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Quantitativismo, post- modernità e marxisti
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Feb 20, 2019

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Quantitativismo, post-modernità e marxisti

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• Gli anni del secondo dopoguerra sono segnati da una crisi sociale ed economica che porta i geografi a rimettere in discussione il ruolo della loro disciplina. Pressati dai crescenti problemi urbani e regionali, dalla necessità di ricostruire quanto nella guerra era stato distrutto, nonché di far fronte in qualche modo al nuovo problema del sottosviluppo, venutosi a creare in seguito al processo di decolonizzazione, gli studiosi di scienze sociali (e ai primi posti i geografi) si sentono in obbligo di fornire risposte concrete.

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• il paradigma storicista non è in grado di venire in soccorso alla compresione del mondo;

• le sue approssimazioni vengono messe da parte in nome della ‘precisione scientifica’ e “controllare e regolare la complessità economica e sociale del fenomeno della crescita metropolitana” (Torres 1996),

• per attuare efficaci progetti e forme di pianificazione a livello regionale,

• per elaborare veri e propri strumenti di controllo sociale in grado di avere un effetto immediato.

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Dall’altro canto, il rapido sviluppo di nuove tecnologie, che vede la comparsa dei primi elaboratori, nonché la proliferazione di inediti strumenti concettuali offre una possibilità concreta di sottoporre ad analisi scientifica la grande molteplicità di problematiche sociali e territoriali, tanto che, secondo Capel, “l’euforia quantitativa raggiunge il massimo apogeo negli anni Cinquanta, allorché tutte le scienze sociali provano ad introdurre questi metodi come apparente panacea per risolvere i propri problemi” (1987).

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• E’ così che negli anni Cinquanta, sull’onda di questa ‘rivoluzione quantitativa’, nasce nel mondo anglosassone una ‘nuova geografia’, una geografia che non si accontenta più di ‘descrizioni’, ma pretende di dare ‘risposte’, risposte che solo una geografia intesa come scienza esplicativa è in grado di fornire attraverso la formulazione di leggi generali, di teorie scientifiche.

• Lo sviluppo di questa ‘nuova geografia’ procede di pari passo con il successo di altre nuove branche disciplinari, come la geografia economica o la scienza regionale.

• A differenza dei geografi storicisti, i geografi neopositivisti credono in un ordine soggiacente all’apparente caos, ordine al quale si può arrivare solo disponendo di teorie in grado di scoprirlo e spiegarlo.

• E’ così che “l’osservazione, il lavoro empirico appaiono alla fine e non all’inizio come accadeva con i metodi induttivi fino ad allora dominanti” (Capel 1987).

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• Il primo a formulare una simile impostazione era stato Walter Christaller (1893 – 1969), con la sua famosa tesi “Le località centrali nella Germania meridionale”, ispirata alle teorie economiche dominanti e discussa nel 1933.

• Con questo lavoro Christaller intendeva spiegare come i servizi tendano a disporsi sul territorio, secondo un ipotetico ordine; un ordine del tutto ‘razionale’, basato su una divisione del territorio (che per semplicità egli ipotizza come uno spazio isotropico) in maglie uniformi e gerarchizzate, all’interno delle quali si muove un attore (il consumatore) altrettanto ‘razionale’ e perfettamente informato sulle caratteristiche del mercato, tanto da recarsi necessariamente nella località più vicina per usufruire di un dato servizio, riducendo così al minimo i costi di trasporto (ipotizzati come proporzionali alla distanza).

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• Con questa teoria generale e deduttiva Christaller ci suggerisce che “indipendentemente da come appare la realtà, la teoria ha una sua validità in virtù solamente della propria logica e della propria coerenza. Confrontando poi questa teoria con la realtà, potremo stabilire da un lato fino a che punto la realtà corrisponde alla teoria e possa quindi venir chiarita da questa, e dall’altro in che cosa se ne discosti” (Capel 1987).

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• L’opera di Christaller ha tuttavia scarso impatto in Germania al momento della pubblicazione, in quanto “le sue idee sulla formazione dei modelli erano in disaccordo con le idee geografiche prevalenti a quell’epoca ed egli non riuscì a ottenere una cattedra universitaria.

• Solo negli anni Cinquanta le idee di Christaller ricevettero ampi riconoscimenti nel mondo anglosassone” (Haggett 1997).

• In termini kuhniani, “il tentativo di spiegare la distribuzione e la gerarchia delle località centrali attraverso un modello teorico generale non era accettabile all’interno del paradigma allora dominante” (Holt-Jensen 1999).

• Solo in seguito alla ‘rivoluzione quantitativa’ (che conduce al cambio di paradigma) il modello di Christaller viene rivalutato, e anzi trova pure applicazione pratica, come nel caso della pianificazione dei villaggi nel Nord Oost Polder in Olanda. Il territorio pianeggiante del polder è forse, infatti, quello che più si avvicina alla superficie isotropica immaginata da Christallere che meglio si presta quindi all’applicazione della sua teoria (Holt-Jensen 1999).

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Manifesto costruito della nuova estetica ambientale è il borgo di Nagele (1948-62) nel Noord-Oost polder, nei Paesi Bassi.

Altro esempio: l’opera del gruppo funzionalista “de 8” realizza anche un paesaggio che produce continuità tra ambito urbano ed extra-urbano. Prodotto della moderna pianificazione integrata sono i quattro quartieri occidentali di Amsterdam, Geuzenveld, Slotermeer, Slotervaart e Oosdorp, disposti attorno allo Sloterpark: una vasta estensione di verde attrezzato in forme paesaggistiche con al centro un lago artificiale.

Il landscape planning trova vasta applicazione dal secondo dopoguerra con la Carta d’Atene.

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• Il villaggio di Negele è stato progettato in mezzo ad una cintura boschiva.[4]

• Presenta edifici moderni dal tetto piatto[4], realizzati attorno ad una sorta di parco in cui si trovano negozi, chiese e scuole[4].

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• Bijlmermeer un quartiere nato a cavallo fra gli anni ’60 e ’70 sotto la benedizione del CIAM (Congrès Internationaux d’Architecture Moderne) con una impostazione radicalmente funzionalista, posto nella zona sud-est di Amsterdam, area che registra i tassi di disoccupazione e immigrazione più alti della città ed è prevalentemente sede di strutture per il terziario. Accoglie oggi circa 50000 abitanti.Gli interventi attuati hanno riguardato la demolizione e ricostruzione di alcuni degli edifici, la realizzazione di nuovi spazi pubblici e il completamento delle opere di arredo urbano, un rinnovamento sociale che ha portato alla riduzione dei tassi di disoccupazione e al migliore controllo sulla criminalità, con il fine di agevolare lo sviluppo economico dell’area. A partecipare all’operazione sono stati la municipalità di Amsterdam, la circoscrizione, l’ente olandese per l’edilizia pubblica, operatori privati ed abitanti.

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https://www.failedarchitecture.com/the-story-behind-the-failure-revisioning-amsterdam-bijlmermeer/

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• Nello sviluppo di Amsterdam del Bijlmer, l'urbanista [...] Ashok Bhalotra, progetta abitazioni di classe media in quella che lui chiama una "Strada delle 1.000 Culture" in un sito dove attualmente sorge un grattacielo molto degradato in cui vivono davvero circa 110 diverse culture: immigrati illegali dal Ghana, poveri delle Antille e drogati della città. Il multiculturalismo si riduce a una metafora motivata ideologicamente, impedendo così agli architetti di confrontarsi con una realtà multiculturale.(Bouw & Meuwissen in Crimson 1999: 273)

• La visione del rinnovamento architettonicamente determinato del Bijlmer dovrebbe essere criticata in due modi. In primo luogo, il Bijlmer è ritratto come un'area quasi storica che non è mai stato e non diventerà mai. Ciò implica imitare il design e la disposizione di un quartiere suburbano romantico con spazio e sicurezza per la classe media. In secondo luogo, il piano di rinnovamento di Bijlmer è descritto come un "modello organico", che si riferisce a una forma di crescita naturale del quartiere esistente. Tuttavia, la sostituzione di quasi tutto il tessuto urbano del Bijlmer è - proprio come il piano iniziale della tenuta - nientemeno che un altro "piano da disegno" tecnocratico che attende di essere cancellato come un successo o un fallimento.

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• L’intervento si è sviluppato attraverso tre ambiti di azione: spaziale, sociale, gestionale.

La parte spaziale è stata relativa a: • 1. demolizione del viadotto precedentemente destinato al traffico

veicolare, modificato in un viale alberato, • 2. demolizione alcuni blocchi residenziali, • 3. sistemazione di un nuovo arredo urbano per gli spazi pubblici,

alla costruzione di nuove strutture commerciali e abitative e al trattamento degli spazi verdi condivisi. Gli alloggi demoliti sono stati 3000, mentre su altri 10000 è stato attuato un piano di rinnovo, inserendo delle nuove abitazioni nei primi due piani, inizialmente destinati a magazzini. Nelle aree liberate dalle demolizioni sono stati realizzati 5000 nuovi alloggi unifamiliari: l’obbiettivo è stato quello di realizzare una maggiore articolazione della composizione sociale dell’area; questi alloggi sono destinati per un terzo al settore sociale sovvenzionato, per un terzo ad affitto non sovvenzionato e per il restante terzo alla vendita.

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La parte sociale ha previsto: 1. sostituzione dei negozi prima posizionati al di sotto del viadotto

con un centro commerciale 2. creazione di strutture per lo sviluppo di piccole imprese 3. realizzazione di campi gioco per bambini attrezzati e sorvegliati 4. realizzazione di spazi destinati alle attrezzature per l’espressione

culturale e religiosa dei vari gruppi etnici presenti nel quartiere 5. attivazione del programma chiese per realizzare spazi per la

celebrazione dei riti e delle attività proprie da parte delle comunità (sono una trentina) che si riuniscono settimanalmente e costituiscono un importante elemento di coesione sociale.

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https://rigenerazioneurbana.wordpress.com/2012/08/22/demolizione-ricostruzione-bijlmermeer-amsterdam/

• Insegnamenti e problemi aperti:La difficoltà si ha nel trattare i cosiddetti “quartieri in crisi” con un repertorio di soluzioni convenzionali e standardizzate, oltre che con procedure ispirate a criteri di pura razionalità tecnica (Balducci 1991). È stato un errore cercare di porre rimedio alla situazione concentrandosi quasi esclusivamente sulla dimensione edilizia della riqualificazione, occorreva puntare ad un rilancio globale del quartiere, attraverso un insieme articolato di progetti. Ha fallito inoltre il tentativo di innescare con troppa fiducia degli automatismi calati dall’alto e senza sufficienti elementi a sostegno. Il rischio infatti è quello di sottovalutare la complessità delle reali dinamiche sociali e urbane, pensando che gli interventi tecnici previsti siano da soli in grado di generare una serie di effetti anche di tipo sociale.

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• La teoria di Christaller viene poi a rappresentare un’importantissima fonte d’ispirazione per i geografi americani, impegnati nell’elaborazione di modelli teorici di strutture urbane e città come località centrali.

• Durante gli anni Cinquanta in numerose università la commistione tra economia e geografia aveva dato luogo a una fiorente produzione di nuove idee e tecniche” (Holt-Jensen 1999).

• In particolare, William J.Garrison nel 1955 conduce un seminario sulle applicazioni della statistica per i dottorandi dell’Università di Washington, Seattle, molti dei quali diverranno figure ‘leader’ nell’ambito del paradigma neopositivista negli Stati Uniti.

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• Anche in Europa il lavoro di Christaller trova fortuna dopo la Seconda Guerra Mondiale. A presentarlo in Svezia è Edgar Kant, un geografo estone rifugiato a Lund.

• “La teoria della probabilità si applica da questo momento in geografia con una tale intensità che David Harvey non ha dubbi sullo scrivere che ‘se dovessimo selezionare un linguaggio matematico come dominante nell’attuale ricerca accademica, questo sarebbe probabilmente quello della teoria della probabilità’; nel 1969 dichiara poi che ‘l’uso del linguaggio probabilistico è abituale in geografia’.

• Le leggi, si afferma, non necessariamente devono essere causali: dalla scoperta dell’indeterminatezza da parte di Heidenberg è noto che possono essere anche stocastiche; la legge causale sarebbe una legge stocastica con un alto grado di certezza” (Capel 1987).

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• Nel concentrarsi sul ‘processo’ piuttosto che su una realtà statica, Hägerstrand rompe definitivamente con la tradizione regionale impostasi con il paradigma storicista (Holt-Jensen 1999), ma non è il primo comunque.

• Ancora prima di lui, infatti, F.K. Schaefer, geografo tedesco di formazione statistica e docente presso l’Università dello Iowa, aveva criticato duramente la concezione ‘classica’ di regione ereditata dal precedente paradigma, promuovendo, invece, un approccio teorico, in grado di formulare spiegazioni di carattere universale.

• “I casi unici – sostiene – non possono essere spiegati da una sola teoria; di norma, anzi, ne richiedono una serie. E’ quanto accade con la ‘regione’ dei geografi storicisti che, per definizione, è unica, data la singolare combinazione di fenomeni fisici ed umani in essa presenti” (Capel 1987).

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• Schaefer si oppone dunque alla concezione di regione come ‘unicum’, sostenendo, invece, che “l’unica geografia scientifica è quella sistematica poiché consente di ricercare leggi generali, di formulare teorie che poi vengono applicate allo studio regionale.

• La regione diviene così una specie di laboratorio in cui si verifica la validità delle teorie prodotte dal geografo sistematico” (Capel 1987).

Il concetto di regione non scompare dunque nel nuovo paradigma: semplicemente cambia aspetto, viene rielaborato. Si parla ora di ‘regioni polarizzate’, di ‘teoria generale dei sistemi’ e di altri concetti ancora....

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Elisée Reclus, La diffusione delle città nel territorio (La couverture du territoire par les villes) (1905)

Se la terra fosse completamente uniforme nel rilievo, nelle qualità dei suoli e nelle condizioni climatiche, le città occuperebbero, per così dire, una posizione geometrica: l’attrazione reciproca, l’istinto sociale, la facilità degli scambi le avrebbe fatte nascere a distanze uguali le une dalle altre. Data una regione piana, senza ostacoli naturali, senza fiume, senza porto, sita in una posizione particolarmente favorevole e non divisa in Stati politici distinti, la città più grande sarebbe sorta direttamente al centro del paese; le città secondarie si sarebbero ripartite a intervalli uguali sul circondario, spazializzate ritmicamente, e ciascuna di esse avrebbe avuto il suo sistema planetario di città inferiori, aventi la loro corte di villaggi. Su una piana uniforme, l’intervallo tra le diverse agglomerazioni dovrebbe essere di una giornata di cammino: il numero di leghe percorse a piedi mediamente tra l’alba e il crepuscolo, ovvero tra dodici e quindici corrispondenti alle ore del giorno, costituisce il passo regolare tra una città e l’altra… Per quanto riguarda i villaggi, la loro distanza media si misura sul percorso che può coprire l’agricoltore che spinge il suo carretto carico di fieno o di spighe di grano.

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GEOGRAFIE RADICALI E POSTMODERNE

• Negli anni Sessanta, quando il paradigma neopositivista sembra ormai dominare la scena delle scienze sociali con le sue ‘certezze matematiche’ e i suoi modelli, inizia a svilupparsi una nuova corrente critica che rimette in discussione i principi sui quali si fonda il paradigma.

• Questa nuova crisi nelle scienze sociali in realtà non è che un riflesso della condizione di sconcerto in cui si è venuta a trovare la società, sottoposta a una serie di sconvolgimenti e disillusioni:

si pensi alla fine della guerra fredda, al completamento del processo di decolonizzazione, alla crisi del sistema di dominazione occidentale.

• Insieme a quest’ultimo entrano in crisi pure i tradizionali valori del sistema capitalista, responsabile del deterioramento della biosfera, del degrado della città e della condizione di alienazione in cui si è venuto a trovare l’uomo moderno.

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• Le pianificazioni basate sulle teorie spaziali neopositiviste, nelle quali un tempo si era nutrita una così grande fiducia, dimostrano tutta la loro debolezza, così come anche il mito dell’infallibilità di una scienza oggettiva in grado di risolvere i problemi che affliggono la società inizia a vacillare.

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• In risposta a questa situazione di disillusione generale e in seguito alla presa di coscienza delle carenze del paradigma neo-positivista, si sviluppano una serie di correnti critiche (o radicali). E’ così che la visione ‘meccanicistica’ del mondo, propria del paradigma neo-positivista e, più in generale, delle scienze empiriche, viene affiancata da altre due metafore.

• La prima, quella ‘realista’, adottata dalle scienze critiche, propone una lettura del mondo in chiave marxista, lettura che sarà, appunto, alla base delle geografie marxiste, ‘impegnate’ sul piano sociale e quindi incentrate sull’analisi di fenomeni come la povertà, l’emarginazione sociale, le condizioni di vita urbana, i conflitti sociali, ecc.

• La seconda, quella ‘umanista’, propria delle scienze ermeneutiche, invita invece a considerare il mondo in chiave soggettiva, demolendo così il mito positivista della ‘realtà oggettiva’ e della ‘neutralità dell’osservatore’ (Capel 1987).

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• Ne scaturisce una nuova geografia umanistica (o antropocentrica), costruita cioè ‘attorno all’essere umano’, considerato non più ‘una pedina’ che si sposta da una parte all’altra della carta seguendo le razionali logiche del mercato, ma come il vero protagonista, dotato altresì di una sensibilità che trascende ogni teorizzazione di tipo matematico.

• Una geografia, quella umanistica, interessata quindi allo studio di luoghi e paesaggi, non più intesi come ‘oggetti’, ma piuttosto come ‘spazi poeticizzati’, dotati di una propria identità e di una propria retorica, o meglio ancora come “spazi vissuti, al punto tale da determinare una grandissima personalizzazione delle percezioni, con nette delimitazioni, con confini senza equivoci” (Lando 1993).

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La polifonia di questo scenario dominerà gli anni Ottanta e si offrirà come presupposto per una nuova “svolta culturale”, come la definirà Johnston (1997), che porterà

- a un definitivo rigetto della logica neo-positivista,

- a un diffuso “scetticismo verso i grandi postulati e le grandi teorie dell’era moderna” (Johnston & Gregory 1998) e

- a un’aperta denuncia e codificazione della cosiddetta crisi della rappresentazione.

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• Si assisterà, quindi, alla nascita di una geografia postmoderna, assolutamente refrattaria a qualsiasi tipo di struttura rigida, di classificazione, di ordine e di dogma, e anzi, difficilmente inquadrabile dal momento che una caratteristica del postmoderno è proprio quella di rompere con la logica paradigmatica: a

• qualsiasi ‘mappa cognitiva’ di una disciplina, per usare un termine caro ai ‘postmderni’, è infatti, per forza di cose, parziale e soggettiva.

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• La sua configurazione non può prescindere dalla parzialità e dalla soggettività di chi la produce.

• Pertanto, il tentativo di tracciare lo ‘stato dell’arte’ dell’epoca postmoderna costituirebbe un’impresa velleitaria, proprio perché l’introduzione del postmoderno ha significato

– la rottura della logica paradigmatica,

– lo scetticismo nei confronti delle ricostruzioni lineari della storia disciplinare,

– la denuncia dell’ordine che ogni cartografia, ogni operazione di mapping, tenta di imporre silenziosamente sulla realtà.

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• Ne consegue che qualsiasi progetto culturale – anche la proposta di un percorso antologico – può essere inteso solo come uno ‘stratagemma’, come un tentativo di ingabbiare una determinata realtà secondo una (altrettanto) determinata prospettiva, in un dato luogo e in un dato momento.

• La scelta è tra il dichiarare le condizioni su cui il progetto si regge oppure il nasconderle. Ogni testo ha infatti un Autore con la sua storia e i suoi obbiettivi, un contesto culturale e materiale di riferimento, e un tempo.

• E non è mai un atto innocente. (…) Il contesto accademico che ha reso possibile il dibattito sul postmoderno (quello anglo-americano), che alle sollecitazioni interne ed esterne provocate dall’avanzare del pensiero postmoderno in filosofia e nelle scienze sociali, ha reagito spesso in maniera frammentata e incoerente, ma in molti casi ha tuttavia risposto con atteggiamenti comuni, o perlomeno configurabili all’interno di una serie di ‘filoni’” (Minca 2001).

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• Più che di ‘geografia postmoderna’, allora, sarebbe forse più corretto parlare di ‘geografie postmoderne’, dal momento che la pluralità, l’indeterminatezza e la frammentarietà che caratterizzano il postmoderno si riflettono inevitabilmente anche nel campo disciplinare della geografia, producendo una serie di complesse diramazioni – basti ricordare, ad esempio, le geografie femministe, le geografie postcoloniali, la geografia post-marxista e la new cultural geography.

• Queste nuove geografie spesso condividono strumenti e approcci (alcuni dei quali appartenenti alle precedenti geografie umanistica e marxista), per cui risulta molto difficile (oltre che improprio) operare una ‘classica’ suddivisione in ‘compartimenti stagni’.

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• La principale strategia utilizzata dai geografi postmoderni, indipendentemente dal loro campo d’interesse, è la ‘decostruzione’, “un modo d’interpretazione critica, che cerca di dimostrare come la (diversa) collocazione di un autore (o di un lettore), in termini di cultura, di classe, genere ecc., abbia influenzato la scrittura (e la lettura) di un testo. I significati di un testo sono dunque, se non infiniti, quantomeno considerevoli.

• La decostruzione è quindi essenzialmente un metodo destabilizzante, che getta nel dubbio la pretesa di autorità delle precedenti tradizioni” (Johnston & Gregory 1998). Questo tipo di lettura apre naturalmente prospettive del tutto inedite e una serie di problematiche di indubbio interesse

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• Derrida, che considera l'architettura come l'ultimo baluardo della metafisica, "l'arte che resiste di più a ciò che si chiamerebbe destabilizzazione o decostruzione, perché è l'arte meglio fondata" (p. 186), procede a una sistematica operazione di smontaggio della sua assiomatica istituzionale.

• La decostruzione derridiana, d'altra parte, si era da sempre occupata di istituzioni: più precisamente, di ripensare le istituzioni, de-stituendole.

• E non diversamente da tutto il resto delle istituzioni occidentali, anche l'architettura all'occhio di Derrida è imputabile di essersi coagulata nel tempo intorno a un gigantesco costructum, a una archi-struttura di valori fondamentali – abitabilità, funzionalità, monumentalità ed estetica – che ne sovradeterminano le pratiche come un canone gerarchico.

• Decostruire questo artefatto significa, per il filosofo francese, rimettere in discussione la priorità delle pratiche sulla teoria, chiedendo all'architettura un esercizio di pensiero il cui primo atto è innanzitutto quello di ripensare se stessa.

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•Come è tipico del suo stile ellittico e anti-argomentativo, Derrida disloca i concetti fondamentali dell'architettura fino ai limiti del senso, senza tuttavia negarli.

• Il tentativo è quello di riportare le presunte trascendenze (le metafisiche) su un piano di immanenza in cui nulla è segno assoluto, ma tutto – compresi i lemmi architettonici – deve essere riconsiderato alla luce delle idee di traccia, scarto, temporalità differita, rinvio, transumanza.L'architettura decostruita, l'architettura dell'evento, della non-saturazione e dell'incompletezza, è una prassi pensante che si pone la questione dello spazio come problema aperto, senza puntare a controllarlo e definirlo una volta per tutte (massima aspirazione dell'architettura moderna), lasciandolo libero di accogliere intatte tutte le possibilità per il futuro.

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Funzionalismo modernista vs

postmodernità

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C. Baudelaire

• La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile

Il pittore della vita moderna 1863

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Marchall BERMAN :

• Trovarsi in un ambiente che ci promette avventura, potere, gioia, crescita, trasformazione di noi stessi e del mondo e che al contempo minaccia di distruggere tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che conosciamo, tutto ciò che siamo.

• L’esperienza della modernità, 1985

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HABERMAS

• SVILUPPARE UNA SCIENZA OBIETTIVA, UNA MORALE E UN DIRITTO UNIVERSALI, UN’ARTE AUTONOMA SECONDO LE RISPETTIVE LOGICHE INTERNE.

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WEBER /BERNSTEINI pensatori illuministi ponevano un legame forte e necessario fra la

CRESCITA della scienza, la RAZIONALITA’ e la LIBERTA’ umana universale.

Una volta smascherata e compresa l’eredità illuminista, si rivelava il trionfo della RAZIONALITA’ FINALIZZATA-STRUMENTALE che colpisce la totalità della vita sociale e culturale, le strutture economiche, il diritto, l’amministrazione burocratica e persino le arti.

La crescita (della razionalità finalizzata strumentale) non porta alla realizzazione della libertà universale ma alla creazione di una “gabbia di acciaio” di razionalità burocratica.

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• In senso letterale il concetto di postmodernismo contiene il senso di una posteriorità nei confronti del moderno, ma non tanto in senso cronologico quanto vuole "indica[re] piuttosto un diverso modo di rapportarsi al moderno, che non è né di opposizione (antimoderno) né di superamento (ultramoderno)".

• Il concetto viene applicato a diversi settori culturali: nella teoria critica, in filosofia, design, architettura,

• arte, musica, letteratura, religione, psicologia,• sociolgia, cinema ed anche videogiochi

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• Alcune definizioni di postmodernismo sono:

• "Il postmodernismo è incredulità nei confronti delle metanarrazioni", Jean-François Lyotard[7]

• "La teoria del rifiutare le teorie", Tony Cliff

• "La narrativa postmodernista si caratterizza per il disordine temporale, il disprezzo della narrazione lineare, la commistione delle forme e la sperimentazione nel linguaggio", Barry Lewis, Kazuo Ishiguro

• "Il postmodernismo sguazza, si immerge, nelle frammentate e caotiche correnti del cambiamento come se non esistesse che cambiamento", David Harvey, The Condition of Postmodernity, Oxford, Basil Blackwell, 1989.[8][9][10]

• "Si potrebbe dire che ogni era abbia la sua postmodernità, e che ogni era abbia la sua forma di manierismo (infatti, mi chiedo se "postmodernismo" non sia semplicemente una forma moderna di *Manierismo*...). Credo che ogni era raggiunga momenti di crisi come quelli descritti da Nietzsche nella seconda delle Considerazioni inattuali, quando tratta della pericolosità dello studio della storia (Storiografia). La sensazione che il passato ci stia incatenando, confondendo, ricattando", Umberto Eco, A Correspondence on Post-modernism con Stefano Rosso in Hoesterey, op. cit., pp. 242–3[8][11]

• "[...] Credo tuttavia che il postmoderno non sia una tendenza circoscrivibile cronologicamente, ma una categoria spirituale, o meglio un Kunstwollen, un modo di operare", Umberto Eco[12]

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SCHEMA 1

RomanticismoForma (congiuntiva, chiusa)

FinalitàProgetto

GerarchiaOggetto d’arte/opera finita

DistanzaCreazione/totalizzazione/sintesi

PresenzaConcentrazioneGenere/confine

SemanticaLeggibile

Genitale/fallicoDeterminatezza

MODERNISMO POSTMODERNISMO

DadaismoAntiforma (disgiuntiva, aperta)GiocoCasoAnarchiaProcesso/performance/happeningPartecipazioneDecreazione/decostruzione/antitesiAssenzaDispersioneTesto/intertestoRetoricaScrivibilePolimorfo/androginoIndeterminatezza

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Romanticismo – Arte

• ritorno alla natura,• Nazionalismo• Sguardo al passato medioevale• aspirazione all’assoluto

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Il Bacio - Francesco Hayez 1859

La libertà che guida il popolo –Eugène Delacroix 1830

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Marina di Posillipo - Giacinto Gigante 1844

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dadaismo

• Anti arte• Anti estetica• Non messaggio

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Fontana – M. Duchamp 1917

Merzbau – Kurt Schwitters 1923-1932

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• 8 settembre 1981. E’ una data ben nota alla piccola comunità di Ulassai, un paesino nel cuore dell’Ogliastra, in Sardegna.E’ la data di nascita dell’intervento performativo Legarsi alla montagna, un’operazione artistica realizzata da Maria Lai (27 settembre 1919 – 16 aprile 2013), artista che ha saputo unire le tradizioni delle proprie origini ai grandi movimenti del suo tempo quali Arte Povera, Land Art e Public Art.Per realizzare Legarsi alla montagna Maria Lai coinvolge l’intera comunità di Ulassai, rende complice l’ambiente sul quale sorge il paese, l’artista inserisce la tradizione, la cultura, la leggenda per plasmare quella che è una delle sue più celebri opere.

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• E’ un immenso nastro di stoffa celeste, jeans per l’esattezza, ad attraversare una comunità in cui vivono rapporti di amore e odio fra gli abitanti, un lungo filo che si lega alla montagna, emblema di una leggenda locale, fonte d’ispirazione anche per la realizzazione di Fiabe intrecciate, scultura dedicata ad Antonio Gramsci dalla Lai, secondo la quale una bambina, per sfuggire a una frana, riuscì ad acchiappare un nastro azzurro che le permise di mettersi in salvo. La leggenda e la tradizione sono elementi presenti nelle opere della Lai, i quali vengono mescolati alle tendenze contemporanee dell’arte, una fusione che ha sancito il successo dell’artista.

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• Perché è importante Legarsi alla montagna? Oltre alla difficoltà tecnica inerente la realizzazione dell’opera, dove l’artista insieme alla comunità si sono serviti di chilometri di stoffa che poi son stati “appesi” alla montagna grazie all’ausilio di due arrampicatori professionisti, è fondamentale l’elemento che verte intorno ai rapporti sociali. Giovani e anziani devono collaborare, devono dialogare, ma non c’è solo il colloquio fra generazioni diverse, con la creazione di Legarsi alla montagna devono essere superati i vecchi rancori tra le famiglie, si lavora tutti insieme per raggiungere un unico obbiettivo.

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• C’è un codice che stabilisce quali sono i rapporti fra gli abitanti della comunità: se il filo passa dritto fra due portoni non c’è armonia fra chi dimora in quelle abitazioni, se viene realizzato un nodo significa che vi è sintonia e amicizia, se viene appeso un pane vi regna l’amore. Ma far passare il filo dritto cosa comporta in una piccola comunità? Ovviamente gli abitanti potrebbero interrogarsi sui motivi del disaccordo, meglio dunque legare un nodo per evitare pettegolezzi.

• Filiberto Menna scrisse nel 1982: «C’è voluta la capacità di ascolto di Maria Lai che ha saputo restituire la parola a un intero paese e rendersi partecipe della memoria e dei fantasmi della gente comune, aiutandola a liberarsi della parte distruttiva di sé e ad aprirsi con disponibilità nuova al colloquio e alla solidarietà».

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Architettura post-moderna• In generale, per il post-modernismo si intende la tendenza e la consapevolezza della

società contemporanea che considera superato lo status quo del progresso continuo ed ascendente proprio della modernità. Le certezze ideali, filosofiche, scientifiche in un futuro sempre migliore ed in perenne ascesa vengono ad affievolirsi, fino a negarne la validità.

• Occorre invece ripensare la storia e recuperare la memoria del passato.In particolare, nell'architettura postmoderna si definiscono gli studi e le esperienze che, dalla metà degli anni anni sessanta /anni settanta del XX secolo, hanno contestato le funzioni, le forme, gli spazi i particolari, l'ambiente costruito propri del Movimento Moderno.

• L'architetto post-moderno progetta una nuova architettura, che esprime una libertà stilistica sgombra dai vincoli modernisti, che attinge dalla storia del passato “frammenti” di diverse culture, elaborando non una falsificazione storica, come l'eclettismo ottocentesco, ma una nuova composizione “post-moderna”.

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Architecture postmoderne Dusseldorf F. Gehry

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A great example of postmodern public architecture. A plaza, called Piazza d’Italia, built in 1978 in New Orleans by Charles Moore. A mix of good intentions and styles. A mix of a celebration of Italian immigrants identity in the city and a vanished attempt to revitalize a semiderelict edge of the downtown. I do not know how to define the current architectural period, but I am glad that postmodernism has run out. iolanda bianchi

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Bofill – Montpellier Edificio Dép. Hérault

Leon Krier - 1985

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Architettura moderna

Bauhaus - DessauRobie House – F. Lloyd Wright

Casa del Fascio - Como

Piacentini – Colosseo quadrato

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https://vimeo.com/148952140

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NIVEAU : 3° THEME GENERAL : L’ESPACE, L’ŒUVRE ET LE SPECTATEUR THEME PARTICULIER L'ARCHITECTURE

LE CORBUSIER : LA CITE RADIEUSE, MARSEILLE, 1945-1952 Thématiques proposées : - L’art et la guerre : la reconstruction et l’habitat collectif - Rupture et continuité : l’architecture moderne, formes nouvelles et fonctionnalisme - Art et technologie : de nouveaux modes de construction - L’art et les utopies

INTRODUCTION : La Cité radieuse, ou Unité d’Habitation, de Marseille est un exemple de logement collectif de l’après-guerre (1939-1945) et d’architecture moderne. On l’appelle aussi « la maison du fada ». IDENTIFIER : ce bâtiment a été construit entre 1945 et 1952 par Charles Edouard Jeanneret Gris, dit Le Corbusier. Architecte, peintre et urbaniste français, d’origine suisse, il est considéré comme le chef de file de l’architecture moderne. L’Unité d’habitation se situe dans le 9ème arrondissement de Marseille. Il s’agit d’un logement collectif sur pilotis surmonté d’un toit-terrasse. En 1954, l’état en est devenu propriétaire et les appartements ont été revendus. Le bâtiment est classé monument historique depuis 1995. Cinq cités radieuses ont été réalisées sur les mêmes plans en France et en Allemagne. SITUER / CONTEXTE HISTORIQUE En 1945, le gouvernement français commande à Le Corbusier un immeuble d’habitation à Marseille. En effet, la pénurie de logements est un problème majeur de l’après-guerre. Brest, Caen, Le Havre, Lorient, Evreux, Rouen, sont presque entièrement détruites. Marseille manque cruellement de logements sociaux : trente-deux familles sont sans abri en 1945. Le but était d’apporter une réponse nouvelle au problème de logement collectif, à un moment où la France est en train d’accumuler un déficit considérable dans ce domaine : logements insalubres et insuffisants par rapport à l’industrialisation et l’urbanisation croissantes. Le Corbusier propose une « cité-jardin » verticale, une » machine à habiter », une « ville dans la ville » qui doit simplifier et améliorer la vie du travailleur. DECRIRE Cette unité d'habitation en béton montée sur pilotis est constituée de 337 appartements en duplex, qui sont conçus comme des villas emboîtées séparées par des rues intérieures. 137 m de long x 56 m de haut, 18 étages, 36 piliers de 7 m, le tout pour 2.000 habitants.

Un « village » où tout est réuni : C'est une sorte de village vertical avec des commerces, des bureaux, un hôtel, une bibliothèque et, sur le toit, une école maternelle et une petite piscine. Le Corbusier assigne quatre fonctions au bâtiment : - un lieu d'habitation (appartements en duplex) ; - un lieu de circulation (couloirs de 7 mètres de large où les voisins peuvent discuter) ; - un lieu de travail (commerces, restaurants, entreprises, école maternelle) ; - un lieu de divertissement (salle de spectacle, bibliothèque, gymnase, piscine, solarium). Des appartements confortables : Chaque appartement est traversant, idéalement éclairé et doté d’une vue sur la mer, équipé d’une cuisine et d’une salle de bain, de tout le « confort moderne » pour l’époque.. Il bénéficie de deux grands balcons, un sur la façade Est et l'autre sur la façade Ouest. Il reçoit donc la lumière par deux côtés. La surface habitable de ces appartements est de 98 m2. La cuisine s’ouvre sur la salle de séjour, dont elle n’est plus séparée par un mur ou une porte. Elle est intégrée à l’espace de vie commun. Désormais, la personne qui cuisine n’est plus isolée de ses invités, dont elle peut partager les conversations depuis la cuisine. C’est l’idée très novatrice de ce qu’on appelle aujourd’hui les cuisines américaines ou encore « cuisine ouverte». Avec Le Corbusier, l’architecture devient essentiellement fonctionnelle et modulable. Des matériaux nouveaux : Essentiellement le béton brut, matériau nouveau, bon marché, solide, qui permet la préfabrication en usine des pièces. A l’intérieur, Le Corbusier utilise des matériaux de qualité : marbre et bois.

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Koyaanisqatsi è un documentario, 1982 diretto da Godfrey Reggio.

Primo film della trilogia qatsi Powaqqatsi del 1988 e Naqoyqatsi del 2002.

Koyaanisqatsi è una parola della lingua amerinda hopi e significa vita in tumulto, vita folle; vita tumultuosa; vita in disintegrazione; vita squilibrata; condizione che richiede un altro stile di vita.

Fine ‘70 Godfrey Reggio, impiegato all'Institute for Regional Education, inizia a lavorare ad un documentario innovativo avente come motivo basilare la natura e la vita moderna.

Nel 1976 con Ron Fricke iniziano a girare il film che richiederà 6 anni di riprese, montaggi, nuove riprese e rimontaggi prima di essere completato.

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Complesso di Pruitt-Igoe, St Luis (Missouri) - Minori Yamasaki 1952

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Demolizione 16 marzo 1972

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Déconstruction des actes territorialisants du quartier:

- 1950 fondation- 1977-78 re-fondation- 1980-1999 extension- 2000 projets de requalifications

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Fondation 1956

Re-fondation 1975-78

Estension 1980-1999

Projets de requalificationscôtières - 2000

Borgo Vecchio

Lame

Torri

Anelli

Favero

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Borgo S. Elia (Borgo Vecchio)

fondation 1951-56

2.350 hab. - Env. 500 foyer

85 palazzine

loi nationale de 1949

Ina-Casa (Marie)

Déplacés par les bombardements et

l’inondation du Flumendosa de 1950, sens-

abri - Lazzaretto

La fondation - années 1950

Séparation de la ville,

Affirmation de la stigmatisation

Sottomondo citadin, criminalité et prostitution,,

Frontière

« village satellitaire de Cagliari » (Musio,

1965) solution du problème d’habitat et

expulsion des lumpen de la ville

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Re-fondation moderniste (1975-78) • Zooning / Modernisme (lecorbusier) /Modernité • Les habitants du quartier voudrait la construction, en continuité, de

nouvelles maison « type » Borgo, à coté d’un seul (grand) édifice• Adoption du model d’unité d’habitation / grandes ensembles

Lecorbusier, • Le complexe du Favero, IACP, 256 appart. Pour 1200 hab.,

assignés en 1979 en partie aux « occupants » (encore) du Lazzaretto; aux foyers résidents au Borgo (aux fils) et à des nouveaux arrivants…

• Triple séparations: – Ville/Quartier– Borgo vecchio / Favero (nom de l’entreprise :dis-identité du quartier)

– Model d’habiter (traditionnel / moderne)

– Cité d’habitat social

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• • I Pilotis (pilastri) sostituiscono i voluminosi setti in muratura che penetravano fin dentro il terreno, per fungere infine da fondazioni, creando invece dei sostegni molto esili, poggiati su dei plinti, su cui appoggiare poi i solai in calcestruzzo armato. L'edificio è rettocosì da alti piloni puntiformi, di cemento armato anch'essi, che elevano la costruzioneseparandola dal terreno e dall'umidità. L'area ora disponibile viene utilizzata come giardino, garage o – se in città – per far passare strade.

• • Il Toit terrasse (tetto a terrazza inerbito) restituisce all'uomo il verde, che non èsolo sotto l'edificio ma anche e soprattutto sopra. Tra i giunti delle lastre di copertura vienemesso il terreno e seminati erba e piante, che hanno una funzione coibente nei confrontidei piani inferiori e rendono lussureggiante e vivibile il tetto, dove si può realizzare anche una piscina. Il tetto giardino è un concetto realizzabile anche grazie all'uso del calcestruzzoarmato: questo materiale rende infatti possibile la costruzione di solai particolarmenteresistenti in quanto resiste alla cosiddetta trazione, generata dalla flessione delle strutture(gravate del peso proprio e di quanto vi viene appoggiato), molto meglio dei precedentisistemi volti a realizzare piani orizzontali.

• • Il Plan libre (pianta libera) è resa possibile dalla creazione di uno scheletroportante in cemento armato che elimina la funzione delle murature portanti che'schiavizzavano' la pianta dell'edificio, permettendo all'architetto di costruire l'abitazione in tutta libertà e disponendo le pareti a piacimento.

• • La Façade libre (facciata libera) è una derivazione anch'essa dello scheletroportante in calcestruzzo armato. Consiste nella libertà di creare facciate non più costituitedi murature aventi funzioni strutturali, ma semplicemente da una serie di elementiorizzontali e verticali i cui vuoti possono essere tamponati a piacimento, sia con paretiisolanti che con infissi trasparenti.

• • La Fenêtre en longueur (o finestra a nastro) è un'altra grande innovazionepermessa dal calcestruzzo armato. La facciata può infatti ora essere tagliata in tutta la sua lunghezza da una finestra che ne occupa la superficie desiderata, permettendo unastraordinaria illuminazione degli interni ed un contatto più diretto con l'esterno.

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Extension et consolidation (1980-2000)

Lame 1984-1998

• 1984-88– 433 logement

Torri 1984-2000• 1980-99

– 460 logement

Anelli 1984-2000…

Totale: 1500 logement; env. 6000 hab.

• 1984-200 (2010)– 343 logement

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Requalification 1996-2011-Equipement pour la ville (Lazzaretto)

- Donner une centralité au quartier et

faire pôle culturel d’interconnexion avec

la ville- Programme nationale opérations

expérimentales de l’habitat HLM,

politiques sociales, socialité et

nouvelles formes d’agrégation –

atelier de projets participatifs (en

cours)

European 4 1996 Jubilee 2000

Contrat de quartier I - 1997-2000Contrat de quartier II - 2004-2008

Aménagement corniche Sant’Elia -2005

- Liaison spatiale entre ville et quartier par le

réaménagement du waterfront (comprenant le

port historique, le port de plaisance, et S. Elia)Protoc Intesa (acc.Programma) –2005 RAS – Mairie de CagliariAutorità Portuale

- Concours international Musée

Betile – Réaménagement d‘espaces

publiques

InterventoRAS 2006 + AREA

Création AREA – Programme urbanisme sociale

30 ML €

Koolas 2007-2008

ZFU 2008

Workshop 2007 Unica, Unimi, OMA- Master

plan

Création d’une zone franche urbaine -

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S. Elia - riqualificazioni 1996-2011-Infrastrutture per la città (Lazzaretto) - dare un centralità al quartiere e farne il polo culturale d’interconnessione con la città

- Programma nazionale sperimentale delle case popolari, politiche sociali, socialità e nuove forme di aggregazione – laboratori participativi

European 4 1996 Giubileo 2000

Contratto quartiere I - 1997-2000Contratto quartiere II - 2004-2008

Riqualificazione litorale Sant’Elia -2005

- collegamento spaziale tra città e quartiere con la riqualificazione della waterfront (porto storico, porto turistico, e S. Elia)

Protoc Intesa (acc.Programma) –2005 RAS – Comune de CagliariAutorità Portuale

- Concourso internazionele Muséo Betile - Riqualificazione spazi pubblici

Intervento RAS 2006 + AREA

Creazione AREA – Programma urbanist. sociale 30 ML €

Koolas 2007-2008

ZFU 2008

Workshop 2007 Unica, Unimi, OMA- Master plan

Creazione di una zona franca urbana

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- Réhabilitation logements- Création services- Réhabilitation Lazzaretto (espace culturel)- Petit port de pêche- Équipements sportifs- Réam. Waterfront S.Elia

Contratto Quartier 1 (1997-2000)

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Contratto quartiere II + RAS 2006

Requalification et Redistribution espaces des en commun aux foyers (garage fermé, jardin potager, terrasse jardin)

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Lyotard – la post-modernità• i grandi movimenti della modernità quali l'illuminismo, l'idealismo e il

marxismo, possedevano la pretesa di racchiudere il senso dell'intera realtà entro un principio unitario: la ragione per il primo, il movimento totalizzante dello spirito per il secondo, le leggi materialiste della realtà per il terzo.

• La postmodernità è caratterizzata invece dalla caduta di queste pretese e dal conseguente sfaldamento delle certezze stabili che possono indicare all'uomo un qualsiasi sentiero definitivo.

• La fine della pretesa di dare un senso unitario alla realtà comporta quindi il manifestarsi, nel periodo postmoderno, della diversità dei sensi, una diversità che è irriducibile, non può venir in alcun modo negata da un qualsiasi principio unificatore. Ogni ambito della realtà è dotato di un certo senso, ogni tentativo di edificare un senso unitario è solo apparenza.

• La realtà è differenza, molteplicità irriducibile, mutamento non ingabbiabile entro un unico schema

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• Esso si configura come un progressivo deteriorarsi delle pretese di fondare unitariamente qualsiasi principio e quindi si presenta come il progressivo affermarsi dell'idea che nulla può poggiare stabilmente su un senso definitivo.

• Viene quindi meno la fiducia nei sistemi di pensiero che impongono una visione definitiva della realtà: viene meno la forza della filosofia come annuncio di un sapere certo e incontrastato, viene meno la fiducia nelle leggi immutabili del mercato (l'economia classica), viene meno la fiducia nei sistemi politici con pretesa di fondamento universale (il marxismo) e viene meno la forza stessa della fede dogmatica.

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• La velocità con la quale la scienza moderna modifica il senso della realtà rende quasi inutile il tentativo di definirsi e di permanere da parte di un qualsiasi significato. In questo clima di crisi del significato permanente, l'uomo, come soggetto cosciente che deve darsi necessariamente un senso stabile, vive irrimediabilmente la sua stessa crisi.

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• Il non credere più nella possibilità di dare un senso definitivo alla realtà, conduce l'uomo contemporaneo a una continua opera di ridefinizione di sé entro il tessuto sociale e culturale entro il quale vive e si muove, un tessuto che muta in continuazione.

• Il progetto secolare della filosofia, che da sempre intende porre la certezza come principio che allontana il timore dell'indefinito, viene quindi meno, e acquisisce caratteristiche negative, mentre ciò che prima era negativo, il mutamento imprevedibile, acquista nella postmodernità caratteristiche positive (es. serendipity)

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• Per molta parte del pensiero postmoderno, dunque, l'aspetto essenziale di questa categoria storica, ovvero la capitolazione dei sensi unitari del mondo a favore della molteplicità dei significati e delle forme storiche, sociali e culturali, porta ad una rivalutazione della diversità che conduce al rispetto delle differenze che distinguono tra loro gli uomini e le tradizioni.

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LA POST-MODERNITA’

La realtà non esiste in sé ma nel soggetto: immagini e percezioni della realtà sono la realtà stessa nelle sue rappresentazioni che i singoli e i gruppi formano nelle loro menti

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Tre ambiti possibili in forma di esempio:

Estetico: arti figurative e di progetto , urbanistica, progettazione, edilizia, architettura…

Contesto storico : critica della società moderna, e identificazione al post-moderno. Concenzione spazio-temporale:in modernismo c�è differenza tra spazi temporali…in post.moderno c�è commistione culturale e spaziale (immigrati, aeroporti, quartieri immigrati, spazi ludici e antichi…Contesto culturale : rappresentazione che si fa di uno spazio, attraverso la carta, l�immagine, la promozione, il linguaggio che si usa, … molte geografie su uno stesso luogo,

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TEORIE DELLA COMPLESSITA�: si nega l�oggettività della scienza e la conoscenza avviene nella relazione soggetto-oggetto.

• La realtà è un ambiente esterno rispetto al soggetto e la conoscenza deriva della�interazione tra oggetto e soggetto..

• La prova della realtà oggettiva del mondo cui apparteniamo è data dalla attività soggettiva ce organizza la vita oltre che la conoscenza

• La realtà è rappresentabile solo attraverso la complessità… si recupera il concetto di �modello� e si esprime attraverso la logica della rappresentazione (GIS)…

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• Il Betilo è la pietra sacra che in Medio Oriente si credeva caduta dal cielo e dotata di poteri magici. Questo simbolo designava l'oggetto del culto rivolto agli spiriti delle pietre sacre. L’Omphalos, (ombelico ma anche pietra scolpita ne tempio di apollo a delfi) dice Guenon, era di solito materialmente rappresentato da una pietra sacra, che si definiva Betilo o Betile, e che in ebraico non è altro che Beith-El, la “casa di Dio”, l’abitacolo divino. La pietra è difatti propriamente la casa di Dio, il Tabernacolo sede della Shekinah, e il culto ad essa legato era rivolto non alla pietra, ma alla divinità che in essa risiedeva. Quella stele avrebbe dovuto ricordare per sempre il passaggio della meteora: poiché essa diventava una "Bayt Allah", la dimora di Dio.

• Pietre sacra, a forma di stele fallica o antropomorfa, rinvenute in molte tombe di giganti di età nuragica.

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1. Il Museo"Museo mediterraneo dell'arte nuragica e

dell'arte contemporanea", che si localizzerà sul porto di Cagliari. Finalità del nuovo Museo sarà ospitare reperti dell'arte nuragica e opere di arte contemporanea e favorire un confronto critico ed interpretativo tra le due sfere

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1. Il Museo dovrà fungere da volano di rimandi per gli altri luoghi di identificazione dell'arte nuragica nella Sardegna e nel bacino del Mediterraneo, a partire dal

Museo Archeologico di Cagliari.

Cinque sfide

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2. Il nuovo Museo dovrà ospitare un laboratorio di confronto e

sperimentazione che accosti in forme e modi inconsueti gli oggetti e le

opere di arte nuragica e contemporanea.

Cinque sfide

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3. Il Museo dovrà offrire un percorso espositivo multiplo, capace di mettere in

tensione e fare interagire la percezione estetica delle opere con la loro

storicizzazione e contestualizzazione.

Cinque sfide

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4. Il Museo dovrà costituirsi come luogo di produzione, ricerca e sperimentazione

sulle relazioni tra arte nuragica e arti contemporanee.

Cinque sfide

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5. Il nuovo Museo dovrà infine rappresentare a tutti gli effetti un motore di rigenerazione urbana per la città di Cagliari. La

presenza all'interno e nei pressi del Museo di spazi di tipo ricettivo e di intrattenimento rivolti sia ai visitatori, sia ai turisti, sia ai cittadini

potrà infatti aiutare il Museo a connotarsi come porta di accesso e visibilità per l'isola. Particolare attenzione dovrà quindi essere data

dai concorrenti alle forme di accesso al Museo e alle relazioni tra i suoi spazi interni ed esterni. La sequenza degli spazi di carattere pubblico (hall di ingresso, libreria, mediateca, bar, ristoranti, sala

conferenze, spazi commerciali...) dovrà infatti essere progettata in stretta coerenza con il contesto spaziale, culturale ed

economico circostante la nuova architettura.

Cinque sfide

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Vince il progetto della architetto Zaha Hadid irachena, decostruttivista, allieva di Koolhas,

che in questi anni progetta (tra l’altro) - Grattacielo City life a Milano, la stazione di Napoli - Afragola, il

Museo Maxxi (Museo Arte XXI secolo) a Roma, Stazione marittima di Salerno, il Rhegium

waterfront di Reggio Calabria… il Guggenheim di Taiwan.

su un totale di 10 progetti presentati da: - Massimiliano Fuksas, Herzog & De Meuron,

Gonçalo Nuno Pinheiro de Sousa Byrne, Archea, Francesco Garofalo, Giampiero Lagnese, Mutti, OBR,

Jean Nouvel,

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Dal progetto della Hadid

• Il nuovo museo è come una concrezione corallina, cava al suo interno, dura e porosasulla superficie esterna, ma in grado di ospitare, in un continuo scambio osmotico con l’ambiente esterno, attività culturali in un ambiente vivo e mutevole. A tratti si assimila al terreno, creando un nuovo paesaggio, talvolta acquista una forte massività definendo un nuovo skyline.

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Notazioni critiche• - quartiere periferico, popolare, enclanve

« sensibile »• forte valore urbanistico di posizione e di

pregio paesaggistico• Spinta del capitale edilizio e delle società

immobiliari alla riqualificazione architettonica, urbanistica, rischio di espulsione dei ceti popolari

• Il museo non rientra nel piano strategico della città