamente,

osserva Ehrman, Giustino non ha assolutamente cognizione dei Vangeli come Scrittura,

ma solo come “Memorie degli Apostoli”, mentre Ireneo di Lione, che scrive circa

trent’anni più tardi di Giustino, riconosce i Vangeli come autorità scritturale; e nello

stesso punto Ehrman rileva che Giustino non considera quasi mai Paolo, probabilmente

perché veniva usato da Marcione207. Questo ci serve per dire che Giustino è fortemente

condizionato dalla lotta contro gli eretici, che al suo tempo proliferavano e con i quali

poi si scontrò, come è ricordato anche nelle due apologie. Sopra abbiamo fatto presente

203 Come limite massimo per la canonicità di un testo si accetta una data che non vada oltre il 150 d.C. 204 Come puntualmente rilevato da EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit., p. 31. 205 Trattasi del famoso Vangelo di Pietro, testo docetista del II secolo d.C. 206 Per tutto l’argomento e per approfondimenti si legga EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit., pp. 33 e sgg. 207 Cfr. EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit., pp. 299 – 300.

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che il Dialogo è dedicato ad un certo Marco Pompeo, e l’opera non è diretta

esclusivamente ai giudei, ma anche alle sette più radicali del giudeocristianesimo, che

certamente dovevano avere in Roma una loro base e che potevano così creare dubbi ed

incertezze anche nei cristiani proto-ortodossi. Il testo cardine di queste comunità era

indubbiamente il famosissimo Vangelo secondo gli Ebrei, un’opera antichissima (oggi

perduta) che fu al centro di svariate polemiche e fu sul punto di essere considerato un

vangelo pari ai canonici208. Il testo, addirittura, fu tradotto da Girolamo molto più tardi,

che lo considerava come se fosse l’originale ebraico del Vangelo secondo Matteo209. Un

testo come questo, che lo Pseudo-Cirillo dichiara espressamente essere il quinto

Vangelo210, era il baluardo di una più estesa cerchia di persone collegate alla setta dei

farisei convertiti al cristianesimo, che predicava ancora la circoncisione e il rispetto

della legge di Mosè211. La teologia di questi cristiani differiva profondamente da quella

di Giustino, e la sottigliezza conciliante da essi utilizzata, ha fatto giungere il testo

(considerato l’originale del Vangelo di Matteo) addirittura fino a Girolamo212, che

afferma ve ne fosse una copia nella biblioteca di Cesarea.

Per Giustino, quindi, anche coloro che praticavano la legge mosaica, seppur

cristiani, erano considerati espressamente bersagli. L’apologeta muove un’accusa verso

chi si circoncide, come ben si evince in Dial. 19, 1 – 5, e lancia una frecciata anche ai

giudeocristiani: l’apologeta cristiano, infatti, dichiara che la circoncisione della carne è

segno utile a Dio “affinché il popolo sia non-popolo e la nazione non più nazione”213.

La duplice definizione di popolo e nazione è così esplicabile: i cristiani si definivano il

popolo di Dio, ma, se si circoncidevano, diventavano non-popolo; altrettanto i giudei,

che sono la nazione che Dio promise ad Abramo214, se non convertiti diventano non-

nazione.

Non sia considerata, questa, una forzatura, bensì una forte esigenza delle

comunità cristiane ortodosse: se, infatti, queste volevano essere riconosciute da parte

dei romani, non potevano accettare di mostrarsi divise e non concordi, in continua lotta

intestina, ma dovevano piuttosto mostrare di avere una unica esegesi biblica, e se

vogliamo dirla alla maniera ebraica, una unica halakah, che denotasse inoltre grande

208 Sull’argomento si veda MORALDI, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Vangeli cit. pp. 431 e sgg. 209 Cfr. MORALDI, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Vangeli cit. p. 432. 210 Cfr. CRAVERI (ed.), I Vangeli Apocrifi cit., pp. 275 – 276. 211 Cfr. BROWN - MEIER, Antiochia e Roma cit. pp. 11 – 12. 212 Eloquente è ciò che dice Girolamo nel Capitolo III del De Viris Illustribus. 213 Dial. 19, 5. 214 Si veda ad es. Gn 17, 20.

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antichità di culto. Come sarebbero apparsi altrimenti i proto-ortodossi agli occhi dei

romani dinanzi a gruppi di giudeocristiani che, molto più di loro, praticavano

degnamente la legge di Mosè? Non avrebbero certamente ritenuto più autorevoli quelli,

piuttosto che i seguaci della dottrina proto-ortodossa? La polemica antigiudaica, in

questo senso, ha un peso non indifferente.

Per concludere, ed anche per dare un riferimento utile, diremo che il Nuovo

Testamento, così come lo conosciamo oggi, non è assolutamente frutto di accurati anni

di concili delle varie Chiese, bensì estrapolazione quasi tacita della famosissima Lettera

Festale 39, composta da Atanasio di Alessandria intorno al 367 d.C., ed inviata alle

comunità della sua diocesi per comunicare la data della Pasqua e per imprimere

finalmente quali fossero, secondo la sua esperienza e secondo quanto egli vedeva nel

mondo cristiano, le vere Scritture Neotestamentarie215.

§4. La prima parte del Dialogo: la Legge di Mosè

Dopo queste considerazioni, veniamo ad esaminare come propriamente

incomincia il più importante Dialogo del II secolo d.C.

La prima parte dell’opera è certamente la più breve e la meno articolata, e

consente un esame meglio condotto rispetto a come potremo fare per le altre due

sezioni, per le quali vedremo solo le tematiche principali, sia per brevità che per dare al

lettore la possibilità di valutare attentamente la visione del pensiero di Giustino.

Nel capitolo 10, che è dopo il prologo, Trifone inizia il dibattito opponendosi a

Giustino. Le affermazioni del giudeo sono certamente tali da dare serietà al dibattito, in

quanto egli dice di non rifarsi alle turpi affermazioni fatte dai pagani216, bensì di aver

letto i Vangeli217 e di aver constatato la bontà delle cose ivi scritte, anche se impossibili

da seguire, e nonostante tutto di non condividere la totale inosservanza della legge

mosaica da parte dei cristiani, visto che questa era l’unico simbolo dell’alleanza con

215 Malgrado le resistenze che ci furono ancora dopo, come ad esempio quelle di Didimo il Cieco, prevalse la scuola di Atanasio: la composizione del Nuovo Testamento, che spesso si vanta essere stata fatta nel II secolo d.C., è invece frutto della singola opinione di una sola persona. Sull’argomento si legga EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit. pp. 288 – 289. 216 Trifone si riferisce alle accuse di infanticidio e di incesto rivolte ai cristiani dai pagani; cfr. Dial. 10, 2. 217 Per Giustino i Vangeli, o meglio, le “Memorie degli Apostoli” che hanno maggior valore sono sostanzialmente il Vangelo secondo Matteo ed il Vangelo secondo Luca; minimo l’influsso di Marco, e quasi del tutto nullo l’influsso di Giovanni, che probabilmente Giustino ritiene apocrifo. Cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 69.

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Dio218. La risposta di Giustino non si fa attendere, e diventa veemente fin da subito. In

vari concetti, organicamente esposti, egli di fatto tratta due temi: l’abrogazione della

legge di Mosè e la fine dell’Alleanza con gli ebrei, e la necessità del battesimo per la

redenzione dei peccati. Se una nuova legge entra in vigore, e va in contrasto con una

precedente, ovviamente la nuova abroga la vecchia; e stessa cosa dicasi per

un’alleanza219. E, citando Isaia, ma soprattutto Geremia220, l’apologeta accusa i giudei

di non aver colto nelle profezia l’imminente arrivo del Salvatore, la vera Legge di Dio,

la vera alleanza per i popoli. Grazie a questa nuova alleanza, Abramo sarebbe diventato

padre di molti popoli, come già annunziato da Dio221. Così facendo Giustino rivendica

non solo l’alleanza vera ed esclusiva con Dio, ma anche la discendenza d’Abramo. A

questo punto ci si aspetterebbe una logica reazione di Trifone, che potrebbe

argomentare su varie questioni, soprattutto sull’esegesi dei passi biblici citati

dall’apologeta cristiano, ma, incredibilmente, il giudeo tace e incassa il colpo222. Da

questa inerzia dell’interlocutore, Giustino ha il trampolino di lancio per tuffarsi in una

serie di accuse che, realisticamente, avrebbero dovuto provocare quanto meno una

reazione, ma che invece vengono brillantemente (direi quasi “stoicamente”) sopportate

da Trifone: i giudei, pertanto, per l’incapacità d’aver colto l’invito di Isaia al battesimo

di conversione223 e per la stessa incapacità di cogliere le profezie in genere, Giustino

reputa i giudei sordi, ciechi ed ottusi224, tant’è che per lavare le loro colpe ed i loro

delitti non basterebbe nemmeno tutta l’acqua del mare225.

L’esortazione dell’apologeta è, dunque, quella di convertirsi al cristianesimo e di

accettare umilmente il battesimo nel nome di Gesù, unica via di salvezza226.

Nei passi successivi si riscontra ancora una certa veemenza nelle accuse mosse

da Giustino ai giudei, come nel celebre passo in cui si legge che gli ebrei sono rei di

aver ucciso il Cristo e prima di lui tutti i profeti227, così di aver diffamato i cristiani più

218 Dial. 10, 2 – 4. 219 Dial. 11, 2. 220 In Dial. 11, 3 è citato Ger 31, 31 – 32. 221 Dial. 11, 5. 222 Da questo momento in poi, per tutto il Dialogo, Trifone diventerà l’uomo di paglia di cui abbiamo parlato sopra, citando il Goodenough; cfr. nota 193. 223 Invito che non è assolutamente espresso nei passi citati, se non dal verbo loÊv, che tradizionalmente i cristiani vedevano associato al battesimo. Dial. 12, 1 – 3; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 115. 224 Dial 12, 2. 225 Dial. 13, 1. 226 Dial. 14, 1 – 2. 227 Dial. 16, 4; da questa opinione nasceranno le durissime espressioni di Melitone di Sardi, che sfoceranno nell’accusa di deicidio nel III secolo d.C.; cfr. nota 71. In questo stesso passo c’è la famosa allusione alla Birkat haminim.

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di tutti gli altri popoli e di aver sparso il seme dell’odio verso Gesù attraverso la

menzogna in tutto il mondo228.

Queste affermazioni, che porterebbero all’esaurimento della pazienza di

chiunque, sembrano quasi non interessare a Trifone che, puntualmente, continua a

rimanere zitto ad incassare colpi229.

Giustino, non pago, punta a dimostrare l’inutilità dei sacrifici giudaici, dati ai

giudei come punizione per la durezza del loro cuore, giacché Dio non ne ha mai avuto

bisogno230. Qui è palese anche l’accusa rivolta ai giudeocristiani di matrice farisaica, i

quali sostenevano che senza praticare i sacrifici non vi è salvezza.

Giustino prosegue lanciando un’accusa verso i giudeocristiani, assimilandoli ai

marcioniti, quando afferma che ammettere che Dio ha bisogno di sacrifici è come

ammettere l’esistenza di due déi diversi: al tempo di Enoch, infatti, non erano richiesti

sacrifici, bensì sono stati dati ai soli giudei per colpa delle loro azioni, e non per

necessità di Dio231. Con questo stratagemma, agli occhi dell’apologeta cristiano, tutti

coloro che non la pensano come lui (fossero essi ebrei, giudeocristiani, marcioniti o

quant’altro) vengono accomunati nella stessa cerchia.

Le ulteriori accuse di Giustino, specialmente trattandoli la questione dei tempi

della Legge, provocano finalmente una timida e debole reazione di Trifone, che chiese

all’apologeta con quale criterio egli potesse affermare che i giudei non avrebbero

ereditato nulla sul monte santo232. Giustino nega d’aver mai asserito che i giudei non

erediteranno nulla, bensì l’eredità sarà tolta solo a coloro che hanno perseguitato il

Cristo, continuano a perseguitarlo e si ostinano a non riconoscerlo233.

Nonostante ulteriori repliche di Trifone234, Giustino, non ritenendo di dover

rispondere alle obiezioni del suo interlocutore, va avanti fino alla conclusione della

prima parte, lodando i cristiani e condannando gli ebrei, i primi perché degni di esser

228 Dial. 17, 1 – 3. 229 Evidenziare lo strano atteggiamento di Trifone è necessario per capire quanto poco sia credibile che un dialogo realmente accaduto possa essere andato così. 230 Dial. 22, 1. 231 Dial. 23, 1 – 2. 232 Dial. 25, 6: si tratta della prima reazione di Trifone. 233 Dial. 26, 1; sembra quasi scontato da dire, ma Giustino non si è affatto difeso dall’accusa velata di Trifone di aver criticato i giudei affermando che essi non avranno parte sul monte santo. Sostanzialmente l’apologeta dice che nulla spetterà a chi ha perseguitato Cristo (i pagani ed anche i giudei nella rivolta di Bar Kochba), di chi lo perseguita (i pagani) e di chi non lo riconosce (i giudei). 234 Dial. 27, 1; Dial. 28, 1.

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accolti da Dio, da loro invocato per mezzo di Gesù dopo aver rinnegato il culto dei

demòni, mentre i secondi sono ottenebrati dalle loro colpe che li rendono ciechi235.

§5. La seconda parte del Dialogo: Gesù è il Cristo

Con la prima parte del Dialogo con Trifone termina anche l’unico barlume di

organicità dell’opera. Senza impelagarci in una alquanto labirintica descrizione di tutto

ciò che è stato scritto dall’apologeta cristiano, vedremo di esaminare i temi che

riguardano più da vicino la polemica antigiudaica.

Le tematiche principali che si possono individuare, e che qui proporremo, sono

sostanzialmente quattro: la questione delle due Parusie, la comparsa di un Dio diverso

da Elohim sia ad Abramo che ai padri del popolo ebraico, gli angeli malvagi ed il

millenarismo, ed infine la vicenda del serpente di rame.

La tematica delle due Parusie è certamente molto importante, perché è quella che

dà il via ad un’ottica dualistica che tende a distinguere costantemente le profezie

veterotestamentarie in due rami: quelle che annunziano la prima Parusia, cioè la storia

terrena di Gesù Cristo, e la seconda Parusia, cioè quella che sarà con l’avvento in terra

del Figlio dell’Uomo nella sua gloria, per stabilire il suo regno eterno ed eliminare il

male. A sostegno di questo, Giustino cita la profezia di Daniele, riguardante l’Antico

dei Giorni236, come per indicare che la venuta di Cristo nella gloria sarà grande237; ma

Trifone, che pare non aver capito la tematica, timidamente volge questa profezia per

indicare quanto sia sbagliato considerare Gesù il Messia, visto che questi non è venuto

nella gloria, ma è stato appeso ad un legno238.

A difesa della sua tesi, l’apologeta cristiano richiama rapidamente le citazioni

fatte nella prima parte, sostenendo che Gesù sarebbe dovuto venire due volte: la prima,

per l’appunto, è quella in cui ha subito la crocifissione ad opera dei giudei239. Giustino

ribadisce, con l’uso dei salmi, che solo Gesù è degno di svariati titoli regali, fra cui

quelli di Dio, sacerdote ed angelo240, e solo lui è giudice giusto241.

235 Dial. 1, 1 – 3. 236 Dn 7, 9 – 28. 237 Dial. 31, 1 – 6. 238 Si tratta dell’affermazione della legge di Mosè, secondo cui è maledetto da Dio colui che è stato appeso ad un legno: Dt 21, 22 – 23. 239 Dial. 32, 2. 240 Dial. 34, 2; Angelo inteso come annunziatore; il titolo di angelo verrà abbandonato rapidamente nel giro di un secolo, per evitare che questo portasse confusione con le schiere angeliche di Dio; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 159 nota 2.

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Così facendo, il tema delle due Parusie diventa occasione di polemica: non si

legge come necessaria la morte del Cristo per l’adempimento delle profezie, ma si dà la

responsabilità ai giudei, ancora una volta ritenuti colpevoli di non aver “capito niente

delle Scritture242”.

Questione certamente non scollegata da quanto visto finora è il secondo tema

principale trattato dall’apologeta cristiano: quello della comparsa di un altro Dio.

Tematica certamente scottante, e oserei dire a doppio taglio, considerato l’annoso

problema del marcionismo. Ma Giustino non vuole affermare che esistano due déi: uno

malevolo e vendicativo, ed uno misericordioso, bensì afferma che Dio esiste e vive

sempre e solo nelle regioni sovra-celesti, oltre il firmamento, mentre le teofanie sono

state compiute da Gesù, che così era da riconoscere come esistente prima di tutti i

secoli. A testimonianza di quanto detto, l’apologeta cita il famoso incontro di Mamre fra

Abramo e gli angeli di Dio243, ma Trifone e i suoi amici gli fanno giustamente notare

che quel racconto non contiene alcuna prova delle affermazioni fatte circa l’esistenza

d’un altro Dio. Nel dibattito che si snoda in due capitoli (il 56 ed il 57), Trifone

finalmente sembra essere parte attiva, e non solo lui ma anche i suoi amici, e da questi

viene addirittura tentata una spiegazione per l’incredibile calma dei giudei244, ma alla

fine la discussione scade su argomenti irrilevanti: si parla ad esempio del fatto che

l’ipotetico Dio (che per Trifone è solo un angelo) ha mangiato qualcosa nella tenda di

Abramo, e quindi non è chiaro se egli fosse umano o divino, cosa che per Giustino è

invece chiara, visto che la Scrittura non dice che il presunto Cristo ha usato i denti per

masticare245.

La discussione sulla vicenda dell’altro Dio prosegue citando ulteriori passi

biblici abbastanza noti246. Il primo di questi passi si riferisce all’episodio biblico in cui

Giacobbe combatte con un uomo che poi si rivela essere Dio247. L’altro caso

interessante è quello secondo cui Mosè, attraverso il roveto, parla con Dio248. Segue

l’ultimo racconto biblico, legato ad un sogno fatto da Giacobbe, in cui egli vede a Luz

241 Sulla scorta delle affermazioni qui fatte nel Dialogo ci pare di riconoscere l’influsso di Ap Esd 7, 29 – 36. 242 Dial. 34, 1. 243 Raccontato in Gn 18, 1 – 15. 244 Dial. 56, 16; Trifone qui dice che il giorno avanza, e da questo punto deduciamo d’essere nella prima giornata; inoltre dice che loro hanno sempre tollerato tutte le accuse di Giustino, poiché fondate sulla Scrittura. 245 Dial. 57, 2 – 3; la questione, ovviamente, è scaduta totalmente d’importanza e di rilevanza. 246 Gli episodi di Giacobbe di Gn 28, 10 – 19; Gn 31, 10 – 13; Gn 32, 23 – 31; Gn 35, 6 – 10; Es 3, 2 – 6. 247 Gn 32, 23 – 31. 248 Es 3, 1 – 15.

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una scala che conduce fino ai cieli, e da essa scendevano e salivano gli angeli, e Dio

guardava da lì la terra249.

La tematica seguente è particolarmente cara a Giustino, degli angeli malvagi.

Segnalo questo argomento per il fatto che l’apologeta cristiano lo tratta in modo

completamente diverso da come lo affronta nelle apologie. Sembra quasi dimenticare

Enoch, e cerca piuttosto di rifarsi ad altri passi biblici più propriamente giudaici e

farisaici250. È quindi ipotizzabile che alcuni cristiani conoscessero l’opinione dei giudei

in merito ad alcuni testi veterotestamentari quali ad esempio il libro di Enoch, visto che,

come dimostrato sopra, Giustino non rinunzia facilmente a citare il suddetto libro

quando scrive contro i pagani.

Bisogna considerare che Trifone appare irritato per le affermazioni del suo

interlocutore251, però si frena di fronte all’inconfutabile prova della Scrittura; questo fa

rilevare obiettivamente l’artificiosità letteraria e la costruzione “a tavolino” di tutta la

faccenda. Il fatto che si discuta circa gli angeli malvagi in modo differente che nelle

apologie, però, dipende in realtà da un richiamo ad un tema trattato in precedenza, che a

noi sfugge a causa della grave lacuna del capitolo 74. Non è quindi da escludere a priori

una già precedente digressione su Enoch.

La discussione prosegue con l’accenno alla dottrina del millenarismo252, che è

proposta da Trifone come richiamo ulteriore a temi già trattati (ma anche questi perduti,

forse ricadono nella lacuna), ovvero la seconda Parusia di Cristo che sfocia nella

ricostruzione di Gerusalemme e nel regno dei mille anni insieme coi santi e coi

martiri253, al termine del quale ci sarà la resurrezione dei morti ed il Giorno del

Giudizio, con la disfatta definitiva di Satana254. Giustino si professa un millenarista,

anche se riconosce che molti cristiani da lui definiti “autentici” non credono in questa

teoria255.

249 Gn 28, 10 – 19. 250 Il libro di Enoch è un testo che fu adottato in ambiente esseno, mentre fu rifiutato fermamente dai farisei; ebbe però una importanza non indifferente per i cristiani. Cfr. P. SACCHI (a cura di), Apocrifi dell’Antico Testamento, vol. 1 cit. pp. 423 – 424. 251 Dial. 79, 1. 252 Dial. 80, 1 – 2. 253 Ap 20, 4 – 6. 254 Ap 20, 7 – 10. 255 Dial. 80, 2; questo passo è fondamentale per la comprensione dell’organizzazione delle comunità cristiane delle origini: non è mai esistita una “pretesa di monopolizzare l’esegesi”, così come non è mai esistito un unico Nuovo Testamento. Ogni cristiano ortodosso era tale perché credeva nei punti fondamentali della vita di Cristo e metteva in pratica il vangelo, ma non aveva l’obbligo di riconoscere come buono e giusto ogni altro testo che gli veniva proposto, e tantomeno aveva l’obbligo di credere in

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Concludiamo l’analisi di questa seconda parte del Dialogo esaminando la

faccenda del serpente di rame, costruito da Mosè per ordine di Dio, affinché gli ebrei,

morsi da serpi velenose, venissero guariti256. L’importanza di questa citazione è

indiscussa, sia perché proviene da un testo come la lettera di Barnaba257, sia perché

questa figura è diventata uno dei simboli alchemici più importanti del Medioevo. Il fatto

che Dio abbia richiesto di realizzare una immagine, e così facendo d’infrangere il suo

precedente comandamento, non è una forma di “colpa divina”, bensì è un evento

profetico per annunziare il mistero della crocifissione258. Il serpente, prefigurazione del

diavolo e del peccato259, viene sconfitto, inchiodato al legno del bastone, che è

prefigurazione della croce. I giudei giunti il secondo giorno del Dialogo concordano con

l’apologeta cristiano nel dire che non vi è altra spiegazione, e Giustino incalza dicendo

che, così, viene a cadere la colpa di maledizione per chi è stato appeso ad un legno260.

Con molte altre tematiche si va ad articolare questo secondo blocco letterario

dell’opera, e con esse si giunge nella terza ed ultima parte.

§6. La terza parte del Dialogo: i cristiani, Nuovo Israele

La conclusione del Dialogo è forse quella più intrisa di profezie, citate col solo

scopo di “strappare” la paternità di Abramo ai giudei ed arrogarsi il diritto di diventare

così legittimi eredi dell’Antico Testamento. Giustino si rifà ad un concetto chiave

presente nella Bibbia, e cioè alla chiara affermazione secondo cui Abramo sarà padre di

molti popoli261. Del resto, anche tutte le usanze giudaiche, come i sacrifici, vengono a

decadere perché Dio non li accetta più, e solo l’eucaristia rimane come offerta per il

Signore262.

Richiamandosi al Vangelo secondo Matteo, inoltre, l’apologeta apostrofa gli

interlocutori con l’accusa di come essi siano empi e “diventati doppiamente figli della

Geenna263” così come i loro proseliti, per i quali tanto si prodigano i maestri farisaici. In

tutto ciò che veniva insegnato da un vescovo o da una comunità cristiana. Il confronto era alla base del cristianesimo nascente, ed era impensabile dover accettare qualcosa come fosse un dogma. 256 Nm 21, 5 – 9. 257 Barn 12, 5 – 7. 258 Dial. 94, 1 – 2. 259 Gn 3, 1 – 6; Gn 3, 13; Gb 26, 13; Sir 21, 2; Sir 25, 14. 260 Dial. 94, 4 – 5. 261 Dial. 119 1, 4. 262 Dial. 117, 1. 263 Dial. 122, 1; il passo è legato a Mt 23, 15.

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quest’ottica è ovvio che i profeti non si sono mai rivolti agli ebrei, bensì a coloro i quali

hanno creduto al Cristo, ovvero ai seguaci di Gesù264.

Una delle affermazioni più forti di tutto il Dialogo è quella in cui Giustino

proclama tutti i cristiani veri figli di Dio265; questa dovette suonare come bestemmia alle

orecchie del povero Trifone, come del resto suonò bestemmia l’affermazione di Gesù al

Sinedrio ed al Sommo Sacerdote, quando egli si dichiarò Figlio di Dio266. Infatti, visto il

turbamento nei presenti, l’apologeta cristiano inizia a citare altri passi biblici (Sal 82, 1

– 8) cercando di fornire diverse versioni, una ebraica ed una dei Settanta267, appunto per

giustificare quanto detto. Nonostante questo, anche se stimolati da una richiesta esplicita

di risposta da parte del filosofo cristiano, i giudei tacquero268.

Il resto dei capitoli prosegue su questi toni, ma con esortazioni concilianti come

quella in cui Giustino prega i giudei di riconoscere Cristo e di non ingiuriarlo, e

soprattutto chiede di smettere di recitare la Birkat haminim269.

Il Dialogo si conclude con una strana esortazione alla monogamia e ad evitare la

fornicazione270, sempre con il supporto delle profezie bibliche in cui si cita il peccato di

Davide271. Appare quasi fuori luogo questo richiamo, giacché erano i costumi pagani,

più propriamente greci, e non quelli giudaici a portare alla fornicazione ed a peccati

sessuali. Si rivela però un ulteriore pretesto utile a Giustino per polemizzare sulla

remissione dei peccati.

Il Dialogo si conclude col capitolo 142, in cui Trifone e Giustino si salutano

cordialmente come vecchi amici, ed entrambi affermano che la discussione è stata

davvero proficua272, e che, se non fosse che l’apologeta stesse per imbarcarsi per un

viaggio, sarebbe stato bello vedersi ogni giorno per rinnovare tale dibattito.

264 Dial. 122, 1 – 2. 265 Dial. 123, 9. 266 Mt 26, 63 – 65; Mc 14, 61 – 63; Lc 22, 70 – 71; Gv 10, 36 – 38; Gv 19, 7. 267 Dial. 124, 1 – 3; entrambe le versioni citate da Giustino, però, appartengono alla Settanta; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 352 nota 1. 268 Dial. 125, 1. 269 Dial. 137, 1 – 2. 270 Dial. 141, 2 – 4. 271 2 Sam 11, 2 – 22; Davide giacque con la moglie di Uria l’Hittita, e per evitare che questi scoprisse il tradimento, lo mandò a morire in prima linea in guerra. 272 Di certo lo è stata per i cristiani, non altrettanto per i giudei!

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Conclusioni

La polemica antigiudaica, quale emerge dal Dialogo con Trifone di Giustino,

mette in evidenza molte questioni, sostanzialmente riconducibili al confronto tra

l’antico culto giudaico e il nascente cristianesimo. Il dibattito fa costante riferimento

all’esegesi dell’Antico Testamento, come è ovvio per chi come Giustino aspira ad

accaparrarsi il privilegio dell’antiquitas per la nuova religione e il diritto di essere

riconosciuto discendente della stirpe dei profeti. Questo è il motivo che più risalta dal

Dialogo, poiché l’apologeta vuole portare sia il proprio interlocutore che il lettore alla

verità, o più esattamente alla sua verità. Tale atteggiamento di Giustino si rileva ogni

qualvolta egli evidenzia la propria esegesi biblica, applicata costantemente in chiave

cristologica e naturalmente contrapposta a quella giudaica, rappresentata dal “timido”

Trifone.

La figura storica di Giustino, proposta dalle fonti con i lineamenti di un filosofo

cristiano, si inquadra così nella patristica sia per il suo ruolo di apologeta, che si rivolge

alle autorità romane per ottenere giustizia per i cristiani perseguitati, sia per il confronto

con il giudaismo, ben documentato dal Dialogo. Questo duplice ruolo di Giustino è da

tenere sempre presente nella lettura tanto delle Apologie, quanto del Dialogo con

Trifone, essendo sempre riscontrabile una componente apologetica comune a tutte le sue

opere. Nella valutazione della figura del Nostro andrà tenuto nel giusto conto anche il

suo percorso filosofico che, come lui stesso racconta, lo ha accompagnato attraverso

varie scuole di pensiero fino al platonismo e di qui alla conversione al cristianesimo.

L’opera antigiudaica dell’apologeta cristiano è la più antica a noi pervenuta,

anche se non la più antica di cui abbiamo notizia. Si può quindi considerare il Dialogo

come archetipo anche per le opere polemiche dei secoli successivi, composte da altri

padri della Chiesa, quali ad esempio Tertulliano e lo Pseudo-Cipriano. Giustino è

indubbiamente un difensore dell’interpretazione tipologica in chiave cristologica

dell’Antico Testamento, che probabilmente conobbe solo attraverso testimonia e i

targumim: ne è indizio il fatto che egli fa riferimento ad alcune varianti testuali della

Scrittura che non hanno corrispondenza né nella lezione ebraica né in quella greca.

È infine necessario ricordare che l’apologeta cristiano nel portare avanti le

proprie argomentazioni ha avuto probabilmente di mira non solo gli ebrei tout court, ma

anche alcuni gruppi di giudeocristiani di matrice farisaica, che quindi non

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appartenevano alla cerchia dei proto-ortodossi. Anche in questo caso l’intento è

difendere e nello stesso tempo promuovere le proprie convinzioni dottrinali, così da

ottenere per il cristianesimo una legittimazione da parte dei romani e dunque la libertà

di praticare il proprio culto senza l’obbligo del sacrificio agli dèi della religione

tradizionale.

Giustino morì decapitato a Roma intorno al 165, su ordine di Giunio Rustico, per

aver difeso le proprie posizioni religiose; non è però morto il suo pensiero, giacché una

tradizione manoscritta ininterrotta ha fatto sì che le Apologie ed il Dialogo giungessero

fino a noi.

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