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1 ‘Dentro’ la luce: onde o corpuscoli? Le moderne interpretazioni sulla natura della luce risalgono al XVIII secolo e sono attribuibili al fisico inglese Isaac Newton e all’astronomo olandese Christian Huygens, sostenitori di ipotesi diverse. In estrema sintesi, secondo Newton vediamo gli oggetti che ci circondano perché essi emettono dei corpuscoli, mentre per Huygens le immagini che percepiamo, in analogia ai suoni, sono formate da un flusso di onde che partono dai corpi. C2 Luce ed elettroni
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Jul 01, 2015

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Laprof Russo

Lezione semplificata dalla luce agli elettroni.
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‘Dentro’ la luce: onde o corpuscoli?Le moderne interpretazioni sulla natura della luce risalgono al XVIII secolo e sono attribuibili al fisico inglese Isaac Newton e all’astronomo olandese Christian Huygens, sostenitori di ipotesi diverse.

In estrema sintesi, secondo Newton vediamo gli oggetti che ci circondano perché essi emettono dei corpuscoli, mentre per Huygens le immagini che percepiamo, in analogia ai suoni, sono formate da un flusso di onde che partono dai corpi.

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Un passo decisivo nella

comprensione della natura della

luce fu fatto ancora una volta

grazie allo studio dell’elettricità.

Nella seconda metà del XIX

secolo, il fisico scozzese Maxwell,

studiando i fenomeni elettrici e

magnetici, intuì che una carica

elettrica oscillante doveva

produrre un campo elettrico e

uno magnetico, tra loro

perpendicolari, che si

propagavano in forma di onde.

L’esistenza di tali onde

“elettromagnetiche” fu poi

effettivamente dimostrata

sperimentalmente dal fisico

tedesco Hertz

Linee del campo elettrico che si propagano in tutte le direzioni

carica elettrica oscillante

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Poiché spesso l’interazione tra luce e materia riguarda esclusivamente la componente elettrica della radiazione, per semplicità si rappresenta solo quest’ultima.

La luce rivelava un comportamento analogo a quello delle onde elettromagnetiche e, poiché la velocità di propagazione di queste ultime risultò uguale a quella misurata per la luce, egli concluse che:

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Ogni onda elettromagnetica è caratterizzata da una lunghezza

d’onda λ (lambda), che rappresenta la distanza fra i punti corrispondenti

di due onde successive, e dalla frequenza ν (ni), che è il numero delle

oscillazioni che l’onda compie in un secondo.

Frequenza dimezzata

Lunghezza d’onda raddoppiata

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Lunghezza d’onda e frequenza sono inversamente proporzionali e la

costante di proporzionalità è data dalla velocità di propagazione dell’onda.

La velocità di tutte le onde elettromagnetiche, luce compresa, è dunque

costante ma varia da un mezzo all’altro (aria, acqua, vetro ecc.).

Nel vuoto essa vale circa 300 000 km · s-1 e si indica con la lettera c.

La lunghezza d’onda viene misurata in metri, mentre la

frequenza viene misurata in cicli al secondo o hertz (Hz).

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Le onde elettromagnetiche hanno frequenze comprese tra

1024 Hz per i raggi cosmici fino a pochi hertz per alcuni tipi di

onde radio, ed è proprio la frequenza che determina

l’energia di un’onda e quindi il suo modo di interagire con

la materia.

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Vi sono onde (o radiazioni) elettromagnetiche con frequenze

diversissime.

L’insieme di tutte le radiazioni elettromagnetiche si dice spettro

elettromagnetico.

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Le onde elettromagnetiche possono comportarsi in maniera diversa quando incontrano la materia. Da questo punto di vista, esse possono essere divise in due grandi categorie:

le onde con frequenza superiore a 3 ·1015 Hz e

quindi lunghezza d’onda inferiore a 100 nm hanno

un’energia sufficiente per staccare gli elettroni dagli

atomi e sono dette radiazioni ionizzanti;

le onde con frequenza inferiore a 3 ·1015 Hz non

trasportano un quantitativo di energia sufficiente a

staccare gli elettroni: sono dette radiazioni non

ionizzanti e hanno più blande interazioni con la materia;

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Lo spettro elettromagnetico è stato suddiviso in

regioni, in particolare le radiazioni percepibili

dall’occhio umano appartengono alla zona del

visibile, compresa tra 400 nm e 700 nm.

Ultravioletti (UV) e infrarossi (IR) per

noi sono invisibili, ma interagiscono

entrambi con il nostro organismo: i primi

sono responsabili dell’abbronzatura della

nostra pelle, mentre i secondi li

avvertiamo, sotto forma di calore, quando

ci avviciniamo a un fuoco o a un

termosifone. C2 Luce ed elettroni Pina Russo

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La luce del Sole è formata da onde elettromagnetiche di molte lunghezze d’onda diverse. Lo vediamo quando essa attraversa un prisma di materiale trasparente, o delle gocce d’acqua, dando luogo all’arcobaleno.

Quando un fascio di luce emesso dalle comuni sorgenti luminose, che

sono per lo più policromatiche, attraversa per esempio un prisma

trasparente o delle gocce d’acqua, viene scomposto nelle radiazioni di

diversa frequenza che lo compongono.

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Passando da un mezzo (l’aria) a un altro (il materiale del prisma, l’acqua)

ogni radiazione viene deviata in modo proporzionale alla sua frequenza.

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Anche elementi in fase gassosa, se opportunamente stimolati, sono in grado di emettere luce, come si verifica nei comuni tubi al neon o, in modo più spettacolare, con i diversi colori dei fuochi d’artificio.

Ciò che distingue queste sorgenti è che la luce emessa ha colore diverso a seconda dell’elemento che la produce ed è composta da poche frequenze diverse.

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Scomponendo la luce emessa da questi elementi con un prisma,

si produce un’immagine (detta spettro) che, anziché variare con

continuità da un colore all’altro, è costituita da poche righe

distinte, caratteristiche dell’elemento che emette la luce.

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Gran parte dei corpi che vediamo normalmente non emettono luce propria. Il loro colore dipende dalla lunghezza d’onda delle radiazioni che essi non assorbono e ‘rimbalzano’ su di loro. Il colore di un corpo dipende dunque sia dalle sue caratteristiche, sia anche dalla composizione della luce che lo illumina.

Sono esempio i pigmenti fotosintetici, primo tra tutti la clorofilla. Le piante appaiono verdi perché la clorofilla assorbe i fotoni nel rosso e nel blu, riflettendo quelli del giallo e del verde. Il nostro occhio fa il resto dato che è più sensibile al verde che al giallo.

Gli stessi oggetti, illuminati con luce di diversa composizione,

appaiono di colori differenti. È per questo che, prima di acquistare

una maglietta, vogliamo vederla alla luce del giorno e non solo a quella

artificiale del negozio.

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Quanti e fotoniLo studio degli spettri dei due diversi tipi, continuo e a righe, occupò i fisici tra l’Ottocento e il Novecento. Era noto che un corpo riscaldato cambiava colore con l’aumentare della temperatura. Un pezzo di ferro, per esempio, assume prima un colore rossastro, poi giallo, poi bianco con sfumature addirittura bluastre se la temperatura è sufficientemente alta.

Anche il colore delle stelle è legato alla loro temperatura. Si può addirittura fare una buona stima della temperatura superficiale di una stella in base al suo colore: le stelle ‘più fredde’ ci appaiono rosse e quelle più calde azzurre. In generale, i fisici pongono la seguente definizione:

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L’analisi dello spettro emesso da un corpo riscaldato (spettro del corpo nero) rivelò che il cambiamento di colore legato allo stato termico di un corpo è dovuto al fatto che, all’aumentare della temperatura, esso emette radiazioni il cui massimo si trova a energie sempre più alte (cioè verso il blu).

E questo accade indipendentemente dalla natura del corpo osservato: in altre parole, gli spettri dei corpi riscaldati sono legati solo alla loro temperatura.

Purtroppo però le leggi dell’elettromagnetismo, che descrivevano le modalità con le quali la materia emette luce, non erano in accordo con le osservazioni sperimentali.

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La spiegazione della composizione della luce emessa dai corpi riscaldati venne trovata nel 1900 da Max Planck che, per determinare delle equazioni in grado di descrivere matematicamente i fenomeni osservati, dovette imporre le seguenti condizioni:

I pacchetti di energia vennero chiamati quanti (dal latino quanta,

“quantità definite, discrete”) e h, pari a 6,626 · 10-34 J · s, fu detta

successivamente costante di Planck.

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L’energia emessa dalle sorgenti

luminose è dunque strettamente legata

alla frequenza della radiazione. Questa

limitazione può essere meglio compresa

se facciamo un paragone con la

distribuzione dei liquidi. È come se i

rubinetti non potessero essere regolati a

piacere, ma si comportassero come dei

distributori di lattine: aprendo di più il

rubinetto, vedremmo uscirne non un

getto più potente, ma un numero

maggiore di lattine. Inoltre, al variare del

liquido erogato cambierebbero anche le

dimensioni dei contenitori.

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La teoria dei quanti trovò conferma

quando Einstein riuscì a spiegare il

fenomeno per cui alcuni metalli, se

investiti da radiazioni di frequenze

opportune, emettono elettroni (effetto

fotoelettrico).

L’emissione si verifica soltanto

quando la frequenza della radiazione

incidente supera un certo valore vo,

detto soglia fotoelettrica,

caratteristico del metallo considerato.

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Nel 1905 Einstein, utilizzando la teoria di Planck, immaginò che

l’energia della radiazione luminosa fosse non solo scambiata per

quantità discrete, ma fosse anche costituita da ‘pacchetti’, cioè

quantizzata.

Per Einstein quindi:

Dal 1923 i quanti di luce vengono chiamati fotoni.

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Il lavoro di Einstein riaccendeva i dubbi sulla natura della luce. Tutti i

fenomeni luminosi studiati fino a quel momento (diffrazione, riflessione,

rifrazione ecc.) erano perfettamente spiegabili considerando la luce un

insieme di onde (teoria ondulatoria); mentre l’effetto fotoelettrico richiedeva

di ipotizzarla formata da particelle (teoria corpuscolare). Einstein stesso

ammise che non si poteva decidere se la luce fosse un’onda o un getto di

fotoni. Si deve ricorrere a volte a una teoria e a volte all’altra, a seconda dei

fenomeni considerati. Per questo motivo, in relazione alla natura delle onde

elettromagnetiche, si parla di dualismo onda-corpuscolo.

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Spettri a righe: segnali dagli atomi

Sappiamo che il modello di Rutherford non era completo, in quanto

l’elettrone, per continuare a ruotare attorno al nucleo, avrebbe dovuto

emettere energia elettromagnetica, perdendo via via energia cinetica, fino

a precipitare sul nucleo stesso annullandosi. In altre parole l’atomo, in un

intervallo di tempo brevissimo, avrebbe dovuto perdere la propria stabilità,

cosa che invece non accade.

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Il modello, inoltre, non spiegava il comportamento degli elementi in fase gassosa che, se opportunamente stimolati, emettono luce. Lo spettro di emissione rivelava infatti la presenza di poche righe soltanto, le cui frequenze erano diverse da elemento a elemento.

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Se un atomo emette o assorbe soltanto radiazioni di ben precisa frequenza, ciò indica che per i suoi elettroni è possibile ricevere o cedere esclusivamente determinate quantità di energia. In altre parole, gli elettroni possono solamente ‘saltare’ tra alcuni stati energetici ben definiti e fissi, come se nell’atomo esistessero dei “gradini” di energia.

La quantizzazione negli atomi: Niels BohrNel 1913, Niels Bohr si rese conto che le righe degli spettri di emissione o di assorbimento dell’idrogeno e degli altri elementi erano segnali della quantità di energia posseduta dagli elettroni nei rispettivi atomi.

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Queste considerazioni condussero Bohr a proporre un nuovo modello

atomico basandosi su due affermazioni che contrastavano con la

meccanica classica. Si tratta di due postulati, cioè affermazioni non

dimostrate, accettando le quali si riescono a calcolare esattamente le

frequenze degli spettri dell’atomo di idrogeno.

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Il primo postulato di Bohr afferma che:

I raggi di tali orbite soddisfano tutti la relazione:

Al fattore n, un numero intero che può assumere tutti i valori compresi tra 1

e infinito (∞), Bohr diede il nome di numero quantico principale.

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Il modello atomico di Bohr, dunque, mantiene la struttura ‘planetaria’, con

elettroni che girano intorno al nucleo, già suggerita da Rutherford, ma

impone che soltanto alcune orbite siano percorribili.

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La distanza dal nucleo delle orbite permesse è quantizzata, A partire dal valore del

raggio di un’orbita, Bohr calcolò l’energia posseduta da un elettrone su di essa.

Anche le energie delle orbite risultano così quantizzate poiché dipendenti dal

numero quantico principale: n.

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Il secondo postulato di Bohr afferma che:

In pratica l’elettrone occupa una ben definita orbita, che è la sua orbita

fondamentale. Quando riceve energia dall’esterno, passa a una delle

orbite di energia superiore. Dopo un tempo brevissimo, l’elettrone torna

nella sua orbita fondamentale ed emette un fotone, la cui energia

corrisponde esattamente alla differenza tra l’energia dell’orbita occupata

nello stato eccitato e quella dell’orbita fondamentale.

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A ogni differenza di energia tra le orbite corrisponde una diversa

frequenza di emissione, e quindi una riga del relativo spettro.

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I valori trovati sperimentalmente per le righe di emissione avevano mostrato l’esistenza di sette livelli energetici, via via più vicini tra loro, indicati secondo energie crescenti con le lettere K, L, M, N, O, P, Q.

In realtà, esistono infiniti livelli di energia, ma dopo il settimo essi sono così ravvicinati da essere difficilmente distinguibili. Si dice che per quei valori di energia i livelli formano un continuum.

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La quantizzazione negli atomi: Sommerfeld

Il modello atomico ideato da Bohr spiegava lo spettro dell’idrogeno.

Inoltre, pur non riuscendo a prevedere matematicamente le frequenze delle righe di atomi con più di un elettrone, il suo modello consentiva di spiegare perché elementi diversi emettevano radiazioni di differente frequenza.

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Le frequenze delle radiazioni emesse o assorbite, infatti, dipendono dalle energie delle orbite interessate al salto elettronico, il cui raggio varia da elemento a elemento a causa del diverso numero di protoni ed elettroni dei loro atomi. Per ‘vederlo’, si possono per esempio bagnare con acido cloridrico i composti di alcuni metalli, il che li rende facilmente volatilizzabili alla fiamma del becco bunsen. Il calore eccita allora gli elettroni che, tornando nella loro orbita fondamentale, conferiscono alla fiamma colorazioni caratteristiche, dovute alle diverse frequenze dei fotoni rilasciati.

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Successivamente, utilizzando strumenti più perfezionati, si scoprì che le righe degli spettri sono in realtà costituite da gruppi di righe più sottili. Per spiegarlo, il fisico tedesco Arnold Sommerfeld estese il primo postulato di Bohr con una nuova condizione:

In sostanza, agli

elettroni sono

permesse orbite

non solo circolari, ma

anche ellittiche, per le

quali sono consentite

ben definite

orientazioni spaziali.

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Ogni orbita ha un valore di energia suo proprio, che può essere rappresentato con l’introduzione di due nuovi numeri quantici: uno collegato alla forma dell’orbita l e uno alla sua orientazione spaziale m.Nell’atomo si individuano quindi diversi livelli di energia, a ciascuno dei quali appartengono (a partire dal secondo livello) una o più orbite (o sottolivelli) vicine tra loro che gli elettroni possono percorrere.In seguito Wolfgang Pauli introdusse un nuovo numero quantico, collegato alla rotazione dell’elettrone su se stesso (spin).

Il nuovo modello atomico che si ottenne dalla quantizzazione della forma e dell’orientazione delle orbite, modello di Bohr-Sommerfeld, costituiva un passo in avanti rispetto al modello di Bohr ma lasciava ancora molti problemi irrisolti: spiegava solo parzialmente, per esempio, gli spettri di atomi con più elettroni.

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Le energie di ionizzazione: la conferma dei livelli di energiaLe conclusioni cui erano arrivati Bohr e Sommerfeld, in base alle quali gli elettroni di un atomo possiedono una differente energia in funzione della loro distanza dal nucleo, furono avvalorate da altre ricerche.In un atomo, elettroni e nucleo hanno carica elettrica opposta e si attraggono perciò reciprocamente, per la forza di Coulomb, con un’intensità inversamente proporzionale alla loro distanza. Quanto più un elettrone dista dal nucleo, dunque, tanto più debolmente è a esso legato.

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Si possono determinare sperimentalmente le energie necessarie (seconda ionizzazione, terza ionizzazione e così via) per strapparne anche tutti gli altri elettroni. Le energie di ionizzazione determinate sperimentalmente per un dato elemento presentano valori progressivamente crescenti, come è logico attendersi.

Gli elettroni strappati in successione sono infatti sempre più vicini al nucleo e quindi più fortemente legati a esso.

Su di loro inoltre agisce una carica positiva residua sempre maggiore, perché sempre maggiore è il numero dei protoni non più bilanciati dagli elettroni che sono stati allontanati.

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Analizziamo i valori delle energie di ionizzazione dei dodici elettroni del magnesio e mettiamoli in grafico Si può osservare che le prime due ionizzazioni, cioè l’allontanamento dei due elettroni più esterni, richiedono energie simili. Con il terzo valore, l’energia necessaria si impenna bruscamente per poi crescere in maniera lineare per l’allontanamento di ognuno di altri sette elettroni. Un nuovo brusco salto si verifica quando si considerano le energie di ionizzazione degli ultimi due elettroni.

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L’interpretazione dei dati sperimentali ci porta a concludere che i dodici elettroni del magnesio sono suddivisi in tre livelli di energia: due elettroni appartengono al primo livello, il più vicino al nucleo, otto sono nel secondo livello, intermedio, e due stanno nel terzo livello, quello più esterno.

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C2 Luce ed elettroniEner. ionizzazione

All’interno di uno stesso livello vi sono dunque due gruppi di elettroni che si

differenziano per i valori di energia posseduta. I due gruppi individuano così due

sottolivelli la cui presenza era già stata determinata da Sommerfeld quando aveva

introdotto un nuovo numero quantico collegato alla forma delle orbite degli elettroni

di un dato livello di energia.

Un’analisi estesa a tutti gli elementi noti ci permette di stabilire che:

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Esiste pertanto un solo sottolivello per il primo livello di energia

(n = 1) che in totale può ospitare due elettroni.

Nel secondo livello (n = 2), invece, possono stare al massimo otto

elettroni (2 · 22) distribuiti in due sottolivelli.

Nel terzo livello (n = 3) trovano posto tre sottolivelli, per un massimo

di 18 elettroni, quattro nel quarto, per complessivi 32 elettroni e così

via. I sottolivelli vengono contraddistinti con un numero che indica il

livello di energia e una lettera che indica il sottolivello.

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