Fondazione ISTUD per la cultura d’impresa e gestione XIII Ed. Programma “Scienziati in Azienda” PROJECT WORK L’IMPATTO DEL LAY OUT AMBIENTALE SUL BENESSERE E SULLA PRODUTTIVITÀ DI UNA ORGANIZZAZIONE: ANALISI NELLE AZIENDE FARMACEUTICHE E BIOMEDICALI Autori: Maria Ilaria Roselli Francesco Rocco Marcello Salis Antonio Cipriani Lorenzo Del Giovane Marco Magliocchetti
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PROJECT WORK - ISTUDservice.istud.it/up_media/pw_scienziati/benessere.pdf · 7.2) Condizioni illuminotecniche “ 29 7.3) Condizioni acustiche “ 31 8) L’EVOLUZIONE DELLA CONSAPEVOLEZZA
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Fondazione ISTUD per la cultura d’impresa e gestione
8) L’EVOLUZIONE DELLA CONSAPEVOLEZZA DELLA PRODUTTIVITÀ
DEI DIPENDENTI IN RELAZIONE AL DESIGN D’UFFICIO “ 33 9) LE COMPONENTI DI DESIGN CHE AUMENTANO LA PRODUTTIVITÀ
DAI DIPENDENTI E DIMINUISCONO LO STRESS LAVORO-CORRELATO “ 36 10) MATERIALI E METODI “ 40 11) ANALISI DEL QUESTIONARIO “ 41 12) CONCLUSIONI “ 44
BIBLIOGRAFIA “ 45 QUESTIONARIO “ I
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INTRODUZIONE
Nel mondo occidentale, la maggior parte delle persone passa gran parte del proprio tempo in
ambienti chiusi, i quali ne influenzano lo stato mentale, le azioni, le abilità e la performance
(Sundstrom, 1994). Il luogo di lavoro nei paesi industrializzati rappresenta uno degli spazi chiusi in
cui l’individuo passa una grossa percentuale della sua giornata e ciò influisce sul personale stato di
benessere.
In letteratura ci sono diversi studi che dimostrano come un ambiente di lavoro poco organizzato e
insoddisfacente possa causare una diminuzione della produttività del lavoratore, in termini di
stimolo, creatività e innovazione, effetti di cui beneficerebbe non soltanto il diretto interessato ma
anche l’azienda per cui lavora (Carnevale, 1992). D’altro canto, un ambiente di lavoro progettato
per garantire elevati livelli di benessere organizzativo e che sappia venire incontro alle specifiche
esigenze del dipendente in termini di salute ed ergonomia, avrà un outcome completamente diverso
favorendo quindi la produttività associata ad una determinata funzione.
Lo scopo di questo studio è stato analizzare in che misura l’attuazione delle norme in materia di
salute e sicurezza negli ambienti di lavoro, la progettazione e un’organizzazione adeguata del
workplace possano impattare sul benessere e sulla produttività dell’individuo, in termini di migliore
performance lavorativa.
In particolare l’attenzione si è soffermata sull’analisi del workspace nelle organizzazioni aziendali
farmaceutiche e biomedicali avvalendoci di un questionario, validato da precedenti studi scientifici
(Hameed et al., 2009), che ha costituito supporto sperimentale del lavoro.
Esula dagli obiettivi di questo studio stilare un elenco delle aziende economicamente più produttive
e con un più confortevole lay-out ambientale.
Le aziende che hanno preso parte all’indagine, hanno permesso di estrapolare un dato prettamente
descrittivo e non statistico, degli obiettivi dello studio e per motivi di privacy, non è stato possibile
indicarne il nome.
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1. BENESSERE ORGANIZZATIVO
Il benessere organizzativo può essere inteso come la capacità di un’organizzazione di promuovere e
mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori, collegato ad una
serie di variabili di natura organizzativa che ne complicano e, talvolta, ne arricchiscono la
definizione.
In letteratura c’è un ampio accordo nel ritenere che lo stato di benessere di un’organizzazione derivi
da un insieme di parametri, tra i quali non può non essere considerato anche il cosiddetto clima
organizzativo, ovvero l’atmosfera prevalente che circonda l’organizzazione, il livello del morale e
l’intensità dei sentimenti di appartenenza e di affezione e buona volontà che si riscontrano tra i
dipendenti (Mullins, 2005). Il clima influenza l’attitudine dei lavoratori a concentrarsi sulla loro
performance lavorativa e sulle relazioni personali e, a sua volta, è influenzato dal grado di
accettazione, da parte dei dipendenti, della cultura dell’organizzazione. Questa è costituita dai modi
di pensare, di sentire e di reagire acquisiti e trasmessi principalmente attraverso simboli, che
costituiscono la caratterizzazione distintiva dei gruppi di persone.
1.1) Principali teorie organizzative
Alla fine del XIX secolo si sono affermate diverse scuole classiche concentrate su due principali
teorie organizzative (Gabassi, 2003): lo Scientific Management di Taylor (1911) e la teoria di Fayol
(1916).
In particolare la teoria di Taylor aveva come obiettivo l’aumento dell’efficienza lavorativa
attraverso il miglioramento del rendimento del lavoratore, la parcellizzazione delle mansioni
esecutive, lo studio dei tempi e dei metodi per trovare la one best way, la definizione dei salari
commisurati ai rendimenti e la separazione tra progettazione ed esecuzione. I tecnici che operavano
nell’ambito di questo approccio teorico progettavano le organizzazioni esattamente come se
stessero progettando delle macchine, prestando scarsa attenzione agli aspetti umani e allo stato di
salute dei lavoratori. La teoria meccanicistica aprì nuove prospettive di ricerca, fino a far emergere
una visione dell’organizzazione totalmente contrapposta (Bonazzi, 2002).
Fayol (1916) si chiede “Cos’è il management?” e per trovare una risposta adeguata analizza la
natura della funzione di direzione, formulando una teoria amministrativa completa. Le definizioni
che Fayol ha dato del contenuto della funzione amministrativa (pianificare, organizzare, comandare,
coordinare e controllare) sono state considerate per lungo tempo princìpi fondamentali di direzione
aziendale. La visione di questo autore, che associa strategia e teoria organizzativa e sottolinea la
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necessità di far evolvere la funzione di comando e di sviluppare le qualità di leadership, si rivelano
molto in anticipo sul suo tempo.
La scuola delle Relazioni Umane tentò di superare i limiti della prospettiva taylorista, attribuendo
sempre più importanza alla natura sociale e relazionale dell’individuo. Tale indirizzo di studio,
proposto da Mayo, si basa su elementi che erano stati precedentemente trascurati e sottolinea
l’importanza del fattore umano (Nelli, 1994). Secondo questa scuola per una buona organizzazione
è necessario migliorare le relazioni, assicurare un buon clima, attivare processi di cambiamento.
Mayo privilegia le motivazioni psicologiche del lavoratore e il desiderio di autoaffermazione
personale che, a suo avviso, anima ogni individuo. Con questo approccio, quindi, inizia ad emergere
una specifica attenzione nei confronti del tema della sicurezza non solo per ciò che riguardava la
dimensione fisica, ma anche per tutti gli aspetti legati al benessere psichico del lavoratore. La critica
principale alla scuola di Mayo riguarda la scarsa attenzione data alle motivazioni economiche; non
si teneva in considerazione che la condizione degli operai era determinata dalla loro situazione di
dipendenza economica e dall’insicurezza del posto di lavoro.
La scuola motivazionale di Maslow adotta un approccio empirico e focalizza l’attenzione
sull’adeguatezza dell’ambiente lavorativo ai bisogni degli individui (Avallone, Bonaretti 2003). In
questo approccio si ritiene che la motivazione di un comportamento nasca dalla tendenza
dell’individuo a soddisfare un dato bisogno, avvertito come una tensione interiore. Quando il
soggetto riesce a soddisfarlo rivaluta la situazione e verifica la presenza di nuovi ed ulteriori
bisogni. Maslow ha teorizzato che il comportamento della persona, anche sul lavoro, tende alla
soddisfazione di bisogni ordinati secondo una gerarchia che questo autore ha rappresentato
all’interno di una struttura piramidale (Gambini, 2008). Secondo Maslow partendo dal basso si
distinguono le seguenti categorie di bisogni umani: bisogni fisiologici, legati alla sopravvivenza
immediata; bisogni di sicurezza, fisica ed emotiva relativi alla sopravvivenza a lungo termine;
bisogno del senso di appartenenza, ad esempio identificazione con il gruppo o l’azienda, e di un
ambiente socievole e gradevole; bisogno di stima e autostima; bisogno di autorealizzazione
(Barone, Fontana 2005). Il comportamento dell’individuo tende a soddisfare prima i bisogni di
livello inferiore e solo successivamente quelli gerarchicamente superiori.
Anche la teoria della scuola motivazionale è stata criticata in quanto, nonostante appaia
condivisibile che la motivazione di un comportamento nasca dalla tendenza alla soddisfazione di un
bisogno, l’ordine e l’intensità con cui questi bisogni si manifestano non è uguale per tutte le persone
ed inoltre, questi si modificano in funzione del momento e delle circostanze (Grasso, 2002). Alcuni
studiosi hanno tentato di superare il limite insito nel modello di Maslow proponendo di classificare i
bisogni in base a categorie che non stiano in rapporto gerarchico, ma che coinvolgano in modo più
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complesso la crescita professionale del lavoratore. Il più noto è il modello Existence-Relatedness-
Growth (E-R-G) di Alderfer (1972), secondo il quale i bisogni che i lavoratori desiderano
maggiormente soddisfare sono quelli di esistenza (cioè fisiologici e di sicurezza), quindi quelli di
relazione e infine quelli di crescita professionale e personale. La teoria motivazionalista di Herzberg
(1966), invece, ha teorizzato l’esistenza di due tipi di fattori correlati alla motivazione sul lavoro: i
bisogni correlati strettamente all’attività lavorativa che un individuo svolge, denominati fattori
igienici, e i bisogni che ruotano attorno alla crescita e allo sviluppo professionale e personale, detti
fattori motivanti. I fattori igienici includono ad esempio, la retribuzione, i benefici, la supervisione,
le condizioni di lavoro, la sicurezza del posto di lavoro; i fattori motivanti invece, riguardano la
responsabilità, la crescita, le promozioni, gli obiettivi (Kreitner, 2008). Insieme i fattori igienici e
motivanti determinano il clima di un’organizzazione, ne costituiscono rispettivamente l’aspetto
oggettivo, della struttura e della gestione, e quello soggettivo, dei fini individuali, delle aspettative e
della relazione.
Non è facile definire la cosiddetta scuola moderna, suddivisa dai più recenti autori in due filoni: la
scuola sistemica e le scuole contemporanee. Negli anni ’60 la scuola sistemica si proponeva come
innovativa e inseriva il fattore umano come uno degli elementi che interagivano nel determinare le
caratteristiche e il funzionamento dell’organizzazione. Il merito dell’analisi sistemica è quello di
aver sottolineato che l’individuo e l’organizzazione non sono entità isolate e chiuse, ma sono
inserite in un ambiente con il quale hanno dei rapporti di interrelazione e dipendenza (Gabassi,
2003).
Studiosi diversi concordano nel ritenere che non esistono verità assolute e principi applicabili
sempre e ovunque (Grasso, 2003). A partire da questo assunto la scuola situazionale, nata intorno
agli anni ’80, ha contribuito alla diffusione della consapevolezza che nessuna delle teorie
organizzative è adatta allo studio delle diverse circostanze; per questo occorre scegliere in base alla
situazione contingente i principi e le teorie a cui fare riferimento.
Le scuole contemporanee attribuiscono all’organizzazione un ruolo centrale nella gestione della
sicurezza e coloro che si occupano di prevenzione, si trovano nella necessità di ampliare l’ambito di
intervento, ponendo attenzione a un più generale benessere psichico e sociale oltre che fisico,
analizzando i processi organizzativi oltre che tecnici (Borgogni, Petitta 2003).
1.2) Il concetto di salute/benessere organizzativo
Tra il 1950 e il 1960, la rinascita industriale e sociale, fu caratterizzata da una visione più attiva del
soggetto lavoratore, che lo vedeva interagire con il proprio ambiente di lavoro, pur permanendo un
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concetto di causalità di tipo lineare. Gli aspetti della sicurezza e della salute iniziarono a
comprendere campi come il Job Design, la formazione e la selezione dei dipendenti. Questo tipo di
studi va sotto il nome di Early ergonomics. Si cominciò a prestare attenzione allo stato di salute non
solo fisico, ma anche mentale del lavoratore, considerando le conseguenze psicologiche
(affaticamento, disturbi psicosomatici, ecc.) che la routinizzazione e l’insoddisfazione potevano
produrre.
Sono i cambiamenti sociali degli anni ’70 ad introdurre un’importante novità: la salute non era un
elemento da tenere in considerazione solo nel momento in cui veniva a mancare, ma bisognava
attuare politiche di prevenzione contro gli infortuni sul posto di lavoro; ciò portò allo studio dei
cosiddetti aspetti psicosociali del lavoro (Gabassi, 2007).
Negli anni ’70-’80 si focalizzò l’attenzione sulla prevenzione, Health protection, (Avallone,
Bonaretti,2003). Ben presto fu riconosciuta l’importanza della sicurezza nei contesti lavorativi e
allo sviluppo di questo tema hanno partecipato attivamente i diversi attori del mondo del lavoro a
partire dai sindacati e dai gruppi di lavoratori. Fu sempre più evidente e studiata l’influenza sulla
salute oltre che dei fattori biologici anche di quelli psicologici e sociali, così come l’importanza
della loro combinazione e interazione.
Negli anni ’90 la situazione migliorò anche con la nascita della Occupational Health Psicology
(OHP), una materia interdisciplinare nata dal convergere della psicologia della salute (health
psychology) e la salute pubblica (public health), con lo scopo di ottimizzare la qualità della vita
lavorativa e della sicurezza. In questa prospettiva, gli ambienti di lavoro sani erano caratterizzati da:
alta produttività, alta soddisfazione del lavoratore, buona sicurezza, basso assenteismo, basso
turnover e assenza di violenza. L’OHP interveniva su tre dimensioni fondamentali: l’ambiente di
lavoro, l’individuo e il rapporto lavoro/famiglia, ponendo particolare enfasi sulla prevenzione
primaria ma non trascurando nessuno degli altri livelli preventivi.
L’OHP, pur con alcuni limiti, restava l’iniziativa più improntata al superamento del concetto di
sicurezza, inglobandolo in quello più ampio di salute nell’organizzazione (Avallone, Bonaretti,
2003). Alcuni autori (Raymond,Wood e Patrick, 1990) presentarono uno strumento di valutazione
della salute organizzativa basato su cinque indici costruiti sulla base di due criteri: la caratteristica
temporale degli indicatori (attuali, retrospettivi, e di previsione) e la disponibilità/facilità di raccolta
di dati. L’obiettivo fu quello di stabilire un indice con componenti che racchiudevano misure di
eventi passati (turnover, burnout), situazioni attuali e future (bisogni di cambiamento). Lo
strumento proposto (Organizational Health Report) permetteva di stabilire una soglia dello stato di
salute di un’organizzazione, al di sotto della quale veniva richiesto un intervento “riparatore”. Una
seconda ricerca (Lyden e Klengele, 2000) mirava ad un’ottica di lungo periodo: l’organizzazione in
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salute non valutava solo la propria capacità di lavorare efficacemente ma anche le proprie abilità di
crescere e svilupparsi.
La salute organizzativa può essere considerata come lo scenario complessivo in cui confluivano
anche gli studi sulla cultura aziendale e sullo stress. Si individuarono degli indici di “malessere”
organizzativo (symptoms) tra cui la diminuzione dei profitti, il decrescere della produttività e
l’assenteismo. Secondo il parere degli autori (Avallone, Paplomatas 2005), controllare la salute di
un’organizzazione significa, oltre che tener sotto controllo gli indici di malessere, monitorare alcune
dimensioni. Gli studi sul benessere nei luoghi di lavoro, con l’eccezione di alcuni contributi più
recenti (Cooper e Marshall (1978), Smith, Kaminstein e Makadok (1995), e Danna e Griffin
(1999)), hanno preso in esame prevalentemente il tema della sicurezza, focalizzando l’attenzione
sulla salute fisica dell’individuo. Poichè l’interesse degli studiosi è rivolto anche alle dimensioni
psichiche, questi, hanno analizzato lo stress piuttosto che il benessere globale, l’individuo stressato
piuttosto che la salute dell’organizzazione (Avallone, Bonaretti, 2003).
Avallone (2005) ritiene che la stessa definizione di salute organizzativa, comparsa negli ultimi
tempi, sia ancora incerta o generica poiché non consente di individuare le condizioni in cui
un’organizzazione si trova in un buono stato di salute ed è in grado di mantenerlo nel tempo
(Avallone, 2005).
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2. NORMATIVA SULLA SICUREZZA IN UFFICIO
I temi della salute e del lavoro sono di fondamentale importanza per lo Stato Italiano, tanto da
essere esplicitamente tutelati fin dalla carta costituzionale.
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
Art. 1 “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro (omissis)”.
Art. 32 "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività (omissis)".
Art. 35 "La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (omissis)".
Art. 38 "I lavoratori hanno diritto che siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio (omissis)".
Art. 41 "L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (omissis)".
Le prime leggi, comunque, sulla sicurezza dei luoghi di lavoro furono introdotte in Italia nel 1930
con il codice penale (Art. 437, “Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali
destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la
reclusione da tre a dieci anni”) e nel 1942 nel codice civile (Art. 2087, “L’imprenditore è tenuto ad
adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e
la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di
lavoro”) mentre le prime leggi specifiche sull'argomento risalgono agli anni cinquanta.
Una svolta importante, però, in materia di sicurezza sul lavoro si ebbe nel 1994 quando fu introdotto
il Decreto Legislativo 626 che superò le leggi precedenti pur non abrogandole formalmente, dando
una forma organica alle normative sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Tra le novità introdotte dal d.lgs. 626/94 abbiamo il rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza (art. 18) che deve essere eletto dai lavoratori stessi e deve essere consultato
preventivamente in tutti i processi di valutazione dei rischi, e l'istituzione della figura
del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione nei confronti del quale cui il datore di
lavoro è responsabile.
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Il Decreto Legislativo 626/1994 nel 2008 è stato completamente trasfuso nel cosiddetto Testo
Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. 81/2008), a sua volta successivamente
integrato dal D.Lgs. n. 106 del 3 agosto 2009 recante disposizioni integrative e correttive.
Lo scopo del Testo Unico è
- Compendiare e coordinare tutte le diverse norme emanate in tema di sicurezza sul lavoro in
un unico testo organico
- Definire un completo sistema nazionale di rilevazione e controllo delle problematiche
relative alla sicurezza sul lavoro
- Definire modelli di organizzazione e gestione della sicurezza all'interno delle aziende
- Definire univocamente responsabilità e sanzioni in funzione delle contravvenzioni / reati
commessi in tale campo.
Il Decreto Legislativo definisce anche i parametri che il luogo di lavoro, inteso come ufficio, deve
rispettare, stabilendo obblighi precisi per il datore di lavoro rispetto la salute e la sicurezza dei
propri dipendenti /collaboratori all’interno dell’ufficio messo loro a disposizione.
Il datore di lavoro deve assolvere a questo compito in prima persona e con l’ausilio
dell’RLS (Responsabile Lavoratori per la Sicurezza) e dell’RSPP (Responsabile Servizio
Prevenzione e Protezione), due delle figure che in un luogo di lavoro non possono mancare.
Nell’ambito della tutela dei dipendenti, la sicurezza sul lavoro degli uffici richiede un’attenta
valutazione e verifica rispetto molti rischi che possono minacciare gli appartenenti a questa
particolare categoria di lavoratori. I rischi da valutare per la sicurezza sul lavoro in ufficio sono sia
di natura strutturale (misure minime di abitabilità; vie di fuga e circolazione; microclima) che più
strettamente legati all’individuo (stress lavoro correlato; uso di videoterminali e illuminazione).
Il primo fattore da tenere in considerazione per la sicurezza sul lavoro negli uffici è le misure
dell’ufficio stesso, che dovranno essere tali da garantire idonei standard ambientali.
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1.2.1. I limiti minimi per altezza, cubatura e superficie dei locali chiusi destinati o da destinarsi al lavoro nelle aziende industriali che occupano più di cinque lavoratori, ed in ogni caso in quelle che eseguono le lavorazioni che comportano la sorveglianza sanitaria, sono i seguenti: 1.2.1.1. altezza netta non inferiore a m 3; 1.2.1.2. cubatura non inferiore a m3 10 per lavoratore; 1.2.1.3. ogni lavoratore occupato in ciascun ambiente deve disporre di una superficie di almeno mq 2 1.1.2.2. I valori relativi alla cubatura e alla superficie si intendono lordi cioè senza deduzione dei mobili, macchine ed impianti fissi.
Allegato IV TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
Strettamente legato alle misure è il discorso delle vie di fuga pensate per quelle emergenze (incendi,
allagamenti, cedimenti strutturali, ecc..) che richiedano un’improvvisa evacuazione del personale
presente sul luogo di lavoro per raggiungere un luogo sicuro.
1.5.2. Le vie e le uscite di emergenza devono rimanere sgombre e consentire di raggiungere il più rapidamente possibile un luogo sicuro.
Allegato IV TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
L’attuale normativa prevede che il datore di lavoro predisponga un piano di emergenza pensato per
mettere in salvo i lavoratori e persone presenti in ufficio.
E’ importante che le vie di fuga siano sgombre da impedimenti come materiali, arredi e attrezzature,
così come per le normali vie di circolazione interne che non devono presentare ostacoli di alcun
tipo.
Correlato alle vie di fuga è il tema della segnaletica di sicurezza.
1.5.10. Le vie e le uscite di emergenza devono essere evidenziate da apposita segnaletica, conforme alle disposizioni vigenti, durevole e collocata in luoghi appropriati.
Allegato IV TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
In una struttura nella quale sono presenti uffici occorre prevedere la segnaletica di sicurezza e la
segnaletica per la trasmissione ai fruitori delle informazioni d’orientamento ed il controllo e la
gestione dei flussi.
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In base alla combinazione di forme e colori dei segnali di sicurezza, questi si possono classificare
in: cartelli di divieto, cartelli di avvertimento,cartelli di prescrizione, cartelli di salvataggio e cartelli
antincendio.
Fig.1 Cartellonistica di sicurezza
Altro aspetto che in un ufficio va curato è quello del microclima per il quale il datore di lavoro
dovrà garantire un’adeguata manutenzione agli impianti di climatizzazione, ove presenti, in modo
che questi ultimi lavorino offrendo sempre prestazioni ottimali.
1.3.1.2. avere aperture sufficienti per un rapido ricambio d’aria; 1.3.1.3. essere ben asciutti e ben difesi contro l’umidità; 1.9.1.1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente ottenuta preferenzialmente con aperture naturali e quando ciò non sia possibile, con impianti di areazione.
Allegato IV TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
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Il microclima dell’ambiente ufficio (ambiente chiuso, ambiente confinato) ovvero la temperatura
dell’aria, la sua umidità relativa U.R.%, il suo ricambio condizionano ed influenzano la sensazione
di benessere per chi lavora, fattori che se anomali comportano situazioni di disagio e malessere
amplificabili dall’esposizione a cui sono sottoposti i lavoratori.
Al fine, quindi, di rendere un ambiente di lavoro sano, devono essere monitorate le condizioni
microclimatiche che oltre ad influenzare gli scambi termici tra uomo ed ambiente (sensazione di
benessere) possono anche favorire la produzione o il rilascio di contaminanti nell’aria dei locali
chiusi di lavoro (confinati) . A tal proposito il ministero della Sanità definisce inquinamento indoor
(confinato) la presenza nell’aria di contaminanti fisici, chimici e biologici non presenti naturalmente
nell’aria esterna di sistemi ecologici aperti di elevata qualità.
Rispetto a temperatura e umidità vengono forniti dei parametri di massima da rispettare che sono
mostrati nella tabella sottostante.
ZONA DI BENESSERE TERMICO IN CONDIZIONI DI: lavoro sedentario e vestiario normalmente in uso nel nostro paese
PERIODO
TEMPERATURA
EFF.VA °C
UMIDITA RELATIVA
% VELOCITA ARIA
m./sec..
ESTATE
19-24
( 22 valore racc.to) 40-60 0.2
INVERNO
17,5-21,5
(19,5 valore racc.to) 40-60 0.2
Uno dei rischi maggiori per chi lavora in ufficio è quello legato allo stress lavoro correlato, aspetto
cui la legge italiana, fin dalla 626/94, ha dedicato molta attenzione fino a renderne la sua
valutazione obbligatoria nella stesura del DVR (Documento Valutazione Rischi).
Chi lavora in un ufficio non appartiene alle categorie a più alto rischio ma, di contro, sono fra
i soggetti più esposti allo stress lavoro correlato, patologia che registra ogni anno nuovi casi.
A tale lavoratore viene spesso richiesta una grande concentrazione per il conseguimento di un
determinato risultato, facendo sì che egli venga continuamente sollecitato dal punto di vista
psicologico con conseguente abbattimento della soglia di resistenza all’ansia e generando uno stato
di forte tensione emotiva.
Il datore di lavoro dovrà vigilare e prendere tutte le tutele del caso per far sì che i propri
collaboratori operino in maniera serena evitando tensioni anche fra colleghi che spesso possono
avere conseguenze negative per quanto riguarda la produttività, e quindi, il fatturato dell’Impresa.
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Nell’ambito della sicurezza sul lavoro negli uffici, particolare attenzione è posta nei confronti degli
utilizzatori dei videoterminali, categoria di lavoratori che necessità di garanzie ad hoc. La normativa
attuale riserva un intero paragrafo (Allegato XXXIV del testo unico) all’uso dei videoterminali
L’elemento principe a tutela della salute e sicurezza del videoterminalista è l’illuminazione
dell’ufficio in generale della postazione di lavoro in particolare. Negli uffici, la maggior parte delle
informazioni trattate è di natura visiva: l’occhio è dunque uno degli organi maggiormente
sollecitati. Per evitare l’insorgere di stati di malessere, di problemi alla vista e di affaticamento
mentale, l’illuminazione deve adeguarsi qualitativamente e quantitativamente ad ogni tipo di
operazione eseguita. La luce naturale, per quanto fondamentale, non è sufficiente a garantire in un
luogo confinato, un’adeguata illuminazione in quanto il livello di illuminazione può variare
sensibilmente al mutare dei fattori quali l’ora, le stagioni, le situazioni meteorologiche e la stessa
realizzazione architettonica del locale. Alla mancata illuminazione naturale deve pertanto supplire
un illuminazione artificiale, che imiti il più possibile le caratteristiche di quella naturale. Un
impianto di illuminazione artificiale deve considerare, nel rispetto delle esigenze di risparmio
energetico, i seguenti parametri: livello di uniformità d illuminamento colore della luce e resa del
colore ripartizione della luminanza limitazione dell’abbagliamento direzionalità della luce.
1.10.1. A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità delle lavorazioni e salvo che non si tratti di locali sotterranei, i luoghi di lavoro devono disporre di sufficiente luce naturale. In ogni caso, tutti i predetti locali e luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi che consentano un’illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la salute e il benessere di lavoratori.
Allegato IV TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
La postazione dovrebbe essere posizionata in modo che la luce naturale la colpisca lateralmente, il
videoterminalista dovrà lavorare in modo da tenere una corretta postura e con gli occhi che abbiano
una distanza dallo schermo pari a 50 – 70 cm.
Il datore di lavoro dovrà fornire adeguato arredo al videoterminalista con scrivania, sedia e
postazione multimediale che rispetti tutti i principali criteri ergonomici.
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- Lo schermo deve essere posizionato di fronte all’operatore in maniera che, anche agendo su eventuali meccanismi di regolazione, lo spigolo superiore dello schermo sia posto un po’ più in basso dell’orizzontale che passa per gli occhi dell’operatore e ad una distanza degli occhi pari a circa 50-70 cm, per i posti di lavoro in cui va assunta preferenzialmente la posizione seduta
- Il sedile di lavoro deve essere stabile e permettere all’utilizzatore libertà
nei movimenti, nonché una posizione comoda. Il sedile deve avere altezza regolabile in maniera indipendente dallo schienale e dimensioni della seduta adeguate alle caratteristiche antropometriche dell’utilizzatore.
Allegato XXXIV TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
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3. ORGANIZZAZIONE DEGLI SPAZI IN AZIENDA
Un ambiente di lavoro di qualità, ben progettato e realizzato, tutela il benessere del lavoratore e
valorizza il suo potenziale creativo. La progettazione dello spazio di lavoro in un’azienda può avere
impatto sulla produttività dell’individuo e del gruppo, sul rapporto dei dipendenti, sulle relazioni
con i clienti. Spazi senza stimoli e influenzati negativamente da frastuono o illuminazione
inadeguata, con strumenti scomodi e posizionati scorrettamente o più semplicemente luoghi di
scoraggiante bruttezza, influiscono su produttività, concentrazione, turn-over e assenteismo.
Invece è possibile progettare, organizzare, costruire ambienti di lavoro in grado di stimolare
positivamente la produzione di idee e, più in generale, il rendimento dei “ knowledge workers”, cioè
di tutti coloro che contribuiscono, con le loro competenze ad elevato contenuto di conoscenza e
creatività, a generare valore in tutti i settori dell’economia. Non è da dimenticare che la vera forza
delle aziende moderne sta nella capacità di accrescere il potenziale dei propri membri.
È strategicamente importante avere un quadro esaustivo delle modalità con cui vengono impiegati
gli spazi a disposizione, per una loro gestione sempre più efficiente ed efficace considerando anche
il costo degli spazi continuamente in crescita (Assufficio, 2008).
3.1) Prossemica
Oltre 30 anni fa l’antropologo americano Edward T. Hall nel libro”La dimensione nascosta” (1996),
coniò il termine “prossemica” per indicare la disciplina che studia le modalità con le quali gli esseri
umani interagiscono tra loro tra loro ed organizzano il proprio spazio. Una delle intuizioni più
significative di Hall è stata quella di comprendere che il confine dell’uomo è un “animale culturale”
i cui limiti vanno ben oltre quelli del suo corpo, estendendosi anche agli aspetti sensoriali e le
“dimensioni nascoste” che riguardano tutto lo spazio che lo circonda.
L’uomo è in rapporto costante sia con l’ambiente che con altri uomini. Pertanto lo spazio va anche
inteso come mezzo di comunicazione; bisognerebbe quindi preoccuparsi che lo spazio ambientale
sia adatto all’uomo e che gli spazi tra individui siano adatti alle loro interazioni.
L’uomo inoltre è un “animale territoriale”. Nel territorio l’uomo differenzia le sue attività e separa i
suoi ruoli sociali, applicando meccanismi di regolazione del sistema di convivenza sociale, e
riducendo le possibilità di sovrapposizione sia dei singoli ruoli e conseguenti stress e conflittualità.
Il processo con cui ogni individuo si rende più o meno accessibile agli altri è definito privacy.
Conoscere e capire le diversità individuali e culturali nell’uso dello spazio è uno strumento
progettuale indispensabile, se si vuole realizzare un lay-out di ufficio che rispetti i bisogni primari
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del singolo e lo faccia sentire a suo agio e che, eliminando la possibilità di conflitti, consenta una
buona interazione tra i vari operatori e all’interno del gruppo.
Da un punto di vista spaziale quindi, l’ufficio non è un territorio omogeneo ma bisogna tener conto
delle distinzioni territoriali e farle coesistere, rispettando le diverse esigenze individuali e collettive:
- uno spazio primario (da difendere dagli estranei) nella zona attorno alla scrivania;
- uno spazio secondario (deve quindi favorire la comunicazione) negli ambienti impiegati per
lavori di gruppo, riunioni, incontri;
- uno spazio pubblico nelle zone di passaggio e di servizio (altri, corridoi, ascensori, archivi,
bagni).
Nell’uomo, spazio e distanza hanno carattere dinamico in quanto sono connessi all’azione più che a
situazioni passive. Lo spazio personale è un’area psicologica più che fisica, una specie di sfera
invisibile intorno al corpo, che si espande e si contrae secondo le relazioni instaurate con gli altri nei
vari contesti sociali.
Edward T. Hall, propone la suddivisione di questo spazio in quattro distanze, ciascuna distanza in
due fasi (vicinanza e lontananza).
Le distanze sono solo indicative, e variano al mutare dei caratteri personali e dei fattori ambientali e
culturali e possono essere considerate una base di partenza nel progetto dell’ufficio:
- zona intima: si estende da 20 - 50 cm; sconfina nel contatto fisico; a questa distanza, si può
sentire l’odore, il calore dell’altro e si possono avvertire le sue emozioni; gli sguardi diretti
poco frequenti; il tono delle voce é più basso, così come il volume. E’ la distanza che si
mantiene tra le persone più intime (es. partner, amici più cari, familiari)
- zona personale: si estende da 50 a 120 cm (interazioni quotidiane con persone che si
conoscono)
- zona sociale: si estende da 1.20 a 2.40 m (contatti interpersonali con persone che non si
conoscono e per affari)
- zona pubblica: si estende oltre i 2.40 m (contatti formali fra un individuo e il pubblico).
La disposizione dei posti a sedere svolge un ruolo molto importante nelle interazioni tra persone.
In ambienti destinati ad attesa o conversazione, sono richieste diverse disposizioni dei sedili, a
seconda del diverso grado di intimità che esiste tra le persone.
In presenza di sconosciuti (per es. in una grande sala d’attesa) vengono preferiti posti nei quali non
si è costretti né a guardare, né a sfiorare con la coda dell’occhio gli altri (posizioni dei posti a sedere
parallele fra loro). Invece, in una piccola sala di attesa, si può ottenere addirittura una sorta di
attrazione sociale, se si dispongono le sedie a breve distanza e ad angolo o a semicerchio, perché un
contatto tra gli occhi può stimolare la conversazione.
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In varie situazioni dove è possibile scegliere la posizione, i posti agli angoli e alle pareti sono i
primi ad essere occupati. Ciò è dovuto alla ricerca istintiva di uno spazio protetto alle spalle, con
totale visione dell’ambiente circostante, che può essere tenuto sotto controllo e all’esigenza di uno
spazio personale più privato e protetto.
Anche per il successo di riunioni o di gruppi di lavoro è molto importante tener conto delle
problematiche dello spazio visivo. In una riunione infatti è importante che tutte le persone possano
essere tra loro in diretto contatto visivo, e all’interno di un gruppo esistono posizioni relazionali
preferite, a seconda del ruolo che si ha all’interno del gruppo.
Attrazione o fuga sociale possono essere determinati anche dai vari elementi di arredo. Ad esempio
un tavolo da riunione quadrato creerà contemporaneamente situazioni di solito di collaborazione
con le persone che ci sono sedute di fianco e situazioni di competizione, soprattutto con chi si trova
seduto di fronte a noi.
Quando ci si siede intorno ad una tavola rotonda, invece l’importanza delle persone viene sancita in
base alla maggiore o minore lontananza dal capo (Anna Guglielmi, 2007).
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4. AREE AZIENDALI
Le aree di lavoro in azienda si distribuiscono in:
- spazi di lavoro individuale (ufficio a postazione singola)
- spazi di lavoro di gruppo (uffici condivisi)
- spazio di lavoro in cui sono organizzate aree con funzioni diverse (uffici open-space, flex
offices)
- spazi di incontro, relazione, relax (sala di attesa, archivio, area conferenze, sale meeting,
coffee area).
La “progettazione” dell’ufficio è un processo di coordinamento di varie attività: individuare i tipi di
arredi adatti a soddisfare le diverse esigenze di lavoro, dimensionare e distribuire nello spazio
disponibile i posti e le aree di lavoro, predisporre gli impianti necessari, ovvero progettare il lay-out
degli spazi di lavoro. Ciò è possibile solo partendo da un’analisi aziendale che fornisce tutte le
informazioni relative alle caratteristiche qualitative e quantitative dell’organizzazione (mansioni e
numero degli impiegati, previsioni di incremento di personale, ecc.), alle caratteristiche del flusso
della comunicazione e all’identificazione dei rischi nell’ambiente di lavoro.
La fase di elaborazione di un’azienda comprende, oltre alla ideazione degli uffici e di altri spazi di
lavoro, anche microambienti per specifici momenti di incontro: situazioni che favoriscono la
condivisione e lo sviluppo di nuove idee e zone di relax. La progettazione non riguarda quindi solo
la concezione delle attrezzature necessarie ad una attività ma anche la pianificazione delle pause
durante il lavoro. Al contrario di una macchina che normalmente può fornire lo stesso rendimento
per molto tempo, l’uomo durante il lavoro si stanca. È quindi importante prevedere periodi di pausa,
tenendo conto che molte pause corte sono molto più efficaci di una o più pause prolungate,
soprattutto nel caso di lavori semplici. Aggiungendo alcune pause di breve durata a quelle abituali si
possono ottenere netti recuperi di rendimento. Inoltre bisognerebbe dare libertà individuale di scelta
e pianificazione delle pause: queste devono offrire possibilità di contatti sociali e di rilassamento,
perciò è utile prevedere zone nettamente diverse dal resto dell’ambiente, sia da un punto di vista
architettonico che di luce e di colori (Assufficio, 2008).
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4.1) Tipi di ufficio
La crescente legislazione, la maggiore competizione sul mercato e l’aumento del numero di aziende
(grandi, medie e piccole), che gestiscono una varietà di aspetti scientifici, sono alla base della
complessa realtà del mondo farmaceutico e biomedicale.
Un mercato più ampio e una crescente varietà di tecnologie porta a un più alto livello di
specializzazione e alla necessità di creare una rete di collegamenti dentro e fuori l’azienda, per
acquisire nuove conoscenze e capacità al fine di realizzare progetti innovativi da introdurre nel
mercato.
Indipendentemente dalle dimensioni, le relazioni tra gli individui costituiscono il parametro
principale in un’azienda. In un gruppo di lavoro più grande le distanze tra i membri aumentano e le
probabilità di interazione diminuiscono.
Alcuni fattori possono influenzare la capacità e possibilità di comunicare delle persone in azienda:
le caratteristiche del layout fisico dello spazio lavoro, costituisce un fattore importante (Fredrik
Ullman, Roman Boutellier Physical layout of workspace: a driver for productivity in drug
discovery)
Ad esempio è meglio lavorare in un open space o in uffici isolati visivamente e acusticamente.
Molti suggeriscono che una soluzione non ci sia, perché il bilanciamento tra comunicazione in un
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lavoro di squadra e possibilità di concentrazione in postazione isolata, dipende ovviamente dal tipo
di attività svolta.
Di seguito sono elencati le varie tipologie di ufficio presenti che si possono ritrovare all’interno
delle aziende.
4.1.1) Ufficio postazione singola
Si tratta di un classico ufficio di lavoro individuale. Ciò permette un alto livello di privacy ma un
grado di comunicazione minimo.
È d’altronde vero il fatto che i lavoratori in molti casi hanno la necessità di concentrarsi, ovvero di
operare in un ambiente silenzioso e privo di elementi di disturbo: alcuni studi (De Marco T. e Lister
T.,1993; Mawson A., 2002) dimostrano ad esempio che un individuo ha bisogno di circa 15 minuti
per raggiungere uno stato di concentrazione sufficiente per rendere il “flusso creativo” efficace. Ciò
implica che in un’ora di lavoro senza distrazioni sono circa 45, i minuti effettivamente produttivi,
ma con solo due elementi di distrazione, i minuti di lavoro effettivo scendono a 15 soltanto.
E’ fondamentale quindi adottare criteri di progettazione dell’ambiente tali da consentire un buon
livello di privacy soprattutto per le attività più complesse.
4.1.2) Ufficio condiviso
Per ufficio condiviso si intende la comunione di un ufficio tra più persone, ognuna con una propria
postazione.
Una società statunitense ha effettuato una ricerca analizzando il comportamento all'interno di
numerose aziende ed uno dei risultati ha messo in luce come il 70% dei momenti di collaborazione
si concretizzi con meeting tra due membri rispetto a gruppi più numerosi. Così l’ufficio condiviso
può risultare come un buon compromesso tra la privacy e il silenzio permessi dall’ufficio cella e la
condivisione delle idee che offre l’ufficio open space.
Dice il proverbio: "molte menti sono meglio di una sola, ma basta che non siano troppe!"
4.1.3) Open space
Nel caso dell’ open space la disposizione degli uffici è organizzata in un unico ambiente molto
vasto, in cui le separazioni verticali necessarie sono ottenute solamente mediante un'opportuna
sistemazione di schedari, scaffalature e strutture simili in base alle esigenze.
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Di fatto sottolineano gli esperti, il lavoro in un open space ha il grosso vantaggio di costituire un
forte stimolo alla comunicazione tra i lavoratori, elemento cruciale che influenza produttività.
Alcune ricerche (CABE 2005) mettono in evidenza che per i lavoratori dell’informazione che sono
ad una distanza superiore di 50 metri, l’interazione lavorativa è molto bassa, mentre occorre tenere
conto non solo della separazione orizzontale ma anche di quella verticale (uffici disposti su più
piani diversi) e visiva. Il contatto visivo e la facilità nei movimenti può rappresentare un forte
stimolo alla comunicazione, nonostante la distanza fisica. Lo scambio verbale oltre le pareti
divisorie tra le scrivanie è spesso elemento di passaggio di informazioni importanti per il processo
produttivo.
Tutto ciò può però presentare problemi di acustica scadente, mancanza di privacy e difficoltà di
concentrazione. Stando a un'indagine condotta dal Berkeley's Center for the Built Environment su
65mila lavoratori di tutti e cinque i continenti, è l'acustica scadente il principale problema: un
impiegato su due si lamenta di essere costretto a lavorare immerso in una specie di alveare ronzante
di dialoghi altrui, i quali non favoriscono certo la concentrazione. In più se si vuole parlare con
qualcuno ci si sente “osservati” dai colleghi che, trovandosi a pochi centimetri di distanza, possono
ascoltare conversazioni private. Secondo Anne-Laure Fayard, docente al Politecnico dell'università
di New York che ha studiato a lungo l'argomento, il risultato è che negli open space le
conversazioni diventano più superficiali e inutili perché non si vorrebbe condividerle con altri
individui diversi dal nostro interlocutore.
4.1.4) Flex office
Il flex office è uno spazio flessibile in grado di adattarsi velocemente alle esigenze delle persone
grazie alle diverse tipologie di ambienti allestiti all’interno dell’ufficio e alle tecnologie disponibili