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FACOLTÀ DI FILOSOFIA DIPARTIMENTO DI STUDI FILOSOFICI ED EPISTEMOLOGICI DOTTORATO IN FILOSOFIA QUESTIONI EPISTEMOLOGICHE NELLA SCIENZA DELLA NATURA DELL’ULTIMO KANT Silvia De Bianchi Ciclo XXII Supervisori Prof.ssa Mirella Capozzi Prof. Giorgio Stabile A.A. 2009/2010
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Dec 01, 2018

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FACOLTÀ DI FILOSOFIA

DIPARTIMENTO DI STUDI FILOSOFICI ED EPISTEMOLOGICI

DOTTORATO IN FILOSOFIA

QUESTIONI EPISTEMOLOGICHE NELLA SCIENZA

DELLA NATURA DELL’ULTIMO KANT

Silvia De Bianchi Ciclo XXII

Supervisori Prof.ssa Mirella Capozzi Prof. Giorgio Stabile

A.A. 2009/2010

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Ma allora, se l’esperienza è l’alfa e l’omega di tutto il nostro sapere intorno alla realtà,

qual è il posto che la ragione occupa nella scienza?

A. Einstein

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INDICE

INTRODUZIONE iii-viii AVVERTENZA ix

Parte I Metafisica e scienza della natura

CAPITOLO I Premesse teoriche per un passaggio dalla metafisica alla fisica Premessa 2 1.1 L’oggetto in generale e quello della fisica 5 1.2 Spazio e tempo: forme dell’intuizione e intuizioni formali 20 1.3 Intuizioni formali e il ruolo dell’unità della sintesi 32 CAPITOLO II L’applicazione della matematica per il passaggio alla fisica Premessa 43 2.1 La Prefazione ai Metaphysische Anfangsgründe der Naturwisenschaft 45 2.2 Il progresso in infinitum, ad infinitum, in indefinitum 58 2.3 L’applicabilità della matematica nella scienza della natura 63 2.4 Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft: un “fallimento”? Il movimento nella Fenomenologia 82 2.5 La materia cosmica e l’universo in espansione 86

Parte II Epistemologia e ontologia: la scienza della natura negli anni ‘90

CAPITOLO III La prospettiva epistemologica aperta dalla Critica della facoltà di giudizio Premessa 108 3.1 La prospettiva epistemologica 109 3.2 Il concetto di tecnica della natura 119 3.3 Forza e materia nella Kritik der Urtheilskraft 132

Parte III La cosmologia e la fisica degli anni ’90

CAPITOLO IV Il problema della mediazione: la fisica sperimentale e il concetto di forza Premessa 146 4.1 Il contesto di riferimento 147 4.2 L’influenza della fisica e della chimica in Über die Vulkane im Monde 166 4.3 La conferma dell’ipotesi cosmologica: il confronto con Herschel 171 4.4 Principi matematici della scienza della natura nell’Opus postumum 181 4.5 Il problema del concetto metafisico di forza 193

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CAPITOLO V La prova dell’esistenza dell’etere: Il concetto di “esperienza” tra epistemologia e metafisica Premessa 205 5.1 La prova dell’esistenza dell’etere: una prova apagogica 210 5.2 L’esistenza dell’etere provata ipoteticamente 216 5.3 Ricostruzione dell’argomentazione e il problema dell’esibizione 218 5.4 Il postulato del principio del Passaggio 222 5.5 L’unità collettiva dell’esperienza e il principio Forma dat esse rei 230 OSSERVAZIONI CONCLUSIVE 243 APPENDICE Il posto della ragione nella scienza 248 Allegato I 287 Allegato II 288 BIBLIOGRAFIA 290

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ix

AVVERTENZA I testi kantiani sono citati dall’edizione dell’Akademie Ausgabe, Kants Gesammelte Schriften (indicato nel testo con KGS). Al titolo o alla sigla dell’opera segue l’indicazione del volume e della pagina. Le indicazioni per le citazioni delle opere di Kant sono fornite nella Bibliografia. I riferimenti alla traduzione italiana, laddove disponibile, sono indicati in nota. I passi tratti dall’Opus Postumum sono citati dal tedesco. Laddove sia disponibile la traduzione italiana dell’Opus postumum, a cura di V. Mathieu, viene indicato in nota e segue la pagina dell’edizione italiana.

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iii

INTRODUZIONE

Questa ricerca sorge da una domanda circa il rapporto che può essere instaurato

tra la filosofia trascendentale e la scienza della natura. A questa prima domanda è

seguito il tentativo di condurre un’indagine approfondita sulla filosofia della natura di

Kant che possa facilitare il compito di una riflessione sul rapporto che intercorre oggi

tra la filosofia e la scienza. Lo scopo della ricerca vuole essere raggiunto attraverso

un’analisi dei testi di Kant e del quadro storico-scientifico, così da rintracciare le

questioni epistemologiche che hanno segnato l’ultima fase della produzione kantiana.

I manoscritti dell’Opus postumum, oggetto di numerosi studi nel corso del

Novecento, costituiscono una fonte fondamentale per ricostruire la concezione kantiana

della materia e delle sue forze, nonché per ricostruire l’insieme delle problematiche e

delle prospettive epistemologiche aperte dalla Kritik der Urtheilskraft.

I concetti fondamentali che vengono presi in esame, presenti come un filo rosso

nel corso della ricerca, sono i concetti di spazio (e tempo), forza e materia, capaci di

gettare una luce sia sulla concezione kantiana della matematica sia sulla configurazione

del rapporto tra filosofia, matematica e fisica.

Il lavoro è costituito da cinque capitoli e da un’Appendice, a cui è affidato il

ruolo di illustrare brevemente l’influenza della filosofia kantiana, così come le sue

acquisizioni e le critiche a cui è stata sottoposta, sul terreno della fisica,

dell’epistemologia e dell’ontologia contemporanee.

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iv

Nel corso della prima parte della ricerca (Capitoli I e II), si ricostruiscono

innanzitutto gli elementi caratterizzanti il metodo della metafisica della natura di Kant e

si pone attenzione al processo di costruzione del concetto di materia proposto nei

Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft del 1786. La ‘costruzione’

(termine che Kant riserva di norma al procedere della matematica) del concetto di

materia è possibile grazie all’applicazione del metodo della divisione metafisica (che va

distinto da quello della divisione logica), nonché al duplice confronto delle

rappresentazioni tra loro e delle rappresentazioni con la coscienza. Poiché questo

confronto avviene alla luce della topica dei concetti di riflessione, la tesi si impegna in

una ricostruzione della genesi di tali concetti, procedendo a ritroso, vale a dire

prendendo come spunto l’attività sintetica del soggetto, posto nello spazio e nel tempo,

per spiegare come questi sia in grado di originare la topica che Kant segue per la

costruzione del concetto di materia.

Questa indagine pone una domanda sul piano ontologico, ovvero se il concetto

di materia in generale corrisponda o meno all’oggetto fisico. Nella metafisica della

natura, infatti, l’oggetto è costruito come un sistema di relazioni, di rapporti reciproci

attivi tra le forze motrici della materia. La prima parte anticipa alcuni temi, che

torneranno ad essere analizzati nel Capitolo V. Nella misura in cui la materia cosmica,

identificata con l’etere, viene definita da Kant in termini di spazio ipostatizzato, la

seconda parte del Capitolo I si occupa della concezione kantiana dello spazio e del

tempo.

Ricostruendo la concezione kantiana di epoca critica dello spazio, come forma

dell’intuizione e intuizione formale, si possono evidenziare le grandi potenzialità

dell’approccio trascendentale che trova applicazione sia nei Metaphysische

Anfangsgründe der Naturwissenschaft, sia nella filosofia della matematica di Kant,

laddove è determinante lo statuto dell’algebra. La doppia determinazione dello spazio,

quale intuizione formale e quale forma dell’intuizione, rende ‘flessibile’ la nozione

dello spazio e riesce a dare conto, sia dell’applicazione della matematica alla fisica, sia

della trattazione quantitativa della materia in generale, così come dei corpi fisici e delle

loro interazioni.

Nel Capitolo II la tesi pone in evidenza il ruolo svolto dall’algebra nella

costruzione di spazi vettoriali nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft

e, al tempo stesso, mostra come le possibili sintesi progressive siano funzionali

all’applicazione della matematica alla fisica. Grazie all’analisi della riflessione kantiana

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v

sul concetto di serie infinita e di serie indefinita, si può comprendere al meglio in che

senso l’algebra, secondo Kant, sia una scienza ampliativa, non solo della geometria

algebrica, ma anche della fisica.

Nella seconda parte (Capitolo III), la tesi affronta alcune questioni

epistemologiche della Kritik der Urtheilskraft per meglio inquadrare il problema della

costruzione di una cosmologia e di una cosmogonia, e, dunque, il problema della

possibilità di conoscere la totalità materiale. Tali questioni sono risultate di estrema

importanza anche per tenere conto della pubblicazione nel 1791 di un estratto del saggio

precritico di Kant Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels.

Le pagine della critica della facoltà teleologica del giudizio, in particolare quelle

dedicate alla dialettica, mostrano come Kant configuri il rapporto tra ontologia ed

epistemologia in maniera da fornire un quadro di riferimento all’attività dello scienziato.

Con il concetto di tecnica della natura Kant intende asserire che è impossibile giudicare

teleologicamente sulla generazione naturale a partire da un fondamento ontologico

esterno alla natura stessa. In questo modo il concetto di tecnica della natura (sulla base

della cooperazione del giudicare determinante con il giudicare riflettente) diventa uno

strumento concettuale adatto, per un verso, al processo, sempre provvisorio, di ricerca

delle cause della generazione naturale e, per l’altro verso, all’elaborazione di una

dottrina della natura. In controtendenza con le interpretazioni dominanti di Brandt,

Horstmann e Förster, è possibile individuare nel concetto di tecnica della natura la

chiave di volta per la comprensione del rapporto tra il principio della facoltà teleologica

del giudizio e il fondamento soprasensibile. Al tempo stesso, questo concetto può

gettare una luce sulla novità della terza Critica rispetto alla Kritik der reinen Vernunft.

Nella terza parte della ricerca (Capitoli IV e V), la tesi ricostruisce, utilizzando

un’ampia letteratura secondaria, le fonti scientifiche di Kant e l’influsso esercitato da

esse anche su alcuni scritti minori, per offrire un quadro esauriente della concezione

kantiana della forza e della materia. La tesi cerca poi di chiarire il rapporto tra filosofia,

matematica e fisica che si configura in epoca tarda.

Grazie ad un’analisi diretta dei manoscritti dell’Opus postumum e avvalendosi

della riflessione di M. Jammer sulla natura metafisica del concetto di forza, si mette in

luce l’esigenza di Kant della matematizzazione della forza, che lo conduce nell’Opus

postumum all’uso del termine ‘energia’ (Energie), proprio per spiegare la dinamica della

materia cosmica in termini di spostamento e trasferimento di forza. Questo approdo, che

certamente non anticipa la teoria einsteiniana, dimostra come Kant non solo avesse fatto

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vi

propri i principi della termologia di Lavoisier, ma anche che li avesse applicati alla

materia cosmica.

Il Capitolo V si occupa della prova dell’esistenza dell’etere da una doppia

prospettiva, sia storica che filosofica. Da un lato, si mostra come il legame tra la prova

dell’esistenza della materia cosmica e il piano della percezione fosse un argomento

topico dell’epoca. Dall’altro lato, la peculiare trattazione kantiana di una prova a priori

dell’esistenza di un tutto materiale affonda le sue radici nella stessa filosofia critica.

La prova effettivamente tentata da Kant è basata, oltre che sul principio di

identità, anche su elementi presenti da sempre nella filosofia di Kant, come il rapporto

fondamento-conseguenza (posita rationem ponitur rationatum), sviluppati nella Kritik

der Urtheilskraft, specialmente là dove quel rapporto serve a determinare il principio

del giudizio teleologico e il sostrato soprasensibile.

Nell’Opus postumum, il principio forma dat esse rei, tradotto in chiave

trascendentale, è legato alla materia cosmica proprio in questa specifica relazione. Per

Kant non vi potrebbe essere filosofia trascendentale a fondamento della conoscenza e

dell’esperienza, senza la presupposizione della materia cosmica e delle sue forze motrici

riunite in un sistema del tutto delle percezioni esterne, e senza la presupposizione delle

forze esercitate dal soggetto. Di qui la necessità di una dottrina dell’auto-posizione del

soggetto che faccia da pendant a quella della materia e che sia riunita con essa in un

sistema del mondo (Weltsystem).

La filosofia kantiana mostra chiaramente dei limiti legati allo stadio degli studi

della fisica e della chimica dell’epoca. Tuttavia, piuttosto che valutare esclusivamente i

limiti dell’approccio kantiano, è parso più proficuo mettere in luce in un’Appendice gli

elementi che nell’epistemologia contemporanea sono stati ripresi e sviluppati a partire

dall’analisi kantiana.

La convinzione generata da questa ricerca è quella di un merito storico da

attribuire alla filosofia trascendentale e al neo-kantismo, ossia quello di aver compreso

il nesso tra una fisica matematica in espansione e la fisica sperimentale. Kant si colloca

all’origine di questa acquisizione storica, che ha prodotto lo sviluppo di ricerche su

potenti strumenti di rappresentazione e comprensione della realtà fisica.

Questa convinzione è stata generata dalla considerazione di due risultati

fondamentali della filosofia di Kant che riguardano sia il processo di costruzione

matematica sia la realtà fisica concepita come una rete interconnessa di rapporti

reciproci attivi.

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vii

Nel primo caso, questa ricerca offre un’interpretazione dello spazio flessibile

caratterizzante l’idealismo trascendentale, tale da svelare l’importanza che per Kant

aveva il rapporto tra la metafisica e l’ontologia con la fisica. Il punto di vista kantiano

che mira all’unificazione del piano metafisico ed ontologico, attraverso lo strumento

matematico, ha aperto la strada per la moderna epistemologia. Illustri matematici e fisici

del Novecento, tra cui H. Weyl, hanno incarnato l’esempio da cui si possono trarre

importanti conclusioni. Infatti, l’attualità degli studi kantiani oggi può dimostrarsi

attraverso la connessione con le altre discipline. Nella fattispecie risulta emblematica la

fecondità dello studio sistematico della concezione kantiana della costruzione

matematica e dei concetti di riflessione nel quadro dell’idealismo trascendentale,

qualora tale studio venga legato allo sviluppo della geometria algebrica e della

topologia.

Questa ricerca intende mostrare, in secondo luogo, come nella storia della

scienza, ed in particolare modo nel caso dell’elaborazione delle teorie di gauge, sia stato

effettivamente possibile connettere filosofia e fisica grazie allo strumento della

matematica, partendo da una concezione formalista dello spazio-tempo.

In terza istanza, proprio la domanda ontologica sullo spazio e sul tempo, che in

questa sede ha trovato un’ampia trattazione proprio sulla loro natura flessibile e

formale, può costituire il cuore per lo sviluppo di studi successivi.

Nel 1989 J. Earman in World enough and space-time espresse una posizione che

la presente ricerca ha tenuto presente nel condurre l’indagine. Secondo Earman, infatti,

“the setting of classical space-time is flexible enough to accommodate coherent versions

of both views: that all motion is relative motion and that motion involves some absolute

quantities, whether velocity, acceleration or rotation: empirical adequacy favors the

latter view”.1 Earman, dunque, ha notato, come la concezione relativistica dello spazio-

tempo si dimostri molto piú inospitale al relazionalismo della concezione classica.2

1 J. Earman, World enough and space-time: Absolute Versus Rational Theories of Space and Time, Cambridge 1989, pp. 108-111.

La

definizione operativa dello spazio e del tempo, introdotta dalla relatività, non ha

certamente risolto il problema di che cosa siano spazio e tempo, così come non ha di

certo esaurito le prospettive della ricerca contemporanea, che tengono presente le

possibili risposte a questa domanda, confrontando relatività e fisica quantistica.

2 M. Jammer, Concepts of Space. The History of Theories of Space in Physics, New York 1993, p. 221: “Relativity theory, in either its special or general form, is more inimical to a relational conception than is classical physics”.

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viii

Ora, Kant si pose una questione epistemologica di questo tipo, circa la natura

assoluta o relazionale dello spazio, tenendo ben ferme sullo sfondo della sua riflessione

le figure di Leibniz e Newton. Come si vedrà nel corso della trattazione, infatti, Kant ha

cercato di elaborare con l’idealismo trascendentale una posizione che prevedesse la

condizione di possibilità di una valutazione della materia (intesa come una realizzazione

dello spazio-tempo), sia da un punto di vista relazionale che assoluto.

Questo approccio chiaramente investe la questione epistemologica

sull’oggettività, di cui si parla nell’Appendice, ma che qui vale la pena di introdurre

come il punto fondamentale da cui trarre le conseguenze filosofiche più feconde. Il fatto

che Kant abbia identificato la realtà oggettiva in una rete di rapporti reciproci attivi, in

cui il soggetto sia immerso, costituisce la premessa di tutta la sua metafisica. L’aspetto

degno di nota è che questa premessa sia stata sostanzialmente mantenuta dagli artefici

della rivoluzione della teoria della relatività. Di fatto questo sembra essere quel

principio a priori che molta parte dei filosofi della scienza hanno cercato. Questo può

essere trovato e legato effettivamente con le scienze fisico-matematiche, solo se si

mantiene l’idealismo trascendentale di spazio e tempo, cioè solo se sul piano

epistemologico si pone il soggetto all’interno di questa rete di rapporti reciproci e si

riconosce una natura formale e flessibile di queste forme di organizzazione della

molteplicità. Un’organizzazione suscettibile di indefinite ed infinite possibilità, segno di

un’inesauribilità della dimensione empirica e storica della conoscenza umana.

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PARTE I

METAFISICA E SCIENZA DELLA NATURA

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2

CAPITOLO I

PREMESSE TEORICHE PER UN PASSAGGIO DALLA

METAFISICA ALLA FISICA

Premessa

Questa sezione, che funge da premessa per l’analisi delle sezioni e dei capitoli

successivi, tenta in primo luogo di individuare gli elementi del metodo che Kant segue

per la costituzione della metafisica della natura come sistema. In secondo luogo, in

questo capitolo si procede nel distinguere quello che Kant chiama “oggetto in generale”

dall’oggetto fisico. Come possono essere, infatti, oggetti fisici i corpi e i fenomeni non

direttamente osservabili? E’ questa una delle domande fondamentali a cui Kant ha

voluto rispondere nel Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla

fisica e che ha impegnato buona parte della sua ultima produzione.

Negli anni ’90 del XVIII secolo, infatti, la fisica sperimentale e l’astronomia

erano progredite al punto da riconoscere l’esistenza in natura di fenomeni elettrici e

magnetici in cui agivano forze sconosciute e che producevano mutamenti nella

composizione chimica dei corpi. Da qui la necessità, fatta propria da Kant, di stabilire

delle forze derivative della materia che connettessero i fenomeni con le forze

fondamentali e primitive della materia.

Un punto teorico che si vuole sottolineare in questo lavoro è proprio la

consapevolezza da parte di Kant della necessità sia di un fondamento materiale dei

fenomeni indiretti sia di un apparato teorico adeguato alla fondazione della fisica.

Come risulterà evidente nel corso della trattazione, Kant non sviluppa una teoria

della materia a partire da puri fondamenti metafisici. Il tentativo di formulare anche

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3

diverse ipotesi sulla natura e sulla struttura della materia, non prescinde dai risultati

sperimentali della fisica e della chimica dell’epoca. Si può scorgere, infatti, uno

sviluppo del metodo della filosofia trascendentale come mezzo di una teoria della

conoscenza, in vista della costituzione di una filosofia della natura.1

Uno dei possibili modi per connettere la produzione precritica con quella

successiva alla pubblicazione della Critica della facoltà di giudizio risiede proprio

nell’analisi del rapporto di mediazione e conciliazione tra metafisica e fisica, dal

momento che la riflessione sulla materia e sulle sue forze è una costante della

produzione kantiana. Sul piano epistemologico si può tradurre questo rapporto come

questione della possibile connessione di a priori ed empirico in un sistema. Nell’ultima

fase della sua produzione lo sforzo di Kant di costituire un ponte tra i principi metafisici

della scienza della natura e la fisica passa attraverso l’inclusione della chimica tra le

scienze,

2 la definizione della matematica come strumento della ragione3

Tenendo presente quest’ultimo punto, è possibile riscontrare nell’Opus

postumum una non perfetta aderenza della trattazione della materia e quella dello spazio

geometrico. In sostanza, Kant era conscio del fatto che uno spazio fisico che

rispecchiasse pienamente lo spazio geometrico euclideo non poteva darsi. Erano solo

alcuni fenomeni legati al movimento dei pianeti o alla disposizione delle galassie che

potevano essere tradotti direttamente sul piano dello spazio geometrico, nella meccanica

pura. Vi erano invece fenomeni legati allo studio dei gas, all’elettricità, al magnetismo,

alla statica e alla dinamica dei fluidi che implicavano un altro tipo di “modellizzazione”

legato alla difficoltà della matematizzazione delle forze primitive e derivative della

materia, che necessitavano piuttosto di una trattazione qualitativa dei loro rapporti. Il

comportamento della materia in questi casi – si pensi alla viscosità – poteva essere

rappresentato geometricamente,

e la possibile

separazione tra la trattazione geometrica dello spazio e quella fisica.

4

1 H. Lyre, Kants „Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft“: gestern und heute, in Deutsche Zeitschrift für Philosophie, 3, 2006, pp. 401-416.

ma imponeva la duplice trattazione matematica delle

sue proprietà, attraverso il calcolo differenziale, e soprattutto presupponeva

l’individuazione della chimica come uno strumento per determinarne gli effetti e la

natura.

2 Cfr. Infra, Capitolo IV. 3 Cfr. Infra, Capitolo IV. 4 Attraverso una rappresentazione del continuo spazio-temporale e la localizzazione della regione della sfera di influenza delle forze fondamentali della materia.

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4

Per la filosofia trascendentale kantiana si delinea così la possibilità sia di

rappresentare uno spazio fisico legato al concetto di sostanza fenomenica nello spazio,

di cui si determiano le forze motrici, sia di pensare uno spazio geometrico come il

risultato di rapporti dinamici tra le sue parti grazie ad una attività sintetica e allo

strumento dell’algebra.

Resta da chiedersi su quale base, per Kant, si apra la questione della distinzione

tra spazio fisico e spazio geometrico. Nel corso di questo lavoro si cercherà di

argomentare che la risposta a questa domanda risiede nello stesso idealismo

trascendentale. Quest’ultimo costituisce la premessa teorica che consente di pensare la

possibilità di una non-identificazione tra spazio geometrico e spazio fisico, ma allo

stesso tempo lascia margine per una loro possibile compatibilità, nella misura in cui si

afferma la natura formale dello spazio. Ciò da luogo ad una concezione dello spazio

‘flessibile’, le cui conseguenze verranno studiate nel Capitolo II, analizzando la

possibilità di determinare spazi vettoriali grazie all’algebra lineare e dunque la

possibilità di costruire lo spazio della meccanica classica nei Metaphysischen

Anfangsgründe der Naturwissenschaft del 1786.

Questo risultato è possibile grazie alla posizione teorica dell’idealismo

trascendentale che non presuppone affatto uno spazio come entità, cosa o oggetto, bensì

vede lo spazio come funzione unificatrice, di organizzazione e collocazione di un

molteplice eterogeneo.

L’importanza capitale dell’idealità dello spazio (e del tempo) per una

comprensione della metafisica della natura kantiana è stato il cuore della tesi sostenuta

da G. Martin in Kant’s Metaphysics and Theory of Science. Così come Martin prende le

mosse da una certa interpretazione della teoria kantiana dello spazio e del tempo per

giungere ad una conclusione sul piano dell’ontologia, la ricerca intende approdare

all’epistemologia kantiana e alla sua connessione con l’ontologia, a partire

dall’interpretazione della concezione dello spazio e del tempo. Tuttavia, al contrario di

Martin, si sostiene che Kant non ha riproposto una relazione di ispirazione aristotelica

tra realtà e categorie ontologiche di spazio e tempo.5

5 G. Martin, Kant’s Metaphysics and Theory of Science, Manchester 1955, pp.150-151.

L’idealismo trascendentale, bensì,

non implica che ciò che occupa spazio sia reale, ma che un qualcosa (Etwas) può avere

realtà solo nella dimensione spazio-temporale. In questo senso non può essere accettata

la tesi di Martin, poiché per Kant dal punto di vista ontologico anche una figura

geometrica è reale, in quanto spazio rappresentato come oggetto e costruito nel tempo.

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Inoltre Martin intende “realtà” (Realität), in termini hegeliani, come “effettualità”

(Wirklichkeit), quando invece lo spazio, rappresentato oggettivamente, può essere reale

senza trovare un oggetto fisico ad esso corrispondente, può infatti essere solo pensato.

Questa impostazione teorica sullo spazio-tempo ha evidenti ricadute sulla

concezione della matematica, ma soprattutto permette di distinguere il piano filosofico

da quello fisico: la rivoluzione del modo di pensare lo spazio e il tempo, non preclude a

Kant la possibilità di mantenere una concezione dinamica della materia e dei suoi

principi meccanici. E’ proprio a partire dall’acquisizione dell’idealismo trascendentale

che Kant è in grado negli anni ’90 di connettere sul piano epistemologico una teoria

della materia, posta all’interno di un Sistema del Mondo (Weltsystem), con principi

razionali a priori. In questo quadro la matematica può assurgere a strumento della

ragione per la fondazione della fisica, poiché contiene in sé quell’elemento arbitrario

(willkürlich) atto a specificare la dinamica della materia, che a sua volta riposa su

principi metafisici. Si procederà, dunque, ad una ricostruzione degli elementi della

metafisica kantiana di epoca critica su cui si basa la possibile determinazione a priori

del concetto di materia in generale, che verrà analizzata nel prossimo capitolo. Una

volta stabilita la natura dell’oggetto della fisica, distinto dall’oggetto in generale, questo

capitolo procede e si conclude con l’analisi della concezione ‘flessibile’ dello spazio (e

del tempo) in epoca critica fino agli ultimi scritti.

1.1 L’oggetto in generale e quello della fisica

Nell’ambito del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla

fisica, Kant inserisce in un medesimo quadro di riferimento, quello della fisiologia

metafisica, sia la dimensione epistemologica sia la dimensione ontologica, quando

propone una prova dell’esistenza della materia cosmica a cui fa da pendant la dottrina

dell’autoposizione (Selbstsetzungslehre):

Dalla filosofia trascendentale o ontologia (Wesenlehre) segue la fisiologia (metafisica)

degli oggetti dell’esperienza secondo principi a priori: la dottrina dei corpi e la dottrina dell’anima. Da esse discendono la cosmologia e la teologia.6

6 I. Kant, Opus postumum, KGS XXI, p. 458 : „Auf die transsc.[endentalen] Philos.[ophie] oder die Wesenlehre folgt die Physiologie (metaphysische) von Gegenständen der Erfahrung nach principien a priori Korperlehre und Seelenlehre. Auf sie Cosmologie u.[nd] Theologie”. Citazione modificata, parentesi mie, traduzione mia.

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Kant compie un’operazione nient’affatto scontata per l’epoca: separa, infatti, la

nozione di oggetto in generale dalla sfera della cosa in sé e trasferisce gran parte dei

concetti dell’ontologia di Baumgarten nell’impianto della filosofia trascendentale,

identificando quest’ultima con l’ontologia stessa (Wesenlehre). La prospettiva

ontologica di Kant mira alla determinazione a priori della realtà dell’ens nell’ambito

della fisiologia, non più della metafisica generale. L’ultimo Kant configura un’ontologia

fortemente legata alla classificazione dell’empirico, in linea con l’epistemologia

professata nella Kritik der Urtheilskraft, che funge da pietra di paragone negativa per la

Naturwissenschaft teoretica. Kant, dunque, attua una distinzione tra piano

epistemologico e ontologico, ma i due sono riuniti nell’Opus postumum.7

Se per la metafisica della natura kantiana l’ens è la materia in generale,

nell’Opus postumum la materia cosmica (Weltstoff) o etere (Aether), in quanto spazio

ipostatizzato, è la totalità della sostanza

8

Dal punto di vista ontologico, il concetto di movimento, che è un predicabile per

Kant, è assunto come tale nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft

proprio in vista della determinazione della materia in generale.

che appare nel fenomeno e, come oggetto

dell’esperienza possibile, deve necessariamente essere legata all’attività sintetica del

soggetto, perché se ne possano determinare i caratteri attraverso i predicabili.

9 Per designare

quest’ultima, Kant utilizza il temine Materie überhaupt designando con questo il mobile

nello spazio, ciò le cui parti occupano spazio e non possono essere semplici. Con questa

definizione Kant vuole dare una rappresentazione matematica di materia, che verrà

analizzata più dettagliatamente nel prossimo capitolo.10

Nell’Opus postumum si assiste, invece, a qualcosa di diverso rispetto all’opera

del 1786, in quanto il concetto dell’oggetto da determinare a priori non è più quello di

materia in generale, ma quello di oggetto della percezione per (für) l’esperienza, ovvero

l’ens è ciò che può darsi empiricamente (dabile empirice), attraverso la costruzione di

un sistema delle forze motrici, che assumono il carattere di un predicabile, quello del

movimento, ma dal punto di vista della causalità, ovvero del nesso causa-effetto,

7 Cfr. infra, Capitolo V. 8 B. Falkenburg ha riconosciuto l’importanza di questo punto e ha trattato dello spazio come totalità di relazioni, connettendo questo tema con la fisica di Einstein. Cfr. B. Falkenburg, Die Form der Materie, Zur Metaphysik Der Natur Bei Kant Und Hegel, Frankfurt am Main 1987. 9 Cfr. Falkenburg (1987), p. 53 nota. 10 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 163: “Die metaphys. Anf. Gr. der NW. legten von ihrem Objekt, der Materie, keinen andern Begriff zum Grunde als den des Beweglichen eines Dinges im Raum, und da kein Teil der Materie einfach sein kann so wird die Materie überhaupt und jeder Teil derselben auch als raumeinnehmend mithin als zusammengesetzt gedacht. — Das ist die mathematische Vorstellung der Materie”.

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implicando una rappresentazione dinamica della materia empirica, che può essere

esposta attraverso concetti a priori:

Es ist also möglich und so gar notwendig a priori für die Erfahrung Gegenstände der Wahrnehmung durch die bewegende Kräfte der Materie als empirischer Vorstellungen in einem System aufzustellen d.i. der Übergang von den metaphys. A. Gr. der NW. zur Physik ist möglich weil ohne dieselbe selbst der Begriff vom Nichtsein der Materie (ihrer Aufhebung) unmöglich wäre. Es ist widersinnig: Es scheint gar unmöglich zu sein das was nur durch Erfahrung gekannt werden kann (empirice dabile) und zwar Physik als dem Elementarsystem der bewegenden Kräfte der Materie in so fern Ursachen der Wahrnehmung sind und die Einteilung ein Gegenstand der Wahrnehmung der Erfahrung sein kann (empirice dabile) unter die Begriffe a priori zu stellen.11

In questo caso sono le forze motrici della materia, in quanto rappresentazioni

empiriche, a costituire, da un lato, un sistema della fisica, ma anche, dall’altro, le

condizioni di possibilità della percezione, in quanto sono causa della percezione stessa.

In questo modo le forze motrici della materia causano l’attività della percezione. Ma,

per poterlo fare, necessitano della posizione del soggetto, che è interno al sistema in cui

esse operano e ne subisce l’azione, sebbene sia solamente la sua attività sintetica capace

di riunirle in un sistema. Questo mutuo rapporto si traduce in un’interazione tra

soggettivo ed oggettivo, che segue il rapporto Grund-Folge:

Das Objektive in der Erscheinung setzt das subjektive voraus in den bewegenden

Kräften oder, umgekehrt, das Empirische in der Wahrnehmung setzt die Form der Zusammensetzung der bewegenden Kräfte in Ansehung des Mechanischen voraus.12

Le profonde implicazioni di questa visione verranno discusse nei capitoli

successivi e nell’Appendice. Per ora si noti come per Kant l’idea di oggettività,

nell’ambito della scienza, contiene in sé l’unità di questi due momenti, del soggettivo e

dell’oggettivo, che non solo non possono essere ridotti al concetto di oggetto in

generale, ma acquistano significato nel contesto della filosofia trascendentale solamente

in base ad un presupposto metafisico: la realtà è costituita dall’esistenza di rapporti

reciproci attivi tra le parti. Al soggetto spetta la determinazione del nexus, della

connessione tra queste parti, secondo principi a priori.

Da questo punto di vista l’Übergang von den metaphysichen Anfangsgründe der

Naturwissenschaft zur Physik costituisce un luogo privilegiato per l’analisi di questa

ricerca, in quanto non solo è il luogo in cui Kant definisce l’oggetto fisico, distinto

11 Opus postumum, KGS XXII, p. 371. 12 Opus postumum, KGS XXII, p. 372.

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dall’oggetto in generale, ma anche la sede in cui viene rafforzato il legame della

dimensione metafisica con quella dell’ontologia e dell’epistemologia.13

Ai fini della presente ricerca un’analisi del concetto di oggetto in generale e

dell’idealismo trascendentale può essere di estrema utilità, sia per definire la concezione

kantiana della materia in generale, che per gettare luce sulle argomentazioni di cui egli

si serve per provare l’esistenza della materia cosmica nel Passaggio dai principi

metafisici della scienza della natura alla fisica. Non è trascurabile, del resto, il fatto che

la nozione kantiana di oggetto in generale rappresenti forse il più discusso argomento

che la critica abbia mai sottoposto ad indagine. Questa nozione, corrispondente a quella

di oggetto trascendentale o oggetto = X, è posta al centro del dibattito degli ultimi

decenni sull’interpretazione della filosofia di Kant in termini di realismo ed

antirealismo.

14

In questa sede è opportuno analizzare, pertanto, la definizione che Kant formula

nell’Opus postumum, mostrando come il concetto di oggetto = X sia generato seguendo

il filo conduttore delle categorie e come esso riveli una dimensione fondativa per la

metafisica governata dai concetti di riflessione. Non è irrilevante considerare, infatti,

che il contraltare della posizione nella coscienza dell’oggetto in generale sia il

fenomeno e che entrambi siano posti in una relazione reciproca di fondamento (Grund)

e conseguenza (Folge) che segue la dicotomia dei concetti di riflessione di interno ed

esterno.

15

13 Come verrà esposto in seguito questo legame è stato articolato da Kant nel periodo critico grazie all’elaborazione della riflessione sull’algebra (Capitolo II) e alla riflessione sulla finalità condotta nella Kritik der Urtheilskraft (Capitolo III).

Il fenomeno è, quindi, presentato anche come la conseguenza esterna dello

stato interno di un substrato che è conoscibile solo attraverso le determinazioni

fenomeniche delle sue relazioni esterne. La cosa in sé (Ding an sich), che esiste a

prescindere dal soggetto, è suscettibile di un processo mediante cui è resa oggetto nel

fenomeno. Nella misura in cui il soggetto stesso si rende oggetto a se stesso, ovvero

attua una comprensione delle condizioni di possibilità dell’esperienza, determina questi

principi e anche che cosa è oggetto per lui con certezza (Gewissheit). Questo processo

indica una sostanziale unità di soggetto e oggetto nell’atto conoscitivo e dispiega il

14 Si pensi ad esempio al dibattito tra H E.Allison, Kant’s transcendental Idealism: an Interpretation and Defense, New Haven 1983, II ed. 2004, e K. Ameriks, Kant's Theory of Mind, Oxford 1982, II. Ed. 2000; oppure al testo di K. Westphal, Kant’s transcendental Proof of Realism, New York 2004. Ancora su questo si veda D. Heidemann, Kant und das Problem des metaphysischen Idealismus, Berlin 1998. Per la lettura di H. Putnam sul realismo interno kantiano, cfr. infra, Appendice. 15 Su questo punto cfr. P. Schulthess, Relation und Funktion, Berlin 1981, pp. 34 nota; 60-63; 79-88; 148; 165.

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senso del mutuo rapporto di fondamento (Grund) e conseguenza (Folge) che Kant

ascrive all’oggetto in generale e al fenomeno.

a) L’oggetto in generale

Nell’introdurre il concetto di oggetto in generale, in sede di Appendice

all’Analitica trascendentale, Kant si pone in polemica con la tradizione metafisica di

Wolff e Baumgarten, nella misura in cui afferma che:

Il più alto concetto, con il quale si suole dare inizio ad una filosofia trascendentale, è

comunemente la divisione in possibile e impossibile. Ma poiché ogni divisione presuppone un concetto da dividere, si deve fornire un concetto ancora più alto, e questo è il concetto di un oggetto in generale (quando lo si assuma problematicamente, e rimanga incerto se tale oggetto è qualcosa oppure nulla). Poiché le categorie sono gli unici concetti, che si riferiscano ad oggetti in generale, si procederà allora a distinguere se un oggetto sia qualcosa oppure nulla, seguendo l’ordine e l’indicazione delle categorie.16

Il concetto di oggetto in generale si può definire secondo l’ordine delle categorie

e presuppone l’attività della riflessione trascendentale e quella dell’unità

dell’autocoscienza. Tale concetto deve essere assunto problematicamente dalla ragione,

proprio come quello di noumeno, in quanto di esso non può darsi propriamente

esperienza nel fenomeno, sebbene ogni esperienza e ogni organizzazione sistematica del

sapere lo presupponga. Il concetto più alto della filosofia trascendentale coincide con la

regola della conoscenza possibile, ovvero che la nostra intuizione è di natura sensibile.

Quindi, se si vuole determinare il sostrato fuori dell’autocoscienza (la materia),

occorre determinarlo come esterno e come diverso dalla capacità rappresentativa

soggettiva: il soggetto si conosce come fenomeno, cioè come conseguenza di una

determinazione interna di un sostrato intelligibile esterno e allo stesso tempo, perché

questo possa essere rappresentabile per il soggetto, deve produrre effetti sul contenuto

empirico della coscienza, nella sensazione.

L’osservazione preliminare da fare è quella secondo cui la facoltà a cui viene

ricondotta l’attività della riflessione per la determinazione dell’oggetto in generale non è

l’intelletto, bensì la sensibilità. In altre parole, la cosa stessa (die Sache selbst) per la

filosofia trascendentale non è l’oggetto determinato in modo assoluto o in se stesso, ma

la posizione di esso in termini relativi. La ‘cosa stessa’ è rappresentata dalle condizioni

dell’esperienza possibile e questo indica che l’esperienza non può essere un che di

16 KrV, A290/B346.

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pensato e nemmeno un che di puramente dato. L’esperienza è legata alla dimensione del

fatto, e, dunque, in quanto risultato o parte di un processo, presuppone il soggetto e la

sua attività.

Da un punto di vista epistemologico, quindi, l’oggetto dell’esperienza possibile

non può essere identificato se non si fonde con l’attività del soggetto. Allo stesso tempo

però, sul piano ontologico, qualsiasi determinazione dell’oggetto in generale equivale a

una sua limitazione che, secondo l’ordine delle categorie, lo fa “cadere” nel qualcosa o

nel nulla. Nell’assumere problematicamente, invece, l’oggetto in generale, si limitano le

condizioni di possibilità dell’esperienza stessa, nella sua relatività, nella sua possibilità

legata sempre all’attività della coscienza e alle condizioni dell’intuizione sensibile, alle

sue forme, ovvero allo spazio e al tempo. Il concetto di oggetto in generale diviene la

pietra di paragone negativa per la determinazione delle condizioni di possibilità

dell’esperienza, delle forme e dei principi delle facoltà conoscitive, ovvero dell’oggetto

del criticismo. La definizione kantiana di oggetto in generale è la seguente:

L’oggetto in generale 1. secondo la forma dell’intuizione senza un qualcosa che contenga questa forma (spazio e tempo) 2. l’oggetto come qualcosa (aliquid est objectum qualificatum) è l’assegnazione dello spazio e del tempo senza di cui entrambi non sono altro che intuizioni vuote. Questo qualcosa è posto nello spazio e nel tempo nella seconda classe delle categorie 3. questo reale nello spazio e nel tempo è determinato secondo le sue relazioni oppure è pensato a priori per le relazioni in se stesse 4. qualcosa come oggetto di una coscienza empirica (immediata) di una cosa fuori di me. Contro l’idealismo. Perciò qualcosa come oggetto del senso, non della semplice immaginazione.17

Questa definizione del concetto di oggetto in generale non era stata esplicitata da

Kant nella Critica della ragione pura, sebbene in quella sede fosse chiaro che l’oggetto

= X indicasse l’oggetto in generale come prima determinazione della capacità

rappresentativa e primo vero inizio di ogni filosofia (da cui discendono le

determinazioni del qualcosa e del nulla), in quanto l’oggetto in generale non è altro che

il principio dell’unità per la possibilità dell’esperienza.

L’oggetto in generale è secondo la forma dell’intuizione, ciò che contiene la

forma senza un qualcosa, cioè è spazio e tempo. Comparare il concetto di oggetto in

generale con la facoltà della sensibilità conduce all’identificazione dell’oggetto di essa,

17 I. Kant, Opus postumum, KGS XXI p. 458: “Das Objekt überhaupt 1. Der Form der Anschauung nach ohne ein Etwas was diese Form enthält (Raum u. Zeit). 2. Das Objekt als Etwas aliquid est objectum qualificatum, ist die Besetzung des Raumes u. der Zeit ohne die beide leere Anschauungen sind. Dieses Etwas ist in der Zweiten Klasse der Kategorien in den Raum u. Zeit gesetzt. 3. Dieses Real im Raume u. Zeit nach Verhältnissen desselben bestimmt oder für die Verhältnisse in denselben a priori gedacht. 4. Etwas als Gegenstand eines empirischen Bewusstseins (des Unmittelbaren) eines Dinges außer mir. Gegen den Idealismus. Also Etwas als Objekt der Sinne nicht bloß der Einbildung”.

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ovvero la forma senza la materia (Stoff). Questo significa che spazio e tempo dal punto

di vista della sensibilità, come pure forme o intuizioni sensibili, sono la prima

condizione di possibilità perché si dia esperienza. L’oggetto in generale, per divenire

qualcosa (Etwas), richiede l’assegnazione dello spazio e del tempo, senza che le due

siano intuizioni vuote. La coscienza si appropria delle sue rappresentazioni

riempiendole di contenuto, cioè riconoscendo il diverso come contenuto dell’esperienza

sebbene ancora indeterminato e, cioè, come qualcosa. Dunque, perché si dia esperienza

serve che qualcosa sia dato, cioè sia reale nella forma dell’intuizione e questo qualcosa

è in primo luogo il riconoscersi della coscienza come identica nel diverso e come

esistente nella determinazione del senso interno. Inoltre, come reale, determina le sue

relazioni nello spazio-tempo, oppure è pensato a priori per le relazioni in se stesse.

Infine come Gegenstand è qualcosa di esterno come oggetto immediato della coscienza

empirica.

Sebbene non possa corrispondere al concetto di oggetto in generale alcun

oggetto particolare nell’intuizione, è rilevante, tuttavia, il fatto che Kant ritenga

possibile sulla base dei concetti di riflessione e delle categorie, una sorta di costruzione

delle determinazioni interne del concetto di oggetto in generale. Questa costruzione

filosofica dei concetti è un darstellen, un esibire le condizioni di possibilità

dell’esperienza e del giudicare. Dunque, il concetto di oggetto in generale è il frutto

dell’attività della coscienza di porsi nel tempo in rapporto con le sue rappresentazioni,

che appartengono al senso esterno in generale.

E’ evidente che si pone un problema in questo contesto rispetto allo spazio.

L’autoaffezione e l’affezione della coscienza presuppongono, secondo la dottrina

kantiana, la percezione, ovvero che le rappresentazioni della coscienza abbiano un

grado, ovvero realtà:

Col porre la realtà di una cosa, io pongo senza dubbio qualcosa di più che la possibilità.

Questo di più non lo pongo tuttavia nella cosa. In effetti, la cosa non potrà mai contenere, nella realtà, più di quanto è contenuto nella sua completa possibilità. Piuttosto mentre la possibilità è semplicemente una posizione della cosa in rapporto con l’intelletto (col suo uso empirico), la realtà è al tempo stesso una connessione della cosa con la percezione.18

Dunque, come Kant sostiene nella confutazione dell’idealismo, per poter dare

conto della dimensione del senso interno per la determinazione della coscienza, non si

può non presupporre a fondamento di questa possibilità una relazione esterna della

18 KrV, A235/B288.

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coscienza e una dimensione del senso esterno che non sia corrispondente a una sostanza

intuibile. Kant sottolinea, però, che la possibilità di percepire una qualsiasi

determinazione di tempo, solo mediante la variazione dei rapporti esterni (il

movimento), in relazione a ciò che è permanente nello spazio, dipende dal fatto che

questo permanente che possiamo porre a fondamento dell’esperienza del senso esterno è

la materia:

E questa stessa permanenza non viene attinta dall’esperienza esterna, bensì è presupposta a priori come condizione necessaria di ogni determinazione temporale, e quindi anche come determinazione del senso interno rispetto alla nostra propria esistenza, mediante l’esistenza di cose esterne.19

Kant non professa qui assolutamente una forma di idealismo che implichi la

necessità dell’esistenza di ogni rappresentazione intuitiva di cose esterne. Il discorso

kantiano è più incentrato a mostrare la reciproca dipendenza tra esperienza interna ed

esterna:

Qui abbiamo voluto dimostrare soltanto che l’esperienza interna in generale è possibile

unicamente attraverso la esperienza esterna in generale.20

La dipendenza dell’esperienza interna in generale da quella esterna implica una

necessaria differenziazione della modalità del giudicare tra possibilità, realtà ed

esistenza, pena il ricadere nell’idealismo. Questa differenza è posta in primo luogo nella

determinazione del “dato” come dabile, cioè nella possibilità del reale in generale, ma

anche nella possibilità di determinare un reale, cioè di percepirlo e di averlo nella

sensazione con coscienza. In secondo luogo, ciò che è reale esiste in una certa

connessione con l’intelletto e con altre cose fuori di noi. La posizione dell’esistenza,

determinata come necessità in generale e al tempo stesso anche come contingenza

nell’esperienza, contrassegna l’ontologia kantiana e la distanzia da tutta la tradizione

precedente. L’ammissione della compresenza di un carattere contingente e necessario

della conoscenza umana è la cifra della filosofia trascendentale e la premessa da cui può

discendere anche il suo carattere progressivo:

Il fatto che una qualsiasi esperienza presunta non sia semplicemente un’immaginazione, deve essere stabilito in base alle sue particolari determinazioni e mediante un confronto con i criteri di ogni esperienza reale.21

19 KrV, B278.

20 KrV, B279.

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Questo continuo confronto necessario tra l’esperienza e le sue condizioni di

possibilità garantisce un progresso come tendenza (Tendenz). Una possibile

corrispondenza, che non è mai coincidenza, tra realtà ed esistenza non solo puó rendere

conto dell’estrema varietà dell’empirico, ma asseconda anche la natura sistematica della

ragione e dei suoi principi.22

Per Kant, quindi, la connessione effettiva (nexus effectivus) nel fenomeno può

essere giudicata secondo possibilità, realtà o necessità, ma ad un livello ontologico

comunque viene considerata come un che di esistente in relazione alle nostre facoltà

conoscitive. Si comprendono meglio, allora, le ragioni per cui la definizione di oggetto

in generale corrisponda alle condizioni dell’esperienza possibile e che in sé un tale

oggetto non possa essere completamente determinato. Se non è possibile farne

esperienza è perché l’esperienza umana determinata è un che di contingente e che

contiene sempre una materia (Stoff) che deve essere “aspettata”.

Questa corrispondenza è segnata, peró, dalla contingenza

del dominio dell’empirico, che permette al soggetto non la conoscenza delle cose in sé,

bensì, la conoscenza della connessione (nexus) reale della cosa con la percezione

(realtà) e dei fenomeni tra loro. Tale connessione è per noi determinabile a priori in

base a principi dell’esperienza possibile, secondo le categorie di relazione, ed è per noi

giudicabile e comunicabile universalmente, secondo le categorie di modalità.

23

Sotto questo profilo, Kant ribadisce il fatto che di qualcosa di puramente

possibile non possiamo fare esperienza, possiamo enumerarne logicamente e a priori i

predicati, anche in modo completo, ma mai ne potremmo predicare a priori l’esistenza,

in quanto l’esistenza (Existenz) cessa di essere un predicato e diviene una posizione

dell’esserci (Dasein) espresso da un giudizio quantomeno assertorio e che presuppone

una realtà, un grado nella percezione. Risulta evidente l’importanza di questo punto per

il chiarimento delle pagine della Critica della ragione pura, dove Kant osserva che:

L’oggetto in generale

è solo la forma di questa possibilità.

Se noi riflettiamo soltanto logicamente, ci limitiamo allora a confrontare tra loro,

nell’intelletto, i nostri concetti, osservando se due concetti abbiano proprio lo stesso contenuto, se essi si contraddicano o no, se qualcosa sia contenuto entro il concetto, oppure si aggiunga ad

21 KrV, B279. 22 Quello che sembra problematico nella filosofia kantiana è proprio questa simmetria tra ragione e natura. Di questo si parlerà diffusamente in seguito, nel capitolo che si occupa di questioni squisitamente epistemologiche, dedicato alla Critica della facoltà di giudizio. 23 Cfr. I. Kant, Kritik der Urteilskraft (KdU), KGS V, p. 407; trad. it. Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Torino 1999; KrV, A176/B218

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esso, e notando quale dei due sia dato, e quale invece debba considerarsi soltanto come un modo di pensare quello dato. Ma se io applico questi concetti ad un oggetto in generale (in senso trascendentale), senza determinare ulteriormente se esso sia un oggetto dell’intuizione sensibile oppure di quella intellettuale, si mostrano allora senz’altro certe limitazioni (perché non si oltrepassi questo concetto di un oggetto in generale), che sconvolgono ogni uso empirico dei concetti di riflessione, e proprio perciò dimostrano che la rappresentazione di un oggetto come cosa in generale non soltanto è insufficiente, ma è inoltre, senza una sua determinazione sensibile e indipendentemente da condizioni empiriche, contrastante in se stessa. Le suddette limitazioni dimostrano dunque, che si deve o astrarre da ogni oggetto (come avviene in logica), oppure se si assume un oggetto, pensarlo sotto le condizioni dell’intuizione sensibile.24

Nel rovesciare completamente la metafisica e la logica wolffiana per cui ogni

determinazione completa implicava anche l’esistenza di qualcosa – il cui principio

recita, omnimoda determinatio est existentia et existentia est omnimoda determinatio –

Kant pone uno scarto affermando che la completa possibilità non è esperibile, perché

non possiede un determinato corrispettivo reale nella percezione. Tuttavia Kant dirà,

nell’Opus postumum, che in un solo caso speciale ciò che esiste, sebbene non possa

essere percepibile, ed è però il tutto dell’esperienza del senso esterno, ovvero la materia

cosmica, è reale perché è presupposto nella sua esistenza come un postulato necessario

della ragione in vista di ogni esperienza possibile e, dunque, di ogni modificazione della

sensibilità. Non è un caso che Kant dia una definizione completa dell’oggetto in

generale proprio nell’Opus postumum, in quanto deve distinguere quelle che sono le

condizioni di possibilità dell’esperienza in generale, da quelle dell’esperienza

empiricamente determinata, in particolare dell’oggetto della fisica. Kant giunge alla

prova dell’esistenza dell’etere, intendendola come materia cosmica, e dunque all’interno

di un problema epistemologico di determinazione della totalità nel quadro del Sistema

del Mondo e non più di una Critica della ragione pura. In secondo luogo, il ritornare sul

problema della materia, nell’ultima fase della sua produzione, conduce Kant ad una

riflessione sulla filosofia trascendentale stessa, della concezione della sostanza e del

rapporto che tra le forze motrici e la materia, che nel 1787 era definito nei seguenti

termini:

Noi conosciamo la sostanza nello spazio solo attraverso forze, che agiscono in un certo

spazio, o con l’attirarvi altre sostanze (attrazione) o con l’impedire ad altre sostanze di penetrarvi (repulsione e impenetrabilità). Altre proprietà costituenti il concetto della sostanza, che appare nello spazio e che chiamiamo materia, noi non ne conosciamo.25

24 KrV, A279/B335. 25 KrV, A265/B321.

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Non è un caso che nei Metaphysischen Anfangsgründe der Naturwissenschaft

del 1786 Kant non attribuisca necessità alle forze di attrazione e repulsione e ne provi

solo la possibilità, attraverso la negazione del loro contraddittorio. Al contrario

nell’Opus postumum, sulla base delle due forze primitive, Kant tenterà a priori una

determinazione delle proprietà della materia, affermando che essa può essere

apprensibile o impercettibile, coercibile o incoercibile, coesibile o incoesibile,

esaustibile o inesaustibile.26

Come verrà analizzato nel capitolo V, dedicato alla prova

dell’esistenza dell’etere, Kant legò profondamente e inscindibilmente alla dimensione

della percezione il concetto di materia e quello di forza, fondando su di essi e sul loro

rapporto di fondamento-conseguenza la possibilità dell’esperienza stessa, quoad

materiale. Per il momento è opportuno analizzare quale fosse la natura dell’oggetto

fisico, date le premesse esposte riguardanti l’oggetto in generale.

b) L’oggetto della Fisica

Nell’Opus postumum, Kant ha fornito numerose definizioni di quale dovrebbe

essere l’oggetto della fisica, che discende necessariamente dall’oggetto della

Naturwissenschaft. Per Kant, infatti, l’oggetto della scienza della natura può essere o la

materia in generale o il corpo fisico. La materia in generale è oggetto dei

Metaphysischen Anfangsgründe der Naturwissenschaft e la sua trattazione nell’opera

inedita Übergang von den metaphysischen Anfangsgründe der Naturwissenschaft zur

Physik (Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica) permette

di definire un corpo fisico e gli oggetti dell’intuizione empirica della materia attraverso

una divisione (Eintheilung), che si vedrà essere tra le più avanzate dell’epoca:27

oggetti dell’intuizione empirica della materia

forze elementi

materiali corpi fisici

organici inorganici

viventi vegetativi

26 Cfr. Opus postumum, XXI, p. 599. 27 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 374.

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16

Ora, per Kant, nel passaggio dalla materia in generale ai corpi fisici è necessario

trovare la determinazione, grazie ad una divisione interna al concetto di materia in

generale, che sia in grado di connettere quest’ultima con l’altro membro che è oggetto

della Naturwissenschaft, ovvero i corpi organici ed inorganici. I corpi organici possono

essere trattati direttamente o indirettamente. Nel primo caso, come puri meccanismi

sono conoscibili empiricamente, in quanto ciò che la materia in generale e il corpo

fisico hanno in comune sono il movimento e la forza. Ma non semplicemente quella in

generale, che Kant divide in attrattiva e repulsiva, quanto le sue conseguenze empiriche,

ovvero la coesione e l’espansione.

Per determinare a priori nell’ambito della fisica le forze agenti nel mondo, Kant

assume che bisogna considerarle in quanto cause efficienti. Allora, per determinare la

materia, occorre partire dalla sua definizione di essere “il mobile nello spazio”. Questo

significa che la fondazione della fisica deve partire da un concetto empirico, quello di

movimento, perché questo è l’unico che permetta una determinazione delle forze

motrici della materia secondo una causalità efficiente, per noi determinabile e

conoscibile con certezza apodittica:

Ma tutte le forze fisiche sono contenute nel concetto di movimento come cause efficienti il cui effetto può essere nella sensazione e come elemento dell’esperienza ha fondamenti empirici, la cui causa non può essere data senz’altro a priori, come invece [può essere data] la forma dei diversi rapporti in cui esse devono essere poste per avere effetto.28

Assumere il movimento come concetto primo da determinare ha anche un’altra

funzione, quella di agevolare una trattazione matematica e filosofica dell’oggetto della

fisica. Questo è possibile sia perché il movimento può essere costruito, sia perché è

possibile un’esibizione a priori delle forze motrici della materia e dei loro rapporti

reciproci che determinano la materia come il tutto delle sue forze motrici – il che si

vedrà essere l’esperienza nella sua universalità collettiva.

Seguendo il filo conduttore delle funzioni logiche nei giudizi e il canone dei

concetti di riflessione si ottiene la determinazione, sebbene solamente problematica e

soggettiva, di tali rapporti reciproci attivi:

28 I. Kant, Opus postumum, KGS XXI, p. 387 : „Alle physische Kräfte aber sind in dem Begriff der Bewegung als wirkender Ursache enthalten deren Wirkung mithin empfindbar ist und als Element der Erfahrung sich auf den empirischen gründen, deren Ursache nicht a priori gegeben werden kann wohl aber die Form der Verschiedenen Verhältnisse in die sie gesetzt werden müssen um zu wirken“.

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Der Einteilung dieser bewegenden Kräfte nach welche subjektiv und diskursiv in der Naturforschung das Elementarsystem der Materie entwirft und nur problematisch und subjektiv den Inbegriff dieser aktiven Verhältnisse vorstellig macht enthält folgende Tafel: — Die Materie ist entweder ponderabel oder imponderabel: coërcibel oder incoërcibel cohäsibel oder incohäsibel: exhaustibel oder inexhaustibel. — Gemäß der Tafel der Kategorien: Quantität Qualität Relation und Modalität wobei doch der Schematismus der Reflexionsbegriffe der Unterscheidung des Sinnlichen vom Intellektuellen in den Paralogismen der Urteilskraft vorwalten muss besonders aber das Dynamische voran gehen u. dann das mechanische folgen muss vide Kästner. — Bloße Empirie giebt kein Prinzip der Verbindung bewegender Kräfte und intellektueller Einheit des Systems ab und nur Erscheinung giebt ein solches ab. Aber indirekte Erscheinung d.i. Erscheinung der Erscheinung im empirischen Erkenntnis der Auffassung der bewegenden Kräfte ist wiederum in der Erfahrung die Sache selbst. Die Wahrnehmung der Stoffe z. B. in der Betastung und allen übrigen Berührungen der Sinnenorgane macht ein System der subjektiven empirischen Vorstellung.29

La divisione metafisica segue dei criteri nella determinazione delle relazioni

reciproche attive che rispondono ai concetti di riflessione.30

Così il Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica

dovrà considerare in primis le forze motrici esterne della materia in generale

(meccaniche), in secondo luogo quelle interne (dinamiche), sebbene le prime

discendano dalle seconde, come verrà mostrato nel capitolo IV, dove verrà sottolineata

la polemica con Kästner e Gehler su questo punto.

Perciò i concetti di interno

ed esterno, secondo relazione, sono chiamati ad indicare la realtà oggettiva (grado) e

non la mera possibilità logica dei rapporti tra le forze della materia (+A e –A) con la

sensazione.

In secondo luogo, il Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura

alla fisica considera le determinazioni dei limiti della materia stessa, attraverso le forze

organiche (poiché la materia inerte non è presa in considerazione nella determinazione

delle forze motrici della materia), e quella che Kant chiama Willenskraft dell’uomo,

ovvero la forza motrice dell’uomo su un oggetto sensibile (sia esso il soggetto stesso

nella sua intuizione interna, una cosa, o un altro soggetto). Con questo quarto termine

Kant intende immettere nel dominio della fisica anche la creatura come intelligenza e

sorprendentemente ribadisce la totale estraneità di questa considerazione da qualsiasi

tipo di causalità esterna libera.31

Il Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, in

sostanza, considera l’intelligenza nella sua capacità produttiva entro il dominio della

natura, senza considerare la causalità libera o qualsiasi dimensione teologica. Kant ha di

29 Opus postumum, KGS XXII, pp. 338-339. per la determinazione dell’esperienza come la cosa stessa. Cfr. infra, Capitolo V, §5.5. 30 Cfr. infra, Capitolo II. 31 I. Kant, Opus postumum, KGS XXII, p. 299.

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fatto svincolato la fisica, come fisiologia trascendentale, dalla considerazione di

un’origine extramondana o divina dell’intelligenza. L’approccio kantiano, dunque,

mostra una sua attualità quando pone in primo piano il problema della vita per la fisica

come scienza. Il considerare la vita una forza al pari delle altre conduce alla sua

definizione di “forza produttiva”.32

Per chiarire meglio questo punto si deve tener presente l’influenza che la terza

Critica ha esercitato sugli appunti manoscritti, sulla possibile trattazione della dicotomia

tra materia inerte e materia viva e tra corpi organici ed inorganici. Per Kant un corpo

senza vita non è sinonimo di corpo inorganico, in quanto la forza produttiva a cui egli

ha connesso la definizione di vita non contraddice la possibilità per un corpo inorganico

di produrre e trasmettere forza produttiva.

Ora questa spontaneità deve essere spiegata a partire

dall’intrinseca capacità generatrice della natura e rappresenta il vero e proprio “mistero”

da svelare, in quanto costituisce un “salto” ontologico e conoscitivo da un genere ad un

altro.

Tuttavia, non è possibile provare e dare una visione epistemologica coerente di

qualunque passaggio o generazione da un corpo inorganico a uno organico, se essi

vengono considerati e confrontati attraverso il concetto di vita. Piuttosto Kant cercò una

soluzione per spiegare questo passaggio attraverso il concetto di forza produttiva

comune ad entrambi. Si consideri il passo seguente della Critica della facoltà di

giudizio:

Un’ipotesi di questo tipo si può chiamare un’audace avventura della ragione, e pochi, perfino dei naturalisti più acuti, debbono essere quelli cui non sia talvolta passata per la testa. Infatti non è appunto incongrua, come la generatio aequivoca, per la quale si intende la generazione di un essere organizzato mediante la meccanica della materia bruta non organizzata. Essa sarebbe pur sempre generatio univoca nel significato più generale del termine, in quanto sarebbe generato solo qualcosa di organico da qualcos’altro di organico, sebbene specificamente distinto da quello nell’ambito di questo genere di esseri, per esempio se si sviluppassero progressivamente certi animali acquatici in animali palustri e da questi, dopo alcune generazioni, animali terrestri. A priori nel giudizio della semplice ragione, la cosa non è contraddittoria. Solo che l’esperienza non mostra di ciò alcun esempio; secondo l’esperienza ogni generazione che conosciamo è piuttosto generatio homonyma, non è solo univoca in opposizione alla generazione da materia non organizzata, ma produce anche un prodotto omogeneo, nell’organizzazione stessa, al generante, e la generatio heteronyma non si riscontra da nessuna parte fin dove arriva la nostra conoscenza d’esperienza della natura.33

Questa è solamente una delle questioni epistemologiche che Kant lasciò aperte

nel 1790, ma che ha avuto un’importanza capitale per definire le forme possibili di

32 I. Kant, Opus postumum, KGS XXI, p. 211. 33 KdU, KGS V, p. 419 nota.

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produzione della natura come sistema. Kant pensava, dunque, nell’ultima fase della sua

produzione, che le forze organiche dovessero essere distinte da quelle meccaniche e

dinamiche, in quanto verrebbero misurate nei corpi organici solo come cause finali. Per

questa ragione Kant assegna, nell’ambito della fisiologia, lo status di “maximum del

progresso”34

Per ora basti inquadrare la divisione metafisica che Kant attua nell’Opus

postumum che dovrebbe contenere tutte le forze che consentono alla fisica di avere un

oggetto completamente determinato nel suo concetto e, dunque, di potersi costituire a

sistema e non come semplice aggregato.

alla dicotomia organico/inorganico: è in questa di dicotomia che si cela sia

la piú alta classificazione dei corpi fisici, sia la sfida per la scienza della natura, quella

della spiegazione della possibilità della generazione dell’organico. Questo iato di cui si

deve dare conto è stato oggetto della Kritik der Urtheilskraft e rappresenta il nodo

epistemologico che Kant lasciò insoluto nel 1790, ma che ha sempre tenuto sullo sfondo

per la sua riflessione sulle possibili forme di produzione della natura come sistema. Di

questo si parlerà estesamente, quando si metterà in luce l’importanza capitale che svolge

il concetto di tecnica della natura per la risoluzione di problemi epistemologici della

filosofia kantiana.

A questo punto, però, sorge un problema fondamentale che questa ricerca deve

affrontare: Kant afferma una sostanziale inconoscibilità diretta della materia in quanto

sostanza, così come un’impossibilità di conoscere lo spazio. La materia, però, è ciò che,

sebbene indirettamente, rende sensibile lo spazio.

Nei prossimi paragrafi si indaga la natura dell’idealismo trascendentale per

mostrare come la concezione kantiana dello spazio e del tempo possa essere coerente

non solo con l’ipostatizzazione dello spazio, ma anche con la possibile fondazione di

un’interazione tra filosofia e matematica nell’ambito della fisica.

Secondo M. Jammer esiste un rapporto di fondamento e conseguenza tra

l’interrogarsi sulla natura dello spazio-tempo e la costituzione di una teoria cosmologica

e cosmogonica.35

E’ infatti grazie ad un’analisi dettagliata del rapporto fra spazio, tempo e sintesi

che si può chiarire la doppia natura dello spazio e del tempo come forme dell’intuizione

Se si accetta questa visione si comprende l’enorme importanza di

un’analisi sullo spazio e il tempo secondo l’idealismo trascendentale, così da chiarire lo

statuto del Passaggio dai primi principi metafisici della scienza della natura alla fisica.

34 I. Kant, Opus postumum, KGS XXI, p. 214. 35 M. Jammer (1993).

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e intuizioni formali e conseguentemente gettare luce sulla nozione di spazio fisico o

materiale, sulle diverse modalità di costruzione del movimento, della materia e delle sue

forze. Solamente grazie al chiarimento della possibile applicazione della matematica

alla fisica, è possibile comprendere la concezione kantiana della loro fondazione e

mutua relazione sulla base dell’idealismo trascendentale.

1.2 Spazio e tempo: forme dell’intuizione e intuizioni formali

La tesi di questa ricerca mira alla definizione dello spazio kantiano come

flessibile e all’individuazione del ruolo fondamentale della sintesi soggettiva della

composizione (Zusammenstellung), capace per prima di determinare l’ordine della

progressione della sintesi e di costituire un elemento fondamentale per la costruzione

matematica.

Un’analisi dello spazio come intuizione formale e del ruolo importante giocato

dalla sintesi per la geometria è stata condotta da R. Torretti in The Philosophy of

Physics.36

La concezione newtoniana e quella leibniziana rivelavano due opposti modi

ontologici e metafisici di concepire lo spazio e il tempo. Kant, il quale aveva rigettato la

visione realista di Newton dello spazio e del tempo come assoluti, si è senz’altro

distanziato da Leibniz, pur prendendo le mosse dalla metafisica razionalistica, nella

misura in cui ha definito lo spazio e il tempo come forme dell’intuizione e dunque come

condizione di possibilità dei rapporti tra le cose e non come il loro risultato. E’ a partire

da questo che Kant ha completamente ribaltato la prospettiva leibniziana di uno spazio

relazionale, ma indissolubilmente legato alla dimensione metafisica delle sostanze.

Prendendo spunto dalla riflessione di Torretti, si sostiene che non è possibile

determinare la concezione kantiana dello spazio, senza tenere presente l’elemento

dell’unità della sintesi dell’appercezione e, al tempo stesso, che è necessario spiegare le

ragioni profonde della possibilità di una esposizione metafisica e di una trascendentale

del concetto di spazio. Proprio grazie all’attività sintetica, infatti, è possibile una doppia

determinazione dello spazio e del tempo come forme dell’intuizione e intuizioni formali

e, dunque, l’applicazione della matematica alla fisica, secondo la premessa

dell’idealismo trascendentale.

In primo luogo è opportuno riassumere la posizione kantiana nel periodo critico.

Nella Critica della ragione pura, oltre ad essere trattati come forme dell’intuizione,

36 R. Torretti, The Philosophy of Physics, Cambridge 1999, pp. 113-118.

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spazio e tempo sono esposti come intuizioni formali. Questa loro trattazione trova luogo

non solo nell’Analitica trascendentale, ma anche in parte dell’Estetica trascendentale,

in particolare nell’Esposizione metafisica dei concetti di spazio e tempo. In questa sede

spazio e tempo vengono presentati in qualità di ciò che contiene le determinazioni del

concetto rappresentato a priori (cogitabile), a prescindere dalla funzione trascendentale

per l’esperienza, secondo cui invece sono sempre forme dell’intuizione.

Innanzitutto nell’Esposizione metafisica Kant afferma che lo spazio non è un

concetto empirico e le sue parti sono in un rapporto di coordinazione e coesistenza, sia

interna che esterna, mentre nel tempo le parti sono in rapporto di simultaneità o di

successione. Entrambe sono necessarie rappresentazioni a priori. Lo spazio è a

fondamento di tutte le intuizioni esterne, mentre il tempo di tutte le intuizioni, perché

solo in esso è possibile la realtà del fenomeno.

Da un lato lo spazio è un’intuizione pura, un unicum, le cui parti sono pensate

entro di esso, dall’altro il tempo ha una sola dimensione e fonda gli assiomi del tempo

in generale, cioè è posto a fondamento di tutte le rappresentazioni. Il punto cruciale di

questa esposizione, che indica l’intimo legame dell’Estetica trascendentale con

l’Analitica trascendentale, consiste nel fatto che il tempo ha una sola dimensione e,

dunque, la sua infinità significa che ogni grandezza determinata di tempo è possibile

solo con limitazioni dell’unico tempo che è alla base.

D’altra parte lo spazio è rappresentato come un’infinita grandezza data e

contiene in sé un numero infinito di rappresentazioni, perché le sue parti devono essere

pensate entro un unicum illimitato e indeterminato.

Queste due ultime osservazioni celano l’opera di una sintesi spontanea

dell’intelletto attuata dall’immaginazione attraverso le funzioni logiche della quantità e

della qualità in riferimento ad un molteplice delle rappresentazioni che può essere dato

(dabile).

L’osservazione più degna di nota è che quando si ha a che fare con lo spazio e il

tempo, in quanto intuizioni formali, questi vengono trattati direttamente come quanta,37

Ora è opportuno chiedersi che cosa accade quando lo spazio venga rappresentato

come oggetto e dunque sia rappresentato come il “materiale” che è sottoposto alla forma

della sintesi dell’intelletto. In altre parole, si tratta di spiegare come sia possibile che lo

sono cioè rappresentati oggettivamente secondo le funzioni logiche nei giudizi e i

concetti delle loro proprietà possono essere costruite nell’intuizione.

37 Cfr. KrV, A140/B179-A147/B187.

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spazio e il tempo siano ontologicamente anche intuizioni formali e da dove derivi il

fatto che lo spazio e il tempo, come forme dell’intuizione, rendono possibile la

collocazione delle rappresentazioni secondo delle coordinate a priori.

Per gettare luce su questi punti fondamentali della produzione critica, si propone

una ricostruzione della concezione dello spazio e del tempo degli anni ’90, in cui Kant

ha esplicitato molti passaggi oscuri della sua dottrina dell’intuizione.

In epoca tarda Kant afferma che lo spazio e il tempo sono un prodotto della

Vorstellungsvermögen, cioè della Selbstätigkeit, in quanto spontaneitas, i quali

svolgono la funzione di rappresentare l’intuibile (aspectabile)38 come pensabile

(cogitabile).39 In un testo del Nachlass, risalente al maggio 1797 circa, Kant chiarisce

che tutti gli oggetti (Objecte) sono: 1) il sensibile 2) l’intuibile (aspectabile) e 3)

l’intelligibile.40

Questo significa che la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé

indica due modi con cui il soggetto rappresenta se stesso in relazione ad un oggetto.

Questi sono connaturati alla spontaneità mediata, in quanto attività, e cioè fondati sulla

capacità di porre se stessi e la rappresentazione con coscienza di se stessi sotto un

doppio rispetto. Il seguente passaggio chiarisce questo punto, ricorrendo alle nozioni di

cognitio primaria e secundaria:

In dem Erkenntnis eines Gegenstandes liegt zweierlei Vorstellungsart 1. des Gegenstandes an sich 2 dem in der Erscheinung. Die erstere ist diejenige wodurch das Subjekt sich selbst uranfänglich in der Anschauung setzt (cognitio primaria) die zweite da es sich mittelbar selbst zum Gegenstande macht nach der Form wie er affiziert wird (cognitio secundaria), diese letztere ist die Anschauung seiner selbst in der Erscheinung, die Anschauung wodurch der Sinnengegenstand dem Subjekt gegeben wird ist die Vorstellung und Zusammensetzung des mannigfaltigen nach Raumes//und Zeitbedingungen. Das Objekt an sich = X ist nicht ein besonderer Gegenstand sondern das bloße Prinzip der synthetisch Erkenntnis a priori welches das formale der Einheit dieses Mannigfaltigen der Anschauung in sich enthalt (nicht ein besonderes Objekt).41

La distinzione kantiana tra spontaneità e recettività e tra fenomeno e noumeno,

fondata sull’idealismo trascendentale, risponde concretamente alla fondazione della

possibilità dei giudizi sintetici a priori. E’ solo grazie al doppio modo di “porsi in

38 Il termine “aspectabile” viene utilizzato da Kant solamente in epoca tarda nel periodo attestato posteriore al maggio 1797. Il termine deriva dal verbo latino aspicio, che significa guardare, rivolgere lo sguardo. In questo contesto dunque è il modo della rappresentazione del soggetto che determina ciò verso cui possiamo rivolgere lo sguardo. Non è un caso che la funzione dinamica dello spazio kantiano risponda perfettamente e con flessibilità all’esigenza di rendere pensabile ciò che è internamente riguardabile, intuibile. 39 Opus postumum, KGS XXII, p. 42. 40 I. Kant, Handschriftlicher Nachlass, n° 6344, in KGS XVIII, pp. 668-670. 41 Opus postumum, KGS XXII, p. 20.

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relazione” della coscienza42

alle forme pure dell’intuizione dello spazio e del tempo che

queste ultime sono in grado di fondare giudizi sintetici a priori, cioè è grazie ad

un’attività sintetica che opera sulla sensibilità da cui riceve un materiale (Stoff):

Bestimmungen a priori in Raum und Zeit fuhren notwendig zu der Aufgabe der transzendental Philosophie: Wie sind synthetische Erkenntnis a priori möglich und die Losung dieser Aufgabe fuhrt endlich zum Übergange von den metaphysischen Anfangsgründe der Naturwissenschaft zur Physik. Die Lösung dieser Aufgabe beruht auf dem Satz dass Raumes und Zeitobjekte nur als Erscheinungen nicht als dinge an sich d.i. dass sie im Verhältnis zu dem Sinne des Subjekts nicht abgezogen von diesem Verhältnis und unabhängig von ihm synthetische Sätze a priori liefern können.43

A partire da queste affermazioni, la posizione kantiana riguardo agli oggetti del

senso esterno, prevede che questi, come molteplice nell’intuizione determinabile solo

attraverso le sue relazioni nello spazio e nel tempo, stiano a priori sotto principi della

rappresentazione degli oggetti come fenomeni. A questi ultimi si contrappone un altro

modo necessario di rappresentazione nell’idea, quello della cosa in sé, dove “cosa in sé”

non significa (bedeutet) un altro oggetto, ma solamente un altro punto di vista, quello

negativo, da cui è trattato lo stesso e medesimo oggetto.

La cosa in sé, dunque, corrisponde al principio dell’idealità degli oggetti del

senso esterno come fenomeni e “solo trattati da questo punto di vista possono trovare un

loro statuto i principi sintetici a priori”.44 In virtù dell’autonomia del soggetto che può

anche porre se stesso come un Gegenstand = X, il principio dell’unità del molteplice è

contenuto nel soggetto che si autodetermina, ovvero questa unità si ritrova nell’alveo di

una perfetta corrispondenza e identità di soggetto e oggetto, che, sebbene dispieghi il

regno della libertà, però non comporta alcuna conoscenza. Infatti, l’io può conoscere se

stesso solo conoscendo altre cose,45

42 Il porsi in relazione del soggetto è il Faktum der Vernunft cioè la libertà, non conoscibile eppure determinabile solo dalla ragione pura pratica come in rapporto di fondamento-conseguenza con la legge morale. Con questo tipo di analisi è possibile legare le pagine della Deduzione trascendentale in cui Kant parla del “paradosso del tempo” con la Critica della ragione pratica, ovvero considerando il paradosso del tempo come la possibilità di porsi in un doppio rispetto da parte della coscienza secondo lo schema di causa. Se, infatti, l’oggetto nel fenomeno è positivamente determinabile, d’altra parte il soggetto nel noumeno, che si autodetermina, lo è solo negativamente, in quanto “inizio” (Anfang) originario di un’attività spontanea, ma ulteriormente non determinabile in senso conoscitivo, e in quanto “grenzenlos”, nello svolgersi della sua attività sintetica sempre identica a se stessa.

ovvero passando per l’esperienza dell’oggetto nel

fenomeno che gli è dato secondo le pure forme dell’intuizione di spazio e tempo e che

può essere conosciuto grazie allo schematismo dell’immaginazione.

43 Opus postumum, KGS XXII, p. 45. 44 Opus postumum, XXII, p. 42. 45 Cfr. M. Capozzi, L’io e la conoscenza di sé in Kant, in E. Canone (ed.), Per una storia del concetto di mente, vol. II, Olschki, Firenze 2007, pp. 267-326

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Nel particolare contesto del Passaggio dai principi metafisici della scienza della

natura alla fisica compare esplicitamente una riconduzione dello spazio e del tempo

alla spontaneità e, dunque, essi sono il prodotto di una posizione (Setzung) e di un

actus,46 senza che Kant cada in una posizione idealista, ma mantenendo la stretta

distinzione fra noumeno e fenomeno e parallelamente l’idealismo trascendentale e il

realismo empirico. La produzione da parte della spontaneità di una forma

dell’intuizione, non dell’universale, ma degli unici (Einzelnen) dello spazio e del tempo,

fornisce il formale della composizione (Zusammensetzung) come coordinazione e

subordinazione e, dunque, come prima determinazione dei rapporti tra le parti di queste

intuizioni, cioè tra il molteplice che in tal modo ha in sé la tendenza (Tendenz) ad essere

ordinato come un sistema di percezioni.47

La tesi che qui viene presentata richiama alla mente quella dell’“acquisizione

originaria” delle forme pure dell’intuizione, proposta da M. Oberhausen, secondo cui è

necessario ricostruire la genesi degli elementi a priori delle facoltà conoscitive

all’interno del processo di sintesi costitutivo del soggetto.

48

È necessario puntualizzare che questo aspetto del criticismo affonda delle radici

profonde che risalgono alla Dissertazione del 1770, in cui Kant pose esplicitamente il

problema dell’origine delle nostre facoltà conoscitive e della loro distinzione in facultas

sensibilis e intellectualis. Proprio in questa sede, per la prima volta, Kant si espose

nell’attribuire uno specifico carattere allo spazio e al tempo rispetto alla tradizione

inglese (Locke, Berkeley e Newton)

49 e a quella della metafisica tedesca (Leibniz,

Baumgarten e Wolff).50

46 Cfr. R. Daval, La metaphysique de Kant, pp. 291-292.

47 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 42. Questo aspetto non smentisce affatto le posizioni di Kant nella Critica della ragione pura, ma mira ad approfondire un punto teorico dell’edizione del 1787 e che però nel contesto del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica assume un’importanza capitale: è solo spiegando che cosa significhi guardare dal punto di vista dell’unità collettiva il complesso delle percezioni in una esperienza, che secondo Kant è possibile la fondazione della fisica. 48 M. Oberhausen, Das neue A priori. Kants Lehre von einer „ursprünglichen Erwerbung“ apriorischer Vorstellungen, Stuttgart-Bad Cannstatt 1997, pp. 136-164. 49 Su David Hume vale un discorso diverso. Su questo si veda H. E. Allison, Custom and Reason in Hume, Oxford 2008. Di particolare interesse risulta il capitolo Hume’s Theory of Space and Time, pp. 28-63, in cui Allison analizza la concezione di Hume dello spazio e del tempo come ordini o modi di apparire. Allison discute la profonda tensione tra questa visione e il principio copia (copy principle), e lo mette a confronto con la concezione kantiana dello spazio e del tempo come “forme delle apparenze”. Sebbene la concezione di Hume dell’infinita divisibilità dello spazio e del tempo sia uno dei temi più criticati da Kant, secondo Allison la teoria relazionale dello spazio di Hume sarebbe molto vicina a quella di Leibniz e fonte di ispirazione per la teoria kantiana. 50 Cfr. G. Martin (1955), pp. 1-41.

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Spazio e tempo sono qui esplicitamente definiti in quanto intuizioni e la loro

trattazione, sebbene con notevoli modifiche evidentemente apportate, richiama alla

mente quella presente nell’Estetica trascendentale della Critica della ragione pura. Vi è

un passo in particolar modo collocato al termine della trattazione della De mundi

sensibilis (sezione III) in cui si può apprezzare la radice del problema che sarà presente

nella mente di Kant fino al Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura

alla fisica:

Ambedue i concetti, nondimeno, sono senza dubbio acquisiti, non in quanto astratti

dalla sensazione degli oggetti (poiché la sensazione ci dà la materia, non la forma della conoscenza umana), ma dall’attività stessa della mente che coordina le sue sensazioni secondo leggi permanenti, come tipo (typus) immutabile e perciò conoscibile intuitivamente. Le sensazioni infatti risvegliano questo atto della mente, e non producono l’intuizione, e qui non c’è altro di innato che la legge dell’animo, secondo la quale esso riunisce in un determinato modo le sue sensazioni dipendentemente dalla presenza dell’oggetto.51

Oltre ad essere questa una delle pochissime formulazioni che Kant fornisce

dell’origine della nostra intuizione dall’attività della spontaneità, essa comprende anche

il germe della fondazione della possibilità di conoscere l’oggetto nel fenomeno sulla

base dell’idealismo trascendentale e della deduzione trascendentale.

Si comprende come la dipendenza dello spazio e del tempo dagli atti della

spontaneità possa essere duplice, in quanto vi è un doppio modo (respectus) con cui si

può riguardare il soggetto e con cui questo si rende oggetto a se stesso.

Nel passo seguente si può apprezzare questo doppio modo di essere affetto dal

soggetto, che origina due diverse connotazioni dello spazio e del tempo, per rispondere

ad altrettanti obiettivi, quello della fondazione dell’oggetto dell’esperienza in generale e

di quello della fisica:52

Die Setzung und Wahrnehmung die Spontaneität und Rezeptivität das objektive u. subjektive Verhältnis sind zugleich weil sie identisch sind der Zeit nach als Erscheinungen wie das Subjekt affiziert wird also a priori in demselben Actus gegeben werden und zur Erfahrung fortschreitend sind als einem System der Wahrnehmungen. — Doch auf zweierlei Art, für die Physik als einem Gedankensystem und Theorie für den Gegenstand möglicher Erfahrung (oder die Möglichkeit der Erfahrung überhaupt) 2) für Gegenstände die allein in der Erfahrung und durch dieselbe können gegeben werden heteronomisch oder autonomisch.53

51 I. Kant, De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, (Forma et principiis); trad. it., Forma e principi del mondo sensibile e del mondo intellegibile, a cura di A. Lamacchia, Milano 1995, p. 117. 52 Per la definizione di oggetto in generale, cfr. infra, Capitolo I. 53 Opus postumum, KGS XXII, p. 466.

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Mediante il filo conduttore del rapporto tra spazio, tempo e sintesi analizzato in

più luoghi della produzione kantiana può essere scoperta una più esplicita definizione

della Zusammensetzung trattata nella Critica della ragione pura. Questo atto fondante

della spontaneità, quello del zusammensetzen, pone insieme, cioè collega secondo certe

relazioni, le intuizioni del senso interno ed esterno con la coscienza, le riferisce a

quest’ultima, così che lo spazio e il tempo sono solamente forme della composizione del

molteplice dell’intuizione pura, in grado di porre molteplici rappresentazioni neben und

nach einander (iuxta vel post se invicem positorum).

Come si evince dall’analisi delle pagine della Critica della ragione pura, la

sintesi della Zusammensetzung consiste nell’unità oggettiva54 di una sintesi della

composizione preceduta da quella della Zusammenstellung, ovvero la sintesi soggettiva

della composizione, secondo coordinazione e subordinazione. Lo spazio e il tempo sono

rese forme a priori e principi soggettivi della composizione (coordinationis et

subordinationis) dell’unità delle percezioni che appartengono all’unità

dell’esperienza.55 L’unità dell’esperienza ha un elemento in sé di asintoticità e di

tendenza alla totalità che trova fondamento nel suo contraltare, nel costituirsi a totalità

asintotica e sintetica del soggetto come ciò che contiene il tutto indeterminato

dell’intuizione.56

Si comprende, quindi, come nell’Opus postumum Kant abbia voluto esprimere

l’esigenza di approfondire il cardine dell’idealità dello spazio e del tempo (in quanto

cardine della filosofia trascendentale stessa assieme al Faktum der Vernunft, la

libertà),

57 arrivando a definirli rispettivamente Intussuszeption ed Extraposition, ovvero

come Handlungen della spontaneità ad essa riferite e da essa orientate all’esperienza:58

54 KrV, B201. 55 Cfr. Opus postumum, XXII, p. 45. 56 Cfr. Opus postumum, XXII, p. 69. 57 E’ chiaro che ci si trova di fronte ad una chiara fondazione della nuova e purificata metafisica inscritta nel sistema della filosofia trascendentale, in particolare alla tesi sull’idealità dello spazio e del tempo, e questo risulta evidente dalle parole dello stesso Kant in Loses Blatt, KGS XVIII, (1797), p. 669: “Es giebt 2 Cardinal Prinzipien der ganzen Metaphysik: die Idealität des Raums und der Zeit und die Realität des Freiheitsbegriffs. Räumt man die erstere nicht ein, so giebt es keine synthetische Sätze a priori für das theoretische Erkenntnis; ist das zweite nicht, so giebt es keine solche unbedingt praktische, d. i. keine Pflichtgesetze”. 58 Le espressioni “Intussusception” ed “extraposition” possiedono due prefissi che chiaramente sono basati sull’io che si orienta e viene affetto, nel caso dello spazio, all’interno, e che, nel caso del tempo, si proietta all’esterno. E’ evidente l’influenza esercitata dalla metafisica di Baumgarten su questo doppio modo, interno ed esterno, di poter pensare la determinazione del respectus e la regola dell’ordine tra le parti in relazione tra loro. Cfr. infra §1.4.

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Die Intussuszeption u. Extraposition. Von welcher von beiden geht man aus? Die erste ist Raum die zweite die Zeit so doch dass die innere Komposition des Mannigfaltigen der Anschauung vorhergeht oder vielmehr die eine mit der andern in wechselseitigem Verhältnis steht. Was ihre Komposition wechselseitig in Einer Anschauung bestimmt ist der Verstand in so fern er den Sinn überhaupt affiziert und das Sinnenobjekt als Erscheinung darstellt. Das darstellende innere Prinzip ist = X, wodurch das Ding sich selbst macht.59

In questo modo nel processo di composizione (Zusammensetzung) lo spazio e il

tempo sono forme intese come concetti di relazione (Verhältnis Begriffe)60

A partire dall’analisi che svolge P. Schulthess in Relation und Funktion, si può

mostrare come queste determinazioni delle parti dello spazio e del tempo siano

pertinenti all’attività della sintesi intellettuale e, dunque, ancora alla sfera delle funzioni

logiche nei giudizi, applicate però alle forme dell’intuizione, che dunque sono

rappresentate come oggetti.

nel soggetto.

Quest’ultima definizione risulta molto problematica, perché sembra negare lo statuto di

intuizioni dello spazio e del tempo. Tuttavia, se si considera la funzione relazionale tra

le parti e il tutto che essi rendono possibili, si chiarisce meglio il senso dell’espressione

utilizzata da Kant. Infatti, l’ulteriore passaggio che compie la coscienza, distinta grazie

alla sua attività della Zusammenstellung dallo spazio e dal tempo, è quello di porre tra le

parti dello spazio e del tempo un rapporto di coordinazione (coordinatio) e

subordinazione (subordinatio), mantenendosi distinta da esse e rendendosi

autocosciente.

61 In primo luogo, la sintesi intellettuale (synthesis

intellectualis) diventa così Zusammenstellung, cioè incarna la funzione di determinare i

rapporti fra le parti delle intuizioni. In secondo luogo, come lo stesso Kant precisa nella

Critica della ragione pura, la Zusammenstellung conosce un momento superiore di

unità sintetica che risiede nella Zusammensetzung, che come attività di composizione

(compositio) costituisce la sintesi dell’omogeneo della Verbindung, cioè la funzione

dell’attività sintetica che è alla base della costituzione di tutti i principi dell’intelletto

puro.62

Lo spazio e il tempo sono il formale della coordinazione e questo non significa

altro che le parti dello spazio e del tempo sono rappresentate dalla coscienza

immediatamente in rapporto al tutto, secondo la forma.

63

59 Opus postumum, KGS XXII, p. 69.

Questa conclusione è di facile

60 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 70. 61 Cfr. Schulthess (1981), pp. 106;112; 194. 62 KrV A162/B201. 63 Come si vedrà questo è uno dei presupposti per fondare il punto di vista dell’unità collettiva dell’esperienza unito a quella distributiva in vista dell’Übergang e della prova dell’esistenza dell’etere.

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comprensione non appena si ricorda che per Kant lo spazio e il tempo sono intuizioni,

cioè rappresentazioni immediate e singolari.

Già nel 1770 Kant aveva legato indissolubilmente, sulla base della Metaphysica

di Baumgarten, la coordinazione (coordinatio) e la composizione (compositio) ai

concetti di spazio e di tempo, connotandoli come rappresentazioni singolari, intuizioni.

Questo emerge dal passo seguente, in cui lo spazio:

[…] è qualcosa di soggettivo e ideale, che deriva dalla natura della mente secondo una legge stabile, come uno schema destinato a coordinare tutte, assolutamente, le sensazioni esterne.64

E ancora più avanti si legge nel Corollario:

Ecco dunque i due principi della conoscenza sensitiva che non sono concetti generali, come nelle conoscenze intellettive, ma intuizioni singolari e tuttavia pure.65

Considerando i passi successivi compiuti nella Critica della ragione pura, con

più precisione lo spazio e il tempo devono essere pensati come due relazioni al soggetto

quanto al molteplice, che, come rappresentazioni, è contenuto nell’intuizione sensibile.

Le due forme sensibili contengono un molteplice perché sono intuizioni sensibili,

rappresentazioni immediate che accolgono un molteplice rappresentato come loro parti,

ma ancora da determinare: essi contengono il determinabile (determinabilis) in

generale.66

Lo scarto tra le pagine della dissertazione del 1770 e quelle successive della

Critica della ragione pura risiede nella seconda caratteristica fondamentale dello spazio

e del tempo pensati come forme dell’intuizione e intuizioni formali insieme. E questo

scarto non si sarebbe potuto dare senza la deduzione trascendentale delle categorie e la

definizione dell’attività sintetica dell’io. Lo spazio e il tempo della Critica della ragione

pura non sono concetti nella misura in cui il loro contenuto, le loro parti in rapporto tra

loro non lo sono ancora, ma possono e devono diventarlo in vista dell’esperienza

conoscitiva, attraverso l’attività sintetica della spontaneità che le pone in specifiche

relazioni con la coscienza, secondo la sintesi dell’intelletto e la sintesi

dell’immaginazione.

64 Forma et principiis, p. 109. Cfr., pp. 77; 87;101 nota. 65 Forma et principiis, p. 113. 66 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, pp. 44-46.

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Dunque, l’aspetto anticipatore nella teoria della conoscenza kantiana, spesso

enfatizzato dagli interpreti dell’Opus postumum, non riguarda solamente l’esperienza

quanto al materiale (quoad materiale), piuttosto anche e soprattutto quanto al formale,

che veniva presentato già nella prima Critica della ragione pura e nella Critica della

facoltà del giudizio, come possibile grazie all’idealismo trascendentale. Per chiarire

questo punto è utile confrontarsi con le stesse affermazioni di Kant:

Raum und Zeit sind Anschauungen mit der dynamischen Funktion ein Mannigfaltiges der Anschauung als Erscheinung zu setzen (dabile) also auch ein aspectabile als Erscheinung welches vor aller Apprehensionsvorstellung (Wahrnehmung als empirischer Vorstellung mit Bewussten) vorhergehet und a priori synthetisch nach einem Prinzip als durchgängig bestimmend gedacht wird (intuitus quem sequitur conceptus) in welchem das Subjekt in der kollektiven Einheit des Mannigfaltigen der Anschauung sich selbst setzt.67

Si nota immediatamente che lo spazio e il tempo rendono possibile l’esperienza

conoscitiva come processo sintetico a priori con una funzione “dinamica”, in quanto

creano un orizzonte unico e collettivo di riferibilità (come aspectabile) delle

rappresentazioni all’unità della coscienza, rendono cioè possibile collocare secondo una

posizione (Stelle), completamente determinata, l’oggetto nel fenomeno.

Per valutare questo ruolo dell’intuizione si deve tenere pressente la differenza tra

la natura del concetto e quella dell’intuizione.

Il primo atto della facoltà rappresentativa (facultas repraesentativa) è la

rappresentazione di se stesso (apperceptio) attraverso cui il soggetto si rende oggetto

(apprehensio simplex) e la sua rappresentazione è intuizione, ma non ancora concetto,

ovvero è rappresentazione singolare (repraesentatio singularis) e non è ancora quella di

una nota, cioè rappresentazione comune a molti (repraesentatio pluribus communis). Il

concetto, di contro all’intuizione, è, infatti, una rappresentazione che vale in generale e

universalmente e che si può incontrare in molti, al contrario dell’unicum intuitivo.68

Così lo spazio e il tempo non sono altro che relazioni quantitative e di

riferimento dell’oggetto all’intuizione pura. Essi contengono principi a priori della

composizione (Zusammenstellung) delle loro parti come “iuxta et post se invicem

positorum”, cioè del neben und nach einander seyn, solamente secondo il formale, in

quanto il materiale (Stoff) è qualcosa che deve essere “aspettato” per essere determinato.

67 Opus postumum, KGS XXII p. 44. 68 Si ricordi inoltre che mentre le forme pure dello spazio e del tempo sono date, mentre l’ordine delle loro parti è fatto, i concetti sono tutti fatti grazie agli atti dell’intelletto dell’astrazione, comparazione e riflessione.

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Ma alla luce di ciò, è legittimo chiedersi come possa essere interpretato il

passaggio di una lettera a Rehberg,69

in cui Kant afferma che lo spazio e il tempo come

intuizioni formali forniscono la prova della realtà degli oggetti esterni. Come si legge

nella Rechtslehre, lo spazio, il tempo e l’esser posto o localizzato (positus), sono la

triade che rende possibile la rappresentazione dell’oggetto esterno da un punto di vista

empirico:

L’espressione “un oggetto è fuori di me” può però significare o che esso è da me (dal soggetto) distinto, oppure anche che è un oggetto che si trova in un altro luogo (positus), nello spazio o nel tempo.70

Nella metà degli anni ’90 Kant ritiene, dunque, che la determinazione

dell’intuizione empirica debba rispondere a priori a queste tre forme (spazio, tempo,

positus), attraverso cui il soggetto si pensa in connessione con l’oggetto, mentre, da un

punto di vista intelligibile, quello che Kant definisce “l’oggetto fuori di me” non sia

altro che il frutto di una Unterscheidung posta dal soggetto, ovvero il soggetto pensa il

soggetto e l’oggetto come distinti.71

Lo spazio e il tempo, peró, come intuizioni formali, in quanto sono frutto

dell’attività del soggetto intuente, sono anche condizioni di possibilità della

composizione oggettiva (Bedingungen der Zusammensetzung) della sintesi

dell’intelletto. La doppia natura dello spazio e del tempo come forme dell’intuizione e

intuizioni formali li rende in grado di essere sia forma determinante il molteplice

dell’intuizione, sia unità indeterminata e dunque determinabili. Del resto, come si

evince dal passo seguente, lo spazio e il tempo possono essere rappresentati come

grandezze infinite,

72

proprio in virtù della loro idealità, che permette la determinabilità

infinita delle loro parti:

Ein Quantum, gegen welches jedes andere angebliche (dabile) nur als ein Teil eines noch größeren Quanti gedacht werden kann, ist unendlich. Das Quantum aber, was in Vergleichung mit jedem anderen assignabelen Quanto nur als ein Teil betrachtet werden kann, ist unendlich klein. Dass sich alle ausgedehnte Wesen in der Welt in einen Wassertropfen oder ins unendliche noch kleineren Raum bringen lassen, beweiset die Idealität des Raums, wenn alles immer als relativ, niemals absolut gros oder klein betrachtet wird.73

69 I. Kant, Briefwechsel, KGS XI, p. 210.

70 I. Kant, Primi principi metafisici della dottrina del diritto, p. 79; KGS VI, p. 245. 71 L’origine di questo terzo elemento si rinviene nella definizione di oggetto in generale, laddove un qualcosa deve essere collocato nello spazio e nel tempo. 72 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, pp. 42; 46. 73 Loses Blatt, KGS XVIII, p. 669. Questo brano, spesso tenuto in considerazione dalla scuola di B. Falkenburg, ha numerose implicazioni sulla compatibilità della concezione kantiana dello spazio con

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Se lo spazio è dunque da trattarsi sempre tutto come una grandezza relativa, oltre

ad approfondire le tesi presentate nell’Estetica trascendentale, Kant si propone

nell’ultima fase della sua produzione di fondare il punto di vista dell’unità collettiva

dell’esperienza sull’idealismo trascendentale, piú precisamente, sulla funzione dinamica

sopra menzionata dello spazio e del tempo, nella misura in cui afferma:

Dass Raum und Zeit in dem Mannigfaltigen was diese Vorstellungen enthalten (denn sie sind nicht apprehensibele Dinge, sondern nichts als Vorstellungen selbst) in zweierlei Verhältnissen zum Subjekt gedacht werden müssen: Erstlich in so fern sie Anschauungen und zwar sinnliche sind Zweitens wie das Mannigfaltige derselben überhaupt synthetische Sätze a priori möglich macht und so ein Prinzip synthetischer Sätze a priori hiermit aber auch eine Transzendentalphilosophie begründet welche notwendige Wissenschaft ohne das nicht statt haben würde.74

Questo è il fondamento della filosofia trascendentale e dunque della domanda

critica di come siano possibili giudizi sintetici a priori. Solamente in questo modo si

può spiegare perché Kant ritorni fino all’ultimo sulla domanda “Come sono possibili

giudizi sintetici a priori?”, rispondendo che lo sono attraverso un atto originario e

spontaneo della rappresentazione degli oggetti nello spazio e nel tempo in base a

rapporti di coesistenza e successione, sia dal punto di vista di una relazione al soggetto

sia di una relazione del soggetto a se stesso, in quanto oggetto nel fenomeno, seguendo

un principio formale della congiunzione (Verbindung).

La conseguenza che Kant trae da questa argomentazione è che le forme a priori

dell’intuizione non sono solamente lo spazio e il tempo, ma anche il risultato dell’ordine

(Stelle) dato nella forma dell’intuizione del neben und nach einander seyn in rapporto

alla determinazione del tempo (Zeitbestimmung):

Spatium, tempus, positus sind nicht Objekte der Anschauung sondern selbst

Anschauungsformen die a priori synthetisch aus dem Erkenntnisvermögen hervorgehen75

.

Ma che cosa significa allora che queste forme dell’intuizione discendono

sinteticamente a priori dalla facoltà conoscitiva? Di questo si occupa il prossimo

paragrafo, cercando di gettare luce sulla questione che concerne la possibilità per la

quella della fisica quantistica. Su questo specifico punto, cfr. H. Pringe, Critique of the Quantum Power of Judgement, Berlin 2007. 74 Opus postumum, KGS XXII, p. 44. 75 Opus postumum, KGS XXII, p. 69.

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concezione kantiana dello spazio di concepirne non solo la natura intuitiva, ma anche di

poterlo pensare nel suo legame alla sfera concettuale.

1.3 Intuizioni formali e il ruolo dell’unità della sintesi

A questo punto è necessario indicare da dove sorga la flessibilità dello spazio e

quali siano le conseguenze da trarre rispetto all’argomento principale di questo lavoro

che indaga la natura del rapporto tra la metafisica, la matematica e la fisica. Ciò

significa che è possibile determinare le relazioni del molteplice dell’intuizione in forme

spazio-temporali flessibili, perché soggette alla spontanea attività sintetica dell’intelletto

e, come si vedrà nel prossimo capitolo, alla diversa combinazione e applicazione delle

funzioni algebriche sullo spazio geometrico.

Le pagine dell’Opus postumum, che riguardano “una forma dell’intuizione”,

quella di Stelle o positus, oltre allo spazio e al tempo, sono da ascriversi alla particolare

concezione della materia e delle sue forze motrici. L’uso da parte di Kant del termine

positus è confermato in un cospicuo numero di luoghi della sua produzione. Con molta

probabilità il termine è stato mutuato dalla metafisica di Baumgarten.

Proprio della metafisica di quest’ultimo Kant si serviva per tenere le sue lezioni.

Nelle pagine della Metaphysica di Baumgarten, precisamente nella sezione che riguarda

l’ontologia, si legge:

Respectus entis ex coniunctione eius cum aliis determinatus est positus (Stelle). Ubi

ergo positus, ibi leges.76

La relazione di un ente determinata dalla sua congiunzione ad un altro è positus,

cioè è una localizzazione posta secondo una regola, in quanto dovunque vi sia una

determinazione, secondo Baumgarten, c’è una legge. Inoltre, se questo ordine implica

una o più relazioni (Verhältnisse), allora si ha un ordine composto (Zusammengesetzte

Ordnung),77

che risponde alle determinazioni di interno ed esterno:

DETERMINATIONES possibilis aut sunt in eo repraesentabiles, etiamsi nondum spectetur in nexu, ABSOLUTAE, aut tunc demum, quando spectatur in nexu, §. 10, RESPECTIVAE (assumptivae). Determinationes possibilium respectivae sunt RESPECTUS (habitudines, τα προς τι, relationes latius dictae, vel ad extra, vel ad intra). Respectus possibilium in iisdeni in se spectatis non repraesentabiles sunt RELATIONES (strictius dictae,

76 A. G. Baumgarten, Metaphysica, Halle 1757; in KGS XIV, XV, XVII, §85. 77 Cfr. Baumgarten, Metaphysica, §§ 37; 83-84.

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ad extra). Relationes possibilium sunt eorundem DETERMINATIONES EXTERNAE (relativae, ad extra, extrinsecae), reliquae omnes, INTERNAE.78

Baumgarten sostiene inoltre che l’ordine può essere composto laddove le regole

che lo determinano siano molteplici:

Ordinis si regula fuerit unica, SIMPLEX, si plures, ORDO COMPOSITUS vocatur.79

Nel caso del concetto di positus, Kant ha chiaramente ripreso un concetto della

tradizione metafisica e lo ha trasposto sul piano della filosofia trascendentale:

Substantia composita non potest exsistere, nisi ut complexus substantiarum aliarum

extra se invicem positarum, §. 232, 155, certoque modo compositarum, §. 226. Ergo non potest exsistere, nisi ut determinatio aliorum, §. 36, 38. Ergo est accidens, §. 191, et, si videtur per se subsistere, ipsique vis tribuitur, est phaenomenon substantiatum, §. 193, 201.80

Se l’ordine, di cui parla Baumgarten, è anche per Kant riferito a Stelle, ovvero al

neben und nach einander seyn, può essere compreso facilmente che esso può seguire la

regola del suo ordinamento e tale regola è fornita da un principio della sintesi soggettiva

della composizione (Zusammenstellung):

Si multa iuxta vel post se invicemjpormntur, CONIUNGUNTUR. Coniunctio plurium vel est eadem, vel diversa, §. 10, 38. Si prior, est COORDINATIO, et eius identitas ORDO. Ordinis scientia olim erat MUSICA LATIUS DICTA.81

Non deve stupire perciò la straordinaria vicinanza della definizione dello spazio

e del tempo di Baumgarten con quella di Kant. Nella Metaphysica, infatti, compaiono le

seguenti definizioni che svelano l’importanza del legame tra essi e il concetto di ordine

e di positus:

Ordo simultaneorum extra se invicem positorum est SPATIUM, successivorum TEMPUS.82

Positis siinultaneis extra se, ponitur spatium. Posito spatio extra se invicem ponuntur simultanea. Positis successivis, ponitur tempus, et posito tempore ponuntur.83

78 Baumgarten, Metaphysica, §37. 79 Baumgarten, Metaphysica, §88. 80 Baumgarten, Metaphysica, §233. 81 Baumgarten, Metaphysica, §78. 82 Baumgarten, Metaphysica, §239. 83 Baumgarten, Metaphysica, §240.

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Che le proprietà dello spazio, rappresentato oggettivamente come intuizione

formale, siano flessibili, dipende dalla regola dell’ordine: nel caso di uno spazio

euclideo, ad esempio, questa regola può determinare le proprietà della tridimensionalità

in vista della possibilità per il molteplice dell’intuizione di essere connesso alla

coscienza empirica nella percezione. Allora la regola di quest’ordine, e quest’ordine

stesso, forniscono il risultato di Gestalten e Reihen nelle tre dimensioni dello spazio in

vista dell’esperienza e come un che già dato a priori, di cui è infatti possibile una

esposizione metafisica.

La questione più rilevante riguarda, però, il caso in cui si cambiasse la regola

che determina l’ordine della sintesi soggettiva della composizione (Zusammenstellung).

Nel caso di una diversa determinazione dell’ordine della relazione tra le parti e delle

proprietà dello spazio e del tempo, vi sarebbe una diversa determinazione di Gestalten e

Reihen, un numero diverso delle dimensioni dello spazio, più in generale, una diversa

determinazione dello spazio e del tempo come intuizioni formali. Questa è la condizione

a partire dalla quale si può arrivare per Kant a concepire uno spazio a n dimensioni,

senza dover rinunciare ad una fondazione delle sue condizioni di possibilità a parte

priori.84

L’argomentazione procede dall’assunto che, se spazio e tempo sono

rappresentazioni singolari, non abbiamo a che fare con spazi e tempi, ma solo con lo

spazio e il tempo. Dal fatto che abbiamo a che fare solamente con l’ordine di un neben

und nach einander seyn delle loro parti, Kant può arrivare alla conclusione che

“Gestalten und Reihen die immer fortschreitend sind subjektiv in der

Zeitbestimmung”.

85

84 Cfr. KrV, A25/B39.

Questo passo conferma che, sebbene Kant parli di una dimensione

sempre spazio-temporale in cui si danno gli oggetti nel fenomeno, è pur sempre lasciata

aperta la strada alla fondazione della possibilità della costruzione di figure e serie

infinite. Queste ultime, sebbene non si diano direttamente nel fenomeno, devono poter

essere pensate dalla filosofia e poter essere costruite nella matematica, cioè devono

poter essere esibite nell’intuizione a priori secondo la determinazione del tempo. Come

si è messo in luce nel paragrafo precedente, c’è bisogno di un’attività sintetica unitaria

di determinazione dello spazio-tempo ed è indubbio che ciò avvenga in particolare con

l’applicazione della quantità (Größe) come regola alle forme dell’intuizione, le quali

diventano insieme alla coscienza oggetto di tale sintesi e contengono in se stessi un

85 I. Kant, Opus postumum, KGS XXII, p. 517.

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principio di unità, diventando rappresentabili come oggetti, ovvero diventando

intuizioni formali.

Non ci possono essere, infatti, spazio e tempo senza una Handlung che è la

sintesi dell’aggregazione già introdotta nell’Estetica trascendentale.

A questo punto si tratta di stabilire se la sintesi operata sulle forme

dell’intuizione di spazio e di tempo, capace di renderle intuizioni formali, sia

semplicemente la sintesi trascendentale dell’immaginazione. Si deve porre attenzione al

fatto che la sintesi intellettuale vera e propria (synthesis intellectualis), come qualsiasi

altra Verbindung dell’intelletto, è data insieme con le intuizioni formali, in modo che lo

spazio e il tempo possono essere soggetti alla sintesi dell’aggregazione

(Zusammenfassung), cioè ad una sintesi quantitativa.

Tuttavia, dal momento che le categorie hanno un uso empirico e un significato

trascendentale, se c’è un’applicazione di regole sulle intuizioni formali, queste seguono

le funzioni logiche nei giudizi. Questo Kant lo stabilisce nella deduzione metafisica

delle categorie e in qualche modo lo prova nella deduzione trascendentale laddove

spiega il paradosso del tempo.86 In questa sede le categorie di unità e causa87

rispondenti rispettivamente alle funzioni logiche nei giudizi di quantità e relazione88

stanno a fondamento della possibilità della rappresentazione della coscienza come

unitaria e dell’autoaffezione del soggetto che può essere riguardato sotto un doppio

rispetto, quello fenomenico e quello noumenico, cioè quello dell’eteronomia e quello

dell’autonomia.89

Ma c’è un’ulteriore prova del fatto che siano anche le funzioni logiche nei

giudizi a fondare la possibilità di rappresentare lo spazio e il tempo oggettivamente,

sebbene essi debbano essere visti come qualcosa di già dato dalla regola dell’ordine

secondo rapporti reciproci fra le parti. Tale prova risiede nella definizione del concetto

di oggetto in generale. Nell’attività spontanea della riflessione è già presente la

Nel primo caso il soggetto è sia affetto dal molteplice empirico

dell’intuizione sia a sua volta causa di un’affezione del molteplice stesso, dando luogo

alla possibilità della percezione; nel secondo caso, quello del punto di vista

dell’autonomia, il soggetto si pone come causa dell’affezione di se stesso, motivo

fondamentale per pensarsi nella determinazione della sua volontà libera dal punto di

vista pratico.

86 KrV, B162 nota. 87 KrV, B162-163. 88 KrV, B143. 89 Si ricordi la nota citata nel paragrafo precedente sulla cognitio primaria e secundaria che sono alla base di questa distinzione di autonomia e eteronomia del soggetto.

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condizione di possibilità dello spazio e del tempo come forme dell’intuizione, l’una del

senso esterno e l’altra del senso interno, in vista della possibilità dell’esperienza in

generale.

Ciò significa non solo che non vi è oggetto conoscibile senza spazio e tempo

come forme dell’intuizione, ma soprattutto che non può esserci fondamento per

rappresentarsi l’oggetto in rapporti di spazio-temporali senza le categorie e che neanche

la rappresentazione dello spazio e del tempo come oggetti (intuizioni formali) può avere

luogo senza un’attività sintetica dell’appercezione.90

La dimensione dell’oggetto in generale è comunque non ancora quella

dell’esperienza fenomenica, sebbene sia in vista di essa. Pertanto, da un punto di vista

metafisico, deve esserci una fondazione a priori dello spazio e del tempo, grazie al

principio dell’unità sintetica dell’appercezione, prima di qualsiasi sintesi

dell’apprensione riferita ad un molteplice empirico dato nell’intuizione.

Lo spazio come intuizione formale fornisce l’unità della rappresentazione grazie

alla previa sintesi dell’aggregazione (Zusammenfassung) del molteplice come quantum

compiuta in una rappresentazione intuitiva. Ora, come Kant precisa in una nota della

Critica della ragione pura, lo spazio e il tempo come intuizioni formali forniscono

l’unità della rappresentazione, ma per poter essere dati per la prima volta come

intuizioni presuppongono una sintesi dell’intelletto da cui discendono per la prima volta

“tutti i concetti di spazio e tempo”:

Lo spazio rappresentato in quanto oggetto (come realmente si richiede in geometria), contiene di più che la semplice forma dell’intuizione, cioè contiene la comprensione del datum molteplice, fornito secondo la forma della sensibilità, in una rappresentazione intuitiva, cosicché la forma dell’intuizione da soltanto il molteplice, mentre l’intuizione formale fornisce l’unità della rappresentazione. Nell’Estetica, avevo attribuito quest’unità semplicemente alla sensibilità, col solo scopo di far osservare che essa precede ogni concetto, sebbene presupponga una sintesi, la quale non appartiene ai sensi, ma mediante la quale tutti i concetti di spazio e tempo risultano per la prima volta possibili. In effetti, dato che mediante tale sintesi (quando l’intelletto determina la sensibilità) il tempo e lo spazio vengono per la prima volta dati come intuizioni, allora l’unità di questa intuizione a priori appartiene allo spazio e al tempo, non già al concetto dell’intelletto (§24).91

In questo modo lo spazio prima di essere forma dell’intuizione che contiene in sé

un molteplice, deve essere dato a priori con (mit) l’unità della sintesi, ovvero con una

90 Cfr. KrV, B162 nota. Cfr. A149/B188-189, dove Kant lega la costituzione della prova delle proposizioni fondamentali dell’intelletto da trarre dalle fonti soggettive della possibilità di una conoscenza di un oggetto in generale. 91 KrV, B160-161.

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congiunzione (Verbindung). Infatti, è bene sottolineare che spazio e tempo sono “bloß

in der Vorstellung (bloß subjektiv) gegebene Einzelne”,92 ovvero essi sono intuizioni

pure dell’oggetto, ma anche il formale dell’intuizione come rappresentazione unica (vi è

un solo spazio e un solo tempo). In secondo luogo, che il dabile (oggetto) abbia luogo

nell’intuizione è una condizione determinata completamente a priori.93

Sulla base della definizione di spazio e tempo come intuizioni formali, Kant

potrà stabilire, in epoca tarda, il seguente assioma, per l’unificazione della matematica e

della filosofia in vista dell’unità collettiva dell’esperienza:

Es ist Ein Raum und Eine Zeit mithin als unendlich vorgestellt: aus welchen die Theoremen und Problemen a priori für Gegenstande der Anschauung in der Mathematik und im qualitativen Verhältnis für die Philosophie hervorgehen.94

Il Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, come

sistema, non ha a che fare con un oggetto d’esperienza o una cosa ipotetica, bensì con

l’universalità collettiva, secondo principi a priori del dominio soggettivo, come il tutto

delle percezioni delle forze motrici, e di quello oggettivo,95

come il tutto delle forze

motrici della materia, in vista dell’esperienza:

Wie können wir aber a priori ein System empirischer Erkenntnisse verlangen welches selbst nicht empirisch ist noch sein kann? Die diskursive Allgemeinheit (Einheit in Vielem) ist von der intuitiven (Vieles in Einem) zu unterscheiden. Die letztere ist ein Act des Zusammensetzens und kollektiv jene des Auffassens und distributiv Axiomen der Anschauung gehen vor der Antizipation vorher welche die Basis der Wahrnehmungen ausmacht.96

92 Opus postumum, KGS XXII, p. 101. 93 Opus postumum, KGS XXII, p. 101. Si veda in particolar modo come viene elaborata in queste pagine la doppia relazione tra l’appercezione e lo spazio-tempo, sia analiticamente che sinteticamente. Quanto affermato era già presente nella KrV nelle pagine della Deduzione trascendentale in KrV, B160-162. 94 Opus postumum, KGS XXII, p. 101. 95 Cfr. G. Lehmann, Ganzheitsbegriff und Weltidee in Kants Opus postumum, in Kant-Studien, 41, 1936, pp. 307–330, in particolare p. 323. Se non vi fosse la riunione in un sistema di soggettivo ed oggettivo, non sarebbe possibile un’applicazione della matematica alla fisica e la trattazione di problemi matematici da parte della filosofia, in sostanza per Kant non sarebbe possibile un’interazione tra filosofia e fisica. Il tutto delle forze motrici della materia può essere trattato oggettivamente solo quantitativamente e proprio solamente sotto questo aspetto è possibile una considerazione meccanica delle leggi del movimento della materia a cui può venir applicata la matematica. 96 Opus postumum, KGS XXII, p. 342. Questo passo assume rilevanza soprattutto nelle sue conseguenze, secondo cui se non si rendesse sensibile quanto al formale (mai quanto al materiale) lo spazio, cioè se non si determinasse secondo il fenomeno lo spazio sia dabile che cogitabile, il passaggio alla fisica sarebbe impossibile.

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Ciò significa che il sistema kantiano comprende principi sintetici a priori per la

fondazione della fisica, mediante una particolare determinazione di un punto di vista

della ragione, quello dell’universalità collettiva dell’esperienza.97

D’altra parte, però, è proprio grazie al mantenimento dell’idealismo

trascendentale che si pone la condizione per la realizzazione dell’universalità collettiva,

senza che la ragione cada in fallaciae o nel dogmatismo metafisico contrastato nella

Critica della ragione pura.

L’idealismo trascendentale di spazio e tempo si configura quindi come chiave di

volta per la definizione di uno statuto differente della realtà oggettiva rispetto alla

metafisica tedesca tradizionale. Proprio perché lo spazio e il tempo possono essere

rappresentati oggettivamente e sono soggetti alla sintesi, allora possono essere trattati

nel fenomeno o come cosa in sé. Solo come forma dell’intuizione e intuizione formale

nel fenomeno essi sono reali, cioè hanno realtà oggettiva in senso trascendentale.98

Ciò

accade proprio per via della natura stessa dello spazio e del tempo come intuizioni, che

sono rappresentazioni singolari, immediate, sempre completamente determinate e che

ammettono la compresenza delle loro parti ad infinitum, nel caso dello spazio secondo

tre dimensioni, nel caso del tempo in una dimensione.

***

La doppia determinazione dello spazio e del tempo come forme dell’intuizione e

intuizioni formali concerne le condizioni di possibilità di porre l’oggetto (Gegenstand)

fuori del soggetto. Si possono riassumere i risultati ottenuti come segue:

Spazio, tempo e positus sono forme dell’intuizione. Attraverso l’attività

spontanea e unificante dell’intelletto che opera su di essi o con essi, secondo una regola,

si ottiene una Zusammenstellung, una sintesi unitaria soggettiva del molteplice

97 Cfr. I. Kant, Prolegomena, KGS IV, p. 328; trad. it., Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza, a cura di P. Carabellese, introduzione di H. Hohenegger, Roma-Bari, Laterza 1996, p. 171. 98 E’ curioso il fatto che spesso Kant sia stato criticato per aver dato una connotazione soggettiva alle forme dello spazio e del tempo. Il punto è che non si è saputo distinguere il piano dell’esistenza da quello della realtà. Infatti, che spazio e tempo siano reali (ma non esistenti o conoscibili come cose in sé) sia come forme dell’intuizione (soggettivamente) che come intuizioni formali (oggettivamente) non indebolisce in alcun modo o non preclude la via alla geometrizzazione della fisica, in particolare nella meccanica classica.

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dell’intuizione. Si hanno così almeno tre possibili rapporti della sintesi con lo spazio e il

tempo:

1. della sintesi che si attua con lo spazio e il tempo (sintesi dell’intelletto);

2. della sintesi che si attua sullo spazio e il tempo (sintesi dell’immaginazione).

3. della sintesi che si attua nello spazio e nel tempo.

Nel primo caso spazio e tempo sono determinati come funzioni dinamiche di

orientamento, cioè come ciò che è connesso all’unità della congiunzione (Verbindung),

mentre nel terzo caso come forme dell’intuizione che permette che sia dato un

molteplice da sottoporre ad una congiunzione (Verbindung). Il secondo caso si riferisce

alla possibilità di rappresentare oggettivamente spazio e tempo nella matematica.

L’unità oggettiva della Zusammenstellung deve trovarsi in un elemento

superiore, quello dell’attività sintetica della Zusammensetzung, come sintesi

dell’omogeneo del molteplice dell’intuizione, secondo regole che corrispondono alle

funzioni logiche nei giudizi di quantità e qualità, così che spazio e tempo siano

rappresentabili come quantità discrete o continue. L’attività della Zusammensetzung e

quella della Verknüpfung costituiscono il cuore della concezione kantiana della

Verbindung, cioè della congiunzione del molteplice dell’intuizione necessario per la

fondazione dei principi dell’intelletto puro, dunque per la formulazione di giudizi

sintetici a priori in vista dell’esperienza possibile.

Pertanto è corretto dire che gli assiomi dell’intuizione e le anticipazioni della

percezione sono evidentemente anche principi fondamentali per la possibilità della

matematica, ma non solo non le appartengono, non sono neanche in grado di esaurire la

mathesis (geometria, aritmetica e algebra). Quest’ultima, evidentemente, vista la natura

flessibile dello spazio concepita da Kant, è in grado di evolvere e progredire nel numero

dei suoi principi secondo leggi che le sono proprie e che appartengono alle proprietà

fondamentali dello spazio e del tempo, come la forma, la figura, la serie o la durata, e

alle diverse determinazioni di esse che sintesi progressive secondo quantità e qualità

possono produrre.

È in questo senso forte che si può comprendere pienamente che cosa intenda

Kant con il definire lo spazio e il tempo come determinabilis e determinantes e come,

nel dominio della matematica, vi siano principi propri dell’ordine della sintesi che

possono dare vita a diverse configurazioni dello spazio-tempo. Sebbene Kant non sia in

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alcun modo il fautore o l’anticipatore di geometrie non euclidee, si pose senz’altro il

problema della risoluzione dei paradossi o delle aporie della geometria euclidea.99

La configurazione flessibile della concezione dello spazio di Kant è una risposta

a questi problemi, perché è in grado di lasciare aperta la strada di molteplici e differenti

determinazioni dello spazio, affidando ai matematici il compito di ritrovarle e

teorizzarle. La concezione dello spazio e del tempo di Kant è compatibile con la

geometria euclidea, ma rende possibile la sua coesistenza con altri tipi di prove

matematiche e configurazioni dello spazio, come si evince dal seguente Loses Blatt:

Wie der Satz: wenn 2 parallel-Linien von einer dritten durchschnitten werden etc. etc., durch eine philosophische Vorstellungsart durch Begriffe mit Vorbeigehung der Construction völlig strenge, aber doch nicht euclideisch bewiesen werden könne.100

Questo passaggio confuta una delle più note asserzioni di R. Carnap, secondo

cui Kant, come del resto fecero molti matematici della sua epoca, suppose la

derivazione dell’assioma delle parallele dagli altri postulati basati su un appello

all’intuizione.101 L’argomento che qui si sostiene contro la tesi di Carnap consiste nel

mostrare come la concezione kantiana dello spazio non sia fondata necessariamente su

una considerazione percettiva degli oggetti dell’intuizione, sebbene possa essere ad essa

riferita: la tridimensionalità dello spazio è una delle possibili proprietà di esso,

compatibile con l’idealismo trascendentale, ma non l’unica. Secondo il passo citato,

infatti, una geometria non euclidea e i suoi oggetti sarebbero pensabili e dovrebbero

essere rappresentati qualitativamente, procedendo dai concetti alle intuizioni, cioè

discorsivamente.102

Kant giunge a questa conclusione, anche a seguito della sua riflessione

sull’algebra, secondo cui:

Die allgemeine Arithmetik (Algebra) ist eine der maßen sich erweiternde Wissenschaft,

dass man keine der Vernunftwissenschaften nennen kann, die es ihr hierin gleich täte, sogar, dass die übrige Theile der reinen Mathesis ihren Wachsthum größtenteils von der Erweiterung jener allgemeinen Größenlehre erwarten. Bestände diese nun aus bloß analytischen Urteilen , so wäre wenigstens die Definition der letzteren unrichtig, dass sie bloß erläuternde Urteile wären

99 Cfr. Jammer (1993), pp. 145-147 per un quadro sintetico del sorgere delle geometrie non euclidee e della loro ricaduta sullo spazio-tempo fisico distinto da quello geometrico. 100 I. Kant, Loses Blatt, KGS XIV, p. 52 (1800). 101 Cfr. R. Carnap, Philosophical Foundations of Physics, New York/London 1966, p. 126. 102 Cfr. G. Brittan, Kant’s philosophy of mathematics, in G.Bird (a cura di), A companion to Kant, Oxford 2006, pp. 222-35. In particolare p. 233.

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und denn wäre es ein wichtiges, schwer zu beantwortendes Problem: Wie ist Erweiterung des Erkenntnisse durch bloß analytische Urteile möglich.103

La seconda parte di questo passo indica chiaramente che Kant abbia negato

all’algebra lo statuto di scienza costituita da puri giudizi analitici. Tuttavia, questo

mostra come Kant abbia ammesso che una buona parte della matematica possa essere

costituita anche da giudizi analitici. La critica che Kant compie nei confronti del

concetto di spazio assoluto e la posizione secondo cui lo spazio non può essere oggetto

di esperienza diretta fa sì che, nell’alveo dell’idealismo trascendentale, questo assurga al

ruolo di una funzione dinamica.104

Da un punto di vista matematico, invece, l’algebra, come scienza della misura

capace di espandersi, si trasforma nello strumento atto a determinare indefinitamente il

numero delle dimensioni dello spazio attraverso la sintesi della composizione.

105 Come

si è cercato di mostrare, l’ordine dello spazio e del tempo come forme della

composizione (Zusammenstellung) determina a priori l’intuizione, secondo particolari

relazioni di coordinazione e subordinazione tra le loro parti. Alcuni interpreti di questo

aspetto della filosofia kantiana, tra cui D. Sutherland e M. Friedman, hanno visto qui

un’influenza esercitata dalle proporzioni di Eudosso e dalla geometria algebrica

euclidea. Tuttavia, questo aspetto relazionale della concezione kantiana dello spazio e

del tempo sembra costituire più verosimilmente una continuità con la tradizione

leibniziana,106

Kant diede un taglio originale alla concezione tradizionale dello spazio e del

tempo nella misura in cui combinò la doppia connotazione dello spazio e del tempo

come quantità estensive (secondo quantità) ed intensive (secondo qualità). Su questo

punto è opportuno accettare, in prima istanza, la tesi di Sutherland che pone l’accento

sull’importanza delle proprietà matematiche fondamentali delle grandezze fondate sulla

composizione, sulla relazione tutto-parti e sull’eguaglianza.

che certamente teneva presente aspetti rivisitati della teoria eudossiana.

107

103 Lettera a Schultz (1788), Briefwechsel, KGS X, p. 554.

In secondo luogo, è

interessante la relazione che Sutherland vede tra questi principi della teoria delle

proporzioni e la visione kantiana della geometria, dell’aritmetica e dell’algebra.

104 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, pp. 435; 532-533. 105 Cfr. D. Sutherland Kant on Arithmetic, Algebra, and the Theory of Proportions. Journal of the History of Philosophy, 44, 4, 2006, pp. 533-58, in particolare, p. 549. 106 Come sottolinea anche Sutherland molti contemporanei di Leibniz, ma anche suoi successori come Wolff, riconsiderarono l’algebra in rapporto alla geometria. Cfr. Sutherland (2006), pp. 550-551; cfr. D. Sutherland, Kant on Fundamental Geometrical Relations, Archiv für Geschichte der Philosophie, 87, 2005, pp. 117-58, in particolare, p. 118; 128 segg. 107 Cfr. Sutherland (2006), p. 538.

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Il punto che, però, segna un distacco dall’interpretazione di Sutherland concerne

l’origine di queste proporzioni chiave e il modo in cui Kant fonda su di esse non solo

principi matematici, ma anche quelli filosofici. L’origine di queste proporzioni risiede

nell’attività sintetica del soggetto, nell’influenza che l’intelletto esercita sulla sensibilità.

Se si considera ancora la distinzione tra intuizione formale e forma dell’intuizione,

risulta chiaro il ruolo di primo piano giocato dalla sintesi: l’intuizione formale realizza

in concreto la possibilità per il molteplice di essere immediatamente riferito a all’unità

della coscienza, determinata nel tempo, secondo un ordine composto (neben und nach

einander seyn) della costruzione, ovvero uno schema, ad esempio quello di numero.

D’altra parte, lo spazio e il tempo, come forme dell’intuizione, rendono possibile

in generale l’unità del molteplice procedendo per concetti, cioè la sintesi

dell’omogeneo, secondo quantità e qualità.108 Ma come anche Sutherland riconosce, le

categorie di quantità sono usate per riconoscere relazioni tra il tutto e le parti,109

sebbene non le producano affatto. Queste relazioni, piuttosto, sono prodotte da una

sintesi che soggiace sia alla costruzione dei concetti in matematica, come anche al

procedere discorsivo per concetti, alla filosofia. Come si è cercato di mostrare nei §§ 1.1

e 1.2, questo ambito che soggiace all’esperienza in generale 1) concerne l’origine delle

forme della sintesi dell’intelletto in relazione allo spazio e al tempo; 2) può definire

l’oggetto = X, cioè l’oggetto in generale.110

Questa dimensione trascendentale non è quella della logica generale, sebbene

essa presupponga il suo dominio come canone per la filosofia, bensì comprende

l’applicazione delle funzioni nei giudizi alle forme, cioè alle condizioni di possibilità

dell’esperienza. Questa dimensione di un’attività sintetica e spontanea che rende

“flessibile” lo spazio, modellandolo, soggiace anche alla costruzione matematica e,

come il prossimo capitolo cerca di mostrare, è posta, grazie all’impiego dell’algebra,

alla base della configurazione sia dello spazio geometrico che di quello fisico.

108 Il riferimento qui è agli Assiomi dell’intuizione e alle Anticipazioni della percezione. 109 Cfr. Sutherland (2005), p. 152. 110 Cfr. Brittan Kant’s philosophy of mathematics, in A companion to Kant, a cura di G. Bird, Oxford 2006, pp. 222-35. In particolare, p. 231. Inoltre sull’oggetto in generale e sulla sua determinazione, cfr. Sutherland (2005), p. 117; cfr. KrV, B202.; A163/B204.

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CAPITOLO II

L’APPLICAZIONE DELLA MATEMATICA PER IL PASSAGGIO

ALLA FISICA

Premessa

Nel capitolo I si è voluta anticipare la trattazione dello spazio e del tempo

secondo l’idealismo trascendentale, per rendere perspicua la trattazione della

costruzione del movimento nell’opera Metaphysischen Anfangsgründe der

Naturwissenschaft del 1786. Nel corso dell’analisi di questo secondo capitolo, emerge,

in primo luogo, la possibilità per l’idealismo trascendentale di ammettere l’algebra

lineare per la costituzione di spazi vettoriali di cui si serve la meccanica classica. In

secondo luogo, viene posta attenzione alla definizione dello spazio fisico kantiano,

paragonandolo a quello geometrico, al fine di mostrare come non vi sia una perfetta

corrispondenza tra spazio geometrico e spazio fisico, ma anche come possa essere

distinto uno spazio comune alla geometria e alla meccanica. Per Kant non è possibile,

però, una riduzione dello spazio fisico, inteso in termini dinamici, a una pura

rappresentazione geometrica di esso.

Nell’opera del 1786 l’assunzione dell’idealismo trascendentale è quanto mai

necessaria non solo per la distinzione tra moto relativo e assoluto, tra attrazione

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universale e parziale, ma è anche il fondamento per l’applicazione della matematica alla

scienza della natura.

Queste osservazioni permettono anche di gettare una luce sull’Opus postumum,

in quanto chiariscono la concezione di uno spazio relativo e funzionale alla dinamica, su

cui Kant intende fondare la trattazione meccanica della materia e delle sue forze,

definendo lo spazio assoluto come un’idea della ragione.1

Dopo aver preso in esame la concezione della matematica che Kant traccia nella

Prefazione all’opera del 1786, si procede alla trattazione della costruzione del

movimento nella metafisica della natura, prendendo in esame le sezioni della

Foronomia e della Fenomenologia. Nel §2.4 si discutono alcune delle tesi fondamentali

della letteratura critica, come quelle di B. Tuschling e M. Friedman, che hanno visto un

elemento fondamentale per la comprensione della filosofia kantiana nella

chiarificazione del legame tra i Principi metafisici della scienza della natura e il

progetto del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica.

Tra gli obiettivi di questo capitolo c’è quello di mostrare come nel Passaggio dai

principi metafisici della scienza della natura alla fisica rimanga sì la compresenza della

trattazione foronomica e fenomenologica del movimento, come afferma Friedman, ma

si apra anche il panorama per una diversa e nuova definizione di fenomeni chimici,

legati alla cristallizzazione o di quelli elettrici e magnetici, che, agli occhi di Kant,

necessitavano di una fondazione delle forze motrici derivative della materia e di una

teoria dinamica della materia. Da questo punto di vista l’opera dell’86 non sembra

costituire un fallimento, secondo quanto invece ha sostenuto B. Tuschling,2

In sostanza senza i Metaphysischen Anfangsgründe der Naturwissenschaft non ci

potrebbe essere un fondamento per l’applicazione della matematica alla fisica.

Quest’opera, dunque, assume il ruolo di un importante punto di passaggio, capace di

ma la

premessa di fondo che soggiace non solo alla trattazione del movimento, ma

indirettamente anche a quella delle forze fondamentali della materia secondo la

meccanica classica.

1 Di questo Kant tratta estesamente nella sezione Fenomenologia. Inoltre, a questo proposito, un paragrafo si incentra sull’analisi dell’impenetrabilità, che per Kant è il fenomeno fisico che meglio esprime la distinzione tra una concezione meccanica e una dinamica della materia. Non mancano, però, esempi di questa distinzione proprio a fronte della spiegazione dei fenomeni legati alla coesione, all’elettricità e al magnetismo. Sull’importanza del concetto kantiano di impenetrabilità, cfr. E. Watkins, Kant on extension and force: critical appropriations of Leibniz and Newton, in Between Leibniz, Newton and Kant. Philosophy of science in the Eighteenth century, a cura di W. Lefévre, Dordrecht 2001, pp. 111-127. 2 B. Tuschling, Metaphysiche und transzendentale Dynamik in Kants Opus postumun, Berlin, Walter de Gruyter, 1971, pp. 60 segg.

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legare l’uso delle funzioni logiche nei giudizi e l’idealismo trascendentale con l’ultima

fase della produzione kantiana, incentrata alla fondazione della fisica come scienza.

2.1 La Prefazione ai Metaphysische Anfangsgrunde der Naturwissenschaft: il

ruolo della matematica

Sin dalle prime battute dei Metaphysischen Anfangsgründe der

Naturwissenschaft, Kant stabilisce la relazione tra matematica e metafisica per la

costituzione della scienza della natura. E’ opportuno ora tracciare le premesse che Kant

individua per raggiungere questo scopo.

La prima osservazione da svolgere concerne il concetto di natura che Kant

propone e che ha una serie di implicazioni epistemologiche di non poco conto. In prima

istanza per Kant:

La natura, d’altra parte viene considerata anche in senso materiale, non come una

proprietà costitutiva, ma come il complesso di tutte le cose in quanto possono essere oggetto dei sensi – dunque anche dell’esperienza – con cui perciò si intende la totalità dei fenomeni, cioè il mondo sensibile, con l’esclusione di tutti gli oggetti non sensibili.3

È presente qui una posizione epistemologica secondo la quale non esiste una

definizione univoca di natura. Quest’ultima può essere intesa in senso formale

(formaliter) e materiale (materialiter). Nel caso della natura in senso materiale, Kant

propone una visione della natura come totalità dei fenomeni sia del senso esterno sia di

quello interno, costituendo, così, una dottrina dei corpi e una dell’anima.4

La concezione kantiana di “natura” racchiude, dunque, in sé una duplicità di

significato, ma soprattutto un’articolazione secondo la quale essa può essere definita

attraverso l’indissolubile compresenza dei fenomeni del senso esterno e di quello

interno: non si potrebbe dare natura, in senso materiale, senza considerare il soggetto

pensante e senziente, da un lato, e gli oggetti dell’esperienza, dall’altro, riuniti in un

sistema capace di svelare la possibilità della loro connessione.

3 I. Kant, Metaphysische Anfangsgrunde der Naturwissenschaft, KGS IV (MAN); trad. it. P. Pecere (a cura di), Principi metafisici della scienza della natura, Milano 2003, p. 467. Accolgo qui la traduzione adottata da Pecere “Principi metafisici della scienza della natura”, anziché “Primi principi metafisici della scienza della natura”. 4 Proprio a partire da questa distinzione alcuni, tra cui D. Drivet, hanno prospettato un’interpretazione per la collocazione all’interno del sistema kantiano del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, che rappresenterebbe uno sviluppo della parte dedicata alla Dottrina dell’anima. Cfr. D. Drivet, La genesi dell’Opus Postumum di Kant. Un dato filologico importante, in Studi Kantiani, XV, Pisa 2002, pp. 127-163. Per il momento si noti la congruenza con quanto si legge in Opus postumum, KGS XXI, p. 458.

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Questa sfida presenta una difficoltà: laddove si pensi la natura come totalità, si

deve pensare anche l’intelligenza inserita in essa. Tuttavia, qualsiasi analisi del

complesso di tutte le cose compiuta dalla ragione umana è pur sempre compresa entro la

totalità stessa. Come si è anticipato nel capitolo precedente, a proposito dell’oggetto

della fisica, si pone qui un problema circa la possibilità di conoscere la natura e di poter

dire qualcosa su di essa secondo giudizi sintetici a priori da parte del soggetto inserito

entro un sistema di forze e nessi causali.

A questa difficoltà Kant risponde con una divisione della scienza della natura in

una parte pura e in una empirica. La parte pura di essa corrisponde alla metafisica della

natura che viene delineata come scienza che procede a priori per giudizi analitici

secondo leggi necessarie.5

In tal modo, in conformità alla concezione kantiana di sistema come un tutto

che può accrescersi dall’interno, la scienza della natura propriamente detta presuppone,

dunque, una parte pura esposta senza alcuna mescolanza con quella empirica, così da

poter determinare fino a che punto la ragione possa spingersi e dove cominci ad aver

bisogno dell’aiuto di principi empirici.

Alla parte empirica è lasciato il compito di arricchire e di

condurre indagini sulla natura puramente secondo leggi empiriche, che prendono in

considerazione concetti empirici, in particolare quello di movimento, attraverso cui può

essere data, sotto un certo rispetto, l’esibizione nell’intuizione del concetto della

metafisica della natura.

6

Secondo Kant, infatti:

La scienza della natura che debba propriamente dirsi tale presuppone prima di tutto una metafisica della natura; infatti le leggi, cioè i principi della necessità di ciò che appartiene all’esistenza di una cosa, si occupano di un concetto che non si lascia costruire, perché l’esistenza non può essere rappresentata a priori in nessuna intuizione.7

Questa distinzione introduce una discriminante perché si dia scienza della

natura: la presenza della matematica nella sua costituzione. Quest’ultima supplisce alla

mancanza della costruzione diretta del concetto di materia in generale. La metafisica,

grazie al processo divisorio e all’applicazione dei concetti di riflessione, accompagnata

alla matematica, fornisce la base per la costruzione di un concetto di un oggetto le cui

leggi necessarie delle proprietà della sua esistenza procedono solo da concetti.

5 Cfr. Falkenburg (1987), p. 50: “Kant ist oft vorgeworfen worden, diese Konstruktion des Materiebegriffs sei nicht synthetisch, sondern analytisch, weil er aus der empirischen Beschaffenheit der Materie (z. B. ihrer Undurchdringlichkeit und Schwere) die entsprechenden begrifflichen Prädikate deduziere […]“. 6 Cfr. MAN, KGS IV, p. 469. 7 MAN, KGS IV, p. 469.

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Per distinguere il ruolo della matematica, in prima istanza per via negativa, e per

gettare luce su aspetti epistemologici presenti sia nei Metaphysische Anfangsgründe der

Naturwissenschaft che nell’Opus postumum, è necessario chiarire se la filosofia

kantiana consenta che la metafisica determini a priori concetti che sono rivolti

all’esperienza, cioè che trovano applicazione a casi occorrenti nell’esperienza.

La trattazione del problema epistemologico dell’esibizione del nesso o del

passaggio dall’a priori all’empirico è un percorso obbligato nel quadro della filosofia di

Kant, oltre che rappresentare un buon filo conduttore per affrontare le pagine

manoscritte dell’Opus postumum.

Nella Kritik der Urtheilskraft, i principi trascendentali vengono confrontati con i

principi metafisici, i quali svelano una natura differente rispetto ai primi ed assumono

una rilevanza sistematica nel pensiero kantiano:

Un principio trascendentale è quel principio con il quale è rappresentata la condizione universale a priori sotto di cui, soltanto, le cose possono diventare oggetti della nostra conoscenza in genere. Un principio si chiama invece metafisico, se esso rappresenta la condizione a priori sotto di cui, soltanto, possono essere ulteriormente determinati a priori oggetti il cui concetto deve essere dato empiricamente.8

Un particolare aspetto di questo problema investe la possibilità da parte della

filosofia trascendentale di fondare una metafisica della natura capace, a sua volta, di una

classificazione dei fenomeni e delle leggi empiriche della fisica.

Se nella filosofia kantiana non si può parlare di una costruzione filosofica dei

concetti vera e propria, non si può d’altra parte ignorare che, nel dominio per eccellenza

della ragione, cioè nella metafisica, vi sia un metodo di determinazione ed esibizione di

un concetto dato in una intuizione a priori: nel caso della metafisica della natura si

ritrova l’intento di costruire il concetto di materia in generale (Materie überhaupt).

Sebbene Kant, infatti, non abbia esplicitato una dottrina o un metodo per

costruire filosoficamente il concetto di un oggetto in generale, la sua metafisica mostra

come egli abbia voluto perseguire una esibizione della forma del contenuto dei concetti,

come quello della materia, attraverso la costruzione del movimento, nell’ambito della

metafisica della natura, o quello di diritto nell’alveo della metafisica dei costumi.

La costruzione metafisica del concetto di materia in generale costituisce la pietra

dello scandalo della filosofia critica laddove è proprio il procedere discorsivo della

8 Cfr. KdU , KGS V, p. 181.

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filosofia ad escludere dal suo dominio la costruzione, che invece è il metodo proprio

della matematica.9

La letteratura secondaria sull’argomento ormai concorda sul fatto che la

costruzione metafisica del concetto di materia nei Metaphysische Anfangsgründe der

Naturwissenschaft non è altro che una esibizione di rapporti tra predicati contenuti in

alcuni concetti dati alla ragione che mira alla fondazione di primi principi metafisici e

che, dunque, deve basarsi sugli elementi a priori del giudicare.

Il primo aspetto da considerare circa la costruzione del concetto di materia è il

fatto che Kant ricorra alla determinazione del concetto empirico di movimento, che è un

predicabile. Il secondo aspetto riguarda la determinazione sul piano ontologico del

concetto di materia attraverso lo strumento della matematica. Proprio questa è la ragione

plausibile per cui Kant scelse di definire in termini di ‘costruzione’ l’esibizione del

concetto di materia.

Una delle prime interpretazioni più note dell’argomento è stata proposta da P.

Plaass in Kants Theorie der Naturwissenschaft. Plaass ritiene che la concezione

kantiana della costruzione metafisica (metaphysische Konstruktion) abbia giocato un

ruolo fondamentale per la costruzione della materia, proprio attraverso il concetto di

movimento.10 Questa particolare costruzione non sarebbe altro, infatti, che una

esibizione (Darstellung) di rapporti specifici legati al moto, sebbene Kant non li abbia

mai definiti chiaramente.11

Anche B. Falkenburg si è soffermata sulla costruzione metafisica del concetto di

materia e propone una tesi particolarmente interessante circa l’esistenza di un legame

profondo e sistematico tra concetti di riflessione di forma e materia e la costruzione

metafisica del concetto di materia.

12

Il problema con cui si misura Kant nel 1786 è, secondo Falkenburg, quello di

provare la fondazione dei principi a priori che la fisica può solamente postulare. Per

risolvere questo problema, Kant ricorre alla costruzione del concetto di materia in

generale, che passa per la costruzione del movimento secondo le funzioni logiche nei

giudizi:

9 Cfr. KrV, A713/B741 segg. 10 P. Plaass, Kants Theorie der Naturwissenschaft, Göttingen 1965; trad. ingl. Kant’s theory of natural science, a cura di A. e M. Miller; Introduzione di Carl Friedrich von Weizsacker, Boston 1994, p. 63. 11 Plaass (1994), pp. 67e segg. 12 Falkenburg (1987), pp. 49-51; 54-55.

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Foronomia secondo Quantità

Il predicato della mobilità nello

spazio secondo la sua quantità è la

velocità relativa. La materia è

considerata come un punto materiale.

Dinamica secondo Qualità

I predicati dell’impenetrabilità e

della pesantezza vengono determinati

attraverso la forza di attrazione e

repulsione che riempie lo spazio. La

materia ha dimensioni,

impenetrabilità e pesantezza.

Meccanica secondo Relazione

Il predicato di una forza motrice

attraverso cui diversi corpi materiali

agiscono esternamente l’uno

sull’altro. Qui viene inserito il

concetto di massa e la discussione

delle leggi di Newton.

Fenomenologia secondo Modalità

I predicati di possibilità, realtà e

necessità di diversi movimenti

relativi.

Rispetto a questa lettura di Falkenburg,13

Il legame che questa ricerca istituisce tra il metodo divisorio e l’applicazione dei

concetti di riflessione si basa non solamente sull’importanza che la trattazione dei

concetti i riflessione ricopre nella Critica della ragione pura, ma anche sul riscontro di

numerosi passi riferiti esplicitamente all’anfibolia dei concetti di riflessione che sono

contenuti nel Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica.

la presente ricerca tenta un passo

ulteriore: mostrare come Kant segua tutti i concetti di riflessione nella determinazione

del concetto di materia in generale.

14

13 Falkenburg (1987), pp. 49-50. Falkenburg ritiene che la divisione riportata segua le categorie, in realtà si vede che sono le funzioni logiche nei giudizi a determinare la qudripartizione. All’interno delle sezioni è poi riscontrabile un riferimento alle categorie.

In queste occorrenze Kant ritiene indispensabile tale richiamo per evitare che si tratti la

materia cosmica meccanicamente, come ad esempio fece Eulero, bensì dinamicamente.

14Cfr. Opus postumum, KGS XXI, pp. 43; 545; 637; 643; KGS XXII, pp. 556; 105; 565; 558; 570; 489; 321; 326; 343; 353; 331; 339; 322-323; 313; 315; 291; 295; 290; 285-286; 308.

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Risulta, dunque, di una certa rilevanza affrontare in via preliminare questi argomenti

prima di accedere alla metafisica della natura vera e propria.

Tuttavia, se si analizza più da vicino la costituzione dei principi metafisici, si

scorge l’insufficienza di considerare solamente il loro legame con i concetti di

riflessione, occorre affrontare e sciogliere il nodo della possibilità di una determinazione

a priori di concetti, il cui oggetto non può essere dato direttamente nell’intuizione,

eppure essi devono avere un riscontro empirico, grazie a un predicabile. Per tale ragione

oltre che ai concetti di riflessione, la metafisica kantiana segue un metodo, quello della

divisione metafisica dei concetti (metaphysische Eintheilung) per la promozione della

completezza e della sistematicità della conoscenza.

Nel caso della divisione metafisica, Kant utilizza concetti tra loro opposti

contraddittoriamente. Questo accade in virtù del fatto che la divisione metafisica ha una

pretesa di determinazione delle relazioni che riguardano la realtà dei predicati del

concetto diviso, che ha un oggetto corrispondente.15

Della divisione (Eintheilung) Kant parla esplicitamente nelle sue lezioni di

logica,

16

nell’ambito della Dottrina generale del metodo:

Ogni concetto contiene sotto di sé un molteplice, in quanto molteplice di elementi concordanti, ma anche in quanto molteplice di elementi discordanti. La determinazione di un concetto rispetto a tutto il possibile che è contenuto sotto di esso, nella misura in cui gli elementi del possibile sono opposti fra loro, cioè si distinguono fra loro, si chiama divisione logica del concetto. Il concetto superiore si chiama concetto diviso (divisuum) e i concetti inferiori si chiamano membri della divisione (membra dividentia).17

Differenti divisioni di un concetto possono essere codivisioni o suddivisioni e

possono entrambe procedere all’infinito.18

Quando però la divisione assume una forma

a due o più membri Kant diventa più esplicito circa lo statuto del metodo divisorio:

Una divisione in due membri si chiama dicotomia, ma se ha più di due membri si dice politomia. 1. Ogni politomia è empirica; la dicotomia è l’unica divisione basata su principi a priori, quindi è l’unica divisione primitiva. Infatti i membri della divisione devono essere opposti tra loro, e l’opposto di ogni A non è altro che non A. 2. La politomia non può essere

15 Si noti che, nella misura in cui il concetto metafisico deve essere rivolto all’esperienza o fenomenica, come nel caso delle forze della materia, o noumenica, laddove nella dimensione della morale entri in gioco il Faktum der Vernunft, la libertà, il riferimento alla realitas noumenon non viene precluso ai concetti di riflessione, purché non si attui un’anfibolia di essi, ovvero non si scambi la fonte conoscitiva da cui sorge il concetto di un oggetto e si rispetti la distinzione tra fenomeno e noumeno sulla base dell’idealismo trascendentale. 16 Cfr. Kant, Logik Jäsche, KGS IX, pp. 146-147; trad. it., Logica. Un manuale per lezioni, a cura di M. Capozzi, Napoli 1990. 17 Logik Jäsche, KGS IX, p.146. 18 Logik Jäsche, KGS IX, p. 147.

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insegnata in logica perché per questo occorre una conoscenza dell’oggetto. Ma la dicotomia ha bisogno solo del principio di contraddizione, senza conoscere quanto a contenuto il concetto che si vuole dividere. La politomia ha bisogno di intuizione, o a priori, come in matematica (ad esempio la divisione delle sezioni coniche), o di intuizione empirica, come nella descrizione della natura. Tuttavia la divisione condotta a partire dal principio della sintesi a priori presenta una tricotomia, cioè: 1) il concetto come condizione, 2) il condizionato e 3) la derivazione del secondo dal primo.19

Nella Rechstslehre Kant definisce la divisione metafisica (metaphysische

Eintheilung) come una politomia, che indica la divisione di un concetto della ragione.

Questa divisione è una politomia del concetto a quattro termini, cioè è una tetracotomia,

in cui si trovano i primi due termini derivati da una divisione analitica primitiva o logica

e altri due che esibiscono le condizioni di possibilità per la connessione dei due

predicati compresi sotto il concetto.

Ora i predicati vengono connessi secondo un rapporto di fondamento-

conseguenza (Grund-Folge), per esibire la condizione di possibilità che sta a

fondamento della realtà dell’oggetto del concetto. Tale realtà è una posizione di natura

relativa e dinamica, mai assoluta, e la metafisica purificata da ogni dogmatismo ha il

compito di esibire i rapporti reciproci di fondamento e conseguenza da cui scaturisce la

determinazione del concetto. Il primo passo, dunque, per costruire un concetto in

metafisica non consiste nell’esibire immediatamente i predicati in esso contenuti, bensì

nel ricondurre il fondamento della realtà di quei predicati sotto principi di possibilità

dell’esperienza in modo da costruire l’accordo tra questo fondamento e il concetto

stesso:

Come noi, nella matematica pura, non deduciamo immediatamente dal concetto le

proprietà del suo oggetto, ma possiamo scoprirle solo attraverso la costruzione del concetto, così non è il concetto del diritto, ma piuttosto la coazione assolutamente reciproca ed uguale, ricondotta sotto leggi universali e che si accordi con esso, quella che permette l’esibizione di tale concetto. Poiché però nella matematica pura (ad esempio nella geometria) a fondamento di questo concetto dinamico ne sta ancora uno semplicemente formale, la ragione ha avuto cura di provvedere per quanto possibile anche l’intelletto di intuizioni a priori, per la costruzione del concetto di diritto.20

Agli occhi di Kant non sarebbe possibile alcuna costruzione di concetti in

metafisica, pena il ricadere nel dogmatismo, senza la dottrina dell’idealismo

trascendentale e il presupposto filosofico kantiano, secondo cui la realtà non è mai una

posizione assoluta, ma relativa, ed è possibile esibirla per noi solamente se tradotta in

19 Logik Jäsche, KGS IX, pp. 147-148. 20 Kant, Metaphysische Anfangsgründe der Rechtslehre (RL), KGS VI, p. 233; trad. it. Primi principi metafisici della dottrina del diritto, a cura di F. Gonnelli, Bari 2005.

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termini relazionali, ovvero sotto leggi universali dell’azione reciproca tra i corpi.

Proprio questa comunanza costituita da rapporti reciproci attivi ed effettivi è il

presupposto metafisico per eccellenza della filosofia kantiana, rintracciabile sia negli

scritti morali che teoretici.

Qualsiasi concetto posto ad oggetto dell’indagine metafisica deve comprendere

in sé una sintesi che appartiene alla possibilità dell’esperienza, cioè deve comprendere

l’articolazione dei rapporti reciproci attivi da cui il suo oggetto o il suo corrispettivo

nell’intuizione può sorgere e che costituiscono le sue condizioni di possibilità sotto un

principio universale e necessario della ragione.

L’esplicazione del rapporto di fondamento-conseguenza tra questi rapporti

reciproci e i principi universali della ragione costituisce l’unica via possibile per una

costruzione indiretta e filosofica di concetti. A tale scopo, Kant si serve di un tipo

particolare di metodo divisorio.

Al contrario di quelle divisioni del concetto, che Kant chiama trascendentali o

tricotomiche, di natura sintetica,21 la divisione metafisica ha una natura analitica e

sintetica insieme, cioè chiarisce i rapporti reciproci attivi tra i predicati contenuti sotto il

concetto diviso e guarda anche al contenuto, alla materia di esso. Proprio per la sua

funzione di chiarire non semplicemente l’appartenenza o meno di predicati a un

concetto, ma i rapporti reciproci tra essi, la divisione metafisica si differenzia quindi

dalla divisione logica o dicotomica,22 in quanto prevede una conoscenza indiretta

dell’oggetto del concetto, con il ricorso ad una intuizione a priori o empirica,23

La divisione metafisica esibisce, quindi, i predicati dei rapporti reciproci attivi

reali, compresi sotto il concetto dell’oggetto, a cui non corrisponde un’intuizione

sensibile, se non negli effetti che tale oggetto produce nel mondo. Riguardo alla

divisione metafisica del concetto di diritto, ad esempio, Kant si esprime come segue:

e

l’ampliamento del contenuto concettuale, grazie alla determianzioni di rapporti che non

sono immediatamente contenuti sotto di esso.

Ma la partizione di cui qui si tratta, ossia la partizione metafisica, può essere anche una

tetracotomia; perché, oltre ai due membri semplici della partizione, si aggiungono ancora due rapporti, ossia quelli delle condizioni limitative del diritto, sotto le quali l’un diritto entra in connessione con l’altro; rapporti la cui possibilità richiede una indagine particolare.24

21 KdU, KGS V, p. 198 nota. 22 Logik Jäsche, pp. 147-148. 23 KdU, KGS V, 198 nota; Logik Jäsche, KGS IX, p. 147. 24 RL, KGS VI, pp. 357-358.

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Da una parte la garanzia di questo procedimento divisorio risiede nella logica e

nei suoi principi.25

In altre parole, la garanzia della correttezza della costruzione del concetto di

materia in generale risiede nella logica a parte priori, mentre la garanzia della possibile

corrispondenza tra le relazioni dei predicati e la realtà fenomenica (cioè tra a priori ed

empirico) viene fornita dal confronto tra le rappresentazioni e la coscienza del

fenomeno mediante l’atto della riflessione trascendentale e il rispetto delle condizioni di

possibilità dell’esperienza, secondo un principio metafisico della ragione.

Per altro verso la garanzia dell’oggettività dei predicati dipende

dall’atto della riflessione trascendentale e dall’applicazione dei concetti di riflessione.

I concetti, che diventano concetti metafisici, grazie a questo procedimento e al

metodo divisorio metafisico, trovano un corrispettivo nell’intuizione, che deve essere

pensato secondo un principio della ragione. Per la metafisica è possibile una costruzione

dei concetti, ovvero un’esibizione del concetto in una intuizione a priori, come emerge

dal passo seguente tratto dalla Rechtslehre:

La legge di una coazione reciproca che si accordi con la libertà di ciascuno, sotto il principio della libertà universale, è in certo qual modo la costruzione di quel concetto, ossia la sua esibizione in una intuizione pura a priori, secondo l’analogia della possibilità del moto libero dei corpi sotto la legge della eguaglianza di azione e reazione.26

Questo passaggio fornisce un’indicazione importante sul metodo kantiano per la

costituzione della metafisica della natura. Sebbene la ragione umana utilizzi la

matematica come strumento per la costituzione della fisica come scienza, il fondamento

per la sua realizzazione è di natura filosofica.

Nel caso della costruzione del concetto della materia in generale ci si trova di

fronte ad una esibizione in una intuizione a priori (quella dello spazio) del fondamento

contenuto nella sua conseguenza empirica, come è il moto libero dei corpi, ovvero il

rapporto reciproco attivo delle forze motrici. L’esibizione nell’intuizione pura della

possibilità del moto libero dei corpi, secondo il principio dell’azione e reazione, è

possibile solamente attraverso la matematica.

La metafisica, perciò, deve essere in grado di servirsi della matematica per dare

certezza apodittica ai principi della scienza della natura. Tuttavia la scienza dei principi

della ragione assume ad oggetto concetti supremi del conoscere umano, la cui

25 Logik Jäsche, KGS IX, pp. 146-147. 26RL, KGS VI, p. 232.

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determinazione deve tener conto delle condizioni di possibilità dell’esperienza. I

principi metafisici devono rispondere a questa necessità.

Sebbene la trattazione kantiana non sia immediatamente chiara sulla possibilità

di un metodo proprio della metafisica, è possibile riscontrare come ci sia un’intima

connessione tra i concetti di riflessione, l’attività del giudicare e la divisione metafisica

dei concetti. Ciò che permette la realizzazione della divisione metafisica, diversa da

quella logica, che è sempre analitica e dicotomica, sono proprio i concetti di

riflessione,27

che svelano la loro natura di canone per la metafisica. Secondo Kant

infatti:

Poiché tuttavia quando si tratta non già della forma logica, bensì del contenuto dei concetti – cioè, di vedere se le cose siano identiche oppure diverse, in accordo oppure in contrasto, ecc. – le cose possono avere una duplice relazione con la nostra facoltà conoscitiva, ossia possono essere in rapporto con la sensibilità e con l’intelletto, e poiché d’altronde il modo in cui esse debbono appartenere l’una all’altra dipende da questa posizione, in cui rientrano, in tal caso la riflessione trascendentale – cioè il rapporto di rappresentazioni date con l’uno o l’altro modo di conoscenza – potrà essa sola determinare la relazione reciproca [corsivo mio ] di tali rappresentazioni.28

I rapporti reciproci attivi delle rappresentazioni contenute nel concetto di ragione

possono essere determinati nella costruzione del concetto esclusivamente attraverso la

riflessione trascendentale.29

Un atto, quest’ultimo, che Kant definisce come “dovere da cui nessuno può

esimersi, quando si vuol formulare un qualche giudizio a priori sulle cose”.

30

27 Alcuni studi sulla teoria kantiana dei concetti di riflessione sono stati condotti da P. Reuter, Kants Theorie der Reflexionbegriffe, eine Untersuchung zum Amphiboliekapitel der Kritik der reinen Vernunft, Würzburg 1989, e da von Stefan Heßbrüggen, Topik, Reflexion und Vorurteilskritik: Kants Amphibolie der Reflexionsbegriffe im Kontext, in Archiv für Geschichte der Philosophie, 2004, pp. 146-175. Oltre a sostenere l’oscurità della sezione dell’Anfibolia e le difficoltà da parte della critica di spiegare i concetti di riflessione, von Stefan Heßbrüggen lega la riflessione trascendentale e i concetti di riflessione alla teoria logica dei pregiudizi, affermando che questo è l’unico modo per comprenderne la natura.

In primo

luogo, questo atto contiene il fondamento della possibilità della comparazione oggettiva

delle rappresentazioni tra loro e fornisce di fatto un canone per la determinazione dei

concetti metafisici. In secondo luogo, la riflessione trascendentale permette la

correttezza di una topica trascendentale, la quale contiene le quattro coppie dei concetti

28 KrV, A262/B318. 29 Cfr. KrV, A262-263/B318-319. In questo luogo, Kant distingue la riflessione trascendentale (reflexio) da quella logica, affermando che quest’ultima è una semplice comparazione (comparatio), dato che in essa si astrae dalla facoltà conoscitiva, cui appartengono le rappresentazioni date, che vanno considerate come omogenee. Invece, la riflessione trascendentale contiene il fondamento della possibilità della comparazione oggettiva delle rappresentazioni tra loro, che appartengono a una diversa facoltà conoscitiva. 30KrV, A264/B319.

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di riflessione. Questi titoli (Titeln) si differenziano dalle categorie “per il fatto che

mediante essi non viene presentato l’oggetto secondo ciò che costituisce il suo concetto

(quantità, realtà), ma viene presentato soltanto, in tutta la sua varietà, il confronto delle

rappresentazioni che precede il concetto delle cose”.31

Dunque, prima di costituire qualunque giudizio su un oggetto dell’esperienza

possibile, Kant invoca il ricorso ai concetti di riflessione. La loro trattazione fornisce un

indizio in più sulla possibile fondazione della metafisica come scienza. La riflessione

trascendentale e i concetti di riflessione, infatti, sono la pietra di paragone per il corretto

uso dell’intelletto e orientano la corretta determinazione della relazione delle

rappresentazioni con la coscienza, conducendo alla modalità del sapere della Gewissheit

indispensabile nella dimensione della metafisica della natura e nella fisica,

32 ma anche

della storia degli uomini.33

31 KrV, A269/B325. Cfr. M. Kugelstadt, Synthetische Reflexion: zur Stellung einer nach Kategorien reflektierenden Urteilskraft in Kants theoretischer Philosophie , in Kant-Studien.132 Berlin 1998.

32 La certezza logica (logische Gewissheit) incarna la perfezione logica secondo modalità, essa possiede dunque un intrinseco legame col giudicare, in quanto ne costituisce il fondamento. Per la definizione dei diversi modi di Gewissheit cfr. Logik Jäsche, KGS IX, pp. 70-73. Cfr. M. Capozzi, Kant e la logica, Napoli 2002, pp. 571-573; sulle diverse modalità del tener per vero, cfr. KdU, KGS V, pp. 467 segg.; sull’applicazione delle diverse modalità del sapere alla scienza della natura in rapporto all’analogia, cfr. M. Capozzi, Matematica e metafisica nella “Naturgeschichte” di Kant, in Studi filosofici 1977-78, Siena 1978, pp. 87-130; sull’importanza di questo argomento per l’epistemologia kantiana cfr. P. Grillenzoni, Kant e la scienza, Milano 1998, pp. 301-302. 33 Nel passo della Reflexion che segue, Kant fa riferimento a Bacone non solo come il sostenitore del metodo scientifico, basato sull’osservazione e l’esperimento, ma anche come colui che ha inaugurato l’epoca moderna della scienza attraverso lo strumento dell’analogia. In questo contesto Kant poi traccia i caratteri fondamentali della scienza, astraendo da una scienza particolare. L’essenza della scienza consiste nel suo distanziarsi dalla mera opinione attraverso la certezza (Gewissheit) che consiste nell’immutabilità del tener per vero, che, nel caso della scienza della natura, assume un carattere oggettivo, accompagnato dalla coscienza, divenendo sapere (Wissen). Cfr. Handschriftlicher Nachlaß, KGS XVIII, pp. 287-288: “Unser Zeitalter ist das Zeitalter der Kritik, d.i. einer (scharfen) Beurteilung des Fundaments aller Behauptungen, zu welcher uns die Erfahrenheit langer Zeiten, vielleicht auch die durch den berühmten Baco von Verulam in Gang gebrachte behutsame Nachforschung der Natur durch Beobachtung und Experiment nicht allein in den Behauptungen der Naturwissenschaft, sondern nach der Analogie auch in allen übrigen gebracht hat, von welcher die Alten nichts wussten und so an schwankende Meinungen gewohnt waren. Hierin kann uns schwerlich ein künftiges Zeitalter übertreffen, wen wir gleich von diesen Prinzipien der Sicherlich übertrifft uns hierin kein Vergangenes (Zeitalter), und dieses kann also der (wissenschaftliche) Charakter des unsrigen genannt werden. In aller Wissenschaft ist, wenn wir von Menge von Kenntnissen abstrahieren, ist die Wesentliche Absicht, dass sie sich von der bloßen Meinung unterscheide, mithin die Gewissheit. Die Methode, deren man sich in ihr bedient, ist bloß das Mittel, zu dieser zu gelangen. Gewissheit ist die Unveränderlichkeit der Vorwarhaltens. Unveränderlich aber ist das Vorwarhalten entweder objektiv: wenn wir erkennen, dass kein überwiegender Grund zum Gegenteil an sich möglich sei, oder subjektiv: wenn wir überzeugt sind, dass weder wir noch irgend ein Mensch jemals größerer Gründe zum Gegenteil habhaft werden könne. Das (mit Bewusstsein) unveränderliche Vorwarhalten ist Wissen, das subjektiv unveränderliche Vorwarhalten Glauben. Das zwar Vorwarhalten mit dem Bewusstsein seiner Veränderlichkeit ist Meinen. Beispiel an der Geschichte. Das Wort Glauben kann entweder in Ansehung die Quelle unserer Erkenntnis oder die Art und den Grad des Vorwarhaltens derselben bedeuten. In der ersteren Bedeutung kann keine Erkenntnis durch der Geschichte anders als durch ein Zutrauen zu Zeugnissen anderer, d.i. dadurch, dass wir anderen Glauben, entspringen. In der zweiten Bedeutung kann eine Geschichtskunde allerdings ein Wissen sein und bedarf es nicht, dem Grade des Vorwarhaltens nach von der eigenen Erfahrung, der sie den Namen des Wissens nicht streiten, unterschieden zu durch die Benennung des Glaubens unterschieden zu werden. So weiß man, dass ein

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La dimensione fortemente storica della scienza e del suo metodo, di ispirazione

baconiana, non preclude a Kant la possibilità di rinvenire gli elementi a priori sulle cui

fondamenta può costruirsi una solida metafisica della natura.

Il famoso passo kantiano secondo cui “in ogni dottrina particolare della natura si

può trovare tanta scienza propriamente detta, quant’è la matematica che vi si trova”,34

La metafisica, infatti, permette che sia possibile la conoscenza di alcuni oggetti

solo in base al loro semplice concetto, ma nella scienza della natura si ha a che fare con

leggi che si riferiscono a oggetti fisici esistenti. Per questo non può darsi una dottrina

dei corpi in base alla sola metafisica, ma questa è possibile solo attraverso la

matematica,

richiede che venga data a priori l’intuizione corrispondente al concetto di materia in

generale, cioè che esso venga costruito.

35

Nonostante questi passi siano stati tra i più commentati della produzione

kantiana, non è stato rilevato, neppure da K. Pollok, che più che del rapporto tra scienza

della natura e matematica, in queste pagine Kant si occupa della differenza, ma anche

della medesima origine, della matematica e della metafisica.

ovvero a quanta parte di essa può essere applicata nella dottrina della

natura (Naturlehre).

Solo a partire da questa osservazione si può dare conto del perché gli scienziati

usino concetti e principi metafisici per la costituzione della scienza della natura. Il

sostrato comune alla metafisica e alla matematica risiede, secondo Kant, nella capacità

di rappresentare le intuizioni formali di spazio e tempo come quanta, come due

grandezze omogenee e continue: in ciò risiede la condizione di possibilità per la loro

discretizzazione,36

Su questo punto, che ha evidenti ricadute sullo statuto della matematica, si snoda

la sotterranea e potente critica a Newton. Come si mostrerà nei prossimi paragrafi, la

differenza fondamentale con la visione newtoniana della matematica consiste in prima

istanza nel fatto che, per Kant, la geometria non era una branca speciale della

per una distinzione dello spazio geometrico da quello fisico e per una

duplice trattazione dei fenomeni naturali legati al moto, ovvero la trattazione statica e

quella dinamica.

Ludwig XIV. gelebt hat, ebenso sicher als ob er ihn selbst gesehen hätte, und so ist ein guter Teil der Geschichte wahre Wissenschaft; das Vorwarhalten ist darin objektiv unveränderlich. Es ist unmöglich, dass jemals hinreichende Gründe zum Gegenteil desselben”. 34 MAN, KGS IV, p. 470. 35 MAN, KGS IV, p. 470. 36 Cfr. K. Pollok, Kants „Metaphysische Anfangsgrunde der Naturwissenschaft“. Ein kritischer Kommentar , Hamburg 2001, pp. 219 segg.; cfr. KrV, B207-208; cfr. Infra, §2.3.

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57

meccanica,37

La differenza con Newton è però evidente, laddove Kant attua un rovesciamento

della sua posizione, indicando la Foronomia come una scienza “ponte” tra la

matematica e la fisica. Questa è, cioè, la dottrina pura della quantità del movimento che

può essere universalmente applicata al moto dei corpi grazie alla geometria e

all’algebra. Pollok suggerisce che la Foronomia, occupandosi del movimento come

quantum, abbia per oggetto un composto omogeneo, a cui poi verrebbero applicate

grandezze determinate, cosicché le quantità algebriche impiegate in meccanica

presuppongono un quantum come condizione della loro realtà oggettiva.

e, in secondo luogo, nel fatto che la matematica traeva la sua fondazione

su principi a priori della ragione umana.

Del fatto che a Kant premesse in via preliminare una distinzione tra matematica

e metafisica si ha evidenza dal passo dedicato alla definizione della metafisica e al suo

carattere di completezza, che invece la matematica non può avere.

Nella Prefazione, quindi, Kant ribadisce l’infinita possibilità di estensione per la

matematica e la scienza empirica della natura, di contro alla completezza della logica.

Questa premessa risulta di grande importanza al fine di comprendere la strategia

kantiana per la costituzione della fisica come scienza e per la definizione della possibile

interazione tra filosofia e scienza.

Come lo stesso Kant sostiene nei Principi metafisici della scienza della natura,

in particolare nella Dinamica, la determinazione di alcuni caratteri specifici della

materia, come la sua divisibilità, è un compito della fisica che poggia però su principi

metafisici e non matematici. Il prossimo paragrafo offre l’esempio concreto di questa

fondazione che rende possibile l’applicazione della matematica alla fisica e del ruolo

della Dialettica trascendentale come catartico della ragione, nonché della logica come

canone della filosofia.

37 Cfr. Jammer (1993), pp. 96-97. Cfr. F. Cajori, Sir Isaac Newton’s Mathematical principles of natural philosophy and his System of the World, Berkeley 1934, p. xvii: “Therefore geometry is founded in mechanical practice, and is nothing but that part of universal mechanics which accurately proposes and demonstrates the art of measuring”. Ancora più avanti, p. xvii, si legge: “For the description of right lines and circles, upon which geometry is founded, belongs to mechanics. Geometry does not teach us to draw these lines, but requires them to be drawn, for it requires that the learner should first be taught to describe these accurately before he enters upon geometry, then it shows how by these operations problems may be solved. To describe right lines and circles are problems, but not geometrical problems. The solution of these problems is required from mechanics, and by geometry the use of them, when so solved, is shown”.

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2.2 Il progresso in infinitum, ad infinitum, in indefinitum. Matematica e

metafisica per la scienza della natura

Nell’Estetica trascendentale Kant offre la seguente definizione dello spazio,

come risultato di una sintesi ad infinitum esercitata per rappresentare l’intuizione del

senso esterno:

Lo spazio è rappresentato come un’infinita grandezza data. Orbene è vero che si deve pensare ogni concetto come una rappresentazione, la quale è contenuta in un numero infinito di differenti rappresentazioni possibili (come la loro caratteristica comune), e quindi comprende sotto di sé tali rappresentazioni, ma nessun concetto in quanto tale, può essere pensato come se contenesse in sé un numero infinito di rappresentazioni. Eppure lo spazio viene pensato a questo modo (poiché tutte le parti dello spazio, sino ad un numero infinito, sussistono simultaneamente). La rappresentazione originaria dello spazio è dunque un’intuizione a priori, e non un concetto.38

Lo spazio è determinato nella sua specifica natura di essere intuizione formale e

forma dell’intuizione, caratterizzato, in quanto intuizione, da una particolare

articolazione del rapporto tra il tutto e le sue parti, secondo un ordine della

composizione sintetica. Lo spazio, però, non può essere oggetto di conoscenza diretta.

La sintesi ad infinitum che lo caratterizza, quando lo si consideri nella forma della

connessione tra le sue parti e il suo essere una singolarità, cioè un unicum, non è la

stessa che ci si trova di fronte nel processo conoscitivo del movimento e dei fenomeni

della natura.

Per costituirsi a sistema, la scienza della natura deve rispondere a principi di

unità della ragione e, soprattutto, essendo un sistema, deve poter trattare leggi empiriche

e a priori dell’intelletto come sue parti a cui applica una sintesi regressiva o progressiva

tra condizione e condizionato. Tale sintesi, che costituisce una serie (Reihe), segue una

regola che è distinta da quella della matematica. Di questo Kant ci da un chiaro esempio

nella Dialettica trascendentale, in particolare quando parla delle Antinomie della

ragione pura, che di fatto si occupano dell’idea che più preme in sede di metafisica

della natura, quella di Mondo:

A questo scopo, orbene, occorre anzitutto determinare esattamente la sintesi di una serie, in quanto non è mai completa. Ci si serve comunemente a questo proposito di due espressioni che vogliono distinguere qualcosa, senza che si sappia indicare chiaramente il fondamento di tale distinzione. I matematici parlano unicamente di un progressus in infinitum.

38 KrV, B40.

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59

Gli indagatori dei concetti (filosofi) ammettono invece soltanto l’espressione: progressus in indefinitum.39

Siamo di fronte a tre tipi di sintesi: quella che riguarda la rappresentazione di un

dato, cioè di una condizione (lo spazio come forma dell’intuizione), procede ad

infinitum; quella che riguarda il progresso nella serie dal condizionato che può essere

dato (dabile) e che può essere definita sia in indefinitum che in infinitum; infine quella

che ascende dal condizionato alle condizioni che può essere un regresso all’infinito (in

infinitum) o che si può estendere indefinitamente (in indefinitum).40

Sebbene non sia possibile trattare il Mondo (die Welt) come un tutto, secondo

quantità, è però possibile trattare le leggi dell’intelletto sul Mondo secondo quantità. In

sostanza è possibile applicare principi di ragione alle leggi del moto di Newton e, in

virtù della possibilità di trattare sia come quantum che come quantità il movimento dal

punto di vista matematico, è altresì possibile una scienza come la Foronomia posta alla

base della Meccanica. Ma questa possibilità risiede in ultima analisi sulla peculiare

costituzione dello spazio e del tempo e sul legame intrinseco che queste forme

intrattengono con il predicabile della materia, ovvero il concetto empirico di

movimento. Nel caso della metafisica della natura questo legame, proprio in virtù della

doppia natura di intuizioni formali e forme dell’intuizione dello spazio e del tempo,

traccia la differenza fra il corpo fisico e quello matematico:

Ein physischer Körper ist der welcher nur durch Erfahrung erkennbar ist. Ein

mathematischer der a priori als beschränkter Raum nach den 3 Abmessungen erkannt wird. Der erstere setzt den letzteren voraus.41

Laddove si voglia conoscere completamente a priori un oggetto matematico, si

deve considerare la forma che l’intuizione spaziale assume, secondo le tre dimensioni.

Se ci si pone il problema della possibile rappresentazione di un corpo in generale, in

base alla sua semplice possibilità, allora è grazie alla matematica che ciò avviene,

mentre la possibilità di conoscere la sua realtà riposa sull’esperienza e sui principi

dell’intelletto puro. Da un punto di vista puramente matematico, un corpo fisico può

essere determinato a priori, come parte della materia divisa. Per chiarire questo punto

Kant propone un esempio:

39 KrV, A510-11/B538-39. 40 KrV, A511-12/B539-40. 41 Opus postumum, XXI, p. 575.

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60

Riguardo alla divisione di una materia data entro i suoi limiti (un corpo), occorre così dire che essa procede all’infinito. In effetti, questa materia è data totalmente – e quindi assieme a tutte le sue parti possibili – nell’intuizione empirica.42

Questo significa che se la condizione è data come totalità, la sintesi delle sue

parti procede all’infinito (in infinitum), senza trovare un incondizionato nella serie delle

condizioni che sono parti di questo tutto. Al contrario, se ci si trova di fronte ad una

sintesi regressiva dal condizionato alla condizione, e la serie non è data nella sua

totalità, tale sintesi procederà in indefinitum.43

A questo ragionamento Kant aggiunge:

In nessuno dei due casi, né nel regressus in infinitum, né nel regressus in indefinitum, la serie delle condizioni viene considerata come data nell’oggetto in quanto infinita. Non si tratta di cose, che vengano date in se stesse, ma si tratta soltanto di apparenze le quali sono date soltanto nel regresso stesso come condizioni l’una dell’altra.44

Come si nota immediatamente è solo nel caso dell’intuizione dello spazio che si

ha una sintesi ad infinitum, perché lo spazio è una forma dell’intuizione e non un

concetto.45 Infatti, poiché il mondo non può essere dato totalmente, il concetto della

quantità del mondo è dato solamente mediante il regresso, e non può essere dato, in

un’intuizione collettiva prima di questo regresso. Così tale regresso si stende

indeterminatamente, per dare una quantità dell’esperienza, che diventa reale soltanto

mediante questo regresso.46 In sostanza, un progresso della sintesi all’infinito, per

esempio nella divisione, procede finché la si può condurre.47

Dunque non è la divisione

di un corpo in sé, ma la sintesi attuata dal soggetto a poter procedere all’infinito:

Ogni spazio intuito nei suoi limiti è un tutto cosiffatto, le cui parti, nonostante ogni decomposizione, sono ancor sempre spazi. Ogni spazio intuito nei suoi limiti è perciò divisibile all’infinito. Di qui segue altresì, in modo del tutto naturale, la seconda applicazione, quella cioè ad un’apparenza esterna racchiusa nei suoi limiti (corpo). La divisibilità di un corposi fonda sulla divisibilità dello spazio, il quale costituisce la possibilità del corpo come un tutto esteso. Un corpo è quindi divisibile all’infinito, senza che per questo debba constare di un numero infinito di parti. Può sembrare, a dire il vero, che un corpo, in quanto dev’essere rappresentato come sostanza nello spazio, differirà da quest’ultimo, per quanto riguarda la legge della divisibilità dello spazio.48

42 KrV, B541.

43 KrV, A513/B541. 44 KrV, A514/B542. 45 Di per sé sembra prevedere un infinito attuale, che il nostro intelletto non è in grado di cogliere. 46 KrV, A 523-24/B551-52. 47 Tale aspetto ha evidenti ricadute sulla teoria della materia. la divisibilità di essa non le appartiene ontologicamente, così come da un punto di vista epistemologico la si può pensare costituita da particelle elementari, finché non si trova un membro ulteriore della divisione. Questa posizione affonda le sue origini già in F. Bacon, Novum Organum, II, p. 8. Cfr. infra, capitolo V. 48 KrV, A525/B553.

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Tuttavia il ragionamento kantiano non esclude assolutamente la possibilità di

pensare uno spazio fisico diverso da quello geometrico, né la possibilità di determinare

e di conoscere un corpo fisico, non determinandolo secondo le sole proprietà dello

spazio geometrico. La soluzione kantiana si presenta così in queste pagine della

Dialettica trascendentale:

La divisione infinita designa soltanto l’apparenza come quantum continuum, ed è inseparabile dal riempimento dello spazio, poiché è proprio in tale riempimento che si trova la ragione della divisibilità infinita. Ma non appena un qualcosa viene assunto come quantum discretum, la moltitudine delle unità è in esso determinata, e quindi sempre uguale a un numero. Sino a che punto possa giungere l’organizzazione in un corpo articolato, può dunque essere stabilito solo dall’esperienza.49

Storicamente parlando è importante ricordare che questo approccio è corretto se

si pensa alla fisica matematica dell’epoca. In fondo Kant non fa altro che tentare una

fondazione del metodo scientifico che convalidava o meno le leggi fisiche attraverso la

geometria euclidea e l’algebra. È anzi molto significativa la puntualizzazione di Kant.

Quello che deve essere rappresentato su base geometrica è lo spazio-tempo della

Foronomia, il movimento di un corpo fisico, inteso come punto materiale, ma non certo

il corpo fisico stesso, che necessita invece di un altro tipo di approccio per essere

conosciuto, quello che ricorre all’osservazione e all’esperimento, che considera le

qualità interne della materia, nonché l’interazione tra le forze motrici.

C’è una corrispondenza per Kant tra la divisibilità matematica dello spazio e la

divisibilità della materia, mentre per il corpo fisico le cose stanno diversamente. Se si

esaminano alcuni passaggi della Dinamica, questo discorso appare più perspicuo. In

questa sezione Kant afferma:

Perciò fin dove si estende la divisibilità matematica dello spazio, si estende anche la possibilità della separazione fisica della sostanza che lo riempie. Ma la divisibilità matematica procede all’infinito, di conseguenza anche quella fisica: la materia cioè è divisibile all’infinito e ciascuna delle parti risultanti dalla divisione è a sua volta materia.50

Tuttavia è lo stesso Kant ad ammettere che la dimostrazione dell’infinita

divisibilità dello spazio non permette affatto di provare quella della materia. L’unica

condizione per dimostrarne la divisibilità infinita consiste nella premessa che in ogni

49 KrV, A526/B554. 50 MAN, KGS IV, p. 504.

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parte dello spazio c’è sostanza materiale e che vi si trovano parti di per sé mobili.

Questo significa che bisogna porre a fondamento della prova dell’infinita divisibilità

della materia sia il suo essere mobile nello spazio sia il suo essere dotata, in ogni suo

punto o parte, di forze motrici,51

Questo significa che, nell’ambito della fisica, la divisione matematica dello

spazio materiale, comunque, presuppone una teoria dinamica della materia,

rappresentata come un continuo, la cui espansione fa sì che le sue parti si allontanino

con una distanza tra loro infinitamente piccola.

che sono poi i principi della Foronomia e della

Dinamica.

52

Questa posizione kantiana trae la sua origine sia dalla risoluzione delle

Antinomie della ragione pura che dalla Dinamica, in cui compare il dilemma se lo

spazio sia infinitamente divisibile o meno. La risoluzione consiste nell’applicare

l’idealismo trascendentale, cioè nel negare lo statuto di cosa in sé della materia e

nell’affermare il suo carattere di totalità della sostanza nel fenomeno la cui forma è lo

spazio. Così che si può solo concludere che:

Nella Fenomenologia, infatti, per

determinare e giustificare l’ipotesi di un plenum materiale, Kant ricorre ad

argomentazioni che vanno ben oltre il piano logico, sebbene lo presuppongano.

L’insostenibilità dello spazio vuoto come cosa in sé trova il suo fondamento sul piano

fisico e il principio logico di non contraddizione non è condizione sufficiente per

provare la sua impossibilità.

[…] Di quei fenomeni la cui divisione va all’infinito si può dire solamente che hanno tante parti quante ne distinguiamo, fin tanto che vogliamo continuare a dividere. Le parti che appartengono all’esistenza di un fenomeno, infatti, esistono solo nel pensiero, cioè nella divisione stessa. Ora, sebbene la divisione vada all’infinito, essa non è mai data come infinita: perciò dal fatto che la divisione va avanti all’infinito non consegue che l’oggetto della suddivisione, in se stesso e al di fuori delle nostre rappresentazioni, contenga una quantità infinita di parti.53

In conclusione la fisica contempla oggetti che possono essere determinati e

costruiti nell’intuizione grazie alla matematica,54

51 MAN, KGS IV, p. 504.

che può fornire loro la necessità della

52 MAN, KGS IV, p. 505. 53 MAN, KGS IV, p. 507. 54 La quantità di moto e di materia sono esempi classici di cui si serve Kant per chiarire il suo approccio. Un altro esempio è fornito dal caso della quiete, che per trovare un corrispettivo matematico deve essere considerata come una mera condizione di permanenza nello stesso luogo e non come proprietà dei corpi fisici. Solo così è possibile, agli occhi di Kant, assegnare un dato valore finito o infinitesimale in ogni istante ai corpi in quiete e dunque applicare la matematica anche a questi fenomeni fisici.

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scienza naturale. Tuttavia è solamente la prassi scientifica accompagnata dalle ipotesi e

dall’analogia che può fornire un risultato concreto per la conoscenza dei corpi fisici.

Questa osservazione è importante ancor più se si tiene presente che Kant

elaborò, così, il suo tentativo di inquadrare i fenomeni fisici dell’elettricità e del

magnetismo dentro lo stesso sistema di riferimento dei principi newtoniani. Sul piano

della storia della scienza siamo evidentemente di fronte al tentativo di unificare secondo

principi comuni la fisica teorica classica con quella sperimentale.

2.3 L’applicabilità della matematica nella scienza della natura: il

movimento e la trattazione dei corpi fisici su base geometrica

Dopo aver gettato luce sul metodo che Kant individua per la trattazione

metafisica dei concetti e sul carattere dinamico che spazio e tempo assumono con

l’idealismo trascendentale, in questo paragrafo si traccia la differenza tra le sintesi

progressive compiute dalla ragione, così da mostrarne le implicazioni nella metafisica

della natura. Questo approccio, infatti, rivela la possibilità di diverse costruzioni del

movimento, che sono state trattate da Kant nei Principi metafisici della scienza della

natura. Il movimento come mutamento di luogo è possibile solo attraverso la

rappresentazione di tempo che di fatto è il modo in cui il soggetto si rappresenta come

oggetto.55

La sintesi progressiva che soggiace alla costruzione di concetti e alla possibilità

di rappresentare spazio e tempo come intuizioni formali è chiamata da Kant

Zusammenstellung e questa ricopre un ruolo importante per la definizione della

concezione kantiana dell’algebra. Nella misura in cui sia la geometria che la Foronomia

descrivono uno spazio, rappresentano un’intuizione formale. La loro differenza

sostanziale è posta circa la possibilità di rappresentare anche il tempo e la quantità in

modo diverso. Secondo Kant, questa differenza è posta dall’algebra. Si consideri questo

aspetto come Kant lo ha sviluppato negli anni’90:

Dunque, la diversa trattazione del movimento dipende dai diversi tipi di

sintesi che il soggetto attua nella determinazione del tempo.

Infatti nella valutazione intellettuale delle grandezze (quella dell’aritmetica) si arriva altrettanto lontano, sia che si spinga la comprensione delle unità al numero 10 (nel sistema decimale), sia solo fino al 4 (nel sistema tetradico); ma l’ulteriore produzione di grandezze nella composizione, ovvero nell’apprensione, essendo il quantum dato nell’intuizione, viene eseguita solo progressivamente (non comprensivamente) secondo il principio di progressione che è stato

55 KrV, A37/B54.

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assunto. L’intelletto in questa valutazione matematica della grandezza è altrettanto ben servito e soddisfatto, sia che l’immaginazione scelga per unità una grandezza che si può cogliere in un’occhiata, per esempio un piede o una pertica, sia un miglio tedesco o addirittura un diametro terrestre, di cui è, sì, possibile l’apprensione, ma non la comprensione in una intuizione dell’immaginazione (non mediante la comprehensio aesthetica, sebbene, certo, mediante comprehensio logica in un concetto numerico). In entrambi i casi la valutazione logica della grandezza procede senza ostacoli all’infinito.56

L’algebra è l’arte (Kunst) che determina il principio della progressione in

matematica ed essa può trovare nuovi tipi di regole empiricamente.57 Questo lascia

aperta la possibilità di uno spazio “flessibile” per la filosofia trascendentale e di infinite

configurazioni dello spazio geometrico. Secondo il passo citato in precedenza, non è

possibile generare una grandezza (Größe) in composizione attraverso la comprensione,

in quanto per Kant questo significherebbe conoscere qualcosa attraverso l’intuizione.58

Questo processo è la comprehensio logica attraverso cui le rappresentazioni

intuitive immediate possono essere tradotte o apprese in un concetto numerico

attraverso uno schema, una regola.

Al contrario il principio della progressione, che è un’illimitata successione nel tempo,

rende possibile una conoscenza discorsiva che fonda il processo di costruzione di

concetti nell’intuizione.

Nel caso della divisibilità della materia possono essere seguite due regole

possibili che determinano una sintesi in indefinitum o in infinitum. Infatti spazio e

tempo come intuizioni possono essere considerati sia da un punto di vista quantitativo

che qualitativo. Da un lato, Kant considera lo spazio e il tempo come grandezze

estensive, cioè come mere forme delle relazioni tutto-parti che seguono una sintesi

secondo un principio di progressione in infinitum.59 Dall’altro, da un punto di vista

qualitativo, spazio e tempo sono composti come quanta continua,60

Questo approccio permette evidentemente una connessione tra filosofia e fisica,

attraverso lo strumento della matematica, e getta luce sul fatto che sia la matematica che

la filosofia presuppongono l’assioma dell’unicità dello spazio-tempo. La sintesi che

il cui processo di

composizione procede in indefinitum.

56 KdU, KGS V, pp. 251-52. 57 I. Kant, Reflexionen zur Mathematik, KGS XIV, pp. 58-59: “Würde man es nicht a priori beweisen können, dass ( in einem solchen Falle ) die mittlere proportional Größe eine Irrationalgröße sei, sondern fände sich dieses bloß empirisch: so musste man auf einen besonderen, im Zahlbegriffe ( des Verstandes ) nicht enthaltenen, mithin subjektiven Grund in einer unerforschten Natur der Einbildungskraft raten, deren Natur das hervorbrächte, was dem der Verstand selbst im Denken nicht gleich kommen kann”. 58 Cfr. I. Kant, KGS XXIV, p. 845. 59 Cfr. KrV, A161/B203. 60 Cfr KrV, A 169/B212.

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rende possibile la trattazione delle intuizioni formali da un punto di vista qualitativo è la

sintesi oggettiva della composizione, che presuppone sempre la sintesi soggettiva o

Zusammestellung. Questo aspetto poco investigato dalla letteratura critica appare invece

essenziale per comprendere le ricadute dell’applicazione alle intuizioni formali del

principio della progressione all’infinito,61

come il passo seguente suggerisce:

Se la sintesi del molteplice dell’apparenza è interrotta, si ha allora un aggregato di molte apparenze (e non propriamente un’apparenza intesa come quantum), il quale non viene costituito dalla semplice continuazione della sintesi produttiva di una certa specie, bensì dalla ripetizione di una sintesi sempre troncata. […] Orbene, dato che a fondamento di ogni numero deve stare comunque l’unità, così l’apparenza, in quanto unità, è un quantum, e come tale, è sempre un continuum.62

Ma l’aspetto più degno di nota è che questo principio di progressione può

presentare differenti configurazioni delle determinazioni dello spazio, in quanto la sua

regola può essere scelta,63

come Kant puntualizza nella Critica della facoltà di giudizio:

In quanto semplice fenomeno, l’infinito del mondo dei sensi viene interamente compreso sotto un concetto nella valutazione intellettuale pura della grandezza, sebbene esso non possa mai essere pensato interamente nella valutazione matematica mediante concetti numerici. […] Ora però, per la valutazione matematica della grandezza, l’immaginazione è all’altezza di ogni oggetto al fine di darne una misura sufficiente, dato che i concetti numerici dell’intelletto, mediante la progressione, possono rendere adeguata ogni misura a qualsiasi grandezza data.64

E’ interessante notare che senza la sintesi dell’immaginazione, gli oggetti

matematici non potrebbero essere dati. In secondo luogo, si noti come l’algebra65

renda

possibile l’applicazione del principio della progressione nella costruzione, in quanto è

l’arte di produrre grandezze dalla misura indipendentemente da ogni numero reale, ma

semplicemente attraverso relazioni date che devono essere ordinate sotto una regola.

Come scrive Kant nel 1790:

Wenn wir nicht Begriffe vom Raum hatten, so würde die Große √2 für uns keine Bedeutung haben, weil man sich alsdann jede Zahl als Menge untheilbarer Einheiten vorstellen könnte. Nun stellen wir uns eine Linie als durch fluxion, mithin in der Zeit erzeugt vor, in der wir nichts Einfaches vorstellen, und können 1/10, 1/100 etc. etc. von der gegebenen Einheit denken.66

61 Cfr. KdU, KGS V, p. 255. 62 KrV, A170/B212. 63 I. Kant, Reflexionen zur Mathematik, KGS XIV, p. 54. 64 KdU, KGS V, p. 256. 65 Per la definizione di algebra, cfr. I. Kant, Reflexionen zur Mathematik, KGS XIV, p. 54. 66 I. Kant, Reflexionen zur Mathematik, KGS XIV, p. 55. Cfr. KrV A170/B212.

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66

Pertanto solamente nel processo di costruzione del concetto di un particolare

spazio (come una linea prodotta da un punto che si muove), una grandezza può essere

prodotta nel tempo grazie alla posizione reiterata del tempo stesso, che diventa così

intuizione formale. Inoltre è solamente nella costruzione di un particolare spazio che

può essere pensata un’infinita progressione all’interno67 dell’unità data.68

In matematica la relazione reciproca di spazio e tempo, come intuizioni formali è

chiarificata con l’algebra, in quanto essa produce grandezze seguendo una regola di

misura che determina la quantità procedendo da una pluralità fuori dall’unità (spazio) e

dall’unità alla pluralità successivamente entro l’unità stessa (tempo). L’esibizione della

misura e dunque il risultato della costruzione di equazioni

69 è possibile per Kant solo

ricorrendo alla geometria, ma senza aritmetica e algebra non si potrebbe avere alcun

concetto di grandezza, come quella della diagonale di un quadrato.70

Inoltre, senza l’esibizione nello spazio, anche il tempo, come intuizione formale

non potrebbe venir rappresentato, cioè rappresentato oggettivamente. Questo aspetto, di

mutua interdipendenza di spazio e tempo, e non la natura soggettiva delle forme

dell’intuizione, è veramente l’indizio in base al quale collocare la concezione kantiana

dello spazio e del tempo rispetto alla rivoluzione delle geometrie non euclidee e della

fisica contemporanea. Come spiega chiaramente Jammer in Concepts of Space:

Reichenbach in his systematic study of space and time similarly claimed that space measurements are reducible to time measurements. In fact he stated explicitly: “Time is…logically prior to space”. […] Finally, also in Basri’s recently published theory of space and time – in spite of the order in which these concepts appear in the title of his book – time precedes space in the order of constructing the foundations of theoretical physics. All these attempts to derive spatiality or extension from pure temporality, conceived as one-dimensional order of succession, seem, however, to be open to two serious objections […]. Only if time may be regarded, not as one-dimensional continuum of instants as conceived in the classical way, but rather as being endowed with a certain transversal extent, as intimated by Čapek, who followed in this context Bergson’s philosophy of extensive becoming and Whitehead’s idea of the creative advance of nature – only then does it seem to be possible to derive spatiality from temporality. But these similar metaphysical conceptions have not yet been absorbed by science: Geometry, in the sense of a science of space, has not yet been logically subordinated to chronometry, the science of time and its measurement. Finally, as far as classical conceptions of space are concerned, we may safely regard the concept of space as an elementary and primary notion.71

67 In quanto il tempo è definito come “Intussusception” grazie alla sintesi della Zusammenstellung. 68 Brittan (2006), pp. 232-33. 69 I. Kant, Reflexionen zur Mathematik, KGS XIV, p. 58. 70 I. Kant, Reflexionen zur Mathematik, KGS XIV, p. 54. 71 Jammer (1993), pp. 5-6.

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Poiché sarebbe oltre lo scopo di questo paragrafo continuare a discutere la

relazione tra algebra,72 aritmetica e geometria,73

Dal momento che l’algebra, in quanto aritmetica universale, espande se stessa e

determina la regola della progressione della sintesi della composizione in modi

differenti, allora, per Kant, essa mostra differenti possibili configurazioni della misura:

lo schema di numero, legato alla dimensione temporale, può essere esibito in concreto

nell’intuizione attraverso la determinazione del numero delle dimensioni dello spazio.

Per riprendere le parole di Kant:

si consideri quanto segue come una

prospettiva auspicabile di studi futuri che possano chiarire al meglio la concezione

kantiana dello spazio e del tempo e saperla valutare alla luce sia dell’attuale progresso

scientifico sia del quadro filosofico.

L’aritmetica universale (algebra) è una scienza talmente auto-espansiva che non si può

menzionare nessuna scienza della ragione che sin qui abbia fatto ciò, così che persino le altre parti restanti della mathesis pura guardano allo sviluppo delle proprie parti più importanti attraverso l’ampliamento di questa dottrina universale delle grandezze.74

La possibile applicazione dell’algebra nella geometria è la chiave di volta per la

comprensione dei Principi metafisici della scienza della natura, in quanto è solo con la

possibile costituzione di spazi, che noi oggi definiamo vettoriali, che la meccanica

classica trova una rappresentazione adeguata delle leggi del moto. Consideriamo, infatti,

le caratteristiche di uno spazio vettoriale.

72 Per il ruolo euristico dell’algebra si veda anche I. Kant, Logik Jäsche, KGS IX, p. 20. 73 La lettera a Rehberg (Settembre 1790) spiega questa relazione. Cfr. I. Kant, Briefwechsel, KGS XI, p. 206. Su questo anche Friedman (1992), pp. 110-14. 74 Si veda la lettera a Schultz (1788). Cfr. I. Kant, Briefwechsel, KGS X, p. 555: “Die allgemeine Arithmetik (Algebra) ist eine der maßen sich erweiternde Wissenschaft, dass man keine der Vernunftwissenschaften nennen kann, die es ihr hierin gleich täte, so gar, dass die übrige Theile der reinen Mathesis ihren Wachsthum größtenteils von der Erweiterung jener allgemeinen Größenlehre erwarten“. Il passo poi prosegue: “Bestände diese nun aus bloß analytischen Urteilen, so wäre wenigstens die Definition der letzteren unrichtig, dass sie bloß erläuternde Urteile wären und denn wäre es ein wichtiges, schwer zu beantwortendes Problem: Wie ist Erweiterung des Erkenntnisses durch bloß analytische Urteile möglich”.

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Figura 2.1 Esempio di spazio vettoriale

Lo spazio vettoriale è descritto dalla combinazione di assi cartesiani che

rappresentano la direzione di vettori in un dato sistema di riferimento che deve

essere preso come insieme, cioè come unità.

Per quanto riguarda la sezione della Foronomia, Kant fornisce una descrizione

dello spazio-tempo come oggetto, cioè come intuizione formale, proprio grazie

all’algebra lineare. La Foronomia prende in considerazione solamente velocità e

direzione come caratteristiche fisiche della materia e non le sue proprietà interne o le

sue forze motrici. Infine, non solo la Foronomia prevede un sistema di riferimento per

la valutazione del movimento che è considerato come unità, cioè come composto

omogeneo, come quantum, ma osservando il procedere nella trattazione, si trova inoltre

che è solo attraverso la composizione o somma di movimenti,75 secondo le regole della

congruenza,76 che la Foronomia può dare conto di movimenti composti rettilinei. Per

tale ragione sulla Foronomia, in quanto questa è alla base per la comprensione della

composizione delle forze in fisica, si basa la Meccanica.77

Che la Foronomia sia alla

base della costruzione di spazi vettoriali attraverso l’algebra, è evidente dall’esempio

kantiano di interpretazione della regola del parallelogramma. L’unico Teorema della

Foronomia è il seguente:

La composizione di due movimenti dello stesso punto si può pensare solo in modo tale che uno dei due venga rappresentato nello spazio assoluto, mentre, invece nell’altro movimento,

75 Cfr. MAN, KGS IV, p. 486: “Costruire il concetto di un movimento composto significa rappresentare a priori nell’intuizione un movimento, in quanto risulta dal congiungimento in un solo mobile di due o più movimenti dati”. 76 Cfr. MAN, KGS IV, pp. 493; 494-495: “La composizione dei movimenti, allo scopo di determinare il loro rapporto reciproco in quanto grandezze, deve avvenire secondo le regole della congruenza, il che in tutti e tre i casi è possibile solo mediante il movimento dello spazio congruente con uno dei due movimenti dati, di modo che entrambi i movimenti siano congruenti con quello composto”. 77 MAN, KGS IV, p. 487.

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viene rappresentato, come ad esso equivalente, un movimento dello spazio relativo che abbia la stessa velocità, ma direzione opposta.78

L’obiettivo di Kant è quello di mostrare come le dimostrazioni dell’epoca di

questo teorema, non fossero altro che dimostrazioni meccaniche e non foronomiche.

Secondo Kant le soluzioni meccaniche ricorrevano a delle cause motrici, “mediante le

quali un movimento dato congiunto con un altro ne produceva un terzo, senza fornire la

prova che questi due movimenti sono identici al terzo e come tali si lasciano

rappresentare a priori nell’intuizione pura”.79 Nella definizione del teorema, infatti, con

la parola composizione (Zusammensetzung) si intende che entrambi i movimenti dati

siano contenuti in un terzo, cioè che siano identici ad esso, e non che ne producano un

terzo in quanto l’uno modifica l’altro.80

Nell’esame del terzo caso nella Dimostrazione al Teorema Kant prende in esame

il caso in cui due movimenti di uno stesso punto, lungo direzioni che racchiudono un

angolo, vengano rappresentati congiuntamente, come mostra la seguente figura:

Fig. 2.2 Immagine tratta dai MAN

Per dimostrare che la diagonale AD esprime sia la direzione che la velocità del

movimento composto, l’argomento mostra che nell’ultimo istante di tempo il corpo A si

trova nel punto D e che nel corso del tempo si trova su tutti i punti della diagonale AD.

Per giungere a questa conclusione Kant presuppone che tale costruzione del movimento

78 MAN, KGS IV, p. 490. 79 Cfr. MAN, KGS IV, p. 493. 80 Cfr. MAN, KGS IV, p. 492.

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è possibile solo mediante la congiunzione del movimento del corpo col movimento

dello spazio:81

Si supponga che il movimento AC proceda nello spazio assoluto e al movimento AB si sostituisca il movimento dello spazio relativo nella direzione opposta. Si divida la linea AC in tre parti uguali AE, EF, FC. Ora, mentre il corpo A percorre la linea AE nello spazio assoluto, lo spazio relativo, insieme al punto E, percorre lo spazio Ee = MA; mentre il corpo percorre le due parti che insieme sono uguali ad AF, lo spazio relativo, insieme al punto F, descrive la linea Ff = NA; mentre infine il corpo percorre l’intera linea AC, lo spazio, insieme al punto C percorre la linea Cc = BA; tutto ciò è lo stesso che se il corpo A, in questi tre intervalli di tempo, avesse percorso le linee Em, Fn e CD, rispettivamente uguali ad AM, AN, AB e, nell’intero tempo impiegato a percorrere AC, avesse percorso la linea CD = AB.82

Nella dimostrazione Kant tiene presente la costruzione del moto rettilineo e non

di quello curvilineo, che è invece oggetto della Meccanica. Questo significa, al

contrario di quello che M. Friedman sostiene,83 e che riporta fedelmente P. Pecere

nell’edizione italiana, che Kant si distacca da Newton sul modo di costruzione del

movimento, proprio in virtù della diversa concezione dello spazio-tempo e della

geometria che sviluppa negli anni immediatamente successivi alla Dissertazione del

1770. Questo è evidente non appena si consideri la figura, che Newton impiega nei

Principia, e i corollari che l’accompagnano.84

Nel Corollario 4 al Lemma 3 Newton

afferma:

E per conseguenza queste ultime figure (quanto ai loro perimetri acE) non sono rettilinee, ma sono limiti curvilinei di figure rettilinee.85

Questo conseguentemente impone nel Corollario86

81 Cfr. MAN, KGS IV, p. 494.

che, se due quantità qualsiasi

sono divise in egual numero di parti qualsiasi, e che, se queste parti hanno fra di loro

ordinatamente una ragione, allorché il loro numero aumenta e la loro grandezza

diminuisce all’infinito, anche le quantità stesse avranno lo stesso rapporto.

82 MAN, KGS IV, p. 493. 83 Cfr. I. Kant, Metaphysical Foundations of Natural Science, trad. ingl. a cura di M. Friedman, Cambridge 2004, p. 29 nota. 84 I. Newton, Principi di filosofia naturale. Teoria della gravitazione, (Principia), a cura di F. Enriques e U. Forti, Roma 1990, pp. 84-85. 85 Newton, Principia, p. 85. 86 Newton, Principia, p. 86.

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Fig. 2.3 Regola della somma dei parallelogrammi di Newton

Questa concezione di Newton è sottoscritta da Kant nella Meccanica, ma non

nella Foronomia, in quanto quest’ultima deve svolgere la funzione di rendere possibile

la rappresentazione del movimento e delle leggi della meccanica classica fondate

sull’idealismo trascendentale di spazio e tempo. Il movimento preso in considerazione

dai Principi metafisici della scienza della natura, infatti, è quello che può venir

costruito e che costituisce la descrizione di uno spazio:

Il movimento di un oggetto nello spazio non appartiene ad una scienza pura, e quindi

neppure alla geometria: in effetti, che un qualcosa sia mobile può essere conosciuto non già a priori, bensì solo attraverso l’esperienza. Il movimento come descrizione di uno spazio, invece, è un atto puro della successiva sintesi del molteplice dell’intuizione esterna in generale, attraverso la capacità produttiva dell’immaginazione, ed appartiene non soltanto alla geometria, ma anche alla filosofia trascendentale.87

Questa concezione kantiana del movimento implica una visione della materia

come il mobile nello spazio, cioè, affinché lo spazio venga descritto si deve considerare

il movimento, cioè occorre che vi sia materia, che lo spazio sia riempito di essa, perché

possa avvenire una descrizione dei fenomeni.88

Per il momento, dunque, ci si limiterà all’analisi delle possibili sintesi che

soggiacciono al processo di costruzione del movimento e dunque ai possibili modi di

descrivere lo spazio nella scienza della natura. Questo di riflesso getterà luce anche sulla

trattazione kantiana della materia. Sin dalle prime battute della Foronomia si trova la

distinzione capitale per la possibilità di pensare il movimento come relativo,

89

87 KrV, B155 nota.

che

88 Tuttavia é possibile considerare il movimento da più punti di vista, non solo da quello foronomico, come Kant indica nella sezione della Fenomenologia. 89 MAN, KGS IV, p. 562: “Non si ha dunque movimento assoluto neanche se si pensa un corpo che si muove nello spazio vuoto rispetto ad un altro corpo; in questo caso, il movimento dei due corpi non viene

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poggia sulla distinzione tra spazio assoluto e spazio relativo. Quest’ultimo è lo spazio

che si muove o spazio materiale, mentre lo spazio assoluto è definito come “ogni

ulteriore spazio relativo che io posso sempre pensare al di fuori di quello dato”,90

Il punto di vista kantiano tende ad una definizione operativa dello spazio

assoluto,

o

anche come spazio puro, non empirico.

91

Questa osservazione porta alla conclusione che Kant mostrava un aspetto di

continuità con la concezione relazionale dello spazio di Leibniz. Del fatto che Kant non

abbracciasse ciecamente la dottrina newtoniana se ne trae un esempio dal fatto che sin

dall’epoca precritica, la prova accettata da Kant della forza centrifuga era quella

geometrica di Huygens

che poi nella Fenomenologia ricoprirà un ruolo puramente regolativo e non

certo costitutivo per la costruzione del concetto di materia e per la fondazione della

scienza della natura.

92

e non quella formulata da Newton. La ragione di questo rifiuto

sta nel fatto che la formulazione newtoniana non prevedeva una definizione di spazio

assoluto, che noi oggi chiameremo “operativa”, ma una sua definizione ontologica e

metafisica, come risulta evidente dall’enunciato del teorema sulle forze centripete:

Le aree che i corpi spinti da forze descrivono durante un movimento curvilineo attorno ad un centro immobile, giacciono in un piano immobile, e sono proporzionali ai tempi.93

Tuttavia un’analisi più attenta svela anche un aspetto di differenza con Leibniz:

la premessa fondamentale della Foronomia è che questa dottrina definisce il concetto di

materia grazie a quello di movimento e prescinde da quello di estensione, cosicché la

materia possa essere considerata come un punto materiale e il movimento possa essere

definito come “il cambiamento dei rapporti esterni di una cosa rispetto a uno spazio

dato”.94 Questo costituisce il sistema di riferimento secondo cui la materia è, in quanto

mobile, unità, per cui il movimento di una cosa è differente dal movimento nella cosa.95

considerato relativamente allo spazio circostante, ma solo rispetto allo spazio che li separa, inteso come spazio assoluto, il quale però determina solo il loro rapporto reciproco: di nuovo, dunque, il movimento non è che un relativo”.

90 MAN, KGS IV, p. 481. 91 Per ulteriori spunti cfr. Jammer (1993), p. 140. La critica di Kant allo spazio assoluto di Newton è un oggetto di indagine interessante se messo in relazione con la teoria di Maxwell e il superamento del concetto di spazio assoluto in fisica. 92 Cfr. infra, Capitolo IV. 93 Newton, Principia, p. 99. 94 MAN, KGS IV, p. 483. 95 MAN, KGS IV, p. 483. Si noti come queste affermazioni siano in linea col principio della relatività classica.

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Lo sviluppo della molteplice trattazione del movimento, svelata nella sezione

Fenomenologia, prende le mosse dalla prima sezione, la Foronomia, che può essere

letta come una dichiarazione di intenti da parte di Kant di volersi distinguere dalla

posizione di Newton e da quella di Leibniz.

Attraverso la costruzione foronomica Kant vuole classificare i movimenti

rotatori e traslatori. In questi ultimi sono inclusi i movimenti rettilinei e curvilinei e

quelli circolari o oscillatori.96

Direzione e velocità (V=S/T) sono i due momenti che

intervengono nella considerazione del movimento, se si astrae dalle altre proprietà della

materia:

Nella Foronomia, noi impieghiamo la parola velocità nel solo significato spaziale V=S/T.97

Con questa formula Kant ritiene che si possa dar conto del moto rettilineo

uniforme e uniformemente accelerato, ma non di movimenti rotatori il cui grado di

velocità è preso in esame, invece, nella Meccanica. Ma è rispetto al concetto fisico di

quiete che Kant elabora una posizione interessante:

Non si deve dunque definire la quiete come la mancanza di movimento, dato che questa,

in quanto velocità uguale a zero, non è affatto suscettibile di costruzione, ma come la presenza persistente nello stesso luogo, dato che questo concetto si può costruire in un tempo finito anche per mezzo della rappresentazione di un movimento con velocità infinitamente piccola, e quindi può essere impiegato per la successiva applicazione della matematica alla scienza della natura.98

La Foronomia ha il compito di determinare a priori la costruzione dei

movimenti in generale in quanto grandezze, sia secondo la loro velocità che secondo la

loro direzione e dunque anche secondo la loro composizione (Zusammensetzung). Il

concetto determinato di una grandezza è il concetto della produzione della

rappresentazione di un oggetto mediante la composizione dell’omogeneo e, dunque,

oggetto della Foronomia è il movimento stesso e la composizione dei movimenti.99

Riguardo alla composizione del movimento Kant sostiene che:

96 MAN, KGS IV, p. 483. 97 MAN, KGS IV, p. 484. 98 MAN, KGS IV, p. 486. 99 MAN, KGS IV, p. 489.

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Costruire il concetto di un movimento composto significa rappresentare a priori nell’intuizione un movimento, in quanto risulta dal congiungimento in un solo mobile di due o più movimenti dati.100

Tuttavia una domanda legittima sorge, laddove ci si interroghi sull’effettiva

differenza tra Foronomia e Meccanica. A questa domanda Kant risponde come segue:

Nella Foronomia, dunque, in cui tratto solo del movimento di un corpo rispetto allo spazio (sulla quiete o sul movimento del quale il corpo non ha alcun influsso), è in sé del tutto indeterminato e arbitrario, se e in che misura io voglia attribuire al corpo o allo spazio la velocità del movimento dato; in seguito, nella Meccanica, poiché si dovrà trattare dell’azione effettiva di un corpo che si muove sugli altri corpi presenti nello spazio del suo movimento, la cosa non sarà più così indifferente.101

Nella Meccanica, infatti, occorre prendere in considerazione la causa del

movimento che viene prodotto come effetto. Ma c’è un’ulteriore e importante

distinzione da compiere prima di procedere. Altro aspetto fondamentale per questa

ricerca consiste, infatti, nell’esplicitare la distinzione tra la geometria e la Foronomia,

per poter indagare la possibile duplice trattazione fisica della materia e la possibilità per

la matematica di descrivere infiniti spazi. Nei Principi metafisici della scienza della

natura si legge:

Nella Foronomia […] posso considerare il movimento soltanto come descrizione di uno

spazio, in modo tale però da prendere in considerazione non solo lo spazio che viene descritto, come nella geometria, ma anche il tempo impiegato e dunque la velocità con cui il punto descrive lo spazio.102

Sulla base di questa premessa, Kant ritiene che la Foronomia sia la dottrina pura

della quantità (mathesis) dei movimenti e in particolare non contiene nient’altro che il

teorema della composizione del movimento che riguarda la possibilità del solo

movimento rettilineo.103 La composizione del movimento curvilineo ha bisogno, infatti,

della considerazione di forze agenti sulla direzione del movimento ed è preso in esame

dalla Meccanica. La composizione dei movimenti si basa per Kant sulla congruenza,

richiamandosi alla costruzione geometrica, secondo cui essa è la completa similitudine e

uguaglianza, in quanto può venire riconosciuta nella sola intuizione.104

100 MAN, KGS IV, p. 486.

101 MAN, KGS IV, p. 488. 102 MAN, KGS IV, p. 489. 103 MAN, KGS IV, p. 495. 104 MAN, KGS IV, p. 493.

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Poiché la Foronomia riguarda la costruzione del concetto di velocità, in quanto

grandezza, prevede la congiunzione del movimento del corpo con il movimento dello

spazio. Dal momento che la velocità è una grandezza intensiva, il suo concetto si può

costruire solamente con la composizione indiretta di due movimenti equivalenti (quello

del corpo e quello dello spazio relativo nella direzione opposta).105

La prima sezione dei

Principi metafisici della scienza della natura si chiude con un’osservazione preziosa:

Poiché il concetto di una grandezza in generale contiene sempre quello della composizione dell’omogeneo, la dottrina della composizione dei movimenti coincide con la loro dottrina pura della quantità, e precisamente secondo tutti e tre i momenti che ci fornisce lo spazio: l’unità di linea e direzione, la molteplicità delle direzioni su una stessa linea e infine la totalità delle direzioni e delle linee secondo cui può avvenire il movimento.106

Si vede da questo passo che nella metafisica della natura le categorie di unità,

molteplicità e totalità possono venir applicate allo spazio come intuizione formale, che

può venir descritto secondo la determinazione del tempo. Mediante questa operazione è

altresì possibile la dottrina della composizione dei movimenti su base foronomica e

dunque una resa del tempo in termini spaziali.

Leggendo approfonditamente le pagine della Foronomia e delle altre tre sezioni

dell’opera, risulta di estremo interesse confrontarsi con l’interpretazione delle

determinazioni del movimento di B. Falkenburg esposta nel paragrafo precedente. E’

possibile infatti mostrare come la determinazione del predicabile del movimento esposta

da Falkenburg possa essere integrata anche con una ricostruzione della presenza dei

concetti di riflessione corrispondenti alle singole sezioni dell’opera, segno dell’attività

che soggiace alla rappresentazione oggettiva dello spazio e del tempo. Prima di esporre

questa ricostruzione si tratta brevemente il presupposto interpretativo alla base di essa.

***

Per comprendere meglio quanto anticipato nel Capitolo I e quanto si è detto in

merito alla costruzione del concetto di materia nell’opera del 1786, una digressione

sull’origine dei concetti di riflessione si presenta come un utile strumento di

approfondimento. Kant compie l’analisi dei concetti di riflessione nell’Appendice

all’Analitica trascendentale e nei Prolegomena. Partendo dall’assunto kantiano secondo

cui i concetti dell’intelletto presuppongono sempre un’attività (anche le categorie

105 MAN, KGS IV, p. 494. 106 MAN, KGS IV, p. 495.

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presuppongono per essere trovate un’attività, che è quella del giudicare), si può

mostrare come sorgano i concetti di riflessione da un atto della spontaneità e come siano

necessariamente connessi alla dimensione dell’appercezione empirica:

Ciò che rende oltremodo utile questa critica delle conclusioni dedotte dai semplici atti

della riflessione, è il fatto che essa mostra chiaramente la nullità di tutte le conclusioni su oggetti confrontati tra loro unicamente nell’intelletto, e conferma al tempo stesso quello che noi abbiamo messo principalmente in rilievo, ossia che le apparenze, sebbene non siano comprese come cose in sé tra gli oggetti dell’intelletto puro, sono tuttavia i soli oggetti, rispetto a cui la nostra conoscenza possa avere una realtà oggettiva, rispetto a cui cioè corrisponda ai concetti un’intuizione.107

I concetti di identità/diversità, interno/esterno, accordo/contrasto, forma/materia

sono il risultato dei differenti modi di relazione possibili tra la coscienza e le proprie

rappresentazioni. Tutta la metafisica kantiana ha bisogno di questi concetti per

determinare a priori il luogo (Ort) del contenuto rappresentativo di qualsiasi concetto

(anche quello di materia) in relazione alla coscienza, “in uno stato dell’animo”.108

Da un punto di vista logico, questi concetti, sono il risultato della complessa

attività dell’astrazione, comparazione e riflessione che la coscienza compie nel

confrontare le proprie rappresentazioni con le proprie fonti conoscitive a prescindere da

un contenuto empirico dato. Non stupisce, perciò, che Kant leghi indissolubilmente i

concetti di riflessione all’attività del giudicare in un primo momento attraverso la

spiegazione dell’attività della riflessione logica:

Prima di costituire un qualsiasi giudizio oggettivo, noi confrontiamo i concetti, per

giungere all’identità (di molte rappresentazioni subordinatamente ad un solo concetto), in vista di giudizi universali, o alla diversità di tali rappresentazioni, per la produzione di giudizi particolari; all’accordo, onde possono risultare giudizi affermativi, e al contrasto, onde possono risultare giudizi negativi.109

L’attività della riflessione logica di confronto tra le rappresentazioni e la

coscienza, secondo le categorie (per esempio nel caso dei giudizi universali interviene la

funzione dell’unità di molte rappresentazioni sotto un concetto), è però diversa dalla

riflessione trascendentale, che contiene, invece, il fondamento della possibilità della

comparazione oggettiva delle rappresentazioni tra loro e che soggiace alla

determinazione di concetti dati alla ragione attraverso concetti di riflessione.

107 KrV, A278-9/B334-5. 108 KrV, A261/B317. 109 KrV, A262/B317-8.

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Il riferimento che Kant fa esplicitamente ai Topici di Aristotele110 non implica

che la genesi dei concetti di riflessione sia da rinvenire nella pura dimensione della

tradizione logica, come invece tra gli altri ha sostenuto B. Falkenburg.111 Sebbene

Baumgarten tratti nella sua Metaphysica le dicotomie dei concetti di identità/diversità,

interno/esterno, non li connette all’atto della riflessione trascendentale, bensì all’essenza

e all’ordine delle sostanze.112

Invece per Kant, perché si diano i concetti di riflessione, deve essere presupposta

solamente l’unità dell’autocoscienza, in quanto tali concetti soggiacciono alla

formulazione dei giudizi, sono in vista di essi.

113 Sebbene i concetti di riflessione siano

posti all’interno del dominio della metafisica, per originarli è presupposta una

dimensione trascendentale o meta-teoretica, come la definisce Natterer,114

Il nesso tra quelli che Kant indica come concetti di riflessione appartenenti alla

topica trascendentale e il processo di determinazione dei rapporti reciproci tra predicati

era già stato trattato da Aristotele nei Topici, come mostra il passo seguente:

quella

dell’appercezione trascendentale.

110 Cfr. Aristotele, Topici, in Organon, Milano 2003, pp. 405-643. In particolare per i concetti di identità-diversità, pp. 411-412; per quelli di accordo e contrasto, pp. 425-426; Cfr. KrV, A268-269/B324-325: “Ogni concetto, ogni titolo sotto cui rientrino molte conoscenze può essere chiamato luogo logico. Su ciò si fonda la topica logica di Aristotele”. Quest’ultima, si deve assolutamente distinguere dalla topica trascendentale. Tuttavia ciò che accomuna l’indagine aristotelica dei topici a quella kantiana è sicuramente la costruzione di un sistema di orientamento, di un metodo di definizione e determinazione della materia della conoscenza secondo principi, che, però secondo Kant, Aristotele avrebbe rinvenuto per induzione e non attraverso una deduzione, riscontrando non poche difficoltà nel dover dimostrare perché quei principi e non altri erano a fondamento della conoscenza e dell’ontologia. Ciò che è interessante notare a livello di storia della logica è il fatto che nella Critica della ragione pura Kant afferma che la topica aristotelica ha finito per diventare funzionale alle diatribe sofistiche, sebbene fosse nata con l’intento opposto di preservare le conoscenze da esse. Per Kant la topica trascendentale è l’unica dotata di una rilevanza scientifica. Tuttavia, nell’ultima parte della sua produzione e nelle tarde lezioni logiche, Kant ritorna esplicitamente sulla questione della topica e anzi torna ad esaltare il ruolo che essa può giocare nell’ambito di proposizioni fondamentali euristiche, nella classificazione dei concetti, predicabili dell’intelletto: la topica va a costituirsi come la disciplina, la tecnica che dà i titoli ai predicabili. Chiaramente Kant non arriva a tali osservazioni perché aveva in mente una combinatoria come quella leibniziana, ma se di una sorta di combinatoria bisogna parlare, essa assume un carattere definito nel numero, in quanto la tavola della topica avrà come base le dodici categorie, così da produrre un ulteriore incasellamento dei predicabili. Questi ultimi che sono concetti originari dell’intelletto, ma derivati dalle categorie, vanno a costituire una griglia di classificazione dei concetti, secondo i titoli delle categorie, assecondando, in tal modo, una fortissima esigenza di completezza sistematica. Tale progetto è già presente nei Prolegomena zu einer jeden künftigen Metaphysik, die als Wissenschaft wird auftreten können, KGS IV, pp. 322-327 e nella nota relativa redatta da Kant, in KGS IV, p. 326. 111 Falkenburg (1987), p. 43. 112 Cfr. Baumgarten, Metaphysica, §37: “Relationes possibilium sunt eorundem DETERMINATIONES EXTERNAE (relativae, ad extra, extrinsecae), reliquae omnes, INTERNAE”; cfr. §38: “Si in A sunt, quae in B, A et B sunt EADEM. Non eadem sunt DIVERSA (alia)”. 113 KrV , A262/B317-8. 114 P. Natterer, Systematischer Kommentar zur Kritik der reinen Vernunft, Berlin 2003, p. 368.

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Dato che i contrari si connettono l’uno all’altro in sei modi – ma ad un’opposizione danno luogo se congiunti in quattro di questi modi – occorre assumere i contrari nella forma in cui sia utile, tanto per chi demolisce quanto per chi consolida un’affermazione. Che dunque si connettano in sei modi, è evidente. In primo luogo infatti potrà avvenire che ciascuna delle due determinazioni contrarie si congiunga a ciascuno dei due oggetti contrari; questo poi accade in due modi: ad esempio, far del bene agli amici e far del male ai nemici, o inversamente, far del male agli amici e far del bene ai nemici. In secondo luogo, potrà darsi che entrambe le determinazioni contrarie vengano attribuite ad un unico oggetto; anche questo avviene in due modi: ad esempio, far del bene agli amici e far del male agli amici, oppure, far del bene ai nemici e far del male ai nemici. In terzo luogo, potrà avvenire che un’unica determinazione sia riferita ad entrambi gli oggetti contrari; anche questo infine accade in due modi: ad esempio, far del bene agli amici e far del bene ai nemici, oppure far del male agli amici e far del male ai nemici.115

E’ possibile che Kant avesse presente i Topici di Aristotele. Tuttavia, Kant se ne

discosta, in primo luogo, perché designa i concetti di riflessione e la divisione

metafisica come gli strumenti per orientarsi nella costituzione sistematica della “nuova”

metafisica. In secondo luogo, Kant non lega i concetti di riflessione alle categorie, bensì

alle funzioni logiche nei giudizi (quantità, qualità, relazione e modalità).

L’aspetto cruciale della distinzione kantiana tra categorie e funzioni logiche nei

giudizi è stato analizzato da S. Marcucci in Funzioni logiche e categorie in Kant,116 in

cui le categorie e le funzioni logiche si muovono su due piani diversi, anche se tra loro

strettamente connessi.117 Le funzioni logiche sono viste da Marcucci come quel ponte

che rende possibile l’Übergang tra logica formale e logica trascendentale.118

Ora, proprio sulla base degli studi di Marcucci e dell’interpretazione di Natterer

si può procedere nel proporre un esame di tutte le dicotomie dei concetti di riflessione

secondo l’ipotesi della loro derivazione dall’attività della spontaneità, cercando di

mostrare come la stessa appercezione trascendentale sia determinata attraverso di essi

realizzando il passaggio dall’appercezione pura a quella empirica.

Quella che segue è l’ipotesi circa la genesi sul piano trascendentale dei concetti

di riflessione:

QUANTITÀ

1. Identità/diversità. Questa prima coppia di concetti deriva dall’atto

immediato del soggetto di porsi come identico nel diverso, dall’atto di differenziazione

115 Aristotele, Topici, in Organon, Milano 2003, pp. 448-449. 116 S. Marcucci, Funzioni logiche e categorie in Kant, in AA.VV. Kant und sein Jahrhundert, a cura di C. Cesa e N. Hinske, Frankfurt am Main-Berlin-Bern-New York, 1993, pp. 123-146. 117 Marcucci (1993), p. 127. 118 Marcucci (1993), p. 130.

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tra sé e le sue rappresentazioni. Lo scorrere delle rappresentazioni nel senso interno

viene riconosciuto come altro da sé e la coscienza si riconosce come identica in ogni

singolo e dunque diverso istante.

QUALITÀ

2. Accordo/contrasto. Questa diade presuppone la precedente e un esame

attento rivela che essa è il frutto del confronto delle rappresentazioni della coscienza

con altre rappresentazioni. Esse possono accordarsi o meno tra loro e con la coscienza,

ma questo presuppone, comunque, una connessione con la coscienza delle

rappresentazioni esterne tra loro (diverse numericamente).119

RELAZIONE

3. Interno/esterno. La terza coppia di concetti presuppone le prime due, in

quanto nell’attività della sintesi intellettuale la coscienza riconosce le sue

rappresentazioni come distinte da sé. Questa coppia di concetti svela come le

rappresentazioni singolari di spazio e tempo, ovvero come le intuizioni pure, ci possono

essere date in termini di forme del senso esterno ed interno prima di qualsiasi sintesi

dell’immaginazione. Infatti la coscienza riconosce come sue, rappresentazioni che sono

altro da sé e si relaziona ad esse compiendo un continuo movimento interno/esterno per

appropriarsene. Non solo le rappresentazioni sono diverse dalla coscienza, ma sono

119 Cfr. KdU, KGS V, p. 203 nota: “La definizione del gusto, messa qui a fondamento, è che esso sia la facoltà di giudicare il bello. Ma ciò che è richiesto per dire bello un oggetto, deve rivelarlo l’analisi dei giudizi del gusto. Ho messo insieme i momenti, che concernono questa facoltà di giudicare nella sua riflessione, seguendo la guida delle funzioni logiche del giudicare (poiché nei giudizi di gusto è contenuto pur sempre un riferimento all’intelletto). Ho trattato in primo luogo la funzione della qualità perché il giudizio estetico sul bello la riguarda in primo luogo”. Cfr. Erste Einleitung in die Kritik der Urtheilskraft, KGS XX, pp. 225-6. I concetti di accordo e contrasto nella loro applicazione sono legati all’esempio di un piacere che controbilancia un dolore. Di questo esempio si ha traccia anche in epoca tarda proprio in relazione all’anfibolia dei concetti di riflessione, cfr. Opus postumum, KGS XXI, p. 461. Questa osservazione assume rilevanza nel quadro del dibattito sullo statuto del principio di conformità a scopi del giudizio riflettente, ma ancor di più in quello della teoria kantiana del sublime. Se il piacere è infatti ciò che colpisce i sensi immediatamente e il piacevole è ciò che piace al gusto mediante sensazione, un discorso particolare vale per il piacere sublime che l’uomo prova dinnanzi alla grandezza e alla potenza della natura. Se lette con la lente dei concetti di riflessione, le pagine dedicate al sublime svelano questo continuo gioco delle rappresentazioni nella sensazione legate ai concetti di accordo e contrasto con la coscienza che suscitano un sentimento di piacere o dispiacere. Il molteplice della natura non viene determinato, quanto è il rapporto di queste rappresentazioni con la coscienza e poi con le facoltà dell’animo a generare il sentimento, che svela così una natura mediata rispetto all’immediatezza della sensazione.

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diverse o uguali tra loro. Sono l’una esterna all’altra, ma nella stessa dimensione unica,

il tempo.120

La coscienza si riconosce in relazione ad esse e le pensa in relazione a sé.

MODALITÀ

4. Forma/materia. L’ultima coppia rappresenta il momento più alto della

riflessione e onnicomprensivo. La coscienza riflette se stessa come identica con le sue

rappresentazioni, che ne costituiscono la materia, ma si riconosce anche come unità

superiore ad esse (diventa autocoscienza). La coscienza si riflette come forma capace di

ricomprendere le sue parti (il determinabile) sotto una più alta unità. La coscienza è

forma (determinazione) che si fa materia (determinabile) e può diventare oggetto a se

stessa.

Questa lettura della genesi dei concetti di riflessione permette di chiarire sia la

natura del rapporto della spontaneità (innere Handlung) con i suoi prodotti sia cosa

comporti la doppia modalità in cui Kant determina l’Io-penso quanto alla forma,

distinguendolo dal possibile contenuto materiale (Stoff) del molteplice delle

rappresentazioni. In secondo luogo, la lettura della genesi dei concetti di riflessione

sopra proposta, si può fondare proprio sull’attività della spontaneità capace di dare vita

a un concetto, come si evince dall’Anthropologie in Pragmatischer Hinsicht:

Se noi ci rappresentiamo l’azione interna (spontaneità) per cui è possibile un concetto (un pensiero), cioè la riflessione, e la sensibilità (recettività), per cui è possibile una percezione (perceptio) o un’intuizione empirica, cioè l’apprensione, come ambedue fornite di coscienza allora la coscienza di se stesso (apperceptio) si può dividere in quella della riflessione e quella dell’apprensione. La prima è una coscienza dell’intelletto, la seconda è il senso interno; quella è chiamata l’appercezione pura, questa la empirica, e quindi quella è definita erroneamente come il senso interno. – Nella psicologia noi indaghiamo noi stessi secondo le rappresentazioni del nostro senso interno, nella logica invece secondo ciò che la coscienza intellettuale ci offre. – Qui dunque l’io ci appare doppio (il che sarebbe contraddittorio): 1) l’io come soggetto del pensiero (nella logica), a cui si riferisce l’appercezione pura (l’io che soltanto riflette), e di cui nulla più si può dire fuor che è una rappresentazione del tutto semplice; 2) l’io come oggetto della percezione e quindi del senso interno, che include una molteplicità di determinazioni, le quali rendono possibile un’esperienza interna. La questione, se nelle diverse alterazioni interne dell’animo ( della memoria o dei principi ammessi da lui) l’uomo, quando è cosciente di tali alterazioni, possa ancora dire di essere il medesimo (in ciò che concerne l’anima), è assurda; perché egli può essere cosciente di tali alterazioni solo per il fatto che egli si rappresenta nelle

120 Una possibile applicazione di questi concetti di riflessione è presente nei Principi metafisici della scienza della natura, laddove Kant non solo impiega la coppia di concetti di materia e forma, ma anche di interno ed esterno per la definizione metafisica di materia. Cfr. MAN, KGS IV, p. 481.

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diverse condizioni come un solo e medesimo soggetto, e l’io dell’uomo è sì duplice quanto alla forma (al modo di rappresentarsi), ma non quanto alla materia ( al contenuto).121

***

E’ possibile, date queste premesse, mostrare ora il rinvenimento

dell’applicazione dei concetti di riflessione per la costituzione della metafisica della

natura, nell’ambito delle quattro sezioni dei Principi metafisici della scienza della

natura:

1. Identità/diversità nella Foronomia

La composizione del movimento è la rappresentazione del movimento di un punto come identico a due o più movimenti del punto congiunti in uno solo.122

2. Accordo/contrasto nella Dinamica

La forza attrattiva è la forza motrice per cui una materia può essere causa del fatto che

un’altra materia le si avvicini (o, il che è lo stesso, per cui l’una si oppone all’allontanamento dell’altra). La forza repulsiva è quella per cui una materia può essere causa del fatto che altre se ne allontanino(o, che è lo stesso, per cui l’una oppone resistenza all’avvicinamento delle altre). Quest’ultima la chiameremo talvolta anche la forza respingente, la prima forza traente.123

3. Interno/esterno nella Meccanica

121 I. Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, KGS VII, p. 134 nota: “Wenn wir uns die innere Handlung (Spontaneität), wodurch ein Begriff (ein Gedanke) möglich wird, die Reflexion, die Empfänglichkeit (Rezeptivität), wodurch eine Wahrnehmung ( perceptio ), d.i. empirische Anschauung, möglich wird, die Apprehension, beide Acte aber mit Bewusstsein vorstellen, so kann das Bewusstsein seiner selbst ( apperceptio ) in das der Reflexion und das der Apprehension eingeteilt werden. Das erstere ist ein Bewusstsein des Verstandes, das zweite der innere Sinn; jenes die reine, dieses die empirische Apperzeption, da dann jene fälschlich der innere Sinn genannt wird. - In der Psychologie erforschen wir uns selbst nach unseren Vorstellungen des inneren Sinnes; in der Logik aber nach dem, was das intellektuelle Bewusstsein an die Hand giebt. - Hier scheint uns nun das Ich doppelt zu sein (welches widersprechend wäre): 1) das Ich als Subjekt des Denkens (in der Logik), welches die reine Apperzeption bedeutet (das bloß reflektierende Ich), und von welchem gar nichts weiter zu sagen, sondern das eine ganz einfache Vorstellung ist; 2)das Ich als das Objekt der Wahrnehmung, mithin des inneren Sinnes, was eine Mannigfaltigkeit von Bestimmungen enthält, die eine innere Erfahrung möglich machen. Die Frage, ob bei den verschiedenen inneren Veränderungen des Gemüts (seines Gedächtnisses oder der von ihm angenommenen Grundsätze) der Mensch, wenn er sich dieser Veränderung bewusst ist, noch sagen könne, er sei ebenderselbe (der Seele nach), ist eine ungereimte Frage; denn er kann sich dieser Veränderungen nur dadurch bewusst sein, dass er sich in den verschiedenen Zuständen als ein und dasselbe Subjekt vorstellt, und das ich des Menschen ist zwar der Form (der Vorstellungsart) nach, aber nicht der Materie (dem Inhalte) nach zwiefach”. Cfr. trad. it. Antropologia pragmatica, a cura di G. Vidari e A. Guerra, Bari 1969, pp. 16-17 nota. 122 MAN, KGS IV, p. 489. 123 MAN, KGS IV, p. 498.

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Che la quantità di materia possa essere pensata solo come l’insieme di ciò che si muove (composto di parti reciprocamente esterne), come afferma la definizione, è una notevole proposizione fondamentale della meccanica generale. Essa, infatti, mostra che la materia non ha altra grandezza che quella consistente nell’insieme del molteplice delle sue parti reciprocamente esterne, e di conseguenza, data una certa velocità, non possiede alcun grado di forza motrice che non dipenda da questo insieme e che si possa trattare semplicemente come una grandezza intensiva.124

4. Materia/forma nella Fenomenologia

Il mobile, dunque, diviene come tale oggetto dell’esperienza quando un particolare oggetto (in questo caso una cosa materiale) viene pensato come determinato rispetto al predicato del movimento.125

Si nota che, grazie ai concetti di riflessione, il concetto di materia può essere

costruito attraverso il concetto empirico di movimento, che presuppone una relazione

con la coscienza. Per Kant la materia deve da un punto di vista teorico, a) essere un

punto mobile nello spazio o punto materiale, b) essere dotata di forza attrattiva e

repulsiva, c) non avere altra grandezza che quella consistente nell’insieme del

molteplice delle sue parti reciprocamente esterne, d) avere come forma il movimento, in

quanto solo attraverso di esso può essere conosciuta nel fenomeno.

Queste osservazioni, oltre a confermare l’analisi svolta nei paragrafi precedenti

sull’idealismo trascendentale di spazio e tempo, ribadiscono l’appartenenza delle

funzioni logiche nei giudizi, della sintesi soggettiva della composizione, delle forme

dello spazio e del tempo a una dimensione comune che fonda la possibilità della

matematica, così come della metafisica.126

2.4 Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft: un “fallimento”? Il movimento nella Fenomenologia

L’ultima sezione dei Principi metafisici della scienza della natura è alla base

non solo della comprensione delle sezioni precedenti, ma offre anche una spiegazione

effettiva della possibilità dell’esperienza, gettando luce sul ruolo della ragione e dei suoi

principi.

E’ nella Fenomenologia, cioè nella scienza del fenomeno, che Kant afferma che

l’unico modo per rendere effettiva l’esperienza del fenomeno del movimento è quella di

124 MAN, KGS IV, pp. 539-540. 125 MAN, KGS IV, p. 554. 126 La metafisica così come la matematica, sebbene differiscano nel loro metodo, hanno però un oggetto comune come punto di partenza, quello di grandezza. Cfr. Falkenburg (1987), pp. 49 segg.

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pensare un particolare oggetto come determinato rispetto al predicato del movimento.127

Nella Fenomenologia si dispiega uno dei più alti compiti della filosofia, quello di

trasformare il fenomeno in esperienza.128

Questo si traduce nella consapevolezza della differenziazione delle modalità di

movimento dei corpi e della materia, che possono essere riguardati da un punto di vista

più alto, ovvero quello dei principi di ragione per il suo uso empirico. Il movimento nel

fenomeno può essere attribuito da un punto di vista foronomico sia a un corpo che allo

spazio relativo indifferentemente e la quantità del movimento è composta come un

omogeneo, matematicamente. Al contrario se si pensa il mobile nello spazio come

determinato in quanto tale, secondo il suo movimento e in vista di un’esperienza

possibile, è necessario indicare a quali condizioni l’oggetto (la materia) possa essere

determinato con il predicato di movimento.

In una lunga nota nella sezione della Meccanica Kant compara quest’ultima con

la Foronomia. La Foronomia considera il movimento di un corpo solo rispetto allo

spazio, cioè la quantità di movimento dello spazio è soltanto velocità, così come quella

del corpo. Per questa ragione lo spazio relativo e il corpo possono essere rappresentati

come punti materiali in movimento. Al contrario Kant sottolinea che:

Nella Meccanica, dato che un corpo viene considerato in movimento verso un altro

corpo, rispetto al quale, mediante questo movimento, sta in un rapporto causale […], non è più indifferente attribuire il movimento opposto a uno di questi corpi o allo spazio. Infatti qui entra in gioco un diverso concetto della quantità di movimento: non si tratta più di quella che viene pensata solo in rapporto allo spazio e che consiste nella semplice velocità, ma di quella in cui si deve prendere in considerazione anche la quantità di sostanza (in quanto causa motrice); in questo caso dunque non è più indifferente, ma necessario ammettere che entrambi i corpi siano in moto e dotati della stessa quantità di movimento in direzioni opposte.129

In primo luogo, Kant esplicita nel Teorema III della Fenomenologia che ogni

movimento con cui un corpo esercita un’azione motrice su un altro corpo è associato

necessariamente a un movimento uguale ed opposto a quest’ultimo. In secondo luogo,

la realtà di questo movimento deriva immediatamente dal concetto della relazione tra il

corpo che si muove nello spazio e ogni altro corpo che può essere mosso dal precedente:

di conseguenza, il movimento di quest’ultimo corpo è necessario.130

127 MAN, KGS IV, pp. 554-555.

Questo teorema

determina la modalità del movimento rispetto alla Meccanica.

128 MAN, KGS IV, p. 555. 129 MAN, KGS IV, p. 548. 130 MAN, KGS IV, p. 558.

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Ma nella Fenomenologia, anche il movimento rispetto alla Dinamica viene

differenziato, per cui il movimento circolare di una materia, diversamente da quello

opposto dello spazio, è un predicato reale della materia.131

Kant giustifica questo

sostenendo che:

Un movimento che non può aver luogo senza l’influsso di una forza motrice esterna che agisca con continuità, dà prova, mediatamente o immediatamente, dell’azione di forze motrici originarie della materia, sia dell’attrazione sia della repulsione.132

A questo punto, individuato il ruolo fondamentale della Fenomenologia e il suo

legame profondo con la Dinamica, può essere avanzata un’ipotesi interpretativa

alternativa circa l’Opus postumum a quella di M. Friedman e B. Tuschling.

Secondo Friedman, Kant tratterebbe ancora negli ultimi manoscritti la materia su

base foronomica, mentre secondo Tuschling i Principi metafisici della scienza della

natura sarebbero un “fallimento” che ha indotto Kant alla stesura di un Passaggio dai

Principi metafisici della scienza della natura alla fisica e a una diversa trattazione in

esso della Dinamica.

In realtà, se si tengono presenti le osservazioni svolte in questo capitolo, risulta

chiaro che la trattazione foronomica non fonda tutta la “scienza del fenomeno”, ma solo

la Meccanica e che la trattazione del movimento nell’Opus postumum è differente da

quella dei Principi metafisici della scienza della natura, in quanto per questi ultimi

l’oggetto della costruzione è il movimento della materia secondo diverse modalità,

mentre nel secondo caso si è di fronte alla costituzione di un sistema di forze motrici

della materia per spiegare le sue proprietà intrinseche e dunque la trattazione

foronomica del movimento non viene più posta a fondamento della Meccanica, la quale

invece è esplicitamente fondata sulla Dinamica:

Risulta evidente, poi, che più che di un “fallimento” dell’opera del 1786, occorre

parlare di un’insufficienza di prove dirette della realtà delle forze di attrazione e

repulsione inerenti alla materia.

Su questo punto si tornerà nel paragrafo successivo, ma in questo contesto è

sufficiente puntualizzare che questo elemento non è condizione per parlare di un

fallimento della costruzione del movimento secondo la Dinamica: si è semplicemente di

fronte ad una prova per modus tollens nella Nota Generale alla Dinamica e al tentativo

131 MAN, KGS IV, p. 556. 132 MAN, KGS IV, p. 557.

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di costituzione di un tipo speciale di prova, quella dell’esistenza dell’etere, nell’Opus

postumum.

Dunque, per sintetizzare questa breve analisi sul rapporto tra metafisica e

scienza della natura nei Principi metafisici della scienza della natura, è necessario

ricordare che Foronomia, Dinamica e Meccanica, dal punto di vista della

Fenomenologia corrispondono alle categorie di possibilità, realtà e necessità, in quanto

non sono altro che tre modi diversi di rapportare le rappresentazioni contenute nel

giudizio con la coscienza, cioè con la determinazione di essa nel tempo. Per questo le

tre sezioni dei Principi metafisici della scienza della natura corrispondono ai giudizi

alternativi, disgiuntivi e distributivi:

Nella stessa Fenomenologia, però, laddove il movimento non viene considerato in maniera solo foronomica, ma in maniera dinamica, la proposizione disgiuntiva va presa in senso oggettivo: cioè, io non posso sostituire la rotazione di un corpo con la sua quiete e ammettere in suo luogo il movimento opposto dello spazio.133

A questo punto Kant ritiene opportuno introdurre la seguente considerazione.

Mentre la formula “o…o…”, in logica, designa sempre la forma di un giudizio

disgiuntivo, nella scienza del fenomeno, le determinazioni di “alternativo”,

“disgiuntivo” e “distributivo” di un concetto, rispetto a predicati opposti, indicano

diverse maniere di considerare il movimento.

Nell’opera del 1786, dunque, la logica viene confermata nel suo statuto di

canone della filosofia. In secondo luogo, l’elemento soggettivo della conoscenza e del

giudicare, inserito nella Foronomia e da essa contemplato per la determinazione della

quantità del movimento come velocità, deve essere accompagnato da quello oggettivo

nella Fenomenologia. Secondo quest’ultimo momento della modalità, il movimento va

considerato foronomicamente, dinamicamente e meccanicamente, perciò il giudizio di

forma disgiuntiva si deve necessariamente riferire all’oggetto in modo distributivo, in

quanto i principi della meccanica prevedono che il movimento venga ripartito tra due

corpi in pari quantità. Agli occhi di Kant, per riuscire in questo intento, è necessario

però riconoscere che le leggi matematiche della composizione del movimento devono

essere presupposte alla Meccanica.

In sostanza la terza legge newtoniana del moto, quella di azione e reazione, deve

essere enunciata, presupponendo la trattazione meccanica del movimento e ancor prima

la sua trattazione foronomica, ma per divenire esperienza, cioè per trovare un

133 MAN, KGS IV, pp. 559-560 nota.

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corrispettivo empirico, ed essere al tempo stesso un principio metafisico della scienza

della natura, deve essere inquadrata dalla ragione sulla base della trattazione dinamica

della materia, attraverso un sistema di forze derivative di essa. Questo intento, che sarà

più esplicito nell’Opus postumum, è già presente nei Principi metafisici della scienza

della natura:

Infatti le regole della connessione dei movimenti mediante cause fisiche, cioè mediante

le forze, non si possono esporre rigorosamente senza aver posto a fondamento in modo puramente matematico i principi della loro composizione in generale.134

Piú in generale, l’aspetto veramente degno di nota di questi passaggi e che rende

Kant apprezzabile ancora oggi, consiste nel fatto che egli non veda affatto come

incompatibili l’approccio statico e quello dinamico, bensì, grazie al punto di vista della

Fenomenologia, Kant ha ammesso la possibilità di una loro compresenza, e il fatto che

nessuno dei due approcci, preso di per se stesso, possa dare conto esaurientemente del

movimento dei corpi fisici e del nostro modo di rappresentarlo matematicamente.

2.5 La materia cosmica e l’universo in espansione

La ricostruzione di M. Jammer dell’intrinseco legame tra concetti di spazio e

tempo e le teorie fisiche considera questi come costituenti originari del pensiero fisico.

Analizzando la crescente importanza che la concezione relazionale dello spazio ha

rivestito negli ultimi cinquanta anni per lo sviluppo della fisica, Jammer osserva che:

In fact, pure relationalism, by defining spatio-temporal properties as relations among bodies, already renounces the primacy as well as ontological autonomy of these notions and argues that any statement about topological or metrical properties of space and space-time are testable only by recourse to the behaviour of physical objects. […] the conclusion that the traditional concepts of space and time are applicable only to macroscopic systems prompted E. J. Zimmerman to suggest that these concepts, “arise from, but do not have analogs in, the properties of microscopic particles, in the same way that thermodynamic properties arise as a result of interactions among the many actually existing particles of the universe”.135

Nel campo d’indagine della presente ricerca, l’approccio storico ed

epistemologico di Jammer può essere tradotto nella trattazione della concezione

kantiana della materia e dell’universo in espansione.

134 MAN, KGS IV, p. 487. 135 Jammer, (1993), pp. 237-238.

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Sin dal periodo precritico, la visione kantiana della scienza della natura ha subito

l’influenza sia della fisica newtoniana sia della metafisica leibniziana. Nonostante

alcuni mutamenti dovuti allo sviluppo del sistema della filosofia trascendentale, negli

anni ’90 Kant confermò molti degli aspetti teorici presenti nella sua opera cosmologica

e cosmogonica del 1755, Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels. Kant

confermò, ancora nel 1791, i passaggi fondamentali sulla costituzione dell’universo e

sulla sua espansione.136

Nell’Opus postumum è rintracciabile il continuo tentativo di Kant di ampliare la

sua teoria cosmologica e cosmogonica, enfatizzando, da un lato, il ruolo della

matematica e la sua applicabilità alla fisica, e, dall’altro, concentrandosi sulla

determinazione delle proprietà fondamentali della materia e delle sue forze, attraverso

una fondazione metafisica.

Il dibattito contemporaneo sulla concezione kantiana della scienza della natura

cerca di mettere in luce le ragioni per cui si rese necessario il riempimento di un gap

attraverso un passaggio alla fisica interno alla filosofia trascendentale. Per un verso, si

ritrovano interpretazioni, come quella di E. Förster, il quale in Kant’s Final Synthesis ha

sottolineato il ruolo fondamentale della tarda riflessione kantiana sulla matematica per

una nuova fondazione filosofica della fisica come scienza.137

D’altro canto è necessario ricordare la tesi di M. Friedman, secondo cui le nuove

scoperte della chimica e dell’astronomia nel quadro epistemologico della terza Critica

avrebbero generato e motivato la scelta di Kant di tornare su vecchi temi risalenti al

primo periodo precritico.

138

Tuttavia un altro approccio potrebbe forse essere più utile, anche per includere

parti di queste differenti interpretazioni. Occorre considerare, innanzitutto, la

concezione kantiana della materia e il problema epistemologico che Kant si trovava di

La maggior parte delle interpretazioni tendono in ogni caso

a rappresentare i manoscritti dell’Opus postumum come un tentativo di rivisitare la

filosofia trascendentale, soprattutto per quanto concerne l’idealismo trascendentale o la

concezione kantiana dell’oggettività, facendo leva sulla presenza della prova

dell’esistenza dell’etere e sul suo fallimento.

136 Nel 1791 Gensichen curò l’edizione di un Auszug del testo kantiano del 1755. Si veda W. Herschel, Über den Bau des Himmels. Drei Abhandlungen aus dem Englischen übersetzt von Michael Sommer. Nebst einem authentischen Auszug aus Kants allgemeiner Naturgeschichte und Theorie des Himmels, a cura di J. F. Gensichen, Königsberg 1791. Possediamo anche uno scambio epistolare tra Gensichen e Kant, in cui quest’ultimo da indicazioni editoriali circa il contenuto da pubblicare. Cfr. Kant, Briefwechseln, KGS, XI, 252-3. Cfr. infra, Capitolo IV. 137 E. Förster, Kant’s Final Synthesis. An Essay on the Opus postumum, Cambridge-London 2000. 138 M. Friedman, Kant and the Exact Sciences, Cambridge-London 1992.

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fronte nel formulare la sua cosmologia a seguito della svolta copernicana della Critica

della ragione pura. Questo problema, infatti, coinvolge il concetto metafisico di forza,

che è necessario sia alla fondazione della fisica sia, in particolare, di una teoria dinamica

della materia, nonché alla possibile applicazione della matematica alla fisica. La

concezione kantiana della materia nell’Opus postumum va inquadrata all’interno della

costituzione di un Sistema del Mondo e dunque all’interno di un quadro epistemologico

di una spiegazione unitaria di fenomeni fisici, secondo una prospettiva della totalità

propria della cosmologia.

Si procederà ora tenendo presente le opere in cui Kant ha discusso le proprietà

della materia sia nel periodo pre-critico che in quello critico. In secondo luogo, si

analizzeranno gli argomenti, di cui Kant si serve nei Principi metafisici della scienza

della natura del 1786, per la determinazione dell’universo in espansione.

a) Il periodo precritico

Sin dal primo scritto sulla vera valutazione delle forze vive del 1747, Kant ha

mostrato un forte interesse per l’indagine filosofica 1) della relazione tra metafisica,

matematica e fisica, 2) della definizione dello spazio, della forza e del movimento, 3)

dell’esplicazione delle proprietà fondamentali della materia.

Dal 1754 al 1756 Kant pubblicò lavori sulla rotazione assiale della terra, sulla

teoria del fuoco, sulla composizione della materia e la natura dello spazio, sulla

definizione di forza e moto.139

Tutti questi argomenti, centrali nella prima fase della produzione di Kant

possono essere rintracciati in Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels

(1755).

Si possono fare rilevanti osservazioni a partire da quest’opera, che è classificata

come esemplare della teoria cosmologica e cosmogonica di Kant. Quest’ultima si

colloca a metà strada tra quella newtoniana e leibniziana e mostra anche elementi di

forte critica nei confronti del materialismo. Kant criticava, infatti, sia la spiegazione

newtoniana della creazione e dell’azione di ordinamento di Dio sulla materia, sia la

teodicea leibniziana e l’armonia prestabilita.

139 Nella Nova dilucidatio Kant sviluppa anche una critica esplicita dei principi filosofici e logici di Wolff e Crusius, mostrando come la riflessione metafisica sulla causalità dovesse essere rivisitata e posta a fondamento della spiegazione dei fenomeni fisici. Se si considera questo “cluster” di opere precritiche non può sfuggire ad un osservatore attento che è dalla riflessione sulla scienza della natura e sulle leggi della materia che Kant prende le mosse per una critica alla metafisica tradizionale.

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Per Kant, sebbene Dio abbia creato la materia, il primo movimento della materia

e l’inizio della storia dell’universo era qualcosa che doveva riguardare la scienza della

natura e la metafisica, e doveva essere tenuta ben separata dal dominio della teologia.

La storia dell’universo inizierebbe, dunque, da un primo movimento originato a

partire da un punto materiale medio, che possiede il più alto grado di densità e su cui

viene esercitata una causa materiale, ovvero il maximum di gravità e forza attrattiva:

Se quindi in uno spazio molto vasto si può trovare un punto in cui gli elementi esercitano un’attrazione più forte che altrove, allora tutto il materiale di base delle particelle elementari diffuso in quello spazio cadrà su di esso. Il primo effetto di questa caduta generale è la formazione in questo punto centrale di attrazione, di un corpo, il quale, per così dire, da un seme infinitamente piccolo cresce molto velocemente, ma nella misura in cui questa massa aumenta, aumenta anche la forza con cui attira a sé le particelle che la circondano.140

La scelta di Kant di rappresentare l’inizio del mondo come un intero processo di

materia in espansione e originata da un punto materiale necessita di un’ulteriore analisi:

Assumo, dunque, che tutte le materie di cui consistono le sfere, le comete e tutti i corpi

che appartengono al nostro sistema solare fossero dissolte in origine nel loro materiale di base e occupassero l’intero spazio in cui adesso ruotano i corpi formatisi da esse. Questo stato della natura, anche se non lo si considera in vista di un sistema, ma in sé e per sé, sembra essere il più semplice che sia potuto seguire al nulla. Allora non c’era ancora niente di formato. La formazione dei corpi celesti a una determinata distanza l’uno dall’altro, le loro distanze proporzionate alle forze d’attrazione, la loro configurazione derivante dall’equilibrio della materia raccoltasi, appartengono tutti a uno stato successivo. La natura, immediatamente dopo la creazione, era il più possibile grezza e informe.141

Con l’assunzione di un caos originario, ovvero di una materia inerte e caotica,

Kant riteneva che il suo movimento dovesse essere inteso come una conseguenza del

gioco tra forza attrattiva e repulsiva. Queste forze producono calore, movimento e

differenti condizioni di aggregazione, ovvero differenti masse e volumi, dunque

differenti gradi di densità della materia.

Sul piano cosmogonico sembra, dunque, che Kant tenda già dal 1755 a fondare

la spiegazione meccanica su una concezione dinamica della materia. Infatti, c’è un’altra

premessa da considerare che consiste nella varietà degli elementi di cui la materia è

composta all’inizio della storia dell’universo:

140 I. Kant, Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels (TH), trad. It. a cura di G. Scarpelli e S. Velotti,Roma 2009, p. 83. 141 TH, p. 81.

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Ma la varietà dei generi degli elementi contribuisce in maniera determinante al movimento della materia e all’organizzazione del caos, sia rompendo la quiete che, nel caso di un’omogeneità universale degli elementi dispersi, regnerebbe indisturbata, sia iniziando a dar forma al caos in quei punti dove si concentrano particelle dotate dell’attrazione più forte. I generi di questo materiale di base, a giudicare dalla smisuratezza che caratterizza la natura in tutti i suoi aspetti, sono senza dubbio infinitamente vari.142

Questi elementi hanno forze essenziali, attrattive e repulsive, con cui si mettono

in moto reciprocamente e dunque sono essi stessi una fonte di vita,143 in quanto la

materia inizia a tendere a formarsi da se stessa.144

Kant descrive la sua ipotesi nei

seguenti termini:

Ma la natura possiede altre forze di riserva che si manifestano specialmente quando la materia è diluita in particelle sottili, inducendo queste ultime a respingersi reciprocamente, e producendo, mediante il loro conflitto con l’attrazione, quel movimento che in certo qual modo costituisce la vita perenne della natura. Mediante tale forza di repulsione, che si manifesta nell’elasticità dei gas, negli efflussi dei corpi odorosi e nell’espansione di tutte le materie volatili – e che è un fenomeno della natura indiscusso – gli elementi che cadono verso i loro punti d’attrazione vengono deviati dal proprio moto rettilineo, così che la loro caduta verticale si trasforma in un moto rotatorio attorno al centro.145

Pertanto secondo la cosmologia kantiana la materia è disseminate nell’universo

mostrando differenti gradi di densità. Questa varietà influenza la distribuzione delle

strutture galattiche sorte da strutture nebulari.

Il sistema solare è la più piccola di queste strutture ed è incluso insieme ad altri

sistemi solari in una struttura più ampia, la galassia della via Lattea. Quest’ultima a sua

volta non è altro che una delle altre galassie incluse in un sistema rotante più grande.

L’universo come un tutto, perciò, consiste in una sequenza indefinitamente

estesa di strutture galattiche rotanti che sono incluse in una sequenza ancora più grande

di strutture nebulose.

Perciò per pensare la rotazione e le posizioni relative di tutti questi sistemi deve

essere pensato un centro di gravità comune di tutta la materia, in relazione a cui tutti i

movimenti nel cosmo, concepito come un tutto, possono essere determinati.

Questo centro dello spazio in cui converge la sequenza di spazi relativi è stata

interpretata da M. Friedman come un’idea regolativa della ragione:

142 TH, p. 81. 143 TH, p. 82. 144 TH, p. 82. 145 TH, p. 82.

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What Kant calls the “common center of gravity of all matter”, relative to which all the motions in the cosmos as a whole can now be determinately considered, is never actually reached in this sequence; it is rather to be viewed as a forever unattainable regolative idea of reason towards which our sequence of (always empirically accessibile) relative spaces is converging.146

Tuttavia, tenendo presente la concezione kantiana, secondo cui la materia

riempie lo spazio, in quanto mobile in esso, e possiede in sé le due forze fondamentali

di attrazione e repulsione, dovrebbe anche essere considerato che il punto materiale

intermedio da cui si origina l’universo è determinato come il punto massimo di densità e

come punto su cui è esercitato il massimo di forza attrattiva. In secondo luogo, Kant

stesso ipotizza che la densità dell’intero universo possa essere valutata sulla base di una

sorta di legge statica.

Quella di un punto di massima densità non sembra essere una mera idea

regolativa, piuttosto, un’ipotesi cosmogonica meccanica fondata su una teoria dinamica

della materia. Questa tesi è suffragata, peraltro, dal fatto che l’origine di una visione

dell’universo, dei differenti gradi di densità della materia, si ritrova anche nel Systema

cosmicum di Galilei, che Kant possedeva nella sua biblioteca personale.147

Ad ogni modo, l’obiettivo di Kant consisteva nel fornire una spiegazione

meccanica dell’origine dell’universo, che senza una visione dinamica della materia

sarebbe impossibile.

L’universo è

concepito da Kant proprio in termini dinamici secondo due forze inerenti alla materia

che le permettono di muoversi e riempire lo spazio.

148

L’acquisizione dei principi fisici di Newton è evidente in quest’opera del 1755,

sebbene Kant rimanga scettico sulla possibilità dell’azione a distanza nello spazio

vuoto. Come è noto, Newton stesso era conscio di questa difficoltà, tanto che

nell’Ottica e nella seconda edizione dei Principia, ricorse all’etere, alla materia sottile,

come medium per la propagazione della gravità.

Proprio a queste riflessioni di Newton sembra ispirarsi Kant, sebbene egli

rigettasse non solo la concezione newtoniana di spazio assoluto e l’esistenza dello

146 M. Friedman, Introduction, p. xiii, in I. Kant, Metaphysical Foundations of Natural Science, Cambridge 2004. Questa posizione di Friedman più che essere un errore è la conseguenza del suo pensiero di filosofo della scienza, favorevole ad una concezione relazionale dello spazio-tempo e alla rivalutazione del sistema di Leibniz per questo fine. Per tale motivo M. Friedman tende ad enfatizzare la vicinanza tra Newton e Kant e il distacco di quest’ultimo da Leibniz circa la concezione dello spazio fisico e metafisico. Cfr. M. Jammer (1993), pp. 215-230. 147 Cfr. A. Warda, Immanuel Kants Bücher, Berlin 1922. 148 Grazie alla teoria dinamica della materia e alla nozione di densità apparente, Kant è stato in gradi di sviluppare peraltro una spiegazione della rappresentazione della Via Lattea e conseguentemente della struttura sistematica del cosmo.

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spazio vuoto, ma anche la sua dimostrazione della forza centrifuga. Per la

formalizzazione di quest’ultima Kant tenne presente Huygens. Correntemente, infatti, la

formula della forza centrifuga esprime una forza fittizia, mentre Huygens e gli scienziati

dell’epoca ritenevano che essa fosse una forza reale.

Della forza centrifuga Huygens costruì una dimostrazione geometrica149

gs2

che

anticipava la teoria newtoniana, in particolare la seconda legge del moto. Nella formula

F = mv²/r, v denota la velocità e m la massa della particella e r il radio del suo percorso

circolare. Se la particella cade a una distanza s = r/2, cioè a ¼ del diametro, la sua

velocità sarà v = = gr e conseguentemente la sua forza centrifuga sarà mg.

B

GC

A

H

F

E D I

Figura 4.4 Metodo geometrico di Huygens per la misura della forza centrifuga

Huygens, studiando le proprietà della forza centrifuga, realizzò la possibilità che

questa forza potesse controbilanciare la forza di gravitazione esercitata dal Sole sugli

altri pianeti, facendogli mantenere le proprie orbite. L’intensità della forza centrifuga

può essere misurata dalla distanza in cui il corpo si deflette, entro una piccola unità di

tempo, dalla direzione tangenziale in cui questo si sarebbe mosso in assenza di questa

forza.

Dall’opera del 1755 ci viene consegnata, dunque, una cosmologia con un

background newtoniano legato alla fisica sperimentale e con la chiara influenza della

concezione della forza di Leibniz e Huygens.

149 C. Huygens, Oeuvres complète, vol. 16 (1929), p. 316.

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Proprio grazie ad una concezione della forza di stampo leibniziano, Kant voleva

dar conto dell’elasticità e della forza espansiva della materia, senza accogliere

l’equilibrio dinamico come unica chiave di lettura per la spiegazione del cosmo.150

Questo è il filo rosso che lega la prima parte della produzione kantiana agli

ultimi manoscritti dell’ Opus postumum, in cui Kant elabora una soluzione secondo cui

la rarefazione dell’etere può essere misurata dal calcolo differenziale.

L’etere riempie lo spazio esercitando una forza viva tale da considerare lo spazio

“come se fosse vuoto”, cioè con un grado di riempimento che tende a zero.151 Questo

significa che le molecole o sfere dell’etere oltre che una densità, seppure la più piccola

possibile, possiedono una forza repulsiva che esercitano reciprocamente e sulle

molecole di altri corpi. Questa forza istante per istante viene esercitata su un corpo con

una funzione ε = lim→ 0.152

In questo modo Kant pensava di mantenere sia le conquiste di Newton che l’idea

dell’universo come un tutto materiale in espansione, le cui conseguenze sono tra le più

suggestive.

153

L’ipotesi nebulare di Kant trovò, infatti, nuova vita nel 1944, quando Karl F. von

Weizsäcker e Hannes Alfvén, tentarono di perfezionarla.

154 Von Weizsäcker, nel 1944,

propose un suo modello detto “della turbolenza”, che dimostrava che una nebulosa

originariamente sferica,155

150 TH, pp. 82-87.

sotto l’azione combinata di gravità e attrito interno, avrebbe

assunto la forma di un disco con un addensamento centrale, che lentamente avrebbe

151 In sostanza per Kant la quiete è qualcosa che non può essere nel fenomeno, bensì solo nell’istante e dunque non può esserci esperienza della quiete, così come dello spazio assoluto o dell’azione a distanza. Queste sono idee della ragione di cui si sono serviti i fisici per applicare la matematica alla fisica. Tuttavia l’ingegnosità del ragionamento kantiano consiste nell’aver “salvato” una concezione del fenomeno fisico istantanea e dinamica insieme, così da ricomprendere la meccanica e la dinamica nella scienza della natura. 152 Cfr. Newton, Principia, pp. 88-90. 153 Nella Fenomenologia Kant afferma che il movimento assoluto sarebbe solo quello che appartenesse a un corpo indipendentemente da qualunque altra materia e che tale movimento sarebbe solo quello rettilineo dell’universo intero, cioè del sistema di tutta la materia. Cfr. MAN, KGS IV, p. 562. questa concezione crea però il problema dell’instabilità del cosmo che sposterebbe continuamente il centro comune di gravità di tutta la materia. D’altra parte secondo Kant non comporta nessun vantaggio neanche il pensare solamente l’universo in rotazione intorno al proprio asse. Quello che Kant vuole però ribadire è che in qualsiasi modo l’universo si espanda comunque lo fa in rispetto della legge dell’antagonismo in ogni reciprocità di movimento della materia. cfr. MAN, KGS IV, p. 563. 154 Weizsäcker formula anche un’interpretazione del concetto di materia in Kant, confrontandosi con le tesi di Plaass, cfr. C. F. von Weizsäcker, Die Einheit der Natur, München 1974, pp. 405-427. In secondo luogo, ancor prima, riprese nelle sue lezioni del 1948 il modello kantiano delle Antinomie della ragione pura per la trattazione dei problemi epistemologici e ontologici aperti dalla fisica quantistica, cfr. C. F. von Weizsäcker, Der begriffliche Aufbau der theoretischen Physik, Leipzig 2004, pp. 240-242. Sulla teoria cosmologica, cfr. C. F. von Weizsäcker, Die Geschichte der Natur, Stuttgart 1948. 155 Cfr. M. Capozzi, La sfera infinita dell’universo nella Naturgeschichte di Kant, in Sphaera. Forma, Immagine e Metafora tra Medioevo ed Età Moderna, a cura di P. Totaro e L. Valente, Firenze (in corso di stampa).

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potuto evolvere verso la formazione di una stella, mentre alla periferia si sarebbero

create delle turbolenze secondarie che avrebbero sviluppato vortici e sottovortici

ciascuno dei quali avrebbe successivamente dato vita a pianeti e satelliti.156

L’ipotesi cosmogonica della nebulosa, oggi nota come ipotesi di Kant e Laplace,

ha dunque esercitato notevole influsso nella cosmologia moderna. Spesso citati insieme,

i nomi di Kant e Laplace celano però due diverse assunzioni di partenza.

L’ipotesi formulata da Kant prospettava un universo inizialmente riempito di gas

freddi e dotati di movimenti interni disordinati in cui le regioni di maggiore densità

avrebbero agito da centri di aggregazione formando le stelle.

A distanze diverse, i nuclei più piccoli avrebbero dato origine ai pianeti e ai

satelliti che oggi ruotano nel senso del movimento che si sarebbe originato,

spontaneamente, all’interno della nebulosa.

Questa ipotesi si differenzia da quella di Laplace, che nel 1796 avanzò l’ipotesi

che una nube calda di gas e polvere in via di contrazione fosse dotata, fin dall’inizio, di

regolare movimento di rotazione. Più essa si contraeva e più aumentava la sua velocità.

Questo fenomeno è dovuto alla conservazione del momento angolare.157

La critica più seria al modello di Kant e Laplace, tuttavia, riguarda proprio la

conservazione del momento angolare. I pianeti, i quali rappresentano solo lo 0,13%

della massa di tutto il sistema solare, possiedono invece il 98% del momento angolare

complessivo. In altre parole, se il Sole e i pianeti si fossero formati dalla stessa nube di

156 Il modello di Weizsäcker esposto in Die Geschichte der Natur fu completato e arricchito dall’astronomo statunitense di origine olandese Gerard Pieter Kuiper (1905-1973), il quale osservava che il sistema solare potrebbe essere il risultato di una stella doppia degenerata in cui la seconda massa, anziché condensarsi in una singola stella, si sarebbe sbriciolata in frammenti; a ciò sarebbe seguito un processo di aggregazione che avrebbe portato alla formazione di pianeti e satelliti. Secondo Kuiper, la compagna degenerata del Sole avrebbe formato, in un primo momento, dei protopianeti la cui massa doveva essere molto maggiore di quella posseduta dagli attuali pianeti e solo successivamente, quando questi protopianeti si raffreddarono e si condensarono, si sarebbe verificato un processo di sedimentazione che avrebbe trasferito i materiali più pesanti al centro lasciando quelli più leggeri in superficie. I gas più leggeri (come H e He) che formavano quella che potrebbe essere definita l’atmosfera primordiale dei pianeti in formazione, si dispersero perché la forza di gravità non era sufficiente per trattenerli. Quelli che sarebbero diventati i pianeti si liberarono quindi di una quantità di materia proporzionale alla loro massa. 157 Generalmente si definisce momento angolare (o più precisamente momento della quantità di moto) di un corpo in rotazione (sia esso un pianeta che gira intorno al Sole, o semplicemente una particella di un oggetto qualsiasi in rotazione) il prodotto della massa m di questo corpo per la sua velocità v e per la distanza d dall’asse di rotazione (il momento angolare vale quindi m·v·d). Ebbene, una legge fondamentale della fisica impone che il momento angolare totale di un sistema isolato in rotazione (ad esempio proprio il sistema solare) debba restare costante nel tempo. Pertanto, qualora aumentasse la distanza di un pianeta dal Sole dovrebbe diminuire la sua velocità (la massa non cambia) per compensare l’aumento del primo fattore e viceversa. Questo è esattamente ciò che si verifica per la Terra nel suo moto intorno al Sole. La Terra gira più velocemente quando si trova in perielio, ossia quando è più vicina al Sole e più lentamente quando si trova in afelio, cioè quando è più lontana dal Sole: questa variazione di velocità a distanze diverse dall’asse di rotazione è una conseguenza della conservazione del momento angolare.

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gas in rotazione il momento angolare della nube dovrebbe essersi ripartito equamente

fra i componenti del sistema stesso e non nel modo che appare. Si è osservato, infatti,

che il Sole, nel quale è concentrata la quasi totalità della massa, gira molto lentamente

intorno al proprio asse. Viceversa i pianeti, che hanno una massa di poco più di un

millesimo della massa del Sole, possiedono quasi il 98% del momento angolare

complessivo. Viene da chiedersi pertanto per quale ragione quasi tutto il momento

angolare sia stato trasferito a quegli esigui anelli di materia che si staccarono dal corpo

centrale, e solo in così piccola misura esso sia rimasto legato al Sole.158

A causa della rotazione sempre più veloce, secondo l’ipotesi di Laplace, la

nebulosa primordiale subì un appiattimento fino al punto che all’equatore la forza

centrifuga superò la forza di gravità che agisce verso il centro: dalla massa centrale si

staccò allora un anello di materia che si portò con sé anche una parte del momento

angolare e da questo anello si formò poi per condensazione un pianeta. Con la perdita di

parte della sua materia la nube rallentò il proprio moto che tuttavia, con il protrarsi del

processo di contrazione, conseguente all’azione gravitazionale che continuava ad

operare su di esso, riprese ad accelerare, raggiungendo nuovamente una velocità tale da

causare l’allontanamento di un secondo anello di materia. L’ipotesi di Laplace si

differenzia da quella di Kant per la nebulosa di partenza e per il modo in cui si sono

formati i pianeti del sistema solare: tutti insieme e quindi coevi, secondo Kant, uno per

volta, per cui quelli esterni sarebbero stati più vecchi di quelli interni, secondo

Laplace.

159

Nella sua opera del 1755, Kant sostiene, infatti, che tutti i pianeti fossero in

origine disciolti in un unico materiale di base riempiente lo spazio, che ancora oggi

occuperebbe il sistema solare:

La formazione dei pianeti in questo sistema, fra tutte quelle possibili, poggia innanzitutto su questa concezione: l’origine delle masse è simultanea all’origine dei pianeti e alla posizione delle orbite; in tal modo si chiariscono subito sia la concordanza, sia le deviazioni rispetto all’estrema precisione di questo sistema. I pianeti si formano da particelle che, all’altezza in cui sono sospese, si muovono esattamente in orbite circolari: quindi le masse da

158 Il fisico svedese Hannes Olaf Alfvén (1908-1995) ha avanzato l’ipotesi che atomi ionizzati possano essere stati catturati dal Sole nel loro viaggio attraverso lo spazio, fino a formare anelli di gas col momento angolare richiesto. Poiché la Galassia contiene numerose nuvole di gas e polveri, non è da escludere l’eventualità che sistemi planetari possano essersi formati raccogliendo questo materiale attorno alle stelle. Se così fosse, potrebbero essere molti i sistemi solari, anche qualora si ammetta che solo una piccola parte dell’enorme quantità di gas presente nella Via Lattea possa essere stata attratta dalle stelle e trasformata in pianeti. 159 Il modello di Laplace si ispirava alla nebulosa di Andromeda che si pensava fosse una nube di polvere e gas in rotazione e non un ammasso di stelle. Per questo motivo la proposta di Laplace prese il nome di “ipotesi della nebulosa”.

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esse composte seguiranno proprio i medesimi movimenti, sia nel grado che nella direzione. […] Ma quando la formazione della massa di un pianeta è dovuta al materiale di base sottile, disperso in uno spazio celeste molto ampio, la differenza delle distanze dal Sole, e, di conseguenza, quella delle loro velocità non è più trascurabile.160

Questa concezione sembra avere delle ricadute disastrose nell’ambito della

teoria della conoscenza di Kant. Apparentemente, infatti, si crea una contraddizione con

quanto affermato nelle Antinomie della ragione pura, ovvero che è impossibile

conoscere partendo dalla serie del condizionato la condizione ultima nel tempo

dell’origine del Mondo. Questa posizione è attestata già negli anni ’70, come mostra la

seguente Reflexion:

Bewegung der Welt im leeren Raum und die Veränderung des Anfangs der Welt in der leeren Zeit sind leere Vorstellungen, indem sie eine Beziehung auf nichts ausdrücken.161

In realtà, come si nota nel periodo critico e, poi, dalle pagine dell’Opus

postumum, Kant ritorna necessariamente su questo punto, per spiegare la compatibilità

con la sua posizione teoretica e la possibilità stessa di una cosmogonia.

La soluzione di questa contraddizione sta nella doppia considerazione kantiana

del tempo. Per un verso, in relazione alla categoria di causa, esso può essere

determinato come istantaneo, simultaneo o in successione. Ovverosia nel primo caso, il

tempo, rappresentato come quantità intensiva, può essere ipostatizzato nell’istante.

Questo significa che per Kant non è possibile conoscere direttamente con l’osservazione

e l’esperimento il processo di formazione dei pianeti passati, sebbene certamente sia

possibile farlo per quelli futuri, ma è necessario ricorrere a strumenti epistemologici

quali l’analogia e ad una posizione epistemica fondata sulla negazione dello spazio

vuoto. Già nel 1755, del resto, Kant riteneva che l’azione a distanza dell’attrazione

newtoniana non passasse per lo spazio vuoto. Per chiarire questo punto, Kant ricorse,

piuttosto, alle leggi ordinarie della combinazione:

Il principio dei pianeti in formazione non è da rintracciare soltanto nell’attrazione newtoniana. Questa sarebbe troppo debole e lenta per particelle così sottili. È meglio dire che, in questo spazio, la prima formazione avviene per il concorrere di elementi che si uniscono secondo le leggi ordinarie della combinazione, finché quegli agglomerati che ne scaturiscono non diventano grandi abbastanza da consentire alla forza d’attrazione newtoniana di esercitare un’azione a distanza capace di accrescersi.162

160 TH, pp. 85-86. 161 Reflexionen zur Physik und Chemie, KGS XIV, p. 270 (1773-1775). 162 TH, p. 85 nota.

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Ciò significa che è possibile pensare, senza contraddizione, una formazione

simultanea dei pianeti discendente da un’unica causa, la materia cosmica originaria

(Urstoff), composta di particelle, in grado di combinarsi fra loro, e avente in sé le forze

di attrazione e repulsione. Inoltre questo materiale cosmico deve essere pensato in un

movimento continuo oscillatorio. Di questo parere Kant rimarrà anche nell’Opus

postumum:

Eine Bewegung die dazu geeignet ist von selbst anzufangen muss auch die bewegende Kraft haben sie gleichförmig und immerwährend fortzusetzen denn im widrigen Fall müsste eine Ursache des Aufhörens der Bewegung sein welches ohne entgegen wirkende Kraft nicht denkbar ist. Soll dieser Urstoff der Körperwelt also gleichförmig und unaufhörlich bewegend sein so muss, weil alle uranfängliche aktive Bewegung von einer Agitation durch Anziehung und Abstoßung herrührt dieser sich innerlich selbst bewegende Urstoff als in einer beständig oszillierenden Bewegung begriffen gedacht werden und kann so allein wenn gleich nur mittelbar ein Gegenstand möglicher Erfahrung sein.163

L’importanza capitale di questa concezione della materia e la sua stretta

connessione con la teoria della conoscenza si evince anche dal passo che segue:

Das Denken eines Elementarsystems der bewegenden Kräfte der Materie (cogitatio) geht notwendig vor der Wahrnehmung derselben (perceptio) voraus und ist als subjektives Prinzip der Verbindung dieser Elementartheile derselben in einem Ganzen a priori durch die Vernunft im Subjekt gegeben (Forma dat eße rei). — Das Ganze als Gegenstand möglicher Erfahrung welches also nicht aus der Zusammensetzung des Leeren mit dem Vollen atomistisch und also nicht m e c h a n i s c h sondern muss als Verbindung von äußerlich wechselseitig einander agitierenden Kräften (durch uranfanglich einander durch Anziehung und Abstoßung des im Raume durchgängig und gleichförmig verbreiteten Elementarstoffs als alle Bewegung zuerst anhebend und so ins unendliche gleichmäßig fortsetzend) dynamisch hervor gehen. — Dieser Satz gehört noch zu den metaphysischen Anf. Gr. der N. W. in Beziehung auf das Ganze Einer möglichen Erfahrung; denn Erfahrungen können nur als Theile einer gesamten nach Einem Prinzip vereinigten Erfahrung zusammen gedacht werden.164

Questo significa che 1) il concetto di forza repulsiva ha acquisito sempre

maggior importanza nel sistema cosmologico e nella cosmogonia kantiana, passando

per l’opera del 1786 e la KrV; 2) un presupposto come la doppia trattazione del tempo e,

dunque, di una simultanea formazione dovuta all’azione istantanea dell’attrazione e

della repulsione dei pianeti, fosse concepibile nel quadro di una forte giustificazione

teoretica, che solo la KrV e i MAN potevano offrire; 3) Kant non era affatto estraneo ad

una concezione secondo cui le forze repulsive e quelle attrattive della materia, agenti sul

163 Opus postumum, KGS XXI, p. 561. 164 Opus postumum, KGS XXI, pp. 552-553.

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piano elementare e microscopico, sarebbero state in grado di modificare lo spazio-

tempo, il movimento e l’organizzazione dei corpi fisici.165

b) Il periodo critico

Nei Principi metafisici della scienza della natura del 1786 Kant annuncia già

dalla Prefazione l’intento di costruire il concetto di materia secondo la linea guida delle

funzioni logiche nei giudizi, così da avere una definizione completa della materia e delle

sue proprietà da un punto di vista metafisico.166

Tuttavia nella Nota generale alla Dinamica si presenta la sfida per la metafisica

della natura di Kant: l’impossibilità di dimostrare la realtà della forza di attrazione e

repulsione, bensì solo la loro possibilità. Al fine di definire la varietà della materia, che

è il compito vero e proprio della fisica, devono essere presupposte forze originarie e

primitive della materia. A questo segue un tentativo di fondazione dinamica della fisica

e il rigetto dell’impenetrabilità assoluta e dello spazio assoluto. In particolare, nella nota

alla Definizione 5 del Teorema 3 nella Dinamica, grazie al concetto di impenetrabilità

relativa o dinamica,

Questa impresa è indicata da Kant come

un desideratum per i fisici e i matematici, perché definirebbe i principi metafisici di cui

essi si servono nella fisica generale. La definizione kantiana della materia è possibile

attraverso il concetto empirico di movimento: l’esperienza che noi facciamo di

fenomeni naturali sono dovute al cambiamento di stato, all’attività e alla trasformazione

della materia che riempie lo spazio in quanto possiede una forza motrice. Questo è il

fondamento teorico kantiano per una possibile fondazione della meccanica sulla

dinamica.

167

Il sillogismo è il seguente:

Kant costruisce un sillogismo per provare l’esistenza della

materia e la sua intima costituzione dinamica.

165 Opus postumum, KGS XXI, p. 301 (Settembre-Ottobre 1798): “Alle Materien die jetzt vest sind, sind vorher geflossen gewesen. Das sieht man an Metallen, Steinen, vegetabilischen Produkten als Holtz Flachs, Hanf, oder animalischen Seide, Fleischfasern Knochen etc. Zum flüssigen Zustande aber ward vorher Wärmestoff erfordert. Also ist alle Materie in welcher Relation die Theile derselben auch unter einander stehen mögen in solche doch immer zuerst durch jenen bewegenden Urstoff gesetzt worden”. Processo spiegato ancora meglio in Opus postumum, KGS XXI, p. 501.

- Maior

166 Come sottolineato nella prima sezione, il metodo per la costituzione metafisica di cui Kant si serve parte dall’assunzione di un concetto empirico (come quello di movimento o di materia) e poi procede a priori nel determinare il concetto dell’oggetto che non può essere esibito a priori nell’intuizione. 167 Cfr. MAN, KGS IV, p. 502.

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Il concetto di sostanza designa il soggetto ultimo dell’esistenza.

Ora, la materia è il soggetto di tutto ciò che nello spazio può essere attribuito

all’esistenza delle cose.

- Minor

La materia, dunque, in quanto mobile nello spazio, costituisce in esso la

sostanza.

- Conclusio

La conclusione di Kant implica che “la mobilità propria della materia, o di una

sua parte qualsiasi, costituisce immediatamente una prova che questo mobile, e una

qualunque parte mobile di esso, sono sostanze”.168

Si presenta, dunque, agli occhi di Kant, la necessità di fondare una cosmogonia e

una cosmologia meccanica sulla spiegazione dinamica della materia, come

intrinsecamente mobile e dotata di forze. A questo punto, però, è necessario porre

l’accento sul fatto che l’intrinseca necessità di forze inerenti alla materia, come

attrazione e repulsione, non viene provata direttamente. Per Kant, non è possibile avere

un’esperienza o una conoscenza diretta della materia, ma solo una indiretta, ovvero si

può solamente misurare e fare esperienza degli effetti delle forze e del movimento dei

corpi fisici. Per questa ragione, rimane la possibilità di una prova apagogica della forza

attrattiva e di quella repulsiva, attraverso la negazione dello spazio assoluto e della

visione atomistica della materia.

169

Per gettare luce su questo punto, si deve tenere presente che nella Nota generale

alla Dinamica Kant accosta la trattazione meccanica del movimento con quella

geometrica. Nel rappresentare un corpo che si muove da A a B ci si rappresenta il

movimento di un punto matematico, piuttosto che di un corpo fisico. Questo approccio

pone l’esigenza di una fondazione dinamica della considerazione meccanica della

materia, grazie al punto di vista della Fenomenologia. Questo approccio, cioè, propone

quello che secondo Kant è il più alto scopo della scienza della natura:

168 Cfr. MAN, KGS IV, p. 503. 169 Proprio la presupposizione dell’esistenza dell’etere come medium per la propagazione della luce e del calore permise a Kant di legare i fenomeni dell’elettricità e del magnetismo all’attrazione. Nel contesto della trattazione dell’elettricità e del magnetismo Kant parla di spazio vuoto e azione a distanza, ma intendendo sempre la presenza dell’etere con un riempimento dello spazio che tende a zero.

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Ora per quanto riguarda il procedimento che la scienza della natura deve adottare per risolvere il più importante dei suoi compiti, quello cioè di spiegare la diversità specifica delle materie, che potrebbe essere infinita, si possono seguire solo due vie: il metodo meccanico, che spiega ogni diversità delle materie mediante la combinazione del pieno e del vuoto assoluti, e il metodo dinamico, ad esso opposto, che la spiega mediante la sola diversità nell’azione congiunta delle forze originarie dell’attrazione e della repulsione.170

Ma che tipo di conseguenze ha questo approccio sulla concezione della materia e

dell’universo in espansione? Sia nella Nota generale alla Dinamica che nella

Fenomenologia, Kant propone la tesi di un plenum materiale e l’impossibilità dello

spazio vuoto. Questa concezione è lontana dall’azione a distanza newtoniana nello

spazio vuoto, ma richiama la visione del Newton legato all’idea dell’etere nell’Ottica e

nella seconda edizione dei Principia.171

Quindi Kant è un sostenitore della gravitazione universale come forza generata

dalla forza attrattiva primitiva della materia e che agisce per contatto in uno spazio

riempito dall’etere. Quest’ultimo possiede secondo Kant il più alto grado di intensità di

forza repulsiva, il maximum di rarefazione e di elasticità. Questa concezione permette

un modo di spiegazione meccanico di alcuni fenomeni e il calcolo dei moti orbitali dei

pianeti, in quanto la densità dell’etere non è solo la minore in tutto l’universo, ma tende

a zero. In altri termini, la quantità di movimento dell’etere e la sua densità possono

essere considerati come una grandezza infinitesimale attraverso il calcolo differenziale.

Perciò nei Principi metafisici della scienza della natura Kant propone l’ipotesi

dell’etere e il suo uso, per giustificare l’espansione dell’universo e la critica al concetto

di spazio assoluto e di assoluta impenetrabilità.

Nella Dinamica sulla base del Teorema 3, Kant afferma che la forza originaria

con cui una materia tende ad espandersi in tutte le direzioni, al di là del dato spazio che

occupa, se viene racchiusa in uno spazio minore deve essere maggiore e, se viene

compressa in uno spazio infinitamente piccolo, deve essere infinita.172 Proprio in questa

sezione, inoltre, Kant ritiene possibile postulare una forza elastica della materia, cioè

una forza espansiva esercitata da ogni punto materiale in ogni direzione,173

La confutazione di Kant della filosofia della natura corpuscolare e della

spiegazione meccanica della varietà della materia procede nel mostrarne il dogmatismo

in grado di

definirne una forma specifica, quella della sfera.

170 MAN, KGS IV, p. 532. 171 Sulla preponderanza degli studi in Germania, e in particolare all’Albertina, all’epoca della formazione di Kant, cfr. R. Pozzo, M. Oberhausen, The Place of Science in Kant’s University, in History of Science , 40, 2002, pp. 353-68. 172 MAN, KGS IV, p. 501. 173 MAN, KGS IV, pp. 501-502.

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di presupporre come necessità inevitabile lo spazio vuoto per spiegare le differenze

specifiche di densità della materia.174

Perciò Kant rifiuta il postulato del modo meccanico di spiegazione, avanzando

una prospettiva che spieghi le differenze specifiche di densità della materia senza

interposizione di spazi vuoti.

175

Dal momento che non ha nulla in comune, ma è anzi opposta alla forza

attrattiva, che dipende dalla quantità di materia, la forza repulsiva può essere

originariamente differente per grado in diversi materiali, la cui forza attrattiva è però la

stessa. Pertanto il grado di espansione di questi materiali, anche quando la loro quantità

sia la stessa, e la quantità della materia occupi lo stesso volume, cioè abbia la stessa

densità, è in grado di ammettere un gran numero di differenze specifiche:

La possibilità di questa soluzione risiede nel fatto che la

materia non deve essere concepita come ciò che riempie lo spazio grazie ad una assoluta

impenetrabilità, ma piuttosto grazie alla forza repulsiva che ha un grado che può essere

differente in differenti materiali.

Allo stesso modo non sembrerebbe impossibile pensare una materia (come ci si rappresenta l’etere) che riempia lo spazio senza alcun vuoto e tuttavia con una quantità di materia che a parità di volume sia incomparabilmente minore di quella di ogni altro corpo che si possa sottoporre ai nostri esperimenti.176

Sebbene possano essere ammessi spazi vuoti nella loro possibilità, nessuna

esperienza può giustificare l’assunzione della realtà di spazi vuoti. Così Kant conclude

la sua argomentazione:

Ogni esperienza, infatti, ci fa conoscere soltanto spazi relativamente vuoti, e questi si possono perfettamente spiegare, quale che sia il loro grado, grazie alla proprietà che ha la materia di riempire lo spazio con una forza espansiva che può crescere o diminuire all’infinito, senza bisogno di ammettere spazi vuoti.177

Questa conclusione comporta una domanda più generale sull’universo preso

come un tutto e sulla sua forza espansiva. Cosa succede quando si considera il

movimento della materia cosmica come un tutto e la relazione tra le sue parti? Per

rispondere a questa domanda e sostenere una visione di un universo in espansione, Kant

si serve ancora di prove apagogiche attraverso la negazione della realtà dello spazio

vuoto, svelando la natura dogmatica di tale concetto.

174 MAN, KGS IV, p. 533. 175 MAN, KGS IV, p. 533. 176 MAN, KGS IV, p. 533. 177 MAN, KGS IV, pp. 534-535.

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Nella Fenomenologia Kant afferma che “ai diversi concetti del movimento e

delle forze motrici sono collegati anche i diversi concetti dello spazio vuoto”,178

Per provare la loro impossibilità, infatti, Kant ricorre ad un altro tipo di

argomento, laddove viene avanzata la possibilità di un vacuum extramundanum, cioè di

uno spazio vuoto fuori dalla materia cosmica, progressivamente riempito dall’etere.

Kant rigetta fermamente questa possibilità, negando l’esistenza e la realtà sia di un

vacuum mundanum che di uno extramundanum.

perciò

ci sono quattro sensi in cui il concetto di spazio vuoto può essere inteso e questi quattro

sensi corrispondono a quello foronomico, dinamico, meccanico e fenomenologico. In

questa sezione Kant conferma l’impossibilità di negare gli spazi vuoti nell’universo

attraverso il mero principio logico di non contraddizione.

Questa visione implica che l’universo sia un tutto di materia in espansione,

sebbene la sua forza espansiva possa tendere a diminuire infinitamente.179

Per questa

ragione la realtà di uno spazio vuoto fuori dal mondo è impossibile da un punto di vista

fisico:

Uno spazio vuoto fuori del mondo – se con mondo si intende il complesso di tutte le materie attrattive per eccellenza (dei grandi corpi celesti) – sarebbe impossibile per le stesse ragioni: infatti, nella misura in cui cresce la distanza da questi corpi, decresce in proporzione inversa l’attrazione da essi esercitata sull’etere (che racchiude tutti quei corpi e, venendone attratto, ne mantiene la densità comprimendoli), per cui la densità di quest’ultimo non farebbe che diminuire all’infinito, senza mai lasciare lo spazio del tutto vuoto.180

Come lo stesso Kant ammette, la confutazione dello spazio vuoto procede

ipoteticamente, in quanto non vi sono ragioni sufficienti per sostenere la realtà dello

spazio vuoto e l’impossibilità dello spazio pieno.

Ma questa difficoltà riposa in generale su una specifica questione, assai ardua da

risolvere, circa la natura di una forza espansiva elastica inerente alla materia cosmica, su

cui Kant lavorerà nell’ultima fase della sua produzione:

Per quanto riguarda infine lo spazio vuoto in senso meccanico, esso è il vuoto che si concentra all’interno dell’universo in modo da permettere ai corpi di muoversi liberamente. Si vede subito che la sua possibilità o impossibilità non si basa su leggi metafisiche, ma sul vero e proprio mistero naturale, difficilmente risolubile, del modo in cui la material pone dei limiti alla sua propria forza espansiva. Ciononostante, se si concede quanto è stato detto nella Nota generale alla Dinamica, a proposito del fatto che l’estensione di materiali specificamente diversi, dotati di una stessa quantità di materia (secondo il peso), può crescere all’infinito,

178 MAN, KGS IV, p. 563. 179 Da questo punto di vista Kant concepisce un universo elastico, in grado di espandersi e contrarsi. 180 MAN, KGS IV, p. 564.

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potrebbe allora non essere necessario uno spazio vuoto, come condizione del movimento libero e durevole dei corpi celesti, perché la resistenza del mezzo, anche nel caso di uno spazio del tutto pieno, potrebbe essere pensata arbitrariamente piccola.181

Da questo passo risulta chiaro che Kant assegna un valore infinitesimale al

calcolo della quantità di moto con l’introduzione dell’etere, per poter pensare la

resistenza in un grado piccolo quanto si vuole e, dunque, per pensare lo spazio come

riempito di materia attraverso le sue forze motrici che possono essere così misurate.

L’etere si presenta, quindi, come un postulato che permette l’applicazione della

matematica, quella leibniziana, alla fisica, sebbene resti ancora da provarne l’intrinseca

forza espansiva.

c) L’ultima produzione

Si tratta ora di vedere come Kant mantenga le premesse introdotte nella sua

produzione precedente anche nei manoscritti dell’Opus postumum, sviluppando questa

visione dell’universo in espansione. L’assunzione dell’etere diffuso in tutto l’universo

come materia onnipenetrante e semovente è necessaria per l’identificazione di una base

(Basis) delle forze di attrazione e repulsione che, a loro volta, sono l’origine delle forze

motrici della materia. Da queste ultime si originano fenomeni naturali legati al

magnetismo, alla cristallizzazione o alla refrazione.

La grande questione che Kant lasciò aperta nel 1786 consisteva nel dare un

fondamento in termini dinamici alla coesione (Zusammenhang). Vi era, infatti, un

insieme di fenomeni che mostravano differenti livelli di coesione che potevano essere

spiegati solo con l’identificazione di un fondamento della coesione in una forza

fondamentale inerente alla materia come la forza attrattiva.

Da un punto di vista metafisico ancora nel 1786 Kant è molto vicino a Leibniz,

laddove ritiene possibile dare una spiegazione della coesione attraverso l’assunzione di

una forza primitiva che la generi. Questa forza non è dipendente dall’esistenza di

particelle dure, piuttosto i corpi e altre forze di impatto sono il risultato dell’esistenza di

questa forza primitiva.

Per Kant la coesione si basa sull’attrazione parziale, mentre la gravitazione

newtoniana si basa sulla forza attrattiva universale. Al contrario l’impenetrabilità e la

181 MAN, KGS IV, p. 564.

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resistenza dipendono dalla forza repulsiva che può agire come forza di superficie, per

contatto.

Si presenta così nelle pagine manoscritte dell’Opus postumum una visione delle

forze di attrazione e repulsione inerenti all’etere, come materia cosmica, nella misura in

cui esse sono concepite come forze supreme che governano la struttura dell’universo.

Tuttavia, la repulsione è la forza in grado di determinare differenti gradi di

riempimento dello spazio e dunque differenti gradi di densità e composizione dei

materiali. In questo modo Kant vuole spiegare la coesione della materia ponderabile, la

varietà dell’aggregazione, il fenomeno della capillarità e la stessa gravitazione,

attraverso il postulato dell’etere le cui modificazioni sono la luce e il calore.182

Questa visione implica una concezione dinamica della materia che sottolinea una

presa di distanza dalla visione atomistica della materia, specialmente riguardo alla

spiegazione dell’impenetrabilità, dell’elasticità, della variazione sia della densità sia

della massa, e, infine, della coesione.

Considerando che la forza repulsiva originaria e interna alla materia, è il cuore

dell’argomento kantiano, è possibile sintetizzare la sua visione dinamica della materia

nel passaggio che segue:

Man kann eine im Innern einer Materie bloß durch innere repulsive Kräfte (die also

durch eine äußere begrenzt werden muss) weder flüssig noch fest nennen denn zu beiden wird Zusammenhang erfordert dadurch sich die Materie von sich selbst begrenzt (ein tropfbar flüssiges), sondern sie kann nur eine Materie sein welche ins Unendliche des Raumes expansiv ist aber auch durch eben diese Unendlichkeit allein attraktiv und dadurch ein sich selbst begrenzendes Quantum ist d. i. den Äther als die Basis aller den Weltraum erfüllenden Materie dessen innere von dem ersten stoß in ewige Zitterungen gesetzte Bewegung eine lebendige Kraft (nicht tote durch den Druck) ist, ausmacht.183

L’eco di Leibniz è fortissima e la sua influenza sulla concezione kantiana della

materia e della forza permette anche di chiarire questa visione cosmogonica determinata

da un primo movimento dell’universo che segue le leggi dell’impatto.

Questo primo movimento è l’effetto dell’impatto tra porzioni di materia che a

sua volta è generato dall’interazione di attrazione e repulsione. Sebbene sia evidente il

182 Alcuni interpretazioni tendono a vedere qui una ripresa della concezione della sostanza di Spinoza, autore molto citato nei fogli manoscritti. Il rapporto tra le modificazioni e la sostanza materiale sarebbe accostato da Kant a quello che intercorre tra la sostanza e le sue modificazioni nella filosofia di Spinoza. Cfr. J. Edwards, Spinozism, Freedom, and Transcendental Dynamics in Kant’s Final System of Transcendental Idealism, in S. Sedgwick (ed.), The Reception of Kant’s Critical Philosophy, Cambridge 2000, pp. 54-77; P. Guyer, The Unity of Nature and Freedom:Kant’s Conception of the System of Philosophy, Oxford 2005. Guyer è contrario all’ipotesi, in quanto i riferimenti in cui Kant cita Spinoza segnalano una presa di distanza e non un accordo, pp. 278-279. 183 Opus postumum, KGS XXI, p. 380.

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richiamo all’opera del 1755, si deve sottolineare come Kant abbia sviluppato la sua

concezione della materia e l’aspetto dell’ineludibile compresenza delle forze di

attrazione e repulsione, grazie a cui la materia può essere considerata come un quanto

(Quantum) auto-limitante, ma anche come materia espansiva all’infinito.

Dunque, per fornire una spiegazione meccanica e una stima matematica della

materia, è ancor prima necessaria una sua trattazione dinamica, che assuma l’esistenza

della materia cosmica come mobile nello spazio indefinitamente e in continua

espansione, così da poter determinare il moto relativo delle galassie o dei pianeti del

sistema solare. Grazie a questa analisi e a quella svolta nel capitolo precedente sulla

natura dello spazio e del tempo, si è ora in grado di comprendere le premesse della

prova dell’esistenza dell’etere, di cui si tratta estesamente nel Capitolo V.

E’ evidente che l’argomentazione kantiana doveva poggiare su un presupposto

unico nel suo genere e che caratterizzava anche l’unicità della prova stessa: la visione

dinamica della materia e il sistema delle sue forze motrici erano la strada che poteva

condurre alla possibilità di concepire l’universo come un tutto per completare un

Sistema del Mondo (Weltsystem).

La concezione kantiana della materia, non solo si lega con una visione di un

universo in espansione, ma anche con la questione epistemologica sollevata dalla Kritik

der Urtheilskraft sullo statuto dei corpi organici nel campo dell’indagine scientifica.184

La prospettiva kantiana di unificare principi della possibilità dell’esperienza in

un sistema del mondo arriva nell’ultima fase a rispecchiarsi nella costituzione di un

sistema delle forze motrici della materia.

Attraverso questo sistema, Kant voleva permettere alla fisica di diventare una

scienza compiuta e di colmare lo iato tra metafisica e fisica. Il gap che l’Übergang

voleva colmare risiedeva nella spiegazione del nesso reale e causale tra la forza, che è

un concetto metafisico, e i corpi fisici reali, che mostrano anche una finalità interna.

La stima matematica delle forze e la sua applicazione ai fenomeni naturali sono

possibili solo attraverso la spiegazione di questo passaggio e allo stesso tempo

garantiscono la certezza e la necessità per il giudicare determinante.185

Il progetto dell’Übergang passa, dunque, attraverso la fondazione del giudizio

riflettente e su una rivisitazione dell’ontologia critica in chiave epistemologica, ovvero,

su un arricchimento della nozione di realtà che include come cose di fatto i prodotti

184 Cfr. infra, Capitolo III. 185 Cfr. infra, Capitolo IV.

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della costruzione matematica. Per questo il prossimo capitolo si occuperà di questi

argomenti salienti dell’opera del 1790.

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PARTE II EPISTEMOLOGIA E ONTOLOGIA:

LA SCIENZA DELLA NATURA NEGLI ANNI ‘90

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CAPITOLO III

LA PROSPETTIVA EPISTEMOLOGICA APERTA DALLA

CRITICA DELLA FACOLTÀ DI GIUDIZIO

Premessa

Il quadro epistemologico entro il quale si inserisce la costituzione del Sistema

del Mondo del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica

è quello aperto dalla Critica della facoltà di giudizio. Questa parte della ricerca ha la

funzione di esaminare alcuni elementi fondamentali per la comprensione del

problema che Kant si pose, ovvero il problema epistemologico della totalità in

natura, del suo statuto ontologico, da un lato, e della possibile comprensione di essa,

dall’altro. Se la Critica della ragione pura ha posto un limite alla possibilità di

conoscere il mondo nella totalità della serie dei fenomeni, la Critica della facoltà di

giudizio ha imposto la necessità di pensare processi organici come parte di un

sistema della natura. Quest’ultimo, inteso come totalità, fa sorgere l’esigenza di dare

conto della possibile interazione tra il giudicare secondo un nexus effectivus e quello

secondo un nexus finalis. Si dischiude, così, a) l’orizzonte epistemologico della

capacità del giudizio riflettente e del ricorso al concetto di tecnica della natura; b)

una posizione che presuppone un certo accordo tra ragione e natura; c)

l’armonizzarsi delle facoltà, secondo un principio soggettivo, ma necessario, quello

della conformità interna a scopi della natura.

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A questo orizzonte si contrappone la mancanza sul piano ontologico di un

principio unitario e sistematico della natura, concepita come serie di processi fisici e

organici. Quello che resta poco discusso, se non lasciato da parte, nella terza Critica,

è proprio il problema dell’individuazione di un corrispettivo materiale che garantisca

la continuità e, dunque, la reciproca dipendenza delle parti di una totalità: quello che

manca ancora, nel 1790, è una prova dell’esistenza della materia cosmica.

Come si è mostrato nella sezione precedente, i Principi metafisici della

scienza della natura del 1786 avevano presentato una cosmologia basata sull’idea di

un tutto materiale in espansione, ma rappresentavano anche la spina nel fianco per la

fondazione della scienza della natura secondo la prospettiva trascendentale: le forze

di attrazione e repulsione erano presupposti metafisici che non potevano essere

provati direttamente nella loro necessità, ma solo attraverso la negazione della loro

impossibilità. Questa sezione ha, dunque, lo scopo di mostrare come gradualmente

Kant abbia avanzato l’esigenza di pronunciarsi sulla fondazione metafisica e

ontologica delle forze originarie della materia, fino ad elaborare una prova

dell’esistenza dell’etere.

L’analisi, dunque, parte dalla prospettiva epistemologica aperta dalla Critica

della facoltà di giudizio, tenendo presenti le interpretazioni di P. Kitcher e M.

Friedman, per tracciare il rapporto, seppur negativo e di pietra di paragone, che la

teleologia kantiana intrattiene con la scienza della natura. In secondo luogo, è

necessario chiarire in che modo Kant abbia voluto risolvere sul piano epistemologico

la compresenza del giudicare riflettente e determinante attraverso il concetto di

tecnica della natura. Il capitolo termina con l’indagine della trattazione della materia

e della forza nella terza Critica e apre alla sezione successiva dedicata agli scritti

tardi e all’Opus postumum.

3.1 La prospettiva epistemologica

La centralità della fondazione della Naturwissenschaft emersa nella Critica della

ragione pura e nei Principi metafisici della scienza della natura ritorna nella terza

Critica. In quest’opera Kant mette in luce il ruolo di pietra di paragone della telelologia

per la scienza teoretica della natura:

La teleologia come scienza non appartiene dunque ad alcuna dottrina, ma solo alla

critica, e precisamente alla critica di una speciale facoltà conoscitiva, cioè della facoltà di

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giudizio. Ma in quanto contiene principi a priori, essa può e deve addurre il metodo in base al quale si deve giudicare della natura secondo il principio delle cause finali, e così la dottrina del metodo ha almeno un influsso negativo sul procedimento della scienza teoretica della natura, nonché sul rapporto che questa, in quanto propedeutica, può avere nella metafisica con la teologia.1

La classificazione della teleologia come scienza limita la scienza della natura

teoretica (Theoretische Naturwissenschaft). Allo stesso tempo il metodo del giudicare la

natura secondo scopi appartiene alla descrizione della natura (Naturbeschreibung) e

fornisce un filo conduttore per l’attività del naturalista. Tenendo presente la Critica

della facoltà di giudizio, si mostra come non possa darsi “una via dall'alto” e “una via

dal basso” nel giudicare la natura, indipendentemente dal problema della costituzione

sistematica della scienza della natura. Da un punto di vista epistemologico, infatti, si

determina un ruolo di primo piano del principio della conformità a scopi della natura

(Zweckmässigket) per la pratica scientifica, per l’ampliamento della conoscenza e per lo

sviluppo della dottrina della natura come sistema.

Nella misura in cui il principio teleologico soggettivo e universale della

conformità a scopi si presenta come la pietra di paragone per la scienza della natura

teoretica, esso viene assunto come criterio per la determinazione dei limiti del dominio

di questa. La facoltà di giudizio si deve esercitare, secondo Kant, nella prassi scientifica,

nel continuo confronto con ciò che l’esperienza fornisce per la Naturbeschreibung,

procurando un principio adeguato 1) all’orientamento dell'attività dello scienziato di

fronte alla contingenza dei fenomeni naturali, 2) all’ordinamento delle diverse leggi

empiriche sotto principi della ragione, 3) all'uso di strumenti epistemologici necessari

per l’ampliamento delle conoscenze e per la ricerca di una possibile coesistenza fra il

nexus effectivus e il nexus finalis riscontrati nei nostri giudizi sulla natura.

Tutti gli strumenti metodologici, come l’analogia, l’induzione e l’ipotesi, che

Kant considera indispensabili per la Naturbeschreibung, sono tali perché vi è un

principio a priori, quello della conformità della natura a scopi, che funge da pietra di

paragone per il loro uso nel giudicare:

Questa analogia delle forme, in quanto, al di là di ogni diversità, sembrano essere

generate conformemente ad un archetipo comune, rafforza la congettura di una loro affinità reale nella generazione da una comune madre originaria mediante il graduale avvicinamento di una specie animale all'altra, a partire da quelle in cui il principio degli scopi sembra essersi maggiormente affermato, cioè dall'uomo fino al polipo, da questo addirittura fino ai muschi ei licheni, e infine ai gradi più bassi della natura da noi apprezzabili, fino alla materia bruta, da cui e dalle cui forze sembra discendere, secondo leggi meccaniche (come quelle secondo le quali la

1 KdU, KGS V, p. 417.

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natura agisce nelle generazioni cristalline), l'intera tecnica della natura, che è per noi così incomprensibile negli esseri organizzati che ci crediamo obbligati a pensare per essi a un principio diverso.2

Considerando questo passo ci sono diverse questioni che si presentano, alcune

delle quali meritano particolare attenzione prima di svolgerne altre di natura puramente

epistemologica. In primo luogo, si osservi come Kant traduca nel contesto dell’indagine

naturale la legge di continuità specificazione e affinità, che sono principi regolativi della

ragione pura per l’unità sistematica. Essi assumono il carattere di congettura

nell’esercizio della ricerca e svolgono una funzione orientativa, permettendo di

rinvenire un loro corrispettivo reale: la varietà delle specie, l’affinità tra le forme di

esse, la loro comune generazione. In secondo luogo, si noti il riferimento che Kant fa

alle forze della materia che saranno prese in esame nel Passaggio dai principi metafisici

della scienza della natura alla fisica. Non è un caso, infatti, che Kant abbia inserito nel

sistema elementare delle forze motrici della materia anche quelle organiche. Questo è

uno degli influssi fondamentali della Critica della facoltà di giudizio sull’ultima fase

della produzione kantiana.

Dare conto, secondo principi costitutivi e a priori, anche delle forze che

agiscono nei corpi organici, in quanto corpi materiali, diviene un obiettivo necessario

nell’Opus postumum. Da tali forze discende ciò che Kant chiama tecnica della natura,

vale a dire l’unità dell’auto-produzione, interna alla natura, di varietà di forme viventi e

vegetali. Questo concetto, che gioca un ruolo importante nella terza Critica, permetterà

a Kant di prendere in esame nell'Opus postumum anche il fondamento della generazione

naturale, che richiede alla base una materia, individuata nell’etere, e una particolare

forma di organizzazione e di relazione tra le parti della materia.

La Critica della facoltà di giudizio rappresenta un punto di svolta nel sistema

kantiano, oltre ad essere una delle fonti più ricche per individuare le questioni

epistemologiche con cui Kant si è misurato.3 Uno studio sul ruolo dell’induzione, come

quello condotto da P. Kitcher nella KdU può fornire un primo spunto per l’ulteriore

analisi che in questo paragrafo si vuole sviluppare. Kitcher in Unity of Science and the

Unity of Nature4

2 KdU, KGS V, pp. 418-19.

ha restituito un'immagine della Critica della facoltà di giudizio come

un’opera che porta con sé lo sviluppo degli elementi metodologici del sistema kantiano.

Il limite riscontrato da Kitcher nelle interpretazioni più diffuse del kantismo risiede

3 Cfr. E. Garroni, Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla Critica del Giudizio, Roma 1976. 4 P. Kitcher, Unity of Science and the Unity of Nature, in Kant and Contemporary Epistemology, a cura di P. Parrini Dordrecht 1994, pp. 253–272.

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nell’aver enfatizzato il carattere dell’a priori, nell’aver scelto, cioè, di prediligere “la via

dall’alto” per la costituzione sistematica della scienza della natura. Il Kant che Kitcher

vuole far emergere, o meglio, gli elementi del sistema kantiano che occupano il suo

studio, si identificano con una “via dal basso” che tiene conto della centralità

dell’empirico, piuttosto che dell’a priori:

These last remarks are highly speculative and incomplete. Nevertheless, they might

provide some motivation for thinking that Kant's ideas about scientific inquiry are not entirely irrelevant to contemporary concerns about law, explanation, inference, and the growth of knowledge. In his route from below, I find, in embryo, an attractive way of responding to some of our current epistemological problems about science. [...] Yet, for all the interest of his complex and ingenious derivations, I wonder whether our focus on the aprioristic Kant has not blinded us to some of his most pertinent insights.5

Kitcher prende in esame una conseguenza dell’induzione, quello della

generalizzazione e la sua approssimazione all’universalità (“approximate to

universality”) come congettura che nel tempo può essere adottata e garantire il

permanere di uno schema della nostra sistematizzazione.6 Secondo Kitcher, infatti,

“[…] we encounter Kant's acknowledgment source of contingency. However, if we

presuppose the principle of purposiveness, then currently adopted explanatory

dependences will be approximations to those that would emerge in the limit of

inquiry”.7

Le inferenze della facoltà di giudizio sono definite, dal punto di vista logico,

come mediate e sono guidate da un principio, che come si vedrà, gioca un ruolo

fondamentale nella definizione del rapporto tra la costituzione delle nostre facoltà

umane e quelle di un intelletto archetipo. In base a tale rapporto, infatti, Kant

giustificherà l’intero impianto della Critica della facoltà teleologica del giudizio.

L'aspetto asintotico dell’esperienza, che gioca un ruolo fondamentale

nell’Opus postumum, come del resto in tutto il sistema kantiano, è legato a parte

posteriori alla costituzione di fronte alla contingenza di un’universalità (Allgemeinheit)

come generalità, piuttosto che alla costituzione dell’universalità logica. Tale generalità è

raggiunta attraverso l’induzione, ma il processo della generalizzazione e la ricognizione

di leggi empiriche è suscettibile di un orientamento a fini da parte della ragione.

Il principio che soggiace alle inferenze in questione è il seguente:

5 Kitcher (1994), p. 268. 6 Kitcher (1994), p. 268. 7 Kitcher, (1994), p. 268.

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Sind die Schlüsse der Urteilskraft unmittelbare Schlüsse? Nein, es liegt ihnen ein Prinzip der Urtheilskraft zum Grunde: dass nämlich vieles nicht ohne Gemeinschaftlichen Grund in einem Zusammenstimmen werde, dass also das, was ihm so zukommt, aus einem gemeinschaftlichen Grunde werde notwendig sein. (-- Analogie, Induktion).8

Questo principio, secondo cui ogni molteplicità empirica, se ricondotta ad unità,

deve avere a fondamento un principio generale e comune, soggiace all’analogia e

all’induzione, ovverosia al metodo empirico per eccellenza.

Kant ha, quindi, concesso uno statuto autonomo al metodo che procede

dall’empirico, ma tale autonomia trova una garanzia nell’unità sistematica della ragione.

La tesi di M. Friedman secondo cui una “via dall’alto” non può essere separata da una

“via dal basso”, e viceversa, è stata parzialmente criticata da Kitcher, che invece

sostiene una netta separazione della “via dal basso” nella metodologia scientifica, al fine

di stabilire un “dialogo” tra la filosofia kantiana e i problemi epistemologici

contemporanei.

La posizione di Kitcher, che per certi versi è complementare a quella di

Friedman, sebbene spesso i due siano posti in antitesi, non mostra un punto

fondamentale: la spiegazione dei fenomeni naturali, per Kant, non può prescindere da

principi a priori. La nostra conoscenza, fosse anche il prodotto dell’osservazione o

dell’induzione, è comunque condotta sulla base di principi a priori, a cui Kant

attribuisce diverse funzioni (principi regolativi o costitutivi), ma che di fatto sono

necessari perché si dia la materia per una forma di sistematizzazione, anche di carattere

provvisorio.

L'assetto sistematico della terza Critica non lascia dubbio sul fatto che il

giudicare secondo conformità a scopi della natura ci presenta come problema per la

scienza naturale il dare conto di un “contingente necessario”, su cui si giudica

provvisoriamente, ma con una pretesa di certezza e oggettività. Kant è, però, molto

chiaro circa lo statuto dell’induzione che produce proposizioni generali, ma non

necessarie. La certezza di tali proposizioni è empirica e, dunque, non è in grado di

fondare la scienza della natura pura, ma senz’altro è in grado di ampliare la scienza

della natura applicata.

La concezione del giudicare provvisorio, legato profondamente all’induzione e

all’analogia, è un punto teorico fondamentale su cui Kant prende posizione, seguendo le

orme di Bacone. La ricerca scientifica non potrebbe avanzare senza quelli che Kant

chiama giudizi previi e che include nella sua dottrina logica, assegnando ad essi un

8 I. Kant, Reflexion 3200, KGS XVI, p. 709.

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valore e una dignità conoscitiva che, agli occhi di Kant, la logica tradizionale wolffiana

avrebbe negato:

Um etwas zu entdecken (was entweder in uns selbst oder anderwärts verborgen liegt), dazu gehört in vielen Fällen ein besonderes Talent, Bescheid zu wissen, wie man gut suchen soll: eine Naturgabe vorläufig zu urteilen ( iudicii praevii ), wo die Wahrheit wohl möchte zu finden sein; den Dingen auf die Spur zu kommen und die kleinsten Anlässe der Verwandtschaft zu benutzen, um das Gesuchte zu entdecken oder zu erfinden. Die Logik der Schulen lehrt uns nichts hierüber. Aber ein Baco von Verulam gab ein glänzendes Beispiel an seinem Organon von der Methode, wie durch Experimente die verborgene Beschaffenheit der Naturdinge könne aufgedeckt werden. Aber selbst dieses Beispiel reicht nicht zu, eine Belehrung nach bestimmten Regeln zu geben, wie man mit Glück suchen solle, denn man muss immer hierbei etwas zuerst voraussetzen (von einer Hypothese anfangen), von da man seinen Gang antreten will, und das muss nach Prinzipien gewissen Anzeigen zu Folge haben, und daran liegt eben, wie man diese auswittern soll.9

Dal punto di vista epistemologico, la terza Critica apre la prospettiva di uno iato

tra a priori ed empirico e di una loro possibile conciliazione all’interno della

Naturwissenschaft. Questo problema fondamentale è la cornice entro cui si inseriscono i

seguenti aspetti epistemologici, di cui Kant tiene conto nella fase matura del suo

pensiero:

1. In prima battuta la prassi dell’indagine scientifica procede attraverso

inferenze induttive. L’induzione ricopre un ruolo fondamentale per la scoperta e,

dunque, per l’avanzamento e l’ampliamento della nostra conoscenza della natura.

L’inquadramento di una Urtheilskraft in un suo dominio e il rinvenimento di un suo

principio trovano nel sistema kantiano una loro controparte nell’ambito della logica. Le

inferenze della facoltà di giudizio, l’induzione e l’analogia, ricoprono un ruolo centrale

anche nella produzione logica di Kant. La loro classificazione rompe, infatti, con tutta la

tradizione logica precedente. Queste inferenze non sono sillogismi, hanno un Grund del

tutto differente dalle inferenze proprie della ragione e sono definite da Kant come

“presunzioni” logiche, che danno vita a proposizioni, piuttosto che a giudizi. Sia

l’induzione che l’analogia seguono un proprio principio:

L’induzione, dunque, inferisce dal particolare all’universale (a particulari ad universale) secondo il principio della generalizzazione: ciò che conviene a molte cose di un genere, conviene anche alle rimanenti.10

Per l’analogia le cose stanno in modo diverso:

9 I. Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, KGS VII, p. 223.

10 Logik Jäsche, p. 154.

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L'analogia inferisce dalla parziale alla totale somiglianza di due cose secondo il principio della specificazione: cose di un genere, delle quali si sa che concordano su molto, concordano anche nel rimanente, ossia quello che noi conosciamo in alcune cose di questo genere, ma non percepiamo in altre.11

La Gewissheit delle inferenze della facoltà di giudizio ha uno statuto

completamente differente da quello dei giudizi sintetici a priori dei Principi

dell’intelletto puro: tale certezza è, infatti, empirica. Questo elemento ha delle ricadute

notevoli sul modo di procedere nell’indagine naturale. In primo luogo, Kant sottolinea

anche nella Critica della ragione pura come l’induzione sia lo strumento che può

condurre proposizioni all’universalità generale o correlativa, ma non a quella

universalità necessaria e assoluta di cui godono invece i giudizi sintetici a priori della

nostra conoscenza. Effettivamente di fronte alla varietà dei fenomeni naturali, di fronte

al contenuto empirico contingente di cui è carica l’esperienza, l’indagine naturale

necessita di strumenti che raccolgano tale varietà sotto un’unità più alta. Questa è, però,

un’unità solamente relativa, non assoluta, essa è un’universalità correlativa, una

generalizzazione il cui limite tende a spostarsi quanto più l’esperienza continua ad

arricchirsi di una quantità e di qualità di varietà di fenomeni. Nella Logik si legge:

Uno in molti, dunque in tutti: induzione; molto in uno (che è anche in altri), dunque

anche il rimanente nello stesso uno: analogia. [...] Nell'inferenza per analogia però si richiede solo l’identità del fondamento (par ratio).12

Senza induzione e analogia non potrebbe essere alla nostra portata

l’ampliamento della nostra conoscenza empirica, verrebbe meno sia la possibilità del

progresso e dell’arricchimento della conoscenza come sistema sia il sistema

dell’esperienza in genere. Il progressivo assorbimento del contingente nel sistema

dell’esperienza avviene a parte priori, così come a parte posteriori, seguendo principi

per l’uso del giudicare. Nel caso dell’induzione e dell’analogia ci si trova di fronte a uno

strumento potente di riduzione a unità e generalizzazione indispensabile per l’indagine

scientifica e che però necessita di un principio della facoltà di giudizio, un principio

regolativo, appunto, in grado di orientare questa attività. Inoltre l’induzione e l’analogia

sono anche lo strumento che fornisce un grado di probabilità ad un’ipotesi, come

sottolineato nella Logik:

11 Logik Jäsche, p. 154. 12 Logik Jäsche, p. 154.

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Ciò nondimeno, la probabilità di un'ipotesi può anche crescere ed elevarsi a un analogon della certezza, è cioè quando tutte le conseguenze che ci si sono presentate finora possono essere spiegate derivandole dal fondamento supposto. In tal caso, infatti, non v'è ragione per cui non dovremmo ammettere che si potranno spiegare tutte le possibili conseguenze derivandole da esso. In questo caso, allora, noi ci affidiamo all'ipotesi come se fosse del tutto certa, sebbene lo sia solo per induzione.13

2. A questo punto la distinzione kantiana tra principi regolativi e

costitutivi, tracciata nella prima Critica, assume un particolare connotato. Una volta

colti gli strumenti dell’attuazione delle regole della generalizzazione, così come quelle

della specificazione, che stanno alla base della ricerca scientifica, si presenta una

scommessa per la filosofia kantiana, quella dell’armonizzazione del risultato di questo

processo con i principi universali e necessari a priori che determinano la nostra

esperienza. La grande sfida nella terza Critica viene tracciata da Kant nei termini di un

giudicare riflettente e di uno determinante da combinare insieme nella formazione del

sistema dell’esperienza, come suggerisce il §61:

[Il giudicare teleologico] appartiene quindi alla facoltà riflettente di giudizio, non a

quella determinante. Il concetto di legami e forme della natura secondo scopi è però almeno un principio in più per portare sotto regole i fenomeni della natura quando le leggi della causalità secondo il suo semplice meccanismo non bastano.

L’interazione tra empirico e a priori si incontra, laddove, attraverso induzione e

analogia, la facoltà di giudizio ha già compiuto il processo di generalizzazione

necessario per il rinvenimento di leggi empiriche. Tali leggi come ha sottolineato M.

Friedman nella sua analisi in Kant and the Exact Sciences, sebbene esprimano una

generalizzazione empirica, sono pur sempre leggi, e possono assumere una validità a

priori nel progredire dell’indagine scientifica, qualora sia indicato un loro fondamento

certo o ritenuto tale per induzione e per assenza di prove del suo contrario.

È proprio al livello delle leggi empiriche che si può riscontrare l’incontro tra

empirico e a priori, tra il giudicare riflettente e quello determinante. Le leggi empiriche

stesse diventano l’oggetto di una comprensione sistematica secondo i principi regolativi

della ragione. La comprensione sistematica riesce a dare conto a parte priori della

compresenza di due diversi modi del giudicare, necessari alla costituzione della

Naturwissenschaft. D’altro canto, a parte posteriori, Kant definisce come segue il

processo epistemologico che soggiace alla condizione del giudicare sugli scopi naturali

sul piano dell’indagine scientifica:

13 Logik Jäsche, p. 100.

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Infatti, noi chiamiamo in causa un principio teleologico quando attribuiamo al concetto di un oggetto, come se si trovasse nella natura (non in noi), una causalità rispetto all'oggetto, o piuttosto ci rappresentiamo la possibilità dell'oggetto, secondo l'analogia di una tale causalità (quale noi troviamo in noi stessi), e con ciò pensiamo la natura come tecnica in ragione di una sua propria capacità, mentre, se non le attribuiamo un tal modo di avere effetti, la sua causalità dovrebbe essere rappresentata come cieco meccanismo.14

Non si tratta, dunque, per Kant di stabilire la preminenza dei principi costitutivi

su quelli regolativi o del giudicare determinante su quello riflettente. Si tratta piuttosto

di dare conto della reale interazione tra principi di natura diversa, frutto di diversi modi

del giudicare e del pensare la causalità. Il punto epistemologico importante che emerge

dalla terza Critica risiede dunque nell’aver previsto la possibilità per il giudizio

riflettente di subentrare nel corso dell’indagine scientifica al giudizio determinante. La

complessità dell’esperienza e, in particolare della conoscenza scientifica, viene così

salvaguardata, ne vengono limitati la validità e i confini attraverso una subordinazione

delle leggi empiriche ad un’unità sistematica grazie all’armonizzarsi del principio della

conformità a scopi con i principi della ragione. Il giudicare riflettente, sebbene non

determini l’oggetto in alcun modo, inferisce da concetti particolari a concetti universali

e dunque riflette sull’oggetto “per ottenerne la conoscenza”. Pertanto i due modi di

inferire del giudizio, l’induzione e l’analogia, “consegnano” e preparano rapporti di

concordanza secondo un principio: i molti non concorderanno in uno senza un

fondamento comune, ma ciò che conviene in questo modo ai molti sarà necessario a

partire da un fondamento comune, sebbene indeterminato.15

3. Il principio di conformità della natura a scopi nel giudicare riflettente

produce però delle conseguenze epistemologiche profonde. Occorre essere chiari su un

punto imprescindibile: il giudicare riflettente ha, sì, a fondamento un principio

soggettivo, quello della conformità della natura a scopi, tuttavia, la pretesa di oggettività

che lo scienziato avanza si basa sulla presupposizione di un principio interno alla natura,

di un corrispettivo di questo principio soggettivo, da cui derivano gli effetti come scopi

naturali. In altre parole, il concetto chiave di tecnica della natura permette di poter

pensare gli organismi come scopi naturali, generati secondo principi interni alla natura

stessa, senza cadere nella teleologia assoluta e oggettiva. È un dato però che vi siano dei

particolari oggetti che non si lasciano spiegare da pure leggi meccaniche e che anzi

richiedano un’idea del tutto per spiegare il rapporto tra le loro parti (si pensi alle

14 KdU, KGS V, p. 360. 15 KdU, KGS V, pp. 317-18.

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cellule). Per Kant non è possibile una coesistenza del nexus effectivus e del nexus finalis

in natura a partire dalla distinzione del giudicare tra erklären e darstellen, sebbene sia

impossibile conoscere il fondamento della loro compresenza, che sul piano oggettivo

viene ricondotto alla tecnica della natura. Compare, dunque, da un lato una

corrispondenza tra pensiero ed essere laddove il giudicare, riconoscendo connessioni

causali (meccaniche o finali) di natura differente, è in grado di ordinarle secondo forme

e scopi altrettanto differenti. Tale capacità del soggetto è “alienata” nella natura, viene

attribuita ad essa una capacità produttiva di forme, come se esse fossero state ordinate

da un intelletto sebbene non il nostro. Riscontrata nella natura una conformità a scopi

che si armonizza con i principi della ragione, è possibile dare conto della contingenza in

modo necessario. La soddisfazione di fronte a questa corrispondenza stupefacente è

però sempre messa in discussione dall’ampliamento della conoscenza, dal continuo

confronto con il contingente.

In questo senso, per riprendere P. Kitcher, la via dal basso che Kant ha

tracciato per l’ampliamento della conoscenza empirica non è una via, ma è la via

maestra per il progredire della scienza. Nella Critica della facoltà di giudizio si

affronta il nodo del progressivo assorbimento dell'empirico nel sistema della scienza,

grazie al filo conduttore del principio della conformità a scopi. Tuttavia, è solo la

costituzione sistematica, possibile attraverso principi a priori che affondano le loro

radici nella dottrina logica kantiana, che può realizzarsi la connessione fra empirico e

a priori.

È dal reciproco limitarsi della teleologia come scienza, cioè la

Naturbeschreibung, e scienza della natura teoretica (theoretische Naturwissenschaft)

che è possibile trovare una pietra di paragone per la Naturwissenschaft. Ma è anche

vero che il loro limitarsi reciproco lascia intravedere come una fondazione della

scienza della natura sia indispensabile per definire la pretesa del giudicare teleologico.

Dopo aver tracciato la via dal basso alle leggi empiriche e il dominio della teleologia,

Kant si pone il problema di costituire un ponte o un passaggio dall’a priori

all’empirico, dai principi trascendentali, non più solo a quelli metafisici, ma a quelli

empirici. Di qui la necessità di prendere in esame non più la materia come mobile

nello spazio, ma le forze motrici della materia e di dare una certezza apodittica,

attraverso la matematica, ai giudizi che legano metafisica e fisica. È questa la ragione

della costituzione del Passaggio dai Principi metafisici della scienza della natura alla

fisica, questa la ragione dello iato da colmare che impegnerà Kant nell’opera postuma.

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3.2 Il concetto di tecnica della natura

Per rendere perspicuo uno degli aspetti principali della teleologia kantiana,

ovvero la relazione a livello epistemologico tra natura e ragione, è necessario

sottolineare l’importanza del concetto di tecnica della natura di cui Kant si serve nella

Critica della facoltà di giudizio. In primo luogo, si deve tenere presente la relazione tra

la tecnica della natura e le leggi di ragione per rappresentare l’accordo tra i principi

trascendentali della ragione con la natura. In secondo luogo, occorre mostrare che la

possibilità di questo accordo riposa sulla mediazione della facoltà di giudizio tra la

ragione umana e la contingenza riscontrata in natura.

È chiaro dalle pagine della terza Critica, infatti, che il concetto di tecnica della

natura assume un ruolo fruttuoso esponendo, attraverso un’analogia con le facoltà

umane, l’attività produttiva della natura, come se la sua attività fosse orientata a fini.

Pensare la natura in termini di produzione spontanea orientata a fini è qualcosa di

richiesto per rendere intelligibili i suoi prodotti e le sue leggi. Questo obiettivo, che è

poi fondamentale per l’approccio della ricerca scientifica, può essere perseguito

assumendo il concetto di conformità a scopi come il filo conduttore della capacità

riflettente del giudizio.

In sostanza, il concetto di tecnica della natura è la chiave per rispondere alla

domanda che Kant si pone sulla possibile relazione tra nexus effectivus e nexus finalis,

in quanto attraverso questo concetto può essere dato un riferimento e un significato

unitario alla finalità oggettiva della natura. Quest’ultima, come è noto, non può essere

oggetto di conoscenza attraverso un principio o di esibizione diretta nell’intuizione.

Eppure non può essere esclusa dall’indagine filosofica, in quanto vi è un particolare

fenomeno, quello della riproduzione umana, che risponde a uno schema di finalità

oggettiva, esterna e necessaria. Il concetto di tecnica della natura è pensato da Kant

proprio per risolvere il possibile contrasto tra nexus effectivus e nexus finalis e per dar

conto di processi produttivi e riproduttivi basati evidentemente su un’organizzazione

della materia rispondente a degli scopi interni alla natura stessa.16

16 Nella terza Critica Kant afferma che esiste una sola forma di finalità esterna, incarnata dalla coppia. Il maschile e il femminile sono, infatti, finalizzati necessariamente allo scopo riproduttivo e la loro stessa forma coincide con il loro scopo. L’aspetto più degno di nota è che questa definizione dello statuto “eccezionale” della coppia, ritorna nelle sue conseguenze nell’alveo della Rechtslehre kantiana, là dove Kant tratta del matrimonio e sostiene una sospensione del diritto, dunque della libertà, nell’attuazione dello scambio degli organi sessuali maschili e femminili finalizzato alla procreazione. Questa concezione

Per sostenere questo

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argomento viene considerato in via preliminare il carattere della capacità teleologica di

giudizio unitamente a quello della finalità oggettiva.

a) Come sorge il concetto di tecnica della natura?

Numerosi tentativi di analizzare i §§36-41 e i §§76-78 della terza Critica hanno

cercato di rilevare la distinzione tra capacità del giudizio estetico e di quello teleologico,

nonchè il ruolo di quest’ultimo come un medium tra ragione e sensibilità.17

L’attenzione posta sugli elementi empirici considerati nel §36 ritorna in primo

piano nella parte dedicata alla facoltà di giudizio teleologico. Secondo Kant, i giudizi

propri della Naturforschung, che riguardano fenomeni chimici, fisici e biologici,

dovrebbero essere fondati su fini prodotti dalla natura stessa.

18

La distinzione generale

tra giudizi estetici e teleologici è così tracciata:

Su ciò si fonda la divisione della critica della facoltà di giudizio in critica della facoltà estetica e in critica della facoltà teleologica, intendendosi con la prima la facoltà di giudicare la conformità a scopi formale (detta altrimenti anche soggettiva) mediante il sentimento del piacere o del dispiacere, e con la seconda la facoltà di giudicare la conformità a scopi reale (oggettiva) della natura mediante l’intelletto e la ragione.19

Prima di procedere è bene chiarire su quale fondamento possa poggiare questa

distinzione. È un fatto che l’eccessiva molteplicità della natura nelle sue forme conduce

a un’altra rappresentazione di oggetto naturale,20 e che “il concetto di legami e forme

della natura secondo scopi è però almeno un principio in più per portare sotto regole i

fenomeni della natura quando le leggi della causalità secondo il suo semplice

meccanismo non bastano”.21

di Kant svela sia quanto la terza Critica sia fondamentale per la dottrina del diritto kantiana, ma soprattutto svela l’importanza e il legame profondo tra il principio della conformità a scopi, l’esercizio del nostro giudicare e la libertà, intesa come Faktum der Vernunft e non come arbitrio. Il fatto che giudichiamo la natura secondo scopi e secondo una finalità interna, piuttosto che una finalità esterna, dispiega la natura delle nostre facoltà, una natura libera e intelligibile.

Perciò, secondo Kant, lo scopo (Zweck) è determinato

come l’elemento capace di soddisfare il bisogno di universalità da due punti di vista:

uno formale soggettivo e uno reale oggettivo. Nel primo caso, quello della capacità

estetica di giudizio, l’universalità è fondata sulla pretesa del Gusto, senza che ad esso

sia adeguato alcun concetto. Nel secondo caso, quello riscontrato nell’ambito della

17 Per quanto riguarda l’analisi su questo punto, cfr. A. Nuzzo, Kant and the Unity of Reason, West Lafayette, 2005. 18 Nuzzo (2005), p. 89. 19 KdU, KGS V, p. 193. 20 KdU, KGS V, p. 193. 21 KdU, KGS V, p. 360.

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facoltà del giudizio teleologico, deve essere seguito il filo conduttore (Leitfaden) della

Zweckmäßigkeit, ovvero della conformità a scopi della natura, come se (als ob) fosse un

concetto, attraverso il quale nel giudizio é possibile riferire universalità agli organismi.

Oltre a ciò, si noti come nella Critica della facoltà del giudizio estetico non è

indicato alcun concetto per determinare la relazione tra le rappresentazioni e i predicati

nel giudizio, mentre nella parte dedicata alla facoltà di giudizio teleologico le

rappresentazioni sono riferite alla conformità a scopi. Perciò la conformità a scopi è

presentata da Kant come fondamento per i giudizi teleologici, perché la loro

costituzione ha bisogno di pensare questo principio oggettivamente nel riferire predicati

a particolari oggetti di esperienza, quali sono gli organismi.

Horstmann in Why Must There Be a Transcendental Deduction in Kant’s

Critique of Judgment? ha sostenuto che “we can see why Kant always emphasizes that

there is a structural difference between aesthetic and teleological judgments in relation

to the faculty of judgment”.22 Sebbene si possa affermare che la conformità a scopi sia

un principio trascendentale per la facoltà di giudizio estetico, è più difficile definirne lo

statuto nell’ambito della facoltà di giudizio teleologico, in quanto la possibilità del

giudicare teleologico sembra dipendere dalla possibilità di applicare ad un oggetto della

natura il concetto di scopo inteso come un concetto di ragione.23 Questo punto conduce

al ruolo fondamentale della concezione kantiana di tecnica della natura:24

Una risposta a questo problema è stata, ad esempio, quella di M. Morrison, che

sostiene la presupposta unità di natura e ragione nella terza Critica come conditio sine

qua non per pensare l’universalità e l’unità dei giudizi della scienza della natura.

come può

essere compresa in un sistema la varietà di fenomeni naturali, non solo chimici e

biologici, ma anche fisici? In secondo luogo, com’è possibile, nel fare esperienza,

riuscire anche a connettere il nexus effectivus con il nexus finalis, se il principio di

conformità a scopi è trascendentale, ma sembra fondare l’universalità dei giudizi

teleologici nella natura stessa?

25

22 Cfr. R. P. Horstmann, Why Must There Be a Transcendental Deduction in Kant’s Critique of Judgment?, in Kant's Transcendental Deductions: The Three Critiques and the Opus Postumum, a cura di E. Förster, Stanford 1989, pp. 173-175. Cfr. KdU, pp. 24-30.

Tuttavia, da un punto di vista epistemologico, il nodo da sciogliere è rappresentato dalla

23 Horstmann (1989), p. 174. 24 L’argomento precedente riguarda la ragione per cui Kant presentò lo stesso concetto nella Prima Introduzione alla Critica della facoltà di giudizio, ma strettamente legato alla tecnica della facoltà di giudizio. Cfr. I. Kant, Erste Einleitung in die Kritik der Urtheilskraft, (AA:XX, 204-5; 215; 219-21; 228-9; 248-51). 25 M. Morrison, Reduction, Unity and the Nature of Science: Kant's Legacy?, in Kant and Philosophy of Science Today, a cura di M. Massimi, Royal Institute of Philosophy Supplement, 83, Cambridge 2008, pp. 37-62. In particolare, p. 39.

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domanda sulla possibilità o meno di combinare esibizione (Darstellung) e spiegazione

(Erklärung) di fronte al processo cognitivo della natura. È chiaro che la funzione che

Kant attribuisce alla facoltà del giudizio teleologico è essenziale per l’orientamento

nell’esperienza,26

Da questo punto di vista, non si può non vedere in questa funzione come Kant

abbia cercato di fornire l’esibizione del ruolo effettivo della ragione come facoltà delle

regole di unificazione e organizzazione dei principi dell’intelletto, orientati verso

l’esperienza possibile.

in particolare nel contesto di una esperienza determinata, che, messa a

confronto con altri casi, é capace di unificare diverse leggi empiriche sotto un principio

comune.

27

L’uso empirico della ragione trova in quello della facoltà del

giudizio teleologico la sua incarnazione nel particolare, nella prassi scientifica, nel

confronto diretto con l’esperienza determinata. Dal punto di vista epistemologico, il

concetto di tecnica della natura svolge più funzioni, proprio per permettere una

rappresentazione dell’origine della generazione interna alla natura e soprattutto per dare

un significato all’unità della generazione naturale.

b) Tecnica della natura e leggi di ragione

Brandt ha analizzato la relazione tra tecnica della natura e leggi di ragione in The

Deductions in the Critique of Judgment: Comments on Hampshire an Horstmann.28

Brandt rileva qui una doppia difficoltà: da un lato, c’è un’oscillazione della

prospettiva da cui sono visti i principi di ragione e, dall’altro, l’esposizione kantiana

tende a enfatizzare la relazione tra la convenienza della natura con le facoltà umane e la

conformità a scopi tra le parti stesse della natura.

Brandt rivolge la sua attenzione ai principi di ragione e, come fa anche Morrison,

sostiene che vi sia un accordo presupposto tra i principi logici di unità, specificazione e

affinità con la natura stessa, così che questi possono anche diventare principi

trascendentali nel loro uso.

29

26 Cfr. KdU, KGS V, p. 194.

Considerando che questo accordo tra

27 Su questo punto si riprendono le interpretazioni di chi ha sostenuto una continuità tra la terza Critica e Il Canone della ragione pura, visto come l’origine per lo sviluppo della tematica del 1790. 28 R. Brandt, The Deductions in the Critique of Judgment: Comments on Hampshire an Horstmann, in Kant's Transcendental Deductions: The Three Critiques and the Opus Postumum, a cura di E. Förster, Stanford 1989. 29 Brandt (1989), p. 180. Brandt sottolinea come l’origine di questi problemi sia da trovarsi già nella Dissertatio del 1770. Concordo, però, con l’interpretazione di Guyer, secondo cui il problema sopra esposto può essere rinvenuto ancor prima e con chiarezza nel Beweisgrund. Per ulteriori dettagli si veda P. Guyer, Kant’s System of Nature and Freedom, Oxford 2005, pp. 89-92. Inoltre riporto l’interessante

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ragione e natura garantisce la verità di un sistema strutturato di conoscenze empiriche,

Brandt afferma che la Critica della ragione pura e la Critica della facoltà di giudizio

mostrano una continuità, tolti alcuni shifts come accade in tutta la produzione kantiana

tra il 1781 e il 1790. Inoltre Brandt sostiene che “the Judgment presents reason with no

goals for its maximal use, but rather supplies with the concept of purposiveness a

fundamental possibility: to think as unity something that, for the understanding, would

remain only accidental and incomprehensible”.30 Tuttavia Brandt argomenta che “in the

final introduction to the Critique of Judgment and in the work itself (with one exception

in CJ §23, 5:246), Kant has abandoned the concept of a technique of nature in the

principle of suitability of nature to our cognitive faculty; it is now applied only to

organic bodies, that is where nature itself shows the form of a system”.31

A questa considerazione di Brandt va però fatta una critica, proprio perché, se si

considera il concetto di tecnica della natura,

32 può essere mostrato che esso non si

riferisce solo ai corpi organici, ma anche alle forme geometriche che si riconoscono in

natura (strutture dei cristalli, simmetrie anatomiche).33

La funzione propria del concetto di tecnica della natura consiste nel porre la

questione di un altro genere di generazione, quello secondo cause finali, al fine di

fondare l’unità della contingenza riscontrata in natura e di permettere che essa sia

compatibile con la necessità della spiegazione meccanica della natura secondo cause

efficienti.

Pertanto il primo passo da compiere riguarda l’identificazione del filo conduttore

da seguire per inquadrare il problema, così come Kant lo presenta nella Critica della

facoltà di giudizio:

Finora nessuno ha messo in dubbio la giustezza del principio che su certe cose della

natura (esseri organizzati) e la loro possibilità si debba giudicare secondo il concetto delle cause finali, anche se soltanto si vuole trovare il filo conduttore per imparare a conoscere mediante l’osservazione la loro costituzione, senza osare di spingersi fino alla ricerca sulla loro prima origine.34

Kant chiarisce che il concetto di cause finali deve essere “un certo presentimento

della nostra ragione o un cenno che, per così dire, la natura ci da, il fatto che noi per

osservazione di Nuzzo (2005), p. 342, per cui il nucleo problematico circa la fondazione della produzione naturale e la sua conformità al nostro giudicare trae origine nell’Allgemeine Naturgeschichte del 1755. 30 Brandt (1989), p. 187. 31 Su questo punto l’analisi di Brandt sembra corretta. Cfr. Brandt (1989), pp. 186-187. 32 Cfr. KdU, KGS V, pp. 360-61. 33 Cfr. KdU,KGS V, pp. 418-19. 34 KdU, KGS V, pp. 389-90.

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mezzo di quel concetto di cause finali ci si possa spingere addirittura oltre la natura e

fissarla essa stessa al punto più alto nella serie delle cause, solo che si abbandoni la

ricerca della natura […] e, prima si tenti di appurare dove conduce quel forestiero nella

scienza della natura, vale a dire il concetto di scopi naturali”.35

Certamente il concetto di cause finali può essere usato come massima, in vista

della conoscenza della natura, sebbene comporti contraddizioni e notevoli problemi, se

considerato come mezzo per andare al di là della natura stessa, ovvero se è preso come

fondamento del giudicare determinante sulla natura. Così come Kant ha rilevato

l’impossibilità di conoscere qualcosa, circa il fondamento del principio della conformità

della natura a scopi, e, dunque, di conoscere la ragione della conformazione delle

facoltà umane, allo stesso modo ritiene impossibile determinare la tecnica della natura

in se stessa, sebbene egli affermi che questo concetto sia di importanza capitale per

pensare un’altra causalità, cioè la Wirkungsart della natura, come suggerisce il passo

seguente:

Sotto un certo punto di

vista è possibile concludere che le cause finali possono essere pensate attraverso il

concetto di tecnica della natura.

Infatti, noi chiamiamo in causa un principio teleologico quando attribuiamo al concetto di un oggetto, come se si trovasse nella natura (non in noi), una causalità rispetto all’oggetto, o piuttosto ci rappresentiamo la possibilità dell’oggetto, secondo l’analogia di una tale causalità (quale troviamo in noi stessi), e con ciò pensiamo la natura come tecnica in ragione di una sua propria capacità, mentre, se non le attribuiamo un tal modo di avere effetti, la sua causalità dovrebbe essere rappresentata come un cieco meccanismo.36

Kant configura qui un doppio problema. Da un lato sorge la domanda

trascendentale circa la possibilità di connettere fini riconosciuti in natura con principi

oggettivi.

Dall’altro deve essere trovato un fondamento in un tipo speciale di causalità per i

nostri asserti circa alcuni fenomeni naturali e connessioni finali. Questo tipo speciale di

causalità deve però accordarsi con le leggi di natura, così che sia attuabile una

connessione tra nexus effectivus e nexus finalis. Questa connessione è resa pensabile

solo grazie al concetto di tecnica della natura:

35 KdU, KGS V, pp. 390-91. 36 KdU, KGS V, p. 360.

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Dal momento che, a causa di ciò che di simile a scopi troviamo nei suoi prodotti, chiamiamo tecnica il procedimento (causalità) della natura, vogliamo dividerla in intenzionale (technica intentionalis) e inintenzionale (technica naturalis).37

Alla luce dei passi presi in esame e dell’intento più generale della terza Critica,

l’analisi di Brandt dovrebbe essere rigettata nelle sue premesse. Occorre piuttosto

indagare la questione che riguarda l’intenzionalità secondo scopi, ovvero il rapporto che

intercorre fra realtà e facoltà umane, secondo un rapporto della conseguenza (Folge)

con il suo fondamento (Grund).

c) Cosa significa pensare il mondo come prodotto di

un’intelligenza?

Sul piano ontologico il concetto di tecnica della natura introduce la domanda

sulla possibilità di un principio comune che rappresenti l’azione, secondo intenzioni. Il

concetto di una conformità oggettiva a scopi è un principio della ragione per la facoltà

del giudizio riflettente, una massima che la ragione prescrive:

Non posso giudicare altrimenti sulla possibilità di quelle cose e la loro generazione, secondo la peculiare costituzione delle mie facoltà conoscitive, se non penso per esse una causa che agisce secondo intenzioni, e quindi a un essere che, secondo l’analogia con la causalità di un intelletto, è produttivo.38

In questo caso la ragione determina l’uso di facoltà cognitive secondo il loro

speciale carattere e con le condizioni essenziali così come i limiti del loro dominio.

Perciò il giudicare teleologico è introdotto giustamente nell’indagine della natura, ma

solo problematicamente, per favorire l’osservazione, in analogia con una causalità

secondo fini, senza presumere di spiegarli. Questa seconda funzione della spiegazione

(Erklärung) è propriamente quella del giudicare determinante, mentre la massima

prescritta dalla ragione per la facoltà del giudizio risponde a uno speciale bisogno. Del

resto, è necessario sottoporre la natura al concetto di un’intenzione, se si vuole portare a

compimento la ricerca sui suoi prodotti organizzati attraverso una continua

osservazione. Questo concetto di intenzione è perciò già una massima assolutamente

necessaria per l’uso della ragione in vista dell’esperienza, cioè per il suo uso empirico.

37 KdU, KGS V, pp. 390-91. 38 KdU, KGS V, p. 398.

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Se si devono connettere leggi di natura in accordo con ciò che è garantito

conoscere alla natura umana – secondo i limiti e le condizioni di possibilità della

ragione –, “non possiamo assolutamente porre a fondamento della possibilità di quegli

scopi naturali nient’altro che un essere intelligente, il che è l’unico fondamento

conforme alla massima della nostra facoltà riflettente di giudizio, conforme di

conseguenza a un fondamento soggettivo, ma irremissibilmente inerente al genere

umano”.39

Questa posizione kantiana assume una sua originalità, senza abbracciare lo

spinozismo o l’ilozoismo, e senza tornare indietro alla teleologia esterna wolffiana. Il

concetto di conformità a scopi della natura, usato come massima in vista della

conoscenza della natura, conduce tuttavia ad una questione controversa che consiste

nella coesistenza nel giudicare dei fenomeni naturali secondo un nexus effectivus e un

nexus finalis, nella coesistenza cioè di diverse causalità in natura. L’appello a un

fondamento soprasensibile per dare unità a questi principi rispondenti a un nexus

effectivus o a un nexus finalis implica che deve esserci un substratum indeterminato e

inconoscibile che renda possibile la loro combinazione. La questione ontologica, se il

mondo sia ordinato in sé secondo una causa finale, viene risolta da Kant affermando la

possibilità di definire questo fondamento (Grund) o substratum nei suoi effetti (Folgen),

che sono giudicati secondo il concetto di conformità a scopi. Allo stesso tempo però

l’intelletto procede nel giudicare l’esistenza attraverso la determinazione dell’azione

(Wirkungsart):

Se parliamo ora dei sistemi di spiegazione della natura in termini di cause finali, si deve

osservare che nel complesso essi sono dogmaticamente in conflitto tra di loro, cioè sui principi oggettivi della possibilità delle cose, vale a dire in forza di cause che agiscono intenzionalmente oppure soltanto inintenzionalmente, non però sulla massima soggettiva di giudicare semplicemente sulla causa di tali prodotti conformi a scopi: in quest’ultimo caso I principi disparati potrebbero ancora essere riuniti, mentre nel primo caso principi opposti contraddittoriamente si eliminano l’un l’altro e non possono sussistere l’uno vicino all’altro.40

Perciò è possibile pensare una connessione di principi spiegati da un nexus

effectivus con quelli di un nexus finalis, solo considerandoli come principi disparati e

presupponendo un loro principio comune intelligibile, senza di cui sarebbe impossibile

pensare il concetto di conformità a scopi della natura e la libera azione umana nel

mondo o l’origine spontanea di una serie.

39 KdU, KGS V, pp. 400-1. 40 KdU, KGS V, p. 391.

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In sostanza, la possibilità di essere orientati nell’esperienza, soprattutto in quella

che investe gli organismi, e di riconoscere le leggi empiriche generali della natura

risiede nella presupposizione di questo fondamento intelligibile, anche se esso va

considerato come un filo conduttore e non può essere ulteriormente determinato o

provato nella sua realtà oggettiva. Questo aspetto si traduce poi nel rigetto da parte di

Kant di ogni teologia fisica e, di contro, nella fondazione di una fisiologia sul principio

della facoltà teleologica del giudizio.

È chiaro che il concetto di tecnica della natura assume, nell’ambito della

fisiologia, una funzione necessaria per fornire un certo riferimento oggettivo all’origine

della generazione in natura: è il substratum della forza produttiva inerente alla natura

stessa, mentre il substratum soggettivo fornisce un riferimento universale e soggettivo

alle leggi della ragione per accordarle con la conformità a scopi.

Dal momento che il concetto di tecnica della natura assume un ruolo nella

fondazione della possibilità della contingenza nel mondo, si può concludere come fa A.

Nuzzo che “we must assume that nature proceeds as if it were producing its form

technically, precisely because we are ourselves beings who belong to nature and who

are able to act in a purposive way”.41

Dunque, le conseguenze della posizione kantiana

possono essere determinate in un duplice senso: da un lato emerge una forte istanza

epistemologica e dall’altro si apre la dimensione pratica della ragione, là dove la

fisiologia può trovare un momento superiore nell’eticoteologia, sebbene quest’ultima e

la teologia morale siano nettamente distinti dalla dimensione della vecchia teologia

fisica.

d) La relazione tutto-parti: la costituzione delle facoltà

La possibilità di pensare un substratum intelligibile conduce Kant alla questione

epistemologica dei modi possibili di concepire la relazione tra il tutto e le sue parti, in

altre parole, alla questione della costituzione dell’unità sistematica secondo le nostre

facoltà.

La domanda circa la costituzione delle facoltà (Vermögen) implica la divisione

tra intelletto e intuizione. Secondo Kant queste fonti conoscitive sono complementari e,

secondo combinazioni differenti, rendono possibile la distinzione ontologica tra

41 Nuzzo (2005), p. 253.

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possibilità e realtà delle cose. Dunque, il piano ontologico e quello epistemologico sono

profondamente legati nella terza Critica:

Esso [il concetto di un essere assolutamente necessario] vale però per l’uso delle nostre facoltà conoscitive, secondo la loro peculiare costituzione, e quindi non per l’oggetto e dunque non per ogni essere conoscente, perchè non posso presupporre in ognuno di essi il pensiero e l’intuizione come due distinte condizioni della possibilità e della realtà delle cose. Per un intelletto in cui non si desse questa distinzione vorrebbe dire che tutti gli oggetti che conosco sono (esistono) e che la possibilità di alcuni che non esistessero, cioè la loro contingenza qualora non esistano, e quindi anche la necessità che deve essere distinta da essa, non potrebbero affatto entrare nella rappresentazione di un tale essere.42

Come risultato, la definizione che Kant da di intelletto intuitivo dipende dalla

costituzione particolare delle nostre facoltà e il concetto di un essere assolutamente

necessario è un’idea indispensabile della ragione, ma rimane un concetto problematico

per l’intelletto umano. Questa sembra essere la premessa necessaria per la fondazione

dell’unificabilità del nexus effectivus con il nexus finalis insieme alla distinzione che

Kant attua tra l’universale analitico e quello sintetico del concetto di causa come

prodotto (Wirkugsart): Ne va dunque del rapporto tra il nostro intelletto e la facoltà di giudizio, cioè del fatto

che in ciò rinveniamo una certa contingenza della costituzione del nostro intelletto per farne un contrassegno della peculiarità di esso a differenza degli altri intelletti possibili.43

Il carattere peculiare della contingenza dell’intelletto umano è assunto come

contrassegno attraverso la prassi del giudicare, poiché è proprio nel giudicare e

nell’osservare la natura che:

Questa contingenza si trova del tutto naturalmente nel particolare che la facoltà di

giudizio deve portare sotto l’universale dei concetti dell’intelletto; infatti, mediante l’universale del nostro (umano) intelletto il particolare non è determinato; ed è contingente in quanti vari modi possano presentarsi alla nostra percezione cose diverse che pure convengono in una nota comune.44

Per pensare un possibile accordo di un certo prodotto naturale con la facoltà del

giudizio si deve pensare un altro intelletto, sebbene non il nostro, in relazione al quale

può essere rappresentato l’accordo delle leggi naturali con la facoltà di giudizio. Come

si è anticipato, questo problema è risolto nella fisiologia dall’uso del concetto di tecnica

42 KdU, KGS V, pp. 402-3. 43 KdU, KGS V, p. 406. 44 KdU, KGS V, p. 406.

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della natura come chiave di volta per unificare il molteplice nel tutto della natura senza

dover attribuire un’esistenza esterna al concetto di cause finali:

Il nostro intelletto ha, infatti, la proprietà di dover andare nelle sue conoscenze, per esempio della causa di un prodotto, dall’universale analitico (dai concetti) al particolare (dell’intuizione empirica data); con il che quindi non determina nulla riguardo alla molteplicità del particolare, ma deve aspettare questa determinazione, attraverso la facoltà di giudizio, dalla sussunzione dell’intuizione empirica (se l’oggetto è un prodotto della natura) sotto il concetto.45

Per Kant è necessario porre la differenza tra un intelletto discorsivo e quello

intuitivo (determinato solo negativamente come non discorsivo), posseduto da un

modello archetipo di intelletto, per poter pensare la natura su due livelli, e per concepire

la contingenza che è allo stesso tempo necessaria per l’intelletto discorsivo. L’altro

intelletto, quello intuitivo, procede dal tutto alle parti, cioè, dall’universalità sintetica al

particolare, in cui non si ritrova alcuna contingenza delle parti. Queste sono concepite

come fondamenti di differenti forme possibili che sono conseguenze da sussumere

semplicemente. Inoltre l’intelletto intuitivo può concepire la possibilità delle parti come

dipendenti dal tutto, solo rappresentando un tutto contenente in sé il fondamento per la

possibilità della sua forma e per la connessione tra le sue parti.

Tuttavia l’intelletto umano procede nel considerare l’azione e nel determinare la

relazione tra causa ed effetto, secondo possibili modi rappresentativi, ovvero concepisce

un tutto reale della natura, visto però solo come effetto delle forze motrici concorrenti

fra le parti:

È solo una conseguenza della particolare costituzione del nostro intelletto se noi ci rappresentiamo prodotti della natura come possibili secondo un tipo di causalità diverso da quello delle leggi naturali della materia, cioè solo secondo quella degli scopi e delle cause finali, e che questo principio non riguarda la possibilità di queste cose stesse (anche considerate come fenomeni) secondo questo tipo di generazione, ma solo il giudicar di esse che è possibile al nostro intelletto.46

Perciò le cause finali non devono essere considerate come connesse al modo di

generare o essere generate delle cose in se stesse, ma sono connesse solo al nostro modo

di giudicare l’unità dei fenomeni. Se tra gli oggetti esterni, come fenomeni, non può

essere trovata una ragione sufficiente, allora questo fondamento deve essere cercato

ancora solamente in un sostrato soprasensibile della natura. Poiché è assolutamente

impossibile ricavare dalla natura stessa un fondamento di spiegazione di connessioni

45 KdU, KGS V, p. 406. 46 KdU, KGS V, p. 408.

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finali e, secondo la costituzione delle facoltà conoscitive umane, è necessario ricercare il

fondamento di certe connessioni in un intelletto originario come causa del mondo.47

Questa è la conseguenza più importante della risoluzione kantiana

dell’antinomia della facoltà teleologica del giudizio.

Kant sottolinea che il fondamento per connessioni finali deve essere ritrovato in

un sostrato inconoscibile, che, laddove si consideri la natura come un tutto, deve essere

visto come un intelletto originario, causa del mondo. Tuttavia, proprio considerando la

tecnica della natura dentro la natura stessa e sviluppando lo strumento dell’analogia,

Kant è lontano dall’abbracciare una soluzione teologica. Al contrario, egli traccia una

conseguenza coerente dell’approccio trascendentale alla conoscenza e all’esperienza,

attraverso una critica alla fisicoteologia.

Infatti, l’unico modo per fondare la finalità a scopi della natura, consiste nel

riflettere questo nexus finalis nei giudizi come se (als ob) fosse un prodotto di

un’intelligenza superiore capace di pensare la natura come un sistema e di creare serie

di eventi che vengono giudicati secondo fini. Questo permette la coesistenza nello

stesso mondo delle leggi naturali meccaniche e della libertà. Per rappresentare questa

funzione Kant sceglie il concetto di tecnica della natura come l’agente che è capace di

attuare la corrispondenza tra una sostanza inconoscibile e il modo umano di

rappresentare e giudicare specifici eventi e prodotti naturali. Tuttavia, nel procedere

dell’argomentazione, Kant non si ferma all’uso del “come se” per giustificare questa

corrispondenza, ma aggiunge che essa dipende dalla costituzione delle facoltà e dalla

capacità degli esseri umani di concepire la loro azione libera secondo fini razionali, cioè

secondo un’intenzionalità libera, di cui deve esserci un Grund nella misura in cui la

libertà diviene una verità di fatto capace di darsi nel Mondo.

e) Explicatio ed Expositio: come connettere nexus effectivus e

nexus finalis?

Come sottolineato in precedenza, la connessione tra nexus effectivus e nexus

finalis rivela il legame tra ragione e facoltà di giudizio. In secondo luogo, questo legame

da una risposta analogica alla molteplicità e all’accordo di molti generi in natura. Uno

dei passi più dibattuti dalla critica è quello del §78, dove Kant si concentra su un

47 Cfr. KdU, KGS V, p. 410. La domanda circa l’elemento che permette il fondamento per la possibilità degli organismi, rappresentato come “Basis” della possibilità delle sue parti è posta da Kant anche nell’Opus postumum. Cfr. Förster (2000); Edwards (2000); Friedman (1992); Emundts (2004).

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possibile fondamento comune di unificazione di nexus effectivus e nexus finalis,

attraverso la necessaria subordinazione del principio del meccanismo al principio

teleologico nella spiegazione dell’organismo.48

L’unificazione del principio del meccanismo universale della materia con il

principio della giudizio teleologico è realizzato attraverso il concetto di tecnica della

natura. Da qui nascono delle difficoltà, in quanto entrambi i concetti che rendono

possibile questa unità, quello di spiegazione e quello di esposizione, lasciano delle

ambiguità. In altre parole è possibile unificare effetti sotto cause finali attraverso una

Darstellung,

49

Questa è la ragione sostanziale per cui il concetto di tecnica della natura è

determinato solo considerando e giudicando gli effetti che la natura produce, in quanto

sarebbe impossibile rendere conoscibile un sostrato intelligibile della generazione

naturale, senza riceverlo nell’intuizione. Non si può, dunque, definire in cosa consista la

tecnica della natura, sebbene solo attraverso questo concetto si possa ammettere

l’unificazione della contingenza con la necessità in natura:

che è l’unico modo che noi abbiamo per rappresentare la possibilità degli

oggetti naturali, mentre l’esposizione (Expositio), grazie all’analogia, permette alle

cause finali di essere rappresentate indirettamente nell’intuizione.

Ma, se accade che si presentino oggetti della natura che non possono essere da noi

pensati nella loro possibilità secondo il principio del meccanismo (che sempre, riguardo a un essere della natura avanza diritti) senza appoggiarci su principi teleologici, possiamo supporre che sia solo lecito indagare tranquillamente le leggi della natura conformemente a entrambi […], senza turbarsi della parvente contraddizione che si manifesta tra i principi per giudicarlo, poiché almeno la possibilità che entrambi possano essere accordati anche oggettivamente in un principio (in quanto essi concernono fenomeni che presuppongono un fondamento soprasensibile) è assicurata.50

Tuttavia è possibile ottenere, secondo l’uso della facoltà di giudizio, il principio

universale della capacità riflettente del giudizio per il tutto della natura, rendendo

compatibili nexus effectivus e nexus finalis, senza confonderli:

Perché la ragione di questa compatibilità sta in ciò che non è né l’uno né l’altro (né meccanismo, né legame secondo scopi), ma è il sostrato soprasensibile della natura, di cui non conosciamo nulla, i due modi rappresentativi della possibilità di tali oggetti, per la nostra (umana) ragione, non debbono essere fusi insieme, ma non possiamo giudicarli altrimenti che fondati, secondo il collegamento delle cause finali, in un intelletto superiore, con il che dunque non si toglie nulla al tipo di spiegazione teleologico.51

48 Per la definizione di scopo (Zweck), cfr. KdU, KGS V, p. 408.

49 Per altri dettagli sulla relazione tra Darstellung e tecnica della natura, cfr. Nuzzo (2005), pp. 239-41. 50 KdU, KGS V, pp. 412-13. 51 KdU, KGS V, p. 414.

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L’autorizzazione e l’obbligo di dare una spiegazione meccanica di tutti i prodotti

e gli eventi della natura sono possibili perché questi sono suscettibili di indagine solo

sotto il concetto di fine della ragione, cioè sono, in ultima analisi, subordinati alla

causalità della libertà.

Non è un caso, infatti, che la parte conclusiva del §78 è volta a determinare il

carattere pratico dell’attività teoretica. L’orizzonte pratico della terza Critica è la

dimensione propria degli esseri razionali: questa sembra essere la vera considerazione

da cui parte l’idea e il progetto di un forte impianto antropologico presente nel sistema

della filosofia trascendentale.

L’attività (Handlung) della sintesi è il fondamento originario che influenza la

costituzione delle nostre facoltà.52

Secondo una premessa di questo tipo, il concetto di

tecnica della natura permette la rappresentazione di una causa interna della generazione

in natura compatibile con la costituzione delle facoltà umane. Inoltre il concetto di

tecnica della natura assume un ruolo fruttuoso agli occhi di Kant per determinare la

relazione fra ragione e facoltà di giudizio nel processo cognitivo di fronte alla

contingenza, sia nel campo della scienza sia dei processi storici. Dunque anche della

storia della scienza. Questa concezione kantiana lascia spazio, infine, ad uno schema

della tendenza, ovvero ad un’idea di organizzazione della natura che dipende da un

principio o da una forza immateriale, intelligibile, che rappresenta il limite a cui la

ragione teoretica deve tendere e che la ragione pratica deve presupporre:

L’ammirazione invece è una meraviglia che sempre ritorna […]. Di conseguenza quest’ultima è un effetto del tutto naturale di quella conformità a scopi osservata nell’essenza delle cose (in quanto fenomeni), che pure non può essere biasimata, in quanto la compatibilità con quella forma dell’intuizione sensibile (che si chiama spazio) con la facoltà dei concetti (intelletto), non solo ci è inspiegabile perché sia proprio questa e non un’altra, ma oltre a ciò è anche qualcosa che estende l’animo in modo, per così dire, da far presentire qualcosa che sta oltre, al di là di quelle rappresentazioni sensibili, in cui potrebbe essere trovato il fondamento ultimo, sebbene a noi sconosciuto di quell’accordo.53

3.3 Forza e materia nella Critica della facoltà di giudizio

Il tema centrale del giudicare teleologico sorge nell’ambito dell’Antinomia tra le

massime della facoltà di giudizio che vengono trasformate in principi costitutivi:

52 Per un’analisi su questo punto nell’ambito dell’antropologia kantiana e il suo background storico, si veda H. Caygill, Kant's Apology for Sensibility, in Essays on Kant's Anthropology, Cambridge 2003, pp. 164-193. 53 KdU, KGS V, p. 365.

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La prima massima della facoltà di giudizio è la seguente tesi: Ogni generazione di cose materiali e delle loro forme deve essere giudicata come possibile secondo leggi solo meccaniche. La seconda massima è l’antitesi: Alcuni prodotti della natura non possono essere giudicati come possibili secondo leggi solo meccaniche (il loro giudizio richiede una legge del tutto diversa della causalità, vale a dire quella delle cause finali). Se si trasformano questi principi regolativi della ricerca in principi costitutivi, cioè della possibilità degli oggetti stessi, essi suonerebbero così: Tesi: Ogni generazione di cose materiali è possibile secondo leggi solo meccaniche. Antitesi: Alcune generazioni di quelle stesse cose non sono possibili secondo leggi solo meccaniche.54

Alla risoluzione dell’Antinomia seguono importanti considerazioni sulla

causalità, in base a cui il concetto di forza può essere strutturato. Si nota, infatti, una

corrispondenza fra la maggiore complessità del tema della causalità, affrontato nella

terza Critica, e la trattazione della forza e della materia negli anni ‘90.

La prima osservazione da compiere consiste nel fatto che, tanto il concetto di

forza, quanto quello di materia, sono legati alla trattazione dei corpi organici. Sebbene

Kant indichi una contraddizione nell’espressione “materia vivente”, è un fatto che nella

Critica della facoltà di giudizio si ponga il problema della coesistenza di un modo di

spiegazione meccanico dei corpi fisici e di uno teleologico per i corpi organici che

interagiscono con la materia inerte e che ne sono parte. Di ciò si ha evidenza nel passo

che segue:

Ma la possibilità di una materia vivente (il cui concetto contiene una contraddizione, perché l’assenza di vita, inertia, costituisce il suo carattere essenziale) non può neanche essere pensata; la possibilità di una materia viva e della natura nel suo insieme come di un animale può essere usata come estrema risorsa (in funzione di un’ipotesi della conformità della natura a scopi, in grande) solo nella misura in cui ci viene rivelata nell’esperienza riguardo all’organizzazione della natura, in piccolo, ma in nessun modo essere compresa a priori secondo la sua possibilità. Si deve essere incorsi in un circolo nella definizione, se si intende derivare la conformità della natura a scopi negli esseri organizzati dalla vita della materia e a sua volta non si riconosce questa vita se non negli esseri organizzati e, senza tal esperienza, non ci si può fare quindi alcun concetto della loro possibilità.55

È da questa prima osservazione che si sviluppa per Kant la necessità di indagare

il rapporto tra figura (Figur) e organismo, corrispondenti rispettivamente, a quello di

testura o configurazione strutturale interna (Textur) e a quello di materia. Il concetto di

figura legato all’organismo ha delle ricadute fondamentali per la filosofia della natura di

Kant. Come la materia, infatti, occupa con le forze motrici uno spazio e assume una

diversa composizione delle sue parti, che vengono orientate, a seconda delle forze

54 KdU, KGS V, p. 387. 55 KdU, KGS V, p. 394.

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esercitate, così l’organismo ha una particolare configurazione, cioè una particolare

struttura che gli permette di occupare lo spazio in modo differente dalla “materia bruta”.

L’organizzazione delle parti nello spazio e delle loro funzioni in un rapporto di

mezzo-fine con il tutto, costituisce la cifra per la definizione degli organismi come

sistemi chiusi, come strutture che occupano lo spazio in modo del tutto diverso da

quello dei corpi inorganici. Di questo si ha evidenza non solo a partire dal testo del ’90,

ma anche nell’Opus postumum, laddove Kant ritiene necessario inserire le forze

organiche nel Sistema elementare delle forze motrici e pensa i corpi fisici come oggetto

della fisica, di cui fanno parte anche i corpi organici.56

Nel caso della materia tale causa è da far coincidere con le forze di attrazione e

repulsione, nel caso dei corpi organici le forze organiche non sono altro che funzioni

differenti attribuite alle parti di un sistema che è il loro fine. Per comprendere

pienamente la concezione kantiana è bene entrare nello specifico degli esempi di cui si

serve nella terza Critica, traendo spunto da diversi casi, appartenenti ai corpi organici e

a quelli inorganici. Prendiamo ad esempio il caso del fenomeno della cristallizzazione.

Questa riflessione può far

comprendere come il fattore dell’occupazione dello spazio, caratteristica propria dei

corpi organici ed inorganici, non sia la discriminante per distinguerli, quanto invece sia

la causa, in base alla quale essi occupano in un certo modo lo spazio, a costituire il vero

discrimine.

Nel §58 Kant discute la necessità di porre a fondamento dell’indagine della

natura la massima della ragione contro la moltiplicazione dei principi. In questo

contesto si colloca la seguente affermazione:

[…] La natura mostra dappertutto nelle sue libere formazioni una forte tendenza meccanica alla generazione di forme che, per così dire, sembrano fatte per l’uso estetico della nostra facoltà di giudizio, senza fornirci la minima ragione in favore della presunzione che occorre ancora,per ciò, qualcosa di più del suo meccanismo, semplicemente come natura, per cui quelle formazioni, senza alcuna idea che stia a loro fondamento, possano essere conformi a scopi per il nostro giudicare.57

Qui per libera formazione della natura Kant intende un processo di aggregazione

o solidificazione improvvisa di un fluido in quiete assimilato alla cristallizzazione. Ora,

questo fenomeno è reso possibile dalla volatilizzazione o separazione del calorico:

Ma per libera formazione della natura intendo quella per cui a partire da un fluido in

quiete, mediante volatilizzazione o separazione di una sua parte (talora solo del calorico), il

56 Cfr. infra, Capitolo I. 57 KdU, KGS V, p. 347.

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resto assume nella solidificazione una determinata configurazione o trama (figura o testura), che è diversa secondo la specifica diversità delle materie, ma in ciascuna di esse esattamente la medesima.58

In questo passo, dunque, Kant si serve della teoria del calorico per dar conto

della causa da cui scaturisce il fenomeno della cristallizzazione. La materia che si separa

istantaneamente nella solidificazione è un quantum di calorico e questo processo

soggiace alla trasformazione dell’acqua in ghiaccio o alla formazione di sali e pietre.

Anche la generazione di cristallizzazioni minerali viene spiegata da Kant in questi

termini e a questa si aggiunge che il criterio per giudicarle, ovvero per classificarle, si

basa sulla particolare testura interna che mostrano.59

Come si vedrà anche nel prossimo capitolo, dedicato in parte alla ricostruzione

del quadro storico scientifico dell’epoca kantiana, l’importanza dell’influsso della

cristallografia e degli studi sull’elettricità e il magnetismo, è determinante per la stesura

della terza Critica e per l’elaborazione dell’epistemologia kantiana. Il termine chiave

Textur, utilizzato in queste pagine della KdU è, infatti, preso dal vocabolario scientifico

dell’epoca. Nella scienza dei materiali, questo indica la distribuzione degli orientamenti

cristallografici di policristalli. Quando in alcuni minerali o metalli, formati da molteplici

cristalli, l’orientamento cristallografico non è casuale, ma mostra un ordine con un

orientamento preferenziale, allora questo possiede una testura, cioé una strutturazione

preferenziale interna orientata. La testura è stata spesso rappresentata geometricamente

usando una figura ad assi, in cui uno specifico asse o polo cristallografico è tradotto in

una proiezione stereografica, lungo tutte le direzioni utili a definire la storia del

processo del materiale.

La perfezione e l’ordine che mostra la distibuzione degli assi dei cristalli, tanto

da poter essere tradotti graficamente dalla geometria, conduce Kant a sostenere che,

sebbene le formazioni minerali siano conosciute in base al processo meccanico che le ha

generate, eppure esse ammettono anche un giudizio estetico, proprio in virtù della

perfezione che mostrano, ad esempio, nella perfetta proporzione matematica eseguita

58 KdU, KGS V, p. 348. 59 Per argomentare questo punto Kant si serve anche di un esempio che riguarda la siderurgia, in particolare Kant si riferisce all’esperimento della spillatura, usato nel processo di lavorazione dell’acciaio. Nel XVIII secolo la spillatura iniziava ad essere utilizzata nel Continente. Questa è la tecnica utilizzata per l’estrazione della ghisa fusa. La ghisa è una lega ferro-carbonio prodotta da una serie di processi chimici e termici. Grazie alla formazione di monossido di carbonio (CO), avviene una reazione di FeO+CO, e si separa l’ossigeno dal ferro presente nei minerali. Durante il processo di lavorazione l’ossido di carbonio si scinde in anidride carbonica e in carbonio libero (C), producendo molto calore. Questi processi di lavorazione venivano considerati cruciali in chimica, per la teoria del calorico e per quella del flogisto. Cfr. KdU, KGS V, p. 349: “In taluni metalli, che esternamente si erano induriti dopo la fusione, mentre all’interno erano ancora fluidi, si é osservato qualcosa di simile grazie alla spillatura”.

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nella formazione del ghiaccio dai piccoli raggi che si connettono tra loro secondo angoli

di 60 gradi.60

Fig. 3.1 Wulff net usato nella descrizione geometrica della testura.

Così cristalli, come l’aragonite o l’ematite “danno spesso configurazioni

estremamente belle, come solo l’arte potrebbe mai escogitare” e “la magnificenza della

grotta di Antiparo è semplicemente il prodotto di acqua che filtra attraverso uno strato di

gesso”.61

È a questo punto che il discorso kantiano acquista un notevole interesse:

In generale, secondo ogni apparenza, il fluido è più antico del solido e le piante, così come i corpi animali, sono costituite di materia nutritiva fluida, in quanto questa si forma in quiete.62

Salta subito agli occhi che Kant vorrebbe applicare la teoria del calorico anche

agli esseri viventi così da unificare il regno animale, vegetale e minerale sotto un

medesimo principio fisico di spiegazione: la legge universale dell’affinità delle

materie.63

Qui si ha evidenza di due criteri per la classificazione degli esseri viventi. In

primo luogo, essi devono possedere un interno e un esterno, che possano costituire un

sistema di riferimento al cui interno un fluido è in quiete, così da garantire una

trasformazione dello stato di aggregazione della materia. In secondo luogo, è bene

notare che Kant sta qui proponendo un criterio storico per giudicare i processi naturali e

che riguardano non solo la storia del pianeta Terra, che si sarebbe formato da una massa

fluida successivamente raffreddata e solidificata, ma anche gli organismi sarebbero

soggetti a questo processo di perdita di calorico. Il filo rosso dell’argomentazione

kantiana conduce ad una duplice considerazione della generazione naturale, una

meccanica e una tecnica, come ha sostenuto C. Ferrini in L’organizzazione

60 KdU, KGS V, p. 349. 61 KdU, KGS V, p. 349. 62 KdU, KGS V, p. 349. 63 KdU, KGS V, p. 349.

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dell’inorganico.64 In sostanza, di fronte alla questione di come sia possibile che la

materia allo stato fluido possa essere ritenuta dotata di un principio interno di

autorganizzazione, Kant avrebbe trovato una soluzione nel significato materiale di

organizzazione,65 nella sua composizione chimica rispondente a principi empirici che

dessero conto della varietà delle materie l’una in relazione alle altre.66

Ma c’è una precisazione da fare sul piano epistemologico e che lo stesso Kant

compie in queste pagine. Risulta di capitale importanza la distinzione tra una posizione

che chiameremo di idealismo estetico (IE) e quella di realismo teleologico (RT) nel

giudicare la natura e i suoi prodotti. Questa differenza acquista valore se si pensa anche

all’attuale modalità di scelta di modelli scientifici di spiegazione che tengono conto non

solo dell’efficacia applicativa di strumenti matematici, ma anche della bellezza, della

simmetria e dell’eleganza che un modello esprime.

Senz’altro Kant lega il giudicare estetico con l’attività scientifica secondo un

principio di IE:

Ora, come i vapori acquei disciolti in un’atmosfera, che è una miscela di diversi tipi di gas, generano, quando quelli si separano da questi per perdita di calore, figure di neve che, secondo la diversità della precedente miscela di gas, hanno spesso figura estremamente bella che spesso appare fatta proprio ad arte, così si può ben pensare, senza nulla togliere al principio teleologico del giudicare dell’organizzazione, che per ciò che riguarda la bellezza dei fiori, delle penne degli uccelli, delle conchiglie, sia nella loro forma che nel loro colore, questa possa essere ascritta alla natura e alla sua capacità di formarsi, pur in modo esteticamente a scopi, nella sua libertà, senza scopi determinati a ciò diretti, secondo leggi chimiche, mediante la deposizione della materia richiesta per l’organizzazione.67

Questo approccio connota la posizione IE come quella secondo cui si pone a

fondamento del giudizio estetico il principio dell’idealità della conformità a scopi nel

bello della natura, come principio soggettivo che riposa sul libero gioco

dell’immaginazione e che considera il modo in cui apprendiamo la natura e le sue

forme.

Come si nota immediatamente dal passo precedente questa posizione

epistemologica di IE permette la coesistenza del giudicare estetico, secondo conformità

a scopi, con una spiegazione meccanica attraverso leggi empiriche della chimica per

quel che riguarda gran parte dei processi organici ed inorganici osservabili.

64 C. Ferrini, L’organizzazione dell’inorganico: Naturzweck e affinità chimica negli sviluppi del pensiero kantiano, in Filosofia e scienze, a cura di G. Gembillo e G. Cotroneo, Cosenza 2005, pp. 240-257. In particolare, pp. 244-245. 65 Ferrini (2005), pp. 256-257. 66 Cfr. Lettera di Kant a Sömmering, 10 agosto 1795. 67 KdU, KGS V, p. 349.

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A questa posizione si accosta quella di RT, più difficile da conciliare con un

modo di spiegazione meccanico, nel senso che questa giudica teleologicamente,

secondo un principio del realismo, una certa predisposizione originaria diretta a scopi

presente negli organismi e nei vegetali.68

La posizione di RT nasce dalla seguente

premessa che investe la concezione kantiana di causalità e il concetto di scopo naturale

(che non ha alcuna realtà oggettiva), a cui non possiamo non ricorrere nel giudicare

riflettente:

[…] Non solo non si può stabilire se cose della natura, considerate come scopi naturali, richiedono per la loro generazione una causalità di tipo del tutto speciale (quella secondo intenzioni), oppure no, ma non si può neppure porre la questione, perché il concetto di uno scopo naturale non è attestabile secondo la sua realtà oggettiva mediante la ragione (cioè non è costitutivo per la facoltà determinante di giudizio, ma è solo regolativo per quella riflettente). Che non lo sia è però chiaro per il fatto che esso, come concetto di un prodotto della natura, comprende in sé, proprio nella stessa cosa come scopo, e necessità naturale e però nello stesso tempo una contingenza della forma dell’oggetto (relativamente a semplici leggi della natura).69

La posizione di RT assume il concetto della conformità della natura a scopi nei

suoi prodotti, senza guardare alla determinazione degli oggetti stessi. RT rispecchia un

principio soggettivo della ragione per la facoltà di giudizio e non per l’intelletto (per

questo può sorgere l’apparente conflitto tra giudicare riflettente e determinate). In

quanto regolativo, questo principio vale per la facoltà umana di giudizio, come se (als

ob) fosse un principio oggettivo. Dunque, si vede che il “necessario contingente”, di cui

si parla continuamente nelle pagine della terza Critica, in fondo non riguarda

direttamente gli organismi come prodotti naturali, bensì la costituzione stessa delle

facoltà umane.70

Come si è sottolineato nel paragrafo precedente, Kant ricorre al concetto di

tecnica della natura e di sostrato intelligibile per trattare unitariamente la natura nella

sua generazione di diverse specie e prodotti:

Quale elemento in natura mostra una conformità interna a scopi più

della nostra capacità intellettiva e razionale di proiettare fini e di agire secondo idee?

Quindi il naturalista per non lavorare in pura perdita, deve sempre porre a fondamento, nel giudicare le cose il cui concetto come scopi naturali è indebitamente fondato (cioè gli esseri organizzati), una qualche organizzazione originaria che utilizza quello stesso meccanismo per produrre altre forme organizzate o per sviluppare le proprie in nuove configurazioni (che però conseguono sempre da quello scopo e conformemente ad esso).71

68 KdU, KGS V, p. 350. 69 KdU, KGS V, p. 396. 70 Cfr. KdU, KGS V, pp. 420-21. 71 KdU, KGS V, p. 418.

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Ora, lo stesso concetto di scopo naturale e quello di conformità della natura a

scopi, in quanto sono principi regolativi,72

non hanno altra funzione che quella di

svelare la contingenza del nostro intelletto, ma anche la libertà, l’autonomia del giudizio

secondo principi supremi a priori della ragione:

Questo elemento distintivo sta però nel fatto che l’idea citata [quella di scopo naturale] è un principio della ragione non per l’intelletto, ma per la facoltà di giudizio, ed è quindi solo l’applicazione di un intelletto in genere a oggetti possibili dell’esperienza; e precisamente: là dove il giudizio può essere non determinante, ma solo riflettente, l’oggetto è quindi dato, sì, nell’esperienza, ma su di esso, conformemente all’idea, neanche si può giudicare determinatamente (per non dire in modo completamente adeguato), ma ci si può solo riflettere. Si tratta dunque di una peculiarità del nostro (umano) intelletto riguardo alla facoltà di giudizio, nella riflessione di questa su cose della natura.73

È a questo punto che Kant svela la sua strategia per una determinazione per via

negativa delle facoltà. In questo senso acquista valore la critica che Salomon Maimon

aveva rivolto a Kant proprio sulla mancanza di un fondamento per la determinazione

delle fonti conoscitive. In effetti, non c’è un fondamento oggettivo e positivo per la

determinazione della costituzione dell’intelletto e della sensibilità. La “deduzione”

kantiana poggia su un principio negativo, sulla possibilità di comparare il modo di

procedere nel giudicare la causalità in natura del nostro intelletto, limitato, discorsivo e

contingente con un altro intelletto diverso, e superiore al nostro:

Ma, se le cose stanno così, allora deve stare a fondamento l’idea di un intelletto possibile diverso da quello umano (così come nella Critica della ragione pura dovevamo pensare un’altra intuizione possibile, se si doveva ritenere la nostra come una specie particolare, cioè quella per cui gli oggetti valgono solo come fenomeni), in modo che si possa dire: certi prodotti della natura debbono, secondo la particolare costituzione del nostro intelletto, essere considerati da noi, nella loro possibilità, generati intenzionalmente e come scopi, senza per questo pretendere che realmente ci sia una causa particolare che ha la rappresentazione di uno scopo come suo principio di determinazione, e quindi senza contestare che un intelletto diverso (superiore) da quello umano potrebbe trovare il fondamento della possibilità di tali prodotti della natura anche nel meccanismo della natura, cioè in un legame causale per il quale non viene non viene assunto in modo esclusivo un intelletto come causa. Ne va qui dunque del rapporto tra il nostro intelletto e la facoltà di giudizio, cioè del fatto che in ciò rinveniamo una certa contingenza della costituzione del nostro intelletto per farne un contrassegno della peculiarità di esso a differenza degli altri intelletti possibili.74

Il fondamento profondo di questa argomentazione risiede nella dottrina logica di

Kant e ha delle ricadute sulla visione dell’empirico come fonte continua di materiale per

l’esperienza.

72 KdU, KGS V, p. 404. 73 KdU, KGS V, p. 405. 74 KdU, KGS V, pp. 405-6.

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La contingenza del nostro intelletto coincide con la contingenza dei vari modi

con cui si possono presentare alla percezione cose diverse che possono “convenire in

una nota comune”,75 cioè che possono essere concettualizzate. Il modo di procedere

dell’intelletto nella determinazione del particolare, laddove entra in gioco la facoltà di

giudizio assume il carattere secondo cui il particolare non viene determinato mediante

l’universale, sebbene questo particolare debba “armonizzarsi” con l’universale per

essere sussunto sotto leggi e concetti. Tale armonia “deve essere assai contingente e, per

la facoltà di giudizio, senza un principio determinato”.76

L’armonizzarsi della facoltà di giudizio con le leggi della natura è

rappresentabile dall’intelletto solamente grazie al “connettivo” (Verbindungsmittel)

costituito dagli scopi e il modo di procedere dell’intelletto – riguardo per esempio alla

causa di un prodotto – va dall’universale analitico (da concetti) al particolare

dell’intuizione empirica data. Sulla base di questa premessa, infatti, Kant prosegue:

Secondo la costituzione del nostro intelletto, invece, un tutto reale della natura deve

essere considerato solo come effetto delle concorrenti forze motrici delle parti. […] Ora poiché però il tutto sarebbe solo un effetto (un prodotto) la cui rappresentazione considerata la causa della sua possibilità, e il prodotto di una causa, il cui principio di determinazione è solo la rappresentazione del suo effetto, si chiama scopo, da ciò segue che è solo una conseguenza della particolare costituzione del nostro intelletto se noi ci rappresentiamo prodotti della natura come possibili secondo un tipo di causalità diverso da quello delle leggi naturali della materia, cioè solo secondo quella degli scopi e delle cause finali, e che questo principio non riguarda la possibilità di queste cose stesse (anche considerate come fenomeni) secondo questo tipo di generazione,ma solo il giudicare di esse che è possibile al nostro intelletto.77

Questo aspetto può essere tradotto dal piano logico a quello epistemologico e ha

delle ricadute evidenti sulla concezione della scienza della natura, laddove si pensa al

problema cosmologico di un tutto della materia o agli studi condotti sugli organismi.

È lo stesso Kant, sulla scorta di queste considerazioni, infatti, che riconosce il

limite nelle scienze naturali della spiegazione della natura, mediante una causalità

secondo scopi. L’esempio a cui Kant si richiama è proprio quello del tutto della materia,

che apre la via al problema dei manoscritti dell’Opus postumum. Nella terza Critica si

legge:

Ora, se consideriamo un tutto della materia, secondo la sua forma, come un prodotto

delle parti e delle sue forze, e della capacità di legarsi da sé (pensandovi anche altre materie che

75 KdU, KGS V, p. 406. 76 KdU, KGS V, p. 407. 77 KdU, KGS V, p. 407.

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esse si scambiano l’un l’altra), allora ci rappresentiamo un tipo di generazione meccanico di quel tutto.78

Ma lo scopo del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla

fisica sarà anche quello di mostrare questa affermazione kantiana, che non poteva essere

data per scontata nel 1790. Ciò significa, come verrà mostrato nel dettaglio nel Capitolo

V, che la prova dell’esistenza dell’etere, corrisponde alla prova dell’esistenza di un

oggetto di ragione che è reale, in quanto universale e necessario sostrato del tutto delle

forze motrici della materia.

In sostanza, da un punto di vista epistemologico, Kant lega l’etere e le forze

motrici della materia attraverso il concetto di scopo. Così, il regno dei corpi organici e

quello dei corpi inorganici sono unificati dalla materia cosmica, secondo principi della

ragione,79

Nel secondo caso è il principio di spiegazione meccanico che deve essere

impiegato per dare conto dei fenomeni fisici, mentre nel primo caso Kant ritiene che

possa esserci la possibilità della coesistenza del giudicare secondo conformità a scopi e

della spiegazione meccanica. Quest’ultima può e deve essere perseguita nelle scienze

naturali, laddove si voglia spiegare il processo esterno della generazione di un corpo o

della natura in generale, ma laddove si voglia rinvenire il fondamento, come causa

interna, alla base della generazione, allora si deve presupporre un fondamento reale

soprasensibile e un principio della causalità mediante scopi.

in vista dell’unità dell’esperienza, sebbene da un punto di vista ontologico

non possa essere dimostrata e conosciuta direttamente l’esistenza di tale materia. È

infatti evidente che nella Critica della facoltà di giudizio Kant distingue il piano del

giudicare dell’esistenza, come prodotto di una causalità, dalla causalità stessa.

Quando si pensa alla rappresentazione di qualcosa che contiene il fondamento

dei movimenti nel mondo (essere soprasensibile come primo motore) e la relazione di

questo fondamento con questi movimenti, in quanto loro causa, non si conosce

minimamente questo essere soprasensibile, rappresentabile con l’idea di Dio. Come

risultato si ha solo uno schema vuoto di causa.

Di questo Kant aveva già trattato sia nella Deduzione trascendentale nella

Critica della ragione pura sia nella Critica della ragione pratica. Il rapporto di

78 KdU, KGS V, p. 408. 79 Cfr. KdU, KGS V, p. 409: “Allora, infatti, l’unità che costituisce il fondamento della possibilità delle formazioni naturali, sarebbe semplicemente l’unità dello spazio, che però non è il fondamento reale delle generazioni, ma solo la condizione formale di esse, sebbene abbia una qualche somiglianza con il fondamento reale che cerchiamo nel fatto che in esso nessuna parte può essere determinata senza un rapporto al tutto (la cui rappresentazione sta dunque a fondamento della possibilità delle parti)”.

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fondamento e conseguenza, non può essere determinante per il giudizio di un contenuto

empirico, se non c’è appunto un contenuto intuitivo corrispondente nella percezione,

tanto che un essere soprasensibile non può essere né spazializzato né temporalizzato. Al

contrario:

Quando attribuisco forza motrice a un corpo e quindi lo penso mediante la categoria della causalità, nello stesso tempo in questo modo lo conosco, cioè determino il suo concetto in quanto oggetto in genere mediante ciò che gli spetta per sé (quale condizione di possibilità di quella relazione) in quanto oggetto dei sensi. Infatti, se la forza motrice che gli attribuisco è una forza repulsiva, gli spetta (sebbene io non gli ponga ancora accanto un altro corpo contro cui esso la eserciti) un luogo nello spazio e inoltre un’estensione, cioè uno spazio in esso stesso, oltre a ciò il riempimento di questo spazio mediante le forze repulsive delle sue parti, e infine anche la legge di questo riempimento (che il grado della repulsione delle parti debba diminuire nella stessa proporzione in cui l’estensione del corpo cresce e aumenta lo spazio che esso riempie con queste stesse parti mediante quella forza). 80

La trattazione del concetto di forza rispecchia, per ciò che riguarda la

spiegazione meccanica, quanto Kant aveva già affermato nei Principi metafisici della

scienza della natura e nella Critica della ragione pura.

Vi è però un ampliamento dell’analisi come naturale conseguenza della

trattazione della facoltà del giudizio e del principio di conformità a scopi. Oltre alle

forze motrici e meccaniche della materia, Kant introduce la legittimità del concetto di

forza formativa per i corpi organici e per la spiegazione della generazione delle specie,

purché non venga pretesa l’unità del fondamento del legame degli elementi esterni gli

uni agli altri in questi prodotti. Il concetto di forza non solo deve assumere una valenza

fisica, secondo cui è esercitata o si esercita su un corpo, ma anche una valenza

teleologica, ovvero essa è produttiva formativa e determina lo sviluppo, la produzione e

la riproduzione delle specie. La posizione di Kant su questo punto è inquadrabile in

modo più adeguato se si tengono presenti le teorie della sua epoca circa i processi

formativi dei corpi organici.

In particolare, è opportuno trattare brevemente l’idea di Buffon, che a

fondamento materiale della vita poneva le molecole organiche, una sorta di atomi vitali

indistruttibili che si aggregano e disgregano formando gli organismi. In base a questa

teoria, Buffon sviluppa una concezione biologica generale che, pur apparendo

speculativa, contribuì al superamento della concezione preformista della generazione e

condusse a una nuova teoria epigenetica dello sviluppo. Buffon, elaborando una

concezione già proposta da Pierre-Luis Moureau de Maupertuis, pensa che le molecole

80 KdU, KGS V, p. 483.

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organiche contenute nel cibo vengano assimilate dai vari organi, dove subiscono

l’effetto di un’impronta, di uno stampo interno tipico di ciascuna specie. Le molecole

sovrabbondanti, raccolte negli organi genitali e quindi nel seme maschile e femminile,

si mescolano nel concepimento e ognuna si dispone a costituire l’organo corrispondente

a quello da cui deriva, spiegando in tal modo sia la somiglianza di un figlio con

ambedue i genitori sia i processi di rigenerazione.

Benché sostenitore della generazione spontanea, Buffon riteneva che il preciso

ordine delle molecole organiche e delle forze ad esse inerenti comportasse una costante

riproduzione della specie e concepva la specie come l’unico concetto valido nello studio

delle forme viventi. Buffon respinse, quindi, come artificiali tutte le categorie introdotte

per la classificazione, polemizzando in particolare con Linneo, che pose divisioni

arbitrarie nella natura, per sé caratterizzata da una continuità completa di tutte le forme

e di tutti i processi. Pur sostenendo questa continuità, che lega tutti i viventi alla

trasformazione storica della Terra, Buffon non accettò la concezione evoluzionistica,

proposta in particolare da Maupertuis; riteneva, infatti, che soltanto alcune specie

fossero derivate da altre, in genere per un processo degenerativo, e pensava che varietà e

razze fossero sorte per effetto del clima e delle condizioni ambientali. Così nella

Histoire naturelle de l'homme, e in altri scritti, sostenne l’unità della specie umana posta

in dubbio da vari contemporanei che tendevano a fare di ogni razza una specie distinta.

Nel §81 Kant dedica spazio alla discussione critica delle teorie dell’epoca

dell’occasionalismo, del prestabilismo e del preformismo. Riferendosi esplicitamente a

J. F. Blumenbach, però, Kant rivolge particolare attenzione alla teoria epigenetica, che

sembra meglio avvicinarsi all’approccio alla scienza naturale della terza Critica.

Infatti, agli occhi di Kant, la teoria dell’epigenesi considerava gli enti naturali

rappresentati originariamente come possibili solo secondo la causalità degli scopi –

come nel caso della procreazione – , ovvero come produttivi e non solo come

sviluppanti se stessi (autopoietici), senza appello all’azione divina. Per Kant l’epigenesi

affidava alla natura tutto ciò che segue il primo inizio, che la fisica fallisce nel

determinare attraverso pure forze meccaniche. In questo contesto, il concetto di forza

viene connotato come impulso, per meglio rendere l’idea di uno scopo formale a cui è

diretto lo sviluppo di certi caratteri ed elementi dell’organizzazione. Sulla teoria

epigenetica di Blumenbach, Kant si pronuncia come segue:

[Blumenbach] inizia ogni tipo di spiegazione fisica di queste formazioni a partire dalla

materia organizzata. Infatti, a buon diritto dichiara contrario alla ragione che la materia bruta si

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sia originariamente formata da sé secondo leggi meccaniche, che dalla natura di ciò che è senza vita sia potuta sorgere la vita e che la materia si sia potuta comporre da sé nella forma di una conformità a scopi che si auto conserva; ma nello stesso tempo, sotto questo per noi inesplorabile principio di un’organizzazione originaria, lascia al meccanismo della natura una parte indeterminabile e però nello stesso tempo non disconoscibile, per cui la capacità della materia (a differenza della forza formativa semplicemente meccanica universalmente presente in essa) in un corpo organizzato (che sta per così dire sotto la superiore guida e istruzione di quella organizzazione) è da lui chiamata impulso formativo.81

Come anticipato nel primo capitolo della ricerca, nell’Opus postumum Kant

modificherà ancora il concetto di forza, tentando di unificare forze organiche e

meccaniche della materia connotando tale concetto come forza produttiva, segnando

l’abbandono definitivo del concetto di forma per la definizione di forza organica e

dunque svincolando la nascente biologia, ma anche parte della fisica dal fattore spaziale

per la determinazione delle caratteristiche della materia organica.

Sarà proprio nell’Opus postumum, infatti, che Kant ricorrerà al concetto di

energia (Energie), oltre che a quello di forza (Kraft), di fronte alla necessità di una

spiegazione di fenomeni elettrici e magnetici, che venivano rilevati all’epoca per via

sperimentale e attraverso la presupposizione di determinate proprietà della materia.

81 KdU, KGS V, p. 425.

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PARTE III

LA COSMOLOGIA E LA FISICA DEGLI ANNI ’90

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CAPITOLO IV

IL PROBLEMA DELLA MEDIAZIONE: LA FISICA

SPERIMENTALE E IL CONCETTO DI FORZA

Premessa

Seguendo il percorso tracciato nei capitoli precedenti, si può passare ora

all’analisi delle fonti e dell’influsso esercitato su Kant dagli scienziati a lui

contemporanei. Attraverso questo capitolo si giunge alla parte conclusiva di questa

ricerca, ovvero alla trattazione della prova dell’esistenza dell’etere dell’Opus postumum

passando per la filosofia della natura degli anni ’90.

Spesso si è indagata la natura della ripresa da parte di Kant in epoca tarda di

temi squisitamente precritici. L’interpretazione proposta nei capitoli precedenti ha

voluto evidenziare la forte connessione tra la fase precritica e quella degli anni ’90

attraverso i concetti chiave di forza e materia, inquadrati nel problema cosmogonico e

cosmologico che, infatti, come un fiume carsico pervade le opere di Kant fino agli

ultimi anni di vita. In questo capitolo, verranno presi in considerazione innanzitutto

alcuni scritti critici minori kantiani – Über die Vulkane im Monde (1785) e Etwas über

den Einfluss des Mondes auf die Witterung (1794) – e alcuni manoscritti del Passaggio

dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica. Cercheremo così di

argomentare che proprio lo sviluppo della fisica sperimentale, dell’astronomia e della

chimica hanno condotto Kant a lavorare, ancora negli anni ’90, sulla materia e ad

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implementare la sua teoria cosmologica e cosmogonica, indicando nella matematica lo

strumento della ragione per l’inverarsi di principi metafisici della scienza della natura.

4.1 Il contesto di riferimento

J. L. Heilbron in Elements of Early Modern Physics ha sostenuto che nel XVIII

secolo si diffuse un nuovo valore semantico del termine “fisica”, grazie all’opera di

Voltaire in Francia e di ‘sGravesande in Olanda. A questo termine, in contrasto con il

punto di vista aristotelico dominante, venne dato il significato di “filosofia naturale

confermata da esperimenti”.1

Ancora nella prima metà del secolo, diversi approcci si contendevano la

diffusione del sapere scientifico. In particolare, in Germania, si riscontrava l’originalità

dell’approccio di Hamberger

2 e la rigidità e il dogmatismo dell’impostazione di Wolff e

Krüger, che davano pochissimo spazio alla fisica sperimentale e alla biologia. Gli

Anfangsgründe der Naturlehre di Erxleben (1772) furono il punto di riferimento per due

generazioni che si formarono in Germania.3

Come ricorda giustamente Heilbron, in Germania fu di fatto Lichtenberg ad

introdurre l’uso sistematico dell’esperimento nell’insegnamento della fisica nelle

università, ad aver promosso il testo di Erxleben, incoraggiando così indirettamente

anche la diffusione dei dizionari fisici dell’epoca, quello di Gehler, prima, e quello di

Fischer, poi.

Questo manuale, che venne adottato anche

da Kant, era il più completo e trattava le materie allora considerate standard: il moto, la

gravità, l’elasticità, la coesione, l’idrostatica, la pneumatica, l’ottica, il calore,

l’elettricità, il magnetismo, l’astronomia elementare e la geofisica.

Il sistema newtoniano si era diffuso in Europa e, sebbene la seconda legge del

moto avesse incontrato diverse resistenze in Germania, lo stesso Kant non poté esimersi

dal confrontarsi con essa sin dalla sua tesi di laurea. L’idea di Newton, come ricorda

Heilbron, era la seguente:

The whole business of philosophy seems to consists in this – from the phenomena of

motions to investigate the forces of nature, and then from these forces to demonstrate the other

1 J. L. Heilbron, Elements of Early Modern Physics, Berkeley-Los Angeles 1982, p. 6. 2 Heilbron (1982), p. 7. Heilbron ritiene che gli Elementa Physicae di Hamberger fossero il luogo dove rintracciare lo shift semantico proprio perché si ripudiava un concetto di fisica come studio di tutte le cose naturali. Il 1700 è il secolo in cui la fisica si apprestava a divenire scienza in senso proprio, distinguendo il suo dominio. 3 Heilbron (1982), p. 8.

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phenomena. […] To investigate the forces of nature means to infer mathematical propositions about forces, somehow known to exist; to demonstrate the other phenomena means to compare quantitative data with logical consequences of the propositions. If the procedure succeeds, the propositions, according to Newton, must be regarded as true; for (they) are deduced from phenomena and made general by induction: which is the highest evidence that a proposition can have in this philosophy.4

Questo procedimento newtoniano era quanto di più distante dall’impostazione

filosofica dominante in Germania e, di fatto, il Newton che si studiava al tempo era

quello legato alla fisica sperimentale dell’Ottica, nonché mediato dai fisici olandesi,

‘sGravesande e Musschenbroek. In ogni caso le leggi del moto e la formula della gravità

erano perfettamente conosciute da Kant, ma all’inizio egli non trasse le sue conoscenze

dalla prima e dalla terza edizione dei Principia, né attinse direttamente da essi per la sua

formazione fisica. L’influenza della metafisica leibniziana, dell’Ottica di Newton, delle

riviste scientifiche, della fisica sperimentale legata alla pneumatica, agli studi sul calore

e sui fluidi hanno giocato un ruolo di primo piano nella gestazione della teoria kantiana

della materia. Di questo si possono vedere gli effetti nella produzione precritica.

Tuttavia, il quadro di riferimento che qui si vuole sviluppare mira

all’identificazione di alcuni grandi temi scientifici che hanno inevitabilmente

influenzato la riflessione kantiana di epoca critica e di cui si ha traccia fino alle ultime

pagine manoscritte.

a) Dalla termologia alla termodinamica

Nella prima metà del Settecento vi furono numerosi studi sul perfezionamento di

strumenti come il termometro per la misurazione dei gradi del calore. Quest’ultimo

concetto riuniva genericamente sia la sensazione termica che il calore. Mentre i fisici si

occupavano della misura del calore, i chimici si occupavano della natura del calore.

Le due teorie dominanti erano quella cinetica (sostenuta da Bacone e Keplero e

ripresa da Eulero nel 1738) e quella sostanziale che associava il calore all’elemento

“fuoco”.5

Daniel Bernoulli propugnò la teoria cinetica dei fluidi elastici, o gas, nella quale

il calore interveniva come un acceleratore di molecole gassose, ma senza spiegarne bene

il meccanismo. Da Bernoulli trasse spunto Lomonosov per la sua teoria, che sì

4 Heilbron (1982), pp. 38-39. 5 Cfr. M. Gliozzi (2005), Storia della fisica, Torino 2005, p. 416. Kant a volte sembra abbracciare una teoria complementare, che ammette cioè sia una posizione sostanzialista che cinematica, cfr. Kant, Opus postumum, trad. it. a cura di V. Mathieu, Bari 2004, p. 112.

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affermava gli urti elastici bernoulliani, ma come fenomeno secondario, conseguente

all’attrazione newtoniana e al moto rotatorio degli atomi. Con la teoria di Bernoulli era

possibile indicare che il meccanismo che consente di percepire il moto è il calore.6

Nell’Hydrodynamica, che Kant possedeva,

7 Bernoulli sosteneva che le particelle

dei gas sono in rapido movimento in tutte le direzioni8 e che gli spazi che un fluido

elastico occupa sono in ragione inversa della forza elastica del gas, confermando la

legge di Boyle. Secondo Bernoulli, inoltre, la temperatura aumenta la velocità delle

particelle e la forza espansiva del gas risulta proporzionale al quadrato dell’aumento

della velocità, perché con l’aumentare della temperatura aumentano sia il numero di

urti, sia l’intensità di ciascuno. Gli studi sull’elasticità dei fluidi compiuti da Bernoulli

sono rilevanti per la comprensione della visione kantiana dell’elasticità della materia

cosmica e del suo grado di rarefazione, che lo porterà a rievocare in epoca tarda il

concetto di forza viva.9

Ma nel XVIII secolo la teoria cinetica fu offuscata da quella fluidistica di più

facile e immediata comprensione e che trovò un ‘felice connubio’ con la teoria del

flogisto di Stahl (1660-1734). Il flogisto era concepito come un fluido speciale presente

nei corpi combustibili e nei metalli, il quale all’atto della combustione o della

calcinazione, cioè dell’ossidazione, si libera dal corpo e si manifesta sotto forma di

calore. La riduzione, invece, consiste nella restituzione al corpo del flogisto di cui era

stato privato. Il flogisto non era calore, ma quando si liberava dai corpi produceva

calore. La teoria perciò non si identificava con la teoria sostanziale del calore.

Per ora è sufficiente aggiungere che la ripresa del termine “forza

viva”, in epoca tarda, non ha nulla a che fare con l’uso che Leibniz ne faceva e che Kant

discusse nel periodo precritico. Nell’Opus postumum questo termine va ad indicare

l’energia (Energie) e, come si vedrà nei prossimi paragrafi, risulta un concetto chiave

per la spiegazione di taluni comportamenti della materia.

Lavoisier fece tramontare la teoria del flogisto, ma diede maggior vigore alla

teoria sostanziale del calore, ponendo il calorico tra gli elementi.10

6 Gliozzi (2005), p. 419.

Nel suo trattato di

meteorologia del 1786, De Luc aveva condotto esperimenti sul calore latente e aveva

modificato, sulla scorta delle osservazioni di Black e Watt, la teoria di Le Roy:

l’evaporazione non è una soluzione di acqua in aria, ma una soluzione di acqua in

7 Questo è testimoniato da Warda. 8 D. Bernoulli, Hydrodynamica, sive de viribus et motionibus fluidorum commentarii, Argentorati 1738, pp. 200-203. 9Cfr. infra, Capitolo II, §2.5. 10 Fu Lavoisier che diffuse la teoria e la nomenclatura del calorico nel suo Traité elementare de chimie.

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calore.11

Proprio sul fenomeno della vaporizzazione Kant si era da sempre documentato,

come traspare dalle opere precritiche, con il riferimento agli esperimenti di chimica di

Boyle, e come viene ribadito nel breve saggio del 1785 Über die Vulkane im Monde,

dove il fenomeno è esplicitamente legato all’attrazione chimica che soggiace alla

formazione dei pianeti per attrazione cosmologica.

Lavoisier prendendo spunto da queste affermazioni di De Luc sostenne nel

Traité elementare de chimie, présenté dans un ordre nouveau, et après les découvertes

modernes del 1789 che l’evaporazione è una soluzione di liquido parzialmente in aria e

parzialmente in calorico. Mentre l’evaporazione di un liquido in ebollizione è un

fenomeno differente, nel senso che la parte di liquido disciolta in aria è quasi

trascurabile rispetto alla parte di liquido disciolta nel calorico. Lavoisier pertanto

propose di chiamare il primo fenomeno evaporazione e il secondo vaporizzazione.

12

Tra il 1750 e il 1781 la fisica era riuscita a distinguere il concetto di calore da

quello di temperatura, aveva scoperto e misurato il calore di fusione e di evaporazione,

aveva formulato il concetto di capacità termica e aveva introdotto due metodi di misura

tutt’ora utilizzati. Eppure, scienziati come Black, De Luc, Laplace e Lavoisier

lamentavano la mancanza di un linguaggio specialistico condiviso che permettesse di

evitare gli equivoci.

Di questo si trova conferma nel fatto che l’uso, che Kant stesso fa, del termine

“calore” o “calorico” (Wärmestoff) non è univoco e le tesi che spesso vengono riportate

sulla sua aderenza alla teoria di Lavoisier sono inesatte. Si consideri uno degli esempi

trattati nel Capitolo III: nella terza Critica Kant parla della perdita nella cristallizzazione

di “un quantum di calorico”. Si nota come Kant avesse sì presente la teoria fluidistica di

Lavoisier, ma confrontando questi passaggi con i manoscritti più tardi, lo stesso Kant

ondeggiava tra una posizione sostanzialista e una non sostanzialista. Inoltre, come

mostrano numerosi passaggi, per spiegare l’elasticità della materia, Kant aderì anche

alla spiegazione di Bernoulli, che sosteneva invece la teoria cinetica anziché quella

fluidistica.

Un dato è però certo: la fisica sperimentale e la chimica hanno largamente

influenzato la produzione kantiana, tanto che si può trovare un sincretismo nella sua

posizione mediatrice tra l’impostazione sostanzialista e quella cinetica, a dimostrazione

11 De Luc, Idées sur la Météorologie, London 1786-1787, vol. I, p. 83. 12 Ci sono numerosi riferimenti alla teoria di Lavoisier nella tarda produzione kantiana che lasciano intendere la sua adesione alla nuova proposta dello scienziato francese. Cfr. Kant, Die Metaphysik der Sitten, KGS VI, p. 207.

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del fatto che la concezione kantiana dello spazio-tempo e della forza mirava ad una

possibile fondazione per entrambe queste impostazioni.

Sebbene non fosse ancora una scienza sistematica, la chimica era la disciplina da

cui poteva provenire il materiale per l’adempimento del più alto compito della scienza

della natura: la spiegazione della molteplice varietà della natura. Per questa ragione è

molto probabile che Kant si aggiornasse costantemente sugli studi di chimica e che

avesse letto, oltre a Vegetable Staticks di S. Hales, già in epoca precritica, il Mémoire

sur le chaleur di Lavoisier e Laplace, pubblicato nel 1780 e riedito nel 1784. Vale la

pena in questa sede avanzare l’ipotesi che proprio da quest’opera Kant trasse spunto per

modificare ed approfondire alcuni aspetti della sua teoria della materia.13

Proprio al Mémoire occorre dedicare particolare attenzione, anche per un’altra

ragione: i principi della negazione della logica leibniziana sono utilizzati da Lavoisier in

relazione all’approccio empirico ed euristico del metodo della “nuova chimica”. In

particolare la struttura argomentativa ed espositiva mostra l’uso costante del principio

leibniziano “non est non est est non”,

Il quarto

articolo del Mémoire è intitolato “Della combustione e della respirazione”, ed è quasi

del tutto opera di Lavoisier. In questo articolo l’autore riprende un suo precedente

lavoro sulla combustione intitolato Mémoire sur la combustion en général (1779), in cui

aveva criticato la teoria del flogisto e, come testimoniano i riferimenti a Crawford negli

scritti minori, Kant mostrava vivo interesse per le teorie sulla respirazione e la

combustione per una definizione del ruolo giocato dai processi chimici sia sui corpi

inorganici che organici.

14

Non si può escludere che Kant avesse letto il Mémoire, che oltre a vantare un

linguaggio chimico, permetteva un’agile consultazione e soprattutto fu l’opera che sancì

l’inizio, sebbene come fallimento, di un percorso di unificazione delle teorie del calore

in un’unica teoria del calore. Il punto cruciale consiste nel fatto che in quest’opera i due

che si differenzia dall’uso della negazione nel

procedimento probatorio che invece usa Laplace. Lavoisier impiega principi logici

come “non est non est est non” per assecondare la sua attenzione all’empirico e

all’euristica. Attenzione che assecondò anche Leibniz, il quale, come Lavoisier, aveva

avuto una formazione nell’ambito della giurisprudenza.

13 Lavoisier-Laplace, Mémoire sur la Chaleur, in Histoire et Mémoires de l’Académie Royale de Sciences, Paris 1784, pp. 355-408. Cfr. Opus postumum, KGS XXI, pp. 243; 406; 625 ; KGS XXII, pp. 205-206. In queste pagine ci sono chiari riferimenti allo scienziato francese. 14 Per la teoria leibniziana della negazione cfr. W. Lenzen, 'Non est' non est 'est non'. Zu Leibnizens Theorie der Negation, in Studia Leibnitiana, 18, 1986, pp. 1-37 (1986); W. Lenzen, 'Unbestimmte Begriffe' bei Leibniz, in Studia Leibnitiana, 16, 1984, pp. 1-26. Cfr. W. Lenzen, Calculus universalis : Studien zur Logik von G. W. Leibniz, Paderborn 2004.

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scienziati proposero con forza la matematizzazione della teoria fluidistica sulla base

della semplice osservazione che qualunque sia la causa che produce la sensazione di

caldo, essa può aumentare o diminuire di grado, e perciò essere soggetta al calcolo.

Non deve stupire, leggendo queste pagine, la forte analogia con quanto Kant

scrisse nella Critica della ragione pura, circa le Anticipazioni della percezione: il grado

è lo schema del tempo di un qualcosa nella sensazione accompagnato da coscienza e

suscettibile di essere valutato come grandezza intensiva.

Soprattutto alla luce di questa impostazione dominante nella scienza della fine

del XVIII secolo, non deve stupire che nell’Opus postumum, nel formulare la prova

dell’esistenza dell’etere, Kant intendesse unificare il sistema del tutto delle percezioni

del senso esterno e del senso interno con quello delle forze motrici della materia, grazie

allo strumento della matematica, capace sia di discretizzare la materia sia di

rappresentarla come un continuo.15

Il Mémoire riveste una grande importanza storica per vari motivi: è l’indice di un

lento avvicinamento della nuova chimica di Lavoisier alla fisica; è interessante da un

punto di vista sperimentale, perché descrive apparati fondamentali per la storia della

calorimetria; è importante anche dal punto di vista teorico, perché confronta le due

ipotesi sulla natura del calore che erano alla base di due teorie antagoniste, e sulle quali

i due autori avevano opinioni differenti. Sulla base degli studi di A. Drago e A. Venezia

condotti sul testo di Laplace e Lavoisier, si possono comprendere le ragioni che

spingeranno Kant a una rivisitazione del concetto di forza viva nell’Opus postumum.

Il Passaggio dai principi metafisici della scienza

della natura alla fisica, se pubblicato, sarebbe stato assolutamente in linea con il

dibattito che riguardava le scienze sperimentali e la chimica dell’epoca.

La prima ipotesi sulla natura del calore presa in considerazione da Lavoisier e

Laplace, viene introdotta dicendo che “la maggior parte dei fisici16 credono che il calore

sia un fluido che è distribuito in natura e penetra in maniera diversa tutti i corpi a

secondo della loro temperatura e della loro capacità a trattenerlo”.17 La seconda ipotesi

è presentata dicendo che “altri [fisici] invece credono che il calore altro non sia che il

moto invisibile delle molecole della materia”.18

L’esposizione di questa ipotesi alternativa, nota oggi come teoria cinetica del

calore, è da attribuirsi a Laplace e probabilmente riflette la sua preferenza a quel tempo.

15 Cfr. infra, Capitolo V. 16 Tra cui si riconosceva anche Lavoisier. 17 Mémoire, p. 10. 18 Mémoire, p. 10.

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Tutti i corpi, così come sostenuto anche da Newton nell’Ottica, sono pieni di vuoti e

questo vuoto è di gran lunga superiore alla materia del corpo stesso. Questo spazio

vuoto permette alle particelle dei corpi di muoversi (oscillando solamente) in tutte le

direzioni.

Per sviluppare questa ipotesi, secondo Laplace e Lavoisier, esiste una legge

generale, che i “geometri” chiamano principio di conservazione della forza viva,

secondo la quale in un sistema di corpi interagenti la forza viva, cioè il prodotto di

ciascuna massa per il quadrato della velocità, è costante. Se due corpi a differente

temperatura sono messi a contatto, all’inizio la forza viva delle rispettive molecole non

è la stessa, ma gradualmente la forza viva delle molecole del corpo più freddo aumenta,

mentre quella delle molecole del corpo più caldo diminuisce, fino a che le molecole di

entrambi i corpi raggiungono mediamente la stessa velocità. In questa formulazione

della teoria del calore, come suggeriscono Drago e Venezia, Laplace avrebbe applicato

allo studio del moto delle particelle microscopiche i concetti basilari della meccanica

dei corpi celesti.

In realtà la teoria cinetica del calore era stata già proposta da Huygens e Leibniz.

Laplace potrebbe essere stato influenzato in questa scelta da questi o dalla lettura della

già menzionata Hydrodinamica di D. Bernoulli, in cui l’autore ipotizza che il calore sia

associato con il moto delle particelle per dimostrare che in un fluido, a volume costante,

la pressione è proporzionale alla temperatura.

Lavoisier e Laplace, in un passo del loro articolo, dichiarano di voler evitare

scientemente di decidere quale delle due ipotesi sia quella giusta:

Noi non decideremo tra le due ipotesi precedenti; molti fenomeni sembrano favorevoli alla seconda; per esempio, quello del calore prodotto dallo strofinio di due corpi solidi; ma ci sono altri fenomeni a cui si applica più semplicemente la prima ipotesi; può anche essere che esse hanno luogo tutte e due alla volta.19

Quindi, secondo Lavoisier e Laplace, gli esperimenti non permettono di

scegliere univocamente tra le due ipotesi, ma, “poiché non si possono formulare sulla

natura del calore altre ipotesi che non siano le due menzionate, si devono ammettere

quei principi che ad esse sono comuni; allora, seguendo sia l’una che l’altra, in una

miscela semplice di corpi la quantità di calore libero resta sempre la stessa. [Questo

principio] è evidente se il calore è visto come un fluido che tende a portarsi

all’equilibrio [termico], mentre se il calore è visto come la forza viva risultante dal

19 Mémoire, p. 12.

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movimento interno della materia, questo principio è una conseguenza di quello della

conservazione della forza viva”.20

Quindi, compatibile con entrambe le ipotesi è un principio di conservazione di

carattere generale: la quantità totale di calore di un sistema di corpi isolato

termicamente si conserva, sia che il calore sia visto come una sostanza materiale, che

non si crea e non si distrugge, sia che sia visto come risultante delle forze vive, che si

conservano. Questo principio, secondo Lavoisier e Laplace, è in primo luogo

indipendente dalle due ipotesi sul calore e può essere generalmente ammesso da tutti i

fisici.

In secondo luogo, “esso si può esprimere in una forma ancora più generale

[dicendo che] tutte le variazioni di calore, sia reali che apparenti, alle quali è sottoposto

un sistema di corpi nei cambiamenti di stato, se riprodotte nell’ordine inverso, fanno sì

che il sistema ritorni nello stato iniziale”.21

A conclusione di questa sezione Lavoisier e Laplace affermano che, data

l’ignoranza sulla natura del calore, questo non può essere valutato che in base

all’osservazione dei suoi effetti.

Il modo con cui Lavoisier e Laplace hanno affrontato il problema della natura

del calore offre alcuni spunti di riflessione riguardo il rapporto tra la componente

sperimentale e i principi di una teoria scientifica.

Infatti, una questione fondamentale sollevata dal Mémoire, è quella

dell’indecidibilità tra due tesi, ovvero che in certi casi è impossibile decidere tra due

principi antagonisti (le due ipotesi sulla natura del calore in questo caso) attraverso la

sola componente sperimentale. Questa impossibilità di decidere con un esperimento tra

due ipotesi antagoniste si è proposta nella storia della scienza anche nel caso delle due

ipotesi, quella ondulatoria e corpuscolare, circa la natura della luce, che nel XVII secolo

stavano alla base di due distinte teorie ottiche, quella di Huygens e quella di Newton:

entrambe mostravano una validità da un punto di vista sperimentale.

Come rilevano anche Drago e Venezia, alla fine del XIX secolo, Poincaré,

prendendo spunto proprio da queste due teorie, ha formulato una riflessione generale sul

rapporto tra gli esperimenti e i principi fisici, attribuendo all’incertezza del metodo

20 Mémoire, p. 12. 21 Mémoire, p. 13. Oggi si sa che questa affermazione è valida solo per sistemi di corpi soggetti a forze conservative e a fenomeni reversibili.

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induttivo l’impossibilità di avere un’unica soluzione teorica, a partire da meri risultati

sperimentali: da qui sarebbe sorta la sua “soluzione” convenzionalista.22

Infatti, quando in un esperimento, oltre alla legge fisica da verificare, sono

coinvolte ulteriori assunzioni o ipotesi aggiuntive, se il test sperimentale è negativo, lo

scienziato può scegliere se rifiutare la legge fisica, oppure accettare la legge fisica e

rifiutare le ipotesi aggiuntive. In altri termini, secondo Poincaré, non esiste

l’esperimento cruciale, che da solo sia sufficiente a verificare la teoria.

Oltre alle osservazioni di Poincaré, la constatazione di Lavoisier e Laplace,

secondo cui “può essere che [le due ipotesi] hanno luogo tutte e due alla volta”,23

A questo punto è opportuno domandarsi se Lavoisier e Laplace fossero

veramente d’accordo sulla formalizzazione della teoria. Per risolvere questo problema

storico, posto dal Mémoire, è utile seguire il filo conduttore di due elementi

fondamentali per l’interpretazione di una teoria scientifica. Il primo riguarda la scelta

della logica, che soggiace all’organizzazione della teoria. In tre articoli del Mémoire gli

enunciati fondamentali della teoria del calore e delle sue proprietà vengono presentati

attraverso una doppia negazione, seguendo palesemente il principio non est non est est

non.

richiama, secondo Drago e Venezia, anche un’altra teoria fisica in cui questa

impossibilità sperimentale di decidere tra due ipotesi antagoniste è stata assorbita nella

teoria come un dualismo della natura: l’ipotesi corpuscolare e quella ondulatoria che ha

trovato nella Meccanica Quantistica una formulazione in termini di un principio più

generale, quello di complementarietà. Lavoisier e Laplace avrebbero risolto il problema

della natura del calore con una strategia molto simile, formulando un principio

matematico più generale e astratto (il principio di conservazione del calore libero), che

risultava compatibile con entrambe le ipotesi formulate. In altre parole, la parte

informale della teoria resta sperimentalmente indecisa; Lavoisier e Laplace, pur

sostenendo ognuno un’ipotesi diversa, anche per motivi di carattere filosofico, sono,

però, d’accordo sulla formalizzazione del problema: la parte formale della teoria, quella

matematica, è in grado di smussare le differenze filosofiche di partenza.

L’altro elemento fondamentale riguarda la matematica che può essere basata

sull’infinito in atto, ad esempio gli infinitesimi del calcolo differenziale di Newton, o

22 H. Poincaré, La Scienza e l'Ipotesi (1902). Trad. it. a cura di G. Porcelli, Bari 1989; Il Valore della Scienza (1905). Trad. it. a cura di F. Albergàmo, Firenze 1994; Scienza e metodo (1908). Trad. it. a cura di C. Bartocci, Torino 1997. 23 Mémoire, p. 12.

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costruttiva, basata solo sull’infinito potenziale, ad esempio la matematica “elementare”

della termodinamica di Carnot, oppure quella della chimica. Seguendo questo tipo di

interpretazione, le due ipotesi sulla natura del calore, su cui divergono Lavoisier e

Laplace, possono essere distinte utilizzando l’opzione sul tipo di logica adottata.

Infatti, l’analisi linguistica del Mémoire rivela la presenza di alcune frasi

doppiamente negate in tre dei quattro articoli pubblicati:

− Articolo I:

I.1) “Altri fisici pensano che il calore non può non essere

I.2) “

che il risultato del

movimento insensibile delle molecole” (Mémoire, p. 10).

Non si possono formare altre ipotesi sulla natura del calore che non siano

I.3) “[Il calore]

le due menzionate” (Mémoire, p. 12).

non può essere che

I.4) “

la forza viva che risulta dal movimento

interno della materia” (Mémoire, p. 12).

Non vi è alcuna cosa che non indichi

I.5) “Data l’ignoranza che abbiamo sulla natura del calore,

a priori che il calore libero sia lo

stesso prima e dopo la combinazione” (Mémoire, p. 13).

non possiamo fare

altro che non sia osservarne

gli effetti” (Mémoire, p. 14).

− Articolo III:

III.1) “Per costruire una teoria completa del calore, occorrerebbe avere un

termometro… che può misurare tutti i gradi di temperatura possibile. Occorrerebbe

conoscere la legge che esiste tra il calore delle diverse sostanze e i gradi corrispondenti

del termometro… sarebbe inoltre necessario conoscere il calore assoluto contenuto in

un corpo ad una data temperatura. Infine occorrerebbe sapere la quantità di calore libero

che si forma o si perde in una combinazione o decomposizione. Con questi dati sarebbe

possibile risolvere tutti i problemi relativi al calore;…ma questi dati non si possono

ottenere se non

III.2) “Gli esperimenti dell’articolo precedente non danno i rapporti di quantità

assolute [=non relative] del calore dei corpi [danno rapporti relativi].

con un numero quasi infinito di esperimenti molto delicati e fatti a

gradi molto diversi di temperatura” (Mémoire, p. 40-41).

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III.3) [Gli esperimenti] non fanno conoscere altro che non sia

III.4) “Occorrerebbe supporre che queste quantità siano proporzionali alle loro

differenze; ma questa ipotesi è alquanto precaria, e

il rapporto di

quantità di calore necessarie per elevare di uno stesso numero di gradi la temperatura”

(Mémoire, p. 42).

non può essere ammessa se non

dopo numerose esperienze” (Mémoire, p. 42).

− Articolo IV:

IV.1) “Fino a poco tempo fa, sul fenomeno del calore nella combustione e la

respirazione non si avevano idee che non fossero

IV.2) “L’esperienza ha mostrato che i corpi

vaghe e molto imperfette ” (Mémoire,

p. 57).

non possono bruciare e gli animali

respirare se non

IV.3) “l’opinione più generalmente diffusa non attribuisce a questo fluido

[l’aria]

per mezzo dell’aria atmosferica” (Mémoire, p. 58).

altri compiti che non siano

IV.4) “L’aria non agisce affatto in questi fenomeni [combustione e respirazione]

come una semplice causa meccanica [=non chimica], ma come principio di nuove

combinazioni.” (Mémoire, p. 58).

quello di rinfrescare il sangue” (Mémoire, p. 58).

IV.5) “Tutto ciò che riguarda la combustione e la respirazione si spiega, sotto

queste ipotesi [l’aria come agente], in una maniera così naturale e così semplice che non

esiterò a proporla, se non come una verità dimostrata, almeno come una congettura

molto verosimile e degna dell’attenzione dei fisici.” (Mémoire, p. 58-59).

In questi tre articoli la parte sperimentale è introdotta da considerazioni generali,

di carattere speculativo: è solo in queste parti che si trovano enunciati con doppia

negazione. Nei paragrafi introduttivi, invece, si formulano ipotesi e principi per i quali

non è detto ci sia una verifica sperimentale diretta; per questo motivo non è detto che la

doppia negazione affermi.

Una seconda osservazione riguarda l’uso delle doppie negazioni fatto da

Lavoisier e da Laplace. Nell’articolo IV, che Guerlac attribuisce interamente a

Lavoisier, si trova la proposizione IV.1 che è la definizione, mediante una doppia

negazione, di due problemi operativamente fondati e centrali nella teoria del calore, cioè

la combustione e la respirazione. La frase IV.2 è un principio metodologico mediante il

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quale Lavoisier cerca di risolvere i due problemi posti nella IV.1. L’autore non asserisce

che “I corpi possono bruciare e gli animali respirare per mezzo dell’aria atmosferica”. In

questo stadio della sua trattazione, Lavoisier non ha ancora l’evidenza sperimentale per

poter affermare questo principio in generale; per poter avanzare però nella ricerca e

trovare un metodo di soluzione per il suo problema principale ricorre alla doppia

negazione.

Le frasi successive sono altri principi metodologici che specificano il principio

IV.2, il quale non poteva essere reso vero sopprimendo semplicemente le due negazioni.

Nella proposizione IV.4, posta a conclusione di questa linea di ragionamento, Lavoisier

rifiuta esplicitamente, per il fenomeno della combustione e della respirazione, il

modello meccanico basato sul concetto di causa (che era invece alla base della teoria dei

moti celesti di Newton e di Laplace).

Il risultato, che non ha alcuna evidenza sperimentale, è una “congettura

verosimile”, a favore della quale l’autore può addurre, provvisoriamente, solo motivi

logici. Con essa si riesce ad esprimere in maniera “naturale e semplice”, così come è

espresso nella IV.5, ogni fenomeno riguardante la combustione e la respirazione. La

IV.4 non è dunque un assioma, a partire dalla quale vengono dedotte altre proposizioni.

Lavoisier ammette la IV.4, anche se non la può dimostrare, e prosegue ad analizzare

mediante questo principio alcuni esperimenti, mostrando che essi non lo contraddicono.

In questo modo ne verifica indirettamente la validità.

Nell’articolo III, che secondo Guerlac, è interamente frutto di Laplace, si nota

invece un uso differente delle doppie negazioni. Nella III.1 vengono enumerate quattro

condizioni astratte e generalissime, indispensabili per risolvere tutti i problemi relativi

al calore. Nella proposizione c’è l’elenco dei requisiti che dovrebbe possedere una

teoria “completa” del calore. In questo caso Laplace tenta di proporre un’organizzazione

totalmente deduttiva della teoria del calore. I requisiti citati da Laplace sono dei veri e

propri postulati, riguardanti l’esistenza di un termometro universale, la conoscenza di

una relazione generale tra la temperatura misurata da un termometro e il calore

posseduto dal corpo, la conoscenza del calore assoluto di ogni sostanza ad una data

temperatura e la conoscenza del calore scambiato in qualsivoglia composizione o

decomposizione di corpi.

L’organizzazione della teoria presa a modello consiste nel voler far discendere

tutta la teoria da pochi postulati generalissimi. C’è una sostanziale differenza tra l’uso

delle doppie negazioni da parte di Lavoisier e da parte di Laplace. In Lavoisier la doppia

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negazione sta all’inizio della trattazione e serve ad esprimere un principio

metodologico, che nella forma affermativa è operativamente non verificabile. Per

Laplace la doppia negazione è posta al termine di una tentata assiomatizzazione della

teoria e serve a sancire l’impossibilità sperimentale di tale formulazione; l’autore ricorre

ad un ragionamento per assurdo (III.1) di fronte all’impossibilità di proseguire la

trattazione con la deduzione classica.

Nel Mémoire, il progetto di Lavoisier e Laplace di rifondare la chimica mediante

il metodo assiomatico, “il metodo dei geometri”, è lontano dall’essere realizzato. La

formalizzazione matematica della teoria del calore è ancora limitata ad un principio di

conservazione su cui i due autori convergono, ma con le ambiguità precedentemente

esaminate riguardo all’oggetto che si conserva.

Per le parti restanti del Mémoire, Lavoisier e Laplace organizzano la teoria in

due modi sostanzialmente diversi.

Il Mémoire fu, quindi, una collaborazione riuscita solo sul piano sperimentale,

mentre fallì sul piano teorico, essendo troppo eterogeneo nelle sue parti. Invece di

segnare l’incontro della nuova chimica con la fisica, come sostenuto da Guerlac,24

Tuttavia, sembra proprio la consapevolezza del fallimento del programma del

Mémoire a guidare Lavoisier ad un progetto di teoria alternativo a quello tradizionale di

Laplace.

esso

rappresentava solo un tentativo, non riuscito, di Laplace di riorganizzare la chimica

secondo il modello newtoniano, quindi, secondo quella che nella Francia del XVIII

secolo era considerata la scienza per eccellenza. Guerlac sostiene che a questo progetto

abbia continuato a lavorare lo stesso Lavoisier anche negli anni seguenti al 1784, non

riuscendo a portare a termine i suoi studi.

Infatti, a seguito del Mémoire, non vi sono altre collaborazioni sperimentali tra

Laplace e Lavoisier. Inoltre dopo il 1784 Lavoisier abbandonerà il progetto di una teoria

chimico-fisica, sia legata alla matematica della meccanica, sia basata sul modello

deduttivo.25

24 H. Guerlac, Chemistry as a branch of Physics. Laplace’s collaboration with Lavoisier, in Historical Studies of Physical Sciences, vol. 7, pp. 193-276, 1976; H. Guerlac, Quantification in Chemistry, in Isis, 52 (168), 1961, pp. 194-214.

Nel suo Traité élémentaire de chimie egli esprime esplicitamente dei dubbi

25 Laplace, invece, nel 1796, due anni dopo la morte di Lavoisier, scrive Exposition du système du monde, in cui nel capitolo XVIII intitolato De l’attraction moleculaire dichiara che tutte le combinazioni chimiche sono il risultato di forze; la forza molecolare attrattiva è la causa dell’aggregazione delle molecole; lo studio di queste forze è l’obiettivo principale della scienza chimica. In sostanza, il programma di Laplace è che tutti i problemi chimici possono e devono ridursi a quelli meccanici nella scala del microscopico. In una breve nota egli avverte, però, le difficoltà sperimentali che ancora sono presenti per la completa attuazione di questo programma. Le varie forze attrattive, infatti, dovrebbero

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sulla possibilità di poter spiegare tutta la chimica in termini di affinità e forze

molecolari, così come sosteneva invece Laplace.

L’assunto di fondo della nuova chimica di Lavoisier è espresso da una frase

doppiamente negata che non afferma: “Non è vero che la materia è divisibile

all’infinito”. Usando la logica classica, in cui la doppia negazione equivale ad una

affermazione, si dovrebbe poter dire: “La materia è divisibile al finito.”

Questa proposizione non è operativamente giustificata. Tuttavia, la negazione

della stessa frase, cioè “La materia non è divisibile al finito” è evidentemente falsa,

perché l’esistenza delle analisi chimiche non concorda con l’enunciato.

Solo la doppia negazione definisce bene il concetto alla base della nuova

chimica e, nella forma di un principio metodologico, indica come risolvere il problema

di quali siano i costituenti della materia. Lavoisier, dunque, punto di riferimento del

Kant maturo, esce fuori dallo schema deduttivo classico, ma soprattutto sembra meglio

incarnare la posizione kantiana, riportata nel Capitolo II, secondo cui la divisione della

materia procede sin dove arriva il processo divisorio.

In conclusione, tornando al Mémoire, come osserva Gliozzi,26

Il fatto che ancora nelle pagine dell’Opus postumum, Kant ripresenti il concetto

di forza viva, sebbene sotto altre spoglie, è sicuramente anche il segno del suo effettivo

confronto con la termologia dell’epoca e con la fisica sperimentale.

i due scienziati,

che avevano due visioni differenti – Lavoisier era un sostenitore della teoria fluidista e

Laplace di quella meccanicista – giunsero a una conclusione di sintesi secondo cui, in

condizione di equilibrio termico, i raggi luminosi hanno impulso inapprezzabile

(proporzionale alla semplice velocità), mentre producono calore proporzionale al

quadrato della velocità. In queste pagine è in nuce l’applicazione della forza viva come

ciò che lega calore, temperatura e movimento, dunque, come la base per il passaggio

dalla termologia alla termodinamica e premessa per lo sviluppo del concetto di

“lavoro”.

27

dipendere dalla forma e dalla posizione delle molecole, in modo tale che tutti i fenomeni chimici possano essere spiegati in termini della legge fisica dell’attrazione universale. Ancora una volta Laplace considera una limitazione essenziale: l’impossibilità sperimentale di conoscere forma e distanza tra le molecole rende la fisica dei corpi terrestri ancora lontana dal grado di perfezione raggiunta dalla fisica celeste con la legge di gravitazione universale.

In secondo luogo,

il confronto di Kant con Lavoisier non inizia certamente solo nel 1789, bensì proprio a

seguito della pubblicazione del Mémoire e della diffusione delle teorie di Crawford, che,

come si vedrà in seguito, Kant aveva presenti almeno dal 1785.

26 Cfr. M. Gliozzi (2005), p. 429. 27 Cfr. infra, §4.5.

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b) Gli studi di Lichtenberg ed Aepinus

Uno dei primi fisici, in Germania, ad introdurre sistematicamente esperimenti

nelle sue lezioni, fu Lichtenberg, una delle figure più conosciute e rispettate nei circoli

europei dell’epoca.28 Lichtenberg intrattenne rapporti con Kant,29 ma anche con Goethe

e Volta. Nel 1777 Lichtenberg costruì un elettroforo30 per generare elettricità statica con

l’induzione. Con questo strumento scoprì il principio che è alla base della moderna

xerografia e viene anche ricordato oggi come uno dei precursori della fisica del plasma.

Scaricando un punto di alto voltaggio vicino a un isolante, Lichtenberg rilevò uno

schema particolare a tre rami nella polvere fissata: queste figure di Lichtenberg sono

considerati oggi come i primi esempi di frattali.31

Le figure risultano ramificate e diversificate. La forma e l’estensione delle figure

può rivelare la presenza di un campo elettrico, la sua intensità, la posizione e la polarità

di elettrodi a punta. Il fatto che le figure fossero orientate lasciava intravedere il legame

tra gli studi sull’elettricità e il magnetismo con la cristallografia.

Con esperimenti condotti

all’università di Gottinga (1777), Lichtenberg osservò la formazione di figure diverse in

diverse condizioni di carica. Anche Alessandro Volta volle osservare i suoi esperimenti,

tra l’altro contemporanei a quelli di Franklin sui fulmini. Tali figure si possono

facilmente ottenere usando talco in polvere su lastre isolanti con diverse configurazioni

elettrodiche.

28 Fu anche uno dei docenti di Karl Friedrich Gauss. La sua fama gli valse nel 1793 l’elezione a membro della Royal Society. Come fisico si ricorda oggi per la sua indagine sull’elettricità che lo condusse alla scoperta di quelle che oggi sono chiamate ‘figure di Lichtenberg’. 29 Numerosi sono i riferimenti a Lichtenberg nella produzione kantiana. Di lui Kant parlava anche a lezione, come testimoniano le pagine della DanzikerPhysik, KGS XXIX, vol. 1.1, p. 98. cfr. Opus postumum, KGS XXI, pp. 6; 30; 39; 41; 43; 45; 52; 69; 7; 96; 98; 127; 130; 131; 135; KGS XXII, pp. 55; 126. 30 Uno dei più grandi mai costruiti: aveva un diametro di 2 metri e poteva produrre scintille di 38 cm. 31 Le figure di Lichtenberg sono descritte dettagliatamente nella sua memoria Super nova methodo motum ac naturam fluidi electrici investigandi, in Göttinger Novi Commentarii, Göttingen 1777.

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Figura 4.1. Esempio di figura di Lichtenberg in 3D.

Figura 4.2. Esempio di figura di Lichtenberg in 2D.

Lichtenberg oltre ad essere stato uno dei primi docenti universitari a introdurre

gli studi di Benjamin Franklin in Germania, nel 1784 curò la ripubblicazione del

manuale di J. C. Erxleben, Anfangsgründe der Naturlehre. Kant conosceva i risultati

delle ricerche di Lichtenberg e apprezzava i suoi studi. Il suo interesse era motivato dal

fatto che le figure di Lichtenberg mostravano la possibilità di aprire una via alla

geometrizzazione dei fenomeni elettrici e alla prova dell’esistenza delle forze di

attrazione e repulsione.

Come mostrano le Figure 4.1 e 4.2, gli studi di Lichtenberg, proprio come gli

studi di cristallografia, a cui Kant fa riferimento nella terza Critica, fornivano ancora

una prova di come la natura sia organizzata non solo in forme ordinate e misurabili, ,ma

anche in forme armoniche e simmetriche.

La matematizzazione dei fenomeni elettrici era un tema caro anche a U. T.

Aepinus (1724-1802), che già nel Tentamen theoriae electricitatis et magnetismi (1759)

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cercò di dare una veste matematica alla sua teoria, senza però ottenere particolari

successi.32

Aepinus fece diverse riflessioni molto proficue per l’avanzamento degli studi dei

fenomeni elettrici. In particolare scoprì nel 1756 quello che in epoca più tarda si sarebbe

chiamata la piroelettricità.

Tuttavia di Aepinus restano le sue osservazioni e i suoi esperimenti: un vero

e proprio patrimonio per la fisica dell’epoca.

33

Alla base dei primi esperimenti di Aepinus c’era l’impiego della tormalina, una

pietra che, se scaldata su carboni, attira e respinge alternativamente le ceneri circostanti.

Sebbene anche Eulero avesse avuto il sospetto che si trattasse di un fenomeno di natura

elettrica, fu di Aepinus la scoperta che tale fenomeno elettrico si produceva per

riscaldamento e la tormalina elettrizzata mostrava sempre una sua estremità elettrizzata

positivamente e l’altra negativamente.

34

Nel 1759 nel Tentamen dimostrò attraverso un esperimento che anche i metalli si

elettrizzano per strofinio, sebbene ancora non avesse stabilito che la distinzione tra

conduttori e non conduttori non è la triboelettricità inerente ai metalli, ma

semplicemente la loro conduttività.

Come sottolinea Gliozzi “le modalità del fenomeno di influenza elettrostatica

rilevate da Aepinus potevano prestarsi, oltre ogni intenzione dello scienziato, come

valido argomento alla teoria dei due fluidi, proposta nello stesso anno da Symmer”.35

Questa polemica divise gli scienziati e diede linfa vitale agli studi sui fenomeni

elettrostatici. Grazie alle osservazioni di Cigna, che aveva preso parte alla polemica,

Volta inventò l’elettroforo, prototipo della macchina a influenza e in grado di rilevare

piccole cariche.

Quest’ultima invenzione, tra l’altro, indusse Lichtenberg a compiere le sue

prime ricerche sui semiconduttori e alla costruzione delle famose figure.

Ma andiamo ad analizzare i principi che Aepinus pose alla base della sua

trattazione matematica:

1) Ogni corpo possiede nel suo stato naturale una ben determinata

quantità di elettricità.

2) Le particelle del fluido elettrico si respingono tra loro e sono attratte

dalla materia ordinaria.

32 Gliozzi (2005), p. 459. 33 Cfr. Gliozzi (2005), p. 456. La scoperta di Aepinus fu possibile in base a diverse osservazioni ed esperimenti ripetuti sulla base di quelli di Nollet e Franklin. 34 Sulla polemica suscitata da queste osservazioni, cfr. Gliozzi (2005), p. 458. 35 Gliozzi (2005), p. 461.

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3) I fenomeni elettrici si manifestano quando un corpo possiede fluido

elettrico in più o in meno di quello che gli compete allo stato naturale.

Analoghi principi valgono per il magnetismo. Aepinus era infatti sostenitore, al

contrario di Volta, di una teoria “unitaria” di elettricità e magnetismo.

Aepinus supponeva che le forze tra le cariche elettriche fossero proporzionali

alle cariche stesse, ma indipendenti dalla loro distanza e dalla loro distribuzione nei

conduttori. Per Aepinus le forze dipendevano sì dalla distanza, ma, ignorando la legge

di variazione, non ne volle tenere conto. Dunque ammise come postulato quello che

anche Coulomb più tardi sostenne: la forza tra due cariche elettriche è proporzionale al

loro prodotto.

L’ipotesi di Aepinus fu tenuta in considerazione da Cavendish, che nel 1771

sostenne che l’attrazione tra le cariche elettriche è inversamente proporzionale a una

potenza di una distanza, non specificata.

Questa ipotesi implicava che l’azione elettrica si estendesse a distanza infinita,

mentre le concezioni teoriche del tempo prevedevano l’esistenza di “atmosfere” e che

l’azione elettrica si manifestasse entro il breve spazio del corpo elettrizzato.

Aepinus rifiutò la teoria delle “atmosfere” e più tardi Cavendish concluse che le

forze elettriche devono potersi esplicare con una forza inversamente proporzionale a

una potenza della distanza di esponente minore di 3.

Riguardo al magnetismo invece il panorama delle teorie dell’epoca si

configuravano così: la teoria cartesiana dei vortici,36

La teoria unitaria sosteneva l’unicità del fluido elettrico, mentre la teoria

dualistica ammetteva l’esistenza di due fluidi magnetici che si separerebbero

all’estremità nell’atto della calamitazione. Osservazioni, che Coulomb

ormai screditata, a cui però aderì

Eulero, subiva l’avanzamento della teoria unitaria di Aepinus e della contrapposta teoria

dualistica.

37

36 Cfr. Heilbron (1982), pp. 25-26.

condusse

successivamente, mostrarono che l’esperienza contraddiceva entrambe le teorie, se esse

fossero state prese di per sé, dogmaticamente.

37 Cfr. Gliozzi (2005), p. 495. In particolare, anche se Gliozzi non lo ricorda, si noti come queste esperienze di fatto mostravano la possibilità di un monopolo e di un dipolo elettrico e l’impossibilità invece di trovare un monopolo magnetico, sfida ancora aperta per la fisica contemporanea.

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W. Bonsiepen ricorda le modifiche che Aepinus e Volta apportarono alla teoria

di Franklin.38

Kant cita Aepinus in più luoghi della sua produzione, sebbene vi sia uno studio

di A. Nordmann, che sostiene l’influenza di Aepinus su Kant già nel saggio del 1763,

Versuch den Begriff der negativen Größen in die Weltweisheit einzuführen:

In particolare, preme sottolineare come Aepinus credeva che anche ai

fenomeni dell’elettricità soggiacesse una legge come quella newtoniana per cui sia il

magnetismo che l’elettricità agiscono in proporzione inversa al quadrato della distanza.

To be sure, KANT (1763), pp. 33 f. deals with polarity and electricity without referring

to Symmer. Instead, he takes his cue from Aepinus’s “unitarian” assumptions (see above, end of § II) which maintain the universality of repulsion between all particles of matter.39

Aepinus assume un ruolo di primo piano per lo studio della teoria della materia

di Kant, in quanto pone notevole interesse ed attenzione alla forza repulsiva nei

fenomeni elettrici.40

Se già nel 1756 Kant parlava della sfera delle monadi fisiche e dell’azione

esercitata dalla repulsione con una misura proporzionale all’inverso del cubo della

distanza, è nel saggio del 1763 che Kant riconosce effettivamente il merito

dell’approccio di Aepinus nel voler unificare magnetismo e elettricità, ma soprattutto

ritiene che dai fenomeni elettrici e magnetici possa essere trovata la legge che esprime

in termini matematici la repulsione.

Kant, inoltre, mostrava interesse per la teoria di Aepinus, perché questa era

compatibile con la presupposizione di un medium materiale, ovvero l’etere, capace di

spiegare molteplici fenomeni in natura.41

Kant era fermo sostenitore, infatti, non solo dell’esigenza di un’unità sistematica

dei fenomeni naturali, ma anche che questa passasse sia attraverso principi

trascendentali, sia attraverso un loro corrispettivo materiale.

38 W. Bonsiepen, Die Begründung einer Naturphilosophie bei Kant, Schelling, Fries und Hegel, Frankfurt am Main 1997, p. 236. 39 A. Nordmann, From “Electricity Minus” to “-E”: Attempts to Introduce the Concept of Negative Magnitude into Worldly Wisdom, in Nuova Voltiana, Pavia 2003, p. 8 nota. 40 Nordmann, p. 4: “The second, empirical difficulty is more straightforward and had to be addressed. It concerns the mutual repulsion of negatively charged bodies, a phenomenon unaccounted for by Franklin’s theory: why should the mere lack of electrical fire give rise to a very definite repulsive force? Franz Ulrich Aepinus showed in 1759 that, for this and more principled reasons, Franklin’s theory had to be amended by the assumption that negatively electrified matter will repel similar matter. Though Franklin’s view as appended by Aepinus’s assumption is said to have currency even today, there is something obviously awkward and inelegant, if not ad hoc about this assumption”. 41 Kant, Versuch den Begriff der negativen Größen in die Weltweisheit einzuführen, KGS II, pp. 185-187.

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Di questa esigenza kantiana si ha traccia in epoca critica anche in uno scritto

minore, ma che riveste grande importanza: Über die Vulkane im Monde.

4.2 L’influenza della fisica e della chimica in Über die Vulkane im Monde

Über die Vulkane im Monde è un breve saggio specialistico del 1785, scritto un

anno prima della pubblicazione dei Metaphysische Anfangsgrunde der

Naturwissenschaft. Possono essere svolte importanti considerazioni a partire dall’analisi

del breve trattato sulla natura e l’origine dei crateri riscontrati dalle osservazioni

telescopiche sul satellite terrestre. Si nota, infatti, che Kant si teneva costantemente

aggiornato sui risultati delle ricerche contemporanee in ambito astronomico, sugli studi

dell’elettricità e della chimica dei gas.

In questo scritto Kant si confronta con Herschel e Buffon, oltre che con

Beccaria, Aepinus, Crawford e Lichtenberg.

In particolare Kant era a conoscenza dei risultati della scoperta di Herschel di un

cratere lunare, pubblicati nel 1783 e basati sulle osservazioni del nipote di Beccaria e di

Don Antonio de Ulloa (1716-1795). Lo scritto kantiano è pervaso da una vena polemica

nei confronti di Herschel e della sua spiegazione sui dati raccolti. Kant, dopo aver

riportato le dimensioni dei dati osservati, nota che la lunghezza del diametro del cratere

lunare osservato è notevolmente inferiore a quella dei crateri terrestri. La critica di Kant

parte da un assunto metodologico: se il sistema osservato, la Luna, diviene oggetto di

indagine per analogia con la Terra, allora i dati riscontrati sul satellite devono essere

commisurati ai fenomeni della crosta terrestre, sia per natura che per dimensioni.

Le dimensioni del cratere osservato da Herschel sono incommensurabilmente

più grandi di quelle del cratere del Vesuvio, il cui diametro fu misurato da Della

Torre.42

Si rivela così la profonda osservazione critica di Kant nei confronti di Herschel,

non senza una punta di sarcasmo:

Alsdann aber hat Hrn. Herschel Beobachtung zwar die Idee von Vulkanen im Monde bestätig, aber nur von solchen, deren Krater weder von ihm noch von jemand anders gesehen worden ist, noch gesehen werden kann; hingegen hat sie nicht die Meinung bestätig, dass sie sichtbaren ringförmigen Konfigurationen auf der Mondsflache vulkanische Kraters waren. Denn das sind sie (wenn man hier nach er Analogie mit ähnlichen großen Bassins auf der Erde urteilen soll) aller Wahrscheinlichkeit nach nicht.43

42 Giovanni Maria della Torre pubblicò nel 1755 Storia e fenomeni del Vesuvio. 43 I. Kant, Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 71.

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Secondo Kant, dunque, a partire non solo dal parametro della forma (Gestalt) ma

anche da quello della grandezza (Grösse), è necessario precisare che non c’è alcuna

prova diretta per stabilire che i crateri osservati da Herschel siano di natura vulcanica.

L’osservazione di Kant è quanto mai pertinente.

La causa che avrebbe generato una tale conformazione della crosta lunare non

risiede in un’eruzione vulcanica e sulla base degli attuali studi sappiamo che sono

entrati in gioco altri fattori nella determinazione della crosta lunare. Kant avanza

un’ipotesi in linea con la teoria fluidistica:

Ich denke: dass, wenn man sich die Erde ursprünglich als ein im Wasser aufgelöstes Chaos vorstellt, die ersten Eruptionen, die allerwärts, selbst aus der größten Tiefe entspringen mussten, atmosphärisch (im eigentlichen Sinn des Worts) gewesen sein werden. Denn man kann sehr wohl annehmen: dass unser Luftmeer (Aerosphäre), das sich jetzt über der Erdfläche befindet, vorher mit den übrigen Materien der Erdmasse in einem Chaos vermischt gewesen; dass es zusamt vielen andern elastischen Dünsten aus der erhitzten Kugel gleichsam in großen Blasen ausgebrochen; in diese Ebullition (davon kein Teil der Erdfläche frei war) die Materien, welche die ursprünglichen Gebirge ausmachen, kraterförmig ausgeworfen und dadurch die Grundlage zu allen Bassins der Ströme, womit als den Maschen eines Netzes das ganze feste Land durchwirkt ist, gelegt habe.44

La terra viene rappresentata originariamente come un caos di materiali disciolti

in acqua e le eruzioni verificatesi in questo stadio iniziale devono essere classificate

come eruzioni atmosferiche:

Also war die erste bildende Ursache der Unebenheiten der Oberfläche eine atmosphärische Ebullition, die ich aber lieber chaotisch nennen möchte, um den ersten Anfang derselben zu bezeichnen.45

In questo stadio primordiale di ebollizione in cui le sostanze dell’atmosfera

terrestre erano mescolate con altre sostanze della crosta si verificarono eruzioni da cui si

sarebbero formati sia le montagne che i bacini acquiferi. A questo punto Kant si

confronta con la tesi di Buffon,46

44 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 72

secondo cui i bacini d’acqua sarebbero sorti a seguito

45 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 73. 46 L'opera di Buffon diede un contributo decisivo alla geologia, alla biologia e alla filosofia della natura del Settecento. Alle descrizioni minuziose dei naturalisti del primo Settecento che ricercavano nella natura la perfezione meccanica del disegno divino, ricostruito nei termini di una scienza e di una filosofia di derivazione cartesiana, Buffon contrappose una visione plastica e immediata degli animali, specialmente quadrupedi e uccelli, più vicini all'esperienza applicata e quotidiana dell'uomo, e nello stesso tempo elaborò una nuova concezione della scienza e della natura, superando, sulla scorta di Newton e Locke, la concezione meccanicistica cartesiana: la materia non è passiva, ma attiva. La natura non deve quindi essere riportata a un disegno statico e prestabilito, ma a un ordine autonomo di leggi, a un processo continuo di interazione fra cause ed effetti che deve essere seguito risalendo al passato. In tal modo la storia naturale diviene storia della natura. La sua grande opera inizia infatti con una Histoire et théorie de la Terre, una trattazione geologica e cosmologica (integrata nel 1778 con le Époques de la

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di alluvioni e grandi perturbazioni atmosferiche. L’idea di Kant è quella di avvalorare

un’ipotesi secondo cui alcune montagne si sarebbero formate a seguito di eruzioni.

Tuttavia le eruzioni vulcaniche non possono essere le uniche cause della conformazione

idrogeologica della terra e devono avere una datazione più tarda.47

Nonostante la vena polemica e le critiche di Kant alle tesi di Herschel e Buffon,

dal testo emerge l’importanza che essi ricoprono per l’elaborazione di una teoria

cosmogonica unitaria:

Der Nutzen nun, den der Gedanke obgedachter berühmter Männer haben kann, und den

die Herschelsche Entdeckung, obzwar nur indirekt, bestätigt, ist in Ansehung der Kosmogonie von Erheblichkeit: dass nämlich die Weltkörper ziemlich auf ähnliche Art ihre erste Bildung empfangen haben. Sie waren insgesamt anfänglich in flüssigem Zustande; das beweiset ihre kugelrunde und, wo sie sich beobachten lässt, auch nach Maßgabe.48

In questo contesto Kant abbraccia la teoria fluidistica per spiegare l’origine della

terra e dei corpi celesti e questo si traduce, come si è visto nelle pagine della terza

Critica, anche nell’applicazione della teoria del calorico alle formazioni cristalline e ai

composti chimici. Stabilita la medesima origine della formazione dei corpi celesti da

uno stato fluido generato dal calore, Kant afferma la necessaria esistenza di un elemento

originario (Wärmestoff) da cui potesse essere innescato il processo di formazione dei

pianeti.49 Si nota facilmente, dunque, che la presupposizione dell’esistenza di una

materia cosmica diffusa nell’universo non è certo una tematica pertinente ai manoscritti

dell’Opus postumum,50

nature) nella quale Buffon rompe con la cosmogonia mosaica e suppone che la Terra abbia ca. 75.000 anni e che la causa più importante delle sue trasformazioni non sia stato il diluvio biblico, ma l'insieme di fattori naturali che agiscono lentamente e tuttora, come il calore e l'erosione delle acque. Qui, tra l'altro, espone la nota ipotesi sull'origine della Terra staccatasi dalla materia incandescente del Sole per l'urto di una cometa e sulla cui superficie, raffreddatasi in epoche successive, la vita è sorta per effetto delle sole forze naturali.

ma permea tutta la produzione kantiana e ricopre un’ importanza

47 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 74: “Unter einem allgemeinen Ozean, wie Buffon will, und durch Seeströme im Grunde desselben lässt sich eine Wegwaschung nach einer solchen Regel gar nicht denken: weil unter dem Wasser kein Abfluss nach der Abschüssigkeit des Bodens, die doch hier das Wesentlichste ausmacht, möglich ist. Die vulkanischen Eruptionen scheinen die spätesten gewesen zu sein, nämlich nachdem die Erde schon auf ihrer Oberfläche fest geworden war. Sie haben auch nicht das Land mit seinem hydraulisch regelmäßigen Bauwerk zum Ablauf der Ströme, sondern etwa nur einzelne Berge gebildet, die in Vergleichung mit dem Gebäude des ganzen festen Landes und seiner Gebirge nur eine Kleinigkeit sind”. 48 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 74. 49 Si noti qui la variante che, però, è solo in forma di approfondimento delle tesi del 1755 in cui Kant parlava di affinità tra le molecole degli elementi e ascriveva la forza repulsiva e non attrattiva a tali processi chimici. In questo contesto Kant sta muovendo una forte critica a Buffon, accusandolo, sebbene implicitamente, di non spingere alle estreme conseguenze e di non dare un fondamento alla sua posizione. Buffon, infatti, faceva generare il calore che fluidificava la massa dei pianeti in formazione al calore del sole, ma non spiegava da dove derivasse il calore prodotto dal sole stesso. 50 Cfr. Opus postumum, KGS XXI, p. 301: “Alle Materien die jetzt fest sind, sind vorher geflossen gewesen. Das sieht man an Metallen, Steinen, vegetabilischen Produkten als Holtz Flachs, Hanf, oder animalischen Seide, Fleischfasern Knochen etc. Zum flüssigen Zustande aber ward vorher Wärmestoff

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capitale per fondare la cosmologia kantiana. Dal 1755 Kant non aveva smesso di

interrogarsi sulla natura delle forze agenti in natura e si era interessato alla letteratura

scientifica che studiava per via sperimentale il comportamento elastico dei corpi, alla

teoria fluidistica, a quella dell’elettricità e alla chimica, poiché vedeva in queste la

possibilità di ritrovare una spiegazione delle molteplici forze naturali da unificare.

Kant puntualizza, infatti, che l’elemento originario, presente in forma di vapore

diffuso in tutto l’universo, ha formato i pianeti dapprima grazie all’attrazione chimica e

poi soprattutto grazie a quella cosmologica, generando un calore diffuso: Wenn man annimmt (welches auch aus andern Gründen sehr wahrscheinlich ist), dass

der Urstoff aller Weltkörper in dem ganzen weiten Raume, worin sie sich jetzt bewegen, Anfangs dunstförmig verbreitet gewesen, und sich daraus nach Gesetzen zuerst der chemischen, hernach und vornehmlich der kosmologischen Attraktion gebildet haben: so geben Crawfords Entdeckungen einen Wink, mit der Bildung der Weltkörper zugleich die Erzeugung so großer Grade der Hitze, als man selbst will, begreiflich zu machen. Denn wenn das Element der Wärme für sich im Weltraum allerwärts gleichförmig ausgebreitet ist, sich aber nur an verschiedene Materien in dem Maße hängt, als sie es verschiedentlich anziehen; wenn, wie er beweiset, dunstförmig ausgebreitete Materien weit mehr Elementarwärme in sich fassen und auch zu einer dunstförmigen Verbreitung bedürfen, als sie halten können, sobald sie in den Zustand dichter Massen übergehen, d. i. sich zu Weltkugeln vereinigen: so müssen diese Kugeln ein Übermaß von Warmmaterie über das natürliche Gleichgewicht mit der Warmmaterie im Raume, worin sie sich befinden, enthalten; d. i. ihre relative Wärme in Ansehung des Weltraums wird angewachsen sein.51

E’ evidente in questo passaggio il riferimento ad A. Crawford. Fisico e

professore di chimica a Londra, Crawford (1749-1795) scrisse nel 1779 Experiments

and Observations on Animal and Heat and the Inflamation of Combustible Bodies ...

etc.52

erfordert. Also ist alle Materie in welcher Relation die Theile derselben auch unter einander stehen mögen in solche doch immer zuerst durch jenen bewegenden Urstoff gesetzt worden“.

Crawford è tra i precursori della termodinamica e apparteneva agli esponenti della

teoria fluidistica. Questo approccio qualitativo al meccanismo di formazione dei corpi

viene ripreso da Kant nel testo, laddove afferma che la rarefazione originaria deve

dipendere dal grado di attrazione che unisce la materia diffusa nell’universo. Ma questa

attrazione a sua volta dipende dalla quantità della sostanza che forma il corpo. In sintesi

Kant concordava con Crawford che quanto più calore viene prodotto, tanto più è

51 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, pp. 74-75. 52 A. Crawford, Experiments and Observations on Animal and Heat and the Inflamation of Combustible Bodies ... etc London, 1779. Su questo si veda anche la nota di Adickes, KGS VIII, p. 477). Uscì anche una traduzione italiana Del calore animale e della combustione. Sperienze ed osservazioni di A. Crawford, trad. a cura di G. Venturoli, Bologna 1800; ristampa Bibliobazaar 2008. In particolare si veda in quest’ultima edizione per la composizione dell’atmosfera e le eruzioni vulcaniche p. 420; per l’attrazione chimica, pp. 256; 307-309.

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presente la quantità di sostanza a cui il calorico può legarsi: il calore è direttamente

proporzionale alla quantità della sostanza.53

Oltre ad essere utile per comprendere la posizione kantiana nel panorama a lui

contemporaneo, questo breve testo svela uno dei principali intenti dell’indagine

kantiana. Kant intende perseguire un obiettivo che ritiene imprescindibile per la scienza,

ovvero, quello di fornire un principio di derivazione e spiegazione universale delle

eruzioni terrestri, ma anche lunari e solari:

Auch würde uns die gebirgichte Bildung der Oberflächen der Weltkörper, auf welche

unsere Beobachtung reicht, der Erde, des Mondes und der Venus, aus atmosphärischen Eruptionen ihrer ursprünglich erhitzten chaotisch = flüssigen Masse als ein ziemlich allgemeines Gesetz erscheinen. Endlich würden die vulkanischen Eruptionen aus der Erde, dem Monde und sogar der Sonne (deren Kraters Wilson in den Flecken derselben sah, indem er ihre Erscheinungen, wie Huygens die des Saturnringes sinnreich untereinander verglich) ein allgemeines Prinzip der Ableitung und Erklärung bekommen.54

Nell’ultima parte del saggio, la critica a Buffon si sposta sul piano dell’ipotesi di

derivazione idrografica del pianeta terra al suo metodo. Questa è una notevole

differenza rispetto allo scritto del 1755, in cui Kant consacrava le intuizioni della teoria

di Buffon, sia a livello naturalistico che cosmologico, come una delle più grandi che

l’umanità avesse conosciuto. Secondo Kant un approccio metodologico come quello di

Buffon non garantisce alcun avanzamento per la ricerca perché pone a fondamento di

processi naturali l’azione divina:

Wollte man hier den Tadel, den ich oben in Buffons Erklärungsart fand, auf mich

zurückschieben und fragen: woher kam denn die erste Bewegung jener Atomen im Weltraume? So würde ich antworten: dass ich mich dadurch nicht anheischig gemacht habe, die erste aller Naturveränderungen anzugeben, welches in der Tat unmöglich ist.55

Lo scritto si conclude nel pieno dello spirito della Critica della ragione pura e

delle conquiste della filosofia trascendentale. Grazie al catartico della ragione, alla

Dialettica trascendentale, Kant aveva rivelato che la natura come un tutto, sebbene mai

direttamente conoscibile, costituisce il problema da cui si origina il bisogno stesso della

ragione di ricercare l’origine, seguendo catene causali, di processi di volta in volta

53 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 75: “Da die letztere nun auf den Grad der Anziehung, die den zerstreuten Stoff vereinigte, diese aber auf die Quantität der Materie des sich bildenden Weltkörpers ankommt: so musste die Größe der Erhitzung der letzteren auch proportionirlich sein. Auf die Weise würden wir einsehen, warum der Zentralkörper (als die größte Masse in jedem Weltsystem) auch die größte Hitze haben und allerwärts eine Sonne sein könne; im gleichen mit einiger Wahrscheinlichkeit vermuten, dass die höhern Planeten, weil sie teils meistens größer sind, teils aus verdünnterem Stoffe gebildet worden als die niedrigern, mehr innere Wärme als diese haben können, welche sie auch (da sie von der Sonne beinahe nur Licht genug zum sehen bekommen) zu bedürfen scheinen”. 54 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 75. 55 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, pp. 75-76.

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considerati dalla storia degli uomini e dalla storia della natura, che si trasforma

inevitabilmente in storia della scienza:

Dennoch aber halte ich es für unzulässig, bei einer Naturbeschaffenheit, z. B. der Hitze

der Sonne, die mit Erscheinungen, deren Ursache wir nach sonst bekannten Gesetzen wenigstens mutmaßen können, Ähnlichkeit hat, stehen zu bleiben und verzweifelter Weise die unmittelbare göttliche Anordnung zum Erklärungsgrunde herbei zu rufen. Diese letzte muss zwar, wenn von Natur im Ganzen die Rede ist, unvermeidlich unsere Nachfrage beschließen; aber bei jeder Epoche der Natur, da keine derselben in einer Sinnenwelt als die schlechthin erste angegeben werden kann, sind wir darum von der Verbindlichkeit nicht befreit, unter den Weltursachen zu suchen, so weit es uns nur möglich ist, und ihre Kette nach uns bekannten Gesetzen, so lange sie aneinander hängt, zu verfolgen.56

Come mostra il prossimo paragrafo, a questo scritto fa da pendant un altro breve

saggio, Etwas über den Einfluß des Mondes auf die Witterung del 1794, in cui Kant

riprende alcune osservazioni sull’origine e la natura dell’atmosfera terrestre e lunare, ma

con un impianto teorico molto più interessante ai fini di questa ricerca, perché teso a

risolvere il problema epistemologico di un gap tra teoria ed esperienza nella pratica

scientifica applicata ad un caso specifico.

4.3 La conferma dell’ipotesi cosmologica: il confronto con Herschel

A seguito dello sviluppo di ricerche cosmologiche come quella di W. Herschel

(1738-1822), negli anni ’90 Kant ritorna a confrontarsi direttamente con la sua ipotesi

cosmologica presentata in Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels

(1755). William Herschel è passato alla storia anche come colui che fu in grado di

costruire più di 400 telescopi, di cui il più famoso è quello dotato di una lente focale di

12 m e un’apertura di 126 cm di diametro [figura 4.3].57

56 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 76.

Grazie a questo strumento nella

sua carriera Herschel scoprì due lune di Saturno, Mimas and Enceladus (1789), e due

lune di Urano Titania e Oberon.

57 Cfr. E. S. Holden, Sir William Herschel: His Life and Works. New York 1881; J. B. Sidgwick, William Herschel: Explorer of the Heavens. London 1953; B. Lovell, Herschel's Work on the Structure of the Universe; in Notes and Records of the Royal Society of London, Vol. 33, n.1, 1978, pp. 57-75.

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Figura 4.3 Immagine del telescopio (12 m) di Herschel.

Lavorò, inoltre, alla creazione di un catalogo esteso delle nebulose e sulle stelle

doppie: fu il primo a scoprire che la maggior parte delle stelle doppie non sono illusioni

ottiche, ma vere e proprie stelle binarie e, dunque, diede una prima evidenza della legge

di gravitazione di Newton applicata al di fuori del sistema solare.58

Herschel elaborò un metodo per scoprire se vi fosse un legame tra l’attività

solare e il clima terrestre, ovvero collezionare le variazioni di prezzo del grano poteva

essere una misurazione indiretta delle condizioni meteorologiche. Herschel teorizzò che

il prezzo del grano fosse connesso al raccolto e dunque alle condizioni climatiche di

ogni anno.

Questo tentativo non ebbe successo, perché mancavano osservazioni precedenti

del sole con cui comparare il prezzo del grano, sebbene tecniche simili furono usate

successivamente con successo. I riferimenti in Etwas über den Einfluß des Mondes auf

die Witterung ai vantaggi che la navigazione e l’agricoltura possono trarre dagli studi

sull’influenza della luna sulle condizioni atmosferiche lasciano intravedere che Kant

avesse ben presente il tentativo di Herschel di studiare tale influenza attraverso la

ricostruzione dell’andamento del prezzo del grano, istituendo un legame forte tra ciclo

economico produttivo, fenomeni naturali e sperimentazione scientifica.

In secondo luogo, Herschel spinse le sue speculazioni fino a ritenere che ogni

pianeta fosse abitato, anche il Sole. egli credeva, infatti, che il Sole avesse una

superficie solida fredda protetta dalla sua atmosfera calda, coperta da una coltre di nubi

e che essa fosse abitata da esseri con una testa di proporzioni superiori a quella della

58 Famosi sono anche gli studi di Herschel sul moto delle stelle. In On the Proper Motion of the Solar System in Space (1783) affermò che il sistema solare si muoveva nello spazio e determinò la direzione approssimativa di questo movimento. Herschel concluse, inoltre, dagli studi sulla Via Lattea, che questa avesse la forma di un disco.

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razza umana. Herschel riteneva che tali creature avessero una testa così grande perché

fu calcolato che una testa come quella umana a quelle condizioni atmosferiche sarebbe

esplosa. Le ipotesi che riguardavano la vita sul Sole traevano origine dall’osservazione

del movimento delle macchie solari sulla sua superficie.59

In terzo luogo, un confronto con l’opera di Herschel può essere fruttuoso

tenendo presente la sua scoperta della radiazione infrarossa. Nel 1800 osservando

macchie solari usò dei filtri e quando usava quello rosso trovò molto calore prodotto.

Herschel scoprì la radiazione infrarossa facendo passare la luce solare attraverso un

prisma e posizionando un termometro proprio dopo la fine del rosso alla fine dello

spettro visibile.

Su questi argomenti Herschel

non incontrò il favore di Kant, il quale aveva sì trattato della possibilità della vita su

altri pianeti nel 1755, ma non riteneva possibile, almeno in età matura, l’esistenza della

vita su ogni pianeta del sistema Solare. Tuttavia, in comune con Herschel, Kant aveva

un’idea dinamica dello sviluppo dei pianeti del sistema Solare.

Questo termometro doveva controllare la misura della temperatura dell’aria

circostante. Herschel vide che la temperatura più alta si registrava dopo lo spettro

visibile. Ulteriori esperimenti condussero Herschel a concludere che doveva esserci una

forma invisibile di luce oltre lo spettro visibile. Le ricerche di Herschel non erano un

caso isolato in Europa, soprattutto in Inghilterra. L’esperimento di Young, capace di

mostrare la natura ondulatoria della luce, fu realizzato nel 1801, ma esperimenti con

lamelle per studiare i fenomeni dell’interferenza erano assai noti, anche a Kant, come

testimoniano alcuni passi dell’Opus postumum.60

Forse è proprio grazie a queste scoperte che Kant arrivò alla metà degli anni ’90

a pensare la possibilità di corpi oscuri (dunkele Körpern) che si sottraggono

all’osservazione e la cui esistenza avrebbe spiegato deviazioni e apparenti anomalie dei

movimenti di corpi celesti remoti.

L’occasione diretta, però, del confronto con Herschel sorge dalla pubblicazione

di Über den Bau des Himmels di Herschel, la cui edizione tedesca era stata curata da J.

F. Gensichen e che Kant aveva ben presente. Sia A. Cozzi che P. Grillenzoni ricordano

le parole di Kant, riportate nell’edizione delle opere kantiane curata da Hartenstein. Nel

1791 Kant avrebbe dichiarato:

59 Cfr. W. Soon, S. H. Yaskell, The Maunder Minimum and the variable sun-earth connection, Singapore 2003, pp. 88-89. 60 Opus postumum, KGS XXI, p. 339; XXII, pp. 185-186.

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Grande è la probabilità della mia teoria sull’anello di Saturno, la cui origine devesi a materia gassosa emanata dal pianeta e mossa secondo le leggi delle forze centrali. L’osservazione spiega e conferma questa mia teoria estendendola anche alla formazione dei grandi astri, da me, del resto, dedotta in base alle stesse leggi, con la sola differenza che questi traggono la loro forza d’impulso dalla caduta della materia primitiva sotto il dominio del peso universale, e non dalla rotazione assiale del corpo di centro. La probabile verità di questa teoria diventa ancora più certa, se si tiene conto di un complemento aggiunto più tardi e che vanta l’approvazione dell’aulico Consigliere Lichtenberg: il vapore originariamente diffuso nello spazio, che conteneva allo stato elastico, le infinite varietà della materia, ha dato origine agli astri sotto l’esclusiva azione dell’affinità chimica. Quando cioè le molecole dotate di tale affinità venivano ad incontrarsi cadendo, annientavano reciprocamente la propria elasticità e si combinavano in masse più dense. Il calore risultante dalla combinazione dava vita ai corpi maggiori dell’universo, ai soli per irradiazione luminosa all’esterno, e ai corpi minori, i pianeti, per il calore interno.61

La lettera del 19 aprile 1791, conservata in lingua inglese, fu inviata da Kant a

Gensichen62

e può essere un primo indizio per ricostruire la visione kantiana

dell’universo nella sua tarda produzione. Le osservazioni di Kant sono state inserite

nell’edizione da Gensichen come note di chiusura e con l’aggiunta di una

considerazione sul ruolo della cosmologia kantiana. Ma andiamo a vedere più da vicino

che cosa preme a Kant puntualizzare:

In primo luogo che la rappresentazione della Via Lattea, come un sistema di soli che si muovono, molto simile al nostro sistema planetario, è stata data da me sei anni prima di quella simile pubblicata da Lambert nelle sue lettere cosmologiche.63

Innanzitutto Kant vuole puntualizzare la priorità della sua ipotesi sulla

costituzione della via Lattea, rispetto a quella proposta nelle Kosmologische Briefe über

die Einrichtung des Weltbaues di J. H. Lambert nel 1761, sei anni dopo la pubblicazione

kantiana. In particolare Kant si sta riferendo alle lettere X e XI64

61 Cfr. Storia universale della natura e teoria del cielo, a cura di A. Cozzi, p. 81 nota; P. Grillenzoni, Kant e la scienza, vol. I, Milano 1998, p. 383 nota. Grillenzoni segnala qui uno shift, secondo cui a distanza di trentasei anni Kant avrebbe riletto in chiave chimica la sua teoria. Sulla base di quanto argomentato nel paragrafo precedente, è chiaro invece che Kant tenesse in considerazione questo aspetto già dai primi anni ’80 e anche nel periodo precritico, sebbene in forma più embrionale, presentava la predilezione per l’interazione e l’integrazione tra fisica e chimica, tra spiegazione dinamica e meccanica della materia e delle sue forze.

in cui Lambert fornisce

una spiegazione non dissimile da quella che Kant aveva dato nell’opera del 1755 sulla

costituzione della nebulosa come struttura costituita da sistemi solari rotanti attorno a un

62 Kant, Briefwechsel, 446, KGS, XI, pp. 252-3. 63 Briefwechsel, 446, KGS, XI, p. 252: “1st that the representation of the milky way, as a system of moving suns, resembling our planetary system, is given by me, six years before the similar one, published by Lambert in his cosmological letters.” 64 Lambert, Kosmologische Briefe über die Einrichtung des Weltbaues, Augsburg 1761, pp. 145-6; 158.

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centro comune di attrazione.65

Nella lettera di Kant a Gensichen, compare una seconda

puntualizzazione:

In secondo luogo che la rappresentazione delle stelle nebulose, come un numero qualsivoglia di galassie remote, in conformità a quanto riporta Erxleben nella sua filosofia naturale del 1772, p. 540, e come ancora compare nella nuova edizione, argomentata dal consigliere Lichtenberg, non è un’idea di Lambert, il quale piuttosto suppose che esse (o al massimo una di esse) fossero corpi oscuri.66

In questo passo invece Kant prende le distanze dall’interpretazione di Erxleben

(Anfangsgründe der Naturlehre, 1772) e Lichtenberg dell’opera di Lambert. Secondo

Kant, infatti, entrambi riportano in modo scorretto l’ipotesi che Lambert propugnava

circa la natura delle nebulose. Per Lambert questi non erano altro che corpi oscuri,

illuminati da altri soli, mentre per Kant erano galassie remote proprio come la via

Lattea. Kant tende a rivendicare con forza questo punto che segna un maggior distacco

dalla teoria cosmologica di Lambert.67

Se la prima parte della lettera a Gensichen può

essere vista come una presa di distanza da Lambert e una rivendicazione di una teoria

cosmologica indipendente, la seconda parte della lettera è una chiara presa di posizione

di Kant sul valore delle sue ipotesi cosmologiche. Kant, in effetti, riuscì a svolgere già

nel 1755 importanti riflessioni sulla costituzione di Saturno, in particolare sulla struttura

e il comportamento dei suoi anelli:

In terzo luogo, che io abbia rappresentato molto tempo fa, in modo molto vicino a quello che le osservazioni hanno insegnato, la produzione e la conservazione dell’anello di Saturno, secondo la sola legge della forza centripeta, che sembra ora essere ben confermata, ovvero: una polvere che si muove attorno al suo centro (che è al tempo stesso quello di Saturno), che è composta di particelle, non regolari, ma rotanti indipendentemente e che compiono le loro orbite in tempi differenti secondo la loro distanza dal centro; in base a ciò sembrano essere sanciti una volta per tutte il tempo di rotazione sul suo asse, che io ho inferito da ciò, e la sua superficie piana. 68

65 Anche di questo Lambert parla diffusamente. Cfr. Lambert (1761), p. 219. 66 Briefwechsel, 446, KGS, XI, p. 252: “2nd That the representation of the foggy stars, as a like number remote milky ways is not, as Erxleben says in his natural philosophy 1772, p. 540, and as is still extant in the new edition, augmented by the counsellor Lichtenberg an idea, ventured by Lambert, who rather supposed them (at least one of them) to be obscure bodies”. 67 Cfr. Lambert (1761), p. 243; 258. 68 Briefwechsel, 446, KGS, XI, p. 253: “3rd That I have represented a long time ago, very nearly to that, what recent observations have taught, the production and conservation of the ring of Saturn, according to the mere laws of the centripetal force, which appears now to be so well confirmed, viz: a mist, moving round its centre (which in the same time is that of Saturn), which is composed of particles, not steady, but independently revolving and performing their orbits in times, different according to their distance from the centre; whereby at once the time of Saturn’s revolution on its axis, which I inferred from it, and its flatness, seem to be ratified.”

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Come si evince dal terzo punto della lettera, soltanto con le osservazioni

astronomiche più recenti si era potuta osservare la natura degli anelli di Saturno e il

fatto che anch’essi ruotassero attorno all’asse del pianeta. Ma già nel 1755 Kant

prevedeva la conferma della sua teoria costruita attraverso la considerazione del

rapporto tra forza centrifuga e forza peso, così come elaborato da Huygens in De vi

centrifuga e nell’Horologium oscillatorium (1659).69

Sulla base delle dimostrazioni

matematiche e delle osservazioni astronomiche, Kant affermò già nel 1755:

[…] Non vorrei illudermi, ma l’astronomia, che specie per quanto riguarda i suoi mezzi d’osservazione va perfezionandosi continuamente, un giorno sarà forse in grado di rilevare, con l’aiuto di quegli stessi strumenti, questa proprietà tanto singolare di Saturno.[…] Prendendo spunto dal modo di prodursi dell’anello di Saturno, abbiamo osato determinare il suo tempo di rotazione servendoci solo del calcolo, non potendo usufruire a questo scopo del cannocchiale. Permettendoci ora di appoggiare questa predizione fisica con un’altra riguardante lo stesso pianeta, la quale deve attendere la conferma della sua correttezza dal futuro perfezionamento degli strumenti.70

La riflessione più rilevante, però, è quella che riguarda la conferma per via

sperimentale della formazione degli anelli da cui Kant trae le più importanti conclusioni

nel punto 4:

In quarto luogo, che questo accordo della teoria della produzione dell’anello da una materia vaporosa, che si muove secondo le leggi della forza centripeta, è un punto a favore della teoria della produzione dei grandi globi secondo le stesse leggi, eccetto che la loro proprietà di rotazione è originariamente prodotta dalla caduta di questa sostanza dispersa dalla gravità generale. La materia primordiale, vaporizzata e sparsa in tutto l’universo, che conteneva tutti i materiali di una varietà innumerevole in uno stato elastico, formando i globi, ha prodotto effetti solo in questo modo: che i materiali di una certa affinità chimica, se nella loro traiettoria si aggregano secondo la legge di gravitazione, distrussero vicendevolmente la loro elasticità, produssero da ciò i corpi e in essi quel calore, appartenente ai globi più grandi (i soli) esternamente, con le proprietà illuminanti, in quelli più piccoli (i pianeti), con il calore interno.71

Queste considerazioni rappresentano lo sbocco naturale che già dagli anni ’80 si

poteva intravedere nello scritto Über die Vulkane im Monde e poi nel 1790 con la

69 Cfr. infra, Capitolo II, §2.5. 70 TH, pp. 117-118. 71 Briefwechsel, 446, KGS, XI, p. 253: “4th That this agreement of the theory of the production of yon ring from a vaporous matter, moving after the laws of the centripetal force, is somewhat favourable to the theory of the production of the great globes themselves according to the same laws, except that their property of rotation is originally produced by the fall of this dispersed substance by the general gravity. Yon prime matter, vaporously dispersed through the universe, which contained all stuffs of an innumerable variety in an elastic state, forming the globes, effected it only in this manner, that the matters of any chemical affinity, if in their course, they met together according to the laws of gravitation, destroyed mutually their elasticity, produced by it bodies and in them that heat, joined in the larger globes, (the suns) externally with the illuminated property, in the smaller ones (the planets) with the interior heat”.

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Critica della facoltà di giudizio, quando Kant mostrava l’esigenza di trovare un

principio di affinità nella natura.

In riferimento a ciò, si può prendere in esame lo scritto del 1794 Etwas über den

Einfluß des Mondes auf die Witterung.

In generale si nota come vi sia un duplice approccio da parte di Kant alla scienza

della natura: da un lato si ha un approccio fondativo nella prima Critica e nei Principi

metafisici della scienza della natura, dall’altro si ha un approccio applicativo, immerso

nella scienza naturale sperimentale, come si evince dagli scritti minori e dall’Opus

postumum.

Già nella produzione precritica, Kant aveva mostrato questa duplicità di intenti,

nel voler trattare questioni squisitamente metafisiche e nell’affrontare sulla base degli

studi e degli esperimenti più recenti la composizione della materia e la natura delle

sostanze. Di fatto sembra essere stata una costante del suo pensiero la preoccupazione di

integrare i più alti principi logici e metafisici con l’empirico in senso stretto, con

l’esperienza e le osservazioni direttamente ricavate da essa. Tuttavia, come ribadito nel

Capitolo II e come si vedrà specificamente nel prossimo paragrafo, il fine della ragione

di unificare questi due regni per fondare la scienza della natura in tutti i suoi rami non

può essere raggiunto per Kant senza lo strumento della matematica.

Procedendo per gradi, occorre prendere in considerazione in prima battuta

l’appendice pubblicata nel 1791 e poi lo scritto del 1794 così da entrare nel vivo delle

pagine dell’Opus postumum.

Nell’Appendice del 1791 si trova la ripresa delle tesi contenute in Allgemeine

Naturgeschichte und Theorie des Himmels. Kant sceglie di ripubblicare dopo trentasei

anni la Parte II del testo del 1755 e il capitolo V sull’origine dell’anello di Saturno. Il

ruolo primario dell’attrazione, il fatto che i sistemi solari siano omogenei, cioè, siano

regolati dalle stesse leggi fisiche e che le stelle possono avere un movimento rotatorio

attorno a un centro medio comune o possono averne di più,72 sono solo alcuni punti che

Kant conferma. Anche l’ipotesi sulla genesi del movimento dei pianeti, l’importanza del

fattore densità per la definizione della struttura dell’universo73 e la teoria sulle forze di

attrazione e repulsione che permeano intimamente la materia,74

72 W. Herschel, Über den Bau des Himmels. Drei Abhandlungen aus dem Englischen übersetzt von Michael Sommer. Nebst einem authentischen Auszug aus Kants allgemeiner Naturgeschichte und Theorie des Himmels, a cura di J. F. Gensichen, Königsberg 1791 (Anhang), p. 165.

costituiscono elementi

di continuità con la produzione precedente.

73 Anhang, p. 181. 74 Anhang, p. 171.

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Uno dei due aspetti di novità da prendere in considerazione riguarda l’effetto

dell’attrazione chimica:

Wenn demnach ein Punkt in einem sehr großen Raum befindlich ist, wo die Anziehung der daselbst befindlichen Elemente stärker, als in allen andern Orten um sich wirkt; so wird der in dem ganzen Umfange ausgebreitete Grundstoff elementarischer Partikeln sich zu diesem hinsenken. Die erste Wirkung dieser allgemeinen Senkung ist die Bildung eines Körpers in diesem Mittelpunkte der Attraktion, welcher so zu sagen von einem unendlich kleinen Keime anfänglich langsam (durch die chemische Anziehung), darauf aber in schnellen Graden (durch die so genannte Newtonische) fort wachset, aber in eben dem Verhältnis, als diese Masse sich vermehrt, auch mit stärkerer Kraft die umgebenden Teilen zu seiner Vereinigung bewegt.75

Il secondo aspetto di novità da osservare concerne l’ipotesi sulla formazione

degli anelli di Saturno, come chiarisce una nota:

In der Theorie des Himmels selbst nimmt der Hr. Verfasser an, Saturn habe ehemals mit

einer der kosmetischen ähnlichen Bewegung etliche Umläufe mit größeren Exzentrizität zurückgelegt, und durch die Hisse, welche sich ihm in seiner Sonnennahe einverleibt, sei der leichte Stoff von seiner Oberflache erhoben worden, oder er habe eine kosmetische Atmosphäre um sich ausgebreitet. – In der Folge aber ist er auf die sich noch mehr empfehlende Vorstellung gekommen, dass durch die Vermischung der Materien, die bei der Bildung der Planeten vorgegangen ist, eine Warme in ihrem Innern erzeugt worden sei, und diese habe beim Saturn die angezeigte Wirkung gehabt.76

Come anticipato, Gensichen aggiunge delle note di chiusura in cui

sostanzialmente riprende le osservazioni che Kant aveva scritto nell’aprile del 1791 e a

cui aggiunge la seguente riflessione:

Die höchst wahrscheinliche Richtigkeit der Theorie der Erzeugung dieses Ringes aus dunstförmigem Stoffe, der sich nach Zentralengesetzen bewegte, wirkt zugleich ein sehr verteiltes Licht auf die Theorie von der Entstehung der großen Weltkörper selbst, nach eben denselben Gesetzen, nur dass ihre Wurstkraft durch den von der allgemeinen Schwere verursachten fall des zerstreuten Grundstoffs, nicht durch die Achsendrehung des Zentralkörpers, erzeugt worden; vornehmlich, wenn man (ich bediene mich hier eigener Worte des H. Prof. Kant) die durch H. Hofr. Lichtengergs wichtigsten Beifall gewürdigte spätere, als Supplement zur Theorie des Himmelshinzugekommene Meinung damit verbindet: dass nämlich jener dunstförmig im Weltraum verbreitete Urstoff, der alle Materien von unendlich verschiedener Art im elastischen Zustande in sich enthielt, indem er die Weltkörper bildete, es nur dadurch tat, dass die Materien , welche von chemischen Affinität waren, wenn sie in ihrem Fall nach Gravitationsgesetzen auf einander trafen, wechselseitig ihre Elastizität vernichteten, dadurch aber dichte Massen, und in diesen diejenige Hitze hervorbrachten, welche in den größten Weltkörpern (den Sonnen) äußerlich mit der leuchtenden Eigenschaft, an den kleinern aber (den Planeten) mit inwendiger warme verbunden ist.77

75 Anhang, p. 173. 76 Anhang, pp. 189-190. 77 Anhang, pp. 203-204.

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Gensichen illustra qui il peso degli studi di Lichtenberg per la teoria kantiana

della materia e per l’affermazione dell’esistenza di un materiale elastico originario,

universalmente diffuso. Ma dell’influenza di Lichtenberg c’è ancora un’altra traccia.

Nel 1794 Kant scrive Über den Einfluss des Mondes auf die Witterung,

prendendo spunto proprio dagli studi contemporanei e dalle considerazioni di

Lichtenberg.

Proprio in apertura Kant dichiara di voler discutere la celebre affermazione di

Lichtenberg secondo cui “la luna non dovrebbe avere un influsso sulle condizioni

climatiche; eppure ne ha uno”.78

Kant costruisce questo saggio sotto forma di antinomia in cui si mettono a

confronto la tesi secondo cui la luna non dovrebbe avere influsso (A) e quella secondo

cui la luna di fatto avrebbe di fatto un influsso sulle condizioni climatiche (B). Per

comprendere i termini della questione si propone il seguente schema:

(A) La luna non dovrebbe

influire

(B) La luna influisce

1- Sulla superficie terrestre

attraverso la luce che riflette.

1- Sul vento

2- Sul peso dell’atmosfera

attraverso la sua forza attrattiva

(troppo piccola perché sia

rilevata dal barometro).

2- Sul clima

Questa antinomia da vita ad un conflitto apparentemente irrisolvibile:

Hier ist nun zwischen der Theorie, die dem Monde ein Vermögen abspricht, und der Erfahrung, die es ihm zuspricht, ein Widerstreit.79

La soluzione dell’antinomia gioca sui concetti di influenza diretta e indiretta che

la luna esercita sulle condizioni atmosferiche:

78 I. Kant, Über den Einfluss des Mondes auf die Witterung, KGS VIII, p. 317. 79 Über den Einfluss des Mondes auf die Witterung, KGS VIII, p. 321.

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A TESI B ANTITESI

L’attrazione della luna con la sua

forza motrice, attraverso cui può

avere un’influenza sull’atmosfera

e sulle condizioni climatiche,

agisce direttamente sull’aria

secondo leggi statiche, in quanto

l’aria è un fluido ponderabile. Ma

in tal caso la luna non da vita ad

una sostanziale alterazione della

posizione del barometro.

Per avere un effetto reale

sull’atmosfera, deve essere

presupposta allora la presenza

di una materia imponderabile (o

di sostanze materiali). Questa

materia si estende di molto oltre

l’altezza dell’aria ponderabile,

ricopre l’atmosfera ed è mossa

dall’attrazione lunare. La

materia imponderabile, sia

mescolata che separata dall’aria,

è capace grazie ad un’affinità

chimica con essa sia di

aumentare che diminuire la sua

elasticità e così mediatamente di

alterare il peso dell’aria

determinando il deflusso o

l’afflusso delle colonne di aria.

Si vede così che la luna

influisce indirettamente sulle

condizioni atmosferiche,

secondo leggi chimiche.80

Così facendo, tra la tesi, la luna non esercita un’influenza diretta sulle condizioni

atmosferiche, e l’antitesi, la luna ha un’influenza indiretta su di esse, non c’è alcuna

contraddizione. Il breve testo si chiude con una critica a De Luc81

80 Kant propone anche di considerare l’etere come materia incoercibile, che non può, cioè, mescolarsi o essere racchiusa da altre sostanze, se non da quelle con cui si trova in affinità chimica.

e con la prospettiva

81 Jean-André De luc (1727-1817) ha compiuto studi nel campo della geologia e della meteorologia. In particolare si interessò alle proprietà dell’atmosfera e alla misurazione delle altitudini. Secondo il parere di Georges Cuvier, De Luc fu uno tra i primi e capaci geologi dell’epoca. La sua opera principale di geologia, Lettres physiques et morales sur les montagnes et sur l'histoire de la terre et de l'homme, fu pubblicata nel 1778. In questa, De Luc tratta la conformazione delle montagne e l’ancestrale origine della razza umana attraverso il racconto biblico della creazione cui corrisponderebbero sei epoche precedenti lo stato attuale della terra e attribuì il diluvio al riempimento delle cavità supposte di essere state lasciate vuote all’interno della terra. Pubblicò poi serie di volumi, tradotti anche in inglese, sui viaggi geologici in

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aperta di studi futuri che spieghino più nel dettaglio l’influenza della luna sull’atmosfera

e i vantaggi che la meteorologia può trarre dalla chimica applicata.

4.4 Principi matematici della scienza della natura nell’Opus postumum

Alla luce dell’analisi sviluppata nei precedenti paragrafi, è evidente che Kant

ponesse particolare attenzione agli studi sulla fluidità e l’elasticità, i quali, grazie a

Lavoisier e a Laplace, stavano avanzando nella loro matematizzazione.

A questo punto della ricerca si vuole mettere in luce come la matematica

nell’Opus postumum giochi un ruolo decisivo per la costituzione della fisica come

scienza. Per raggiungere questo obiettivo è necessario prendere in considerazione

l’evoluzione della concezione della matematica nei manoscritti.

Che la matematica per Kant ricoprisse un ruolo privilegiato per la scienza della

natura, è storicamente in linea con il tentativo di fondare la fisica grazie al connubio di

matematica e metafisica.

Il problema epistemologico centrale a cui ci si trova di fronte nel Passaggio dai

principi metafisici della scienza della natura alla fisica riguarda la possibilità di

connettere principi a priori e principi empirici. Nel titolo stesso dell’opera, dunque,

risiede l’enunciazione del problema teoretico di fondo per la cui soluzione è richiesto un

particolare approccio, quello del passaggio, della connessione tra a priori ed empirico

Europa settentrionale (1810), in Inghilterra (1811), e in Francia, Svizzera e Germania (1813). Gli esperimenti di De Luc riguardarono la meteorologia e furono molto apprezzati dai naturalisti, poiché scoprì numerosi fatti importanti che legavano il calore e l’umidità. Notò, infatti, la scomparsa di calore nello scioglimento del ghiaccio nello stesso periodo in cui Joseph Black fondò su questo fenomeno la sua ipotesi sul calore latente. De Luc accertò che l’acqua era più densa a 40º F, più che alla temperatura di congelamento, espandendosi omogeneamente per ogni lato del maximum; inoltre fu l’ideatore della teoria che poi fu aggiornata e rivista da John Dalton, secondo cui la quantità di vapore acque contenuta in ogni spazio è indipendente dalla presenza o dalla densità dell’aria o di qualsiasi altro fluido elastico. Le sue Recherches sur les modifications de l'atmosphere (1772 ;1784) contengono esperimenti accurati sull’umidità, l’evaporazione e le indicazioni dell’igrometri e dei termometri applicati al barometro impiegato per determinare l’altitudine. In Philosophical Transactions del 1773, comparve la nuova struttura del suo igrometro, che sembrava un termometro a mercurio, con un bulbo d’avorio che si espandeva con l’aumentare dell’umidità e causava la diminuzione del mercurio. Tra le altre opere si ricordi Lettres sur l'histoire physique de la terre (1798), indirizzata a Johann Friedrich Blumenbach, e che contiene alcuni passaggi sulle sue conversazioni con Voltaire e Rousseau. Da un punto di vista teorico De Luc era un ardente ammiratore di Bacone, su cui pubblicò due opera, Bacon tel quil est (1800) e Précis de la philosophie de Bacon (1802), in cui fornisce una lettura affascinante del progresso della scienza della natura. Nelle Lettres sur le Christianisme (1803), invece emerge con forza la controversia con il Dottor Teller di Berlino circa la cosmogonia Mosaica, che De Luc difese anche nel Traté elementaire de geologie (1809), per confutare James Hutton e John Playfair, i quali giustamente sostenevano che la geologia era influenzata dall’operazione del calore interno alla terra e all’erosione. Proprio su quest’ultimo punto anche Kant è in netto disaccordo con De Luc. Nell’Opus postumum si trovano riferimenti diretti in KGS XXI, pp. 70; 85;195-197; 299; 338; 501; KGS XXII, pp. 224;418; 427-428.

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che si configura come tendenza, come trasformazione e divenire da una posizione del

pensiero ad un’altra, mediante concetti:

Aber diese Tendenz im Übergange von der Metaph. zur Physik kann nicht unmittelbar und durch einen Sprung geschehen denn die Begriffe welche von dem System einer gewissen Art zu einem anderen herüber führen müssen einerseits Prinzipien a priori anderenteils aber auch empirische bei sich führen welche weil sie komparative Allgemeinheit enthalten auch gleich den allgemeinen zum System der Physik benutzt werden können. — Es ist also zwischen den Metaphys. Anfangs. Gr. d. N. W. u. der Physik noch eine Lücke auszufüllen deren Ausfüllung ein Übergang von der einen zur anderen genannt wird.82

Da questo passo si evince che Kant ha confermato, ancora in epoca tarda, quanto

sostenuto nella seconda introduzione alla Critica della ragione pura, che porta con sé il

segno lasciato dai Principi metafisici della scienza della natura. Quando Kant, infatti,

afferma, nella Prefazione alla seconda edizione della prima Critica, che l’esperienza

non conferisce mai ai suoi giudizi vera e rigorosa “universalità”, ma solo presunta o

comparativa (mediante induzione), si riferisce ai giudizi che caratterizzano la

conoscenza della natura,83

Se un giudizio è pensato in forma rigorosamente universale, cioè in modo che

non sia ammessa la possibilità di nessuna eccezione, allora esso non è ricavato

dall’esperienza, ma valido assolutamente a priori.

in particolare quelli della scienza sperimentale.

L’universalità empirica è, dunque, un’elevazione arbitraria di validità, da quella

che vale nella maggior parte dei casi a quella che vale in tutti.

Quello che Kant propone nel Passaggio è un metodo per far assurgere

l’universalità empirica a universalità a priori: la matematica, in quanto strumento della

ragione, può dare universalità e necessità nell’ambito della scienza della natura ai

giudizi la cui universalità è comparativa. Come analizzato nel §5.1, questa posizione

kantiana era in linea con gli studi della termologia e con la visione della scienza di

Lavoisier.

Si tratta ora di vedere, sulla scorta delle considerazioni avanzate nella Critica

della facoltà di giudizio, come si delinea il rapporto tra metafisica e fisica, attraverso lo

strumento della matematica nell’ultima fase della produzione kantiana.84

82 Opus postumum, KGS XXI, p. 482.

Il problema

83 Tanto che si deve dire, propriamente, secondo Kant, che “per quanto noi abbiamo fin qui percepito, non si trova eccezione a questa o a quella regola”. 84 Cfr. Opus postumum, KGS XXI, p. 123: “Alles unser Erkenntnis ist entweder empirisch oder Erkenntnis a priori (Sinnen, oder Vernunfterkenntnis). Das letztere ist entweder systematisch (wissenschaftlich szientifisch.) — Das Vernunft (nicht bloß wissenschaftliche//) Erkenntnis als Wissenschaft ist entweder Philosophie oder Mathematik. Die Philosophie hat aber noch einen Größeren Umfang der Wissenschaft a priori denn man kann auch über die Mathematik philosophieren wenn sie

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dell’unificazione tra empirico e a priori viene sollevato con chiarezza nella terza

Critica:

Solo che ci sono così molteplici forme della natura, per così dire così tante modificazioni dei concetti trascendentali universali della natura, le quali sono lasciate indeterminate da quelle leggi che l’intelletto puro dà a priori […] che perciò debbono esserci anche leggi che, in quanto empiriche, possono, sì, essere considerate contingenti secondo il modo di intendere del nostro intelletto, e che però, se le si debbono chiamare leggi […] debbono essere considerate necessarie a partire da un principio, sebbene a noi sconosciuto, dell’unità del molteplice.85

Nelle pagine manoscritte del Passaggio dai principi metafisici della scienza

della natura alla fisica si legge:

La filosofia trascendentale è la dottrina a priori in cui matematica e filosofia sono

dipendenti completamente in rapporto reciproco di fondamento e conseguenza secondo un principio della conoscenza.86

La concezione kantiana della matematica come strumento della ragione per il

raggiungimento dell’applicazione della metafisica alla fisica è nota, in quanto non si

discosta di molto da quanto sostenuto nei Principi metafisici della scienza della natura

e nella Critica della ragione pura. Tuttavia, c’è uno scarto rispetto alla fase critica del

rapporto tra filosofia e matematica. La matematica si rende essa stessa filosofia se

conferisce certezza apodittica alle conoscenze della fisica, ovvero se la costituisce come

scienza.

È opportuno indagare, dunque, perché proprio la matematica sia in grado di

compiere il passaggio dai giudizi dotati di universalità empirica a quelli dotati di

universalità a priori. In primo luogo, la matematica, in quanto può trattare lo spazio e il

tempo come intuizioni formali, cioè li rappresenta come oggetto, è lo strumento di cui la

filosofia deve servirsi per costituire l’oggetto della fisica, la materia (corporea e non il

suo concetto in generale), dunque per rendere percepibile lo spazio. Quest’ultimo, se si

tiene presente quanto sostenuto nel Capitolo I, non è altro che l’oggetto in generale

secondo quantità, cioè forma senza contenuto, d’altra parte, esso è anche determinabile

bloß als Mittel (Instrument) zu einer anderen Absicht nämlich zur Philosophie gebraucht wird und ihr in so fern untergeordnet wird u. ist Handwerk indem sie auf Raumes und Zeitanschauung beschrankt ist wodurch der Philosoph nicht beschränkt wird.” 85 KdU, KGS V, p. 179. 86 Opus postumum, KGS XXI, p. 133. La matematica è conseguenza dell’appercezione trascendentale, ma è anche la prova dell’appercezione empirica. Sul reciproco rapporto fondativo di matematica e filosofia, cfr. G. Banham, Kant’s Transcendental Imagination, London-New York, Palgrave Macmillan, 2006.

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attraverso i concetti di riflessione – appartenenti alla metafisica – e dalla sintesi della

Zusammenstellung. Se si esamina il passo seguente, si rende perspicuo l’intento di Kant:

Es giebt eine Philosophie (und diese ist die Metaphysik) welche die Mathematik bloß

als Instrument braucht um die e m p i r i s c h e Sinnenvorstellungen (nach) einem Prinzip a priori (also nicht wiederum selbst empirisch) unter zu ordnen und welche den Schematismus der Reflexionsbegriffe zuerst in einem System darzustellen die reine Anschauungen (der Form nach) klassifiziert und zwar a priori.87

Come secondo aspetto nella determinazione dell’oggetto in generale, lo spazio,

(così come il tempo) deve contenere un Etwas, un qualcosa, ma in primo luogo, in

quanto esso stesso si rende oggetto determinabile per l’intuizione, mentre il tempo per

la sensazione. Così Kant arriva formulare il connubio tra filosofia e matematica per la

fondazione della fisica come scienza:

Die Prinzipien der Natur//Wissensch. machen also eine szientifische Wissenschaft als System welches 1. philosophisch ist aus Begriffen a priori 2 durch Mathematik als Instrument der Sinnenvorstellung als reine Anschauung gegeben ist. Der Raum selbst muss zuerst als äußerer und die Zeit als innerer Gegenstand der Sinne (jener für die Anschauung diese für die Empfindung) gegeben sein und Gemeinschaft der Substanzen hat erstlich mathematische Verhältnisse der Bewegung durch äußere Raumesverhältnisse welche mechanisch dann aber auch dynamisch der Qualität nach welche zur Physik eine Tendenz haben. S t o f f e als besondere bewegende Kräfte der Materie. Jene sind Anziehung u. Abstoßung.88

Ora, per costruire un sistema delle forze motrici della materia, non occorre

solamente la determinazione delle relazioni interne del loro concetto, cioè del concetto

di movimento, che ha un corrispettivo empirico, ma delle relazioni interne ed esterne da

loro prodotte. Kant afferma la possibilità che le forze producano effetti interni ed

esterni, che la matematica può esibire, in quanto rappresenta come oggetto lo spazio e il

tempo:

Die Stellen für die bewegende Kräfte im Raum äußerlich und die Grade ihrer Wirkung

in der Zeit innerlich enthalten die Prinzipien a priori zu Einem System derselben und der Übergang der nicht mehr eine Metaphysik aber auch noch nicht Physik enthält den Verhältnisbegriff der quantitativen und qualitativen Einheit eines Systems in der Reziprozität (Wechselseitigkeit) ihrer Bestimmungen. Der Raum ist in der allgemeinen Anziehung zugleich bestimmend und bestimmt.89

87 Opus postumum, KGS XXII, p. 490. 88 Opus postumum, KGS XXII, p. 531. 89 Opus postumum, KGS XXII, pp. 532-33

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Si comprende così sia l’importanza della natura flessibile dello spazio, su cui si è

incentrata parte della presente ricerca, sia l’attenzione posta da Kant allo sviluppo della

riflessione sull’algebra negli anni ‘90.

Il passo seguente, d’altra parte, si presta molto bene a chiarire la funzione della

sintesi soggettiva della composizione (Zusammenstellung) dello spazio e del tempo per

l’applicazione della matematica alla fisica: Was e r s t l i c h die Verhältnisse der bewegenden Kräfte (im Raume) betrifft so

bediente sich Newton des Begriffs der A t t r a k t i o n aller Weltkörper im unendlichen Raume und deren Bewegungen durch jene Kräfte in der Zeit. Zweitens der R e p u l s i o n aller Teile der Materie die sich nach eben demselben Gesetz im Weltraum durchs Licht und dessen Bewegungsgesetze in Farben (imponderabel, incoërcibel, incohäsibel, inexhaustibel) wobei durchgängig Mathematik ist: dann aber auch der Flüssigkeit und Festigkeit. Wir haben es nicht mit Materien sondern der Materie ebenso wenig mit Erfahrungen sondern der Erfahrung zu tun. Die Körper aber als sich selbst durch innere Kräfte der Materie beschränkende Teile der Materie sind eine Menge. Auch nicht mit Räumen u. Zeiten sondern dem Raum u. der Zeit zu tun und nicht Teilen des Raumes und der Zeit sondern Stellen (positus) im Raum u. der Zeit. Gestalten und Reihen die immer fortschreitend sind subjektiv in der Zeitbestimmung.90

In secondo luogo, la matematica è presentata come scienza autonoma dalla

filosofia e allo stesso tempo passibile di un uso in vista di un fine (Zweck): la fisica

come scienza. I principi metafisici, infatti, per essere orientati alla fondazione della

fisica e per essere connessi ad essa, non possono non servirsi della matematica. Per

questa ragione la matematica si fa strumento per eccellenza della ragione:

Perciò la matematica è il più potente strumento per la fisica e per tutte le conoscenze

(per il modo sensibile di conoscere) coinvolte, ma pur sempre solo strumento in vista di un altro intento […]. E’ filosofia la matematica come strumento da usarsi nella scienza per la fisica, ma la matematica non è essa stessa un principio della filosofia e non contiene i suoi concetti.91

Ma la matematica è autonoma dalla filosofia, tanto che i Mathematische

Anfangsgründe der Naturwissenschaft sono ciò che permette la determinabilità delle tre

dimensioni dello spazio e di quella del tempo:

Die Quantität der Materie kann nur die Anziehung (Gravitation) in eben derselben

Weite von dem ziehenden Weltkörper (durch Wägen) und dem umgekehrten Verhältnis des Quadrats der Entfernung gemessen werden und die Kräfte haben ihre Stellen die a priori für einen Körper bestimmbar sind ohne dass dieser d a r i n gegenwärtig ist. Das gehört zu den m a t h e m . Anf. Gr. der NW. durch welche der Raum nach seinen drei Dimensionen und die Zeit für Eine (der Empfindung als Grad der Wahrnehmung) bestimmbar ist von einer Größe = 0 ins Unendliche wachsen oder abnehmen oder durch a - a verschwinden kann.92

90 Opus postumum, KGS XXII, p. 517.

91 Opus postumum, KGS XXII, p. 490. 92 Opus postumum, KGS XXII, pp. 533-4.

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La natura del rapporto tra filosofia e matematica può essere specificato,

servendosi del confronto con la fisica di Newton. E’ dal confronto con quest’ultimo che

Kant integra la fisica nel quadro della sua teoria della conoscenza, e poi delinea il piano

metodologico di confronto con Newton.

La scienza del Passaggio, cioè della composizione delle forze motrici della

materia è lo schematismo della composizione delle forze motrici in quanto costituiscono

un sistema rispondente alla forma della classificazione a priori e dunque l’architettonica

dell’indagine naturale.

Spetta ai principi a priori della possibilità dell’esperienza, all’indagine naturale,

cioè al principio soggettivo dello schematismo della facoltà di giudizio (secondo il

principio della conformità della natura a scopi), classificare in generale le forze motrici

empiricamente date e passare alla fisica come sistema della varietà degli effetti di forze.

Tale composto non può mai come tale essere conosciuto mediante la mera intuizione,

ma solo mediante il comporre con coscienza dell’unità di questa connessione. Questo

comporre, pertanto, precede quello ed è pensabile a priori; col che il concetto prodotto

si qualifica come schematismo dei concetti, cioè del composto in generale.

Tradotto in termini fisici ciò significa che nel considerare un corpo A, che si

muove su una traiettoria B, si inserisce un concetto intermedio, quello di forza. Così non

si considera il fenomeno secondo le semplici leggi della cinematica, ma lo si inquadra in

una configurazione complessa o costellazione di corpi C, D, ecc…i quali possono

gravitare, essere carichi elettricamente o magnetizzati.93

Quello che viene composto è

proprio la costellazione dei corpi, ma indirettamente, attraverso la composizione delle

forze motrici della materia. Questo assunto era presente anche nel 1786, laddove Kant

ha distinto la Foronomia dalla Meccanica.

***

Secondo il seguente schema può essere visualizzato il progetto del Passaggio

dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica:

93 Cfr. M. Jammer, Concepts of Force, New York, 1957; II edizione 1999, p. 244.

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Le forze motrici primitive della materia per Kant sono quelle di attrazione e

repulsione, mentre le forze meccaniche sono derivative: la prima forza motrice è quella

dell’attrazione esterna, in quanto essa non è limitata da repulsione, ovvero la

gravitazione; la seconda è quella della repulsione interna, in quanto essa è limitata

dall’attrazione.

Entrambe formano corpi, i quali determinano da sé il loro spazio secondo

quantità e qualità.94

In tal senso si ha una determinazione come limitazione reciproca delle forze di

attrazione e repulsione, la cui origine storicamente può essere fatta risalire a Keplero e il

cui sviluppo formale fu compiuto da Newton con la terza legge del moto.

Questa limitazione dialettica assume la forma dell’opposizione, di una dicotomia

intrinseca alla materia, dunque di un’opposizione non semplicemente logica, bensì

reale.

Vi è poi la distinzione fondamentale tra la trattazione dinamica e quella

meccanica delle forze, che ne svela la natura molteplice:

Wenn Anziehung eines Körpers außerhalb dem kein anderer Körper als existierend

gedacht wird doch bewegende Kräfte in Verschiedenen Entfernungen in dem Raum gesetzt werden so würden diese wiederum in aktiven Verhältnisse im leeren Raum gegen einander stehend vorgestellt werden und der Raum selber eine bewegende Kraft seiner Teile gegen einander enthalten müssen. Es ist also nicht eine Vorstellung der Räume als Sachen (dieser Anziehung) sondern ein bloßer Verhältnisbegriff möglicher Anziehungen der Körper — — nicht durch Zentrifugal u. Zentripetal Kraft sondern durch Anziehung und Abstoßung bewegend zu sein S t o f f e sind radikal oder direkt bewegende Kräfte der Materie in welchen die Basis d.i. der Vereinigungspunkt dieser Kräfte angetroffen wird. Der Stoff (materia ex qua). Verschiedene E l e m e n t e der Materie sind Stoffe nicht verschiedene M o m e n t e der Bewegung der ersteren.95

94 Opus postumum, trad. it. A cura di V. Mathieu, pp. 114-5.

95 Opus postumum, KGS XXII, pp. 533-34.

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Ma vediamo più nel dettaglio in che senso le forze derivative svelano quelle

primitive. Kant fornisce alcuni esempi di ciò:

Alla ponderabilità meccanica della materia si richiede che essa sia dinamicamente

imponderabile, perché senza questa forza motrice interna (non locomotiva) anche il pesare sarebbe impensabile. Del pari, perché la materia con la sua forza motrice sia coercibile è necessaria una materia incoercibile e cioè dinamicamente: la materia del calore. Originariamente fluida è la materia che rende fluide tutte le altre, permeandole: pertanto essa è incoercibile. 2) della forza motrice della materia mediante la coercibilità del calorico, in quanto forza agente meccanicamente o dinamicamente. L’una è il fenomeno dell’altra, o il mezzo per la esibizione dell’altra. I principi oggettivi delle leggi per le forze motrici della materia sono quelli che vengono dati a priori dalla divisione razionale di tutti questi rapporti attivi possibili, secondo il formale. I principi soggettivi sono quelli della meccanica, secondo i quali poniamo in moto (action) queste forze, e sono di origine empirica, e pertanto a propri della fisica. I primi sono propri del passaggio dai principi metafisici alla fisica.96

Qui Kant sta parlando della possibilità di calcolare la forza peso (mg)

meccanicamente come una grandezza scalare, ma perché ciò sia possibile, la forza peso

deve essere prodotta dall’azione di una forza interna, la quale non è soggetta alla forza

peso stessa, la gravità.

Si comprende, dunque, in che senso il sistema delle forze motrici della materia

arrivi a determinare le proprietà fondamentali della materia: tali proprietà non sono

conoscibili direttamente, ma esprimono il punto di contatto (Vereinigungspunkt) delle

relazioni tra le forze primitive e quelle derivative.

Kant voleva, dunque, costituire una scienza, quella del Passaggio, che avrebbe

unificato in un unico sistema, capace di fondare la fisica, “la via all’in su” (dal

particolare al generale) e quella “all’in giù” (dall’universale al particolare), per usare le

espressioni di P. Kitcher.

Al pari delle cause efficienti, anche le cause finali sono inserite nel sistema delle

forze motrici della materia, e il Passaggio deve mostrare se e come ciò avvenga,

secondo il principio di conformità a scopi della natura.97

L’idea di ragione verso cui è diretto il processo di ordinamento delle leggi

empiriche è quella di tendenza (Tendenz) della natura ad organizzarsi sulla base di un

96 Opus postumum, trad. it, p. 115. 97 Cfr. Opus postumum, trad. it., a cura di V. Mathieu, p. 120: “La divisione delle forze motrici della materia, in quanto questa ha la tendenza a formare corpi organici ed inorganici, appartiene, dunque anche alla forma del loro collegamento in un sistema, ma è soltanto un principio dell’indagine naturale , il quale precede a priori l’empirico, come idea che, nel passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, non può mancare nella divisione completa, sebbene essa sia semplicemente problematica e non costituisca alcuna attestazione, secondo proposizioni d’esperienza della esistenza o non esistenza di tali corpi o forze”.

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principio di affinità di tutta la materia per analogia con l’assunzione di un intelletto

indipendente dalla materia, che sia architettonico rispetto a tali forme. Questa

limitazione reciproca originaria è esplicitata nel sistema delle idee trascendentali dal

1801 con le idee di Mondo e di Dio.98

Ma ciò che attrae più attenzione è come Kant configuri la possibilità di un via

all’empirico a parte priori, grazie alla matematica. Prendiamo il caso della forza

primitiva dell’attrazione che fonda la gravitazione.

99

Quest’ultima, che concettualmente

è una forza centrale, viene espressa secondo la formula:

Ora, essa determina non solo un moto circolare, ma indica anche una certa

determinazione dello spazio e del tempo come intuizioni formali.

E’ solo grazie alla matematica che concetti metafisici, come quelli di attrazione,

repulsione o di forza centrale possono essere inverati in un Sistema del Mondo

(Weltsystem) e, dunque, come in questo caso, è solo grazie alla matematica, che é

possibile l’applicazione della forza centrifuga al moto dei pianeti per calcolarne le

orbite.

Come Kant precisa, l’espressione matematica della gravitazione è soggettiva,

possiede cioè un grado di arbitrarietà come tutta la matematica che procede per

costruzione di concetti:

Aber wie können Kräfte im Raum den die reine Anziehung beherrscht als koexistierend in welchen die Körper gesetzt werden können um Bewegung der Körper zu bewirken angetroffen werden ohne dass Dinge (Substanzen) Stellen in demselben einnehmen und gleichsam sie erwarten Denn die Anziehung wirkt im ganzen Weltraum nach jenem mathematischen Verhältnis in allen Punkten desselben. — Die Abstoßung da sie in der Berührung wirkend sein kann, kann die Kräfte fortpflanzend an verschiedenen Orten fortsetzen wo die Wirkung nicht mehr ist? Das mathematische Prinzip der allgemeinen Attraktion ist eigentlich nicht objektiv sondern nur subjektiv ein Prinzip des Verstandes in Ansehung der bewegenden Kräfte im Raum nicht mechanisch sondern dynamisch den Raum zu bestimmen. — Die mechanische Bestimmung der bewegenden Kräfte durch Zentripetalkräfte u.

98 Cfr. infra, Capitolo V. 99 Cfr. R. Feynman, The Character of Physical Law, London 1965; trad. it, La legge fisica, a cura di L.A. Radicati, Torino 1971. In maniera esemplare Feynman descrive la legge di gravità nel primo capitolo di quest’opera e propone una lettura del terzo principio della dinamica, che viene considerato, al pari della legge di gravitazione universale, una delle due sole cose sulla natura delle forze che Newton disse. Secondo Feynman, Newton caratterizzò il concetto di forza tramite l'enunciazione di un principio generale (il terzo principio della dinamica, appunto) e tramite la formulazione di una legge di forza particolare (quella gravitazionale).

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Zentrifugalkräfte wie sie durch einen Schleuderstein bewirkt wird setzt schon Bewegungen und Erfahrungsobjekt der Kräfte voraus. Die dynamische durch den leeren Raum ist ein Kräftenprinzip der Bewegung der Materie durch Anziehung u. Abstoßung in der Entfernung Körper zu bewegen (gravitatio et sensatio in distans: lux).100

Tuttavia, secondo Kant, proprio perché la matematica è solo strumento della

ragione, il ruolo centrale per la costituzione della fisica come sistema è giocato dalla

filosofia: Wo die Bewegungen vorhergehen müssen wenn bewegende Kräfte statt finden sollen

sind die Prinzipien mathematisch wo aber diese vorhergehen müssen wenn jene statt haben sollen sind die Kräfte für die Physik welche eine Erfahrungswissenschaft ist geeignet. — Beide sind philosophische Wissenschaften die eine direkt auf die Naturwissenschaft unmittelbar bezogen die andere indirekt vermittelst des Gebrauchs den die Mathematik als Instrument von den Begriffen der bewegenden Kräfte machen kann. Wenn aber gleich die Mathematik d i r e k t philosophische Prinzipien der Mathematik aufzustellen hat so wirkt sie doch indirekt durch Aufstellung von Aufgaben welche zur Physik (mithin auch zur Philosophie) und den bewegenden Kräften der Materie hinweisen und die drei berühmte Analogien K e p l e r ' s führten zu einem Machtstreich Newtons Gravitationsanziehung durch eine kühne aber unumgängliche Hypothese für die Physik auszurufen wodurch die Mathematik zum Behuf der Naturwissenschaft mit einem Vermögen bewaffnet wurde a priori der Natur Gesetze vorzuschreiben die sie ohne jenes Organ schlechterdings nicht für die Philosophie hätte benutzen können und doch war dieser Übergang ein Schritt. Man kann zwar nicht durch Mathematik aber doch über sie und die Anknüpfung mit ihr philosophieren. Durch Philosophie also nicht durch Mathematik hat Newton die wichtigste Eroberung gemacht.101

In particolare merita attenzione il paragone che Kant compie tra le leggi di

Keplero e quelle di Newton.102

È solo presupponendo la nozione metafisica di forza centrale, di cui la forza di

gravitazione universale è un esempio, che è possibile l’applicazione e la giustificazione

delle leggi kepleriane.

Kant sostiene che le tre leggi di Keplero, senza quelle

newtoniane, non sarebbero state altro che analogie.

103

Secondo Kant non si può giungere con la matematica ad una conoscenza

filosofica, al contrario, però, occorre postulare in vista dei fenomeni una connessione

causale, quella dell’attrazione e della repulsione della materia, attraverso un concetto

intermedio, quello delle sue forze motrici.

Pertanto, agli occhi di Kant, Newton è colui che ha portato sulla scena una

nuova forza, non dedotta da quella centrifuga e centripeta, ma ha dedotto la gravitazione

100 Opus postumum, KGS XXII, p. 533. 101 Opus postumum, KGS XXII, p. 513. 102 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, pp. 513-4. 103 La prima legge di Keplero può essere collegata alla conservazione del momento della quantità del moto o impulso angolare. La seconda legge implica che sul pianeta venga esercitata una forza centrale, di cui quella gravitazionale è un esempio.

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dalle forze attrattive e repulsive (forze primarie) della materia, la cui fondazione è

filosofica prima che matematica.

Piuttosto la matematica (incarnata nelle tre leggi di Keplero e nei i principi della

forza centrifuga e di quella centripeta) è strumento per l’inverarsi di principi filosofici

sulla costituzione ultima dell’universo.

La visione di Kant, almeno in epoca tarda, implica una metodologia scientifica

che vede l’interazione di filosofia e matematica, dove quest’ultima è organon per la

scoperta di forze primarie della materia e della sua costituzione.

La matematica è una Instrumentalwissenschaft, un mero strumento in vista di

altro, ma è anche saggezza intesa come Weltweisheit attraverso il raffinamento del

talento (Talent) in generale.104

Rispetto agli anni ’80 si nota un avanzamento nel delineare il rapporto tra

matematica e filosofia, se si tiene presente l’enfasi che Kant pose nel 1790 sul ruolo

dell’immaginazione, sull’ampliamento dell’algebra e della sua applicabilità alla

fisica.

105

Kant ritiene che la matematica applicata alla fisica, unita all’affinamento del

talento, conduca ad un miglioramento della tecnica applicata alla vita umana, allo stare

nel mondo, al progettare la costruzione non solo di modelli teorici, ma anche

dell’abitare il mondo.

La concezione dinamica della materia influenza anche il modo di considerare la

matematica applicata alla fisica. Kant, in particolare, è stato in grado di tracciare lo

sviluppo delle macchine. Da un punto di vista tecnico, infatti, la fisica applicata alle

macchine ne svelava la diversa natura e finalità.

Si prenda in considerazione il caso della critica a Kästner e Gehler.106

La loro rappresentazione meccanica della leva celava non solo il rifiuto della

repulsione come fenomeno universale dei corpi,

107

ma anche la negazione che le forze

meccaniche siano fondate su quelle dinamiche dell’etere. Nei manoscritti dell’Opus

postumum si legge:

104 Opus postumum, KGS XX1, p. 120. 105 Tentativo ad esempio che Desaguliers perseguì anche con l’applicazione del calcolo leibniziano alla fisica. 106 Cfr. Gehler, Physikalisches Wörterbuch, Leipzig 1787-1796; ed. a cura di W. Bonsiepen, Stuttgart 1995, vol. II, pp. 565 e segg. In questa sede Gehler ricostruisce la teoria della leva fino agli ultimi sviluppi del XVIII secolo. Riferimenti espliciti a Gehler si trovano anche nell’Opus postumum. Cfr. Opus postumum, KGS XXI, pp. 161;257;303;327;339;381;480; KGS XII, p. 212. Cfr. B. Tuschling, Metaphysische und Transzendentale Dynamik in Kants Opus Postumum, Berlin 1971, pp. 29-30 107 Cfr. Opus postumum, trad. it., a cura di V. Mathieu, p. 180 nota.

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Si abbia ad esempio una sbarra ab, di spessore cd, e si supponga caricato ciascun braccio, in a e in b con lo stesso peso. Codesta leva, per il peso attaccato, o per il suo proprio, si spezzerà nella sezione mediana, se a quei pesi non resiste una sufficiente attrazione della materia nelle direzioni ad e bd. La teoria della leva, per quanto elegantemente il sig. Kästner l’abbia sviluppata, non si può spiegare solo matematicamente, assumendo semplicemente la leva come una linea inflessibile; poiché quest’assunzione è fisicamente impossibile; infatti se il braccio db non resistesse sulla linea (o superficie) grazie a una particolare forza (di attrazione) a quella separazione in cd, o se, in luogo della sbarra ab, di un certo spessore, la leva diviene una semplice linea (sparendo lo spessore della sbarra), invano postulo un’attrazione dei due bracci che resistono alla flessione, poiché a ciò si richiede una forza che agisca dinamicamente; e se la leva si assottigliasse fino alla tenuità di un filo, penderebbe, per il suo stesso peso, dalle due parti, dando luogo a un altro tipo di macchina, e cioè al movimento su un rullo mediante fune e puleggia (trochlea e polyspastus).108

Figura 4.5 Leva disegnata da Kant

Se si rappresentasse la leva come una linea non si darebbe conto della

generazione del momento dato dalla trazione della superficie superiore e della

compressione di quella inferiore.

Nell’esempio di Kant, in sostanza, si ritrova la seguente tesi: non si può dare

ragione del comportamento fisico di equilibrio della leva, se non la si rappresenta con

uno spessore e se non si rappresentano così due forze uguali e opposte che si esercitano

da a verso d e da d verso a e, parimenti, da b verso d e da d verso b.

Al contrario, se si rappresenta una linea cui sono attaccati due pesi e la si

considera in condizione di sforzo normale, allora si ha una condizione di equilibrio in

configurazione deformata: la linea rappresenterebbe un filo che si deforma e genera non

la leva, ma simula il movimento di fune e puleggia su un rullo.

Kant aveva ben presente, dunque, che la rappresentazione matematica dei

fenomeni fisici non è altro che un’astrazione del comportamento fisico dei corpi.

Allo stesso tempo Kant non negava la possibilità di una rappresentazione

matematica dei fenomeni fisici, ma le negava capacità fondativa nella spiegazione del

comportamento dei corpi, rivendicando la supremazia di un approccio dinamico alla

base di quello matematico-meccanico, che noi oggi definiamo statico.

108 Opus postumum, KGS XXI, p. 607. Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 228.

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Queste osservazioni risultano chiare alla luce della riflessione kantiana sulla

tecnologia.

A questo aspetto la letteratura secondaria non ha dedicato spazio, seppure Kant

tenne un atteggiamento particolare nei confronti della tecnologia, rintracciabile non solo

nella terza Critica, ma anche in altri scritti minori, nell’antropologia e nell’Opus

postumum. Per Kant la matematica come strumento della ragione trova

nell’applicazione tecnica una sua realizzazione e la tecnologia, incarnata in macchine

come la leva o la puleggia, non è altro che la realizzazione della rappresentazione fisica

di fenomeni costruiti matematicamente.

4.5 Il problema del concetto metafisico di forza

La concezione dinamica della materia presuppone una costruzione delle forze

motrici di essa, così che per l’applicazione della matematica alla fisica si rende

necessaria una valutazione della forza. Ora, Kant distinse il concetto metafisico di forza

già nel suo primo scritto sulla valutazione delle forze vive (1747), attribuendo al

concetto di forza leibniziano un carattere prettamente metafisico, come causa del

movimento, in quanto vis activa.

Questo carattere metafisico del concetto di forza accompagna tutta la produzione

kantiana, anche quando, nel 1786, Kant sembra avvicinarsi alla visione newtoniana

della forza.

In generale, occorre tenere presente che, non solo, come è ovvio, questo concetto

rappresenta un cardine per la filosofia della natura di Kant, ma anche che questo

rappresenta un nodo problematico di non poco conto.

Tra l’altro, se si prende in esame un manuale come il Physikalisches Wörterbuch

di Gehler, alla voce “Kraft”,109

si trova immediatamente un problema che questa

ricerca vuole discutere: come e perché nella scienza della natura si ricorre al concetto

metafisico di forza? Gehler colse perfettamente il problema, di cui era cosciente lo

stesso Kant:

Noi ci aiutiamo col concetto di forza per definire il movimento e il mutamento in certi fenomeni, sebbene la sua natura resti per noi un segreto non svelabile (unerforschliches Geheimnis).110

109 Gehler (1787-1796), vol. II, pp. 796 e segg. 110 Gehler (1787-1796), vol. II, p. 797.

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A questo atteggiamento di Gehler, che riconosceva il problema, ma non offriva

una soluzione o una spiegazione, si contrappone l’approccio di Kant.

Kant pensava che il concetto di forza fosse problematico e che esso fosse un

concetto metafisico. Non vedeva, però, un che di negativo nell’uso di tale concetto nella

fisica. Anzi, lo reputava il concetto per eccellenza sulla base del quale costruire il

Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica.

Se si mettono a confronto le definizioni e le partizioni delle forze, che ha dato

Gehler, con quelle di Kant, presenti nel sistema elementare delle forze motrici della

materia, salta agli occhi il tentativo di quest’ultimo di riduzione e di unificazione delle

forze come via per una loro più facile valutazione su basi dinamiche.

Le forze del sistema elementare kantiano sono forze derivate da quelle primitive,

dall’attrazione e dalla repulsione, inerenti alla materia.

Gehler invece, sostenendo un approccio meccanico alla trattazione della materia

e delle sue forze, si limita di fatto a compilare un elenco delle forze conosciute, o

presunte tali, e dei loro effetti.

Proprio contro questa tendenza della fisica alla compilazione, tendenza molto

diffusa all’epoca di Kant, si sarebbe dovuto contrapporre il Passaggio dai principi

metafisici della scienza della natura alla fisica.

Secondo Gehler, una forza motrice è “die ganze in eine gewisse Masse wirkende

Kraft, welche sich durch das Produkt der beschleunigenden Kraft f in die Masse oder

Anzahl der Theile, also durch Mf ausdrücken lässt, und dem Drücke P gleich ist, den sie

ausübt, wenn keine Bewegung erfolgen kann“.111

Ma Gehler segnala anche un altro uso, quello di potenze,

112

e un altro significato

di forza motrice:

In einer andern Bedeutung hat man das Wort: bewegende Kraft für dasjenige Bestreben genommen, mit welchem ein ruhender Körper das Hindernis, auf das er drückt, oder ein bewegter Körper den andern, dem er begegnet, in Bewegung zu setzen sucht.113

Si noterà subito la differenza tra la valutazione della forza di Gehler da quella di

Kant, tenendo presente lo schema seguente:

111 Gehler (1787-1796), vol. II, p. 802. 112 Gehler (1787-1796), vol. II, p. 811. 113 Gehler (1787-1796), vol. II, p. 802-803.

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Forze motrici delle macchine

di Gehler

Forze motrici della materia di

Kant114 (KGS XXII, p. 308 )

Kraft der Menschen Mechanisch

Kräfte der Thiere Dynamisch

Kraft des Wassers Organisch

Kraft des Windes Willenskraft

Kraft des Feuers

Kraft der Gewichte

Kraft der Federn (Elasticitatät)

Max Jammer, in Concepts of Force, propone una tesi che va attentamente

valutata, in quanto non solo chiama in gioco la concezione kantiana della forza, ma

riesce a sintetizzare con eleganza un problema che né la fisica né la filosofia sono state

ancora in grado di risolvere.

Il concetto di forza, infatti, oltre ad essere stato soggetto nei secoli ad una

polisemantica, ha subito una profonda mutazione con il passaggio dalla fisica di

impianto newtoniano alla teoria della relatività: da concetto metafisico che indicava un

114 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 308 : “1. Mechanisch//bewegende Kräfte der Materie durch einen andern Körper z. B. vectis 2. Dieses sein inneres Bewegungsvermögen dynamisch die Steifigkeit des Hebels die Zähigkeit des Seils und der Rolle, und die Gegenwirkungen der Affinität 3. Organisch durch ein immaterielles Prinzip der inneren Zweckmäßigkeit, dazu die Tiere gehören. Zu No 3. gehört das Prinzip der Einteilung a priori wo das Individuum vergeht, die Spezies bleibt 4. Die Willenskraft d.i. die mit Bewusstsein bewegende Kräfte des Menschen. Die mechanisch//dynamisch//organisch// und durch die Willenskraft eines Sinnenobjekts (Subjekts) des Menschen bewegende Kräfte der Materie enthalten alle aktive Verhältnisse der bewegenden Kräfte welche die Physik auf das Objekt ausübt u. worauf das Subjekt derselben reagiert”. Secondo Karen Gloy la politomia qui riportata ha un significato relativo rispetto al complesso dell’opera, ma riconosce che è il frutto di una divisione che segue la tavola delle categorie, cfr. K. Gloy, Die Kantische Theorie der Naturwissenschaft, p. 199 nota. Se si assume la tesi di Gloy, non è però immediatamente comprensibile perché Kant abbia attuato una politomia di questo tipo anche in KGS XXII, pp. 299, 315 e 375, dal momento che la divisione dovrebbe procedere a priori da concetti e configurarsi come una dicotomia. Una risposta a nostro avviso plausibile, a seguito del confronto con altre opere kantiane, può essere quella per cui la distinzione presente nell’opera tra dabilis e cogitabilis dia vita a una divisione dell’eterogeneo e una dell’omogeneo secondo le forze motrici della materia che va a configurarsi come qui riportato, in base ai rapporti reciproci attivi tra di esse. I modelli topici della divisione presenti nell’Opus postumum mirano sostanzialmente a mostrare come cogitabile il tutto della sintesi possibile dei rapporti tra i corpi materiali da un punto di vista esterno ed interno, oggettivo e soggettivo. Tali punti di vista corrispondono a principi metafisici specifici dotati di necessità tali da permettere un passaggio alla fisica generale come modello sistematico per la ricerca scientifica nel campo dell’empirico. La divisione di ciò che è dabilis solo attraverso (durch) e non per (für) l’esperienza, dovrà presentarsi necessariamente come una politomia, procedente all’infinito poiché la fisica come scienza sperimentale può e deve sempre essere ampliata dal punto di vista del suo contenuto. Inoltre, Kant riserva un posto speciale al quarto termine di questa divisione metafisica, Willenskraft, come se esso fosse membro interno della divisione, ma anche esterno ad essa, mediatore a sua volta per una superiore unificazione delle forze.

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agente esterno sulla materia si è trasformato in una funzione matematica che indica un

trasferimento di momento.115

La strada che vale la pena tentare è di vedere come Kant avesse colto il carattere

problematico del concetto metafisico di forza e come lo avesse declinato nell’ultima

fase della sua produzione.

Sulla ricostruzione dell’origine e della formazione del concetto di forza in

generale, Jammer propone una lettura secondo cui questo sarebbe stato pensato in

analogia con la volontà umana, con l’influenza spirituale o con lo sforzo muscolare,116

mentre avrebbe poi assunto le vesti di una nozione puramente relazionale. Il problema

che il concetto di forza presentò agli scienziati del XVIII secolo fu sintetizzato da

d’Alembert nella Prefazione al Traité de dynamique del 1743, anno in cui gli si

attribuisce la risoluzione della disputa fra i sostenitori della forza viva leibniziana e la

forza, intesa come momento, dei cartesiani. Per d’Alembert la disputa poteva essere

risolta, individuando un fraintendimento che soggiaceva alla definizione di “forza”, ma

lo stesso Kant si pose criticamente nei suoi confronti, riuscendo a cogliere già nel 1747

che il problema della valutazione della forza non si basava su un misunderstanding, ma

su due diverse visioni del mondo, su due sistemi, quello leibniziano e quello cartesiano

che si scontravano per la supremazia sul Continente. Senza contare che questo scontro

investiva molto di più che la definizione di forza, investiva la fisica e la metafisica. Di

questo aspetto Jammer sembra tener conto quando afferma: “Force has a unique

position among all possible basic concepts in physical science since it may be regarded

as having a direct relation to the concept of cause. Indeed many students of the problem

and foremost among these the Kantian school of thought, consider “force” the exact

physical formulation of “cause” and causality”.117

Proprio sulla base di questa considerazione metafisica della forza, Kant

abbracciava un’idea secondo cui non è mai possibile una conoscenza diretta della forza.

La forza non era un fenomeno osservabile o valutabile direttamente nell’esperienza, ma

solo indirettamente e andava valutato esclusivamente nei suoi effetti. La lettura che

Jammer propone di Kant è pertinente, ma ha il limite di non prendere in considerazione

la Critica della facoltà di giudizio e il Passaggio dai principi metafisici della scienza

della natura alla fisica, risultando manchevole di un tassello fondamentale per la

ricostruzione della concezione kantiana della materia e dunque della forza.

115 Cfr. Jammer (1957), vi. 116 Jammer (1957), p. 7. 117 Jammer (1957), p. 15.

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Ma il vero scarto si ha, chiedendosi che tipo di concezione formale della forza

avesse Kant. In sostanza occorre chiedersi se Kant ritenesse le forze motrici della

materia fossero esistenti fisicamente.

Secondo una prima impressione la risposta dovrebbe essere affermativa. L’idea

kantiana di forze inerenti alla materia, come attrazione e repulsione, richiama una

visione simile della forza simile a quella di Musschenbroek, ‘sGravesande e Leibniz,

mentre per alcuni versi ricordano quella di Keplero118 e Huygens.119 Ma il confronto più

fruttuoso deve essere attuato con Newton. Jammer nota come Newton intendesse il

concetto di forza impressa secondo un principio metafisico della Scolastica: Cessante

causa cessat effectus.120 Alcuni passi dei Principia lasciano intuire che il concetto di

forza sia di natura intuitiva, in analogia con la forza muscolare umana, ma allo stesso

tempo le forze fisiche debbano essere considerate matematicamente. Newton si

muoveva nell’ambito di un’indecidibilità sulla natura della forza e puntava

all’irriducibilità nel suo sistema della forza gravitazionale, la cui natura profonda

restava sconosciuta.121

Sia in una lettera a Oldenburg del 1675 che in una a Boyle del Febbraio 1678,

Newton afferma la possibilità di spiegare la gravità attraverso un medium materiale,

l’etere. Nella lettera a Boyle si legge:

Tuttavia, i seguaci di Newton, come J. Keill, tornarono ad

un’accezione metafisica della forza di gravità, ma non è solo questa la recezione che

Kant ebbe del problema. Kant conosceva anche i tentativi di Newton di dedurre il

fenomeno della gravità da due assunti: una stratificazione delle particelle dell’etere

elastico che variavano continuamente sottilità e che permeavano la terra e la loro

irriducibile tendenza alla dilatazione.

I shall set down on conjecture more…it is about the cause of gravity. For this end I will

suppose aether to consist of parts differing from one another in subtility by indefinite degrees: that in the pores of bodies, there is less of the grosser aether in proportion to the finer, than in open spaces; and consequently, that in the great body of the earth there is much less of the grosser aether, in proportion to the finer, than in the regions of the air.122

In sostanza Newton non rigettò la possibile esistenza dell’etere, strumento

essenziale per una teoria cinetica della gravità che non riusciva a provare l’azione a

118 Jammer (1957), pp. 85-91. In particolare, Keplero insisteva sulla reciprocità della forza e sulla presupposizione di una forza regolativa, che andava costruita per legare matematica e fenomeni naturali. 119 Jammer (1957), pp. 110-114. 120 Jammer (1957), p. 121. 121 Jammer (1957), p. 141. 122 Isaaci Newton Opera, ed. S. Horsley, vol. IV, London 1779-1785, p. 385.

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distanza. Come è noto Newton oscillò, senza mai dare una risposta definitiva, tra la

posizione secondo cui la gravità era il frutto di un’azione a distanza e quella che ne

rintracciava la causa nell’azione contigua tra le particelle di etere. Newton non

intendeva prendere una decisione definitiva, anche perché, metodologicamente, per

Newton la forza e la gravitazione erano un fatto irriducibile di esperienza.123

Nel quadro dell’analisi svolta da Jammer emerge che, prima che per Newton,

anche per Keplero il concetto di forza ha svolto una funzione di convenienza per la

spiegazione della connessione tra i cambiamenti di velocità del moto dei pianeti e le

variazioni di distanza. Fu grazie al lavoro di Mach, Kirchhoff e Hertz che si completò il

processo di eliminazione del concetto di forza dalla meccanica e questo fu possibile

grazie allo sviluppo della fisica matematica.

Ora, quello che vale la pena considerare alla luce dell’analisi compiuta da

Jammer, è il fatto che Kant attribuì al concetto di forza e alle relazioni possibili tra le

forze proprio un ruolo di mediazione nel contesto dell’Übergang. Jammer indica nelle

sue conclusioni come la forza non sia altro che uno strumento metodologico che

permette lo studio di aspetti cinematici, prima e indipendentemente da ogni particolare

situazione fisica dei corpi che sono presi in considerazione:

The concept of force in contemporary physics plays the role of a methodological

intermediate comparable to the so called middle term in the traditional syllogism. In order to show that “Socrates is mortal”, we introduce the middle term “man” and state the two premises: (I) All men are mortal; (2) Socrates is a man. In our final conclusion, “Socrates is mortal” the middle term “man” drops out. Likewise, to show or to predict that a certain body A moves on a certain trajectory B, when surrounded by a given constellation of bodies C, D,…, which may be gravitating, electrically charged, magnetized, and so forth, we introduce the middle term “force” and state the two “premises”: (I) the constellation C, D,…gives rise to a force F (according to the laws of motion) makes the body A move on the trajectory B. In our final conclusion, “Body A surrounded by C, D,…under the given circumstances, moves along trajectory B”, the middle term “force” again drops out. Instead of connecting directly the cinematic behaviour of body A with the arbitrarily given configuration C, D, …we are splitting the situation up, so to say, into two parts.124

Per Jammer, la particolarità della formula ma = Φ (X) consiste nello svelare la

doppia natura del concetto di forza.

Da un lato una natura a priori, legata alla sua definizione, dall’altro lato

empirica legata al fatto che ma, in quanto funzione di X, denota la configurazione come

123 Cfr. Pecere (2009), pp. 293-294. 124 Jammer (1957), p. 244.

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somma delle masse gravitazionali, come cariche elettriche, come momenti magnetici,

così come costellazioni geometriche.125

Di fatto però non esiste un unico corrispettivo empirico della forza, anzi tale

concetto abbraccia un composto da determinare e da costruire matematicamente.

Quanto più questo composto viene via via determinato, arricchito di caratteri che ne

spiegano i nessi interni, tanto meno si rende necessario il concetto di forza.

A questo punto si può avanzare un’ipotesi epistemologica e interpretativa

dell’ultima produzione kantiana: l’esigenza della matematizzazione della forza è

pienamente rispondente all’obiettivo perseguito nel Passaggio dai principi metafisici

della scienza della natura alla fisica.

Kant colse perfettamente sia il problema della mediazione, della necessità di

leggi ponte nella fisica, sia della fondazione dell’applicazione della matematica ad essa.

Kant, dunque, sosteneva la natura parzialmente metafisica del concetto di forza,

ma anche la necessità di considerarlo uno strumento per la spiegazione di fenomeni

fisici colti dalla meccanica e, per attuare questo passaggio dalla sfera metafisica alla

fisica, designò la matematica come lo strumento che poteva “tradurre” il concetto di

forza nella natura.

L’altro aspetto su cui vale la pena riflettere concerne il concetto di energia e il

suo legame con quello di forza. A questo proposito Jammer sostiene che il concetto di

forza era il comune denominatore di tutti i fenomeni fisici e sembrava un promettente

strumento per ridurre tutti gli eventi fisici ad un’unica legge fondamentale. Poi

aggiunge:

But more important, perhaps, is that the concept of force was instrumental in the construction of the concept of energy, a notion whose contribution to a unified conception of physical phenomena is unquestioned.126

Il processo che ha portato alla trasformazione del concetto di forza nella

relatività ha condotto anche alla riduzione della gravità a forza fittizia, come accadde

nel caso della forza centrifuga. La tesi di Jammer è anche un auspicio per la fisica,

ovvero quello di sottoporre forze elettromagnetiche e nucleari allo stesso trattamento

che Einstein riservò alla gravità, così da trovare una “unified field theory”.127

125 Jammer (1957), pp. 244-245.

126 Jammer (1957), p. 243. 127 Cfr. Jammer (1957), pp. 263-264.

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Questo coinciderebbe con la fine del concetto di forza nella fisica, che sebbene

usato come un membro intermedio, ma necessario dalla meccanica classica, cesserebbe

di occupare anche questa posizione in una teoria di campi unificata.

Nonostante Kant non perseguisse certo un programma per una teoria unificata di

campi e di forze, come ha sottolineato M. Morrison,128 riconosceva però uno schema

della tendenza (Tendenz) all’unificazione dei sistemi e delle teorie e dunque anche della

fisica come scienza.129

A fronte del problema epistemologico della totalità che si è analizzato nel

capitolo precedente, e dello sviluppo storico della fisica dell’epoca, risulta plausibile

l’idea che Kant sia ricorso al concetto di energia, perché in grado di sintetizzare in fisica

quel concetto di leibniziana memoria di “intensità” della forza, la cui differenza di grado

determinava una differenziazione infinita della materia continua:

Wenn alle Ursache der Bewegung bloß mathematisch nicht auch dynamisch geschätzt werden sollte so würde weil die bewegende Kraft = MC ist ob ich C vermindere und M um ebenso viel vermehre das facit ebenso ausfallen als ob ich C vermehrt und M um ebenso viel vermindert hätte. — Nun aber hört die Bewegung eines gegen die Richtung der Schwere bewegten Körpers mit einem M o m e n t auf womit der Körper immer noch bewegende Kraft obgleich noch keine Bewegung hat wenn ich aber das Volumen desselben verringere so hört er mit dem gänzlichen Verschwinden des Volumens mit Nichts auf. Also muss die Quantität der Materie was das Reale derselben betrifft nicht nach dem Volumen sondern der energie der bewegenden Kraft geschatzt werden und alle Materialität hat einen G r a d der äußer der Menge der Materie noch hinzu gedacht werden kann und die letztere kann in stetigen Materien unendlich verschieden sein weil die Materien der Qualität nach nämlich nach der Intensität ihrer Kraft verschieden sein können. — Oder man müsste annehmen keine Materie könne ein continuum sein müsse leere Zwischenräume in sich enthalten.130

La quantità della materia deve essere misurata per Kant secondo l’energia delle

forze motrici che sono differenti infinitamente nel continuo, poiché le materie possono

essere diverse secondo l’intensità delle forze che sprigionano. In base a quanto detto nel

capitolo II, nell’Opus postumum Kant non basa la meccanica solo sulla Foronomia, ma

anche e soprattutto sulla Dinamica.

In più luoghi dell’Übergang Kant utilizza il termine “energia” (Energie)

ponendolo alla base per la spiegazione dell’attività delle forze motrici sia dei corpi che

della materia cosmica.

128 Morrison, (2008), pp.37-62. 129 Morrison, (2008), pp. 37 segg. 130 Opus postumum, KGS XXI, p. 466.

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In un primo passaggio Kant sostiene che le forze motrici della materia possono

essere considerate da un punto di vista foronomico o secondo la loro energia come

cause efficienti degli spostamenti dei corpi.

Ci si trova di fronte, dunque, ad una specificazione del concetto di forza,

attraverso il concetto di energia, ancora una volta legato alla causalità:

Die bewegende Kräfte der Materie und mit dieser auch der Körper können nach dem

F ö r m l i c h e n den Gesetzen der Bewegung derselben als Veränderungen ihrer Örter im Raum (phoronomisch) oder auch nach ihrer Energie als wirkende Ursachen dieser Veränderungen d. i. ihrem G e h a l t e nach erwogen werden welcher wenn er nur durch Erfahrung erkennbar ist physisch//dynamische Anfangsgründe enthält; da dann diese von den mathematischen als welche gänzlich auf Prinzipien a priori beruhen (z. B. Newtons Philosophiae naturalis principia mathematica) abzusondern sind indem sie bloß das Formale der bewegenden Kräfte enthalten.131

Kant specifica la compatibilità di questo duplice approccio nella valutazione

della quantità di materia, in quanto essa può essere considerata come grandezza

estensiva, ma anche intensiva:

Ebenso die letztere Quantität soweit ich will verkleinern u. jenes Moment vergrößern.

Die Quantität der Materie ist also so wohl extensiv als intensiv zu schätzen und wenn in gleicher Höhe vom attraktionspunkt das Volumen mag sein welches es wolle die bewegende Kraft an demselben Hebelarm größer ist so ist die Quantität der Materie mathematisch für dieselben anzunehmen obzwar es möglich wäre dass auch die Qualität derselben nämlich größere Energie der einen über die Andere nicht die bloße Menge die Ursache davon wäre.132

Ma l’analisi di Kant si spinge oltre, quando lega esplicitamente il concetto di

energia alla materia cosmica per rappresentarne meglio il carattere universale e per

svelare il carattere strumentale anche del concetto di contatto (Berührung), che va

pensato come determinazione dello spazio:

Die Attribute dieses Stoffes (weil er allbefassend e i n z e l n (unica) und die Basis aller

zur Einsicht des Objects der (einen) Erfahrung ist) sind nun nach dem Satz der Identität gegeben nämlich dass er a l l v e r b r e i t e t , a l l d u r c h d r i n g e n d und a l l b e w e g e n d ist (nicht aber dass er selbst in seinem Platze beweglich (locomotiva d. i. Ortverändernd) und es als ein solcher notwendig d. i. auch a l l d a u r e n d ist. Denn Sempiternitas est neceßitas phaenomenon. Mann nennt diesen Stoff Wärmestoff; nicht darum dass er W ä r m e um sich verbreitet denn diese kann bei aller jener Energie desselben in Beziehung auf die Körper in die er wirkt ganz mangeln wie sie denn auch eine Wirkung ist die sich nur aufs G e f ü h l subjektiv nicht auf das Objekt der V o r s t e l l u n g bezieht sondern weil eine seiner Tätigkeiten darin besteht diesen Zustand zu bewirken anstatt dessen man das Vermögen Körper die er durchdringt auszudehnen diese Materie besser in völliger Allgemeinheit bezeichnen würde. Daher denkt man sich a priori in einem erwärmten Raum könne kein Teil desselben kalt bleiben und jene Materie müsse diese

131Opus postumum, KGS XXI, p. 352. 132 Opus postumum, KGS XXI, p. 436.

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Wirksamkeit notwendig außerhalb mittheilen, wenn außer ihr etwas ist was mit ihr eine gemeinschaftliche Grenze hat. Das Wort B e r ü h r u n g findet hiebei nicht statt (weil es schon eine bewegende Kraft in seinem Begriffe enthält): es müsste denn wie der angulus contactus in der Geometrie eine bloße Raumesbestimmung nicht Naturbestimmung einer Materie gedacht werden Eine andere Benennung würde eben dieselbe auch am L i c h t s t o f f e erhalten der auch gewisse Körper durchdringend angetroffen wird, und eben so Gemeinschaft der bewegenden Kräfte der Materie der Weltkörper bewirkt; alle diese Begriffe aber zwecken darauf ab um ein materielles Prinzip der Einheit möglicher Erfahrung welche alle Erfahrungen zu Einer verbindet, zu haben ohne welche und deren Form kein Zusammenhangendes Ganze der Erfahrung die alsdann nur A g g r e g a t der Wahrnehmungen nicht Erfahrung als System sein würde statt findet.133

Questo passo merita un’attenta valutazione, perché è in grado di fornire la

ragione del ricorso all’etere per fondare la cosmologia dinamica di epoca tarda.

In primo luogo, la presupposizione dell’etere serve per poter pensare a priori le

parti di uno spazio non soggette a completo raffreddamento, perché questa materia

cosmica è in grado di trasferire calore e luce ai corpi.

Se pensato come riempiente tutto lo spazio cosmico, l’etere e le forze motrici

della materia insieme, formano un principio materiale dell’unità dell’esperienza

possibile134

In secondo luogo, l’universo kantiano non risponde solamente alle forze di

attrazione e repulsione, come i suoi immediati successori e numerosi interpreti hanno

ritenuto.

che riunisce tutte le esperienze in una sola esperienza, vale a dire in un

sistema dell’unità e dell’universalità collettiva.

È evidente che Kant avesse fatto propri gli studi sulla convezione e li avesse

inseriti nel quadro della sua cosmologia e di uno spazio cosmico.

Questo si evince sia dal fatto che Kant fornisce una definizione del concetto

fisico e geometrico di contatto, sia dal fatto che già nel 1755 aveva definito l’esistenza

di una legge fisica statica (o idrostatica) dell’universo per determinare i diversi gradi di

densità della materia, accompagnandola ad una visione delle leggi dell’interazione

chimica e della forza repulsiva capace di creare diversi stati di aggregazione. Non

stupisce, poi, che Kant attribuisca all’etere caratteri chimici tipici dei fluidi e dei gas e

utilizzi il nome Basis per classificarla.

Infatti, il fenomeno della convezione termica

Aumentando la temperatura, il fluido a contatto con l'oggetto si espande e

diminuisce di densità, e sale verso l’alto (

si ha quando un fluido entra in

contatto con un corpo la cui temperatura è maggiore della propria.

principio di Archimede

133 Opus postumum, KGS XXI, pp. 584-5.

) dal momento che,

134 Principio che Kant si augurava di rinvenire già nella terza Critica. Cfr. infra, Capitolo III.

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essendo meno denso, pesa anche di meno. In questo modo si generano dei moti

convettivi in cui il fluido caldo sale verso l’alto e quello freddo scende verso il basso.

Sarà ora il fluido sceso in basso a scaldarsi perché a contatto con il corpo più caldo e

quello migrato verso l’alto a raffreddarsi di nuovo, dando vita ad un nuovo scambio.135

C’è un aspetto della convezione che merita considerazione, cioè quello della sua

determinabilità sotto l’azione della gravitazione.

Poiché il fenomeno della convezione necessita di un orientamento nello spazio,

della definizione di un sopra e un sotto e di una superficie di contatto, questo fenomeno

non si da al di fuori di un campo gravitazionale. All’epoca di Kant non c’era evidenza

della consapevolezza di questo aspetto.

Tuttavia, risulta molto interessante che la cosmologia di epoca tarda mantenga la

definizione delle regioni dello spazio cosmico a partire dall’orizzonte del piano della

Via Lattea e, in secondo luogo, che, per Kant, uno spazio in espansione dovesse essere

pensato come riempito di materia per poter trasferire luce, calore ed energia.

Questa visione implicava chiaramente sul piano teoretico una filosofia

dell’Übergang, del passaggio o del transito.

Nell’Opus postumum si ritrova un passo rilevante per questo, sebbene di

significato oscuro e quasi pittoresco, se non si collega ad un quadro più generale:

Principium continui L o g i c u m Leibnitzii suppositio geometrica. Qvicqvid valet de corore in aliud molem impingens qvarunqve hoc celeritate moventis valet etiam si hoc vt qviescens aßumseris. Nam quies est motus infinite parvus. Haec regula autem ipsum redarguit auctorem in quaestione de omnibus vivis. Princip. continui transßc. Non datur progreßus a ratione data ad realiter oppositam secundum regulam nisi per intermedium determinationis quae aeqvivalet ziphoni s. nullitati vtriuspve h.e. indifferens, e.g. in oscillatione — in magnete — (in transitu a vitio ad virtutem —) in transitu a voluptate ad taedium.136

L’universo può essere così determinato anche attraverso le leggi della

termodinamica, che avrebbero svelato l’importanza fondamentale della teoria della

135 Per esempio all’interno del Sole, il calore si propaga soprattutto per convezione. La temperatura al centro può raggiungere livelli tali nella fase protostellare da determinare l’innesco della fusione del deuterio, che mantiene caldo il centro della protostella e produce lo sviluppo del fenomeno della convezione. La convezione agisce attraverso lo sviluppo di movimenti di masse di gas che producono sia il livellamento della temperatura nella regione interessata dal fenomeno, che il rimescolamento della materia e la omogeneizzazione della composizione chimica nella stessa zona. Anche se il processo di fusione del deuterio si esaurisce in breve tempo, la convezione invece prosegue, favorita dal fatto che la stella in formazione, è capace di emettere una intensa radiazione, che si propaga verso l’esterno dalla sua superficie. Per questo motivo la superficie della stella si raffredda rapidamente; in tal modo è il dislivello di temperatura, che si crea tra gli strati esterni e quelli interni della stella divenuta ormai visibile, a mantenere attiva la convezione. 136 Opus Postumum, KGS XXI, p. 461.

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forza viva di Leibniz, come nucleo concettuale e matematico di base per la definizione

dell’energia cinetica.

A questo punto si possiedono sufficienti elementi per procedere all’analisi della

prova dell’esistenza dell’etere, evidenziando le questioni epistemologiche che ne

costituiscono il sostrato e la ragione per cui Kant volle dedicare ad essa così tanta

attenzione.

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CAPITOLO V

LA PROVA DELL’ESISTENZA DELL’ETERE: IL

CONCETTO DI “ESPERIENZA” TRA EPISTEMOLOGIA E

METAFISICA

Premessa

Nel corso dell’analisi svolta dalla ricerca si è tentato di dare un quadro

complessivo delle questioni epistemologiche aperte dalla Critica della facoltà del

giudizio e della risposta che Kant ha cercato di elaborare in un’opera, che, seppure

postuma, ha assunto ormai un’importanza capitale per gli studi kantiani.

Il Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica è

capace, infatti, di racchiudere in sé i risultati del criticismo e di applicarli concretamente

alla scienze naturali, grazie alla prospettiva epistemologica aperta dalla terza Critica.

In questa parte conclusiva della ricerca si prende in esame la prova dell’esistenza

dell’etere, il significato che essa assume e le sue eventuali ricadute sull’intero sistema

kantiano e il suo oggetto.

I fenomeni legati al calore, in particolare alla sensazione del calore, alla

dilatazione e all’espansione dei corpi, furono presi in grande considerazione dalla

scienza della natura moderna. Vi erano in particolare due alternative che si

contendevano la spiegazione di questi fenomeni. La prima, sostenuta anche da

Gassendi, presupponeva l’azione di una materia del calore (Wärmematerie) sottile ed

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elastica. La seconda, abbracciata da Bacone, spiegava tali fenomeni attraverso il

movimento di parti microscopiche dei corpi.

Nella letteratura scientifica tedesca del XVIII secolo, dominava la teoria della

materia del calore (Stofftheorie), supportata tra gli altri da Wolff, Eberhard, Erxleben e

Karsten.1 Tutte fonti che Kant aveva presenti. Oltre a queste, già in epoca precritica,

Kant prese in grande considerazione gli studi sul fuoco di Boerhaave, contenuti in

Elementa chemiae del 1732.2

L’uso del termine Wärmestoff come sinonimo del temine francese “calorique” è

di epoca più tarda ed è attestato verso la fine degli anni ’80 del XVIII secolo.

3 Sino ad

allora si erano alternati termini come Elementarfeuer, Feuerelement e Materie des

Feuers, a cui si attribuivano diversi significati, proprio in mancanza di una teoria del

calore unificata, per la quale si doveva aspettare lo studio di Lavoisier e Laplace e la sua

conseguente diffusione nel Continente. Questi termini potevano indicare o un fluido

sottile che soggiaceva a specifici fenomeni del calore o un materiale capace di dar conto

anche dei fenomeni della luce, finanche a identificarsi con l’etere stesso.

È importante notare come prima del 1770 questo materiale o Elementarfeuer non

fosse ritenuto una sostanza che permettesse il legame chimico con altre sostanze e si

distinguesse così dal flogisto, che invece era considerato una sostanza chimica a tutti gli

effetti capace di contenere il materiale del fuoco.

Con gli sviluppi della chimica di Black e De Luc successivi al 1770 e ai loro

studi sul calore libero e il calore latente, dominò per un decennio la teoria del materiale

del calore in generale, da cui il fenomeno del calore latente venne inteso in analogia alla

neutralizzazione dei legami chimici e, dunque, l’elemento del fuoco di regola venne

concepito come una sostanza chimica.4

1 C. Wolff, Vernünftige Gedanken von den Wirkungen der Natur. Physik I, Halle 1723, §§ 72 segg.; J. P. Eberhard, Erste Gründe der Naturlehre, Halle 1753, §§ 311 segg.; J. C. Erxleben, Anfangsgründe der Naturlehre, Göttingen 1772, §§ 449 segg.; 478; W. J. Karsten, Anleitung zur gemeinnuetzlichen Kenntniss der Natur besonders für angehende Ärzte, Kameralisten und Oeconomen, Halle 1783 §§ 15;137.

A questa fase ne seguì una posteriore agli studi di De Luc e Black. Il calorico

venne inteso come una materia sottile che con il suo movimento ondulatorio poteva

spiegare i fenomeni del calore. Questa visione si distingue però ancora dall’accezione

2 Come riporta anche E. Adickes, Zur Lehre von der Wärme von Fr. Bacon bis Kant, in Kant-Studien, 27, 1922, pp. 328-368. 3 Guyton de Morveau, Lavoisier, Berthollet, Fourcroy, Méthode de nomenclature chimique, Paris 1787. Il testo venne tradotto in tedesco nel 1793. 4 Cfr. F. Rosenberger, Die Geschichte der Physik in Grundzügen : mit synchronistischen Tabellen der Mathematik, der Chemie und beschreibenden Naturwissenschaften sowie der allgemeinen Geschichte, Braunschweig 1882 – 1890, vol. II, pp. 345 segg.

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più tarda di Wärmestoff: attraverso la mera accumulazione di riscaldamento e sulla base

della forza repulsiva delle sue particelle si riteneva capace di causare la dilatazione dei

corpi riscaldati, così come il mutamento degli stati di aggregazione.5

Kant ha abbracciato nel De Igne e nel Tentativo per introdurre nella filosofia il

concetto delle quantità negative la teoria di Gassendi di una Wärmematerie, perché

identificava l’Elementarfeuer con l’etere e con la materia della luce e del calore, in vista

anche della spiegazione dei fenomeni elettrici e magnetici.6

Alla fine degli anni ’70, invece, Kant tende a distinguere l’etere e la materia del

calore (calorico). Quest’ultima viene designata come un materiale ipotetico, di cui gli

scienziati si servono per la spiegazione di certi fenomeni. Sulla natura dell’etere, invece,

l’elaborazione tarda della posizione kantiana troverà sbocco nei tentativi della prova

della sua esistenza nel Passaggio dai primi principi metafisici della scienza della natura

alla fisica.

Come si è anticipato, nella produzione kantiana l’ipotesi dell’etere è sempre

stata al centro delle riflessioni sulla fisica. In Meditationum quarundam de igne

succincta delineatio, Kant presenta l’etere come ipotesi, simile a quello ammesso da

Eulero, e teorizzato dal Newton della Query 31 dell’Ottica, costituito di particelle

microscopiche discrete.

Figura 5.1 Immagine tratta dal De Igne (1755)

In Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels, Kant pone alla base

della sua ipotesi cosmologica l’esistenza di una materia originaria, diffusa in tutto lo

spazio, in cui l’interazione delle forze newtoniane produce la formazione dei corpi

celesti.

5 Cfr. R. Fox, The caloric theory of gases: from Lavoisier to Regnault, Oxford 1971, Cap. I. 6 Cfr. De igne, KGS I, p. 377; Versuch den Begriff der negativen Größen in die Weltweisheit einzuführen, KGS II, p. 187.

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Ma la ricerca newtoniana sull’etere trovava un illustre predecessore. Infatti, il

problema fisico della prova dell’esistenza di una materia cosmica onnipenetrante e

semovente compare già nella riflessione di Francis Bacon. Il filosofo della natura

inglese, molto apprezzato da Kant, come testimonia l’esergo della Critica della ragione

pura, è definito come il primo e il più grande scienziato della modernità nell’edizione

della Logik Jäsche.7

L’idea di una materia cosmica e la negazione del vuoto, così come la critica

all’atomismo, sono i caratteri salienti del sistema del mondo di Bacone:

Neque propterea res deducetur ad Atomum, qui praesupponit vacuum et materiam non fluxam (quorum utrumque falsum est), sed ad particulas veras, quales inveniuntur.8

La letteratura secondaria ha esplorato il legame tra Kant e Bacone e, in virtù di

numerosi studi, è possibile mostrare come questa influenza abbia lasciato il segno anche

nelle pagine dell’Opus postumum. In Bacon und Kant, Kim ha ricostruito il rapporto di

Kant con le opere e il pensiero di Bacone.9 L’aspetto che risulta di particolare interesse,

consiste nel fatto che Kant sembra essere ispirato da Bacone, laddove per provare

l’esistenza della materia cosmica, ricorre alla negazione del vuoto ed assume il carattere

della fluidità (Flüssigkeit) come primario per la determinazione di essa. Anche la

polemica con l’atomismo, sostenuta in più pagine manoscritte, riprende le

argomentazioni baconiane.10

Sebbene Bacone sia stato senza dubbio fonte di ispirazione per Kant, in

generale, la riflessione sull’etere attraversa un’evoluzione che rispecchia lo stato di

incertezza delle ipotesi dominanti della scienza del tempo.

11

7 Logik Jäsche, KGS IX, p. 32.

Come si è visto nel caso

della storia della teoria del calore, così che nella produzione kantiana si riscontrano

diversi modi di definirne lo statuto.

8 F. Bacon, Novum Organon, II, p. 8. Cfr. infra, Capitolo II, §2.2. 9 Shi-Hyong Kim, Bacon und Kant. Ein erkenntnistheoretischer Vergleich zwischen dem "Novum Organum" und der "Kritik der reinen Vernunft", Berlin 2008. 10 Cfr. Kim (2008), pp. 65-66, in cui ricostruisce la posizione di Adickes sul rapporto di Kant con Bacone; pp.132-133 per la trattazione del rapporto tra materia e intuizione nei due autori; pp. 149-150 per il rapporto tra intuizione e oggetto del senso esterno; pp. 235 e segg. per la relazione tra fisica e metafisica in Bacone. Nel 1790 Maimon scrisse un piccolo saggio sull’argomento. Cfr. S. Maimon, Baco und Kant, 1790, in Gesammelte Werke, vol. II, a cura di V. Verra, Hildesheim 1965-1976, pp. 499-522. 11 Cfr. Heilbron, pp. 44-45.

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Nella Critica della ragione pura sono presenti dei riferimenti inequivocabili alla

materia onnipenetrante che fonda a livello cosmico l’azione delle forze motrici della

materia e la possibilità di conoscerle12

. Anche nella Kritik der Urtheilskraft si legge:

Così l’etere dei nuovi fisici, un fluido elastico che penetra tutte le altre materie (con esse internamente mescolato), è solo una cosa dell’opinione, ma pur sempre del tipo per cui, se i sensi esterni fossero acuiti in sommo grado, esso potrebbe essere percepito, e che però non mai può essere esibito in una qualsiasi osservazione o esperimento.13

Nelle pagine manoscritte dell’Übergang von den Metaphysischen

Anfangsgründen der Naturwissenschaft zur Physik merita un’analisi attenta la prova

dell’esistenza dell’etere,14 che Kant individua come il principio materiale (Urstoff o

Weltstoff), su cui basare il sistema delle forze motrici per la scienza del Passaggio dai

principi metafisici della scienza della natura alla fisica.15

Si tratta di vedere se Kant non contravvenga con la prova dell’esistenza

dell’etere ad uno degli assunti fondamentali del criticismo, secondo cui la

determinazione completa di un concetto non implica l’esistenza dell’oggetto

corrispondente ad esso. Ma se anche si dimostrasse che la prova dell’esistenza dell’etere

fosse congruente con l’idealismo trascendentale, comunque ci viene riconsegnata la

filosofia di Kant sotto una luce diversa.

La letteratura che si è confrontata sull’argomento e le posizioni che emergono

non sono ancora riuscite a concordare su alcuni punti centrali.16

12 Cfr. KrV, A 649-50/B 677-78.

In primo luogo sulla

valenza che la prova dell’esistenza dell’etere assume per la metafisica e per la filosofia

trascendentale, in quanto prova indiretta, ipotetica e unica nel suo genere. In secondo

luogo, occorre stabilire se Kant sia autorizzato o meno a postulare l’esistenza dell’etere

e, infine, su quale base Kant possa parlare dell’etere come concetto dell’unità collettiva

dell’esperienza. Più in generale, l’intento di questo capitolo consiste nell’affrontare

l’analisi di alcuni passaggi salienti della prova dell’esistenza dell’etere, tentando di

offrire delle risposte sui punti esposti, collocandoli all’interno di una riflessione e di una

13 KdU, p. 299. 14 Nell’Opus postumum appaiono numerose versioni della trattazione della prova dell’esistenza dell’etere. I passi più significativi e completi nell’argomentazione sono contenuti in KGS XXI, pp. 582-610. 15 Cfr. Opus postumum, KGS XXI, p. 600. 16 Fondamentali sono da considerarsi gli studi di P. Guyer, Kant’s System of Nature and Freedom, Oxford 2005; M. Friedman, Kant and the Exact Sciences, Cambridge-London 1992; J. Edwards, Substance, Force and the Possibility of Knowledge: On Kant’s Philosophy of Material Nature, Berkeley 2000; S. Marcucci, Kant e la conoscenza scientifica, Lucca 1988; V. Mathieu, La filosofia trascendentale e l’“Opus postumum” di Kant, Torino 1958; B. Tuschling, Metaphysische und Transzendentale Dynamik in Kants Opus postumum, Berlin 1971.

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ricostruzione più ampia della filosofia kantiana, che tenga conto sia della configurazione

del rapporto dell’Io con la materia, sia della visione della scienza della natura. In

secondo luogo, il concetto stesso di esperienza (Erfahrung) viene modificato dallo

scopo dell’ultima opera e con esso si configura un’idea della scienza molto più

complessa di quello che le pagine della Critica della ragione pura avevano proposto.

L’universalità collettiva dell’esperienza, da un lato, e la strategia kantiana della

costruzione di modelli scientifici, dall’altro, sono la cornice entro cui la prova

dell’esistenza dell’etere vuole essere inquadrata, al fine di mettere a fuoco da un punto

di vista epistemologico i concetti di materia e delle sue forze motrici.17

Questa cornice,

come anticipato nel capitolo IV, non è quella della vulgata: le forze di attrazione e

repulsione non sono la sola ragione per spiegare il mondo, ad esse vanno unite in un

unico sistema le leggi della termologia e il principio di continuità.

5.1 La prova dell’esistenza dell’etere: una prova apagogica

Nell’Übergang, in virtù della tendenza asintotica tra metafisica e fisica, si ha

uno sdoppiamento di piani da cui può essere considerato l’etere, così che esso è assunto

come un postulato18 per il passaggio dalla metafisica alla fisica, ma costituisce una mera

ipotesi per lo scienziato che procede mediante osservazione e ed esperimento.19

Questa duplicità di piani si riferisce al duplice modo della ragione di trattare

oggetti del pensiero o in relazione tra loro o in relazione alle facoltà umane.

E’ lo stesso Kant a dire, infatti, che trattato direttamente l’etere sarebbe provato

nella sua esistenza solo ipoteticamente, come la scienza contemporanea stava cercando

di fare.20

17 Cfr. Friedman (1992), pp. 213 segg.; Edwards (2000), pp. 93 segg. ; Förster (2000), pp. 75-147; Pecere (2009), pp. 730-774, per la trattazione delle forze motrici della materia con un approccio storico e di ricostruzione delle diverse fasi di elaborazione della prova dell’esistenza dell’etere.

18Opus postumum, KGS XXI, p. 219: “Der empfindbare Raum, der Gegenstand der empirischen Anschauung desselben ist der Inbegriff der bewegenden Kräfte der Materie ohne welche er kein Gegenstand möglicher Erfahrung und als leer gar kein Sinnenobjekt sein würde. Dieser Urstoff der bloß in Gedanken da ist mit der Eigenschaft die wir ihm beilegen müssen uranfänglich bewegend zu sein ist nun kein hypothetisches Ding auch nicht ein Erfahrungsobjekt denn da würde dieser zur Physik gehören hat aber doch Realität und seine Existenz kann postuliert werden weil ohne die Annahme eines solchen Weltstoffs und der bewegenden Kräfte desselben der Raum kein Sinnenobjekt sein und Erfahrung über dasselbe weder bejahend noch verneinend statt finden würde. — Von einem solchen formlosen alle Räume durchdringenden nur durch die Vernunft zu bewährenden Urstoffe von welchem wir nichts mehr als bloß im Raume verbreitete und alldurchdringende bewegende Kräfte denken lässt sich seine Wirklichkeit auch vor der Erfahrung mithin a priori zum Behuf möglicher Erfahrung postulieren”. 19 Cfr. KrV, A 613-14/B 641-42. In queste pagine Kant sostiene che l’etere rimanga un fondamento insondabile per lo scienziato naturale. 20 Cfr. M. Gliozzi, Storia della fisica, pp. 420; 448.

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Ma non è certo da un punto di vista empirico che Kant pretende di provare

l’esistenza dell’etere: non si tratta affatto di provare l’esistenza quoad materiale di esso.

L’etere trattato indirettamente, cioè quoad formale, secondo principi a priori,

possiede lo statuto di una cosa (Ding), la cui esistenza viene presupposta nel pensiero,

in favore dell’esperienza, attraverso una prova di natura ipotetica e secondo principi a

priori:

[…] Eine Materie annehmen deren Gegenstand das Ganze aller möglichen Erfahrung d.

i. ein alldurchdringender allverbreiteter und allbewegender Weltstoff ist der zwar direkt betrachtet bloß ein hypothetischer Stoff ist (Wie etwa die welcher man den Nahmen des Wärmestoffs gibt) denn seine Annahme soll nicht auf Erfahrung gegründet sein wird aber auch nicht zum Prinzip der Erklärung gewisser Phänomene willkürlich verwandt: — indirekt aber ist er als formales Prinzip der Möglichkeit des Ganzen der Erfahrung überhaupt ein zum System der bew. Kr. notwendig mithin a priori gegebener Stoff der allen bewegenden Kräften der Materie im Elementarsystem derselben zur Basis dient.21

L’etere non è quindi trattato come ipotesi, bensì come principio formale della

possibilità del tutto materiale dell’esperienza in generale. Questo viene considerato

come la materia (il mobile nello spazio) posta a priori e necessaria al sistema delle forze

motrici della materia stessa, diventando quindi la loro base (Basis) nell’Elementar

System.

L’analisi di queste pagine manoscritte, tra le più complesse e commentate

dell’intero corpus kantiano, non può non partire, pertanto, dalla domanda sullo statuto

di questa prova, che Kant stesso definisce in primo luogo come “indiretta e unica nel

suo genere”. L’unicità di questa prova deriva dal fatto che per Kant il ricorso a prove

apagogiche in filosofia é sconsigliato. Le prove indirette o apagogiche procedono per

modus tollens, il cui modo di inferire procede tramite la falsificazione del

contraddittorio, partendo dalle premesse “se p allora q” e “non-q” facendo seguire la

conclusione “non-p”.22

Nel caso della prova dell’esistenza dell’etere, Kant ritiene necessario giungere

alla verità della proposizione dell’esistenza dell’etere mediante le sue conseguenze e

secondo una delle regole formali del modo di inferire indiretto o apagogico, enunciata

anche nella Logik:

21 Opus postumum, KGS XXI, p. 543. 22 Cfr. Logik Jäsche, KGS IX, p. 106; KrV, A 791/B819; M. Capozzi, Kant e la logica, vol. I, Napoli 2002, pp. 437-438, in particolare p. 438, in cui si nota come “Kant non solo distingue fra il modus tollens e la prova indiretta che ne fa uso, ma pone in luce che nella prova indiretta: 1) si assume la contraddittoria della proposizione da provare, 2) se ne trae una conseguenza, 3) si mostra che tale conseguenza è falsa, 4) si conclude applicando il modus tollens – che la contraddittoria della proposizione assunta è falsa, 5) per il principio del terzo escluso si prova apagogicamente che la proposizione che si voleva provare è vera”.

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Dalla verità della conseguenza si può inferire la verità della conoscenza come fondamento, ma solo negativamente: se da una conoscenza segue una conseguenza falsa, la conoscenza stessa è falsa.23

L’esistenza dell’etere, come materia onnipenetrante, riempiente completamente

lo spazio cosmico, è ottenuta negando l’esistenza del suo opposto contraddittorio,

ovvero che lo spazio vuoto esista in senso assoluto, poiché il non essere non può essere

percepito e, dunque, non può essere conosciuto.

Il cuore dell’argomentazione è costituito dalla convinzione di Kant che se lo

spazio non fosse riempito di materia non ci potrebbe essere esperienza:

Vom leeren Raum kann es keine Erfahrung, auch keinen Schluss auf das Objekt

derselben geben. Von der Existenz einer Materie belehrt zu sein dazu bedarf ich Einfluss einer Materie auf meine Sinne. Der Satz also: es gibt leere Räume kann nie ein weder mittelbarer noch unmittelbarer Erfahrungssatz sein: sondern ist bloß vernünftelt.24

L’esistenza dello spazio vuoto assoluto, in sostanza, non può essere un giudizio

d’esperienza né direttamente, né indirettamente, e, sebbene Kant ne avesse indicato

nella Fenomenologia la funzione regolativa, non può certo essere un principio

determinante in vista dell’esperienza e della metafisica della scienza della natura.25

Ma la prova indiretta non si arresta all’uso del modus tollens. Essa procede nel

provare la verità della proposizione che asserisce l’esistenza dell’etere secondo il

principio del terzo escluso.

Ovviamente tale principio è un criterio puramente formale dotato di una natura

logica e, come anche nel caso del principio di ragion sufficiente, non intrattiene alcun

rapporto con la realtà effettiva delle cose, ma riguarda la loro semplice possibilità in

base a concetti. Nel caso in questione, infatti, l’etere viene intesa come Ding, come cosa

del pensiero, e non come Sache o Erscheinung, tanto che Kant giunge a sostenere che il

nome ad esso attribuito (etere o calorico) potrebbe anche essere diverso, e che deve

solamente essere assunta la natura direttamente impercettibile di esso.

Ora, per Kant, la prova dell’esistenza di una cosa che non è immediatamente

percepibile può essere indiretta secondo principi dell’accordo (Zusammenstimmung o

23 Logik Jäsche, KGS IX, p. 52. 24 Opus postumum, KGS XXI, p. 600. 25 Questa posizione emerge già nell’ultima sezione dei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft del 1786. Kant ammette però, nell’ultima fase della sua produzione, che sia dato un vuoto di materia, o meglio un’impercettibilità della materia per spiegare certi fenomeni fisici, dal punto di vista meccanico.

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Zusammenhang) del concetto di questa esistenza con le sole determinazioni

dell’esperienza possibile:

Beweise der Existenz eines Dinges welches nicht unmittelbar als Sinnenobjekt perceptibel ist können auf zweierlei Art geführt werden: entweder direkt aus Gründen der Erfahrung oder indirekt aus Prinzipien der Zusammenstimmung des Begriffs dieser Existenz bloß mit den Bedingungen möglicher Erfahrung. Im ersteren Falle ist er empirisch begründet im zweiten stützt er sich auf Begriffen a priori.26

L’esistenza dell’etere non è certamente provata a partire dall’esperienza, ma

neppure è sufficiente ricorrere esclusivamente a criteri formali di verità per conferire

oggettività ed effettualità al concetto di etere. Per porre adeguatamente le premesse

della prova occorre ricordare che per Kant l’esistenza secondo il principio di identità è

contenuta già nel concetto di materia semovente e che essa non può essere solo un

oggetto del pensiero, ma un oggetto esistente dell’esperienza possibile che è reale anche

fuori dalla rappresentazione che ne ha il soggetto, sebbene la sensazione del soggetto

stesso dipenda da esso:

Dieser in seiner Art einzige Fall aber tritt alsdann doch ein wenn die subjektive Möglichkeit eine Erfahrung zu machen sie mag nun in Ansehung des Objekts und seiner Existenz bejahend oder Verneinend sein zugleich der Grund des Erfahrungssatzes selbst ist. Nun kann man im leeren (im gleichen in einem zum Teil leeren zum Teil vollen) Raume keine Erfahrung machen als nur in so fern er ein mit Materie erfüllter Raum ist und dieser also nicht bloßes Gedankending sondern ein existierendes Objekt möglicher Erfahrung und außer der Vorstellung wirklich ist. — Alle Erfahrungen aber sind unter einander verknüpft und das Objekt derselben macht die Materie aus, ist also ein Objekt aller vereinigten möglichen Erfahrung. — Nach der Regel der Identität also und a priori aus bloßen Begriffen ohne eine Hypothese zum Grunde zu legen ist die Basis aller äußeren Sinnenvorstellungen d. i. des allerfüllenden Stoffs als Gegenstand für alle mögliche bewegende Kräfte der Materie gegeben.27

A questa professione di realismo empirico, segue l’osservazione, però, che il

sostrato capace di generare l’affezione della sensazione non è altro che lo spazio

rappresentato ipostaticamente. Perciò di questo fondamento si può pensare la sua

esistenza come già posta nel suo concetto (in esso contenuta), in accordo con le

condizioni di possibilità dell’esperienza. Poiché lo spazio esiste come forma

dell’intuizione e intuizione formale, come forma del tutto dell’esperienza del senso

esterno, solamente attraverso di esso è possibile pensare il rapporto tutto-parti

26 Opus postumum, KGS XXI, p. 546. 27 Opus postumum, KGS XXI, p. 538. Questo passo risulta di notevole rilevanza, poiché denota come Kant non avesse assunto affatto anche nell’ultima fase della sua produzione una posizione in favore dell’idealismo di Schelling o Fichte, ma avesse mantenuto la fondazione dell’impianto critico dell’idealismo trascendentale.

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dell’esperienza – ovvero le molteplici esperienze come raccolte in una sola esperienza –

come un unicum, tanto che da questo punto di vista l’esistenza dell’etere può, secondo

Kant, venir postulata.

L’ipostatizzazione dello spazio è il fondamento per postulare la necessità

dell’etere, sebbene tale necessità sia inscritta nell’alveo di un modo di provarne

l’esistenza che ha un fondamento della prova soggettivo, cioè quello delle condizioni di

possibilità dell’esperienza che pone le forze motrici in un sistema:

Diese Beweisart der Existenz eines eigenen alle Körper durchdringenden und sie

innerlich beharrlich durch Anziehung und Abstoßung agitierenden Weltstoffs hat etwas befremdliches in sich; denn der Beweisgrund ist subjektiv, von den Bedingungen der Möglichkeit der Erfahrung hergenommen, welche bewegende Kräfte voraussetzt und das Leere ausschließt um den Raum mit einer immer regen Materie zu erfüllen welche allenfalls Wärmestoff oder Äther etc. genannt werden mag und dieser Satz a priori ohne Hypothese auf Begriffe zu gründen. — Nicht bloß die Befugnis dazu sondern auch die Notwendigkeit dergleichen allgemein verbreiteten Stoff zu postulieren hat ihren Grund in dem Begriffe desselben als hypostatisch gedachten Raumes. — Der Raum (wie auch die Zeit) ist eine Größe die nicht existieren kann ohne bloß als Teil eines noch größeren Ganzen. Da es aber ungereimt ist dass da Teile notwendig Gründe der Möglichkeit eines Ganzen sind ein Ding an sich bloß als Teil existieren könne denn das Ganze muss zuerst gegeben sein damit das Mannigfaltige in ihm als Teil gedacht werde28

.

Alla luce dei capitoli precedenti, si può formulare l’ipotesi che la fondazione

kantiana dell’Übergang ammetta la presupposizione dell’esistenza di una materia

riempiente lo spazio, poiché mira all’unificazione della trattazione meccanica e

dinamica della materia attraverso l’uso della matematica,29

così che deve poter esserci

un solo oggetto della possibile esperienza esterna nel campo della causalità delle

percezioni delle cose esterne:

Diese indirekte Beweisart der Existenz eines Dinges ist einzig in ihrer Art und darum auch befremdlich; aber sie wird weniger befremden, wenn man bedenkt dass der Gegenstand derselben auch einzeln und kein Begriff ist der mehreren gemein ist. Denn so wie es nur Einen Raum und nur Eine Zeit (als Objekte der reinen Anschauung) gibt so gibt es auch nur einen Gegenstand möglicher äußerer Erfahrung im Felde der Kausalität der Wahrnehmung von Außendingen; denn alle so genannte Erfahrungen sind immer nur als Teile einer Erfahrung vermöge des allverbreiteten unbeschränkten Wärmestoffs welcher alle Weltkörper in einem System verbunden und in Gemeinschaft der Wechselwirkung versetzt.30

L’etere (Wärmestoff) è unico e il suo non è un concetto comune a molti. Proprio

come le intuizioni pure di spazio e tempo hanno per oggetto un solo spazio e un solo

28 Opus postumum, KGS XXI, p. 221. 29 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, pp. 84-85. E’ spiegabile anche da questo punto di vista perché Kant definisca l’etere come un concetto intermedio (Mittelbegriff), che in qualità di spazio ipostatizzato è sia fondamento per la costruzione di concetti, ma anche oggetto della costruzione. 30 Opus postumum, KGS XXII, p. 554.

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tempo, vi può essere solo un oggetto della possibile esperienza esterna nel campo della

causalità della percezione delle cose esterne in generale.

Proprio a partire da questa unicità del concetto del solo oggetto della possibile

esperienza esterna si chiarisce la seconda caratteristica della prova dell’esistenza

dell’etere, quella dell’unicità. La prova è unica nel suo genere, e può essere impiegata in

una trattazione filosofica, perché il suo oggetto è un unicum, nel senso che è un concetto

da considerare come genere sommo. Così le esperienze non sono altro che parti di una

esperienza resa possibile dall’infinito e perenne etere che connette tutti i corpi cosmici

in un sistema e li pone nella comunanza di azione reciproca attraverso delle forze:

Also nur die E r s c h e i n u n g des Ganzen der bewegenden Kräfte der Materie das

Formale wie das Subjekt afficirt wird giebt a priori ein Prinzip an die Hand durch das Subjektive sie durch Einteilung ihrer aktiven und reaktiven realen Verhältnisse zu spezifizieren (nach den Axiomen der Anschauung, den Antizipationen der Wahrnehmung den Analogien der Erfahrung und der Affinität (Beigesellung, Koordination) der empirischen Vorstellung zur Einheit der Erfahrung) nicht fragmentarisch sondern das Materiale der Sinnenvorstellung systematisch zur collectiven Einheit des Bewusstseins vermittelst der Naturforschung zu verknüpfen. (denn das letztere enthält allein das formale Prinzip derselben was a priori zur empirischen Erkenntnis eines Ganzen der bewegenden Kräfte konform der Einheit des Raumes und der Zeit wodurch was analytisch dem Begriffe nach synthetisch in der empirischen Anschauung verbunden wird.31

Ci si trova di fronte ad un’altra configurazione dello spazio come intuizione

formale, uno spazio diverso da quello geometrico, compatibile con uno spazio-tempo

relazionale.32

Perciò, quando Kant parla dell’etere come materia riempiente tutto lo spazio

cosmico, e dunque di una materia che coincide con esso, si riferisce allo spazio

ipostatizzato, che riempie di contenuto l’intuizione pura del senso esterno, ovvero

conferisce ad esso oggettività secondo regole formali. Lo spazio ipostatizzato viene in

questo modo pensato come fondamento, come sostanza, come ciò che soggiace alle

proprietà percepibili della materia, viste come sue conseguenze.

Questa rappresentazione dell’unità materiale spazio-temporale, secondo i

principi dell’intelletto puro, rende possibile la conoscenza empirica, nel fenomeno, di un

tutto delle forze motrici della materia, la cui azione può essere localizzata attraverso la

composizione di esse e secondo una coordinazione delle parti reciprocamente agenti,

anche in base all’uso dei concetti di riflessione di identità, diversità, interno, esterno,

accordo, contrasto, materia e forma.

31 Opus postumum, KGS XXII, p. 338. 32 Cfr. infra, Appendice.

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Ora, se queste non sono altro che il sistema dei rapporti reciproci attivi di forze

derivate da attrazione e repulsione, se ne deduce che il loro fondamento, il loro sostrato,

non sia altro che loro condizione di possibilità reale, oggettiva, che noi possiamo

accogliere, sebbene indirettamente, nel senso esterno, e ciò non può essere lo spazio

vuoto, in cui il movimento non sarebbe trasferibile con continuità da un corpo ad un

altro, bensì lo spazio completamente riempito, che da un punto di vista formale deve

essere pensato come una materia riempiente lo spazio, continua, onnipenetrante e

semovente.

5.2 L’esistenza dell’etere provata ipoteticamente

Prima di procedere è necessario spiegare perché e in che senso la prova sia di

natura ipotetica, cioè abbia non solo il carattere di una prova indiretta e soggettiva la cui

verità procede a priori dal principio della possibilità dell’esperienza in generale, ma

anche da un fondamento negativo dell’accordo del concetto di un’esistenza di una

materia con le condizioni della possibilità dell’esperienza. Nell’Übergang si legge:

Der Wärmestoff ist also kein hypothetischer Stoff: der Beweis aber seiner Wirklichkeit ist ein hypothetischer Beweis weil seine Wahrheit auf dem Prinzip der Übereinstimmung desselben mit der Möglichkeit der Erfahrung von dem Gegenstande desselben beruht. Der Beweis hat einen negativen Grund […]. Die Existenz eines gewissen Stoffs den man sich denkt steht unter dem negativen Prinzip der Einstimmung des Begriffs von ihm „mit den Bedingungen der Möglichkeit der Erfahrung von demselben“.33

Il concetto di una materia onnipenetrante, perennemente oscillante e semovente,

trae il suo fondamento negativo dal fatto che se lo spazio non fosse percepito allora non

sarebbe un oggetto34

. E lo spazio vuoto è un non ente, perciò il suo contrario secondo il

principio di identità è necessario da un punto di vista logico. Ma dal punto di vista

trascendentale la negazione dello spazio vuoto svela un principio sintetico a priori a

fondamento della posizione dell’etere:

33 Opus postumum, KGS XXI, p. 545; 547; 216: “Diese indirekte Beweisart nicht objektiv aus Erfahrung (empirisch) sondern aus dem Prinzip der Möglichkeit der Erfahrung überhaupt (a priori) folglich subjektiv Beweis zu führen hat etwas Befremdliches an sich; denn eine solche Schlussart scheint überall nicht folgerecht und möglich zu sein. — Man will wissen ob so etwas als der im Universum verbreitete alldurchdringende Stoff (er heiße nun Wärmestoff oder Äther oder sonst wie) existiere und bekommt zur Antwort dass wenn er nicht existierte selbst die Möglichkeit der Erfahrung von einem solchen unstatthaft sein würde welche doch a priori feststehend nicht bezweifelt werden kann“. 34 Opus postumum, KGS XXII, p. 421.

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Das Subjektive der Bestimmung meiner selbst ist zugleich objektiv nach der Regel der Identität nach einem Prinzip der synthetischen Erkenntnis a priori u. es ist nur Ein Raum u. Eine Zeit welche jede ein unbedingtes Ganze der Anschauung in der Anschauung d.i. als unendlich vorgestellt werden und mein synthetisches Erkenntnis a priori ist als Trans: Phil. ein Überschritt von den metaphysischen A. Gr. der N. W. zur Physik d.i. zur Möglichkeit der E r f a h r u n g . 35

Secondo le parole di Kant è possibile risalire dalla realtà effettiva delle

conseguenze – le relazioni reciproche delle proprietà della materia – alla realtà effettiva

del fondamento – la materia come etere –, che è in grado non solo di unificare il sistema

oggettivo delle forze motrici della materia, ma anche il sistema soggettivo delle forze

motrici da cui il soggetto è affetto, così da accordarsi con le condizioni di possibilità

dell’esperienza.

Se si possono percepire, ordinare e conoscere gli effetti dei rapporti reciproci

attivi della materia, allora ciò significa, per Kant, che anche il loro fondamento ha un

grado di realtà. Se il complesso delle percezioni dei rapporti reciproci attivi della

materia può trarre il suo fondamento di determinazione completa dall’etere, allora

quest’ultimo esiste perché in accordo con le condizioni dell’esperienza possibile ed è

per questo completamente determinato. Le pagine della Critica della ragione pura

possono gettare luce sulla prova dell’esistenza dell’etere, soprattutto se si considera la

sezione riguardante i postulati del pensiero empirico in generale, sotto l’aspetto della

conoscibilità della realtà oggettiva dei concetti e dell’esistenza di una cosa la cui

percezione possa precederne il concetto. Sul primo punto Kant è esplicito e lega la

nozione di verità trascendentale agli schemi della relazione (le analogie

dell’esperienza):

E’ quindi solo dal fatto che questi concetti esprimano a priori i rapporti delle percezioni

in ogni esperienza, che si conosce la loro realtà oggettiva, ossia la loro verità trascendentale, e ciò, senza dubbio, indipendentemente dall’esperienza, ma non indipendentemente da ogni relazione con la forma di un’esperienza in generale, e con l’unità sintetica in cui soltanto possono venir conosciuti empiricamente gli oggetti.36

E veniamo al paradosso della prova dell’esistenza dell’etere: come è possibile

provarne l’esistenza a priori e secondo concetti, se “nel semplice concetto di una cosa,

non si può affatto ritrovare alcun carattere della sua esistenza”?37

Peraltro anche nella Critica della ragione pura Kant ribadisce che l’esistenza è

toccata soltanto dalla questione se una cosa ci sia data in modo che la percezione della

35 Opus postumum, KGS XXII, p. 85. 36 KrV, A221-222/B269. 37 KrV, A225/B272.

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cosa possa precedere il concetto. Dunque, la percezione è il carattere originario ed

autentico della realtà.

L’etere, di cui è impossibile una percezione immediata, è tuttavia esistente nella

misura in cui la sua esistenza si connette con le percezioni in un’esperienza possibile,

secondo le proposizioni fondamentali della loro connessione empirica, ossia le analogie

dell’esperienza. Il connettivo in questione, l’elemento che media tra ragione e natura, è

rappresentato dalle forze motrici della materia, che influiscono sull’affezione sensibile

del soggetto e sul movimento dei corpi fisici.

5.3 Ricostruzione dell’argomentazione e il problema dell’esibizione

Come si è anticipato, esistono diversi lavori di ricostruzione delle molte versioni

della prova dell’esistenza dell’etere, tra cui quelli di Pecere, in Italia, e quelli di Förster,

Edwards e Friedman nell’ambito anglosassone. Grazie a questo materiale, e a quello

raccolto da I. Heidemann nella sua edizione dell’Übergang von den metaphysischen

Anfangsgründen der Naturwissenschaft zur Physik del 1996, è possibile accedere al

cuore dell’argomentazione kantiana. Questa ricerca, tenendo presente l’importanza del

ruolo giocato dalla logica nello sviluppo del pensiero kantiano, attribuisce alla ragione

la capacità di compiere il Passaggio dai principi della scienza della natura alla fisica.

La ragione, infatti, come facoltà dei principi e delle idee, compie, assecondando

la sua natura sistematica e totalizzante, il seguente sillogismo:

1- Il tutto delle percezioni appartiene all’unità dell’esperienza come effetto delle

forze motrici impressionanti il soggetto.

2- L’omnitudo collettiva delle forze motrici è l’effetto del tutto della materia che

influisce sul soggetto.

3- Il tutto delle percezioni è esibizione (Darstellung) della materia che è Basis

del sistema delle forze motrici.

Il principio che soggiace a questa catena di inferenze della ragione afferma che

ciò che appartiene all’esperienza, che è solo una, come suo fondamento di

determinazione, è reale.

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Ora, le interpretazioni che hanno additato la prova dell’esistenza dell’etere come

segno di forte discontinuità con la prima Critica, di fronte a questa osservazione,

possono essere accantonate, in quanto questo principio non sembra essere in alcun

modo contrario al più genuino criticismo. Il principio ontologico di matrice wolffiana

Omnimoda determinatio est existentia et existentia est omnimoda determinatio viene

trattato approfonditamente da Kant sia nelle lezioni di metafisica che nella KrV a

proposito della prova ontologica dell’esistenza di Dio. E’ noto che Kant avesse ripreso

principi ontologici e metafisici della scolastica (come il principio forma dat esse rei) e

della tradizione tedesca, declinandoli però nell’alveo della filosofia trascendentale. Nel

caso della determinazione completa Kant fa valere l’impossibilità del passaggio dalla

possibilità alla realtà (a posse ad esse non valet consequentia) e riduce la definizione

wolffiana a existentia est omnimoda determinatio:

Wenn nun ein gewisser zwar anfangs nur hypothetisch angenommener Stoff als Gegenstand möglicher Erfahrung gedacht wird so ist die Zusammenstimmung seiner Reqvisite wenn der Begriff davon zugleich die durchgängige Bestimmung desselben nach dem Satz der Identität enthält zugleich ein Beweis seiner Wirklichkeit (existentia est omnimoda determinatio) und da diese auf das All der mit einander Verbundenen Kräfte geht seiner Einzigkeit (vnicitas) dass nämlich jedes Ganze desselben im Raumesverhältnis zu anderen Systemen mit diesen relativ auf die bewegende Kräfte der Materie ein absolutes Ganze und absolute Einheit aller möglicher Gegenstände der Erfahrung hiermit aber zugleich die Existenz eines solchen Ganzen ausmacht, dessen Erkennbarkeit mithin Möglichkeit das Dasein einer solchen a priori (als notwendig) darzutun davon die Folge ist.38

Nel Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, Kant

ricorre al principio della determinazione completa, attribuendo quest’ultima all’etere. In

primo luogo, perché esso è una materia (come vi è uno spazio, un tempo e una sola

esperienza) ed è per questa unicità completamente determinato nel suo concetto, in cui è

posta anche l’esistenza. Vale a dire: la sua possibilità é posta solo se esso viene inteso

come un unicum continuo:

So ist die erste Frage ist jener Satz analytisch oder synthetisch — Im ersteren Falle ist

das Dasein im Begriffe enthalten im zweiten kommt es über den Begriff als Bestimmung desselben hinzu. Beides aber ist falsch so wohl dass ein Dasein im Begriffe enthalten sei oder dass das Dasein etwas sei was als Bestimmung eines Dinges über den Begriff desselben zu ihm hinzukommt. Denn der Begriff des Dinges wird hierdurch nicht erweitert sondern das Ding selbst nur gesetzt. Also enthalt diese Frage nur ein Verhältnis der Dinge zum Denken aber nicht zu einander: Ob mein Denken (setzen oder aufheben) notwendig oder zufällig ist.39

38 Opus postumum, KGS XXI, pp. 577-578.

39 Loses Blatt, KGS XX, p. 350.

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L’esistenza dell’etere è posta, nel senso che l’etere stesso come Ding (come cosa

del pensiero) è posto,40

ma solo in relazione al pensiero stesso ed il suo esser posto

come esistente mantiene col pensiero una relazione di necessità. In primo luogo, infatti,

senza una materia, che con le sue forze generi impressioni nel soggetto, la sensazione

non sarebbe possibile. Il fatto che essa contenga un grado e che nella percezione sia

coinvolta una coscienza è una prova, sebbene indiretta, dell’esistenza di una materia. In

secondo luogo, l’etere, in quanto unico, è il fondamento di determinazione per l’unità

collettiva dell’esperienza come sistema delle percezioni che vengono rappresentate

come un tutto connesso:

Dieser indirekte Beweis ist einzig in seiner Art welches nicht befremden darf, da er auch einen einzelnen Gegenstand welcher nicht logische sondern reale Allgemeinheit bei sich führt, betrifft. — Es ist hier eine Gestammtheit (omnitudo collectiva) der Gegenstände Einer Erfahrung statt der verteilbaren (omnitudo distributiva) welche bloß logisch ist und von der Existenz des Objekts abstrahiert, vorhanden. Was mit jener zusammenstimmt ist wirklich (existentia est determinatio omnimoda heißt es in der Ontologie); aber diese durchgängige Bestimmung empirisch (wie im Übergange von den metaphys. Anf. Gr. zur Physik beabsichtigt wird) zu Stande zu bringen ist schlechterdings unmöglich; wohl aber in Beziehung auf die absolute Einheit möglicher Erfahrung überhaupt in so fern das Objekt dieses Begriffs Eines und Alles der äußeren Sinnenobjekte ist und die Deduktion des Wärmestoffs als der Basis jenes Systems bewegender Kräfte hat ein Prinzip a priori nämlich das der notwendigen Einheit in dem Gesammtbegriffe der Möglichkeit Einer Erfahrung zum Grunde liegen welche zugleich die Wirklichkeit dieses Objekts identisch also nicht synthetisch sondern analytisch mithin zu Folge einem Prinzip a priori bei sich führt. — Es kommt nicht darauf an auszumachen welche Objekte uns für die Erfahrung gegeben sind sondern wie die Erfahrungen beschaffen sein müssen um diese Objekte zu geben.41

L’universalità collettiva (omnitudo collectiva) cioè l’universalità reale42

La ragione fornisce un’ipostatizzazione dell’idea della somma di tutto il reale

(etere come somma della realtà materiale), ovvero lo spazio (forma pura del senso

è

contenuta nell’oggetto della prova. Poiché l’oggetto di questo concetto è uno, in quanto

tutto degli oggetti del senso esterno. Infatti, lo spazio ipostatizzato può essere

rappresentato come tutto (unico), oppure come diviso in un’infinità di parti, secondo il

principio della sua rappresentazione, che è la singolarità. Proprio per il suo carattere di

forma dell’intuizione, lo spazio consente di procedere dalle parti al tutto e viceversa dal

tutto alle parti secondo il principio di identità.

40 Si noti come l’Erläuterung, il chiarimento, abbia a che fare con il porre. Questo passaggio può aprire una riflessione sul significato in Kant di “analitico”. 41 Opus postumum, KGS XXI, p. 586. 42 Opus postumum, KGS XXI, pp. 582-83: “Es ist äußere Erfahrung als collectives Ganze aller Wahrnehmungen d. i. als Eine allbefassende mögliche Erfahrung Es existiert ein Sinnenobjekt außer uns zu dessen Wahrnehmung äußerlich bewegende Kräfte der Materie erfordert werden deren empirische Vorstellung in einem Subjekt verbunden die Basis aller Erscheinungen ist die zusammen die Einheit der Erfahrung ausmachen“.

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esterno) ipostatizzato o realizzato, in cui sono inclusi i rapporti reciproci interni tra

soggetto, forze motrici e materia:

Ein Ganzes zugleich existierender äußerer Sinnenobjekte ist gegeben (wenn man nicht den Idealismus adoptieren will dessen Behauptung zu einem anderen Fache der Philosophie gehört, von dem hier nicht die Rede ist). — Das Prinzip der Zusammenstimmung aller Wahrnehmungen mit den Bedingungen der Möglichkeit der Erfahrung schließt alles Leere aus weil es kein Gegenstand möglicher Erfahrung ist — Erfahrung aber von Außendingen kann was das Materiale betrifft nur als Wirkung der Sinnenobjekte auf das anschauende Subjekt gedacht werden. — Also kann der Allgemeinheit dieses Satzes halber nicht die Erfahrung selbst (objektiv) sondern muss die Bedingung der Möglichkeit der Erfahrung überhaupt (d. i. subjektiv für das Erkenntnisvermögen) also kann es auch nur indirekt die Existenz eines solchen allgemein verbreiteten Weltstoffs und zwar nach Prinzipien a priori beweisen; daher auch dieser Beweis der einzige seiner Art ist weil die Idee von der distributiven Einheit aller möglichen Erfahrung überhaupt hier mit der collectiven in einen Begriff zusammenfällt.43

Solo nel concetto di un oggetto dell’esperienza possibile, che non è dedotto da

alcuna esperienza, ma anzi la rende possibile, viene rinvenuta la realtà oggettiva, non

sinteticamente, ma analiticamente, secondo il principio di identità e l’omnimoda

determinatio ne prova la necessità (perché il suo contrario, ovvero il concetto dello

spazio vuoto, è impossibile e non è in accordo con i principi dell’esperienza possibile).

L’esistenza dell’etere è un postulato, ottenuto mediante una prova indiretta,

asseconda un compito necessario, ma è anche un principio dotato di necessità

soggettiva, in quanto é un principio formale della possibilità del tutto dell’esperienza in

generale, necessario per costituire un sistema delle forze motrici.44

Kant gioca con dei concetti chiave che in realtà visti da punti di vista diversi

rispondono ad un rapporto di fondamento-conseguenza (Grund-Folge): esperienza,

materia, forza e percezioni devono essere unificati secondo l’universalità collettiva della

loro connessione grazie ad un fondamento (Basis) o etere.

Ciò che fa problema è stabilire se effettivamente questo fondamento possa

rendere conto di tutte le conseguenze possibili in vista dell’esperienza, ovvero come

siano possibili giudizi sintetici a priori e dunque l’esperienza stessa, intesa come

complesso delle percezioni e dei rapporti reciproci attivi fra le forze motrici della

materia in un tutto sistematico.

43 Opus postumum, KGS XXI, p. 552. 44 Si noti qui la differenza con la Critica della facoltà di giudizio, in cui il sostrato soprasensibile invocato da Kant è inscritto in una fondazione trascendentale, per risolvere un problema epistemologico dell’esibizione della conformità a scopi. Nell’Opus postumum invece la fondazione del tutto dell’esperienza possibile ricorre ad una fondazione logica e metafisica che mira all’esibizione (Darstellung) del suo concetto determinando un corrispettivo, per così dire costruito a priori: l’etere.

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E’ necessario mostrare dunque se possa essere mantenuta la validità

dell’Idealismo trascendentale e del Sistema dei principi dell’intelletto puro, come

scaturenti dal medesimo fondamento. Questo tipo di analisi darebbe conto di uno dei

passaggi più controversi, presenti nell’Opus postumum, quello concernente quella che

Vittorio Mathieu ha chiamato “la Dottrina dell’auto-posizione”. Essa non è altro che la

riformulazione della deduzione dell’unità sintetica dell’appercezione, dell’Io,

rispondente allo scopo di essere sempre legata alla dimensione spazio-temporale ed

essere condizione di possibilità dei principi intelletto puro.

La deduzione è però posta in un rapporto di fondamento-conseguenza con la

prova dell’esistenza dell’etere. Sebbene il concetto di ragione di quest’ultimo sia trattato

in modo particolare, sicuramente non viene trattato come l’idea di Dio,45 ma come

quella dell’Io, con una differenza specifica che riguarda la sua natura di principio di

determinazione del complesso delle percezioni del senso esterno.46

5.4 Il postulato del principio del Passaggio dai principi metafisici della scienza

della natura alla fisica

L’aspetto che più colpisce nelle sezioni dell’Opus postumum sulla deduzione

dell’etere è quello per cui esso sembra diventare un postulato, costitutivo del Sistema

elementare delle forze motrici e del Sistema del Mondo in un tutto47, così che deve

essere necessariamente esistente. Kant giunge ad attribuirgli in parte proprietà di

un’ipotesi necessaria, dall’altra di postulato, ricalcando il modello seguito nella

costituzione della proposizione “Dio esiste”. Questa è problematica, se presa per sé

stante, ma non è tenuta per vera problematicamente, in quanto oggetto di una fede

razionale morale.48

Nella KdU, Kant scrive in riferimento ad un essere di ragione (ens

rationis ratiocinatae):

Di quest’ultimo è possibile provare sufficientemente la realtà oggettiva del suo concetto, almeno per l’uso pratico della ragione, poiché questo uso, che ha a priori i suoi principi peculiari e apoditticamente certi, perfino lo esige (lo postula)49

45 Questa tesi è invece sostenuta da M. Friedman (1992).

.

46 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, pp. 554-555, 420, 84-85. 47 A tale proposito Mathieu ha sviluppato l’ipotesi che sia proprio la prova dell’esistenza dell’etere ciò che permette il passaggio dal sistema elementare delle forze motrici al sistema del mondo. 48 Per una chiara esposizione della deduzione dell’etere cfr, Michael Friedman, Kant and the Exact Sciences, Cambridge-London 1992, pp. 220-222 e 290-341; Vittorio Mathieu, L’Opus postumum di Kant, Napoli 1991, pp. 117 e segg. Per la comparazione tra la proposizione che afferma l’esistenza di Dio e quella dell’etere, cfr. M. Capozzi, Kant e la logica, vol. I, pp. 684-685. 49 KdU, KGS V, p. 468.

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E’ questa l’anomalia che non convince. L’esistenza dell’etere è per il

cosmotheoros non per il cosmopolites. L’anomalia risiede nel fatto che la prova

dell’esistenza dell’etere procede come se il suo concetto potesse essere oggetto dell’uso

pratico della ragione. Nella KdU si legge:

Oggetti per concetti la cui realtà oggettiva può essere provata (…) sono cose di fatto

(res facti).50

Lo scarto tra l’idea di Dio è il concetto dell’etere è che di quest’ultimo ci può

essere esibizione nell’ambito dell’Übergang, cioè il suo concetto può venir costruito

secondo principi metafisici, seguendo il filo conduttore delle funzioni logiche nei

giudizi, e può essere tradotto nel dominio della fisica grazie alla valutazione matematica

della forza.

Il concetto di etere deve essere presupposto e costruito a priori secondo le

proprietà fondamentali delle forze motrici della materia, ovvero è necessaria la

presupposizione dell’esistenza di esso per poter procedere alla costituzione della fisica

come sistema. Come accadeva nel caso del concetto della materia in generale, l’etere

non è conoscibile direttamente e la divisione delle forze motrici della materia non serve

per conoscere l’etere, bensì per darne un’esibizione (Darstellung), a partire dalla quale

il filosofo della natura pensa la connessione tra metafisica e fisica.

Il problema che può essere sollevato, dunque, circa la trattazione della prova

dell’esistenza dell’etere, ovvero che questo concetto, in quanto fondamento, sia trattato

similmente a quello di Dio, cioè venga postulato, in realtà può essere risolto se si

considera il legame con l’agire, cioè da un lato con l’uso della scienza del Passaggio,

che viene fatto dal filosofo della natura, dall’altro con la peculiare capacità

dell’intelletto di fare concetti e della ragione di escogitare principi della forma della

connessione sistematica e del rapporto reciproco delle nostre conoscenze51

Non è un caso, infatti, che Kant in queste pagine manoscritte, abbia insistito così

tanto sul fatto che non sia sufficiente il talento di un bravo matematico, fisico, chimico o

poeta, perché un uomo sia “degno” della Menschheit, occorre altresì che lo scienziato

.

50 KdU, KGS V, p. 468. 51Cfr. Opus postumum, KGS XXI, p. 226: “Dass ein Stoff im Weltraume existiere der die Basis aller bewegenden Kräfte der Materie ausmache kann a priori schon nach dem Prinzip der Identität schon daraus gefolgert werden weil selbst die Wirklichkeit (actualitas) des leeren Raums ohne Begrenzung durch den vollen kein Gegenstand möglicher Erfahrung sein würde. Die Materie wirkt Die Willkür handelt Der nach Zwecken (artificialiter) handelnde operiert. agere, facere, operari.”

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abbia non solo il talento (Talent), ma anche un legame con la dimensione etico-pratica,

non solo tecnico-pratica della ragione e che subordini quest’ultima alla prima.

Il soggetto dell’Übergang è connotato chiaramente: è il cosmotheoros, colui che

contempla il mondo, colui che è in grado di averne una rappresentazione e di darne una

esibizione che tenda alla completezza e alla sistematicità, che sa vedere le connessioni

che si danno in esso e che sa escogitare nuove forme di comprensione della molteplicità

secondo principi della ragione.52

Come è possibile, infatti, mantenere la conquista della separazione tra fenomeno

e noumeno, seppure ce ne può essere un’unificazione nel soggetto che pensa la

relazione reciproca sia del dabile che del cogitabile, e dunque come mantenere in piedi

la filosofia trascendentale senza contravvenire al criticismo, avanzando la pretesa

dell’esistenza (omnimoda determinatio) di ciò che è dato a priori con una prova

analitica? Il grande tentativo di Kant risiede nell’operazione di voler conseguire il

fondamento del reale dell’etere, come condizione di possibilità per la rappresentazione

della totalità delle forze motrici della materia, dal punto di vista soggettivo secondo il

principio Forma dat esse rei.

Si vede così che non è l’etere in sé ad essere postulato, ma, sviluppando elementi

già presenti nella Critica della ragione pura nella dottrina dell’autoposizione, è

postulato il formale della connessione del reale della percezione, a cui l’etere come

concetto reale può conformarsi. Nella prima Critica si legge:

L’unità dell’universo, nel quale debbono essere connesse tutte le apparenze, è evidentemente una semplice deduzione dalla proposizione fondamentale – tacitamente assunta – della comunanza di tutte le sostanze che sono simultanee. In effetti, se tali sostanze fossero isolate, esse non costituirebbero, come parti, un tutto; e se la loro connessione (azione reciproca del molteplice) non fosse già necessaria in vista della simultaneità, che è una relazione semplicemente ideale, dedurre quella connessione, che è una relazione reale. Tuttavia, noi, in luogo opportuno, abbiamo mostrato che la comunanza è davvero il fondamento della possibilità di una conoscenza empirica della coesistenza e che perciò si può concludere propriamente dalla coesistenza alla comunanza, solo intendendo quest’ultima come condizione.53

A fronte di queste considerazioni è possibile comprendere al meglio l’attributo

della realtà dell’etere, in sede di Passaggio dai principi metafisici della scienza della

52 Ancora nell’ultima fase della produzione kantiana ci si trova di fronte al rafforzamento del ruolo architettonico della ragione e della sua capacità di costruire sistemi, il che viene confermato dalla costituzione di ciò che Kant chiama il punto di vista supremo della filosofia nel sistema delle idee trascendentali: Dio, Mondo e Uomo nel Mondo. Da questo sistema viene esclusa la materia cosmica, ma al contrario di ciò che appare, Kant non abbraccia per questo una posizione idealista, anzi, il fatto che la materia dell’Übergang non sia inserita in un sistema delle idee trascendentali è il sintomo del profondo legame tra questa e la percezione. 53 KrV, B 266 nota.

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natura alla fisica. L’etere é determinato completamente come condizione di possibilità

dell’esperienza sia soggettiva che oggettiva della percezione, in quanto questa

esperienza è l’effetto dell’azione di forze motrici sugli organi dei sensi ed anche

un’anticipazione, come effetto dell’attività dell’autocoscienza, che si pone come

fenomeno nello spazio e nel tempo. La condizione perché si possa formulare la

proposizione “vi sono corpi fisici” poggia sulla condizione di una materia che per sé

forma un tutto come base (Basis) di tutte le altre materie dotate di movimento e per se

stesso forma il tutto cosmico di un elemento che designa universalmente l’esistenza di

una materia, l’etere appunto, in perenne movimento. Questo aspetto esprime l’esigenza

trascendentale di uno spazio pieno, a fronte della proposizione del problema, in nuce già

nella Critica della ragione pura, della possibilità della natura come totalità dinamica,

ammettendo l’influsso fisico tra le sostanze come fondamento della loro comunanza in

una totalità reale. Per questa ragione l’etere deve assumere il carattere della totalità della

materia, dotata a priori del movimento originario.

Nell’ultima fase di elaborazione del Passaggio dai principi metafisici della

scienza della natura alla fisica, Kant considera lo spazio stesso come una posizione del

soggetto, e l’azione del soggetto sull’oggetto sensibile esterno rappresenta tale oggetto

nel fenomeno, e precisamente con le forze motrici dirette sul soggetto, le quali sono la

causa della percezione. Pertanto l’affezione mediante forze motrici risulta come una

situazione anticipata a priori in vista dell’esperienza e come azione del soggetto su se

stesso.54

L’io penso trova in sé il suo fondamento di determinazione agendo su un

materiale (Stoff), e la deduzione presente nel Passaggio è necessaria per unire filosofia

e fisica. Questo materiale da determinare non è la materia in generale, ma

l’anticipazione di un materiale universalmente diffuso nello spazio. Kant pone l’etere

come condizione materiale dell’esperienza, a fondamento del tutto collettivo delle

percezioni basate sull’azione delle forze, così che il sistema delle forze motrici sia il

fondamento del sistema delle percezioni fisiche:

55

54 Cfr. Opus postumum, pp. 232-233: “La cosa sta così: la percezione è rappresentazione empirica con coscienza che essa è tale, e non semplicemente intuizione spaziale pura. Ora l’azione del soggetto sull’oggetto sensibile esterno rappresenta tale oggetto nel fenomeno, e precisamente con le forze motrici dirette sul soggetto, le quali sono la causa della percezione. Si possono dunque determinare a priori queste forze, che pongono in atto la percezione, come anticipazioni delle rappresentazioni sensibili nell’intuizione empirica, purché si esibisca in generale a priori, secondo principi del movimento, l’azione e la reazione delle forze motrici (tra le quali forze van compresi anche l’intelletto e il desiderio), la cui rappresentazione è identica con la percezione; queste come potenze dinamiche, sono specificate e classificate dall’intelletto secondo le categorie”.

55 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 614.

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E’ strano: pare affatto impossibile esibire a priori percezioni in favore dell’esperienza; eppure senza di ciò non si avrebbe punto una fisica, la quale è un loro sistema. Bisogna poter enumerare queste forze reagenti. Ciò interessa il problema dei principi della indagine naturale. Solo quelle forze che noi possiamo porre nei fenomeni, possiamo trarle dall’empirico in favore dell’esperienza. Non l’osservare, ma lo sperimentare è il mezzo per scoprire la natura e le sue forze. Gli assiomi dell’intuizione possono e debbono essere fondati a priori. Ma qui sono anticipazioni di concetti empirici quelle che vengono elevate a principi, e, pertanto, anche a principi della conoscenza a priori.56

Pertanto, è solamente a partire dalla necessità di un’universalità collettiva posta

a fondamento della possibilità di pensare l’etere e dalla distinzione effettuata tra dabilis

e cogitabilis,57

che può essere formulata l’ammissione a priori di uno spazio

continuamente riempito e ipostatizzato, come principio del sistema elementare delle

forze:

Assumere l’esistenza di una materia diffusa ovunque, onnipenetrante e che muove ogni cosa (e per ciò che concerne il tempo, si può ancora aggiungere: che è l’inizio primo di tutti i movimenti), la quale riempie lo spazio cosmico, è un’ipotesi che non è bensì – né può essere – appoggiata su alcuna esperienza, e che, quindi se ha un fondamento, dovrebbe risultare a priori, come un’idea, dalla ragione: o che serva a spiegare certi fenomeni (nel qual caso quella materia è solo pensata come un elemento semplicemente ipotetico), o che la si postuli, perché in un qualsiasi movimento le forze motrici della materia devono pur cominciare ad agitare, oppure se quell’elemento debba essere considerato assolutamente come oggetto dell’esperienza (dato). […] Ma soggettivamente, le percezioni esterne (…) prima ancora che si chieda quali oggetti dei sensi possano o non possano essere oggetti dell’esperienza, esse vengono postulate, sempre che si parli della forma della loro connessione, cioè del formale d’una esperienza possibile, e ci si domandi se l’oggetto sia ad essa conforme o no (Forma dat esse rei): nel qual caso ci si riferisce all’unità collettiva dell’esperienza e alle sue condizioni. La loro unità nella determinazione completa dell’oggetto è, al tempo stesso, la realtà di esso.58

Una volta stabilito a) il duplice statuto dello spazio come fenomeno secondo il

formale, come forma pura dell’intuizione,59 e b) che lo spazio possa essere oggetto

sensibile solo mediatamente,60 il principio sulla base del quale risulta possibile questa

configurazione dello spazio è quello del Forma dat esse rei, capace di rendere il

complesso dell’esperienza come un tutto assoluto, e di presentare mediante la

postulazione dello spazio ipostatizzato, il concetto del rapporto col fondamento del

reale:61

56 Opus postumum, trad. it., a cura di V. Mathieu, p. 232. 57 Cfr. Opus postumum, trad. it., a cura di V. Mathieu, p. 258. 58 Opus postumum, trad. it., a cura di V. Mathieu, pp. 167-169. 59 Opus postumum, KGS XXI, p. 271. 60 Opus postumum, KGS XXI, p. 272. 61 Cfr. Opus postumum, KGS XXI, pp. 261-270 per il principio di determinazione completa.

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L’x come intelligibile che impressiona il soggetto non è una cosa data, esistente per sé, o un oggetto sensibile, bensì l’ens rationis che si trova nell’intelletto, e che è semplicemente il rapporto del fondamento del reale.62

Si torna così ai fondamenti teorici analizzati nel Capitolo I, in merito all’oggetto

= X e all’idealismo trascendentale di spazio e tempo. Lo schematismo dello spazio

assoluto è possibile, se e solo se lo si considera come un Gedankending. Infatti, il tempo

presuppone sempre lo spazio e che questo sia un continuum, divisibile all’infinito e,

dunque, mai completamente determinato, ma solo determinabile. Lo spazio può essere

sia forma pura della sensibilità, dunque elemento soggettivo della conoscenza, sia

rappresentabile come oggetto, sebbene solamente cogitabilis, come intuizione formale.

Lo spazio diviene pensabile come oggetto d’esperienza, in quanto riempito totalmente

di materia, per rispondere all’esigenza di continuità percettiva dell’esperienza.

Resta, in ultima analisi, da affrontare l’ultimo passaggio inerente alla deduzione

dell’etere, ovvero quello dell’inferirne l’esistenza mediante una prova secondo il

principio di identità, in base alla considerazione del fatto che il modo di essere di una

condizione materiale percettiva dell’esperienza è l’esistenza, così che ammettere che lo

spazio pieno è condizione dell’esperienza significa ammetterne l’esistenza: l’etere

diventa senz’altro un materiale cosmico posto dalla ragione.63

Le interpretazioni che non scelgono di indagare il campo della metafisica aperto

dalla filosofia trascendentale considerano l’esito della prova dell’esistenza dell’etere

nell’Opus postumum altamente problematico e fallimentare dal punto di vista della

storia della scienza.

64

Nonostante l’evidente fallimento sul piano scientifico, accompagnato però

all’elaborazione di un sistema di forze e a una classificazione dei corpi naturali più

avanzate per l’epoca, questa ricerca sostiene anche che l’esito e lo svolgimento della

prova mostrano una continuità con gli elementi precedenti della filosofia kantiana e

certo rappresentano un arricchimento della filosofia trascendentale. Gli appunti

dell’Opus postumum lasciano spazio a considerazioni di più ampio respiro sulla

filosofia trascendentale stessa e sulla concezione kantiana di Naturphilosophie.

65

62 Opus postumum, KGS XXI, p. 266.

Dal

63 Opus postumum, KGS XXII, p. 554: “Il calorico è esistente, perché il concetto di esso (insieme agli attributi che noi ascriviamo ad esso) rende possibile la totalità dell’esperienza”. 64 Si veda a proposito del fallimento della deduzione dell’etere l’analisi condotta da M. Friedman, Kant and the Exact Sciences, pp. 325-328 e per la ricostruzione della prova dell’etere E. Forster, Kant’s Final Synthesis, p. 89. 65 Cfr. S. Marcucci, Kant e la conoscenza scientifica, Lucca 1988.

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passo seguente, ad esempio, si deduce che Kant abbia ripensato il concetto di

“analitico”:

Es ist aber in der reinen Anschauung des Raumes und der Zeit a priori auch der Begriff der Einheit der durchgängigen Verbindung der Materie d. i. eines beweglichen und bewegenden Stoffs enthalten welcher ein Elementarsystem der bewegenden Kräfte der Materie notwendigerweise, doch nur in der Idee, darstellt welches ein Gegenstand möglicher Erfahrung ist in welchem ihre bewegende Kräfte im Akt der Bewegung d. i. als agitierend (wirklich bewegend) sind denn ohne das wären sie nicht Gegenstände möglicher Erfahrung weil sie gar nicht auf äußere Sinne wirkten und es kann subjektiv d. i. für die äußere Sinne in der Welt kein schlechthin leerer Raum (und eine dergleichen leere Zeit) sein ohne dass beide durch Materie und ihre bewegende Kräfte erfüllet würden, ein Satz der seinen Beweis von keiner Erfahrung entlehnt sondern nach dem Prinzip der Identität schon im Begriffe der Materie als eines agitierenden Stoffs enthalten ist. — Die Frage ist ob jener Satz analytisch oder synthetisch das letztere aber nur indirekt sei? 66

La scienza del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla

fisica si costituisce a partire dal suo principio supremo, la materia nel suo concetto

collettivo, che è in grado di garantire l’unità del sistema soggettivo (dabile) quoad

materiale delle forze motrici e di quello oggettivo (cogitabile) quoad formale delle

forze motrici, cioè delle sue proprietà in cui il soggetto è inserito, in quanto affetto

dall’azione della materia, sebbene indirettamente.

E’ ora utile richiamare la distinzione kantiana tra l’ appercezione pura e quella

empirica come fondamento della distinzione dell’azione esercitata dalla materia sul

soggetto stesso, il quale a sua volta compie un atto di determinazione a priori delle

proprietà fondamentali della materia.

Il gap che colma il Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura

alla fisica è quello tra fondamento di determinazione dell’esperienza e conseguenze

determinate-determinabili (il tutto dell’esperienza stessa) in rapporto tra loro nella

forma sistematica, tra fondamento della composizione e tutto del composto grazie ad

uno schema del composto stesso.67

66 Opus postumum, KGS XXI, p. 539.

67 Per ulteriori chiarimenti sull’importanza di questo concetto in epoca tarda, si veda la lettera di Kant a Tieftrunk del dicembre 1797, cfr. KGS XII, pp. 222-223: “Der Begriff des Zusammengesetzten überhaupt ist keine besondere Kategorie, sondern in allen Kategorien (als synthetische Einheit der Apperzeption) enthalten. Das Zusammengesetzte nämlich kann, als ein solches, nicht angeschaut werden; sondern der Begriff oder das Bewusstsein des Zusammensetzens (einer Funktion die allen Kategorien als synthetischer Einheit der Apperzeption zum Grunde liegt) muss vorhergehen, um das mannigfaltige der Anschauung gegebene sich in einem Bewusstsein verbunden, d. i. das Objekt sich als etwas Zusammengesetztes zu denken, welches durch den Schematismus der Urteilskraft geschieht indem das Zusammensetzen mit Bewusstsein zum innern Sinn, der Zeitvorstellung gemäß einerseits, zugleich aber auch auf das Mannigfaltige in der Anschauung gegebene Andererseits bezogen wird. - Alle Kategorien gehen auf etwas a priori Zusammengesetztes und enthalten, wenn dieses gleichartig ist, mathematische Funktionen, ist es aber ungleichartig dynamische Funktionen z.B. was die ersten betrifft: die Kategorie

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Il rapporto reciproco di fondamento e conseguenza alla base di questa

operazione è quello tra materia e appercezione, che è in grado di unificare il soggettivo

e l’oggettivo in un unico sistema. Questa problematica si apre nella KrV, nel Canone

della ragione pura e viene spiegata nella KdU, senza trovare una soluzione definitiva

nelle opere pubblicate. Kant non ha mai pensato alla determinazione dell’esistenza

materiale dell’etere, né a sostituire la materia in generale dei Principi metafisici della

scienza della natura con esso.

La posizione kantiana raggiunta nella terza Critica dell’affermazione di un

fondamento interno alla natura di cui noi determiniamo l’unità della forma viene ripreso

largamente nell’Übergang, tanto che quest’ultimo assume inevitabilmente anche i

caratteri di una fisiologia.

Per Kant, nella scienza di mezzo e di connessione sistematica della scienza della

natura, in quel territorio dove le rive della fisica e della metafisica si toccano e dove la

filosofia e la matematica procedono parallelamente nella medesima direzione, occorre

trovare, determinare e provare l’esistenza di un fondamento per l’unità collettiva

dell’esperienza, in cui il soggetto stesso è inserito e si rende oggetto a se stesso. In

questo contesto, l’a priori e la dimensione legata all’empirico dell’appercezione, così

come quella della materia, devono poter essere riuniti secondo un’unità collettiva in

vista dell’esperienza.

Le considerazioni che possono essere svolte su questo argomento devono tener

presente il carattere ideale dell’etere che però è allo stesso tempo fondamento della

condizione materiale della sintesi delle relazioni della materia in un sistema, sulla base

del quale poter costituire la fisica come scienza. L’impressione che si ha leggendo il

corpus degli appunti postumi è quella di un estremo tentativo di raggiungere questo

obiettivo proprio in virtù dell’ordinamento sistematico dato dalla ragione alla materia

del Passaggio, che non mira alla determinazione di come la natura debba essere, né alla

sua mera descrizione.

Piuttosto, il fine sembra quello di costituire un sistema delle condizioni di

possibilità originarie e secondarie, ma pur sempre a priori, espresse dai principi

metafisici, appunto di ciò che sta alla base dei fenomeni naturali e del nostro modo di

der extensiven Größe betrifft: Eines in Vielen; was die Qualität oder intensive Größe betrifft Vieles in Einem. Jenes die Menge des Gleichartigen (z. B. der Quadratzolle in einer Fläche); dieses der Grad (z.B. der Erleuchtung eines Zimmers). Was aber die dynamische angeht, die Zusammensetzung des Mannigfaltigen, sofern es entweder einander im Dasein untergeordnet ist (die Kategorie der Kausalität) oder eine der andern zur Einheit der Erfahrung beigeordnet ist (der Modalität als notwendige Bestimmung des Daseins der Erscheinungen in der Zeit.).”

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conoscerli nella loro molteplicità, giungendo ad esibire il sistema dei concetti e dei

principi senza di cui qualsiasi ipotesi scientifica o modello sarebbe privo di un orizzonte

necessario e completo dei nessi delle forze motrici anticipati a priori a cui rifarsi,

risultando un mero aggregato.

5.5 L’unità collettiva dell’esperienza e il principio Forma dat esse rei

La complessità della trattazione della prova dell’esistenza dell’etere, dovuta alla

frammentarietà dei manoscritti, non preclude la possibilità di una comprensione

dell’Opus postumum nel suo legame con la produzione precedente di Kant.

Parte della letteratura secondaria, ispirata dall’interpretazione di Adickes, ha

avuto la tendenza di liquidare i manoscritti kantiani, attribuendo ad essi la debolezza

teoretica frutto della malattia e della vecchiaia di Kant.68

Numerosi studi, invece, alcuni recenti,

69 altri meno, come quelli di Mathieu,70

L’Übergang costituisce, infatti, un’opera sistematica, almeno nell’intento di

Kant, sebbene sia rimasta sconosciuta al pubblico dell’epoca. Questa avrebbe dovuto

costituire un particolare sistema dell’esperienza, fondato su una prova unica nel suo

genere, della cui necessità Kant, però avvertiva il bisogno, anche per ragioni legate alla

sua cosmologia e alla sua teoria della materia.

hanno avuto il pregio di voler collocare l’opera postuma e di volerla connettere con altre

opere del sistema kantiano, cercando di rinvenire l’origine della necessità di una prova a

priori dell’esistenza della materia.

Per chiarire questo punto è opportuno mostrare, in primo luogo, che tipo di

sistema dell’esperienza si configura nell’Opus postumum. In secondo luogo, si deve

chiarire l’origine del problema dell’esistenza dell’etere, anche sul piano fisico, che

come si vedrà, trae la sua giustificazione su un piano trascendentale, grazie al principio

forma dat esse rei.

Il sistema dell’esperienza che Kant presenta nell’Opus postumum assume il

carattere dell’unità collettiva. Compito che solamente un sistema della ragione può

68 E. Adickes, Kant als Naturforscher, vol. II, Berlin 1925. 69 Friedman (1992); Edwards (2000); E. Förster, Kant’s Selbstsetzungslehre in Kant’s Transcendental Deductions. The Three Critiques and the Opus postumum, Stanford, 1989, pp. 217-238; Die Idee des Übergangs. Überlegungen zum Elementarsystem der bewegenden Kräfte, in Übergang. Untersuchungen zum Spätwerk Immanuel Kants, Frankfurt 1991, pp. 28-48; Zwei neu aufgefundene Lose Blätter zum Opus postumum, in Kant-Studien, 95, 2004, pp. 21-28. 70 V. Mathieu Kants Opus postumum, Frankfurt am Main 1989.

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adempiere e che evidentemente rappresenta un punto di vista metafisico mancante nel

resto della produzione kantiana.

Procedendo per gradi, è opportuno mostrare dove e in che modo Kant abbia

trattato dell’unità collettiva in più luoghi della sua produzione.

Nella Critica della ragione pura, infatti, la nozione di unità collettiva di un tutto

dell’esperienza costituisce la surrezione trascendentale dell’unità distributiva dell’uso

empirico dell’intelletto. Tale surrezione origina la dialettica della terza idea di ragione,

per cui una cosa (Ding) che contiene in sé tutta la realtà empirica, cioè il tutto dei

fenomeni, viene tradotta nel concetto di una cosa che é somma di tutte le realtà, Dio:

D’altro canto la ragione per cui noi ipostatizziamo in seguito questa idea dell’insieme di

ogni realtà, è la seguente. L’unità distributiva dell’uso di esperienza dell’intelletto, noi la trasformiamo dialetticamente nell’unità collettiva di un tutto di esperienza, e questo tutto dell’apparenza noi lo pensiamo come una cosa singola, che contiene in sé ogni realtà empirica. Tale cosa poi viene scambiata – mediante la già ricordata surrezione trascendentale – con il concetto di una cosa, che sta al vertice della possibilità di tutte le cose, fornendo le condizioni reali per la loro completa determinazione.71

Sebbene in questo contesto l’unità collettiva dell’esperienza sia impossibile da

determinare secondo i principi dell’intelletto, è però vero che la ragione si serve di

questo tipo di unità per dirigere le operazioni dell’intelletto. L’unità collettiva è una

funzione del metodo della ragione, imprescindibile per la sua natura architettonica:

La ragione quindi ha propriamente come oggetto soltanto l’intelletto e l’impiego di questo in conformità di un fine. E allo stesso modo che l’intelletto riunisce il molteplice nell’oggetto mediante concetti, così la ragione riunisce dal canto suo il molteplice dei concetti mediante idee, ponendo una certa unità collettiva come scopo dell’attività dell’intelletto, la quale altrimenti riguarda soltanto l’unità distributiva.72

Kant distingue, così, un duplice modo di guardare all’esperienza, che altrimenti

non sarebbe altro che un molteplice di esperienza, un aggregato e mai un sistema. Dire

ogni esperienza è diverso dal dire il tutto dell’esperienza, come risulta chiaramente dalla

Reflexion che segue:

Distributive oder collective Einheit der Erfahrungen überhaupt. Alle Erfahrung ist nicht das All der Erfahrung, und das ganze möglicher Erfahrung ist kein Gegenstand der Erfahrung. Aber hierbei kommt doch das vor, wodurch was die Bedingung der Möglichkeit eines Ganzen ist.73

71 KrV A582-583/B610-611.

72 KrV A644/B672. 73 Reflexion, KGS XVIII, p. 246 (1780-1783 circa).

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Ora, il punto centrale da comprendere e che segna uno scarto rispetto alla Critica

della ragione pura, è che nell’Opus postumum è possibile designare l’etere come il tutto

dell’esperienza possibile, che resta non passibile di esperienza diretta, ma diviene

oggetto di una prova che, almeno soggettivamente, ne fa conseguire la realtà:

Wenn bewiesen werden kann dass die Einheit des Ganzen möglicher Erfahrung auf der Existenz eines solchen Stoffs (mit den genannten Eigenschaften desselben) beruhe so ist auch die Wirklichkeit desselben zwar nicht durch Erfahrung sondern a priori, bloß aus Bedingungen der bloßen Möglichkeit derselben für die Erfahrung bewiesen. Denn die bewegende Kräfte der Materie können zur collectiv//allgemeinen Einheit der Wahrnehmungen in einer möglichen Erfahrung nur zusammenstimmen in sofern das Subjekt durch sie äußerlich und innerlich in Einen Begriff vereinigt sich selbst afficirt.74

Come emerge da questo passo, l’unità del tutto dell’esperienza possibile deve

poter discendere dall’esistenza dell’etere. Qui Kant usa il termine Existenz che designa

una posizione del pensiero. Ma subito dopo specifica che anche l’effettiva realtà

dell’etere deve essere provata a priori dalle semplici condizioni di possibilità in vista di

e per (für) l’esperienza. E’ a questo punto che risulta ancora più chiara la connessione

tra il sistema delle forze motrici della materia e quello delle percezioni nell’Opus

postumum. L’unità collettiva delle percezioni equivale all’unità collettiva

dell’esperienza, così che una volta provata la connessione reale tra percezioni e forze

motrici della materia, l’esistenza dell’etere è a fondamento e prova l’unità e

l’universalità del tutto dell’esperienza:

Äußere W a h r n e h m u n g e n aber zur möglichen Erfahrung (denen nur noch die Form der Verknüpfung derselben mangelt) sind selbst nichts anders als Wirkung agitierender Kräfte der Materie auf das wahrnehmende S u b j e k t und ehe noch gefragt wird welche Objekte der Sinne Gegenstände der Erfahrung sein oder nicht sein mögen ist nur von der Form ihrer Verknüpfung d. i. vom F o r m a l e n möglicher Erfahrung die Rede und die Frage ob es dieser gemäß sei oder nicht (Forma dat eße rei), wo von der collectiven Einheit der Erfahrung und den Bedingungen derselben gehandelt wird Die Einheit derselben in der durchgängigen Bestimmung des Objekts ist zugleich die Wirklichkeit desselben.75

L’unità collettiva va nettamente distinta dall’universalità collettiva, sebbene

siano trattate insieme nell’ambito dell’Übergang e della cosmologia. L’unità e il totale

(das All) della materia sono i caratteri del problema epistemologico della totalità della

materia, che in quanto spazio ipostatizzato, è la realizzazione di un concetto singolare

da una rappresentazione singolare, che è quella dell’intuizione dello spazio:

74 Opus postumum, KGS XXI, p. 572. 75 Opus postumum, KGS XXI, p. 577.

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„Es existiert ein Absolut//Ganzes als System der bewegenden Kräfte der Materie denn der Begriff von einem solchen ist objektiv ein Erfahrungsbegriff mithin ist ein solcher gedachte Gegenstand w i r k l i c h ” (hier, aber auch nur in diesem einzigen Fall, kann gesagt werden a poße ad esse valet consequentia) Dieser Begriff ist e i n z i g in seiner Art (vnicus), darum weil sein Objekt auch e i n z e l n (conceptus singularis) ist; denn das A l l der Materie bezeichnet nicht eine distributive sondern collective Allgemeinheit der Gegenstände die zur Absoluten Einheit aller möglichen Erfahrung gehören.76

Il rapporto tra universalità collettiva e distributiva dei principi della ragione si

configura come quello che intercorre nella Kritik der Urtheilskraft tra il nexus effectivus

e il nexus finalis. Pertanto l’universalità collettiva può essere connessa con quella

distributiva, sottoponendo quest’ultima alla prima in un sistema di principi della scienza

della natura.

Dieses System der Grundsätze der NW. ist keine Propädeutik als für sich bestehende

Präliminarlehre sondern collective Allgemeinheit der Prinzipien, Erfahrung anzustellen mit distributiver Allgemeinheit verbunden.77

Questo aspetto è chiarito, se si considera una riflessione di Kant sul concetto di

volontà, in cui nel sistema dell’eticità è racchiusa la triplice unità della volontà, secondo

tre facce dell’universalità, le prime due distributive e la terza collettiva:

Die Sittlichkeit ist die praktische allgemeine Bedingung der Glückseeligkeit, und sie ist

ein System derselben aus Freiheit sich der Glückseeligkeit würdig zu machen; dreifache Einheit der Willkür aus dreifacher Allgemeinheit: 1, Unbedingte Allgemeinheit gegen jedermann und allezeit. 2. Bedingte nach dem Maas des Vermögens und eignen Glücks gegen einen oder andern. 3. Collective Allgemeinheit gegen die universalitatem (diese ist etwas Einzelnes).78

Per ogni idea, cioè per ogni concetto di ragione esiste un punto di vista

dell’universalità collettiva, perché esiste una premessa, sul piano logico, che consiste

nella determinazione dell’universalità dei concetti singolari, come è ad esempio quello

di verità. In questo caso Kant mostra che l’universalità collettiva dei principi è in grado

di unificare l’unità collettiva insieme a quella distributiva, iscrivendo in una totalità,

intesa come sistema o come singolarità, le determinazioni del concetto di ragione, che,

in quanto idea, non è passibile di un grado:

76 Opus postumum, KGS XXI, p. 592. 77 Opus postumum, KGS XXII, p. 288. 78 Loses Blatt, KGS XIX, p. 286.

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Wahrheit hat keine Grade. Mehr als, allzu wahr. Die distributive, die collective Allgemeinheit der Wahrheit. 1. es ist etwas Falsches in einem übrigens wahren Erkenntnis. 2. oder: nicht alle Wahrheit, die ganze Wahrheit.79

Ora, proprio nell’alveo della riflessione kantiana sulla totalità si apre la

possibilità di stabilire una connessione sistematica tra ontologia e metafisica.

Questo accade in virtù del fatto che il problema ontologico dell’esistenza, risolto

in epoca critica grazie all’idealismo trascendentale e alla logica, ritorna sotto un’altra

veste, coinvolgendo la teoria della conoscenza kantiana a livello del sistema delle

percezioni. Dunque l’effettualità su un piano metafisico, ovvero il sistema dei rapporti

reciproci attivi, si ricongiunge al piano ontologico ed epistemologico, attraverso il

concetto di materia, come etere (Wärmestoff). Quest’ultimo è legato intimamente con

l’affezione, in quanto sostrato delle forze motrici.

Per comprendere questo punto, ancor più che la letteratura secondaria, è di aiuto

la corrispondenza che Kant intrattenne con C. F. Hellwag. In una lettera del dicembre

1790, quest’ultimo pone a Kant delle domande cruciali sulla sua visione della materia

cosmica e sul principio di azione e reazione reciproca, che venne esposto da Kant nei

Metaphysische Anfangsgünde der Naturwissenschaft.

Hellwag, autore di studi sulla teoria dei suoni e dei colori, nonché sul

linguaggio, presuppose l’esistenza di una materia universalmente diffusa, un medium

continuo reale, sulla cui esistenza e consistenza chiede parere a Kant proprio nella stessa

lettera.

La risposta di Kant non si lascia attendere. Nel gennaio 1791 scrive:

Alle unsere Begriffe von Materie enthalten nichts als bloß Vorstellung von äußeren

Verhältnissen (wie dann der Raum auch nichts anders vorstellig macht) das aber, was wir im Raume als existierend setzen, bedeutet nichts weiter, als ein Etwas überhaupt, woran wir uns auch keine andre Prädikate, als die eines äußeren Verhältnisses vorstellen müssen, so fern wir es als bloße Materie betrachten, mithin nichts was schlechterdings innerlich ist (Vorstellungskraft, Gefühl, Begierde). Hieraus folgt: dass, da alle Veränderung eine Ursache voraussetzt und eine schlechthin = innerliche Ursache der Veränderung äußerer Verhältnisse (kein Leben) in der bloßen Materie nicht gedacht werden muss, die Ursache aller Veränderung (aus der Ruhe in Bewegung und umgekehrt, zusammt den Bestimmungen der letzteren) in der Materie außerhalb liegen müsse, mithin ohne eine solche keine Veränderung statt finden könne; woraus folgt, dass kein besonderes positives Prinzip der Beharrlichkeit der Bewegung, in der ein Körper einmal ist, erforderlich sei, sondern bloß das negative, da keine Ursache der Veränderung da ist. - Was das zweite Gesetz betrifft, so gründet es sich auf dem Verhältnisse der wirkenden Kräfte im Raume überhaupt, welches Verhältnis notwendig wechselseitig einander entgegengesetzt und jederzeit gleich sein muss (actio est aequalis reactioni), weil der Raum keine einseitige, sondern jederzeit wechselseitige Verhältnisse, mithin auch die Veränderung derselben d. i. die Bewegung und die Wirkung der Körper auf einander sie hervorzubringen lauter wechselseitige

79 Reflexion 2210, KGS XVI, p. 272.

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und gleiche einander entgegengesetzte Bewegungen möglich macht. Ich kann mir keine Linien von dem Körper A zu allen Punkten des Körpers B gezogen denken, ohne auch umgekehrt eben so viel gleiche Linien von Körper A zu B zu ziehen und die Veränderung dieses Verhältnisses eines Körpers (B) durch den Stoß des andern (A) zu diesem als wechselseitig und gleich zu denken. Es bedarf hier also eben so wenig einer positiven besonderen Ursache der Gegenwirkung des Körpers in den gewirkt wird, als beim obigen Gesetze der Trägheit; im Raume und der Eigenschaft desselben, dass in ihm die Verhältnisse wechselseitig entgegengesetzt und zugleich sind (welches beim Verhältnisse successiver Zustände in der Zeit nicht der Fall ist) liegt der alleinige hinreichende Grund dieser Gesetze. Übrigens werde ich Lamberts Meinung über diesen Punkt in seinen Beiträgen nachsehen.80

Ora, nella sua lettera a Kant, Hellwag aveva definito la posizione di Bacone

insufficiente, mentre aveva indicato la concezione del moto dei corpi di Lambert come

illuminante per spiegare il fondamento dell’azione reciproca tra i corpi. Ma Kant nella

sua risposta lascia intendere di non essersi basato sugli studi di Lambert per la

trattazione della Meccanica nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft.

Il punto più interessante del carteggio riguarda l’affermazione kantiana secondo

cui “della materia non si può dire altro che essere un qualcosa fuori di me e non ancora

determinato nelle sue proprietà”, e proprio per tale ragione Kant ritiene plausibile

l’ipotesi di Hellwag di una base materiale, di un medium continuo per la trasmissione

del suono, purché la sua trattazione non coincida con la costruzione del concetto di

materia in generale.

Come si è visto nel Capitolo I, nella definizione di oggetto in generale, su cui

Kant torna proprio nell’Opus postumum, l’oggetto=X, secondo qualità, é un Etwas a cui

viene assegnata posizione dello spazio e del tempo. Nel caso della materia per assegnare

la posizione dello spazio e del tempo è necessario il grado, ma questo come anche per

Hume, non era garanzia di definizione di azione causale.

Anche per questa ragione Kant attribuisce un nesso causale tra l’etere e le sue

proprietà, le sue forze motrici. Del resto, c’è anche una ragione storica per questo.

Secondo lo studio di Kleinschmidt, nel XVIII secolo la teoria del grado della materia o

dell’intensità della luce era contemplato nell’ambito dell’ottica e trovava supporto sul

piano teoretico ed estetico in Leibniz, Baumgarten e Lambert.81 Prima di Lambert e

Leibniz, fu Huygens a legare il concetto di intensità a quello di forza. In particolare

l’intensità si riferisce al modo in cui operano le forze al seno di incidenza nei fenomeni

rifrattivi nell’ottica.82

80 Lettera a Hellwag, KGS XI, pp. 246-247.

81 E. Kleinschmidt, Die Entdeckung der Intensität: Geschichte einer Denkfigur im 18. Jahrhundert, Göttingen 2004, pp. 15-18; 76. 82 Cfr. Kleinschmidt (2004), p. 36: “Das Gradmoment der Intensität verweist so über eine nur energetische Abstufung hinaus, die für die von Christian Huygens und Leonard Euler eingeführte

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Il fatto che Kant leghi la sua teoria della percezione, che nelle Anticipazioni

della percezione risente dell’influsso dei Nouveaux Essais di Leibniz, al sistema delle

forze motrici della materia e alle proprietà dell’etere, mostra come Kant non si muova

solamente nell’ambito della metafisica nell’Übergang, ma coinvolga il piano ontologico

ed epistemologico. Per Leibniz il grado e l’intensità erano indispensabili per dar conto

della velocità e del movimento dei corpi fisici. Kant riprende la tesi leibniziana e la

traspone sul piano dei principi dell’intelletto puro, là dove parlando della percezione le

attribuisce quantità intensiva, cioè un grado che può venir misurato.83

Sempre secondo Kleinschmidt, questo legame tra la concezione dell’intensità e

della percezione, che determina un campo di indagine in cui epistemologia e fisica

convivono, è senz’altro un’eredità di Fermat che introdusse i termini di grado e intensità

nella trattazione della luce, dunque nell’ottica, ma al fine di ottenere una distinzione dei

diversi gradi di realtà per una sistematizzazione e una classificazione dei fenomeni

naturali. Obiettivo al quale Kant non era certamente estraneo.

Non stupisce, dunque, che Kant nell’Opus postumum scelga di considerare il

legame tra forze motrici della materia e il sistema delle percezioni, secondo il principio

forma dat esse rei:

Das Formale dieser Verbindung geht a priori vorher (forma dat eße rei) um eine Physik

zu begründen d.i. wir können nichts aus ihr ausheben als was wir in sie hineingelegt haben weil das Objekt der Physik das All der bewegenden Kräfte der Materie nur als in einem System (in der Natur) gegeben vorgestellt werden muss folglich auch jede Kraft in Beziehung auf alle andere ohne welche wechselseitige aktive Verhältnisse in einem System was und wie viel der Elemente der empirischen Naturlehre sie (die Physik) keine Wissenschaft sondern nur ein fragmentarisches Aggregat der bewegenden Kräfte sein würde welches nur durch Herumtappen unter Wahrnehmungen dem denkenden Subjekt nicht allein kein Ganzes derselben sondern auch keinen gegebenen Teil als zu jenem gehörend sichern würde wonach das Prinzip der Naturforschung in dem Übergange zur Physik seine Richtung und seinen Umfang erhält.84

Il principio grazie al quale Kant riesce a riconnettere sistematicamente i principi

metafisici della scienza della natura e la fisica è sintetizzato da questa formula di origine

scolastica. Tradotto in veste trascendentale, questo principio è diretto principalmente al

piano della percezione e dell’intuizione. E’ possibile finalmente comprendere quanto

sostenuto nel Capitolo I, quando si è voluta anticipare l’importanza dell’affermazione

Wellentheorie des Lichts die Basis bildet, auf einen grundsätzlich weiterführenden Aspekt“. Sui fenomeni ottici legati all’intensità, cfr. E. Proverbio, R. G. Boscovich and the measurement of the refractive quality of lenses, in Memorie della Società Astronomica Italiana, Vol. 60, 1989, pp. 837-886. 83 Cfr. Kleinschmidt (2004), pp. 24-25, per una ricostruzione dell’importanza della definizione di gradazione (climax) e intensità nell’ambito della retorica e della teoria del calore legate agli studi sulla temperatura. 84 Opus postumum, KGS XXII, p. 306.

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kantiana dell’esistenza di tre forme dell’intuizione, spazio, tempo e positus in vista

dell’esperienza esterna.85

Esaminando con attenzione i seguenti passaggi e tenendo presente la prova

dell’esistenza dell’etere esposta nel presente capitolo, è chiaro che Kant amplia la sua

teoria della conoscenza, ma senza abbandonare l’idealismo trascendentale. Va inoltre

sottolineato che la sintesi soggettiva della composizione (Zusammenstellung) svolge un

ruolo di primo piano per l’applicazione della matematica alla fisica e per la traduzione

in chiave ontologica del presupposto metafisico dei rapporti reciproci attivi. Nell’ambito

della fisica e dell’Übergang tale presupposto viene arricchito da elementi

epistemologici, fino a trasformarsi nella cosa stessa: il fenomeno che secondo la forma

porta con sé l’unità assoluta, ma come conseguenza della costituzione di un sistema

della conoscenza empirica:

Physik ist Erkenntnis der Sinnengegenstande in der Erfahrung. Diese aber enthalt die

Vorstellung der Gegenstände als Erscheinungen (phaenomena) die nicht was die Objekte an sich selbst sind sondern wie sie den Sinn afficiren darstellt (exhibet) und die bewegende Kräfte nach der Beschaffenheit des afficirten Subjekts innerlich nicht nach ihrer Beschaffenheit äußerlich empirisch d.i. gegeben ist (dabile) und die Verknüpfung des Mannigfaltigen der Sinnenvorstellung wie sie a priori der Form der Zusammensetzung nach gedacht wird (cogitabile) zum Prinzip macht, und so Erfahrung als System empirischer Erkenntnis welches absolute Einheit zur Folge hat deren Form objektiv die Sache selbst als Phänomen (nach der Regel: forma dat eße rei) schon in seinem Begriffe bei sich führt.86

Sebbene il rapporto tra la trattazione fisica dei corpi con il piano della

percezione risulti chiaro, di meno lo è quello con l’intuizione. Per svolgere la prova

dell’esistenza dell’etere è necessario ammettere oltre allo spazio e al tempo, anche

l’elemento del positus, in modo da porre quella condizione di possibilità dell’oggetto in

generale di poter essere assegnato ad una posizione dello spazio e del tempo. Questa

operazione viene condotta attraverso una sintesi della composizione da parte

dell’intelletto, la quale, sebbene sia solo soggettiva, è di primaria importanza per poter

avere un’unità della sintesi del neben und nach einander seyn nell’intuizione e per poter

trovare una pluralità (pluralitas) dall’unicità (singularitas):87

85 Cfr. infra, Capitolo. I, §§1.3;1.4. 86 Opus postumum, KGS XXII, p. 318. 87 Opus postumum, KGS XXII, pp. 318-19: “Physik ist also die Lehre von der Verknüpfung des Empirisch//vorgestellten zur Einheit der Erfahrung und also subjektiv in einem System fortzuschreiten und die Einzelheit (singularitas) der möglichen Erfahrung welche durch die synthetische Einheit der neben// und nach einander in der reinen Anschauung gegebenen Vorstellungen des Raumes und der Zeit (pluralitas) die absolute Einheit der Erfahrung. Daher muss es heißen: „Es ist nur Eine Erfahrung und wenn man von E r f a h r u n g e n reden hört so muss darunter immer nur ein Aggregat der Wahrnehmungen verstanden werden welches zu Einer Erfahrung gehört”.

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Empirisch die bewegende Kräfte der Materie aufzufassen und fragmentarisch zu sammeln kann keine Physik als Wissenschaft begründen vielmehr muss sie als Ganzes nicht als Aggregat (sparsim) sondern als System (coniunctim) nach einem Prinzip a priori welches die Zahl und Ordnung derselben bestimmt aufgestellt werden können welches nicht anders geschehen kann als dass nicht was wir aus dem Aggregat der Wahrnehmungen ausheben sondern was wir zum Behufe der Möglichkeit der Erfahrung (folglich nach einem formalen Prinzip) hineinlegen bringt diese Wissenschaft zu Stande in welcher die Naturforschung (durch Observation und Experiment) von der Erscheinung der Erscheinungen und so nach einem Prinzip a priori ausgeht und so zwar indirekt doch nicht als unbestimmt herumschweifende Zusammenhäufung (cognitio vaga) sondern nach Prinzipien der Einteilung des Mannigfaltigen nach Begriffen möglich macht weil nicht die Anschauung sondern der Verstand nicht das Empfindbahre (sensibile) sondern das Denkbare (cogitabile) nach dem Grundsatze aller Zusammenstellung (forma dat eße rei) vor aller.88

Per mostrare come si traduce sul piano della prova dell’esistenza dell’etere

questo ampliamento della teoria kantiana dell’esperienza, occorre considerare come

avvenga il passaggio dal soggettivo all’oggettivo della connessione del molteplice delle

rappresentazioni empiriche. Questo passaggio passa per il principio della composizione

oggettiva che viene intesa come coordinazione (coordinatio) delle parti in un tutto

sistematico nell’esperienza:

Das Formale einer solchen Verknüpfung des empirischen Mannigfaltigen unter dem

Prinzip dieser Zusammensetzung (coordinatio) macht das Subjektive derselben objektiv und a priori zu einem Ganzen derselben (forme dat eße rei) in der Erfahrung weil das Empirische derselben zu einem System der Wahrnehmungen unbedingt (absolute) mithin notwendig verbunden ist und macht es möglich dass durch Observation und Experiment in der Zusammenstellung des Empirischen synthetische Einheit angetroffen werden kann welche notwendig ist weil was a priori als Erscheinung gegeben ist zugleich im Bewusst sei der Existenz des Objekts selber anerkannt wird.89

L’unità della sintesi soggettiva della composizione dell’empirico, cioè delle

percezioni, diviene oggettiva e necessaria nella misura in cui fornisce un ordine a priori

del fenomeno, in quanto ciò che è dato a priori nella percezione è riconosciuto nella

coscienza appartenere all’esistenza dell’oggetto.

Lo spazio ipostatizzato, o etere, in quanto tutto delle percezioni del senso esterno

è ordinato e organizzato secondo rapporti di coordinazione, inverando il presupposto

metafisico kantiano dei rapporti reciproci attivi. Come si è visto nel Capitolo I, i

rapporti di coordinazione in generale sono il frutto dell’attività sintetica del soggetto,

che modifica, nel venire modificato, la percezione, la materia (Stoff) appunto, attraverso

una sintesi dell’intelletto operata sull’intuizione dello spazio.

88 Opus postumum, KGS XXII, p. 322. 89 Opus postumum, KGS XXII, pp. 368-369.

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Ritorna così la dialettica forma/materia, tanto importante nei Metaphysische

Anfangsgründe der Naturwissenschaft, così come nell’Opus postumum. La possibilità di

rendere forma (cogitabile) della connessione delle rappresentazioni empiriche ciò che

ne costituisce il materiale (dabile), è garantita ora sul piano ontologico dal principio

forma dat esse rei:

Physik ist die systematische Lehre der empirischen Naturforschung: als der Tendenz der

metaphys. A. Gr. der Naturwissenschaft. Die der Naturforschung nach a priori zum Grunde liegenden Prinzipien ist die der Metaphys. A. Gr. der N. W. Physik ist die Wissenschaft der Prinzipien die bewegende Kräfte der Natur in einem System der Erfahrung zu verknüpfen. Dazu gehöret 1.) das Materiale der e m p i r i s c h e n Vorstellungen (dabile) 2. das Formale der Zusammenstellung des Mannigfaltigen derselben in einem System (cogitabile) welches das Gesetz der Verknüpfung von jenen zum Behuf der Möglichkeit der Erfahrung als Einheit enthält und als Idee der Verknüpfung a priori zum Grunde gelegt werden muss (forma dat eße rei).90

C’è una differenza sostanziale con la prima Critica, sebbene anche in sede di

Prefazione alla seconda edizione, Kant avesse rilevato la capacità della forma di

determinare la materia e che le forme da noi immesse nella natura sono oggetto di

conoscenza possibile e allo stesso tempo fonte della possibilità dell’esperienza.

Nell’Opus postumum, infatti, Kant non tratta del principio dell’esperienza in generale,

cioè non tratta solamente dell’unità collettiva di ogni esperienza (il che implicherebbe la

considerazione dell’universalità distributiva dell’esperienza), ma del principio

dell’esperienza come un tutto (il tutto dell’esperienza possibile), che implica la sua

universalità collettiva capace di includere in un sistema sia l’unità collettiva sia l’unità

distributiva di ogni esperienza. In questo modo è più facile comprendere lo scopo a cui

Kant tende nel considerare l’esperienza dal punto di vista dell’universalità collettiva.

Tale punto di vista è incarnato nella costituzione di un tutto capace di unificare il

sistema delle forze motrici della materia e quello delle percezioni. Una volta costituito

questo tutto sistematico, secondo Kant, è possibile enumerare e classificare le forze

motrici della materia in vista della conoscenza empirica e del sistema degli oggetti del

senso:

Das Formale der Verbindung derselben zum Behuf der Möglichkeit der Erfahrung von

dem Verhältnis dieser Kräfte zum Subjekt macht das Prinzip der Möglichkeit der Erfahrung als eines subjektiven Systems aus welches zugleich objektiv gegeben ist. Forma dat eße rei und weil die bewegende Kräfte, welche die Ursache der Wahrnehmungen zum Behuf des empirischen Erkenntnisses ausmachen als Erscheinungen a priori gegeben sind so können auch a priori diejenige aufgezahlt u. classificirt werden welche das empirische Aggregat zum Behuf eines Systems der Sinnenobjekte ausmachen. Die bewegende Kräfte 1.) in der E r s c h e i n u n g Subjektiv 2. in der Wa h r n e h m u n g objektiv 3.) in der Z u s a m m e n s e t z u n g des

90 Opus postumum, KGS XXII, p. 313.

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Mannigfaltigen der Wahrnehmungen zum Begriffe in meinem Bewusstsein 4.) ein Prinzip der Möglichkeit der Erfahrung (des empirischen Denkens überhaupt) im System der bewegenden Kräfte objektiv überhaupt das cogitabile zum dabile zu machen als dem Überschritt zur Physik z. B. die Vorstellung o r g a n i s c h e r Körper, als entia rationis (Gedankendinge) welche subjektive Realität haben, im Inbegriffe der Natur überhaupt das Elementarsystem zu classificiren und das Elementarsystem a priori zu organisieren. Erscheinung (Anschauung a priori) und Erfahrung was gegeben u. was gemacht oder gedacht wird.91

Il principio forma dat esse rei si rivela essere il principio della sintesi delle

percezioni in un’unità collettiva sistematica, che può divenire sistema delle

determinazioni del molteplice empirico prodotto dalle forze motrici della materia.

Queste a loro volta costituiscono un sistema che conferisce effettualità (Wirklichkeit)

alla realtà (Realität):

Alles was wir a priori und zwar synthetisch erkennen sollen kann nur als Objekt in der Erscheinung nicht als der Gegenstand an sich selbst beurteilt werden mithin können Erfahrungsgegenstände nur die Zusammenstimmung der Erscheinungen unter einander in demselben Objekt die Realität desselben ausmachen und die bloße Form der Zusammenstimmung des Mannigfaltigen desselben in der synthetischen Vorstellung kann jenem den Beweis der Wirklichkeit verschaffen (forma dat eße rei). Also ist es nur das Prinzip der Synthesis der Wahrnehmungen zur Einheit derselben in einem — nicht Aggregat sondern — System m ö g l i c h e r empirischer Bestimmungen des Objekts durch bewegende Kräfte der Materie die man also aufzählen muss.92

La prova dell’esistenza dell’etere, dunque, rappresenta un elemento di critica

molto forte all’idealismo e alle nuove tendenze filosofiche dell’epoca. D’altra parte

Kant non abbraccia una forma di materialismo, sebbene reputi necessaria

soggettivamente la realtà effettiva della materia perché si dia percezione e, dunque, che

un qualcosa fuori di noi esista. In virtù della sua esistenza, la completa determinazione

dell’etere, come si è visto, dipende dalla costituzione di un sistema delle forze motrici

della materia, e dunque dall’elemento formale, della classificazione e della

matematizzazione, che viene inserito nell’esperienza dal soggetto. Quest’ultimo, non

solo comprende le forze in un sistema e determina la materia, ma inserendosi all’interno

della totalità dei rapporti reciproci attivi tra le forze, si scopre come determinato anche

da essa:

Also R a u m u . Z e i t und die V e r b i n d u n g des Aggregats der Wahrnehmungen zu

einem Ganzen der M ö g l i c h e n E r f a h r u n g in beiden als System derselben (für// nicht durch Erfahrung) ist das Formale. — R a u m , Z e i t , u n d d i e s y n t h e t i s c h e E i n h e i t d e s M a n n i g f a l t i g e n d e r s e l b e n i n d e r A n s c h a u u n g a l s E r s c h e i n u n g d e s S i n n e n o b j e k t s w i e d a s S u b j e k t v o n i h m a l s e i n e m a b s o l u t e n G a n z e n

91 Opus postumum, KGS XXII, pp. 385-86. 92 Opus postumum, KGS XXII, p. 375.

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a f f i c i r t w i r d . Der Raum und die Zeit ist nicht die Synthesis d.i. Zusammensetzung des Mannigfaltigen der Anschauung durch Begriffe denn er und die Zeit sind schon mit der synthetischen Einheit des Mannigfaltigen der Anschauung identisch gegeben (nicht davon abgeleitet). Das Formale der Anschauung als Einheit ist in der Synthesis des Mannigfaltigen derselben a priori identisch enthalten. Das Mannigfaltige der Anschauung derselben ist nicht durch Wahrnehmungen (empirische Vorstellungen mit Bewusstsein) sondern a priori in der reinen Anschauung gegeben und das Aggregat der letzteren zum Behuf der Möglichkeit der Erfahrung setzt jene (Anschauung) das Formale vor dem Materialen voraus Raum, Zeit und synthetische Einheit des Mannigfaltigen der Anschauung im Raum und der Zeit. Alle drei sind Formen. Forma dat esse rei sind unendlich. Die erste 2 gehen das Objekt das dritte das die gedachte Objekte in einem Begriff verbindende Subjekt an.93

La posizione epistemologica di Kant, che ci viene riconsegnata dalle pagine

dell’Opus postumum, mostra che sia l’idealismo trascendentale sia il realismo empirico

– secondo cui è un fatto che si dia esperienza – siano mantenuti rispetto al periodo

critico. In secondo luogo, emerge con forza l’idea che l’oggetto dell’Übergang sia il

risultato del processo di trasformazione del soggettivo nell’oggettivo, della materia nella

forma, il cui risultato viene condotto ad un’unità più alta:

Es kommt bei Lösung der Aufgabe nämlich der Frage über die Existenz des Wärmestoffs als mit bewegenden Kräften versehener Materie wenn a priori darüber geurteilt werden soll nicht darauf an auszumachen wie das Objekt (quaestionis) sondern wie die Erfahrung von diesem als Gesamtbegriff desselben in seiner collectiven Einheit nämlich Einer Erfahrung mithin subjektiv möglich ist; denn stimmt dieser Begriff mit den Bedingungen der Möglichkeit Einer Erfahrung (der Einheit derselben) zusammen so ist jener Gegenstand subjektiv wirklich; denn es wird hier nicht nach dem gegebenen Gegenstande sondern nur nach unserer Erkenntnis des Gegenstandes gefragt: und dieses ist zur Lösung unserer Aufgabe als welche nicht Begriffe aus der Erfahrung sondern Erfahrung aus Begriffen ableitet, hinreichend.94

L’universalità collettiva dell’esperienza è l’oggetto di indagine. Lo scopo di

Kant consiste nel mostrare come l’esperienza della materia dotata di forze motrici possa

divenire un Gesamtbegriff, ma non sia dato come un Gegenstand, attraverso l’attività

della spontaneità. Kant ha tentato di mostrare come si determina l’esperienza da

concetti. Secondo il principio forma dat esse rei e sulla base del presupposto metafisico

della coazione reciproca tra i corpi e le forze motrici, Kant avanzò la pretesa di

determinare il piano ontologico, cioè le condizioni di possibilità dell’esperienza stesse,

procedendo da concetti. Allo stesso tempo Kant legò indissolubilmente alla dimensione

ontologica quella epistemologica nella misura in cui il presupposto metafisico dei

rapporti reciproci attivi obbliga ad un mutuo scambio il sistema delle percezioni e

93 Opus postumum, KGS XXII, p. 446: 94 Opus postumum, KGS XXI, p. 581.

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quello delle forze motrici della materia, in vista dell’oggettività dell’esperienza.

Si comprende, così, perché per Kant l’opera postuma fosse un’impresa tantalica, nella

misura in cui prevedeva la riflessione sul suo sistema e un bilancio della filosofia

trascendentale stessa.

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OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Il percorso tracciato dalla ricerca conduce ad un ampio e vivo dibattito

sull’importanza e sull’utilità dell’approccio trascendentale nella filosofia della scienza e

nell’epistemologia contemporanee. Di esso se ne tratta brevemente nell’Appendice al

fine di aprire un terreno di confronto con la filosofia contemporanea e per gettare le basi

di un’ulteriore ricerca. Prima di procedere in tal senso, è opportuno sintetizzare i punti

di maggior rilievo che la tesi ha voluto approfondire e sostenere nell’affrontare le

questioni epistemologiche emerse soprattutto nell’ultima produzione kantiana.

Il primo aspetto su cui si è voluto insistere concerne la natura ‘flessibile’ dello

spazio kantiano, inteso come intuizione formale e forma dell’intuizione. Sebbene questo

tipo di lettura sia stata alla base delle interpretazioni neo-kantiane di Cohen e Cassirer,

l’elemento della sintesi soggettiva della composizione (Zusammenstellung) non era stato

messo chiaramente in connessione con l’algebra per la determinazione di proprietà dello

spazio. La chiarificazione di tale rapporto, sulla base dello studio della Kritik der reinen

Vernunft e dei Metaphysiche Anfangsgründe der Naturwissenschaft, vorrebbe

aggiungere un tassello alla ricostruzione della filosofia della matematica di Kant. In

secondo luogo, questa lettura permette il dispiegamento delle potenzialità della

concezione dello spazio e dell’algebra nell’alveo della filosofia della natura di Kant,

grazie all’analisi della Kritik der Urtheilskraft e degli scritti inediti. La terza Critica si è

rivelata una miniera d’oro da cui attingere a piene mani sia per lo sviluppo di temi

kantiani, sia per approfondire aspetti squisitamente epistemologici, sia per la ricerca

contemporanea sull’approccio trascendentale alla fisica moderna.

Dal punto di vista della storia della scienza è possibile ritrovare almeno due

aspetti della metafisica della natura di Kant innovativi per la sua epoca. Il primo di

questi aspetti riguarda il sistema delle forze motrici della materia (Elementarsystem) che

Kant delinea nell’Übergang von den metaphysischen Anfangsgründe der

Naturwissenschaft zur Physik: paragonato con l’opera enciclopedica coeva di Gehler, il

sistema delle forze di Kant risulta essere più snello e capace di inserire nell’alveo della

fisiologia anche l’intelligenza umana. Il secondo aspetto degno di nota è il fatto che

Kant abbia parlato di una misurazione della quantità di materia in termini di energia

(Energie) nei manoscritti dell’Opus postumum. Questo aspetto, intrinsecamente legato

alla natura della materia cosmica, oltre a confermare la concezione dinamica della

materia e delle sue forze motrici, permette di cogliere l’importanza dell’influsso della

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termologia di Laplace e Lavoisier sulla produzione kantiana, ma anche la straordinaria

capacità del criticismo di adattarsi alla scienza del suo tempo, fino a spingersi per certi

versi, oltre di essa.

Infatti, l’interesse mostrato da diversi studi, in diversi periodi storici, sulla

filosofia kantiana e il suo rapporto con le scienze, fino ad arrivare ad affermare

erroneamente anticipazioni di teorie fisiche contemporanee, affonda probabilmente le

sue radici nella ricognizione di una straordinaria flessibilità della filosofia

trascendentale, che si configura come un sistema aperto e certo non cristallizzato nel

dogmatismo di un a priori statico. E’ del resto nota l’interpretazione di un a priori

dinamico e relativizzato che diedero i neo-kantiani e Reichenbach, ripresa qualche

decennio fa da M. Friedman.1

Tuttavia è proprio con il problema della materia che Kant si è voluto misurare e

ha fornito delle coordinate ben precise circa l’unicità della materia e il fatto che non si

possano non presupporre delle proprietà di essa per una sua rappresentazione e una sua

misurazione. Tali proprietà non sono, però, oggetto di un’osservazione diretta o di un

esperimento cruciale, quanto sono frutto di un processo di analisi e procedono da

concetti. Alla filosofia, dunque, spetta un compito sistematico, quello di riunire in un

sistema concettuale e di classificare, secondo principi della ragione, quei concetti

intermedi, come quello di forza, indispensabili per una teoria della materia.

Agli occhi di Kant, poi, la conoscenza vera e propria delle caratteristiche della

materia quoad materiale dipende dall’attività sintetica che, attraverso la fisica

matematica, configura l’essere della materia. Il principio forma dat esse rei costituisce il

cuore dell’argomentazione della tesi di questa ricerca, secondo cui l’epistemologia

kantiana procederebbe di pari passo con una fondazione dell’ontologia.

Da quest’ultima prende le mosse la fisica, che nella sua fondazione, dunque,

presuppone il soggetto come parte integrante di un sistema del mondo e come essere

capace di determinare attraverso la fisica matematica, l’oggetto fisico. Si mostra così

l’altra faccia della medaglia del pensiero kantiano, che fa da pendant a quello dell’a

priori e da cui si può certamente partire per rintracciare aspetti della filosofia

trascendentale nella scienza contemporanea o per mostrarne la compatibilità.

Nella filosofia di Kant, il rapporto tra epistemologia e ontologia si presenta in

una veste dinamica, se si considera la capacità del soggetto di escogitare nuove forme di

connessione secondo regole per la determinazione degli enti. La stessa Kritik der

1 Sebbene questa interpretazione abbia numerosi limiti, che storicamente si sono presentati e che hanno strettamente a che vedere con le moderne teorie della materia.

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Urtheilskraft mostra questo aspetto metodologico, laddove, pur non stabilendo alcun

principio determinante direttamente l’oggetto della conoscenza, determina

costitutivamente il rapporto tra le facoltà del soggetto: queste sono libere di generare

indefinite forme di connessione nel sistema della natura e ancora più esplicitamente

nell’ambito della matematica, come stabilito nel §62. L’applicazione di questo

avanzamento nell’empirico e nel contingente, frutto di un ampliamento della Kritik der

reinen Venrnunft, trova il suo luogo ideale nella fisiologia sviluppata, ma mai

pubblicata dell’Übergang von den metaphysischen Anfangsgründe der

Naturwissenschaft zur Physik.

La dimensione metafisica presente negli anni di pieno criticismo, lascia il posto

negli anni ’90 al presupposto metafisico, secondo cui la realtà delle sostanze deve essere

rappresentata nella forma delle loro relazioni reciproche attive. I concetti di riflessione,

posti a fondamento per la costruzione del concetto di materia in generale, mantengono

un ruolo di canone per evitare l’anfibolia, ma lasciano il posto a funzioni di reciprocità

delle forze motrici della materia che guardano ai fenomeni fisici studiati dalle scienze

naturali.

Sia nell’ambito della questione del realismo sull’oggetto fisico sia sul piano

della teoria della conoscenza, la posizione di Kant non sembra passibile di una

definizione univoca. La posizione kantiana sfugge alle etichette tanto del realismo

epistemico, quanto del realismo scientifico. Infatti, le condizioni di possibilità del

conoscere, assunte ad oggetto dalla filosofia trascendentale, possiedono una realtà,

hanno un Grund, che, però, non è oggetto dell’esperienza, è la cosa in sé, l’intima

costituzione delle nostre facoltà, di cui solamente la forma dell’attività può essere

chiarita. Le condizioni di possibilità della realtà dell’oggetto fisico possono invece

essere costruite attraverso la matematica e annoverano la percezione come un

fondamento necessario per la realtà di una connessione necessaria delle forze motrici

della materia, la cui esistenza deve essere presupposta, perché possa darsi sia la fisica

come scienza, sia un’esperienza percettiva continua ed interconnessa.

Kant, in sostanza, ribalterebbe il problema attuale della disputa tra realismi: il

problema non risiede nel fatto se l’oggetto epistemico o quello fisico siano reali o meno,

quanto in che modo e se possiamo stabilire e conoscere la regola della connessione o la

forma di ciò che ci rappresentiamo come oggetto in generale, ma che non è ancora

oggetto per noi, il fenomeno. L’oggetto propriamente detto “arriva” in un secondo

tempo, arricchito da questo processo, da questo movimento del soggetto e dal prodotto

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della sua attività: quello che Kant chiama Stoff, o molteplice della rappresentazione, è il

primo passo di un processo, che solamente attraverso una sintesi e al riconoscimento di

un nesso della comunanza giunge ad essere Gegenstand. Quest’ultimo è riconosciuto

come ontologicamente dipendente da questo processo. Allo stesso modo, però, a

seconda di come l’autocoscienza si pone nel tempo, questo è anche in grado di essere

visto come Ding, ontologicamente indipendente dal processo conoscitivo, ma pur

sempre passibile di una comprensione razionale.

Sia nel caso della definizione in filosofia sia del caso della costruzione in

matematica, l’attività sintetica presupposta determina la costituzione dell’oggetto per

noi. Ma questa non è ancora la nozione kantiana di oggettività. Quest’ultima si

raggiunge solo con un’unificazione del soggettivo e dell’oggettivo sotto un principio

saputo con certezza (Gewissheit). La necessità dell’oggettività non vale solo in ambito

teoretico, ma anche pratico e svela la complessa natura della filosofia trascendentale

come sistema dei fini, che certo non si lascia totalmente inquadrare dal dibattito sul

realismo. Peraltro una chiara indicazione su questo è fornita dallo stesso Kant, quando

definisce la necessità di una duplice presenza per la determinazione dell’oggetto per noi

quale l’idealismo trascendentale e il realismo empirico. Entrambi sono inscindibili.

Quella trascendentale è sempre una duplice posizione circa l’oggetto e l’oggettività,

poiché unisce l’aspetto epistemologico con quello ontologico, i quali però non

coincidono sempre.

Ci sono stati tentativi di tematizzare la complessità della posizione kantiana. Per

ora preme sottolineare, in questa breve nota conclusiva, che la ricerca svolta ha tentato

di gettare una luce sul pensiero kantiano da una prospettiva che lo restituisce alla

contemporaneità con limiti, ma anche e soprattutto con una veste di straordinaria

ricchezza, in grado di colmare per certi aspetti la lacuna degli studi sulle opere minori e

sulla sua fatica tantalica dell’Übergang. Da questa prospettiva, tanta parte della scienza

e della filosofia della scienza ha certamente ancora un conto in sospeso con la filosofia

trascendentale.

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APPENDICE

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IL POSTO DELLA RAGIONE NELLA SCIENZA

Lo scopo di questa Appendice consiste nel valorizzare la riflessione kantiana nel

delineare l’interazione tra filosofia e scienza della natura e nel tracciare un quadro del

rapporto che l’epistemologia contemporanea ha voluto e vuole ancora istaurare con la

filosofia trascendentale. Questa Appendice vuole sì saggiare l’attualità di temi kantiani

per la ricerca contemporanea, ma soprattutto intende andare oltre Kant per gettare luce

sulle prospettive che possono ancora aprirsi nell’alveo di un approccio trascendentale

alla scienza. Questo percorso può essere intrapreso, traendo spunto dalla domanda che

pose A. Einstein: “se l’esperienza è l’alfa e l’omega della conoscenza del mondo, allora

che posto occupa la ragione nella scienza?”.1

Per aprire un confronto, si è scelto di trattare l’immagine che della filosofia

kantiana è stata restituita non solo dai filosofi, ma anche dagli scienziati del secolo

scorso e dagli epistemologi contemporanei. Si è scelto di presentare questa tesi alla fine

di un lavoro di ricerca e di interpretazione della metafisica della natura e

dell’epistemologia kantiana per delineare un’ipotesi di lavoro ulteriore e per mostrare

l’attualità degli studi kantiani nel settore di storia e filosofia della scienza.

La tesi che si è proposta in questo lavoro vuole collocarsi in prospettiva in un

punto ben preciso dell’attuale ricerca, in quello spazio, cioè, aperto nel 2003 da

1 A. Einstein, Come io vedo il Mondo, Roma 1988, p. 41.

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Symmetries in Physics e dagli studi raccolti nel 2009 in Constituting Objectivity.

Transcendental Perspectives on Modern Physics. Questi ultimi propongono un

approccio trascendentale sistematico sia alla fisica teorica sia all’epistemologia,

delineando così una prospettiva di rinnovamento dell’ontologia.2

Data la vastità dell’argomento che richiederebbe un’ampia e articolata ricerca, si

sono scelti tre punti sulla base dei quali svolgere l’analisi.

Il primo punto riguarda l’intento della filosofia kantiana di costituire un sistema

delle condizioni di possibilità della conoscenza scientifica. In questa prima sezione si

attua una ricognizione degli elementi del pensiero kantiano che hanno influenzato

aspetti della produzione H. Weyl, per poi attuare un confronto diretto con i testi di

Einstein.

Il secondo punto concerne la questione epistemologica circa il problema

dell’oggettività e di oggetto epistemico, che, così come è stata presentata nel 2007 da L.

Daston e P. Galison in Objectivity, affonderebbe le sue radici proprio nel pensiero di

Kant. Questa sezione ha lo scopo di ricostruire la tesi di Daston e Galison e vedere se, e

in che misura, la loro interpretazione della concezione kantiana di oggettività sia

aderente alla filosofia trascendentale.

L’ultimo punto consiste nell’analisi del fenomeno “back to Kant” che ha

caratterizzato la posizione filosofica di H. Putnam nel 1981 e nei primi anni ‘90. Ma la

ripresa della filosofia kantiana nel corso del ‘900 annovera una lunga serie di

sostenitori. Un altro esempio, che costituisce un invito ad un “ritorno” a Kant

nell’ambito epistemologico, è stato compiuto da P. Kitcher con un rimando continuo

all’epistemologia della Critica della facoltà di giudizio.3 B. Falkenburg e altri4 hanno

lavorato sulla filosofia kantiana per ricostruire la fondazione epistemologica e

ontologica della fisica teorica e in particolare anche della teoria quantistica. Le posizioni

attuali, dunque, nel panorama internazionale sono più che mai diversificate. Tuttavia, è

un fatto, che anche uno dei più forti oppositori della filosofia kantiana e del suo

possibile legame con la fisica, R. Feynmann, abbia tenuto in considerazione Kant.5

2 Un caso precedente é costituito dalla raccolta di saggi sull’epistemologia contemporanea e il ruolo che un confronto con la filosofia kantiana poteva giocare al suo interno. Cfr. AA. VV., Kant and Contemporary Epistemology, a cura di P. Parrini, Dordrecht 1994.

Non

3 Cfr. infra, Capitolo III, §3.1. 4 H. Pringe, Critique of the Quantum Power of Judgment, Berlin 2007. 5 Cfr. R. Feynman, The Character of Physical Law, London 1965; trad. it, La legge fisica, a cura di L.A. Radicati, Torino 1971. Si noti la trattazione delle leggi empiriche e la somiglianza con il procedimento epistemologico di Kant presente nella KdU, pp. 138; 141-142. Ancora sull’ipotesi cosmogonica, pp. 95-98, e sulla materia cosmica, p. 168, si noti la vicinanza col pensiero kantiano. Per le somiglianze dal punto di vista metodologico per la costituzione del sistema fisico, cfr. pp. 179; 187.

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è trascurabile neanche il numero di pagine dedicate al suo pensiero nel testo di Daston e

Galison, sebbene il loro approdo sia lontano dall’abbracciare un’epistemologia kantiana.

L’obiettivo comune di queste tre sezioni consiste nel tentativo di gettare luce

sulla concezione kantiana di oggettività, che sfugge alle etichette che il dibattito

contemporaneo sul realismo e sull’anti-realismo – sia ontologico che epistemologico –

vorrebbe attribuirgli.

L’aspetto della profonda rivoluzione che Kant apportò nell’ambito

dell’ontologia e della teoria della conoscenza ha inevitabilmente influenzato la sua

visione del rapporto tra metafisica e fisica. D’altra parte, come questa ricerca ha cercato

di mostrare, il confronto continuo con la fisica sperimentale dell’epoca ha anche

delineato aspetti tipici del criticismo, lasciando traccia evidente di un’attenzione

costante da parte di Kant ad un interscambio tra teoria e prassi scientifica.

Nel confronto con la posizione di Galison e Daston, infatti, si rileva come per

Kant ciò che è oggettivo e l’oggetto della conoscenza non si identifichi affatto con la

nozione di oggettività. Anzi, quest’ultima nozione sorge proprio dall’unità di un

elemento soggettivo e di uno oggettivo: il patrimonio della filosofia kantiana oggi può

offrire molto alla metodologia scientifica della fisica teorica, in quanto è un tentativo di

una possibile unificazione tra epistemologia ed ontologia, incastonato nel progressivo

assorbimento del punto di vista del soggetto in un sistema del mondo.6

Sebbene la costituzione sistematica della scienza sia di estrema importanza per

la filosofia kantiana, è bene precisare che non può darsi un sistema completo di essa,

eccezion fatta per l’unica scienza che vanta, per Kant, un sistema completo: la logica.

Come si è cercato di mettere in luce nel corso della ricerca, le cose non stanno

così per la fisica e per la matematica, che tendono asintoticamente alla completezza,

sebbene possano e debbano assumere una forma sistematica.

Il sistema della filosofia trascendentale stessa è suscettibile di un ampliamento

dovuto al continuo confronto con l’empirico e con l’esperienza, sebbene sia

strutturalmente un sistema della ragione teoretico-speculativa e tecnico-pratica unito

sotto il segno della ragione etico-morale. Proprio questo legame intrinseco tra la

dimensione ontologica e pratica della filosofia kantiana costituisce un argomento molto

6 Su questo punto il dibattito è molto vivo, soprattutto nell’ambito degli studi statunitensi di filosofia della scienza. Come si vedrà, un sostenitore del recupero dell’approccio trascendentale nella filosofia della scienza è T. Ryckmann. Tuttavia, alcuni tra i sostenitori di un approccio naturalista o sostenitori dell’olismo di stampo einsteiniano, tra i quali è annoverato D. Howard, argomentano contro una posizione epistemologica che rivaluta un approccio trascendentale alle teorie fisiche, là dove viene visto come necessario l’inserimento del punto di vista del soggetto che debba scegliere il sistema di riferimento all’interno della teoria della relatività con evidenti e molteplici ricadute sul piano ontologico.

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forte contro i sostenitori dell’esistenza di uno iato incolmabile tra l’epistemologia

einsteiniana e quella kantiana. Per questa ragione e per non limitare ulteriori prospettive

di ricerca e dibattito, occorre rigettare la tesi interpretativa di Putnam, secondo cui per

Kant non ci sarebbe la possibilità di un’unica teoria sistematica del Mondo.7

Il tentativo kantiano di trovare il fondamento e la condizione di possibilità della

diversa considerazione del fenomeno e della cosa in sé riposa su un elemento che

Putnam tiene da parte nella sua interpretazione, ovvero l’idealismo trascendentale di

spazio e tempo. Questo aspetto, su cui la presente ricerca si è concentrata notevolmente,

risulta di grande importanza perché gioca un ruolo importante proprio nella trattazione

delle Antinomie della ragione pura che riguardano l’idea di Mondo.

Se si guarda al sistema kantiano dall’esterno, poi, non è difficile cogliere un altro

aspetto centrale per il confronto con la filosofia della scienza contemporanea. La

distinzione tra fenomeno e noumeno, tra fenomeno e cosa in sé, e ancora tra intuizione e

concetti, non può essere svincolata dalla trattazione dello spazio e del tempo, in quanto

è proprio grazie a questo continuo processo di determinazione del limite della

conoscenza possibile e delle sue modalità che Kant voleva rispondere ad una delle

questioni teoriche più urgenti, non solo per la sua epoca, ma anche per la nostra: come è

possibile spiegare la possibilità di una comprensione così diversificata, se non a volte

apparentemente inconciliabile, della realtà? Come è possibile che il medesimo universo

e la medesima materia rispondano a leggi inconciliabili tra loro?

La trattazione kantiana della materia, della sua divisibilità, della necessità di

rappresentarla come un continuo, che allo stesso tempo, grazie alla matematica, può

essere discretizzato, è solo un esempio delle problematiche che Kant ha affrontato e che

implicava l’inserimento di un punto di vista più alto per la comprensione in un unico

sistema delle diverse modalità rappresentative e delle modellizzazioni della scienza.

Molta parte della letteratura secondaria ha trattato del rapporto di Kant con le

scienze empiriche e con la scienza della natura in generale, cercando di interpretarlo e di

trasporne alcuni elementi nella filosofia della scienza contemporanea.

Il panorama che ci si trova di fronte è estremamente vasto. Negli ultimi decenni

il testo di M. Friedman, Dynamics of Reason, ha costituito, con la sua tesi dell’a priori

relativizzato, una cesura rispetto al passato, ovvero alla critica di Quine al kantismo e

alla posizione olistica.8

7 Cfr. infra, Appendice, Sezione C).

Occorre precisare che questo aspetto del pensiero di Friedman si

8 Cfr. T. Ryckmann, Hermann Weyl and “Fist Philosophy”: Constituiting Gauge Invariance, in Constituiting Objectivity, 2009, pp. 279-298; p. 280.

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è accompagnato ad un intento di comprensione del pensiero kantiano, ispirato

all’interpretazione neo-kantiana. Anche il testo Kant and the Exact Sciences del 1992

risente, naturalmente, dell’intento più generale del lavoro di ricerca di Friedman, che

mira a tracciare una linea di continuità tra Newton e Kant, per poter mettere in luce la

peculiarità del pensiero di Leibniz. Infatti, se si considera la collocazione di Friedman

nell’ambito del panorama scientifico, si nota come egli sia un sostenitore della natura

relazionale dello spazio.

Un tentativo quello di Friedman da apprezzare, in linea sotto molti aspetti con il

filone neo-kantiano di E. Cassirer, ma non sufficiente a chiudere i conti con la domanda

se e in che misura il pensiero di Kant possa costituire un primo mattone di un edificio in

cui epistemologia e ontologia convivano e siano di mutuo supporto alla fisica teorica.

Infatti, se Friedman ha collocato la teoria kantiana dello spazio-tempo nel quadro del

confronto con Leibniz e i newtoniani, non ha però chiarito perché la concezione

formalista dello spazio kantiano permetta di unificare un concezione dello spazio

assoluta con una visione relazionale di esso e con il conseguente problema di uno

spazio-tempo sostanzializzato.

Quella della natura dello spazio e del tempo, infatti, sembra essere la questione

ontologica ed epistemologica che costituisce la chiave di volta per istituire un confronto

con il pensiero di Einstein,9

attraverso una figura fondamentale del secolo scorso, H.

Weyl.

A) Visione del mondo e Relatività

Kant è il filosofo che, partendo dalla questione dell’origine dell’universo e dalla

teoria della materia, a questi temi è tornato nel corso della sua produzione, con un

intenso lavoro di elaborazione di una cosmologia e di una cosmogonia. Lo stesso

programma critico si è sviluppato in seno alla domanda sulla natura del concetto di

Mondo10

9 Sebbene nei suoi testi Einstein dispensasse note critiche alla definizione dello spazio e del tempo come forme soggettive della sensibilità, egli non ha mai risposto ufficialmente alla domanda ontologica sulla natura dello spazio e del tempo, limitandosi alla loro definizione operativa.

e sull’antinomia della ragione generata dall’anfibolia di questo concetto della

ragione. Non è un caso, infatti, che nella lettera indirizzata a Christian Garve del 21

settembre 1798 Kant puntualizzi quale sia stato l’elemento da cui si è sviluppata la sua

filosofia trascendentale:

10 La prima sezione della Dissertazione del ’70 è dedicata, infatti, alla trattazione dell’origine e della costituzione dell’idea di Mondo, che inaugura il periodo del criticismo.

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Il punto dal quale sono partito non è stata l’indagine sull’esistenza di Dio, sull’immortalità, ecc., ma l’antinomia della ragion pura: “il mondo ha un inizio” – “esso non ha alcun inizio”, ecc., fino alla quarta: “C’è libertà nell’uomo”- e per contro: non c’è alcuna libertà, ma tutto in lui è necessità naturale”. Fu essa a destarmi dal torpore dogmatico e a spingermi alla critica della ragione stessa, allo scopo di eliminare lo scandalo costituito dalla sua apparente contraddizione con se stessa.11

Una volta assunto questo punto fondamentale, l’analisi deve procedere alla volta

della rappresentazione kantiana dell’universo. Il tutto cosmico, non rappresentabile

altrimenti che come un tutto mobile e continuo, ha alla sua base un particolare concetto

di spazio. Proprio su questo si basa la prima parte di questo confronto tra la concezione

di Mondo di Kant e quella di Einstein.

Nella Prefazione del 1953 al testo Concepts of Space di M. Jammer, Einstein

propone un’analisi secondo cui sono possibili due significati del concetto di spazio.

In primo luogo, Einstein distingue due significati che può assumere tale

concetto, in base alla relazione che si istituisce fra la determinazione della posizione

(place) di un oggetto fisico (dotato di massa ed energia) e lo spazio.12 Pertanto, lo

spazio può essere “a sort of order of material objects”,13 oppure “an independent

(absolute) space, unlimited in extent, in which all material objects are contained”.14

In secondo luogo, queste due concezioni dello spazio, una relativa e l’altra

assoluta, possono essere così messe a confronto: nel primo caso, una concezione dello

spazio relazionale, rappresentato in tal modo dalla geometria, o come qualità

posizionale del mondo degli oggetti materiali, sostiene che uno spazio senza un oggetto

materiale sia inconcepibile. Nel secondo caso, una concezione dello spazio assoluto

come contenitore di tutti gli oggetti materiali, rappresentato secondo la cinematica,

implica che lo spazio appaia come una realtà in un certo senso superiore al mondo

11 Lettera a C. Garve, in Epistolario filosofico (1761-1800), a cura di O. Meo, Genova 1990, p. 396 (corsivo mio). Alla luce di tale considerazione è possibile affermare che Kant vedeva nell’elemento antinomico il motore della filosofia critica, la fonte da cui necessariamente deve scaturire l’indagine sullo statuto e i limiti della ragione, anticipando una tendenza peculiare dell’idealismo tedesco nel rintracciare nell’elemento dialettico l’andamento originario del metodo filosofico. In secondo luogo, Kant, ponendo l’idea di libertà come fondamento dell’idea di Dio e dell’anima in prospettiva pratica, pone in relazione l’aspetto antinomico con quello della libertà, individuando in quest’ultimo il fondamento dell’unione di teoria e prassi, di intelligibile e sensibile, aprendo una strada che Fichte e Schelling percorreranno seppure in modi differenti. Anche nell’Opus Postumum (cfr. KGS XXI, p.156) prende le mosse dall’antinomia di natura e libertà, così come nella la KdU, vedeva nei concetti di natura e libertà i due cardini della filosofia, per cui la fisiologia (come prodotto della ragion pura) può essere dottrina della scienza o della saggezza. 12 A. Einstein, Foreword, in M. Jammer, (1993), pp. xiii-xvii. 13 Foreword, p. xv. 14 Foreword, p. xv.

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materiale. Einstein rileva come sia stato il concetto di campo a modificare fortemente i

termini di questo dualismo circa il concetto di spazio:

Under the influence of the ideas of Faraday and Maxwell the notion developed that the whole of physical reality could perhaps be represented as a field whose components depend on four space-time parameters. If the laws of this field are in general covariant, that is are not dependent on a particular choice of coordinate system, then the introduction of an independent (absolute) space is no longer necessary. That which constitutes the spatial character of the field is then simply the four-dimensionality of the field. There is then no “empty” space, that is, there is no space without a field.15

Secondo Einstein, da Maxwell in poi si è concepita la realtà fisica come

rappresentata da campi continui, regolati da equazioni differenziali parziali.16 Col

termine “campo”, quindi, si indica una grandezza fisica (esprimibile tramite un numero

o mediante un modulo, una direzione e un verso) che in una certa regione di spazio

assume valori dipendenti dalla posizione, cioè è funzione delle coordinate spaziali ed

eventualmente anche del tempo. In generale, dunque, un campo è il risultato della

modificazione di una certa regione di spazio per opera di un oggetto fisico sorgente del

campo stesso (ad esempio, una carica elettrica, una calamita o una stella), la cui

presenza è rilevabile esclusivamente attraverso un’interazione.17

In questa sede non si vuole sostenere che Kant anticipò il concetto di campo, ma

sicuramente affrontò il problema della determinazione e della distinzione delle regioni

dello spazio e delle funzioni di coordinate da un punto di vista matematico e fisico.

Nel testo del 1768 Von dem ersten Grunde des Unterschiedes der Gegenden im

Raume, Kant asserisce la necessità di pensare lo spazio assoluto per determinare la

direzione o l’orientamento delle parti nello spazio. In questo testo Kant si rivolge a

15 Foreword, p. xvii. 16 Einstein, Come io vedo il mondo, p. 68. Un’equazione differenziale alle derivate parziali o più semplicemente un’equazione alle derivate parziali (EDP), è un’equazione differenziale che coinvolge derivate parziali di una funzione incognita in più variabili indipendenti. Le equazioni di campo di Einstein inserite nell’ambito della relatività generale descrivono l’interazione fondamentale della gravitazione come il risultato della curvatura dello spazio-tempo da parte di materia ed energia. Einstein pubblicò l’insieme delle sue equazioni alle derivate parziali nel 1915. Nello stesso modo in cui i campi elettromagnetici sono determinati attraverso le equazioni di Maxwell, così le equazioni di campo di Einstein sono usate per determinare la geometria spazio-temporale che risulta dalla presenza di massa-energia e momento lineare, cioè determinano il tensore metrico di spazio-tempo per una data strutturazione o sistemazione di energia-impulso nello spazio-tempo (tensore energia-impulso). La relazione tra il tensore metrico e il tensore di Einstein permette alle equazioni di campo di essere scritte come un insieme di equazioni parziali differenziali non lineari. 17 Senza entrare nel merito della teoria matematica che si occupa dei campi sia scalari (temperatura, pressione, ecc.) che vettoriali (forza, velocità, accelerazione, momento angolare, ecc.) e che ne regola le proprietà in base a determinate condizioni al contorno, qui ci limitiamo a darne una semplice definizione. Ogni regione dello spazio in cui una carica elettrica sia soggetta a una forza di tipo elettrico è detta campo elettrico, mentre per analogia si può affermare che la regione di spazio adiacente a un magnete permanente o a un conduttore percorso da corrente è sede di un campo magnetico.

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Lambert e ai geometri che vogliono connettere la geometria e la scienza della natura.

Questo scritto, oltre a criticare il relazionalismo di Leibniz, segna una presa di distanza

anche da Eulero.18

Sebbene Kant dia l’impressione di accettare apertamente e in modo definitivo lo

spazio assoluto newtoniano, le sue precisazioni sono preziose per capire che lo ha

reinterpretato e che la validità di questo concetto non è ammessa nella trattazione fisica

del moto e della forza, bensì in quella geometrica. Allo stesso tempo, infatti, in quello

scritto già compare l’idea dello spazio come concetto e come condizione di possibilità

dell’esperienza esterna. Questa posizione critica nei confronti dello spazio leibniziano

sarà affinata nella Dissertazione del 1770.

In quest’ultima, però, lo spazio assoluto non è più considerato come qualcosa di

reale o di necessario per la spiegazione del moto relativo e assoluto, perché la

concezione kantiana della geometria può ora contare sullo strumento della sintesi. Il

criticismo di Kant conduce cioè ad una valutazione dello spazio legata alla soggettività,

ma anche all’oggettività delle connessioni tra le parti che si influenzano reciprocamente

e a cui viene assegnata una posizione nello spazio-tempo.

Nel caso del sistema kantiano, la determinazione delle regioni dello spazio

dipende dall’interazione tra l’unità sintetica dell’appercezione e il reale della

percezione, dalla regola scelta di volta in volta dall’immaginazione per costruire

nell’intuizione le coordinate spazio-temporali di un qualcosa (Etwas) che è reale e che

possiede un grado.19

Come anticipato nei Capitoli I, II e V, il concetto di grado, trattato nelle

Anticipazioni della percezione della KrV, risulta di grande importanza per la definizione

dell’oggetto e per un tipo di rappresentazione continuo dello spazio e del tempo come

intuizioni formali.

20

18 I. Kant, Von dem ersten Grunde des Unterschiedes der Gegenden im Raume, KGS II, p. 378.

La differente composizione dell’omogeneo dello spazio e del

tempo, come quanta e come quanta continua, permette che le regioni dello spazio non

solo siano orientate, ma che si possano diversamente orientare e distinguere, per

rappresentare matematicamente i fenomeni fisici. La concezione dello spazio di Kant è

19 La domanda ontologica sullo spazio trova già la sua esplicita trattazione in epoca precritica (1768). Cfr. I. Kant, Von dem ersten Grunde des Unterschiedes der Gegenden im Raume, KGS II, pp. 375-384. 20 Il legame istituito da Kant tra il grado delle percezioni, la realtà e il metodo delle flussioni ha esercitato molta influenza sulla scuola neo-kantiana. Se la sezione delle Anticipazioni della percezione viene letta dal punto di vista della geometria, si trova una deduzione del fatto che lo spazio come intuizione formale sia reale. Su questo anche la letteratura contemporanea si è confrontata a partire dalla lettura che Cassirer e Cohen hanno offerto di queste pagine della KrV. Cfr. M. Friedman (1992), pp. 55-95; W. L. Harper, Kant, Riemann and Reichenbach on Space and Geometry, in Eighth International Kant Congress- Memphis 1995, vol. I, a cura di H. Robinson, Milwaukee 1995, pp. 423-454; B. Thaliath, Perspektivierung als Modalität der Symbolisierung, Würzburg 2005, pp. 42-60; 81-88.

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capace di dare conto del perché si possieda una concezione continua e discreta, ma

anche assoluta e relativa dello spazio-tempo (e del movimento), grazie alla distinzione

del modo rappresentativo del soggetto e alla sua presupposta interazione con il reale

percettivo.

L’altro aspetto da tenere in considerazione è la concezione kantiana dell’algebra

che ci viene riconsegnata dalla Kritik der Urtheilskraft, perché pone nel criterio della

scelta dell’unità di misura quell’elemento di arbitrarietà che ancora oggi caratterizza

l’impiego dell’algebra per la determinazione degli spazi topologici.

Sebbene dal punto di vista fisico, Kant possa in ultima istanza essere

annoverato anche tra i sostenitori dello spazio relazionale, va tenuto presente che,

mentre Leibniz faceva dipendere la posizione delle sostanze e dunque lo spazio, da un

piano metafisico – non è infatti possibile una concezione relazionale dello spazio-tempo

senza un’ipostatizzazione dello spazio e una presupposizione della sostanza – Kant

rendendo la sostanza una funzione del giudicare, colloca la determinabilità dello spazio-

tempo nell’ambito fenomenico di una interazione e di nessi causali tra le forze motrici

della materia e le percezioni.

La differenza con Leibniz consiste proprio nell’aspetto relazionale dello spazio

kantiano, che non si accompagna ad una semplice sostanzializzazione dello spazio-

tempo, bensì alla necessaria presenza di materia,21

Più che una dimostrazione della compatibilità della filosofia kantiana dello

spazio e del tempo con la teoria della relatività, è opportuno mostrare che la concezione

“flessibile” dello spazio e del tempo del criticismo presuppone un’idea di fondo, quella

di Mondo, profondamente legata a quella di sistema e di universo su cui l’epistemologia

e la fisica si modellano: per dare conto della varietà di fenomeni e di scienze, legati allo

spazio-tempo (si pensi alla fisica, alla matematica, ma anche alle arti figurative e

all’attività percettiva) la concezione trascendentale di essi non potrebbe non essere

“flessibile”, in quanto deve poter trovare un’applicazione pressoché universale.

dei corpi fisici e delle forze motrici

della materia, che possono essere conosciuti sulla base dell’idealismo trascendentale di

spazio e tempo.

Questo punto può essere ulteriormente chiarito, prendendo in esame il caso delle

teorie di gauge, strumenti fondamentali della fisica matematica per la costituzione della

teoria dell’elettrodinamica quantistica (QED).

21 Sulla concezione dello spazio-tempo relazionale nella cosmologia kantiana e l’ipostatizzazione dello spazio, cfr. infra, Capitolo V.

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Il nucleo teorico di queste teorie venne elaborato da H. Weyl.22

del sistema, ammettano simmetrie,

Le teorie di

gauge sono considerate, ad esempio da T. Ryckmann, come uno degli esempi di un

possibile approccio trascendentale nella filosofia della scienza contemporanea. Queste

vengono dette anche teorie G-invarianti e sono una classe di teorie fisiche di campo

basate sull’idea che alcune trasformazioni, che lasciano invariata la lagrangiana

() 23

La maggior parte delle teorie della fisica sono descritte da lagrangiane, che sono

invarianti sotto certe trasformazioni del sistema di coordinate e che sono eseguite

identicamente in ogni punto dello spazio-tempo (si dice quindi che presentano

simmetrie globali). Alla base delle teorie di gauge giace il postulato che le lagrangiane

debbano possedere anche simmetrie locali, cioè che debba essere possibile effettuare

queste trasformazioni di simmetria in una particolare e limitata regione dello spazio-

tempo. L’intento originario di H. Weyl nel 1918 era quello di mostrare l’equivalenza del

potenziale gravitazionale e di quello elettromagnetico, attraverso una trasformazione di

fase del campo.

possibili non solo globalmente, ma anche

localmente.

24

Le equazioni di Maxwell erano, infatti, invarianti ad alcune trasformazioni del

potenziale elettromagnetico

µA . Si poteva, cioè, definire un nuovo potenziale

elettromagnetico, dato da µA = µµ fA + , dove µf è il gradiente di un campo scalare

( )xf , per cui rimane inalterato il tensore del campo elettromagnetico, definito come

νµF = νµA – µνA . Questo significa che c’è un aspetto arbitrario del potenziale che può

essere impiegato per semplificare problemi in elettrodinamica.

Nel 1918 Weyl tentò di formulare un nuovo tipo di teoria, introducendo il

tensore metrico νµ

g e il formalismo tensoriale della relatività generale e della geometria

differenziale. Di fatto Weyl coniò in Raum-Zeit-Materie il termine trasformazione di

scala o di gauge.

22 Per una biografia di H. Weyl, cfr. M. H. A. Newman, Hermann Weyl. 1885-1955, in Biographical Memoirs of Fellows of the Royal Society, vol. 3, 1957, pp. 305-328. 23 Esistono particolari simmetrie globali, che non dipendono dal punto, che sono ancora simmetrie se agiscono localmente, ossia in punto qualsiasi del sistema, a patto che le azioni da un punto all’altro siano indipendenti (secondo le equazioni di Yang - Mills). 24 H. Weyl, Space-time-matter, pp. v-vi: “There holds, as we know now, a principle of gauge invariance in nature; but it does not connect the electromagnetic potentials i , as I assumed, with Einstein’s gravitational potentials ikg , but ties them to the four components of the wave field by which Schrödinger and Dirac taught us to represent the electron. […] Of course, one could not have guessed this before the “electronic field” was discovered by quantum mechanics!”.

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Le moderne teorie di gauge non hanno a che fare con oggetti geometrici come

νµg , ma prevedono trasformazioni locali di fase nel campo quantistico, che sono

fondamentali nella descrizione delle interazioni deboli e forti. A questo argomento e

quello delle simmetrie è stato dedicato molto spazio nell’edizione di Brading e

Castellani Symmetries in Physics (2003). Tuttavia, ancora non è stato adeguatamente

messo in luce se il tentativo di Weyl affondi le sue radici nella sua concezione dello

spazio come forma, di chiara derivazione kantiana:

Space and time are commonly regarded as the forms of existence of the real world, matter as its substance. A definite portion of matter occupies a definite part of space at a definite moment of time. It is in the composite idea of motion that these three fundamental conceptions enter into intimate relationship. […] in the field of philosophy Kant was the first to take the next decisive step towards the point of view that not only the qualities revealed by the senses, but also space and special characteristics have no objective significance in the absolute sense; in other words, that space, too, is only a form of our perception.25

La prima teoria fisica in cui è stata trovata una simmetria di gauge è stata,

quindi, la teoria elettrodinamica di Maxwell.26

L’idea di Weyl era di descrivere anche l’elettromagnetismo in maniera

geometrica, immaginando una simmetria aggiuntiva dello spazio-tempo e della fisica:

l’invarianza per trasformazioni di scala (o dilatazioni). Weyl intendeva costruire una

nuova teoria, modificando le leggi in modo che rimanessero invarianti anche per

trasformazioni locali.

Tuttavia, l’importanza di questa

simmetria delle equazioni di Maxwell non fu resa evidente nelle prime formulazioni.

Dopo lo sviluppo della relatività generale, Weyl, per unificarla con l’elettromagnetismo,

ipotizzò che la Eichinvarianz, o invarianza al variare della scala di misura, potesse

essere anche una simmetria locale della teoria della relatività generale. Con

quest’ultima, Einstein aveva proposto una descrizione puramente geometrica della

gravità.

A questo scopo Weyl introdusse la quantità geometrica supplementare, detta

“connessione”, che compensasse in qualche modo l’effetto delle modificazioni di scala

permettendo di ristabilire l’invarianza. La connessione introdotta possiede tutte le

proprietà del potenziale elettromagnetico, la grandezza fisica che descrive l’interazione

fra elettroni. Weyl descrisse dunque la teoria elettromagnetica in maniera totalmente

25 Weyl, Space-time-matter, pp. 1-3. 26 Cfr. D. J. Gross, Gauge Theory – Past, Present, and Future?, in The Chinese Journal of Physics, vol. 30, n. 7, 1992, pp. 955-972.

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geometrica: l’interazione omonima appare, infatti, come la manifestazione di una nuova

simmetria (geometrica) fondamentale della natura, l’invarianza rispetto alle dilatazioni,

promossa al grado di trasformazione (o invarianza) di gauge.

Gravità ed elettromagnetismo sarebbero stati associati ciascuno ad una

determinata simmetria dello spazio-tempo. Il tentativo di Weyl, dapprima fallito, sfociò,

molti anni più tardi, e dopo un acceso dibattito con Einstein, in un fruttuoso approccio

alla fondazione della meccanica quantistica in Gruppentheorie und Quantenmechanik

(1928).

Successivamente, Weyl ha sviluppato un concetto di simmetria geometrica,

esposto in Symmetry, che ha giocato un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle

moderne teorie di gauge.27 Il suo intento era quello di mostrare come l’invarianza di una

configurazione di elementi sotto un gruppo di trasformazioni automorfe28

Nello scritto del 1952 Weyl attua una distinzione tra spazio fisico e spazio

geometrico di chiara matrice kantiana. Sebbene nel testo Weyl citi Leibniz, il suo

ragionamento procede su una linea diversa. Weyl assume l’indiscernibilità di una vite

destra da una sinistra, affermando che la struttura interna dello spazio non permette, se

non attraverso una scelta arbitraria di distinguere un verso destro da uno sinistro, per cui

destro e sinistro non sono altro che concetti relativi.

giace a

fondamento di tutti i tipi di simmetria, quella bilaterale, traslatoria, rotazionale e

cristallografica.

29

Però Weyl aggiunge a seguito di

questa considerazione:

Since space is also the medium of all physical occurrences, the structure of the physical world is revealed by the general laws of nature. They are formulated in terms of certain basic quantities which are functions on space and time.30

Da qui discendono le conseguenze più interessanti della teoria della simmetria di

Weyl, quando le leggi della natura risultano invarianti rispetto alle trasformazioni del

gruppo di automorfismo fisico. Questo accade in virtù del fatto che, relativamente a un

sistema di riferimento completo, non solo i punti nello spazio, ma anche tutte le

grandezze fisiche possono essere fissate.31

27 Cfr. H. Weyl, Symmetry, Princeton 1952.

Due sistemi di riferimento, quindi, sono

28 A partire dalla descrizione di Helmoltz della struttura dello spazio, si può vedere che ogni trasformazione che conserva la struttura dello spazio é chiamata automorfismo. Anche la riflessione su un piano è un automorfismo. Cfr. Weyl (1952), p. 18. 29 Weyl (1952), p. 17. 30 Weyl (1952), p. 20. 31 Weyl (1952), p. 129.

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ugualmente ammissibili, se in entrambi tutte le leggi geometriche e quelle fisiche della

natura possiedono la stessa espressione algebrica.32 Da qui Weyl si spinge oltre i confini

della fisica matematica, affermando che l’oggettività non è altro che l’invarianza

rispetto al gruppo di automorfismo33

e che:

All a priori statements in physics have their origin in symmetry.34

Questa considerazione si basa su un principio, ovvero che se le condizioni che

solamente determinano i loro effetti possiedono certe simmetrie, allora l’effetto

mostrerà le stesse simmetrie.35

Di fronte a questa considerazione di Weyl torna inevitabilmente alla mente l’uso

kantiano del principio Grund-Folge per spiegare, ad esempio, la connessione fisica dei

fenomeni che corrisponde anche sul piano metodologico all’esibizione di rapporti

reciproci attivi tra le forze motrici della materia, secondo una divisione metafisica.

La nascita della sua teoria va fatta risalire alla pretesa di

un medesimo trattamento delle caratteristiche vettoriali (lunghezza e direzione) sulla

base di un principio a priori.

36

Weyl ebbe un’intuizione che non si sviluppò immediatamente in seno alla teoria

della relatività. A seguito dello sviluppo della fisica quantistica, Weyl modificò e adattò

la versione originale della sua teoria, mantenendo inalterata la sua idea che la

matematica dovesse essere lo strumento della ragione che permette allo spazio di essere

pensato come continuo o come discreto, o di essere costruito simmetricamente. Weyl si

interrogò a fondo sul problema della natura dello spazio e del tempo, tanto da affermare

nel 1931 che:

Die Philosophen mögen recht haben, daß unser Anschauungsraum, gleichgültig, was die physikalische Erfahrung sagt, euklidische Struktur trägt.37

L’uniformità e il carattere omogeneo dello spazio euclideo (in particolare la

curvatura nulla) permettono una sua comprensione globale, nella misura in cui la

conoscenza di una parte rende possibile la conoscenza del tutto, in quanto composto di

32 Per la particolare relazione tra relatività e fisica quantistica su questo punto, cfr. Weyl (1952), p. 130. 33 Weyl (1952), p. 132. La conclusione di Weyl è infatti che le configurazioni simmetriche degli elementi sono configurazioni che sono invarianti sotto un certo sottogruppo del gruppo di tutti gli automorfismi. 34 Weyl (1952), p. 125. 35 Weyl (1952), p. 125. 36 Cfr. infra, Capitoli I-II. 37 Weyl, Geometrie und Physik (1931), in Gesammelte Abhandlungen, a cura di K. Chandrasekharan, Heidelberg 1968, p. 339.

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parti identiche. Si scorgono qui i caratteri fondamentali attribuiti da Kant alla forma

dell’intuizione spaziale. In secondo luogo, Weyl legò inscindibilmente questo aspetto

con il punto di vista dell’Io e ai suoi studi precedenti sul continuo:

Erkennt man neben dem physischen einen Anschauungsraum an und behauptet von ihm,

daß seine Maßstruktur aus Wesensgründen die euklidischen Gesetze erfülle, so steht dies mit der Physik nicht in Widerspruch, sofern sie an der euklidischen Beschaffenheit der unendlich kleinen Umgebung eines Punktes O (in dem sich das Ich momentan befindet) festhält […]. Aber man muß dann zugeben, daß die Beziehung des Anschauungsraumes auf den physischen um so vager wird, je weiter man sich vom Ichzentrum entfernt. Er ist einer Tangentenebene zu vergleichen, die im Punkte O an eine krumme Fläche, den physischen Raum, gelegt ist: in der unmittelbaren Umgebung von O decken sich beide, aber je weiter man sich von O entfernt, um so willkürlicher wird die Fortsetzung dieser Deckbeziehung zu einer eindeutigen Korrespondenz zwischen Ebene und Fläche.38

Sebbene un tipo di studi che stabilisca l’impatto della fenomenologia sull’opera

di Weyl sia lodevole e necessario, l’aspetto degno di nota nella presente ricerca è

l’influsso esercitato da Weyl a livello teorico sui fondamenti della fisica quantistica e

sui suoi sviluppi successivi e il fatto che l’oggettività in fisica venga legata a elementi a

priori della costruzione matematica.

Dopo l’avvento della meccanica quantistica, infatti, Fock e London ritenevano

che l’idea di Weyl,39 sviluppata alla luce di nuovi concetti, potesse spiegare

elegantemente l’effetto di un campo elettromagnetico sulla funzione d’onda di una

particella quantistica elettricamente carica. Per ottenere questo, nella nuova versione, si

modificò la funzione d’onda dell’elettrone. La nuova trasformazione non agisce più

sulle lunghezze dilatandole, bensì sulla funzione d’onda (o sul campo quantistico)

dell’elettrone e ne modifica la fase, semplicemente inserendo una variabile arbitraria (x)

dello spazio nella trasformazione di fase (φ) della lagrangiana.40

La trasformazione di gauge significa quindi un cambiamento di fase.

L’elettrodinamica quantistica si basa proprio sull’invarianza di gauge rispetto al

cambiamento di fase. Questa invarianza va distinta dalla simmetria di gauge che ha

accompagnato la quantizzazione e il processo di rinormalizzazione della QED.

41

38 Weyl, Philosophie der Mathematik und Naturwissenschaft, München 2000, p. 173.

39 Ovvero l’idea di cambiare il fattore di scala con una quantità complessa e sostituire la trasformazione di scala con una trasformazione di fase, cioè una simmetria di gauge U(1). 40 R. Healey, Gauging What’s Real. The conceprual Foundations of Contemporary Gauge Theories, Oxford 2007, pp. 1-6; 223-224. 41 AA. VV., Renormalization: from Lorentz to Landau (and beyond), a cura di L. M. Brown, New York 1993.

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262

Questo è dovuto, secondo Gross, in parte alle differenze tra simmetrie di gauge

locali e le simmetrie ordinarie globali della natura.42

La teoria dell’elettrodinamica quantistica possiede una simmetria locale di

gauge, descritta dalla lagrangiana:

Vi sarebbe, infatti, una differenza

di invarianza traslazionale o rotazionale. Le simmetrie globali sono simmetrie delle

leggi della natura che implicano che un osservatore che ruota o trasla il suo apparato

sperimentale possa registrare gli stessi risultati. Anche se la teoria di gauge contiene un

numero infinito di nuove simmetrie dell’interazione e, dunque, un numero infinito di

nuove correnti conservate, tutte le nuove cariche sono uguali a 0.

L’interazione elettromagnetica è interpretata come la manifestazione di questa

simmetria fondamentale che agisce sulla fase della funzione d’onda, così da poter

attribuire anche al cambiamento di fase un’interpretazione geometrica.43

L’importanza delle teorie di gauge nasce dal loro grandissimo successo nel

descrivere, in un solo quadro teorico unificato, le teorie di campo quantistico

dell’elettromagnetismo, dell’interazione nucleare debole e dell’interazione nucleare

forte. Questo quadro teorico, noto come Modello Standard, descrive accuratamente i

Tuttavia,

associate alla simmetria locale, non ci sono nuove simmetrie in natura. La simmetria di

gauge non conduce a nuove cariche, ma determina la forma dell’interazione (come

dichiarò Yang, “gauge symmetry dictates the form of the interaction”). Questo

approccio, di cui non è possibile ora ricostruire la genesi in tutte le sue modalità e

complessità, risulta estremamente interessante, perché mostra per certi versi una

compatibilità con un’epistemologia di stampo kantiano, come se vi fosse un residuo di

eredità kantiana che passa anche attraverso l’opera di Weyl e giunge fino alla fisica

delle moderne teorie di gauge che si sono inevitabilmente confrontate con i contributi di

quest’ultimo.

42 R. Healey, Gauging What’s Real. 43 Ogni gruppo di gauge è anch'esso una varietà (vale a dire uno spazio geometrico) e fa parte dei cosiddetti gruppi di Lie. I gruppi di trasformazioni geometriche agenti su una varietà possiedono proprietà particolari e sono chiamati “gruppi di Lie”. Una loro proprietà è che sono essi stessi delle varietà: ciascuno degli elementi del gruppo, in questo caso abbiamo detto di trasformazioni, può essere interpretato come punto di una varietà. Cfr. S. Lang, Undergraduate Algebra, (III edizione) New York 2005, pp. 231; 256.

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risultati sperimentali di tre delle quattro forze fondamentali della natura, ed è una teoria

di gauge, con gruppo di gauge SU(3) × SU(2) × U(1).44

La teoria quantistica dei campi sostituisce il concetto di particella con quello di

campo: anziché descrivere il comportamento degli elettroni, ad esempio, si descrive

quello di un campo elettrico. La teoria quantistica dei campi è un ambito molto generale

e si scinde in diversi rami: teoria elettrodebole per l’elettromagnetismo e le interazioni

deboli; cromodinamica quantistica per le interazioni forti. Ognuna di queste è una teoria

di gauge che considera un’interazione fisica (ad esempio quella elettromagnetica) come

l’effetto di una particolare simmetria o invarianza della teoria sotto l’applicazione di

particolari trasformazioni. Si possono interpretare queste trasformazioni geometriche,

che agiscono su uno spazio interno, come tali da determinare lo spazio topologico solo

localmente.

***

Prima di proseguire, è utile vedere con un esempio di cosa si parla, quando si ha

di fronte una determinazione dello spazio topologico, secondo la scelta di una regola in

base all’unità di scala e che procede attraverso lo strumento dell’algebra. La trattazione

che segue è volutamente estremamente elementare, ma è volta a cogliere l’aspetto

matematico “costruttivo” e sintetico che emerge insieme all’operazione di

trasformazione dello spazio.

Si consideri l’insieme dei valori possibili per la fase della funzione d’onda

In questo modo si è costruito uno spazio fibrato semplice, una striscia di Möbius

(Fig. 1), le cui fibre sono rappresentate dalle copie della circonferenza e la cui base è

come uno spazio astratto o spazio interno E (in contrapposizione con lo spazio

ordinario, chiamato esterno). La fase è individuata da un semplice ed unico numero:

l’insieme dei suoi valori possibili costituisce dunque una varietà ad una sola

dimensione, più precisamente una circonferenza – il gruppo di gauge U(1),

infatti, coincide con il gruppo di simmetria associato alla circonferenza, intesa come

varietà. Poiché la trasformazione di fase può essere effettuata in un punto qualsiasi, a

ciascun punto dello spazio-tempo m è associata una copia di tale circonferenza, E(m).

44 Gross (1992), p. 960. In matematica questi vengono detti gruppi unitari speciali. Un gruppo unitario speciale di grado n, SU(n), è il gruppo di matrici unitarie con determinante unitario. L’operazione interna al gruppo corrisponde alla moltiplicazione tra matrici. Il gruppo speciale unitario è un sottogruppo del gruppo unitario U(n), che include tutte le matrici unitarie , che è a sua volta un sottogruppo del gruppo lineare generale GL(n, C). Ad ogni simmetria di gauge è associato un gruppo di gauge, che determina quasi tutte le caratteristiche della teoria, e da cui questa prende il nome: U(1) per l’elettrodinamica quantistica; SU(2) X U(1) per la teoria elettrodebole; SU(3) per la cromodinamica quantistica ed SU(5) per una eventuale teoria unificata (questo gruppo contiene tutti i precedenti).

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costituita dallo spazio-tempo (si vedano gli Allegati 1 e 2). In generale un fibrato è

costruito su una varietà, che ne rappresenta la base. A ciascun punto della base

corrisponde una copia della fibra, anch’essa una varietà, che in questo caso è una

circonferenza. Ogni punto della base è associato a una fibra, e le fibre sono tutte

identiche tra loro. Le teorie di gauge si basano precisamente su questa struttura

geometrica. La base è in questo caso rappresentata dallo spazio-tempo: in coincidenza

di ogni punto vi sono le fibre, che rappresentano tante copie identiche di uno spazio

interno.

Fig. 1 La striscia di Möbius offre un’esemplificazione del concetto di fibrato. Il vettore normale trasportato parallelamente a se stesso lungo la striscia ritorna al punto di partenza ruotato rispetto alla

direzione che aveva in partenza.

Per ciascun punto (evento) dello spazio-tempo, la fibra è data da una copia dello

spazio interno. Ciò permette un’interpretazione geometrica della trasformazione di

gauge come modifica della fase, la quale può essere vista come uno spostamento in seno

allo spazio interno, vale a dire lungo la fibra. Come si è visto precedentemente, Weyl

riteneva che il potenziale elettromagnetico A rappresentasse una connessione del fibrato.

Il gruppo di gauge acquista senso fisico in elettrodinamica quantistica, rappresentando

l’insieme delle trasformazioni, ovvero cambiamenti di fase che operano sullo spazio

interno, cioè la fibra.

Sia dato un fibrato (Fig. 2) tale che la base sia costituita dallo spazio-tempo; le

fibre rappresentino uno spazio interno E. Una trasformazione di gauge T si può

interpretare in due modi: fisicamente, essa agisce sulla funzione d’onda;

geometricamente, è una trasformazione che agisce sulla varietà E. La simmetria di

gauge è definita come l’invarianza locale rispetto alle trasformazioni T. L’insieme di tali

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trasformazioni forma il gruppo di gauge G. L’invarianza di G è assicurata

dall’introduzione di una nuova quantità A.

Fig. 2 Ad ogni punto dello spazio di base (la striscia) è assegnato un altro spazio. Una sezione del fibrato può essere considerata localmente come uno spazio vettoriale

parametrizzato come continuo da uno spazio topologico. Considerato globalmente, il fibrato, mostra invece una discontinuità, dovuta alla torsione.

Geometricamente, dunque, A rappresenta una connessione all’interno del fibrato.

Fisicamente, A rappresenta il potenziale di un nuovo campo, che descrive le interazioni

tra le particelle rappresentate dalla funzione d’onda. In entrambi i casi, tale processo di

costruzione permette la modificazione dello spazio-tempo geometrico, così come di

quello fisico.

La molteplicità di punti di vista con cui può essere riguardato lo stesso fenomeno

era il problema kantiano della possibilità della rappresentazione del rapporto tutto-parti

dal punto di vista intuitivo e concettuale, che continua ancora a persistere nella pratica e

nella teoria scientifica.

Nel caso degli spazi fibrati ci si trova di fronte a qualcosa di molto simile a una

varietà, a un molteplice, cioè ad uno spazio topologico dove ogni punto è all’interno di

un intorno che sembra essere euclideo, ma preso nel suo complesso può essere non-

euclideo. Anche uno spazio fibrato è basato sulla stessa idea: una proprietà locale che

non vale necessariamente globalmente, è basata su una proprietà di regioni dello spazio.

Per cui un fibrato sembra quasi un prodotto di due spazi topologici. Lo spazio

può essere diviso in regioni, ciascuna delle quali è uno spazio topologico, ma lo spazio

globale può subire innumerevoli torsioni, così che esso non può essere un vero e proprio

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spazio prodotto.45

Anche qui, compare di nuovo quel modo di rappresentare il rapporto tutto-parti

dello spazio che ha giocato un ruolo fondamentale per il programma di Weyl e nelle

concezioni trascendentali dello spazio.

Ad esempio, la differenza tra un cilindro e una striscia di Möbius

risiede nel fatto che, sebbene entrambi siano costruiti prendendo un rettangolo e

congiungendo i lati estremi opposti, il cilindro resta uno spazio prodotto, quello di una

linea e di un circolo. La striscia di Möbius, invece, non è uno spazio topologico

prodotto, in quanto prevede almeno una torsione. Tuttavia, nella maggior parte dei casi

la striscia si comporta come uno spazio topologico prodotto; in particolare in ogni

piccola regione locale, non si può distinguere dal cilindro. In ogni punto particolare

della striscia o in ogni segmento si trova un omeomorfismo a un segmento simile del

cilindro, così che ogni intorno sembra uno spazio cilindrico prodotto. Il fatto, però, che

la striscia si pieghi, impedisce una funzione di proiezione della fibra. Questo esempio

dimostra come lo stesso oggetto geometrico possa essere valutato come spazio prodotto

da funzioni algebriche e allo stesso tempo tale prodotto possa essere valutato in modi

completamente diversi, a seconda del sistema di riferimento (globale o locale) che viene

preso in considerazione.

***

La lettura che fornisce Ryckmann in Hermann Weyl and “Fist Philosophy”:

Constituiting Gauge Invariance,46

45 Cfr. S. Iyanaga, Y. Kawada, Product Spaces, §408L, in Encyclopedic Dictionary of Mathematics, Cambridge, 1980, pp. 1281-1282: “A Cartesian product equipped with a product topology is called a product space (or product topological space, or direct product)”.

mostra come la teoria della relatività non sia affatto

l’esperimento cruciale in grado di negare l’idealismo trascendentale di spazio e tempo,

rifacendosi al tentativo di Weyl di costruire una geometria puramente infinitesimale i

cui gradi di libertà permettono un’incorporazione dell’elettromagnetismo nella metrica

spazio-temporale. L’alternativa proposta al naturalismo viene rintracciata da Ryckmann

in quello straordinario laboratorio di idee che fu il decennio dal 1915 al 1925, in cui

Cassirer, Husserl, Weyl, Hilbert e Schlick si pronunciarono in un acceso dibattito sulla

natura della teoria della relatività, sul concetto di spazio-tempo e sullo statuto della

matematica. L’attenzione di Ryckmann si focalizza sullo scritto del 1918 Raum-Zeit-

Materie in cui Weyl svilupperebbe le considerazioni di Husserl sulla teoria della

relatività.

46 Ryckmann (2009). Scholz attribuisce, invece, grande importanza a Fichte per lo sviluppo della teoria di Weyl. Cfr. E. Scholz, Weyl’s Infinitesimalgeometrie, 1917-1925, in Hermann Weyl’s Raum-Zeit-Materie and a general introduction to his scientific work, Basilea 2001.

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L’obiettivo di Weyl, ricorda Ryckmann, era quello di incastonare la relatività

entro il quadro di una geometria puramente infinitesimale, ovvero una geometria i cui

oggetti sono costruiti sulla base di operazioni primitive direttamente ed immediatamente

evidenti in un’intuizione. In questo modo, Weyl avrebbe voluto mostrare come il

mondo fisico della relatività generale, il framework per i campi tensoriali della

gravitazione e dell’elettromagnetismo, potessero essere costruiti a partire da una base

data alla coscienza. Questi formalismi avrebbero potuto così acquisire un significato

oggettivo in quanto riferiti a oggetti fisici da parte della coscienza. Ora, sebbene il

riferimento ad Husserl sia evidente, Weyl, che aveva una buona conoscenza dei testi

kantiani, compie un’operazione in linea con l’idealismo trascendentale:

A necessary presupposition of any differential structure, a coordinate system always bears an indelible mark of transcendental subjectivity […] The next steps concern the immediately evident purely infinitesimal relations of comparison of direction and magnitude that depend on a specific choice of coordinates and unit of scale. The construction of pure infinitesimal geometry is laid out as taking place in three distinct stages of connection: topological manifold or “continuous connection” (stetiger Zusammenhang), affine connection, and metric (or, length) connection. The construction itself, […] is in all essential parts the final result of the renewed investigation of the mathematical foundations of Riemannian geometry opened up by Levi-Civita’s discovery of the concept of infinitesimal parallel displacement. […] However, to Weyl’s dismay, it soon became apparent that, despite the restrictive condition of gauge invariant, a number of such functions could be constructed, choice among them being essentially arbitrary.47

L’ispirazione da cui trasse spunto Weyl non è solo quella dell’idealismo

trascendentale o della fenomenologia di Husserl, ma anche dal pensiero di Fichte e

Leibniz e dalla geometria dello spazio non-euclideo di Riemann.48

Si noterà come alla base di questo approccio alla fisica matematica vi siano

almeno due elementi di matrice kantiana, oltre che alla considerazione formale dello

spazio.

Tuttavia, sulla base

dell’analisi svolta nel Capitolo II, si nota come l’approccio di Weyl rispecchi quello

kantiano nella misura in cui fa della scelta della regola della connessione, la base della

costruzione dello spazio geometrico e fisico e della soggettività trascendentale la base

per il formalismo tensoriale della relatività generale. Per compiere questo progetto,

riconosce una natura formale e intuitiva allo spazio, e assegna alla soggettività il ruolo

di rappresentarlo oggettivamente come intuizione formale.

47 Ryckmann (2009), p. 287. 48 Cfr. Ryckmann (2009), p. 295.

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Il primo aspetto è quello che riguarda la natura della nozione di trasformazioni.

Queste si basano innegabilmente su un processo di costruzione, di composizione e

decomposizione delle interazioni, che Kant ha voluto indagare nel suo fondamento di

natura trascendentale, credendo che tale processo avvenga soprattutto attraverso una

scelta arbitraria della regola della composizione in base all’unità della grandezza. Allo

stato attuale della ricerca non è possibile stabilire se Weyl fosse a tal punto un

conoscitore di Kant da sapere approfonditamente e nel dettaglio la dottrina kantiana

della costruzione matematica. Sicuramente, in riferimento agli studi di Husserl, la

sostanza del suo contributo filosofico fondamentale alla fisica è segnato da un approccio

trascendentale alla matematica e alla natura dello spazio e del tempo.

Il secondo aspetto riguarda il presupposto che l’oggetto della trasformazione sul

piano fisico-matematico sia per Weyl la struttura, il sistema dell’interazione, tanto da

chiamare Verknüpfung, “connessione” o nexus, il suo strumento chiave per la

produzione della sua teoria geometrica, che avrebbe dovuto istituire, grazie alla

matematica, un ponte tra elettromagnetismo e relatività.

Se si tiene presente lo sviluppo di questo lavoro, si ricorderà quanto sia stato

posto l’accento nei capitoli precedenti sull’assunto kantiano che la metafisica, rifondata

grazie al criticismo, abbia come oggetto presupposto da determinare ulteriormente ed

arricchire di determinazioni, proprio il sistema dei rapporti reciproci, la comunanza tra

le parti di un sistema che mostra come il mondo esterno sia attivo e legato al soggetto

secondo nessi causali che lo coinvolgono. Weyl ha trasposto sul piano della fisica

matematica49

Nel Capitolo V, si è voluto chiarire il ruolo della concezione kantiana dello

spazio-tempo in riferimento al sistema della materia cosmica. Ora è opportuno

confrontarla con i caratteri del sincretismo epistemologico di Einstein, che mostra una

sintesi di diversi elementi che traggono origine dal confronto col neo-Kantismo, dal

convenzionalismo e dall’empirismo logico.

alcuni dei presupposti fondamentali della filosofia kantiana, mostrando

così le potenzialità dell’approccio trascendentale per la comprensione della fondazione

della fisica contemporanea.

La posizione di Einstein è una forma di realismo che trae la sua fonte primaria

dai problemi di fisica. La sua visione epistemologica matura appare in On the Method of

Theoretical Physics (1933), in Physics and Reality (1936) e in Autobiographical Notes

49 Weyl, Space-Time-Matter, pp. 6-7.

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(1946). Queste note autobiografiche rivestono particolare importanza per la sua visione

generale, come si può apprezzare dal passo che segue:

A proposition is correct if, within a logical system, it is deduced according to the accepted logical rules. A system has truth-content according to the certainty and completeness of its co-ordination-possibility to the totality of experience. A correct proposition borrows its “truth” from the truth-content of the system to which it belongs.50

Come nota storica Einstein aggiunge:

Hume saw clearly that certain concepts, as for example that of causality, cannot be deduced from the material of experience by logical methods. Kant, thoroughly convinced of the indispensability of certain concepts, took them—just as they are selected—to be the necessary premises of every kind of thinking and differentiated them from concepts of empirical origin. I am convinced, however, that this differentiation is erroneous, i.e., that it does not do justice to the problem in a natural way. All concepts, even those which are closest to experience, are from the point of view of logic freely chosen conventions, just as in the case with the concept of causality, with which this problematic concerned itself in the first instance.51

Per Einstein, dunque, una distinzione tra concetti empirici e a priori sarebbe

erronea, in quanto i concetti da un punto di vista logico sono il prodotto di una

convenzione liberamente scelta. Questo aspetto convenzionalista applicato non solo in

ambito logico, ma anche epistemologico ha evidenti ripercussioni sulla concezione della

causalità. Il suo modo di interpretare il ragionamento scientifico è presentato

chiaramente in una lettera (scritta il 7 maggio 1952) al suo amico Maurice Solovine.

Einstein, con il seguente schema, sostiene:

(1) E sono le esperienze che ci sono date.

(2) A sono gli assiomi, da cui deriviamo le conseguenze. Dal punto di vista

psicologico A si basa su E. non esiste, però, uno schema logico che connetta E ed A, ma

solamente una connessione intuitiva (psicologica) sempre soggetta a revoche.

50 Einstein, Autobiographical Notes, a cura di P. A. Schlipp, Chicago 1979, p. 13. 51 Einstein, Autobiographical Notes, p. 13.

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(3) Da A, attraverso una via logica, sono dedotti asserti particolari S, che posso

essere riconosciuti come corretti.

(4) Gli S sono riferiti a E (controprove dell’esperienza). Questa procedura, a

essere esatti, appartiene anche alla sfera intuitiva o extra-logica, in quanto le relazioni

tra i concetti che compaiono in S e le esperienze E non sono di natura logica. Queste

relazioni di S a E , tuttavia, sono pragmaticamente molto meno certe che le relazioni di

A con E. Se tale corrispondenza non fosse ottenibile con grande certezza (se non

logicamente afferrabile), la macchina logica non avrebbe alcun valore per la

comprensione della realtà.

La quintessenza del discorso einsteiniano risiede, dunque, nella connessione

problematica tra il mondo delle idee e quello dell’esperienza:

Il pensiero logico da solo non ci può fornire conoscenze sul mondo dell’esperienza e

termina in essa. Le proposizioni logiche sono vuote di fronte alla realtà. […] ma allora, se l’esperienza è l’alfa e l’omega di tutto il nostro sapere intorno alla realtà qual è il posto che la ragione occupa nella scienza?52

La vicinanza di Einstein, che di certo non conosceva l’Opus postumum, al

pensiero di Kant corre proprio sul filo dell’idea sistematica di mondo e delle interazioni

che in esso si producono. Questo potrebbe essere il risultato dell’influenza di August

Stadler, autore di Kants Theorie der Materie, pubblicato a Lipsia nel 1883, che fece

conoscere a fondo ad Einstein la teoria kantiana del movimento.53

Per Einstein, un sistema completo di fisica teorica si compone di idee, di leggi

fondamentali applicabili a queste idee e di proposizioni conseguenti che ne derivano per

deduzione logica. Queste proposizioni devono corrispondere alle esperienze individuali.

Ma quello che può dare la struttura a un sistema, attraverso un principio, è la ragione.

Ed è proprio nel giudizio sullo statuto dei principi adottati dalla fisica teorica che per

Einstein entra in gioco la filosofia, come è riportato nelle Spencer Lecture del 1933:

If you wish to learn from the theoretical physicist anything about the methods which he

uses, I would give you the following piece of advice: Don't listen to his words, examine his achievements. For to the discoverer in that field, the constructions of his imagination appear so necessary and so natural that he is apt to treat them not as the creations of his thoughts but as given realities.54

52 Einstein, Come io vedo il mondo, p. 41.

53 Secondo R. Palese e M. Palese Einstein avrebbe seguito le lezioni di Stadler al Politecnico di Zurigo negli anni 1896-1897. cfr. R. Palese, M. Palese, “I Metaphysische Anfangsgruende der Naturwissenschaft di I. Kant; anticipazioni sulla possibilità di una Teoria di Relatività Generale”, in Atti del XIX Congresso Nazionale di Storia della Fisica e dell’Astronomia, Como 28-29 maggio 1999. Disponibile on line su http://www.brera.unimi.it/SISFA/atti/1999/Palese.pdf. 54 A. Einstein, The Herbert Spencer Lecture, delivered at Oxford, June 10, 1933, Oxford 1974, pp. 5-6.

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Il cuore del ragionamento di Einstein consiste nel mostrare che la costruzione di

una teoria fisica prevede necessariamente il considerare come reali i concetti fisici e le

leggi che li connettono.55

Dal passo seguente però sembra che il lontano dibattito con Weyl abbia in un

certo senso influenzato Einstein nella sua considerazione delle teorie scientifiche. Weyl

scrisse ad Einstein il 10 Dicembre 1918:

Il fisico teorico deve abbracciare un realismo scientifico.

Übrigens müssen Sie nicht glauben, daß ich von der Physik her dazu gekommen bin,

neben der quadratische noch die lineare Differentialform in die Geometrie einzuführen; sondern ich wollte wirklich diese “Inkonsequenz,” die mir schon immer ein Dorn im Auge gewesen war, endlich einmal beseitigen und bemerkte dann zu meinem eigenen Erstaunen: das sieht so aus, als erklärt es die Elektrizität.56

L’idea di Weyl per l’unificazione elettrogravitazionale emerse dalla matematica,

piuttosto che dalla dimensione empirica della scienza. Sebbene Einstein difendesse

l’utilizzo di rods and clocks per mostrare la base empirica della sua teoria,57

e si

opponesse a qualsiasi fondamento trascendentale a priori della conoscenza umana, si

pose la domanda sul posto che la ragione potrebbe occupare nella scienza, nonostante

l’esperienza ne costituisca “l’alfa e l’omega”. Secondo Einstein il posto della ragione

nella scienza coincide con il fatto che:

Il contenuto delle esperienze e le loro relazioni reciproche devono, grazie alle proposizioni conseguenti della teoria, trovare la loro rappresentazione: in ciò consiste la giustificazione di tutto il sistema e dei concetti e dei principi che ne sono alla base. Questi concetti e principi sono creazioni libere dello spirito umano, che non si possono giustificare a priori né con la natura dello spirito umano né in un altro modo qualsiasi.58

I principi fisici hanno una natura fittizia e la fisica teorica si basa su un

fondamento empirico, ma procede per assiomatizzazione. La guida sicura di questo

55 Einstein, Come io vedo il mondo, p. 45. 56 Lettera di Weyl a Einstein, in The collected papers of Albert Einstein, vol. VIII, a cura di R. Schulmann, A. Kox, M. Janssen e J. Illy, Princeton 1998. 57 Lettera di Weyl a Einstein, in The collected papers of Albert Einstein, vol. VIII, a cura di R. Schulmann, A. Kox, M. Janssen e J. Illy, Princeton 1998: “Werden sie voneinander getrennt, in beliebiger Weise bewegt und dann wieder zusammen gebracht, so werden sie wieder gleich (rasch) gehen, d. h. ihr relativer Ganghängt nicht von der Vorgeschichte ab. Denke ich mir zwei Punkte P1 & P2, die durch eine zeitartige Linie verbunden werden können. Die an P1 & P2 anliegenden zeitartigen Elemente ds1 und ds2 können dann durch mehrere zeitartigen Linien verbunden werden, auf denen sie liegen. Auf diesen laufende Uhren werden ein Verhältnis ds1 : ds2 liefern, welches von der Wahl der verbindenden Kurven unabhängig ist.—Lässt man den Zusammenhang des ds mit Massstab- und Uhr-Messungen fallen, so verliert die Rel. Theorie überhaupt ihre empirische Basis”. 58 Einstein, Come io vedo il mondo, p. 42.

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procedimento risiede nella matematica,59

che deve aspirare a connettere concetti e

principi della fisica teorica in un sistema. Si ravvisa in questa posizione di Einstein la

ragione del monito di Weyl:

Gegen das Argument, daß in eine versuchte experimentelle Prüfung der Geometrie immer auch eigentlich physikalische Aussagen über das Verhalten von starren Körper und Lichtstrahlen hineinspielen, ist zu sagen, daß die physikalischen Gesetze so wenig wie die geometrischen, jedes für sich, eine Prüfung in der Erfahrung zulassen, sondern die “Wahrheit” einer konstruktiven Theorie nur im Ganzen geprüft werden kann.60

La forma sistematica, corrispondente ad una posizione di olismo in Einstein,

assurge a strumento indispensabile per la costituzione della scienza.

Ora, come è stato sottolineato nel corso della ricerca, proprio le forze derivative

della materia e i loro principi, che Kant indica come indispensabili per un passaggio

dalla metafisica della natura alla fisica, sembrano corrispondere proprio a “finzioni” con

cui la ragione progetta le sue forme, cioè la forma sistematica, fondata sull’esibizione

dei rapporti reciproci attivi tra membri del sistema, che sono sempre concetti cui

corrisponde indirettamente un oggetto (una connessione) nella realtà. Questo aspetto

vale all’interno del contesto del Passaggio dai principi metafisici della scienza della

natura alla fisica, laddove Kant si pone esattamente questa domanda: come costituisce

la fisica teorica un sistema che connette l’esperienza con principi logici? In sostanza la

stessa domanda einsteiniana sul posto che la ragione occupa nella scienza.61

La critica

che Einstein muove a Kant è la seguente:

Prima di affrontare il problema dello spazio, facciamo una dichiarazione preliminare sulle idee in generale: le idee si riferiscono alle esperienze dei sensi, ma non possono mai derivarne logicamente. Per questa ragione non ho mai potuto comprendere la questione dell’a priori nel senso di Kant. Nelle questioni di realtà, non può mai trattarsi che di una cosa, cioè di ricercare i caratteri del complesso di esperienze dei sensi ai quali si riferiscono le idee. Per quanto concerne l’idea di spazio, quella dell’oggetto corporeo sembrerebbe doverla precedere. […] Si è giunti, con l’aiuto di esperienze così precise, all’idea di oggetto corporeo (la quale idea non suppone affatto la relazione di spazio e di tempo); la necessità di creare col pensiero le relazioni reciproche fra oggetti corporei di questa natura deve inevitabilmente dare origine alle idee corrispondenti alle loro relazioni di spazio.62

In questo passo emerge chiaramente che Einstein conoscesse davvero

parzialmente il pensiero di Kant e come quest’ultimo con evidenza mostri, sul piano

della fondazione della fisica, aspetti di straordinaria attualità dal punto di vista teorico

59 Einstein, Come io vedo il mondo, p. 45. 60 Weyl (2000), p. 171. 61 Cfr. D. Howard, J. Stachel, Einstein: the formative years, 1879-1909, New York 2000. 62 Einstein, Come io vedo il mondo, pp. 81-82. Corsivo mio.

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ed epistemologico. Infatti, come si è mostrato nel corso della presente ricerca,

l’idealismo trascendentale di spazio e di tempo, in ultima istanza, conduce Kant alla

prova della materia cosmica nell’Opus postumum, per garantire una possibile

applicazione dei principi metafisici della scienza della natura alla fisica.

Quello che potrebbe sorprendere nel passo seguente è proprio il fatto che lo

spazio come oggetto dell’esperienza possibile è determinabile come tale in virtù della

materia, delle sue forze motrici, e del principio logico di identità:

Der wahrnehmbar//leere Zwischenraum ist also eigentlich eine relativ auf unseren Sinn

dem Grade nach imperzeptible Materie und ist ein Gegenstand möglicher aber mittelbarer Erfahrung z. B. der Lichtsmaterie die den Raum zwischen dem Auge und dem Gegenstande einnimmt und nur durch ihre Erregung ein Gegenstand der Erfahrung werden kann. Das wodurch der Raum überhaupt ein Gegenstand möglicher Erfahrung (des Messens, der Richtung etc.) wird, ist ein allgemein verbreiteter alldurchdringender mit bewegenden Kräften versehener Weltstoff dessen Wirklichkeit bloß auf dem Prinzip der Möglichkeit äußerer Erfahrung beruht und so a priori nach dem Satz der Identität erkannt und bewährt ist; weil ohne diesen Stoff vorauszusetzen ich auch gar keine äußere Erfahrung haben könnte: der leere Raum aber kein Gegenstand möglicher Erfahrung ist. Dieser Stoff also den man Wärmestoff zu nennen im Gebrauche hat, unerachtet dieses nur eine besondere Wirkung seiner bewegenden Kräfte sein mag, ist kein hypothetischer Stoff, gedichtet zur Erklärung gewisser Erscheinungen sondern wird als Prinzip der Möglichkeit der Erfahrung jener Kräfte postuliert und der Begriff von demselben ist die Basis der Verknüpfung a priori aller bewegenden Kräfte der Materie ohne welche keine Einheit in dem Verhältnisse des Mannigfaltigen derselben in einem Ganzen der Materie gedacht werden könnte.63

Il concetto di una materia cosmica, come postulato, è assunto in virtù della

considerazione che nella realtà esiste una varietà di fenomeni interconnessi. Questo

postulato sembra essere il risultato di una strategia, di una logica intrinsecamente

presente al modo di procedere del carattere costruttivo della scienza della natura. Poiché

i principi, le regole e i rapporti della connessione dei fenomeni non sono direttamente,

ma solo indirettamente di natura fisica, possiamo stabilire matematicamente i nessi di

tali fenomeni. Poiché l’interesse della ragione non si concentra su questo o quel

particolare fenomeno, ma alla loro unità, occorre un sistema che li unifichi in base a

principi a priori e deve poter essere rinvenuto un corrispettivo di questa unità

sistematica, un fondamento che venga postulato, in quanto non ci è dato direttamente

nell’esperienza. L’aspirazione di Einstein non era molto diversa da quella kantiana, e

proprio per questo la base empirica della teoria della relatività non sembra comunque in

grado da sola di fornire l’unità dei principi della teoria scientifica con la realtà.

Ma i pregiudizi circa la concezione kantiana della costituzione di un sistema

fisico e del rapporto tra empirico e a priori sono evidenti dal fatto che per Einstein i

63 Opus postumum, KGS XXI, p. 229.

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filosofi critici hanno fallito nello stabilire elementi a priori della conoscenza. Tuttavia, a

questo si può obiettare che si potrà sempre stabilire un sistema a priori di elementi che

non contraddicano alcun sistema fisico dato, e che arrivano addirittura ad anticipare il

contenuto delle connessioni riscontrabili in natura, secondo la loro forma, come avviene

nel caso della simmetria dello spazio-tempo in fisica matematica.

Secondo il convenzionalismo di Einstein, mentre si può sempre scegliere di

designare elementi selezionati a priori e dunque non empirici, nessun principio

determina quali elementi possano essere così designati e la nostra abilità di designarli

deriva dal fatto che è solo la totalità degli elementi che possiede in sé un contenuto

empirico atto a ciò. E’ questo un altro aspetto del sincretismo einsteiniano, un aspetto di

realismo epistemico e scientifico, secondo cui non è solo la forma sistematica

dell’organizzazione dell’esperienza secondo un’arbitrarietà che determina il criterio di

scelta di certi principi piuttosto che di altri, ma è anche il contenuto del sistema stesso,

che orienta la scelta dei suoi principi costitutivi. Quello che Kant ha chiamato “bisogno”

o interesse della ragione, viene tradotto da Einstein in termini di arbitrarietà della scelta,

i cui elementi selezionati non possono resistere al fatto che le teorie e i sistemi in cui

sono ascritti, decadono o vengono rimpiazzati da altri.

Tuttavia, secondo una prospettiva kantiana, il rapporto fra empirico e a priori

non è statico ma dinamico ed è inserito in un sistema. Sebbene Kant abbia asserito la

completezza della logica e in base ad essa abbia perseguito una deduzione delle

categorie, la sua produzione mostra che queste ultime non sono certo contenuto, ma

pure forme delle funzioni del giudicare che entrano in gioco tutte insieme nella

conoscenza, in tutti i giudizi sintetici a priori rivolti all’esperienza. Ovvero Kant ritiene

che a priori non possano esistere principi, ad esempio della fisica, che non esprimano

tutte le funzioni logiche nei giudizi, in quanto queste sono anche funzioni del pensiero,

ma senza l’attività di una sintesi che opera con il materiale della percezione, nonché

senza l’appello a principi matematici, e alla loro subordinazione ad una legge universale

di spiegazione del nesso tra i fenomeni, non si avrebbe alcun principio della fisica.

Di questo avviso è anche Weyl, quando afferma: Der den Spekulationen mißtrauende Physiker wird wahrscheinlich finden, daß die ganze

Frage einer erweiterten Relativitätstheorie, welche in organischer Weise die elektromagnetischen Erscheinungen mit umfaßt, im Augenblick noch nicht spruchreif ist […]. Man darf aber nicht vergessen, daß in aller Wirklichkeitserkenntnis neben dem Sammeln typischer Erfahrungstatsachen das apriorische Element, die Bildung von angemessenen

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Anschauungen und Begriffen, mit Hilfe deren die Tatsachen zu deuten sind, eine nicht zu vernachlässigende Rolle spielt.64

In sostanza l’abilità di cui parla Einstein nel designare i criteri per la scelta dei

principi di un sistema non è altro che la funzione architettonica della ragione di cui parla

Kant. La differenza consiste nel fatto che Einstein assume una posizione realista circa la

costituzione e il contenuto del sistema, mentre Kant punta su una giustificazione di esso

su una base logica, attraverso un argomento trascendentale e l’attività della costruzione

di intuizioni e concetti, messa in luce anche da Weyl.

Dal punto di vista epistemologico, l’idealismo trascendentale porta con sé una

complessità non facilmente assimilabile alle posizioni contemporanee, neanche a quella

di realismo interno attribuitagli da Putnam. Ad esempio, la problematicità dei principi

della ragione pura per il suo uso empirico, che sono logici e tuttavia hanno uno statuto

trascendentale, si spiega soltanto in un modo, cioè con la determinazione del dominio

della ragione nel suo uso empirico e dunque con una determinazione dello statuto dei

principi con una previa determinazione del fine, del dominio in cui essi sono legislatori.

Solo così può essere ammessa un’oggettività di un sistema della ragione, in

quanto i suoi principi permettono un passaggio e un’applicazione a leggi appartenenti al

dominio stabilito in base alle nostre stesse facoltà conoscitive,65

di cui è possibile

conoscere la funzione e le operazioni che svolgono.

B) Oggettività come sistema di connessioni

Proprio a partire dalla concezione del sistema, vale la pena mettere a fuoco un

altro aspetto dell’epistemologia kantiana, la nozione di oggettività. Per farlo è

opportuno confrontarsi con uno dei testi contemporanei che nel 2007 ha riaperto un

dibattito sull’oggettività e l’oggetto epistemico, Objectivity. Daston e Galison

incentrano gran parte della loro tesi su una particolare lettura della ricezione del

kantismo. Secondo Daston e Galison “Immanuel Kant’s philosophical reformulation of

the scholastic categories of the objective and the subjective reverberated with seismic

intensity in every domain of nineteenth-century intellectual life, from science to

64 H. Weyl, Über die physikalischen Grundlagen der erweiterten Relativitätstheorie, in Physikalische Zeitschrift 22, 1921, pp. 473-80. 65 M. Morrison, Approximating the Real: The Role of Idealizations in Physical Theory, in Idealization XII: correcting the model: idealization and abstraction in the sciences, in Poznań studies in the philosophy of the sciences and the humanities, vol. 86, a cura di N. Cartwright e M. R. Jones, Amsterdam 2005, pp. 145-172.

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literature”.66 A partire da questa premessa gli autori indagano i modi in cui Kant fu

recepito e adattato dagli scienziati per i loro scopi.67

L’aspetto degno di nota è quello che concerne l’uso del termine objective e il suo

significato. Preso in prestito dalla Scolastica, questo termine è usato da Cartesio come

“a concept, a representation of the mind”, mentre agli inizi dell’800 si vede comparire

accanto al termine la definizione di “a reality in itself, independently of knowledge”.

68

Daston e Galison riconoscono poi che a questo shift si accompagnò, nel corso del XIX

secolo, il binomio oggettivo/soggettivo e quello di oggettività/soggettività. Ora, quello

che si intende discutere in questa sede è la seguente affermazione:

Kant generally reserved the adjective “objective” (the substantive form appears only rarely in his critical writings) for universal and a priori conditions, and identified the “subjective” with the psychological or “empirical”, in the sense of the empirical sensations of Enlightenment epistemology.69

Nel descrivere la reale alternativa proposta da Kant nei confronti dell’empirismo

e dello scetticismo di Hume, Daston e Galison ritengono che l’operazione kantiana di

unificazione del sé, come la condizione necessaria per la possibilità di tutta la

conoscenza oggettiva, era non solo una visione alternativa della mente, ma anche una

visione alternativa della conoscenza. In generale per Kant l’esperienza cessa di essere

un che di puramente sensibile, bensì presuppone certe condizioni trascendentali:

Consciousness itself partook of both objective and subjective validity: the transcendental unity of apperception that fused manifold sensations into the concept of an object was “objectively valid”, but the empirical unity of apperception […] “has only subjective validity”.70

Questa lettura di Daston e Galison si scontra con il fatto che c’è una forma di

oggettività per Kant capace di includere il soggettivo dell’unità empirica

dell’appercezione: il soggetto diventa oggetto epistemico come processo sintetico ed è

in grado di diventare oggetto a se stesso. Questo modo di proporre l’oggettività,

determinata dall’uso empirico dei principi a priori dell’intelletto e legata all’idea che

ciò che viene immesso nell’esperienza dal soggetto può essere codificato e compreso

66 L. Daston, P. Galison, Objectivity, New York 2007, p. 205. Da ora in poi Objectivity. 67 Objectivity, p. 206. 68 Objectivity, p. 206. 69 Objectivity, p. 209. 70 Objectivity, p. 209.

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dalla ragione, non è assimilabile con nessuno degli schemi proposti dallo studio di

Daston e Galison.

Gli autori individuano, infatti, tre principi guida per definire diversi tipi di

oggettività: “truth to nature,” un modo idealizzato di osservazione (si pensi ai primi

disegni in botanica); “mechanical objectivity,” che rivela oggetti senza la

contaminazione con la soggettività (si pensi alle fotografie o alle micrografie) ; “trained

judgment,” in cui l’interpretazione soggettiva gradualmente ritorna alla

rappresentazione scientifica (si pensi alle immagini del campo magnetico terrestre).

Ci sono tre punti fondamentali che vale la pena toccare di questo libro, sebbene

ve ne siano molti altri di rilievo. In primo luogo emerge che quello di oggettività non è

un concetto univoco ed è trattato dagli autori in modo diverso da L. Lloyd,71 H.

Douglas,72 and M. Janack73

Questo conduce alla seconda idea chiave, ovvero che l’oggettività possa

funzionare come un raccoglitore di virtù epistemiche, piuttosto che come virtù

preminente.

che hanno invece identificato diversi sensi di oggettività,

ma non hanno fatto ciò che costituisce il nucleo della tesi di Daston e Galison:

esaminare concetti di oggettività che emergono in momenti diversi della storia della

scienza, attraverso l’uso delle immagini nella scienza (le tavole e gli atlanti sono usati in

vari modi per informare chi deve comprendere i fenomeni). La loro tesi sostiene che

queste immagini portano con sé differenti virtù epistemiche, che “fanno scienza”.

Il terzo punto deriva dall’approccio storico che i due adottano, ovvero il concetto

stesso di oggettività può cambiare. Il riconfigurarsi di esso conduce ad una ridefinizione

di oggetto epistemico, che, dunque, secondo questo approccio potrebbe essere

determinato come processo dinamico e posto in rapporto con la ricerca psicologica. Su

questa linea di ricerca si colloca ad esempio la tesi sostenuta da U. Feest74

71 L. Lloyd, Science and anti-science: Objectivity and its real enemies, in Feminism, science and the philosophy of science, a cura di L. e J. Nelson, Boston 1996, pp. 217-259.

presentata

72 H. Douglas, The Irreducible Complexity of Objectivity, in Synthese, vol. 138, 3, 2004, pp. 453-473. 73 M. Janack Dilemmas of Objectivity, in Social Epistemology, vol. 16, 2002, pp. 267-281. 74Cfr. http://www.mpiwg-berlin.mpg.de/workshops/en/HistoricalEpistemology/Session4.html: “In chapter X of his Structure of Scientific Revolutions, Thomas Kuhn suggests that after a paradigm shift, “familiar objects are seen in a different light and are joined by unfamiliar ones as well” (p. 111). This statement is commonly taken to mean that paradigms provide the conceptual structures that allow us to parse up the world in particular ways. While this idea has been especially hotly debated in relation to paradigm shifts, i.e., grand restructurings, the focus of this paper is rather on a more fine-grained question, namely, how taxonomic changes can take place within the context of what we may – for lack of a better phrase – refer to as “normal science”. I will argue that within the context of such normal research the line between the familiar and the unfamiliar is much more fragile and dynamic than the above quote might suggest: phenomena become objects of research precisely because there is an unsettling sense of unfamiliarity associated with them, even when they seem very familiar. At the same time they can become objects of

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alla conferenza internazionale What (Good) is Historical Epistemology?, svoltasi a

Berlino nel 2008.

Tuttavia possono essere proposte ancora osservazioni sulle virtù epistemiche, in

quanto queste possiedono un loro statuto in base ad un fine particolare e i due autori

sostengono che, se le virtù epistemiche possono cambiare, non possono farlo che in due

modi. Le virtù possono cambiare in quanto l’idea di come ottenere un fine cambia,

oppure esse possono cambiare perché muta il fine stesso.

Ora, è opportuno chiedersi come si applichi questo discorso al caso

dell’oggettività e quali fini siano cambiati oppure quali i metodi di lavoro falliti. Daston

e Galison individuano i fini per cui l’oggettività è una virtù epistemica e questi fini sono

determinati dalla paura o dal timore che si abbiano vari modi in cui si possa fallire per

ottenere la conoscenza.

Secondo il loro punto di vista, differenti tipi di oggettività sono animati ognuno

da una paura e le paure cambiano in diversi periodi storici e a seconda delle condizioni

socio-economiche. Questa è l’origine di quell’ideale di oggettività che loro descrivono

come “truth to nature”. In questo caso il fine consiste nel catturare la vera natura delle

cose che devono essere rappresentate. La paura che genera questo approccio è quella

che le variazioni, che esempi individuali di quelle cose possono esibire, ci fermino dal

coglierne la vera natura. E’ così che poi sorge un nuovo ideale di oggettività, quello che

Daston e Galison chiamano “mechanical objectivity”.

Questa idea (l’unica a cui essi si riferiscono come “objectivity”) implica l’evitare

l’interpretazione e la riproduzione meccanica della natura (si pensi alla fotografia). La

paura qui è quella che il soggetto sia sempre inserito nella comprensione della natura e

che sia necessario piuttosto registrare cosa effettivamente stia accadendo, senza

research only insofar as some things about them are taken for granted. To study the process whereby a phenomenon is investigated empirically, therefore, is to study the productive interplay between scientists’ conceptions of what they know and what they don’t know. In this paper I will present an analysis of this dynamic relationship in psychological research. I will do so by means of a particular example: shifts in the way that short-term memory is taxonomized. I will argue that the experimental study of memory is guided by specific conceptual presuppositions about the object in question, namely that to have memory is to have the disposition to display behavioral indicators of past experience. This presupposition, in turn, is closely tied to a particular paradigm of investigating the object empirically: by experimentally manipulating research subjects in ways thought to actualize this disposition. In conjunction with other constraints, however, this method has led researchers to the surprising result that some memory phenomena are not really memory phenomena at all. I will relate my story to the topic of historical epistemology in two ways. First, I will suggest that my account can provide an analysis of Rheinberger’s idea that the “blurriness” of an object is an essential aspect of its knowledge-generating capacity. According to this analysis, we need to distinguish between the notion that an epistemic object is only partially understood and the notion that in order to do any research at all, scientists need to operate with a preliminary concept of the object. Second, I will argue that since preliminary conceptions of epistemic objects are closely tied to norms of experimental research, this opens up a way of reconciling the descriptive aims of a historical account with the normative ones of an epistemological account”.

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l’inserimento di un punto di vista interno ai fenomeni: l’interpretazione è vista come

una distorsione. Rispetto a questa visione di oggettività, per Daston e Galison non è

chiaro se il fine sia cambiato o se il cambiamento abbia a che fare con il mutamento di

strategie impiegate per conseguire il fine. È opportuno ritenere che una minima

comprensione di che cosa sia “oggettività” richiede un’indagine sul tipo di virtù

considerata tale, cioè significa che bisogna chiarire i fini da perseguire nella ricerca

scientifica, ma secondo un punto di vista che la orienti.

Ritorna, dunque, il problema della soggettività, della capacità di determinare fini

in base ai quali assegnare un valore ad una virtù, piuttosto che ad un’altra. Per questa

ragione Daston e Galison non hanno illuminato del tutto il tipo di questioni che solleva

l’oggettività scientifica e che coinvolgono il rapporto tra scienza e valori (etica). Un

punto questo, trattato da Kant nella Kritik der Urtheilskraft, e che percorre come un filo

rosso in manoscritti dell’Opus postumum: esiste un rapporto intimo tra l’esercizio del

talento, sia nelle arti che nelle scienze, e il potere. Un’eticoteologia è capace di svelarlo

e di mostrare come sia necessario che i principi della ragione orientino un sistema del

mondo. Quest’ultimo però non è fondato su una spontaneità opaca, non trasparente a se

stessa, come vorrebbero Daston e Galison. Oltre che su principi logici e su inferenze

della ragione, il sistema del mondo si basa sul fatto della ragione (Faktum der

Vernunft), sull’idea di libertà, che sebbene non sia conoscibile direttamente, offre la

possibilità di essere determinata nei suoi effetti, nella storia. Il carattere soggettivo e

quello oggettivo dell’esperienza sono ineliminabilmente interconnessi, in modo tale che

l’oggettività non sia altro che un sistema delle connessioni reali e delle loro condizioni

di possibilità.

La distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé non è da riferirsi agli oggetti in

quanto tali, ma al modo di porsi sotto un doppio rispetto da parte del soggetto, quello

fenomenico e quello noumenico.

Tale distinzione è cioè la cifra della filosofia kantiana che prevede la

spiegazione della possibilità di un molteplice approccio alla realtà, che ontologicamente

resta un tutto di connessioni determinabile nelle sue parti, secondo regole razionali

comunicabili. D’altra parte, però, quello kantiano è un punto di vista che include

l’osservatore del mondo nel mondo, ovvero non si può pensare ad un sistema della

natura senza l’osservatore inserito in essa e cosciente della sua posizione.

Come si vedrà nella prossima sezione, però, questo non significa che Kant

assuma una posizione pluralista, in quanto la teoria che deve spiegare questa

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molteplicità sul piano epistemologico è unica e riposa sul canone della filosofia, la

logica, le cui regole sono universali, necessarie e costituiscono un sistema completo, al

contrario di quello della filosofia e delle altre scienze che possono accrescersi

indefinitamente dall’interno.

C) “Objectivity-for-us”: Kant nell’interpretazione di H. Putnam

H. Putnam è stato uno dei più discussi sostenitori di un “ritorno a Kant” nel

panorama della filosofia contemporanea. L’interpretazione di Putnam ha tentato di

adattare il pensiero kantiano al dibattito della filosofia contemporanea sia sulla teoria

del riferimento sia sull’oggettività.

Se di Putnam è assai nota la continua elaborazione e il continuo cambiamento

del suo punto di vista, è chiaro però l’intento di rinnovare il dibattito filosofico,

utilizzando Kant come punto di riferimento per il superamento di alcune posizioni.

Nell’analizzare la posizione di Putnam e l’interpretazione di Kant che ha

proposto nel 1981, in Reason, Truth and History, è bene focalizzarsi su due aspetti che

riguardano sia la logica che l’epistemologia. Putnam nel 1976 ha rigettato sia

l’idealismo soggettivo che il realismo metafisico e questo per due ragioni, sia perché

queste posizioni assumono un mondo indipendente dalla mente, sia perché propugnano

una teoria della verità come corrispondenza.75

È per questo che Putnam si è scagliato contro la posizione di realismo metafisico

e, attraverso una sua interpretazione di Kant, ha mostrato l’intento di superarlo. Putnam

vede in Kant proprio l’elemento che si è suggerito al punto precedente, ossia che il

sistema della natura non consta di una distinzione di oggettivo e soggettivo, come

invece il dibattito epistemologico contemporaneo ha descritto. A parere di Putnam,

infatti, una posizione di realismo interno e di realismo metafisico, che corrispondono al

realismo trascendentale e a quello empirico discussi da Kant, possono essere le

categorie per meglio comprendere la natura del pensiero kantiano stesso ed attribuirle lo

statuto di un realismo interno: Kant, per Putnam, è un realista interno della verità.

Esaminiamo questa posizione.

75 Cfr. M. Capozzi, Realism and Truth: Putnam and Kant, in Atti del Congresso Nuovi problemi della logica e della filosofia della scienza. Viareggio, 8-13 gennaio 1990, vol. 1, Bologna 1991, pp. 157-164; p. 157. L. Allais, Kant’s Transcendental Idealism and Contemporary Anti-Realism, in International Journal of Philosophical Studies, vol. 11, 2003, pp. 369-392; p. 376.

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Putnam, oltre ad asserire che Kant come lui, avrebbe rigettato la teoria della

verità come corrispondenza, ritiene che Kant rifiuti il principio di bivalenza e che vi sia

una realtà indipendente dalla teoria.

La lontananza dalla filosofia di Kant della posizione pluralista e di olismo

alternativo (realismo interno), che Putnam ha proposto nel 1981, è stata messa in luce

ampiamente dalla critica.76

Dopo il 1981, Putnam cambia la definizione di realismo interno, perché scorge

la possibilità di una confusione con la spiegazione internalista dell’oggetto epistemico.

Preferisce allora parlare di un realismo pragmatico di Kant, che considera essenziale

l’aspetto della sua filosofia trascendentale secondo cui il sistema della natura dipende

dalla ragione pura pratica e indica la necessità di una scelta, di un dominio del

concettuale, per determinare e influenzare una certa visione del mondo.

Kant ai suoi occhi sarebbe stato il primo filosofo “to see that describing the

world is not simply copying it” e che “whenever human beings describe anything in the

world, our description is shake by our own conceptual choice”.77 Sebbene Putnam

critichi un aspetto di Kant, che definisce “monismo morale”, questo aspetto non gli

impedisce però di pensare un approccio pluralista e fallibilista dell’idea del mondo, sia

in morale che in epistemologia, cioè ci sono differenti ideali sia morali che

epistemologici migliori o peggiori di altri, i quali costituiscono la vera oggettività, che

Putnam chiama “objectivity-for-us”.78

Questo punto di vista pragmatista (sebbene non assimilabile al pragmatismo di

Rorty) sostiene che sia possibile preservare i nostri migliori metodi di rappresentazione

del mondo, rigettandone altri, senza ricorrere ad una totalizzazione di uno di essi come

l’unica e vera via. Questo riconoscimento di un’irriducibile pluralità di punti di vista

morali sebbene si allontani dal “monismo” kantiano, non sarebbe incompatibile con

esso agli occhi di Putnam.

Egli ritiene che sia fallimentare riproporre l’idealismo trascendentale kantiano

oggi e afferma che la nozione di cosa in sé sia incoerente e che ai suoi occhi questa sia

un che privo di significato per Kant.79

76 Moran (2000), p. 65.

Come interpretare questa posizione di Putnam? In

effetti, poiché é l’uso che l’intelletto fa delle categorie a dare significato agli oggetti

della conoscenza, che sono fenomeni, la cosa in sé non ha un significato, nella misura in

77 H. Putnam, Pragmatism, Oxford 1995, p. 28. 78 Cfr. H. Putnam, Realism with a Human Face, Cambridge MA 1990, pp. viii-ix. 79 Putnam, The Many Faces of Realism, La Salle 1987, p. 41.

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cui é preclusa qualsiasi verità alla conoscenza che facesse un uso trascendentale delle

categorie.

Questo viene giustificato da Kant sulla base dell’idealismo trascendentale di

spazio e tempo, ovvero sulla base delle forme a priori della sensibilità. Oltre ad aver

mostrato la cruciale importanza di questo elemento della filsofia kantiana e di una

concezione controintuitiva dello spazio e del tempo per la scienza, é del resto su questo

punto che la posizione di Putnam è contraddittoria. Non è possibile, infatti, rifiutare

l’idealismo trascendentale senza rifiutare in blocco tutta la filosofia kantiana. L’altra

critica rivolta da Putnam a Kant concerne lo schematismo, la natura inflessibile dello

schema kantiano. Questo lavoro ha cercato di mostrare proprio il contrario, cioè come

sia possibile una flessibilità degli schemi che altrimenti non permetterebbe alcuna

visione asintotica dell’esperienza e accrescimento del sistema dal suo interno.

Ma è sulla dottrina delle antinomie e sul ruolo di catartico per la filosofia di esse

che Putnam mostra il reale intento kantiano della sua impostazione. Come Kant si

soffermò a partire dalle antinomie sul mondo ad elaborare il sistema critico, così

Putnam ritiene indispensabile lo svelamento della natura delle antinomie del realismo,

come false antinomie, come sofismi vuoti che celano posizioni metafisiche ben definite.

L’attualità di Kant per la teoria del riferimento viene rintracciato nella lettera a

Herz del 21 febbraio 177280

80 I. Kant, Briefwechsel, KGS X, pp. 129-135. In particolare Putnam si riferisce al passo alle pp. 130-131: Ich frug mich nemlich selbst: auf welchem Grunde beruhet die Beziehung desienigen, was man in uns Vorstellung nennt, auf den Gegenstand? Enthält die Vorstellung nur die Art, wie das subiect von dem Gegenstande afficirt wird, so ists leicht einzusehen, wie er diesem als eine Wirkung seiner Ursache gemäß sey und wie diese Bestimmung unsres Gemüths etwas vorstellen d. i. einen Gegenstand haben könne. Die passive oder sinnliche Vorstellungen haben also eine begreifliche Beziehung auf Gegenstände, und die Grundsätze, welche aus der Natur unsrer Seele entlehnt werden, haben eine begreifliche Gültigkeit vor alle Dinge in so fern sie Gegenstände der Sinne seyn sollen. Eben so: wenn das, was in uns Vorstellung heißt, in Ansehung des obiects activ wäre, d. i. wenn dadurch selbst der Gegenstand hervorgebracht würde, wie man sich die Göttliche Erkentnisse als die Urbilder der Sachen vorstellet, so würde auch die Conformitaet derselben mit den obiecten verstanden werden können. Es ist also die Möglichkeit so wohl des intellectus archetypi, auf dessen Anschauung die Sachen selbst sich gründen, als des intellectus ectypi, der die data seiner logischen Behandlung aus der sinnlichen Anschauung der Sachen schöpft, zum wenigsten verständlich. Allein unser Verstand ist durch seine Vorstellungen weder die Ursache des Gegenstandes, (außer in der Moral von den guten Zwecken) noch der Gegenstand die Ursache der Verstandesvorstellungen ( in sensu reali ). Die reine Verstandesbegriffe müssen also nicht von den Empfindungen der Sinne abstrahirt seyn, noch die Empfänglichkeit der Vorstellungen durch Sinne ausdrücken, sondern in der Natur der Seele zwar ihre Qvellen haben, aber doch weder in so ferne sie vom Obiect gewirkt werden, noch das obiect selbst hervorbringen. Ich hatte mich in der dissertation damit begnügt die Natur der intellectual Vorstellungen blos negativ auszudrüken: daß sie nemlich nicht modificationen der Seele durch den Gegenstand wären. Wie aber denn sonst eine Vorstellung die sich auf einen Gegenstand bezieht ohne von ihm auf einige Weise afficirt zu seyn möglich überging ich mit Stillschweigen. Ich hatte gesagt: die sinnliche Vorstellungen stellen die Dinge vor, wie sie erscheinen, die intellectuale wie sie sind. Wodurch aber werden uns denn diese Dinge gegeben, wenn sie es nicht durch die Art werden, womit sie uns afficiren und wenn solche intellectuale Vorstellungen auf unsrer innern Thätigkeit beruhen, woher komt die Übereinstimmung die sie mit Gegenständen haben sollen, die doch

in una sua elaborazione del problema di che cosa sia

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rappresentazione. La critica kantiana ad una spiegazione causale della rappresentazione

e della corrispondenza viene accolta da Putnam come critica al rappresentazionalismo81

e al realismo metafisico.82

La teoria kantiana della rappresentazione fornisce la base per

la posizione di Putnam circa una pluralità dei modi di riferimento. In Reason, Truth and

History del 1981 il realismo metafisico viene presentato secondo tre elementi, a cui può

esserne aggiunto un quarto:

1. The Independence Thesis: there exists a fixed totality of mind-independent

objects independent of us.

2. The Correspondence Thesis: there exists a relation of correspondence between

this world and our beliefs.

3. The Uniqueness Thesis: there is exactly one true and complete description of

the way the world is, a description to be yielded by empirical science.

4. The Bivalence Thesis: the thesis that every sentence is determinately either

true or false, or determinately true or not.

Per restringere il campo della discussione su Kant, è opportuno osservare che,

secondo Putnam, questa tesi è presente nella filosofia di epoca kantiana nella forma di

una concezione per cui gli oggetti hanno determinate proprietà, indipendenti dalla nostra

conoscenza di essi.

Ma la tesi del realismo metafisico che deve attrarre l’attenzione è quella

dell’unicità, secondo cui il mondo consiste di un set definito di individui (ad esempio

dadurch nicht etwa hervorgebracht werden und die axiomata der reinen Vernunft über diese Gegenstände, woher stimmen sie mit diesen überein, ohne da diese Übereinstimmung von der Erfahrung hat dürfen Hülfe entlehnen. In der Mathematic geht dieses an; weil die obiecte vor uns nur dadurch Größen sind und als Größen können vorgestellet werden, da wir ihre Vorstellung erzeugen können, indem wir Eines etlichemal nehmen. Daher die Begriffe der Größen selbstthätig seyn und ihre Grundsätze a priori können ausgemacht werden. Allein im Verhältnisse der qvalitaeten, wie mein Verstand gäntzlich a priori sich selbst Begriffe von Dingen bilden soll, mit denen nothwendig die Sachen einstimmen sollen, wie er reale Grundsätze über ihre Möglichkeit entwerfen soll, mit denen die Erfahrung getreu einstimmen muß und die doch von ihr unabhängig sind diese Frage hinterläßt immer eine Dunckelheit in Ansehung unsres Verstandesvermögens woher ihm diese Einstimmung mit den Dingen selbst komme”. 81 Nell’alveo di questa posizione si pensi ad un’interpretazione della Deduzione trascendentale come quella che propone A. B. Dickerson, Kant on Representation and Objectivity, Cambridge 2004, il quale affronta la teoria kantiana della rappresentazione sostenendo che il termine Vorstellung offra lo spunto per una ricognizione della concezione kantiana di oggettività. L’importanza della connessione delle rappresentazioni attraverso l’attività sintetica conduce l’autore a proporre una lettura per cui Kant aveva una concezione di rappresentazione modellata sulla nozione di rappresentazione pittorico-figurativa non riducibile a quella di puri stati mentali. La rappresentazione sarebbe, cioè, un atto immediato della coscienza e la sintesi non sarebbe altro che un atto di comprensione della rappresentazione in quanto rappresentazione. 82 H. Putnam, Sense, Nonsense, and the Senses: An Inquiry into the Powers of the Human Mind, in The Dewey Lectures, Journal of Philosophy, XCI, 1994a, pp. 445-517; in particolare, p. 514.

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punti spazio-temporali) a di un set definito di tutte le proprietà e delle relazioni di ogni

tipo intrattenute tra gli individui.

Il fine di questa tesi consiste nel dimostrare che sia possibile una descrizione

completa e unica di un unico mondo. C’è un esempio, però, che nega la tesi del realismo

metafisico e che contraddice il realismo scientifico dal suo interno: la fisica quantistica.

Quest’ultima sembra sfuggire ad interpretazione realista. Se si rimane

nell’ambito del dibattito tra il realismo e l’antirealismo e si attribuiscono tali posizioni

nell’ambito della fisica, alla teoria della relatività e alla teoria quantistica, ciò rende

inevitabile l’impossibilità di una visione unitaria del mondo attraverso un’unica teoria

che le ricomprenda. Senza entrare nel merito della correttezza della visione di Putnam

sulla fisica quantistica, si nota come il ricorso a questo argomento mostra che gli

scienziati possono anche non assumere una posizione realista e che la scienza può

ammettere una pluralità di teorie, ciascuna consistente nel suo proprio dominio.83

Questo argomento è strettamente legato alla causalità, che come parte della spiegazione

(explanation) è, agli occhi di Putnam, relativa e non riducibile a nozioni fisiche

primitive.84

Secondo Putnam, la causalità è relativa all’interesse posto in una spiegazione

piuttosto che in una proprietà unica e fissata del mondo, la causalità è una nozione

normativa e le regole che governano la sua applicazione mostra che non c’è una singola

teoria su di essa. Putnam si scaglia, quindi, contro i sostenitori del mito del dato, che

insistono sulla premessa di proprietà di oggetti indipendenti dalla mente. Al contrario

Putnam sostiene che Kant fosse contrario a questa posizione (come mostra la sua idea

per cui l’esperienza non è data, ma si fa) e sostenesse proprietà relazionali degli oggetti,

dipendenti da una teoria della conoscenza, come ad esempio accade per una qualità

secondaria come il colore rosso.

Questo aspetto deriverebbe per Putnam dalla particolare ricezione kantiana di

Berkeley e rappresenterebbe il cuore del concetto di relatività che egli attribuisce a

Kant.85

83 H. Putnam (1995), p. 14.

Per Kant non ci sarebbe modo di dar conto della conoscenza del mondo che non

sia anche un dar conto di come il mondo si relazioni ad un soggetto conoscente con un

certo apparato cognitivo e dunque non potrebbe esserci in alcun modo una teoria totale

del mondo come indipendente completamente da noi.

84 H. Putnam, Words and Life, Cambridge MA 1994, p. 493. 85 Cfr. H. Putnam, Reason, Truth and History, Cambridge 1981, pp. 60-61.

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Questo distanziamento dalle tesi del realismo metafisico si riscontrano proprio

nella capacità della filosofia trascendentale di tracciare una linea di confine, grazie al

concetto di noumeno, che relativizza la posizione epistemologica di Kant. La

distinzione tra intuizione sensibile ed intuizione intellettuale è un esempio di questa

operazione e del rigetto di una tesi dell’unicità. Secondo Putnam, cioè, Kant

riconoscerebbe come possibile una forma differente di razionalità o comunque avrebbe

messo in questione per primo le tesi sulla unicità del mondo, sebbene il postulato di un

intelletto diverso da quello umano non assuma alcun contenuto determinato.

Secondo i critici di Putnam, come D. Moran, in realtà il problema

dell’oggettività, in questo modo, viene solamente ricollocato, ma non risolto;86

Una critica da questo punto di vista è stata rivolta a Putnam da M. Wilson che

interpreta il realismo empirico di Kant come una forma particolare di realismo

scientifico. Secondo Wilson Kant aveva una concezione in linea con il realismo

scientifico dell’epoca e avrebbe ripreso questo aspetto da una teoria causale secondo cui

le sensazioni sarebbe causate da oggetti empirici che avrebbero qualità primarie che

causano qualità secondarie non reali come colori e sapori, riprendendo un passo

dell’Estetica trascendentale.

e questo

vale nel caso della filosofia trascendentale per cui l’oggettività sarebbe una questione di

incontro tra mente e realtà, per produrre la mente e la realtà stesse su una forte base

olistica di interscambio tra soggetto e oggetto.

87 Inoltre Wilson si rifà al passaggio presente nel quarto

paralogismo, che sembra mettere alla prova la tesi di Putnam. Come anche nelle

Anticipazioni della percezione, Kant si richiama ad una visione per cui la percezione ci

fornisce qualcosa di reale nello spazio (Etwas wirkliches im Raume) per designare quel

sostrato esistente che causa le nostre sensazioni. Per questo Wilson conclude contro

Putnam che “like Descartes, and unlike Berkeley, Kant construes the world of science

and not the world of sensations, as empirically real”.88

Ma a questa asserzione di Wilson si può obiettare che entrambe sono

empiricamente reali e che l’aspetto su cui si gioca il loro differente statuto risiede

nell’oggettività, di cui le sensazioni sono prive, in quanto elementi soggettivi

dell’esperienza e costitutivi della soggettività, come emerge dalle pagine dell’Estetica

trascendentale e con ancor più forza dalla Kritik der Urtheilskraft.

86 D. Moran, Hilary Putnam and Immanuel Kant: two ‘internal realists’?, in Synthese, 123, 2000. 87 KrV, A28-29/B44-45. 88 M. Wilson, The “Phenomenalism” of Berkeley and Kant, in Self and Nature in Kant’s Philosophy, a cura di Allen Wood, Ithaca 1984, pp. 157-173; in particolare, p. 169.

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Tuttavia, la teoria della dipendenza dalla mente legata all’oggettività, non è,

secondo Putnam, sinonimo di soggettività, bensì l’oggettività è dipendente dalla mente

nella misura in cui siamo capaci di conoscere o ritrovare oggetti in ciascuna pratica

particolare, sebbene l’oggettività possa essere indipendente dalla mente, nel senso che

un oggetto non necessita della nostra presenza per sapere in che senso è dipendente

dalla nostra mente.89

L’interpretazione di Putnam si risolve, così, in un’istanza pragmatista. Un

pragmatismo che vede la filosofia kantiana come capacità di tenere più punti di vista

sulla realtà e che vorrebbe aprire numerosi ambiti di interscambio tra filosofia e altre

discipline. Sebbene l’interpretazione di Putnam sia criticabile sotto molti punti di vista,

aiuta a comprendere alcuni aspetti della posizione kantiana.

90

Quest’ultima, però,

mostra una complessità e una ricchezza di argomenti da cui la riflessione

contemporanea non può che trarne benefici e stimoli per il futuro.

89 H. Putnam, Representation and Reality, Cambridge MA 1988, p. 109. Cfr. G. Bird, Kant’s Theory of Knowledge, London 1962, p. 81. 90 Allais (2003).

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ALLEGATO 1 Omotopia alla circonferenza nella striscia di Möbius

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ALLEGATO 2 Processo di costruzione della striscia di Möbius, ricavata dallo spostamento della linea blu mentre avviene la rotazione del cerchio verde attorno all’asse z.

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BIBLIOGRAFIA

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• Testi kantiani Le opere di Kant sono citate secondo Kants Gesammelte Schriften (abbreviato nel testo con KGS), a cura dell’Accademia delle scienze di Berlino (e successori), Berlino 1900 sgg., e sono disposte in ordine alfabetico. - Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels, KGS I; trad. it. Storia universale della natura e teoria del cielo, trad. it. di S. Velotti, a cura di G. Scarpelli, Roma-Napoli 1987. - Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, KGS VII; trad. it. Antropologia Pragmatica, a cura di G. Vidari, revisione di A. Guerra, Bari 1969. - Briefwechsel, KGS X, XI, XII; trad. it. parziale Epistolario filosofico, a cura di O. Meo, Genova 1990. - Danziger Physik, KGS XXIX. - De Mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principii, KGS II, pp. 385-420 (Forma et principiis); trad. it., Forma e principi del mondo sensibile e del mondo intellegibile, a cura di A. Lamacchia, Milano 1995. - Der einzig mögliche Beweisgrund zu einer Demonstration des Daseins Gottes, KGS II; trad. it. L’unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio, in Scritti precritici, a cura di A. Pupi, Bari 1982, pp. 103-213. - Der Streit der Fakultäten, KGS VII. - Die Metaphysik der Sitten, KGS VI; trad. it. La Metafisica dei Costumi, a cura di G. Vidari, Bari 2004. - Die Religion innerhalb der Grenzen der bloßen Vernunft, KGS VI; trad. it. La religione entro i limiti della sola ragione, a cura di M. M. Olivetti, Bari 2004. - Erste Einleitung in die Kritik der Urtheilskraft, KGS XX. - Gedanken von der wahren Schätzung der lebendigen Kräfte und Beurtheilung der Beweise, deren sich Herr von Leibniz und andere Mechaniker in dieser Streitsache bedient haben, nebst einigen vorhergehenden Betrachtungen, welche die Kraft der Körper überhaupt betreffen, KGS I. - Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, KGS IV; trad. it. Fondazione della metafisica dei costumi, a cura di F. Gonnelli, Bari 1997. - Kritik der reinen Vernunft (KrV), KGS III, IV; trad. it. Critica della ragione pura, a cura di G. Colli, Milano, 1999.

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- Kritik der praktischen Vernunft (KpV) KGS V; trad. it. Critica della ragion pratica, a cura di F. Capra, Bari 1997. - Kritik der Urteilskraft, (KdU) KGS V; trad. it. Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Torino 1999. - Logik. Ein Handbuch zu Vorlesungen, (Logik Jäsche) KGS IX; trad. it. Logica. un manuale per lezioni, a cura di M. Capozzi, Napoli 1990. - Meditationum quarundam de igne succincta delineatio, KGS I. - Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft, (MAN) KGS IV ; trad. it. Principi metafisici della scienza della natura, a cura di P. Pecere, Milano 2003; trad. ingl. Metaphysical Foundations of Natural Science, a cura di M. Friedman, Cambridge 2004. - Metaphysische Anfangsgründe der Rechtslehre (RL), KGS VI, p. 233; trad. it. Primi principi metafisici della dottrina del diritto, a cura di F. Gonnelli, Bari 2005. - Opus Postumum, KGS XXI-XXII ; trad. it. (parziale) Opus Postumum, a cura di V. Mathieu, Bari 2004 terza edizione ; trad. ingl. (parziale) Opus Postumum, a cura di E. Förster, Cambridge 1993. - Principiorum primorum cognitionis metaphysicae nova dilucidatio, KGS I. - Prolegomena zu einer jeden künftigen Metaphysik, die als Wissenschaft wird auftreten können, KGS IV; trad. it. Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza, a cura di P. Carabellese, Bari 1996. - Über den Einfluss des Mondes auf die Witterung, KGS VIII. - Über die Vulkane im Monde, KGS VIII. -Untersuchung über die Deutlichkeit der Grundsätze der natürlichen Theologie und der Moral, KGS II. -Versuch den Begriff der negativen Größen in die Weltweisheit einzuführen, KGS II; trad. it. Tentativo per introdurre nella filosofia il concetto delle quantità negative, in Scritti precritici, a cura di R. Assunto e R. Hohenemser ampliata da A. Pupi, Roma-Bari 1982, pp. 249-290. -Von dem ersten Grunde des Unterschiedes der Gegenden im Raume, KGS II; trad. it. Del primo fondamento della distinzione delle regioni nello spazio, in Scritti precritici, a cura di R. Assunto e R. Hohenemser ampliata da A. Pupi, Roma-Bari 1982, pp. 409-418.

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- Vorlesungen, KGS XXVIII, Berlin 1968; trad. it. Lezioni di Psicologia, a cura di G. A. De Toni, Bari 2004 - Vorlesungen über Metaphysik und Rationaltheologie, KGS XXXIII; trad. it. Realtà ed esistenza, a cura di A. Rigobello, San Paolo, Milano 1998. - Vorlesungen über Philosophische Enzyklopädie, KGS XXIX; trad. it. Enciclopedia Filosofica, a cura di L. Petrone, Milano 2003. - Was heißt sich im Denken orientieren?, KGS VIII; trad. it. Che cosa significa orientarsi nel pensare?, a cura di G. De Flaviis, in I. Kant, Scritti sul criticismo, Bari 1991.

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-Vorländer, K., Immanuel Kant, der Mann und das Werk, 1924, Hamburg 2004. - Walker, R. C. S., Empirical Realism and Transcendental Anti-Realism, in Proceedings of the Aristotelian Society, 57, 1983, pp. 131-153. -Warda, A., Immanuel Kants Bücher, Berlin 1922. - Watkins, E., Kant and the Sciences , New York 2001; _____ Kant on extension and force: critical appropriations of Leibniz and Newton, in Between Leibniz, Newton and Kant. Philosophy of science in the Eighteenth century, a cura di W. Lefévre, Dordrecht 2001, pp. 111-127. - Westphal, K., Kant’s transcendental Proof of Realism, New York 2004. - Weyl, H., Über die physikalischen Grundlagen der erweiterten Relativitätstheorie, in Physikalische Zeitschrift 22, 1921, pp. 473-80; ____Raum-Zeit-Materie, Berlin 1919; trad. ingl., Space, Time, Matter, New York 1956; ____Geometrie und Physik (1931), in Gesammelte Abhandlungen, a cura di K. Chandrasekharan, Heidelberg 1968; ____Symmetry, Princeton 1952; ____ Philosophie der Mathematik und Naturwissenschaft, München 2000; ____Mind and Nature: Selected Writings on Philosophy, Mathematics, and Physics, a cura di P. Pesic, Princeton 2009. - Wilson, M., The “Phenomenalism” of Berkeley and Kant, in Self and Nature in Kant’s Philosophy, a cura di Allen Wood, Ithaca 1984, pp. 157-173. -Winterbourne, A., T., The Ideal and the Real. An Outline of Kant’s Theory of Space, Time and Mathematical Construction, Dordrecht 1988. - Wolff, C., Vernünftige Gedanken von Gott, der Welt und der Seele des Menschen, auch alle Dinge überhaupt, Halle 1719; trad. it. Metafisica Tedesca, a cura di R. Ciafardone, Milano 1999; _____Vernünftige Gedanken von den Wirkungen der Natur. Physik I, Halle 1723; _____Anfangsgründe aller Mathematischen Wissenschaften, Halle 1750; _____Compendium elementorum matheseos in usum studiosae iuventutis adornatum, Viennae 1774. - Wolff-Metternich, B-S., von, Die Überwindung des Mathematischen Erkenntnisideals. Kants Grenzbestimmung von Mathematik und Philosophie, Berlin 1995. - Wong, W. C., On the Idea of an Ether-Deduction in the Opus postumum, in Kant und die Berliner Aufklärung, in Akten des IX Internationalen Kant-Kongresses, a cura di V. Gerhardt, R.-P. Horstmann, R. Schumacher, Berlin 2001, pp. 676-684. - Wood, A., Self and Nature in Kant’s Philosophy, London 1984.

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• Atti di convegni

- Kant und die Berliner Aufklärung, Akten des IX Internationalen Kant-Kongresses, a cura di Volker Gerhardt, Rolf-Peter Horstmann und Ralph Schumacher, Berlin 2001. - Kant e l’Opus Postumum, Convegno della Società italiana di Studi kantiani, a cura di Silvestro Marcucci, Pisa-Roma 2001. • Microfilm

- Kant, I., Opus Postumum, Mikrofischesausgabe von Tilo Brandis, Einführung von R. Brandt, Berlin 1999. • Siti Web

http://www.mpiwg-berlin.mpg.de/workshops/en/HistoricalEpistemology/Session4.html http://www.brera.unimi.it/SISFA/atti/1999/ http://korpora.org/Kant/

• CD-ROM

- Kants naturtheoretische Begriffe (1747 - 1780). Eine Datenbank zu ihren expliziten und impliziten Vernetzungen, a cura di F. Wunderlich e W. Lefèvre, Berlin 2000.