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ANTONIO LOTIERZO POESIE ( 1972 – 2000 ) NAPOLI 2014
241

POESIE 1977-2001

Mar 29, 2023

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Page 1: POESIE 1977-2001

ANTONIO LOTIERZO

POESIE

( 1972 – 2000 )

NAPOLI 2014

Page 2: POESIE 1977-2001

.

Cronologia

1950 - 1960

Antonio Lotierzo , primogenito, nasce il 28 giugno 1950, alle ore

17,30 , in una casa fittata dai Santalucia in Civita a

Marsiconuovo (Pz). Il padre, Michele Lotierzo ( 1923 – 1989) ,

scampato alla guerra ed alla prigionia, è insegnante elementare e la

madre , Graziella Caprio ( 1927- 1985 ) dopo il magistrale, a

Lagonegro, non sostenne l’esame finale e poi venne costretta a non

lavorare se non come casalinga, è proprietaria d’una casa al

Portello, dove si trasferiscono dal 1952,avendola ristrutturata.

Insieme con loro viveva Vincenza Caprio ( 1902- 1987), vedova del

sarto Angelo, figlio del “ varricchiaro” Nicola.

Il 14 settembre 1952 nacque Angelo; il 12 febbraio 1957 Giovanna, il

30 novembre 1964 Andrea.

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La casa del Portello, non spaziosa ma comoda, si suddivideva in tre

ambienti : al piano terra una lunga cantina, che fungeva anche da

deposito derrate, forno, lavanderia manuale, gallinaio; al primo

piano cucina e soggiorno ; al secondo piano camera da letto e

salottino-studio.

La famiglia era piccolo-borghese, i nonni paterni contadini , i

materni artigiani . Nonno Antonio ( ) era un contadino

che aveva perso una gamba nella prima guerra mondiale, ricevendo una

magra pensione che integrò con il suo lavoro agricolo fino al 1961.

Sono anni di grande trasformazione sociale, impercettibile dai

soggetti coinvolti, la struttura sociale rurale sta cedendo ad una

contraddittoria trasformazione . Gli anni dell’ infanzia scorrono

fra le grida del vicinato, il ciclo stagionale del lavoro contadino,

la spensierata vicinanza di decine di compagni.

A cinque anni è iscritto come uditore alla prima elementare

nell’austero quanto fatiscente palazzo Manzoni – convento Benedettine

- al Casale e lì svolge l’intero ciclo , con insegnanti ogni anno

diversi, concludendo con l’esame di ammissione alla prima media che si

svolgeva a Moliterno. La prima comunione avviene in S. Marco, chiesa

anche dei funerali dei suoi. Avendo riportato la media dei sette/

decimi il padre chiese all’Enam un posto in un collegio meridionale.

Il padre acquistò enciclopedie come “ Vita meravigliosa” nella cui

lettura, sia delle immagini e sia dei testi, si formò l’immaginazione

del fanciullo. Possedeva anche un minuscolo proiettore di

diapositive, con cui iniziava a conoscere la civiltà delle immagini

che sarebbe esplosa con la televisione, dopo il 1957.

1960 - 1965

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L’Ente assistenziale dei maestri lo assegna a Taranto , presso il

collegio dei Salesiani , su Viale Virgilio , allora periferia della

città, di fronte ad un mare sempre pensato e mai visto. I tre anni di

scuola media vedono un allargamento ed un’interazione culturale

essenziale: un’educazione cattolica intensiva che viene vissuta con

adesione e trasporto.

Lotierzo canterà nella ‘schola cantorum’, servirà messa per anni,

anche al paese, nella chiesa di s. Rocco, aderendo ad una spiritualità

che modifica la stessa percezione della cultura sociale originaria.

La vita costrittiva ma ricca di amicizie e cultura religiosa del

collegio, la sofferenza iniziale nel distacco dalla situazione

affettiva , riplasmeranno la personalità che scoprirà effimere ma

intense amicizie , allarganti il nucleo del vissuto, in quanto i

collegiali provenivano da città come Brindisi , altri paesi lucani

( Sant’Arcangelo, Corleto) , Manduria . Il padre Michele è eletto

sindaco di Marsico, per la Democrazia Cristiana, di cui era iscritto

dal 1947 e segretario di sezione dal 1955, operando un’opposizione sia

al Movimento Sociale e sia ai Socialcomunisti.

Quasi naturalmente, avendo coltivato meglio le materie umanistiche e

manifestando paurosi vuoti verso le matematiche, Lotierzo si iscrive

al Ginnasio dello stesso collegio.

Inizia la crisi adolescenziale, in cui l’interesse mistico

religioso manifestato negli anni precedenti si sposta ed allarga ad

interessi letterari. Periodicamente i Salesiani facevano delle fiere

del libro, offrendo con un certo sconto libri da loro curato o

distribuiti, con testi sia d’ispirazione religiosa( H.Hello) ma anche

sunti da Shakespeare ( C.Lamb). L’uscita dei primi Oscar

della Mondatori nel 1965 e poi quelli della Longanesi gli

consente di leggere pagine di Gide , Hemingway, Pavese, Russell .

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Nel collegio, nel febbraio 1965, i Salesiani operano una

perquisizione, che coincide con alcuni fatti di non corretto

comportamento generalizzato . Nel polverone della scoperta dei libri

proibiti ,di immagini che venivano definite pornografiche, di alcune

battute scambiate via citofono con delle suore, il direttivo del

collegio decide di allontanare prima con una sospensione settimanale

e poi definitivamente Antonio con altri tre convittori. E’ il crollo

della pedagogia salesiana, il contrasto fra il dire e l’operare che

viene vissuto drammaticamente nell’animo del nostro. Il padre si

rivolge ad un onorevole democristiano ma il debole intervento scritto

non produce la restituzione del posto, che il padre gli fa vivere

come aggravio economico. A ciò si aggiunga che i Salesiani non

formalizzano l’espulsione ma pretendono che passi presso l’Enam come

ritiro volontario compiuto dal genitore per ‘ motivi di famiglia’. E’

una prassi che sconvolge Antonio, perché gli rivela sotto triste luce

l’operato dei preti , la non decisione del padre di contrastarli e di

chiedere chiarezza, lo scaricare sulla coscienza del giovane un

sottinteso di propria insufficienza negli studi. Infatti così solo

viene letta l’iscrizione al Liceo Classico “ M. T. Cicerone “ di Sala

Consilina dai locali docenti, che vedono presentarsi a marzo uno

studente di prima Liceo, corso B.

La docente di latino e greco lo rimanderà settembre proprio perché

vittima del pregiudizio che Antonio fosse stato ritirato dai

salesiani per puri motivi di carenza negli studi . A settembre è

promosso.

1965 - 1968

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Da marzo 1965 a luglio 1968 Antonio completa il Liceo classico a

Sala, vivendo un periodo nuovo, laico, in una pensioncina, dove viene

a frequentare anche il fratello Angelo, iscritto al corso A, con

docenti ancora più mitici ( Bracco, Stanzione, Trione ). Angelo

appare da sempre più equilibrato negli studi, attento sia nelle

materie classiche che in quelle scientifiche , che poi approfondirà

con la laurea in medicina.

La pensioncina di Sala apre il giovane ad esperienze laiche , infatti

si è soli con lo studio , si ha libertà di movimento nel paese, che

appare grande come una cittadina, in cui predomina il senso degli

affari, un costume sessuale più libertino ,la ricerca del guadagno,

l’innovazione capitalistica. A tavola Antonio ed Angelo pranzano con

adulti, un orologiaio scapolo impenitente , degli assicuratori ,

degli impiegati , dei bottegai , con altri studenti ma di incogniti

paesi di mare come Palinuro o Sapri che raccontano di svedesi,

bagnanti libertine.

E’ un ambiente che parla di felicità boccaccesca, ma nel cuore di

Antonio è vissuto con ambivalente adesione, in quanto il clima

valoriale lucano e salesiano si scontra con la vitalità secolare, che

fonda la vita su Bacco, tabacco e Venere e su di un’amicizia e

solidarietà tutta mondana e serena.

Gli studi proseguono veloci. Dal 1966 , traducendo i lirici greci,

Antonio inizia a comporre brevi poesie , in cui riaffiora la

classicità , l’imitazione facile ed esteriore di Quasimodo. Ora può

leggere senza controllo ciò che l’editoria milanese propina in edicola

a basso costo ; americani come “ I peccati di Peyton Place” o

Pirandello ; altro B.Russell . La lettura e la vita da pensionante

iniziano a straniarlo dalla comunità , si sviluppa l’occhio altro, che

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aspira ad una famiglia ma che la sente al tempo stesso perduta o

insoddisfacente.

In questo clima psicologico avverte l’eco delle prime manifestazioni

studentesche.

1968 – 1972

Iscrittosi a filosofia a Napoli, non inizia che a frequentare un mese

a novembre e poi da gennaio 1969. E’ la vita delle pensioni

studentesche e dei miseri appartamenti dei fuorisede. Si formano

amicizie d’una vita: conosce Alfonso Reccia ,che diventerà avvocato,

un casertano che fungerà da mediatore per la conoscenza della realtà

napoletana, che l’avvierà alle lettura de “L’Espresso” . Le lotte

politiche incendiano la città. Gli studenti sono in lotta accanto alla

classe operaia. Lo studio continuo è accompagnato da questo incendio

di lotte confuse, utopistiche se non astratte, da un esteriore e

sconosciuto maoismo a “ Il manifesto”, dove Antonio ascolterà

V.Caprara, A. Wanderling, A. Carlo passando attraverso assemblee più

appassionate che analitiche e lunghe manifestazioni di piazza contro

i governi, contro l’imperialismo. Sui gradoni dell’Università, a

corso Umberto, si poteva rintracciare Antonio fra i giovani che col

pugno chiuso accoglievano gli operai sfilanti nell’autunno caldo. E

poi verrà l’incendio dell’Università, gli scontri con i fascisti. E

tanti slegati rapporti umani. La storia esterna confluiva nelle

pensioni studentesche dove si commentava l’anticapitalismo e si

finiva per imparare meglio il tressette .Non esisteva alcun legame con

la borghesia napoletana, con i suoi figli studenti. Il fuori sede

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viveva in un suo limbo, in questa immensa altra e sconosciuta città di

Napoli. Nel febbraio del 1970 Antonio organizza alcuni comizi in

Basilicata contro la politica governativa. L’eco della contestazione

studentesca giunge a Villa d’Agri, dove si promuovono convegni e si

incontrano le esigenze del rinnovamento democristiano della ‘Base’

con una recente organizzazione socialista, con cui collabora. Nel

febbraio il padre ebbe una violenta emorragia allo stomaco, venne

resecato ed uscì tre mesi dopo dall’ospedale.

Nel luglio del 1972 Antonio si laurea in filosofia,con C.Carbonara,

ottenendo 110 / 110. La tesi su Marx gli consente di leggere sia le

interpretazioni storicistiche che le strutturalistiche, da L. Colletti

a L.Althusser. Nel novembre il padre non è più sindaco: una risicata

giunta di sinistra ottiene la maggioranza al Comune.

1972 – 1973

Dall’ottobre 1972 è chiamato per il servizio di leva, quale fante

presso i granatieri di Sardegna a Sassari.

Nel gennaio è trasferito a Roma, Pietralata. Assolte le funzioni

dovute, dalle ore 17 alle 23 di ogni pomeriggio, Antonio è al centro

di Roma, fra piazza Campo dei Fiori e Trastevere. Sviluppando questa

sua modalità di esserci e di non appartenere allo stesso tempo,

frequentò cinema d’essai, teatri ‘ underground’ , mostre, musei, seguì

conferenze, trascorse ore alla ‘Rizzoli ‘ . Con tremore scoprì una

sera d’avere davanti a sé come spettatore A. Moravia, di cui leggerà

il commento su “L’Espresso” e ciò gli permetterà di riflettere sulla

rapida modalità di composizione degli articoli. In caserma riuscì a

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stampare al ciclostile una trentina di poesie, cercò di venderle in

piazza Navona. Incontrò D. Bellezza, seguendone gli articoli per

‘Paese Sera’ . Partecipa al concorso a cattedra di filosofia e

storia, che si concluderà anni dopo e da cui risulta idoneo.

Nel luglio del 1973 la madre Graziella è colpita da ictus, la paresi

laterale si scioglierà con l’eparina ma le sue condizioni inizieranno

a risultare preoccupanti per la stenosi mitralica postreumatica,

curata solo

con digitatici.

A dicembre 1973 rientrò a Marsico, congedato quale caporalmaggiore.

Si iscrisse alla specializzazione biennale in archivistica

biblioteconomia a Napoli, che concluse nel 1975.

1974 - 1975

Da gennaio inizia ad insegnare in un corso serale per lavoratori a

Satriano e poi a Moliterno in un doposcuola della locale media.

Stringe amicizia con il tipografo-editore Romeo Porfidio e frequenta

Domenico Bonelli, di Montemurro, antifascista e intellettuale curioso

se non raffinato, giornalista e singolare figura di giurista.

Partecipa ad un bando dell’UNLA per direttore di un centro di

servizi culturali a Napoli e vince il posto di Secondigliano, Via

Monte Rosa, dove lavorerà dal luglio 1974 all’agosto 1975. Ritorna a

vivere a Napoli, in un appartamentino di Vico Consiglio, presso Piazza

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Carità; si abilita in Filosofia e storia nel corso riservato e

conclude la specializazione . Conosce Carla De Benedetti ed inizia una

stabile ed intensa relazione affettiva.

Nel 1975 partecipa ad un concorso di borsista dell’Università di

Salerno e lo vince iniziando a collaborare alla fondazione del

Centro studi per la storia del Mezzogiorno , diretto da Gabriele de

Rosa , iniziatore della storiografia socio-religiosa. Legge F.Braudel

, M.Bloch, numeri delle “ Annales” , P.Villani, G.Galasso, la “ Storia

d’Italia “ della Einaudi , C. Ginzburg.

1976 - 1982

Dal febbraio 1976 si dimette dagli impieghi precedenti, in quanto

ottiene una nomina a titolare di filosofia e storia nel Liceo

scientifico di Rotonda, che dipendeva da Lagonegro. Sembra la

sistemazione definitiva,con un mensile di trecentomila lire . Gli

impegni di studio continuano e si focalizzano intorno alla figura di

Michele Gerardo Pasquarelli ed al positivismo demologico, che

rintraccia nella sezione Lucchesi Palli della Biblioteca Nazionale

di Napoli, dove trascorrerà ore deliziose della sua vita,

attraversandone le sale, abitando il giardino pensile, incontrando

studiosi. Inizia a studiare antropologia, E. De Martino, Lévi-

Strauss, Evans-Pritchard, C.T. Altan, V. Lanternari, A. Di

Nola, G. Pitrè , M. Foucault.

Il 14 agosto 1976 sposa Carla e parte un mese per Parigi, abitando a

Raspail. Da settembre è trasferito al Liceo di Marsico, prende casa in

fitto e coglie la crisi abitativa e del centro storico.

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A giugno, muore il suocero, Mario De Benedetti ( del 1902),

assicuratore, con fratelli a S. Francisco.

Dal 1977 insegna al Liceo Scientifico di Sant’Arcangelo, viaggiando

con una Renault 5 e dal 1980 a Viggiano. In contatto con l’editore

Piccari di Forlì fin dal 1974 – contattato dopo la segnalazione al

Premio “ R. Serra” - pubblica il suo primo libro di versi : Il

rovescio della pelle. Suo fratello Angelo si laurea in medicina, non

trovando un’accoglienza professionale nel paese decide di avviare la

professione a Paterno , sposandosi con Miranda Cunetta, da cui avrà

Grazia e Michele.

Nel 1978 fonda la rivista “Nodi” , che uscirà fino al 1985,

costituendo un polo di aggregazione culturale per una generazione

regionale.

Il padre Michele si pensiona , continua l’attività politica e si

difende da decine di processi, intesi a spegnere per via giudiziaria

la sua passione civica e dai quali uscirà sempre assolto pienamente.

La partecipazione politica di Antonio al Partito Socialista procede

con alternanza e si avvia a spegnersi per l ‘evidente uso strumentale

del suo cognome e per la ristrettezza della formazione e l’arrivismo

dei compagni che confermano un ambiente non confacente con l’utopia

libertaria che permea l’astratto egualitarismo democratico e non

trova un riferimento concreto in un politico o in una forma

apprezzata.

L’8 luglio 1979 nasce il figlio Michele .Dovendo trovare casa, si

trasferiscono in Paterno, in un appartamento di un emigrato. Esce

la raccoltina di versi “ Moritoio marginale” .

Il terremoto del 1980 lo coglie a Scarpano; nei giorni successivi

segue lo spostamento dell’archivio storico comunale compiuto dai

vigili del fuoco. Poi coglie e vive la crisi strutturale del centro

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storico e della società lucana, persa e dominata da una

ricostruzione che da un lato fa emergere un ceto di faccendieri

interno alla società e dall’altro inizia una delocalizzazione del

paese, che inizierà a spostarsi a valle e nei luoghi contermini , in

un abbrutimento urbanistico, privo di servizi e coesione sociale.

Partecipa ad un concorso per ricercatore di storia moderna a Salerno

ma giunge terzo.

1983 - 1988

La famiglia decide di spostarsi a Napoli, dove la suocera Consolata

è sola e possiede un appartamento in Via P. Della Valle, 32. Vince la

matrilocalità. Carla acquista dal fratello Guido la quota del

quartino, essendo andato Guido a Roma.dove sposerà Rosanna Cosentino

, da cui nasceranno Federico e Ludovica.

Antonio ottiene il trasferimento per il Liceo Sc. “ Medi” di Cicciano

, poi passerà a Napoli, al Calamandrei ( 1984-5), al Mercalli, al Vico

( 1986- 1989).

Matura la crisi con il paese, in cui gli amici di un tempo sono persi

nel mare di soldi della ricostruzione. Il paese sta diventando

diverso nelle strutture antropologiche e nelle trasformazioni

sociali, segnate dal familismo più che da servizi sociali.

Nel 1985 chiude “ Nodi” . Nel 1984 Michele viene rieletto sindaco di

Marsico: è per lui soprattutto

una riabilitazione morale, un senso d’orgoglio lo riempie, ma le

condizioni di gestione non sono più le stesse e la DC condivide il

potere con i socialisti, in modo subalterno. Il Psi gioca fra Dc e Pci

in alleanze utili.

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Nel 1985, in un inverno nevoso e freddo , una crisi cardiaca porta

alla morte Graziella, il quattro febbraio. Il padre rimane sconvolto.

La sua solitudine sarà confortata da Giovanna, che, impiegata al

comune di Marsico, accudirà la casa familiare, mentre Andrea termina

gli studi di ingegneria chimica a Napoli ed approfondisce competenze

nella musica classica.

Il 12 gennaio 1988 nasce Ilaria. La collaborazione con “ Basilicata”

di L. Sacco si fa più meditata e stretta: la linea leviano-azionista

influenza il pensiero di Antonio e si fonde alle strutture precedenti

in una sintesi . Escluso dalla vita politica vivrà senza iscriversi

più ad un partito. Negli anni successivi si apre anche ad una visione

ambientalistica . Ammesso all’orale ad un concorso presso

l’Università di Cassino, quale ricercatore di discipline

demoetnoantropologiche, constata il funzionamento della selezione come

promozione delle comodità del professore e non come accertamento

del merito acquisito negli anni di studi. Anche qui l’appartenenza è

tutto. Un presidente di commissione imposta l’intero esame in maniera

da trasformare il proprio a-priori in un giudizio a- posteriori , per

di più psicologicamente cercando di convincere il perdente della

propria buona fede e scaricando sensi di colpa sull’escluso.

1989 - 2000

Avendo partecipato al concorso a preside di Licei bandito nel 1986 ed

essendosi collocato al posto 104 nella graduatoria nazionale, viene

invitato a scegliere la regione di assegnazione.

Improvvisamente, la sera del 4 giugno 1989 muore il padre Michele, che

aveva avvertito e non verificato un malore nel marzo e che il giorno

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prima aveva innaffiato di verderame la sua vigna e preparato un

discorso per le elezioni europee.Questa morte, ritenuta evitabile,

sarà motivo di riflessione su come gli uomini non usino la scienza a

loro disposizione e come non tutto il sapere sia contemporaneo per

tutti.

A settembre 1989 prende servizio quale preside nel Liceo Classico di

Cassano allo Jonio, dove rimarrà fino al 1992 , quando sarà

trasferito al Liceo Scientifico” Nobel” di Torre del Greco ( 1992-

1995) , e poi a Napoli, presso l’istituto “ T. Campanella” di

Piazza Cavour ( dal settembre 1995 ad oggi) . Il 9 febbraio 1990 si

sottopone ad un intervento di colicistectomia, per mano del chirurgo

Leopoldo Torino, al Pellegrini di Napoli.

A Cassano riscopre la cultura calabrese, che aveva vissuto d’estate

nell’infanzia nelle case degli zii paterni che vivendo a Crotone ed a

Cirò Marina, luoghi di serena socialità e intensa gioia per un folto

stuolo di cugini scrive una serie di saggi storici, uno dedicato

all’amministrazione di Marsico nel periodo del padre, rifrequenta

un ambiente religioso, in quanto trova eletta ospitalità presso il

Seminario, luogo di discussioni spirituali e di frequenza discreta

dei vari momenti di culto.

Nel 1990 è riammesso all’orale ad un concorso di demoantropologia a

Campobasso ma nuovamente, su due ammessi agli orali, risulta secondo,

qui svolge da presidente il lucano G.B. Bronzini , che non lo ha

ammesso neppure agli orali in simile concorso a Potenza, teso alla

salvaguardia di un laureato barese. Mesi dopo, invitato a

presentarsi per storia moderna a Potenza, rinunzia a presenziare per

non contrastare A. Lerra.

A Salerno, nel 1992, gli viene assegnato il premio “ A.Gatto” per

l’inedito ( per “ Rosa agostana” ).

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I tre anni di Torre del Greco sono caratterizzati dalla scoperta della

disgregazione politica e dagli affarismi evidenti nel degrado

vesuviano, dalla crescita politica di una società civile che iniziava

a ribellarsi e prendeva coscienza della necessità di un nuovo costume

civile ed ambientale, dalla conoscenza di nuclei di femminismo e

centri psicologici adeguati alla realtà urbana.

Il rientro a Napoli si accompagna con la rinascita della città, con

l’entusiamo attivo che spinge a modificare decenni di lassismo e di

incuria e di vuoto progettuale per una metropoli più vivibile. Antonio

è presente in molte manifestazioni dell’Istituto per gli studi

filosofici; frequenta l’antropologo Domenico Scafoglio e interviene

in momenti quali la Galassia del libro. Nel 1994 partecipa al Premio

Montale e M. L. Spaziani ritiene di poter premiare , quale inedito,

la plaquette di “ Memoria ed altri ricordi ” , che nel 1995 è stampata da

Scheiwiller. Riceve il premio a Perugia, dalle mani di A.Zanzotto e G.

Bassani.

Nel 1996 riceve, all’interno del premio Pierro, il premio speciale “

Mimì Latrecchina: una vita per Tursi, la solidarietà la cultura”,

insieme a Achille Serrao, Marco Gal e Dante Mafia. La giuria ,composta

da Franco Brevini, Giogo Delia, Franco Vitelli e Antonio Valicenti

assegna il premio al miglior componimento in un dialetto di area

lucana, al testo Áhere ( Agri) con questa motivazione: “ Scrittore

eclettico, quanto ai generi e agli interessi letterari , ma di rara coerenza e onestà

intellettuale, Antonio Lotierzo aggiunge, al suo già vasto ventaglio espressivo, l’esperienza

della scrittura dialettale. Le sue composizioni nella lingua natìa di Marsico, quasi piccoli

poemetti, effondono un canto di profonda amarezza e di critica alla società attuale che ha

stravolto il quieto e ordinato vivere delle antiche contrade lucane, aggiungendo mali nuovi

( la droga,ad es.) a quelli antichi. Ancorando i ricordi personali e generazionali al filo storico-

sociale-antropologico, la poesia di Antonio Lotierzo ( all’interno della Quinta Generazione non

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solo lucana, sempre più incline alle evasioni liricistiche e ai ripiegamenti intimistici ) è un

bell’esempio di attenzione ai destini collettivi e di civile resistenza all’omologazione culturale.

“( riprodotto nella “ Rassegna delle tradizioni popolari “ di

F.Noviello ,a.IX, n.4, 1996, Schena, Fasano, pp. 4-9) .

2001-2014

Lotierzo resta a dirigere l'Istituto "Campanella" di Piazza Cavour

(ora dimensionato con il Liceo Scientifico CUOCO) fino al 2007; dal

settembre 2008 e fino al 2014 è nominato quale dirigente scolastico

dell'Istituto Tecnico Commerciale " Mario Pagano" di Napoli

Mergellina. Dal 2009, contribuisce a modificare, con la riforma

scolastica, il Tecnico in un ISIS M.Pagano con due indirizzi,

l'Amminuistrrazione Finanze e Marketing ed il Liceo Linguistico, che

consente il superamento delle antiche minisperimentazioni. Dal 2013,

il Ministero e la Regione, con atto di dimensionamento gli aggregano

anche l'IPIA, con ottici e meccanici, G.B. Bernini di via Arco

Mirelli, raggiungendo la dimensione di oltre settanta classi. Dal

2008, il figlio Michele, laureato in Economia a Napoli,si sposta a

MIlano per lavoro, in Viale Carlo Troya,22, seguito poi dalla compagna

Margherita Brasiello, ingegnere gestionale. Questo dato familiare gli

consentirà molte visite a Milano. Dal 2012 la figlia Ilaria,

laureata in legge, decide di lavorare in Roma, convivendo con

Niciolino D'Elia, esperto edile.

Page 17: POESIE 1977-2001

BIBLIOGRAFIA

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AA.VV.a cura di A.Cestaro) Studi di storia

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1980 La parola e i frantumi. Da Sinisgalli a Riviello , Forum, Forlì

1980 Poeti di Basilicata ( antologia , scritta insieme a

Raffaele Nigro ), Forum, Forlì

1980 Cultura e poesia al Sud , convegno con relazione di

A. L. su “ La quinta generazione

dei poeti lucani sta in “ Basilicata Regione “ , n.3-

4 aprile

1981 La biblioteca d’ un medico di Marsiconuovo sta in “

Nodi”

1981 recensione a Nino Calice, E.Ciccotti sta in “

Nodi ”

1983 Antropologia e cultura popolare. La Basilicata di M.G.Pasquarelli,

Lacaita, Manduria

1983 Canti popolari di Spinoso , Ferraro , Napoli

1983 Antropologia della festa e storia sociale , introduzione al

volume di Fulvio Ianneo,

La vergine del grano ,

Nodi , Napoli

1983 ristampa di V. Valinoti- Latorraca, Ferdinando

Petruccelli della Gattina , a cura di A.

Lotierzo,

Moliterno, Romeo Porfidio ed..

1983 recensione a AA.VV., Economia e società nella storia dell’Italia

contemporanea , sta in

Ricerche di storia sociale

e religiosa, n.24

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1983 articolo: Vescovi parrocchie e mentalità popolare in Italia ,

sta in “ Basilicata

regione“, n.3- 4

1984 recensione a Domenico Scafoglio , Il ‘Te Deum’ de’Calabresi

, sta in Ipotesi 80 , n,1

1984 Annotazioni di metodo sui significati dello spazio geografico nella

cartografia lucana ,

saggio introduttivo al volume di stampe Visioni

di Basilicata , Ciesseti, Napoli , pp.1- 20

1984 L’alimentazione nel folclore , saggio che sta in AA.VV.(a

cura di N. Calice) Porco e

Aglianico ,

Basilicata editrice, Matera

1985 San Gianuario.Agiografia e folclore,

I.G.E.I., Napoli

1985 Spinoso , nelle pietre la storia , Glaux , Napoli

1985 Lo stereotipo del lucano in Nicola Sole, sta negli atti del

convegno “ Nicola Sole e la società

Meridionale,

Senise 1982 , Venosa, 1985

1986 La morte, il cordoglio nell’opera di E. De Martino sta in “

Basilicata” , a.28,n.12,pp.29-36

1984 Diocesi e società del Vallo di Marsico fra ‘500 e ‘700 , saggio

introduttivo a Giovanni

A. Colangelo, Parrocchie

in Val d’Agri, R. Porfidio – Nodi, pp.7-20

1986 Giacomo Racioppi , Edisud , Salerno

1986 La morte, il cordoglio nell’opera di E. de Martino sta in “

Basilicata” a.28,n. 12,pp.29-35

Page 21: POESIE 1977-2001

1987 recensione a Vittorio D.Catalano, Le Reali Case dei Matti

nel Regno di Napoli, sta in “

Rassegna storica

lucana”, n.6, a.1987, p.128

1987 recensione a Raffaele Nigro , I fuochi del Basento , sta in

Basilicata ,Matera , n .5-6 e

anche in “Tarsia” ,

Melfi, n.2, settembre 1987, p.39-4

1987 articolo: La famiglia materna nelle ricerche di un trentennio sta in

“ Basilicata”,

n.29,

marzo, pp.23-28

1988 La svolta della rivolta.Poesia e narrativa del 900 lucano , saggi di A.

Lotierzo , R. Nigro,

A.Piromalli, T.Spinelli, a cura di

F.Bellusci, Capuano ed., Francavilla sul Sinni

1988 recensione a M.G. Pasquarelli. Medicina magia e classi sociali nella

Basilicata

degli anni Venti, a cura di G.B.Bronzini,

Galatina, Congedo, 2 vol. sta in “ Rassegna

Storica

Lucana”, n.7-8

1988 recensione: Michele Pasquarelli .L’ edizione critica dei suoi materiali di domologia

lucana sta

in “Basilicata “ , a.30, gen-marzo 1988,

n.1, pp.46-50 ( con lettera di G. Fortunato)

1988 Antropologi a confronto: la morte dai simbolismi mitico-rituali

all’enciclopedia folclorica

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( da E. De Martino a L. M. Lombardi Satriani e M. Meligrana ), pp.51-80 , sta

in atti del

convegno del 1985 “ Morte del discorso e discorso

della morte “ ( a cura di Franco

Noviello), BMG , Matera

1991 articolo giornalistico: Quando scatta la resistenza passiva, sta in

“ Il giornale di Napoli “ , 9

genn.1991

1992 La poesia della Fusco dalla “luna” ad “arcana” sta in “ Quaderni

meridionali “, Portici

a.VII, n.18,

feb.1992

1991 riscrive, aggiornandola per gli anni Ottanta, l’antologia : Poeti

di Basilicata ( per Giampaolo

Piccari, della Forum di Forlì), che continua a

portare in copertina come coautore R .Nigro

1993 Toponomastica di Marsiconuovo , con Maria Teresa Greco ,

Librìa, Melfi

1993 Pulcinella: l’enigma e la tradizione, sta in “ Quaderni meridionali”

a.VIII,n.21, giugno 1993,

pp.39-46

1993 Il poeta della terra graffiata ( A.Pierro, Nunc’è pizze di munne ), rec.

sta in “ Basilicata “

1994 I desideri dell’altalena, rec. a D.Scafoglio, L’ altalena, sta in “

Basilicata” 6 marzo, p.10

1995 Materia ed altri ricordi ( Premio Montale 1994 per l’inedito) ,

Scheiwiller, Milano

1996 relaz. Poesia della vita e disappartenenza in G. A. Arena sta in La figura e

l’opera di

Page 23: POESIE 1977-2001

Giuseppe A. Arena (Acri,1996), a cura di E. Bonifiglio,B.Bruni,

D.Scafoglio;

T. Pironti,

Napoli, 1998,pp. 109 - 122

1997 maggio, in una libreria di Potenza legge la relazione “ La

dissonanza

incantata.Contemplazione ed inquietudine nell’ “Orto Botanico “ di

Salvatore

Pagliuca “, poeta di Muro

Lucano (ed.Libria , Melfi)

1997 esce l’antologia trilingue : Dialect Poetry of Southern Italy ,

( edited by Luigi

Bonaffini) , New York, Legas , dove Lotierzo ha curato la

parte e la voce “Basilicata “

pp.291-330 ( che contiene poesie di Albino Pierro, Vito

Riviello, Mario Romeo,

A.Lotierzo, Rocco Brindisi ). Qui cinque poesie

dialettali di Lotierzo sono tradotte in

inglese da Michael Palma

1999 rec. Realtà e meraviglioso in Nino De Vita sta in “ Pagine dal

Sud” ,a.XV,n.2,Ragusa,p.35

1999 Statuti, bagliva e conti comunali in Basilicata , Curto, Napoli

2000 Golfo di sogni inquieto ( poesie), Loffredo

2001 Esce il saggio del 1996. Racconti erotici lucani. Linee di una ricerca,

nel volume di

atti del convegno, editor D.Scafoglio, Letterature

popolari , Università di Salerno,

ESI, Napoli

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INTERVENTI CRITICI

Mazzacurati Giancarlo , postfazione a “ Il rovescio della pelle” ,ivi,1977

Grasso Domenico, prefazione a “ Il rovescio della pelle”, ivi, 1977

Colucci Carlo Felice, Il rovescio della pelle di Antonio Lotierzo , sta in “

Nostro Tempo “, aprile-

giugno 1978

Fini Carlo e Giò Ferri , Tangenze .Proposta di incontro poesia/grafica ,

Barbablù, Siena, 1980

Mazzacurati Giancarlo, prefazione a “ Moritoio marginale” ,ivi,1979

Settembrino Giuseppe, sta in “ Nodi” , Moliterno, n.1, 1981

Pomilio Mario, Tre regioni in antologia ( Sicilia, Basilicata e Abruzzo)

rec. sta in “ Il Tempo”,

Roma,sab.

11 Aprile 1981, p.18

Scardaccione Felice, A proposito di un untore ( Q. G. - La poesia in

Basilicata ) sta in “ Il nuovo

corso”, Potenza, 14

aprile 1981

Dell’Aquila Michele, Basilicata: così i poeti della Quinta Generazione, sta in “

Sud/ Libri” , Bari,a. I, 3

aprile 1981

Corrado Gerardo, Una “ provocazione “ ai poeti lucani, sta in “ Il nuovo Corso”

mart.5 maggio 1981,

p.8

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Perilli Adelaide,La palude e la lava in Lotierzo, sta in

“Nodi” ,n.4,1982,pp.10-11

Caserta Giovanni, La frantumata poesia lucana, sta in “

Nodi”,n.,1982,pp.12-13

AA.VV., a cura di G. Settembrino, speciale su Terremoto e

poesia ,cronaca del convegno del Cospim,

del 1981, con schede sui poeti , sta in “

Dimensione” n.2. a.3., feb-marzo 1982,

pp.22- 72

Andriuoli Elio, Antonio Lotierzo : la parola e i frantumi, sta in “Adige

Panorama”,a. XIII, giugno

1982,p. 40

Manescalchi Franco, in “ Punto d’incontro”, a.V, n.14, 1983

Di Nola Alfonso, Quante Lucanie ci sono ? sta in “ Il Mattino” 1983

Nigro Raffaele, Criminali per cranio e per statura, sta in Il Quotidiano,

Lecce, 5 aprile mar.1983, p.12

De Luca Michele, Antropologia e cultura popolare, sta in “ Avanti “ ,Roma, 9

nov. merc.,1983

Jacovino Vincenzo, Tradizione e memorie storiche, sta in “ Puglia

“(quotidiano),a.V.n.30,8 feb.1983

Colangelo Giovanni , recensione in “ Rivista di storia della Chiesa

in Italia, XXXVII,1, gen.-giugno

1983, pp.245- 246

Catalano Ettore, Le rose e i terremoti, Venosa,Osanna,1986, pp.63- 67

Caserta Giovanni, Storia della letteratura lucana, Venosa,Osanna, 1993

Settembrino Giuseppe, Nomi e luoghi a Marsico, rec. sta in “ Lucania” ,15

aprile 1993

Spaziani Maria L., introduzione a I poeti del Premio Montale 1994,

Scheiwiller, Milano, 1995

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Albano Maddalena, Marsiconuovo, esemplare toponomastica, sta in”

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Nigro Raffaele, Viaggio in Basilicata, M. Adda, Bari, 1996 , pp.30- 34

Premio Pierro 1996, motivazione della giuria e resoconto redazionale sta

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popolari “, dir.

Franco Noviello, a.IX.n.4,1996, pp.4- 9

De Lucia Mario, Nicola De Blasi , Alfonso Reccia, presentazione del

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l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici degli “ Statuti

, bagliva e conti comunali

in Basilicata” stampata nel “ Bollettino sezione Campania ANISN,

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Pinto Rosario, I conti dei Comuni non tornano mai, sta in “ Lo Spettro” ,

22 sett.1999

Pellegrini Marco, Vita di un paese nel 400, sta in “ Il Mattino”, 13

genn.2000

De Blasi Nicola, Ragione appassionata e paesaggi mentali, prefazione a “Golfo

di sogni inquieto”,

2000

Spinelli Tito, Poeti lucani fra Otto e Novecento, Capuano A., Francavilla sul

Sinni, 2000, pp.242-249

Page 27: POESIE 1977-2001

ANTONIO LOTIERZO

POESIE

IL ROVESCIO DELLA PELLE

<<LA FORMAMONE PROVVISORIA >>

a Graziella, mia madre

<Io ho la mía autocoscienza non in me, ma nell'altro; ma quest’altro,in cui soltanto sono contento di avere la mia pace con me ( e io sono unicamente in quanto ho pace in me: se non ho questo sono la contraddizione che si dissolve), questo altro in quanto è del pari fuori di me, ha la sua autocoscienza soloin me; ed entrambi siamo soltanto questa coscienza della nostra alteritá e della nostra identitá ». <La contraddizione che in generale è nell'essenza obbíettiva si ripartisce quindi in due oggetti .La cosa, quindi, è,sì, uguale a se stessa in sè e per sè,ma questa unità, con se stessa viene distrutta da altre cose; in tal modo é conservata l’unitá della cosa e al tempo stesso l’alterità fluori di essa». (G.W.F.HEGEL )1

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LAMENTAZIONE PER UN TESTO

Un difetto di lingua inaccettabile colpiscetra il serio e il faceto l' animula glottologica quando umanística l’invasione disseminata é un lamento in azione di volgari vendilacrime scure lavoranti il cordoglio come un testo il critico o un cadavere rilassato e protetto ma la vexata quaestio se il linguaggio inferisca la scrittura non elimina il mito fascinans della follía come opposto mondo implacabile con luci illimitate cristalline piatte. Il testo si offre con tavola gioco vino e donne rifatte. -Andiamo, bricconi, fatemi divertire! - e lí il mestiere si fa valere piú che si pu6: è difficíle morire insolenti. Nel testocadavere, dipoi, la genesi trova la sua strutturella e la colonia bíanca si muove verso una storía nuova, pensabile almeno come il mutarsi del serpente nei gabbioni. Se il cadavere ha sconfitto il tempo, sempre ci ha guadagnato e finirá l’angoscía delle campane nel marcire sotto, il marmo: - Sono un povero míserabile... lasciatemi andare sgolato.-Parte melanconica ripartita il lutto si fa recitare per voi che ascoltate in rime apparse il suono dell'invettiva detersa interessata, perfida e vile.

(1976)

LUISA, DEMOISELLE D’AVIGNON, DEI QUARTIERI

Dentro di te é il sepolcro tiepido d' accoglienza florito. Haí vuoti paurosi e cali inenarrabili, e spazi e arnmanchi d' essere come incavata roccia, ricovero dell' onda piú fresca. Il vento ha del tuo riso squillante

Page 29: POESIE 1977-2001

il murmure periodico. Hai rivoli lenti di lava coagulante e stallatíti che penzolano all'ombra della sera. Ho frugato fra le tue carte segrete, pagine della tua storica scienza e senza tempo, immensi templi e anfiteatri radiosí, cupule con risonanze divíne e ordinati centenafi, viali di glicine in fiore senza futuro.

(1973)

IL TEMPO TRASCORSO a mía madre

Per un gesto ravvolto di tanto in tanto scarno e traquillosi presentano mille stralci di vita. Resti di antichi occhi,parvenze scolpite nella memoria. E il vento che rode le querce, non tí smuove un capello, non ti provoca un grido. Com'é passato il tempo! E la vitaé ancora partecipazione alla morte.

(1972)

1

MILITARE A PIETRALATA

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Non questa noia mi pesa senza tempo diverso ma vuoto lo spazio raffrenante la vita. Non questamarezza acre, gialloritmo dell'ore senza tempo ma l’amorfo reticolo di superficie, quotidiano spessore del nulla. Non questa luce ferma sugli abeti ma le mura fioríte sul cuore nudo, dísumana impotenza del signorsí. Ho seppellito le mie radici verdi stringendomi nelle coperte anonime, sopravvívenza al freddo d' angoscia della sera.

( 1973)

CHIESA DI S. GIANUARIO

Mi porti,chiesa di S. Gíanuario,in giro per il cielo che ti spaziaronzando a spirale le fiancatein amore.Girano a vuoto i nostri paesicon cerchi lunghi e rumorosi.Rompo col becco stridenteil campanile alto sulla scoscesa roccia.Ho spazio fra i monti e la facciacontadina ha un cuore arrugginito.La neve ci riporta gli svizzeri, a negarcicredito, e il sangue dei maiali avvizzito. ( 1974 )LA VITA IN PAESE

Ancora il tempo disperde al ventofiumi del mio sangue cristallino.Sospendo, giomi immobili ai fili della vitea raggiera nel fresco di marmoe lo stesso dire dell' allodola mattiníera.

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Ravvolto in questo bozzolo ebbro e sfilacciatomi nascondo al tormento,la febbre della vita,estinguendomi flusso al frusciare dell' aria.

Né il tuo viso parlato mi soccorre, che anziinoperosa cavitá vaste zone d'ombre illuminae sconto questo peso nel terrore delle nottiaperto al nulla ed alle stelle ferme come mortefresca nell' acqua in cui riaffiora il chiarore degli occhi.

(1972)

IL RITORNO DEGLI ULIVI

Hai nella durata del tempo presente la fuligine aspra degli ulivi di S. Giuseppe e la passione rozza e cantilenata, ripetitiva dei canti contadini, pulsioni uguali di monotona allegria. Sorprendo nello stagno della memoria i resti d'una fuga recente, fra l’onde del fiume e i campi il brigante Crocco col cuore in tumulto, braccato dal frusciare del vento. Non rompe lo straripare del cemento grigio questa penombra tragica di storia lucana quando mio nonno massaro saltellante sfidava il vento in cima al Volturino. ( 1973 )

LA MEDIAZIONE POLITICA

Lo stritolarsi senza tregua con le parolefatti,l'avvinghiarsi ora frontale ora strisciantedei piccolomedi borghesi - nei paesi vuotati della campagna -cornacchie che disputano una carogna,saprofiti ingordi del vitello morto,non svela ai superstiti che la partita é chiusa ,é chiusa per sempre.L'estinzione - questa qui anche questa

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pure questa questa pure -senza recriminazioni affondarecento mille lumi senza rimorsinon dá adito a preoccupazionio insorgenze di colpe:tutto si svolge col migliore leibnitz possibile e ben venga la notte a spegnere i desideri! ( 1973)

DALL’ UNIONE COL PROPRIO TEMPO

Perciòd' ora in poi

per sempre evviva la velocitá stabilizzata elettronicamente del giradischi, al sole in poche ore diventerá tahitiano il vostro corpo.

Tutti i giorniofferta speciale al ghiaccio,che gli altriinvidieranno il suo colore prezioso e il suo profumo flagrante.

Un' altra vittima disoccupata del Sudamava i paesi immigraticon quel suo modo di far violenza

con l’eau de cologne frescacalda e stimolantesa farsi amare la grappa incontrata al bar!

Ma pure:alle magnificazioni del mercato senza controllocede un titolo in ribasso, ricercata convalescenza

per gli elefanti.

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Euforica la speculazione in rialzoballa nudanelle borse per il boom deí settori patrimoniali;é allegra…

All' estero la situazione é identica.Caro dollaro, sei un po' invecchiato per tanti incrocidi razza!

Studentessa si prostituisce in utilitaria;ma pure:

scippano una donna e…firmato un buon contratto per i metalmeccanici; più giù:appicca il fuocoalla sua examante; insornma: scegli vacanze fantasia!

Poscritto per passionaria testimonianza a terroristiche attivitá, il congedo riposo é agli occhi stanchi e lacrimanti.

(1973)

SATIRA PRIMA

L' erba si ritirae la tragedia ci asfissia!Settembre d'afa di polvere e pianto,nauseaquesta lottatimida e sviata condotta altasull’incoscienza della paura.Alzare un calicein nome dell'uomoa quante bestie

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non conobbero né Dio né I'uomo.Ricostruire la distruzione,questa morte che ci accompagnasenza volto insonneper i tratturi del bosco,che ci sconvolge le case,che vuota orribilmente le contrade,questa morte non l’abbiamo voluta noi!Non é piú possibile questa realtá:ingenuo credere in Cristo e nel denaro.Non é piú possibile questa speranzapoggiata alla soglia di casa in vesti antiche!Non fiorisce il giglio nei campi del napalm,né si sveglia col suono il morto nel sangue.Rompiamo il sonno che ci divora!Il fegato ci strappino da svegli!E andiamo dalle catene alla lucegiallo tenue della mimosa!E' forse tardi per noi che lo chiediamoinsieme dappertutto,è forse tardi?La terra è un mostro d' argilla montuoso. ( 1973)

GLI ABISSI DELLA PALUDE

Vi sono! sbra sbra sbrasquascchf pluuschh tungsschhh il buco dell'assurda caverna elicoidale

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scopre un magma puteolente dai riccioli maleodoranti d'ametistalucida - scloppff ssschhf ! - mi raggomitolo al caldo dello sterco e in posizione fetale

sprofondosenza fine

nelle fauci della terra.Ssssstrasffffscchhschhhschplaaaangtung !

E giú giú sempre piú giú! ( 1973)

IL RELITTO MAGICO

Che il latte riposi nel capezzolo dilaniato con le croci e l’assonanza dei membri tracci la guarigione benefica.Gli occhi di Rocco legano il rischio all'assenza del sée le svolazzanti polveri de exorcizandis obsessis costringono l’acqua a ripetersi scongiuri e derisione al malovento delle sere.L'argento mette al dito miserie attasate; morí renitente mio nonno incancrato alla milza per complottatainiezione di lucido petrolio.Sentendosi dominata la donna benedisse la clitoride nefastae il sacrifizio irruppe nella storia del mulino orifiziale, i processetti maniacali lucani spalmano le trecce delle bare.

(1975)

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LA VOCAZIONE DELLO STORICO

Il modo infinito di lavorareriprende il niente del tempo, sconfitta e scandalosa erezionearchiviale putrescentee il rimpianto s'infrange sui fallimentidelle ossa in pacequando Taranto soffia il ritorno della vita alla luce dualista ininterrottaformazione umana, mancanza del respiro,penetrante malvagitá stregata del prete tonificante la noia sterile incancrenente gli atti umani che vuotano la realtá.La condizione assoluta decristianizzafolcloriche permanenze, l’occhio sdoppia visionidell'uomo moderno, qui e altroveè avvenire il dialogo del Gioco,la trappola della dispersione pura,la liturgia delle perversioni dei sensi, il testo del movimento casuale.Il pubblico deve passare ínascoltato:la sua mobilità è deludente.

(1975)

LE FIGURE DELLA STORIA

Va fuori del tempo lo storico sviato destino di contiguitá molli uova da cuocere e il malleus maleficarum.La polvere d’ archivi non è tempo pietrificato, il topo costruisce labbra come seni e merda,anche la divisione degli oggetti è trasgressionedel mio esistere incavato e gratuito,un Rameau castrato incappottato - ma limitiamoci alla Croce rossa in passaggio –e il non trovare un testamento di carnevale,un becchino registrante la qualitàdella morte e il sonno sgretolato, l’acquilotto birmano di Levidistrugge il mormorío sorgivo. Si sgretola il rifiuto del tempo

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a farsi psicoanalizzare,l’invischiamento emorroidico condiziona la seduzione e noi che bruciamo.La figura della morte è il limite dei Padri, la lucentezza sussiste in un corpo duplice. (1975)

«LA RAGIONE APPASSIONATA »

a Carla, continente stravagante

« Fuori ci si batte contro ciò che non può durareQuest'uomo tra tanti altri bruscamente símiliChe cosa é dunque che cosa si sente dunque piú di se stessoPerché ciò che non può piú

durare non duri piúE' pronto a non durare piú egli stessoUno per tutti succeda quello che deve succedere».

ANDRÉ BRETON

LEI

I

Volo di gioiafantasia il tuo corpo stellare,

freme la mente e confonde come i battiti del primo incontro.

E ancora sei ombra da fare carne contrastata

presenza da conservare svestita in labirinti celesti

e mora di rovo scura.

II

Luna sbiancata

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fuggente a perdifiato sulla costalucida paura di sperdersinell' angoscia del fragore vitale,conchiglia preservata nei millenni,erimoto ambiguo nella nottetu, Vera, sbiancata.

III

Hai trascorso unità infinite di temponella livida palude dilaniata.

Calabria di lampi e selve stecchite. Promontorio d' anarchiavioletta e silenziosa

ha in cuore amore e rancore e amoresenza dimensioni futureíncommensurabile dilatazione.

Tu vestale disvelatrice a me visitatore

d' immense nuditá, storia come gracile elegiaco mattatoio picassiano con merletti e fronzoli di vanitá. IV

Riso d' animali domestici storditi dal fuoco.Hai la penombra che dà pace alla mente.Occhi di gatto saltellanti al buiodietro giornali e lana.Hai lo sguardo che compénetra l’esseree s' accompagna a pietá fraterna.Coscienza di luce posata sull' acciaioe mobili presentassenti all' iride indagatrice.Sei la sfera della consapevole sopportazionedell’esistere, Vera.Nozione di carne, modello anticoesterno corpo a me stesso,pensiero di pensiero.Sei il mio corpo diventatomi altroaltrove, linguaggio intermediario.Soddisferò la morte riappriopriandoti!

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V ( Giro in città )

Condensato di sapori e parole nel controsenso d'un tram in ritardo sulla vita.

Incosciente fontana, costruzione rinviante al sogno. Le immagini che mi riporta il vetro dei negozi hanno le nostre presenze prismatiche e utilizzo le interruzioni di luce per baciarti con eccitato tremore nel sottosuolo. No! non il bleu, colore di selve al tramonto- intendo correggere le tue deviazioni archeologiche – ma dargli senso, al nero sconforto agli occhi ed involontario desiderio di morte ! Haí ripetuto gesti di vestizione esaltanti, riti di palazzo o cerimoniale totemico, contrasti di luce e gonfiore di carne adulta alla sfiducia nel commercio, anche dell'uomo.

Il rientro è di nuovo un' introduzione,ho traslato da un' origine all' altraed è sempre la fine che abbonda affermativa,il fragile schianto di lamiere e meno ancorae la nascita d'un quarto me stesso.Solo la tua infanzia é unica:ne ritrovo i filamenti uno ad unofradici.Non ho superato l’incredulitá.I tuoi abiti nell' armadio seme nel campoma alla base solida l’incapacitá,la soglia da varcare, la minaccia da abbattere.Mi ha punito la mia punizione. Il nemico è dunque nel corpo. Ricerco un'altra cosa vera anch' essa come me e te supini a ritrovarci nell' amore.

VI

Porti le gambe, bleu di jeans, senza metaper la piazza di ragazze smagrite.Come per voto e aperte ombre al vento.Non ha amplificazioni odorose

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l’ acqua nell' aria di castagne ottobrine.Cosí fresco il guscio e cosí pallide pallide.Il volto del morto non é un sogno sbiadito:Allende é lí a schernire la nostra pigrizialE come sventolano le bandiere il lutto degli arazzi..E' scivolata la rivoluzione come un bimbo nella vascaaí passi della canzone.Le tue trecce gli scacchi della camicia e i jeansfra le note sradicate di piazza Navonae la mia acuta incapacitá di vivere vivendoti, Vera…

VII

Ti ho scelta, sconosciuta speranza, perché ancora, sei insieme amore e fine carne desiderata e pelle da maturare pace silenzío e quiete in cui annegare e perché ancora sei amore e fine

contatto da ricercare per redenzionee scienza mascherata dalla morte.

Ti ho scelta, silenzio impastato di foglie e terra,perché sei muta nei movimenti radiosi

e non hai il clamore gracidante delle notti. Sei il desiderio non impastato di suoni l’oscuro portato senza significazioni verbali la comunicazione ínterrotta nei sentieri piú oscuri.

E sei la morte sposata al finito.Ti ho scelta, mancata espressione del sospiro,perché non sei l’avventura indecifrabile

- la morte congiunta all'eterno,ma conosci il lavoro piú fermo nei vuoti dell’essere e sei piú stretta alla vita, tu compagna sessuale che hai la musica del giorno.

VIII

Come i delicati puri eterei supporti tu portante qualitá della vita meridiana

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bianca aria sospesa all’immaginariocorposa

desiderata ombra nell' ombra della fuga - dalla cittá sul filo dei binarinon c'è traccia di silenzio granulato – tu personasfumata nella precisione del desiderio squillante.Hai filtrato, il sangue al cafone con setaccio improprio. Non vivi che di vento rosso sui campi suonante tempesta innamorata come me del tempo che sei, insperata dolcezza desiderata tenerezza desiderata.

IX

Rumore filtrato da spazi interconnessi e vero chiarore di scombinati deserti,

quando svetta il silenzio le lenzuola, crespata azzurra intensa lucentezza, trema col letto la mente intraducibile lingua di vitalí rifluti e bianconeri contrasti. Tu seduta sul duro ghiaccio sibilante gelatina addolcita dal mare nei rifiessi lucidie donna che si ritrova interíore sorriso

- angoscia il riso di cellulosa - .Tu mano tesa sul vulcano fermosorella dell'albero piú nudo nel cieloblablaterante soliloquio della fanciulla miti persone perdute negli spazi del potere,e ancora:verde amore fra i vuoti delle casenon piú ferme nell' aria ma franantiscivolosa dimensione sociale in crisisigaxetta disfatta in poltrona aminorbidentePuotno si ripete si ripete si rípete.

xDi tutto lo scardinato illuminato delle notti d'agosto non é rimasto lo spessore candido. Si é oltre nella programmata estinzione

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e con cura l’animale uomo si preparaplateale chiassoso equilibristaanello di linee incurvate

e va con rísonanze a mescolare filigrane indorate e ricciutí capelli di grigia splendidezza . Non compro le camicie del mondo per te, Vera!Amo il pugno d'arancia sugli occhiali in frammenti e ripetizioni piacevoli sessualitá intimitá dolcemente violatee labbra tumíde e umide. Tí vestí di lana come il vento d'Africa corri gíú dalle scale e imbratti l’aria di gesti spazzi di grida spolverí lastricate corporietá; affastellati ciuffi di morbidezza i tuoi senicapelli si spingono nell’umbratile calore del mio corpo .Trasmetti fiocchi d'argento vivo al mío tremare. Puntini righe lucentezza verde collo: le cose che seiNon piú nel vano scossone funambolare dell' esistere puntato sulla terra disseminata.

L’INTELLETTUALE MERIDIONALE

E' del tutto inutile la pace ferma. Slargare í vuoti per il nuovo e gli spazi respiranti la diversitá.Un solo rimorso per tutta una vita:una medietá affogata nell’incuria senza miti.I fantasmi sono queste ombre vagomoventisi fra terre di conquiste e servi della gleba. Noi risvolti migliori di sofferenze cristiane noi ancora di nessuna utilitá pratica noi acconsentiamo al passato semplici tributari d’irreali consistenze.

TESTO N.1

Stenosi acrilica

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con supplemento rapidodisintegrazione incentivata sui mari del Sudpendula fantasia ripercussíone omotetica

suono incandescente sublime imperizia burocratica sostanziale imbecillitácostituzionale e opposto amplesso amoroso discorde:ha frasi chiare per íl popolo il demagogo seraficovolano, gli alberi plantipedi eresia logica il verbocontorsione ha affogato il cuore nella terra,un millepiedi braccato. ( 1974)

NUOVA EDILIZIA

Abbiamo sventrato montagne insanguinate dal passato, per erigere una cittá sul borgo. Fascio di luce che inchiarisce il cemento giallo vivo del pioppo in rigenerazione. Non sono piú nulla i monasterí riavvolti nella nebbia sulla collina. Il resto è movimento, anche la foglia é ancora piú in lá in quest'alba d'edificazione quando dimentico i silenzi negli uomini e m' afferro solo al futuro.

TESTO N. 2 (Aspettando le volpi)

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Le ombre tremolanti non tornano sui passiné la volpe rintraccia la rossa compagnain quest' alba d' attesa con le parolestrozzate nella gola chiara d' echi.Sembra cosí gracile questa terra,cosí eterna!La speranza non ha bucadove nascondere il suo capoe negli anfratti si rimuginano discorsi.Gli ulivi hanno il tenue spessore dei raggitrattenuti nella foschia.Altre volte ho desiderato scomparireessere piú rigida consistenzanon essere mai nato,

ora ho, voglia di gridarein questa valle impietosamentela vita compressa e la mia

ancora selvaggia d'immediatezze.E rovesciare il futuro dalle rupi

a rotoloni e salti fino al fiume.Non é piú possibile restare alticome nubi appisolate fra le stellené fermare il cuore che va oltrerincorrendo la luce nella neve.Ma come ci sará possibile superarel’angoscia ferma d’un eterno pomeriggioalla ricerca d' un senso in un tressetteriflesso in un rossore che ci strugge le reni.E andarsene con un peso alla ricercadi quanto non scoveró in nessun nuovo ordine per noi.Illusione il credere sfasata la nascitao il disprezzarsi dentro,vana è la lotta col cuore in paceal verde gocciolare della neveche ci compatta al suolo.

LA LETTERA DEL POETA

No certo, Pascoli, qui nessuna nova progenies coelo demittetur alto. In sostanza siamo tutti erbette appetibili Chi piú come te pianto crucciato e no chi no,

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ridente nei chiari mattini. Tu professore al diminuitivo animuccia uccia e noi disincantati agitatori del presente abbiamo acquistatouna vigile conservazione perché tutto con sentimento cambi rimanendo latino.

NAPOLI

Quando la cittá é assopita solare nei divani delle piazze la donna che non si offre nel vicolo alla facile erezione é il peggiore nemico dell'uomo. Scavati volti, ossa lavate nella danza incomprimibile movimento la vita dissociata dimensione del soggetto, l’io insomma, si sbraca per nulla fra una bretella cadente e un riso dilaniato. La città miracolistica si rotola nuda atteggiandosi a puttana nel suo buio estivo, un pater ave e gloria e che il giallo ci eviti piú accorate rappresentazioni.

PER PABLO NERUDA

Non finisce l’eco del tuo nome nella piazzaMastai danzato in iminagini daí compagni.Sono floriti i muri in autunnoed ha il colore del sangue sparso il ribesche m'accompagna nei mattini solitari.Il tuo volto sereno s' é ripresa la terralarga, fanghiglia raffrenata dopo spaziosi movimenti.Qui dove il tempo affoga le coscienzeritrovo nei tuoi versi mediterranei veritá di sogno umana

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vergogna per il potere bestiale.Ora che il sangue versato traccia un solco per l'Atlanticosei la coscienza desta in gloriose sconfittee sei la storia che smuove con violenzale viscere del mostro agonizzante,sei la bandiera del futuro nei campi dell'immaginazionee l’attesa in armi nei pomeriggi spossati dalla calura.

IL CONTADINO SOGNANTE

ad Antonío mio nonno

La morte, stanca pianta, ti ravvolse.Le pene del tuo cuore,settant' anni di storia,si spostarono altrove.La vita che ti diedero da vivere vivesti,privazioni e sudore sotto il sole(ventoso l'Agri ci risegna ancora),ombra ora in un mondo ombrache ti trattiene vuoto.Sei affettuosa figura venuta menosí stranamente nella nostra vita insieme,nostalgia dei moti del tuo volto sereno.Interrogheremo il passato per andare avanti:il tuo silenzio è fermo nel chiarore del marmoantico che ti concilia il sonno.

L’albanella( Quadri in morte di Giorgio Cesarano, poeta )

Non é piú niente il furore, non un buco è il sole nell'azzurro ed anche l'aria m' acceca.

Hai le ali alte sul ponte. A precipizio sorvoli l’occhio del burrone; sei l’amante del falco nello spazio e contorta rigiri il monte e la vallata gaia al tuo passaggío.

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Fresche mele penzolanonel dolore vasto della campagna

con profumo di vita imbrigliata.

E tanti di loro, porci di Gadara unidimensionali fortezza scalcinatadeviata dalla storia morti di relitti soffocanti.

MIA MADRE

L’ombra che spartiscela strada dove cammíno

porta la mia vita negli spazidella sera, evocatrice d' incubi.

Passioni non spenteravvoltc nell’umida nebbia.

E attendo l’infanzia che vivròe non saprò di viverla. ( 1974 )

SCOMPOSIZIONI

Ho ritmato il pomeriggio con ridondanze musicali. Com'è buffo, credere ancora in un volto. La tua serenità non è critica come il mio pessimismo. Apprendere nello sconforto che tutto il respiro va bene. Il corpo mi piace al buio. Non so chiederti di non pentirmi. Alla stazione il tuo, volto solo mi é amico. Rossoneri silenzi artraversati da passi veloci. Non sará possibile garantire l’eternitá per tutti. I circuiti della follia collettiva non sono i miei. Non sono ancora una semiretta sbarrata e soffro. Ho desiderato per notti stellate una magrezza in gonna lunga.O fare l’amore con la madre sartriana di Baudelaire. Si svilirebbe il poeta, illanguidendosi nell’odio. E amare quell’odio come essenza di creatività. La follia degli altri non mi rende migliore.

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ANCORA SU DI UNA ROMA

Militare indecente non inseguivo umidisegni in kilometriche tappené l’erotale corpo, si dava treguain silenzi tristemente afosi di terra.Pietralata, volto infernale della nudità,carte svolazzate dal vento che non copronoi vuoti indesiderati della devianza ormonica.Il pulmann era l’aria infetta d'ingermogliatesempreverdi, il fascio di luce grigia monotonia.Ho negli occhi il freddo Neruda acclamatoin Mastai strisciata dal languore del fiumené il viale mette ancora ordine alle coscienze sgualcite. ( 1973)

A VITO RIVIELLO

Avevi la presunzione sinisgallianapallida e nervosad' essere nato male in un anfrattod' uomini vuoti e irreggimentati.Ricordo la forza nell’incrinare, la codardiadi chi se ne partiva per le citta' mitiche dei raccontiE tu pure partisti con la bocca fumata.Nicaggio Vate Vito Nicastro Formaggio.Per ore amavo la tua bocca imprecante!Ora vi ho scoperto i vermi del tempoe i segni del nulla che svuota la carne in silenzio. ( 1975)

A DARIO BELLEZZA

Vendevo agli angoli poesie e noi stessi. La tua presenza ricercavo in due piazzee nelle fresche latterie e pulite con marmi da macellerie. Loro, tutte pallidule e blateranti,

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nevrotiche e lo sconosciuto,amato fino a stremare il corpo. La verità e il. tutto, nell'uomo che non si conosce. Pulite gestualitá anali e rimproverí di precarietá: una madre, si sa, dà sempre fastidio, un poeta un po' meno se si lascia smembrare piano e sbuccia sull’impossibile ideale dell’ermafrodità. La tua inappartenenza non è una difficoltàper incontrarsi, anzi, le tue angosce persecutorie mi trovano connivente. Haí mai sognato un bacio grande sul cuore frastagliato ad un cadavere fresco d' eroticitá dadaista? Ecco! Vuoi che ti baci crepando? ( 1973)

CLAUDIA CON LE FEMMINISTE ALL’INSTABILE.

Giornate di lotta al vento delle gonne col rosso e l’oro dei capellí impagliati l’incerto instabile teatro di rottami carmelbeniani agcovacciati fra borsette maschili e frigiditá di donne anch'esse rigide e chi fragilmente vitree. Monasterialí sedie progressiste nello spaziato nero e vita sessuale scalcinata con elettricità lignea. Santa liberalizzazione ampiamente castrata, Stalin accusato d’iminaginificí revisionismi biologicí e il tuo dire, Claudia, anche con gli occhi e piú appassionato riportare in vita schegge d'un anticlericalismo contraccettivante la vita.

CARLA

I

Ricominciare. Ogni volta.Disamorarsi per rincorrere un corpo:lo svilimento del tempo e l’incapacitá d'amare.E il desiderio con se stessí e gli altri

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di smetterla così lontani gli altried io a me stesso.Rotture di continuitá confusionarie ed accaldate, strisce di fumo sui polmoni come vetrate autunnalie ventate di doloreper le ossa svilite dalla carne.Occhi velati come seni e sigaretteaccorciate.Gli stagni riportano le nostre immagini sfuocanti.La polvere dei secoli non basta a coprire il mio esistere.

II

Non voglio dar retta alla ragíone che tenebra ti impone riservatezza . Lo squallore della negazione, l’eccezioni dietetiche e ghiandolari e il tuo eloquio ripetitivo e monotono, un ciuffo di capelli senza freno al vento. Le tue pietrificazíoni pallidule non scoprono nervi e la pelle medusea non ha pulsare di vita. Cerebrali crudeltá ammorbidiscono la mia morte e concrezioni di tempo vuoto ne preannunziano il silenzioDefinire l’ombra sacra del tuo sesso e spalmare piacere: ecco la carezzevole sospensione infuocata e non altro che il tuo fantasma inseguire nelle labbra piú rosse e ancora esalare leggeri spasimi di dubbiosa liberazione. ( 1975)

POMIGLIANO D'ARCO

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Devastata essudazione alla cicala notturna con merlettati rumori ai luminosi binari. Non compàre la madredonna ai ghignanti sorrisi e il tuo sociale razionalizza speranze, scivola su capitombole funambolari friabili. Naturella naturella che rottura di budella! Il binario ha scoperto le sue vene varicose col pudore ubriaco della nudità sconcertata. Stasera non ho odio che basti ad amicarmi uno uno solo di questi attorno superficiali e no impresenze aggrappolate al treno della miseria.

AD UNA COMPAGNA

Le enunciazioni epiglottidiche del tuo socialismo legano processi d'eresia a tormentati isolamenti; compagna del nuovo, divisioni di tessuti scozzesi a vagabondati spartineve ubriachi ed impagliati. Come non ricordare, ricordo, le grida a punti rossi e dilavati crani macerati nel camposantico egoismo. Enea sopportava l’urina paterna gocciolante e i portali s' accasciano sufla prospettíva imbiancantecotanto orgoglio, sí aveva d' affossare il passato. A destra ed a sinistra ti giochi la vita, la tua maledetta presenza che mi pesa sempre. (1974)

L'ALFANEBETISMO

L'Aleph appeso al muro scrostato non ritempra cervelli giocati fuori quando oltre le fitte nuvole è in attesa la trepida primavera, genuflessa. Tu dici diversamente a me diverso diverse cose di cui cotanto ragionammo insieme come si parlavano. I verdi libri degli sport preferiti e i miei moravia mondiali spazianti come d’erboree cosce silenzi dei campi non attrezzati che arotture precipitose.1 versi liberi delle cuorate canzoni-nette all’inguine tiravano il mio intervento

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statualmente vuoto sempre terroso nero acquitrinoso plastificato panzarottato fra anticristici esorcismi e sicurezze di materiale elettrico coperto da parati e ancora fragoletta invinata ed ulive malaticce con fiori d' occhiali cartaceidisegnate pubblicitá librerie nelle troppo aribili bacheche ed io Antonia questurataper incitamento a prostituire budella fra palazzine sbiancanti d'officina pluricoloranti le nostre lavate coscienze. Educazione alla raccolta di cartoni o svendita di mobili con film mitici alle violee pasti di bicchieri incantanti carrucole a palline leggere dove strappiamo manifestidi fognanti storicità con panni al vento.A quindici anni, dopo un po' di manicomio,un bell'aborto per pluralistici padri come piselli o funghi di muro svolazzanti.Da me da soli i peggiori le immaginifichestorie di verità piramidali con carnalità di plausibile allegrezza raccontate mea me stesso nel mio tempo di crisidove non realizzo sogni ma scontocon dolore la colpa del compromesso. ( 1975 )

LAMENTO PER CARLO LEVI

Il suicidio, e non la morte, è già avvenuto?Contro noi stessi e cessare di riconoscersi puttanesca, presentazione in resa interessante agli altri.Dormi, padre mio, dormi e riposa,letto di menta e cuscino di rosa.Ad Aliano in sottana traslucida.Le notti d' angoscia - che frani il tuo tumulo, Carlo? -,le notturne danze mutuate dal tempo della chiesaed il rifiuto ora di noi stessi a noi nel caosscontiamo adagiati nel flusso dell' onde che ci spezzanosintetiche sincroniche l’ali bluastre e il fresco della bara.La tua bonarietá non è stata una diga al terrore,un antidoto magico, a pozioni narcotizzanti subliminari e loro sí sublimi favole

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spazianti nelle strade incementate.Ora te ne devi andare, fratello, togliendo la nevedalla nostra strada con la fatica delle mani.Hai pregato che questo finísca, che piú non olio si versi vischiosonella ruggine pallida e che possa ritornare tranquillala luna a scoprire il seno alla Rabata mora.Sei stato il destino toccatoci in sorte pellegrinae il fascino sfasciato dalla polvere intatta delle madie,frantumate nelle strade del silenzio brullo dei burroni.Ma il tempo muta il sigaro arcaico e l'immobile varia svariatoe niente resta uguale se non l’incertezza della storia.La tua passione totale ha fecondato un muro di pietra, col rovescio della pelle sarà tutto o sarà niente il lenzuolocontadino steso nell’aria agitata della nuova malinconia. (1975)

L’ACQUA, CARA MEMORIA

Il fresco della bara d'Aliano guarda Levi Avviandolo, con teneri baci nella livida chioma, ad un aldilà protetto come le serpi l’anima dei morti. L'acqua, cara memoria, riporta incontrollata

oggetti maniacali del diabolus simia Deistrappando il disprezzo ai buoni costumi,le virtú viziate indispensabili alla noía dei morti. L'acqua, cara memoria, riporta incontrollata

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la violenza ecclesiale che deforma il superío difendendo il fare della notte e il vino, cibi delicati e rotolarsi nelle vanitá sessuali dei morti. L' acqua, cara memoria, riporta incontrollata

le relazioni irrilevanti della scrittura reificataoccorrendo nuovi linguaggi per emergenti bisognied una chiarificazione -vivalascienza –con un tantino di lurida sorcellerie surnaturale.Si pénetra in osceni colori accecanti.

(1976)

MORITOIO MARGINALE

NOTTURNO

1

Treni,in fuga

non esentano il gallo monotonoverticale stridore da remote cavitá,risalire d'una barbarie con il cuore carponitrafitto dal freddo pungente, le redini strette al linguaggio. Scavo nel nullail ritmarsi del ventopieno fra gli abeti - la nafta non mi dà pace -chiaro il ricordo della luna.

con il cuore carponi

- Scoppieranno le parole mine sul sentiero inespresso al buio? -- Chiederanno oboli dalla storia versi versati come pioggia sull' arido? -

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II Notte insonnedi delirio alle stelle

incontaminata oscuritá di marzo errante ad ogni logica ferrea del tempo

quotidiano medio

senza spessoreaperto al nulla vuoto del pensieroupupa rantolante nell’inferma cavitá spaziale ricerca husserliana delle radicí di SE' stordimento de¡ bocciòliriavvolti in sottili intendimenti

scardinate essenze delle coseportate al macero della r a g i o n e rícciolo mitteleuropéo di pendolari incapacitá

IV In putrefazione ginestre sui calanchi

In putrefazione ginestre su¡ calanchisocietá mitica magáre recitanti occhiazzurri ubriaca speranza magnolía scoscesa clisturbazionevocal¡ gialle linfogranuloma semedolcefilm vomitato timore tumoraletriangolo screziato sessuale addomesticato

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tenebroso mio andare rottura geloorditura fenditura blessura golaricettizia laicále péndula filigranatafigura rupestre angiporto lucebattona sassi appisolati rovi concrezioni putrefazione ín fiore sui calanchi ginestre

QUOTIDIANO NONSENSE

Cartulari blastule al chiaro di lunazecchínetta o libro di Thoth scopa raminoalla resurrezione dell’uccello paníco fremitononsense inquietante carrozza o portantina.Pastore cluniacense d'Anglona dionisiaca follesospensione esorcismo feconditá Carnevale mitovolto bipartito campanacci inferi cuccagna metafisicaPantomime sregolamento casuale esoterico buioconfessore convocato castello con capra e círcoliCrocco Ninco Nenco e l’algebra di Boole distributiva.

V LE LETTERE PERSIANE UNA BOUTADE DICEVI

Le lettere persiane una boutade dicevi

Montesquieu esotico eroticocoloniale specializzato veridico indegno altro

Venívano exibite riletture indigene il ramod' oro selvaggio, surrealista probo

galaxy stampato elogio dell'alienazione

L'ideología il vissuto umanopattern. sofistico immaginario figlio

defraudava Pound con una curva mondana

Caccia di teste Mississippì l'Agri ulivimembri conosciuti enfiati ipotizzati

oi barbaroi fantasmi impagliati cattivi infidi noi

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VI NIPOTINO DI ROUSSEAU

Nipotino di Rousseau odio i Grandi odio il loro statoGhiglíottine in liberta latte in polvere tendopoliAliano che vien giú sull.' argilla mio tramontoVitamine partigíane maldestri democristiani amigdalaPadri corpi abili scarti sottosviluppate dilatazioniLibro Cuore al meeting sulla logica de Il capitalePoeta fin de siécle minor mascella scorciatoie differenzeFuturo della realtá fedeltá alla ragione sítuazionaleTragico barocco putrefazione rococò archibugi segnaliDeprivazione stomaco affascinante bocciato ripetenteVizio stortura non parlavano di ciò che sarebbeMa di ció che sarebbe potuto accadere al lettoreBlasfemo onus probandi marchingegni sadianiRifare in 15 punti l’apologo dell'antropologoE il processo varierá grattando evitando grane

VII GLI IPPOCASTANI ADORNANO CON PASSERI

Gli ippocastani adornano con passeri le vie dei paesi del Nulla calato sulla lotta, nostalgía castelli dirupati chiócciole d'oro, addentefiato mitedissolvimento glaucomico potere bianco.

Di tutti i luoghi per nascere l’alba questo brancolando elesse rosa d' amoreEsenín buio punzonato contadino perché dell' umana compostezza non rimanesseche il vuoto a figliare la pauta dell’essere.

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VIII OH GALLO SPERANZOSO

Oh gallo speranzoso

stregàtogallo delle mie certezzeche canti l’alba al poeta addormentato,

topi della notte i timoriombre

svaniscono alla tua pallida gola.

Oh la felicità della mia donnanascosta musa marmellata melmosa,

all' abbeveratoio,quercia immensa clarità,il violino della malinconía morto, riposa.

1

IX PARCO CULTORE D’ INFREQUENTI LUOGHI IL POETA

Parco cultore d’infrequenti luoghi il poeta mi incontrerete -disse - in una brocca circoncisole foglie vanno alla deriva memoria di sé untuosal’ essere sociale le dame omosessuali e i cavalieri canteròdollaro borghese piccolo esilio mansueto corvi corda l'amore del padrone la figlia vergine alienazioneimbianchini schizoidi ruzzolano nell'aiuola dell'Essere cibernetica asettica contadino ubriaco vita sprecata se almeno il tuo corpo fremesse incantato putibondo, monastero sadiano badessa taciturna postribolare l’ anima si fascia del Nulla per materia e veste nero la gotta il. gozzo i romanzi immaginabili l’epifaníevi scriverò - disse - dal reggicalze del piacere sintatticoi cromosomi danzano l'ore gotiche i fagioli esplodono

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occhi falli per labbra blu al Guadalquivir delle stelle

FUORIBATTITO

1

Uomini senza voce e voltipiccole piccole piattole.

Covo di fiere.

Smemoramento

attaccato ai démoni della cittá. L'orribile suono dell’ermafrodito.

Anche Scotellaro monachicchio rosso serpeggiava onirico con talismano e budella. Silenzio di tamburi e lampi di cicale intontite dal discorso provocatorio le serate smemorateplastiche con spettri e presàgi.

2 nietzsche primiero l’ indice rivolto

al cavallo bruciavaermetiche malinconie indicava androginie

visive ODO/ROSE

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trasmutanti la vitaautomatismi deliziosi nights degli strappi

LOCUS SOLUS

Celibe essenzialmente sedentario ovale

il

feudatario descriveva isabella con analogici limoni

3

zio giovanni contadino monarchico prima democristiano poibestemmiava: croce di guerra! croce di savoia!Si curava con menta, camomilla di campo et erbe.Coppola e gilé falce contro l’ orizzonte scaccia i mostrida verde distanza. Masseria di Campo di Lupo già di nobilfamiglia ora deí suoi figli intatti trattore chiúsa quercetagliar legna se sia meglio trasferirsi in città discute.Il posticino alla Regione bidello o che so io a guardarmosche aprir porte salutare senza fatica di domenica inauto ritornare qui curarsi la vigna ma senza preoccupazionidi grandine sole animali…Tossisce ubriaco la sera senza sciarpa a fiori nei barfumosi del centro moquette sigaro Anice cassiera esilarante(ma forse)

4

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cornacchie con campi e spilli di sicurezzaper mantenere l’inferno polmonare. Sant'Arcangelo.Cardínale sguaiato con paure surrealifondotinta maculato gocce sonore diametralmente recisocontadini al chinino defaticanti spompatifrane enormi vergine lunare giunglamorfologico

schiantodell' essere

5

nel paese carrozzoni cigolano la fiaba androgina prostituta da circo chimera indiavolata saltimbanca del sessomorbida rosea sparute speranze sdolcinate sbavature succoseleonesse teneri clowns

SALOME'

orridi padri leziosí occhiazzurri venustà soffice appuntiti capezzoli di capra uranica alacremente divoratrice assorbì pallida mercanteggiòstrofina selvagge calze prospettiche reticolate scheletroromboidale leccante ruffiani con Fiat affari giarrettiererotoli curiosi scialli osservanti anche la storia qui risciacqua in Arno il. mattatoio degli affanni

6

Scivolò l’occhio fuori in officina svizzera con sangue.carmelo emigrato rientrato con pensione in franchiaccasato con figli e trattore per coltivare lungo l'Agri anche conigli erbosi, Lago di Losanna Wagner Nietzsche: per te solo incubo l’occhio

barconi treno al ghiaccio cavalcata Besançon…

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Amante la moglie affascinante i carnai notturni lui cacciatore- di frodo - con occhío finissimo umorismo peregrino mentaDioniso la strega in montagna...Fu indirizzato e spedíto al posto sícuro: bidello a scuola -far legna al preside - tempestare allievi scaldarsi altermosifone si fa per dire salsiccia e vino d' inverno fino aldiapason: infartino líneare configurazione articolata barariposo con lapide: padre affettuoso…

7

Antonio stagnáro andava rientravacanonico distacco meridionale.

Grazia sul basso corso del fiume.Temeva la pallida luna

saltava danzava ébbro

udiva l’eco del napalm

dallo scardinato Viet-Nam.

Sognava turismo comprò le docce per i contadini

fallí sotto la pallida luna salItava danzava ebbro.Riemigrò ritornò discorsi gnomici slegati

fitti alcools amati riandava rientrava licenziato.Le labbra fumate scarni balbettii gesticolati

ritornava centomila da partebuone per due mesi

fiumi di birra

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malvivente

rivendicava il possesso arduo della vita. Ora é un anno chegalleggiava baffuto nell'Agri fresco serpente altero ...

CANTINA

Trepido cantuccio della disperazione la botte annerita e i ragnisfaldano cemento, imputridisce l’acqua a rigagnoli forati fra ruvide pietre scure.

Nel forno paterno oggetti confusi riavvolti sogni di polvere chiodi piedi di letto manubrio di bici cernécchio cazzuola dove passo un' ora di fresco far nulla.

Senza in niente sperare, un topo affogato riporta la poverà, mancanza quotidiana le catene per il ghiaccio due Pirelli al muro sospese all’odore del vino píú scuro del buio.

Tu non presenzi ai riti della vita ebbra parli civiltà cittadine che angosciano le notti rumori scontrosi qui attutiti dal nulla bacchico d' un esistere senza speranze puro disinteressato.

TESTI PAESANI

Abriola anzi capaccio carpaccio colobràro

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Brienza grumento lagonegro lauria salaAccettura lagopesole potenza montemurroValsinni villa d'Agri moliterno marsiconuovoTursi paterno metaponto ionica

Quácquácquá Quácquácquá restoppiedietro le spalle ci sono le palle, (nel fucile) radeinosservate quaglie insanguinanti incancrenite

vofi coerciti

Pitagora Crotone centroindustriale italsidér conversazione proustíananon iuvant repetita ma le pepite ma le pepite

(cantavano)

S Sinisgalli Scotellarosostituzioni horror vacui occupazione di terreipersideree politiche imprevedibili bramosìedietro, non c’ é non c'é l’incantola favola bella che ieri ti illuseche oggi non so sciorina limonibudella lapilli rampolli

Tam tam. intrugliotout court non il Kurt moraviano, ma il cortocotto tacchino ricucito e farcitogiunto ormai per treno diretto tradotta del sognoangolo imbriglíato spasmo,

Nietzsche nietzsche, vecchio gelo! Se tremano le foglie i fichistecchiti accattonati

umidei latteila navigazione a Siris malarica giallodeforme

L’ideale l’ideale l’ideale fottitura femminail positivismo anale arcuato re

nudo povero ormai carico di affanní urogenitalimucca sacra fungo

Marsico Marsico

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l’universo in espansione addosso bozzolo chiuso! L' usuraio comunista sventolava il martello scuro

diceva di non poter rompere il muroma il flume levigava le pietre come suoleil fanciullo aveva in odio le scuole

scotimento secondo Proserpina

IL VESCOVO BERTAZZONIDOPO UNA VISITA PASTORALE A MARSICO

Ho visto il mulattiere chinarsi ai trivi.

Dall' anfratto scosceso nascere la Vergine nera.Non tutti gli occhi sono per vedere cose. Tacerò del resto di cui non si può parlare.

Ma lui disse: « Paese di píssidi vuote! ».

X SE GIOVANE ANCORA IN QUESTO MORITOIO

Se giovane ancora in questo moritoiomarginale venissi ad essere

inghiottito

di menon altro si dica che la favola variache un popolo di contadini racconta

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nel chiuso d' un andronele sere

deí lunghi inverni nevosi con vento sfibrantePOETA CON FILOSOFIA RAMONALE

INCANTO' LA STORIA.SMUOVENDO MAGICHE CARTE

VIVE NELLE PAROLE

di medunque così poco e già tanto resteràche il linguaggio confuso d'un bambino

fra il monotono grido della cicala reciteràil mio nome contando di sera

le stelle.

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INDICE

5 Giancarlo Mazzacurati, Presentazione

7 I Calembours gogoliani. La nevrosi 7 II Oh I'Ortis é un lagiolo Matinowski lata russa 8 III a) Verde sviolinato silenzio urbano

b) a Parigi grigio metrb musica venefica zia incípriata9 Le parole10 Notturno12 IV In putrelazione ginestre su¡ calanchi13 Quotidiano nonsense14 V Le lettere persiane una boutade dicevi15 VI Nipotino di Rousseau odio i Grandi odio il loro stato16 VII Gli ippocastani adornano con passeri17 VIII Oh gallo speranzoso,18 IX Parco cultore d'ínfrequenti luoghi il poeta19 FUORIBATTITO19 1 piccole piccole piattole20 2 nietzsche primiero21 3 zio Giovanni contadino monarchico prima democristiano poi22 4 cornacchie con campi e spilli di sicurezza23 5 nel paese carrozzoni cigolano la fiaba androgina24 6 Scivoib Pocchio, tuori in officina svizzera con sangue.25 7 Antonio Stagnaro26 Cantina27 Testí paesani29 Il vescavo Bertazzoní dopo una visita pastorale a Marsico.30 X Se giovane ancora in questo moritoio31 Indice

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MORITOIO MARGINALE

I Calembours gogoliani.La nevrosiII Oh l’Ortis è un fagiolo Malinowskj fata russaIII a) Verde sviolinato silenzio urbano b) a Parigi grigio metò musica venefica zia incipriataLe paroleNotturnoIV In putrefazione ginestre sui calanchiQuotidiano nonsenseV Le lettere persiane una boutade diceviVI Nipotino di Rousseau odio i Grandi odio il loro statoVII Gli ippocastani adornano con passeriVIII Oh gallo speranzosoIX Parco cultore d’infrequenti luoghi il poetaX Se giovane ancora in questo moritoio

I

Calembours gogoliani .La nevrosiè il bene del procedimento trasmentaleanche se innocente non sono. Perché nasconderseli? I gattiaddormentati atteggiamentida cornice dorata. Copricapo del nonno notturnoLa notte non passa più penetrazione dell’essere.

II

Oh l’Ortis è un fagiolo Malinowskj fata russarimano fra loro con risparmio

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Testa anguria acqua fungo pungo l’energia“ Ma non ha niente a che fare ?”disse il critico grattandosiUomini si lasciano guidare miti dalle parole straniate.

III

a)

Verde sviolinato silenzio urbanoalgebra ontologica eternofai il giro della stanza azzurraautomatizzazione dell’oggettoper gli annali su Tolstoj il manoscrittopassa la paura come se la vita non ci fosse mai stataper lo meno l’inappartenenzacome fantasmi punge d’innocenzala confusione della favola.

b)

A Parigi grigio metrò zia incipriatavenefica musica se frananoi paesi aquiloni frullati dal vento.Ma lo scambio alterato Metapontosabbia fina érebo gialloi corrieri orfici deliberanodi frustare il desideriodeterminarlo e potevano le sfingiincantare il medicoapoteosi del grottesco questa terra quiriceve conclusione fantasticacon Pound nel Mato Grosso.

LE PAROLE

I Mitiche

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evocanti simboli di lussuria giochi

gioia d’io deserticiombre gialle sul realesemoventi nella propria logica semantica surrealeorganizzazione cibernetica del mentalecol sangue costruiscono muri d’irrealtàcaos informano concrezioni di sognobalugini di stati inconsci spazi inermisegni architettonici vuoti d’esseremurmure sincopatoinfinita leggerezza del dolore evocato sorridente smorfiasenza appendici

IILa poesia panno ordinatos’aggiunge alla vita passa con significanti disualia comuni giorni in archiviabili.Dolce stil nuovo sui cadaveriDel fideismo impagliatoNon ho più critica nel cervello che per l’usuale.

NOTTURNO

I Treni in fuganon esentano il gallo monotonoverticale stridore da remote cavità,risalire d’una barbarie con il cuore carponitrafitto dal freddo pungente,le redini strette al linguaggio. Scavo nel nullail ritmarsi del ventopieno fra gli abeti - la nafta non mi dà pace –chiaro il ricordo della luna.

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- Scoppieranno le parole mine sul sentiero inespresso al buio? -- Chiederanno oboli dalla storia versi come pioggia sull’arido? –

II

Notte insonnedi delirio alle stelle incontaminata oscuritàdi marzo errantead ogni logica ferrea del tempo quotidiano medio senza spessoreaperto al nulla vuoto del pensieroùpupa rantolantenell’inferma cavità spaziale ricerca husserliana delle radici di Sé stordimento dei bocciòliriavvolti in sottili intendimenti scardinate essenze delle coseportate al macero della r a g i o n ericciolo mitteleuropeo di pendolari incapacità.

LA LUNA DELLA RAGIONE . SULLA POESIA

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di Antonio Lotierzo

Nostra unica guida, la ragione, nell’accezione illuministica e derivazione da J.Locke,ci porge aiuto e lumi nella storia che viviamo. Sappiamo che l’uomo è ancheinconscio e sentimento, emozioni e istintualità, forze che esprimiamo nel simbolo della“ luna “ . Corpo buio, la luna viene rischiarata, di riflesso , dalla ragione, chedall’altro emisfero rende chiara la notte, incantata come nella pittura romantica. Considero la poesia una formale ermeneutica della vita. Formale perchél’ordito costituisce la modalità con cui il poeta esegue l’ispirazione, lo stile chesostanzia la comunicazione , la tessitura di richiami fonici o di accenti attraversocui il poeta esprime la parola. Nel verso, libero o rimato, la parola poetica uniscevoce e vocazione a parlare, spezza il silenzio dell’Essere e restituisce un epifanicoritmo per l’esistenza. La poesia, espressiva coincidenza d’ opposti, è la risultanteordinata degli squilibri intellettivi ed affettivi di un parlante. Come riesca , avolte, in questa impresa il poeta stesso non sa a pieno ma, in questa inconsapevolescienza , si materializza la magia della poesia, quando rilucono i diamanti espressi.Ermeneutica del mondo umano, sottile interpretazione che una mente opera sugli aspettiriflessi, emozionali e relazionali in cui incorre, la poesia è l’esposizione di unmondo, reale o fantastico. Il lettore ( spesso, a non poco prezzo) può compiere unpercorso conoscitivo di quel mondo, che la poesia mantiene illuminato e fermo in unastruttura formale ( o può ignorarlo, a non poco prezzo) .Ermeneutica della vita è la poesia, perché il linguaggio espone, in questo suo piano,l’esperienza ma sottoponendola a filtri e deformazioni che costituiscono altrettanteespressioni di senso. Attraverso l’ermeneutica il poeta presenta la sua verità ( chenon è religiosa né giuridica) come processo di tensione nel linguaggio, ove, infatti,si compie e cucina la discordia fra illuminazione e nascondimento.Il linguaggio è la “porta della Luce”; evocando gli enti li fa comparire davanti alnostro sguardo. Il lettore si avvia alla comprensione meditando le figure dell’opera e,interpretando ,nei limiti concessi, allinea materiale per la comprensione, elimina iveli del nascondimento, si apre alla chiarezza della radura conquistata dopo la selva.La dialettica è la continua tensione fra un Dio nascosto e un Dio incarnato. Il poeta,componendo, ha assicurato la vita al suo mondo, ha rivelato la sua conoscenzadell’essere, un’agnizione parziale ma compiuta. Ogni poeta ha il suo linguaggio; in quellinguaggio si può ascoltare il suo mondo, la modalità del suo essere uomo.Il linguaggio poetico richiede lettura ed interpretazione. Noi leggiamo di continuo lepoesie che amiamo. Noi interpretiamo di nuovo ogni poesia, ricostruendo la forzacreativa e comunicativa che troviamo viva ed espressa, come cosa e figura, nelleproduzioni che riteniamo esemplari o significative e di cui sviluppiamo leimplicazioni culturali.La poesia appare come scon-volgimento, volgimento dentro noi stessi della realtà,epifanìa dei conflitti interiori che segnano la nostra crescita. Anche quando si apre atestimoniare i conflitti sociali o di classe , la poesia è percezione interiore diquelle dinamiche.Il trascrizionismo è l’interpretazione della poesia come registrazione del tempo eattribuzione di senso alle fasi della vita, che altrimenti rischierebbero di rimanereirrelate. Il poeta si può raffigurare in un funambolo che oscilla, con la lampada della

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ragione, fra delirio e memoria. Il delirio consiste nella mancata distinzione frapassato e presente, fra fantasia e corporeità, che Comporta una confusione fra tempotrascorso e tempo attuale.La memoria apre al futuro, rischiara la luce coatta che consiste nella sensazione chetutte le possibilità siano perdute, che l’intero mondo appaia una nera totalità ditenebre, riapre un senso nel labirinto del dolore e ci permette di proseguire il nostrocammino. La poesia è trascrizione formalizzata della dinamica interiore fra una menteche opera nel presente ma ha elaborato esperienze trascorse.

A.L. Napoli,10.12.99

MATERIA E ALTRI RICORDI( 1990 - 1993 )

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“ Eccovi un uomo

uniforme

eccovi una lastra

di deserto

dove il mondo

si specchia “ Giuseppe Ungaretti, Distacco, v.1-6.

ORIGINICaso il mondo, caso io stesso, vasoumido di chiarore disperato.

Mi aprii all’andare della terra:nel tempo vidi nascere le cosee nelle più oscure paludi fui tuffatoper risalire all’accecante luce.E provvisorio mi sconvolse il chiaroredella neve fresca di mezzogiorno,il candore al mondo dei mansueti,gli inverni tremulidove cova terribile un’ansia d’amore.Alle origini é la ricerca e l’altro.Vengo da solitudini corpose di terra,muschio sfiorato dall’onda marinae alghe al sole chiassoso dell’alba.Il mio corpo era figlio del vento pallido,mi attraversava con l’aria e mi spingeva

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al di sopra delle trasformazioni impensate,volavo uccello teso nell’aria.Leggera dolcezza solleva il mio corpoe mura contro i pensieri innalzosu per le montagne, all’ombelico riempire del profondo mondo.Amo quest’esistenza di bramosa terra.Come te, virtuale lettore.

COME UN FOTONELuce materiale é il mantello del mondoe tu, Soggetto, ci smarrisci nella ricercadei tuoi attributi nel tempo.Fortuna non bendata é la morte che vienee le sofferenze trasmigra orrida.Miracolo é la tua epifania,lusso di vita, come un fotone,campo e particelle,teologia che inseguo nel vento,polvere di silenzio arsa.

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L’ACCETTAZIONE DELLA FINITUDINEBramavano l’eternità perenne:

il darsi per sempre valido di certe idee.E’ radicato spavento per il nuovodel futuro spazio in movimentata creazione.

Pure ci piacerebbe l’unità:mistico sentire senza vento.Se non fosse per questa disintegrazione,angoscia acerba del finitoriconosciutosi nel profondo senza idealistici superamentima in sé bastevole: gioia del vivente pulsare,vitale autocompiutezza,intensa leggerezza.Non vedo quiete,àplosi possibile all’asceta:ho le mani lordate di sanguené é sopprimibile il mondo,un perdersi allucinatorionell’intuizione dotta, riavvolta in sé.

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L’UOMO COME TRAPASSOLa crisi della ragione attraversammoe, ignari, il suo periplo oscuro.Riappare la scala che scendo,ma Sisifo ricado dal culmine

e in alto riprendo voli inesauribili.Sola continui a stridere, rondine,nell’ infuocato tramonto ( ch’ é ogni vivere ) cumulo soffocato d’irte discariche.

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Né più l’aria plumbea libera il servo,l’interrogatorio procede fra sconosciutidove lo sguardo accomuna di pietànoi naufraghi, larve d’un viaggio sbarrato.

Violaceo sapere, il Tempo, particelladella materia, vorremmo in luce,se non fosse per queste onde fluttuantiche ci rimescolano, grani arsi alla battigia.

IL FUORI DI SE’Non la condizione mi pesadi pungenti giorni inesaustial vento dell’esistere.Inadeguata mancanza a noi stessi,espressione compressa,ce petit monde meurtrier: questi noi stessi, in sfacelo...Scarno vuoto radicato alle vene

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comprime il sangue ogni ora.Aureo feticcio,il restringersi dell’uomo:potere d’orizzontale pressione;reprimere anche i versie le leggere parole in libertà;questo gioco finito senza stabile inizio,alba rossa spenta nella nebbiaed un me stessoche con furore impreca.Caldo sepolcro,necessità d’abbattere le separazioni,vasi isolanti e comprimenti,d’una solare terrestrità.

REGIME

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Oh certo! sublime incantevole brezza -un lento irretirsi della coscienzanella quotidiana ovvietà del reale.Sbiadirsi d’anni e d’esistenzeal sole precario,nell’ignava parentesi dei giorni.

Dicono i conservatori,che é bello, dio Masoch,lasciarsi andare sicuricon memoria uterinagioiosamente nelle spiredei responsabili pensieri dell’autorità.

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ROSA AGOSTANA

La rosa agostana l’incantava.A noi appena alzati mio padrela mostrava a trofeo nelle manicrettose e la felice stanchezzache l’aria terrigna offre alla vita.

Senza rimproveri, la posavaalla residua foto,a fronte al candeliere,di Graziella e andava su a lavarsi,dove la luce apre labirinti di pellee dimentichi le domande senza risposta.

Vendetti quella terra. Un lembo di dolore,dispersi nei vorticiurbani quei trenta denari.Ancora la memoria offre gestinè una tregua viene,in un lampo, a dare acqua a quei solchi.

IL GELSO DELL’ANGELO

Sangue sulle pietre calde, il gelso nello stazzo ombroso le gridaascoltava e veloci dei giochi le vampe.

Salivano vocii acrinei pomeriggi del vicinatodalle madri su sedie impagliate,ordinato fiume dell’amicizia.

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In quel senso di parole consunte,nascosto, abitava l’Esseree mia madre cantava al soleoperosa lenzuola sbattendo.

Un angelo tenevano quelle foglie,agitato nello stormire e ascoso :mi sollevò quando caddi dal muro,sporgendo un martello nel vuoto.

Poi veniva luglio e riapparival’angelo broccato a guerriero d’argento,bianco fra i balconi avvicinatida corda unta stirata al ritodelle orazioni della festa del Carmine.

Alto e serio, oscillante,un fanciullo recitava sospesole lodi di Maria , con la coronanel vuoto trepidante dei voltisudati nella gioia del sacro che alitava lì, fra noi esultanti.

Non so se l’angelo torna al gelso.Altre fughe intrapresi e scacchi.Ma la luce tracima alla mentese riappare la ruota dei morti:a denti rossi, sorridonofra le sue larghe foglie, invitantipasseggeri d ‘un’ inviolata armonia.

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IL BUCO

Spire di serpente e agonia rissosa,la vita passa. Ci involve un Nulla.

Nel paterno salotto franaun buco alla base del balcone;ruggine corrode operosalì dove mi distendevo coi librial sole dei sognanti affetti.

Sferzanti monadi, focolaric’intendiamo guerra col riso.Palazzi occupano ignote generazioni,a ripercorrere basse le vite dei nonni.

Muta la scena e ritorna acqua cheta.Rotolano sugli stessi sassi riottosi.La geometria divina, con rigore ignoto, riscatta, inseminandola, la mia terra.

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MALESSERE

Il male delle cose in plumbee anseingorga le parole marcite.Malariche fioriscono le cantilenein luoghi catacombalial riposo dei santi ossificati.

E mi specchio con logore incapacità,meteorite spersa ai gridi delle sere.E siamosu questa morta fagliaove dialogo su carte d’antichi fasci.

Attendo che il mare mi ricopra,cura assordata, tenerainquietudine corporale.

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SINISGALLI A GRUMENTUM

E’ neve questa storia che crolla,scivolosa, sui vetri calda.

Agri lazzi - ripeteva rapido,allegria d’un Carnevale radioso.Era, invece, l’Agri di Sinisgalliche in polverose anse inseguivo,di Cartaginesi orgogliosi di spadelancinanti sulle verdi grumentine colline.

E fra i cippi un contadino citava Livioa pezzi e l’opera reticolataquanto il nostro vivere a rombiincastrati nel magnetismo del mondo.

E i Romani ? - incalzava, impudico.

Ho in odio i conquistatori e agli occhimi langue in palude malarica ogni boria.La terra si dona a chi la lavora.

Una piccola mela mi bastaa pulire l’amaro della bocca.

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PULCINELLA

Comici sberleffi, duri priapi e volpid’argute utopie e pianti sulla miseria.Neri sensi d’un solatìo lenzuolo!

Ma se alla memoria amori e danzesalgono, sai della rispostaesplosiva che mia madre,irata più che disperata,rovesciò sul sindaco mio padre:

“ Non sono una spara di Carnevale” ,misero straccio di Befanasospeso ai vicoliventosi del pietrisco vesuviano.

E quel di più, dimenticato a volte, é il sacro sommerso, polverosa clessidra, la laboriosità femminileche inchiara amorosa la storia.

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MARATEA

L’immensità riduce a falcele anse del tuo marearabo di pietre elise.L’acqua sa di fredda neve

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e nei mobili colori combatte soave l’arsura del sale.Non fosse per le alte cannel’antico maleficio non sapreidove, accecata serpe di tombe,marcisce Blanda con cupo fragore.Ma è speranza la tua saggezzaper noi distesi alla gaia sabbiané specola d’amore t’ardefra ignoti seni e labili presenze.

II

RESPONSORIALE

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“ Natura umana, or come,se frale in tutto e vile,se polve ed ombra sei, tant’ alto senti ? “

Giacomo Leopardi, Sopra il ritratto di una bella donna,v.50-53

ACQUAFREDDA

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All’ora che luccica l’onda e il calorela sabbia irrespirabile bruciaalla paglierina di canne troviamorifugio, l’arancio bazardove una caprese e un caffébastano a riparare la vitalità,riacciuffando per coda il tempocalante in nuove conversazionie spruzzi d’acqua con illuminazioni.

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.

ALBUM

Chi non sa scrivere, ti allettasornione con fotografie. Ne proponedecine, con lo sguardoda Trimalcione, in afasia piena.Annega il cuore nella gioiase riesci a tessere un discorsosu visi in dagherrotipi ingialliti.Concorda allora con te,il mercante, e s’accontentad’una illimite gloria di parole,fuochi d’artificio in una cupola rupestre.

( 1997)

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ACQUETTA TIRRENICA

Piove sulla spiaggia.(Bagnanti in comica corsa).Le nuvole scure rabbuiano d’afai goffi bambini, uccellettiavvitati negli scomposti lenzuolicolorati di morbida spugna.Saranno evitati altri incendi,l’ erbe cresceranno tra le macchiearide per polverosa calura.

LO SPECCHIO DELLA SPERANZA

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ad Antonio Bassolino

Qualche merlo saltella al roso parco,un avvoltoio s’abbevera a Coroglio,alta erba robusto ferro involvefra rapidi scotimenti di vita.Verminoso traffico bùca la cittàbassaiola e civile, scomposta e amara,labirinto di speranze e acri afrori,plumbea leggerezza di balenanti orrori.

Più d’una pioggia, che l’anfiteatrotufaceo lavi a mare, la coscienzarifranga il tuo operoso sudore.

E sacra di verità fecondi, luce gioiosa, al fanciulletto,che s’apre all’aula di sole.

(1994)

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PIAZZA CAVOUR

Al fragore di vite smosse,nel formicaio ebbro del traffico violento,l’ io debole inségue le fatiche del giorno,tentando di sopravvivere.

Gli interni, ufficio o casa, oscillanofragili a questa mareggiata della vita,con disegni precisi che l’ordine consolida,ancorando le persone all’ abitudini delle cose.

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LA METROPOLI PLEBEA

Si soffre il morso della plebe,ansia di assedio e tubinio di voci,richieste d’aiuto e laccio di furtiin frettolosa esecuzione.

Come nel gioco di carte spariscono soldie la pena si trasmuta in paura:costante incertezza napoletana e precarietàdi beni, risacca smossa di pietre alla battigia.

Nessun lavoro, non un ordine impone graziaai diavoli imprevedibili, di cui scorrela verminosa dilapidazione del destino.

Nel letto della ragione una lavaribollente macera tutto incendiaria.E soffocamento é il nostro passaggio.

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ILLUSIONI

Le speranze tarpano l’anima,l’animale insegue il visibile.Le proiezioni non mi sorreggonopiù, fantasmatico nientedi cui conservo il vuoto dorato.Alimenti del cuore, le illusionisi seggono sui ciottoli del fiumein cui galleggia la mia vitadispersa fra gorghi ed alghe.Il fringuello ansioso pigolafra i peperoni rossi e un’erbettanasconde la viscida rananel fangoso ingorgo dell’acqua.

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HIGH-TECH

I biologi pensano che , dopo il brodooriginario, cristalli siano trasmutatiin microbi, avendo informazionicomplete del sistema che diciamo vita.

Una materia che si organizza da sé,la crescita di un cristallo a strati,la mica che ripete i suoi messaggie tanti replicano la loro storia inconscia.

In altri mondi si sta formando la Vita?

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La mia dilatata coscienza fingemiliardi di germi e ride del senodi Lucia, evoluzione microbica.

LA BOUGANVILLEA VIOLETTA

La bouganvillea violetta, sposataai circoli degli insetti, slanciataverso l’alta luce in cui si fascia,ci conforta col ricordo degli anniin questa casetta estiva che vide

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crescere i desideri degli adolescenti,l’affacciarsi alle inquietudini della vita.

La cicala, scacciata con l’acqua più in là, riprende simileall’ingannevole ripetizione che aggiungepaura nel cuore per gli anni consunti.Saltella la vibratilefarfalla sulla bouganvillea violetta.

AMORI CON GUARDONE

Dove il paesaggio si fa più brullos’inerpica sentiero fra le fragoledei faggi, profumo delle capre irsute,osservanti ebeti i nostri amori.

Lì un vecchio specchiava immobilelo scorrere delle mani sul volto amatoe il biancore della carne inebriarsiquasi di vino e di nero disamore.

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Ai giovani ginestre irrorano i visipungenti sterpi minacciano i passipiù del dolore che incombe futuro

e urge nel petto un mare di mieleacceso sapore dei baci e tenerezzescontrose, irrorate a luce dal sangue. (1997)

RITRATTO DI RAGAZZA

Dirà pure una parola, non so;sculettando oscilla l’ombelico,tira i capelli in sù e ridesorniona al richiamo dell’ amiche.

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Odorosa speranza lùce agli occhipigri e sfuggenti, avidi e disarmatipiù dell’ aria che stinge i sensischiumosi di irrefrenabile vitalità.

E urla di colpo verso l’amica,in tensione di corsa, rondine di stradauna coda di profumo lascia nel vento

paga dell’abbraccio in cui si perdee più non tende verso ogni uomo,spegnendo i desideri in una rossa risata.

(sett.1997)

GIUBILEO

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Giùbili giocondi giù al giubilèogiuggiole aggiungono gigli,giubilanti giorni ginnicigià gitani agitanti grazie.

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AL DUOMO

Suonano campane nel vuoto...Nell’aria settembrina é s.Gennaro.Fòra l’udito l’atra motoretta,alla gola riarde lo smogper noi ombre che vagoliamosui marmi del sacrato a via Duomo.

Impalpabile l’usura una reteaggroviglia e suonanocampane nel vuoto.

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LA SOCIETA’ MULTIETNICA

Fra i crinali della faggeta fiorisplendono a decìne e la pianura verdeggiadi giochi ombrosi alla luce ridenteche meraviglie mostra in dolce fusione.

Nello splendore delle razze brillano idee,bisettrici di pensieri soffianoal vento ove il desiderio d’avere li spinge.La società caotica incrocia il pullulame

delle ansiose brame, fascio di rette smossenel campo magnetico ove scorrono bianchie negri al silenzioso flusso dei gialli.

Il sole benedice tanta pluralità,fermentando natura e uominicon la lucentezza del calore amicoe l’attraversar ci é dolce in questa vita.

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UN FASCIO DI NEUTRINI

I fisici raccontano del fascio di neutriniche, a nube spessa, ci attraversano,noi ignari del materiale fuocoche riscalderà l’implosione della Terra.Ci consola il tempo: fra decinedi miliardi anni. Congruo intervalloper rendere smemoriata la nostra durata.I poeti immaginano che un Paradisodi parole possa esistere in eternitàe il Verbo, infinita Verità,copra di senso la sabbia degli esseri.

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RESPONSORIALE

Dio di colpa, come un artigianomi lavori la mente coi tuoi divieti,accompagni di scrupoli le mie azioni,fermi la mente percossa dal maestrale,scavi un tunnel nei miei progetti.Misteriosa forza dell’invidia,la colpa rende timida la mia vita,trasporta, col ricatto dell’Eternità,col vento del dubbio, il mio lacero desiderio.Insonne sentimento di colpa, la vitavendemmi con pungenti api, l’ansiasoffocante accresci coi suoi lacciuòli,ràdi a spiaggia inerte la formica dell’Essere.

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LA COMPRENSIONE

Essere l’io e il Tutto,unione di materia e deitàmi penso in uno slancio onnipotente.

Delirio d’armonia,sposare il deserto ai ghiacciaie far correre l’immobilitàtrasportando la mia presenzafecondatrice in ogni dove serena.

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E’ questo mare la comprensione?

LE CICALE DI CASTROCUCCO

Dietro i canneti, che cavalli altériaprono coi ferrati zoccoli, appareil monticello di sabbia che nasconde il mare.

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Fra un coro di cicale, percorriamoil pigro spazio fra torrente e insenaturaa falce, sgretolata di fichidindiae gialle ginestre fra grige pietre instabili.

Provi il freddo del mare in superficiee t’immergi verso un più tiepido maree ti risveglia una simile acquaalla vita, che ognora sai carica di pena.

Quando il sole picchia a bruciare la luceuna baracca elettrizzata fornisce ombrae scarno cibo ai miei, beoni delle vacanze.Di rado all’orizzonte un uccello galleggia bianco o rompe l’onda bluastra un motoscafo sperso.Si resta al sole calante fra parole lievi( rovelli di speranze o sogni inesaudibili? )a raffreddare la sabbia grigia mentre scolail giorno un altro spicchio di eternità.

(luglio 1998)

L’INDESIDERATO

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per Mario Lotierzo De Benedetti

Due ore di vita, in un’incubatrice.Mio figlio malformato, senza un artoe il cuore che non può battere.

Nella gravidanza sopportò le lotte aspredei sessi ansiosi e gli inutili alterchi.In quell’attesa si consumò il suo esserci.Perchè restare in vita quando puoiadeguarti a cenere al più presto ?

Un anno dopo, dalla fossa, riesumaila scodellina del cranio consuntoe rinviato al nulla che mi appartienee scioglie ora di neve la mia mente.

PASSEGGIANDO A SALA

L’adolescenza sfiora carraie di polvere.L’ascesa al s.Michele fra rovi e ginestreal tiepido sole di maggio solitaria.Sfugge al commercio della Sala ribollente,

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al passeggio ostile fra folla indifferente.Era l’aria allora apertasulle coste della valledegli ulivi e i camminamentitortuosi col fruscìo di lucertole giocosee fuggenti allodolefra roveti di more.Ad un fonte si fermava il passo liberoe nell’acqua le braccia al saporedi neve ritempravanospasimi con alte canzoni.Erezioni inseminavano ginestreove affaccendate contadinepassassero con occhisornioni di compiaciuta tolleranza.La solitudine premia il forestieroe nuovi spazi illumina fra ruderi e roveti lo studenteche vive di relazioni pure.

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CANE

Nel cane godeva la sua ricchezza,nelle festevoli mosseal rientro dal lavoro,negli scodinzolamenti freneticialle liete cacce, nel superboincedere per la passeggiata serale.

Mio padre sentiva nel cane danzantela serenità del Creatore, nelle sue pieghesvelte, nello slancio incosciente dietro le leprisornioni, nella punta fremente alla quagliafra gialle restoppie, nell’annusare le tanesguarnite delle volpi accorte e vigili.

E alla mamma che si querelava per pulizia, cibo e continueattenzioni, imprecavaper salvare una libertà dal mondoche nelle cacce sfuggiva ilare e svagato.

E pianse con mani lente nel peloquando lo ritrovò in un pianoroucciso da un morso al nasoche una vipera iniettò gonfia d’invidia.

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SCOLATOIO

Nel trentennio delle ricchezze gonfiatesi mossero i paesi verso le valli,cedendo energia nel rimescolatoio.

Drenaggio di torrenti calarono molticon empia emigrazionea cercare casa con parcheggionella rozza società d’una frale uguaglianza.

Il pianoro è lo scolatoio delle animemontane, morse dal vivere moderno,fiera di belletti senza memoria.

Il dolce vivere s’inarca sul presente.Non scuotete più l’albero del passato!Irriconoscibilenello specchio a se stessovola il cittadino nella rete dell’orizzonte.

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CARNEVALE

IMinuscole dita bussavano all’uscio:

Chi é? - - E’ il carnevale - e si esibivano nell’angusta cucina, alati spiritelliinfuocati alla questua.

IICon le pernacchie del cupe-cupe,fatti a vino,ignari del freddoche la neve a schima frustava,cercavano una cantina legnosadove aprire salsicce e contare fesserie a scordare artriti invernali.

IIIAiutandosi coi trattori, ruzzolanoin vestiti stracciati. L’oro della boccaaprono a sorriso le giovani illuse d’amoree nel ritornello delle danze intrecciatesi rimescolano soffocati odi, concrete invidie.

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PAURE RAZZISTE

Incrociando un negro, slanciato dandy,musico raffinato, elegante nei colori,al Museo sputò ai suoi fianchiun miserabile, con codino falso,ubriacone sadico e blaterante odionei confronti del riuscito straniero.La paura del presente genera invidia,solleva un fiume di fango sporco,carica l’uomo d’argillosa miseria.E la ricchezza meritata e pulitaattacca un fetido barbone, carcassache s’imputridisce nell’ozioe urla superiorità che non bastaun colore ad attribuire.

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UN CICILLO PER MADAMA

Una supponente altezzosa di colpos’affacciò al balconcino, agli ordinichiamando un complice bracciante:“ Chichìllo! Chichìllo! “,volavano le urla al vicinato.Da più sotto alla strada, risuonòa contrasto la battuta non serviledi mio padre, sornione:“Léva l’h! Léva l’h! “

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ANSIA

Occhi sgranati,la notte non sai affrontare né sonno scende a lenirele ferite della lama sibilanteche apre la pozza dell’insonnia.

Si cuoceva la malva a fuoco lentogialla camomilla sbuffava ai bordi e ristagnava benefica

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in una larga ciotola svaporante.

Ad occhi stanchi contempli la stanza nota,bevi i rumori improvvisi della strada,non riesci a spegnere la conoscenzache irrora del suo carico la tua mente.

E a te giungerà spossata l’albafra le griglie della persiana e il fuoriti parrà più carico di dolorifin dalla messa a terra dei piedi.

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L’AMORE, DITEMI, IN UN SORRISO

Come perenni acque di cascatalucente che rodono infinite mordendo rocce, limando piante:l’amore, ditemi, in un sorriso.

Come a miliardi nel deserto le polveriagitano dune, smuovono paesaggi,riannodano aride storie e interminabili:l’amore, ditemi, in un sorriso.

Come pallidi sospiri d’ombroseragazze dietro vetri e ragioni che vannoal silenzio d’ una pace gioiosa:l’amore, ditemi, in un sorriso.

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DISTESA ESTATE

Umida estate, lavacri d’acque,insudorate ideologie afoseche battono sui giornalii colpi dell’invettiva, lasciamo la cittàretinate di smog, asfalto bruciantedi insignificanti esistenze larvali.

Distesa estate, incontrollatadurata di tempo insensato,stordita nell’acqua, a passistretti ci nascondiamo alla luceesplosiva accecante.

MIELE D’AMPLESSI

Lo scavo nel tuo corpo flessuosoé sincronia d’un lussocalmo che il sudore del desiderioporge ai vibranti amanti lucenti.

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La tua bocca, dopo rifiuti astiosi, concediin unione e, implacabile, scorazzaserpentina a rinfocolare l’amore,insieme alle frequenti mani possessive.

La girandola del tuo corpo flessuososposta gli spazi dei congiungimentie inarcata vibri colpendomi a risaccamentre frugo gli aperti fiori inumiditid’un piacere scontroso, a occhi chiusi.

La tua profanazione finisce col mio flaccidoe immielato turgore. M’accoccoloal tuo madido seno e la tua carnem’affoga , vertigine quietadi sprofondamenti e lieti deliri.

PLATANI

Pigra l’estate snocciola lenti giorniche dal fresco alito dell’ albe

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a vampeggiante meriggio si svolgonofra sabbia e mare, ombra e sudore.

Stiracchiandosi i miei,dopo colazione, la corsaalla distesa marina preparanocon minuti panini e frescaacqua, limone, per annullareil tempo nel flusso continuodi nuoto e distensione al sole.

E vanno vaghe e imprecisele conversazioni a resocontodell’inverno e aprono timorisul futuro dei giovani il mondomentre s’irretisce di nubi e la difficilelettura del realeirradia luce d’ignoti itinerari.

L’acciottolato brucia ai saltellanti bagnantiper un’infinita spiaggiarotta di rado da un promontoriocorroso e verde e riprendecorsa il breve lembo tirreniconel frangersi d’ una risacca eterna.

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ILARIA

Tu non ricordi, Ilaria,la bambina che a terra sul frescopavimento giocava con le bambolein un fascio di serenità sognante?Pettinava i capelli, vestiva dieci voltele membra, l’ infioccava di baci lunghie tenerezze giulive e sfuggenti.Il tempo della realtà era sospeso,la bambola costruiva un sacro spazio,un infaticabile racconto snodavala bocca d’un biondo sorriso sovrano.

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DOCENTI

Le mie professoresseformicolano veloci:parlottano del più con amiche festose,redigono registrie assegnano votilitigiose, propongonoorari a sollievo della vita famigliare, s’urtano suscettibilifarfalle per gli aggettivi improprie scompaiono sul più bello,vaghe d’irreperibilità.

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CON IL CALCIO

Michele trascorre le ore dall’oroin bocca alla tv e sulle paginesportive, per tutto sapere e sistemare.Concentrato, qui viaggianel suo mondo di fisicascienza che ignora il destino.

Tutto é azione, movimentodella mente, spintatra immagini e commentiin una nuvolaglia di uominie cose caricati d’affetto,beata consunzione d’ energia.

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INCUBI

Dormiveglia estivo: procedo a scattifra un sudato sonno e passi d’azione.Brandelli della vita passatasi ripresentano a macerare l’animo col possibilenon realizzato, a scalfire con spineil cuore. Trepidettaanima illusa, rincorri speranze.E ti rimetti in corsa,sognando illimiti idealicadi in un mare d’ intranquillità.

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FORMICHE

Le formiche marroncine infestano,con tuo continuo orrore e disappunto,la via dei residui del pane caduto,a noi che mangiamo all’ombrellonesul roso davanzale di casa.A velocità sfuggono alle tue maniinvasive e da pochesembrano riprodursi a centinaia,le gulliveriane operose.

Ne difendo l’esistere:spazzine della vita.Un getto d’acqua fa scivolare la storiae mi chiedo in quale albumdell’evoluzione sarà scrittaquesta vittoria di Carla, biblicaalluvione sulla tiepida ceramica.

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III

REVUOTE(RIVOLTI)

(1992- 1997 )

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“ Ma in cosa consiste,…,la possibile portata emancipativa, liberatoria, dellaperdita del senso della realtà, della vera e propria erosione del principio direaltà nel mondo dei mass-media ? (…) Il senso emancipativo della liberazione delledifferenze e dei “dialetti “ consiste (…) nel complessivo effetto di spaesamentoche accompagna il primo effetto di identificazione. Se parlo il mio dialetto,finalmente, in un mondo di dialetti, sarò anche consapevole che esso non è la sola“lingua”, ma è appunto un dialetto fra altri. Se professo il mio sistema di valori –religiosi, estetici, politici, etnici – in questo mondo di culture plurali, avròanche un’acuta coscienza della storicità, contingenza, limitatezza, di tutti questisistemi, a cominciare dal mio “ .Gianni Vattimo, La società trasparente, p. 19.

NDÀCCHE

Ogne botta na ndàcca. Vai colpe colpe,

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cumm’a nu cardille -.Se rice re chi figlia ogn’ anne.E, pure se nun se rèsce all’erta,rire, u fesse, re na forza fatataca passa pe ndo cuorpe sue,a scura raggione ra Storia,e chissà addò fernisce.

INTACCATURE. Ogni botta un intacco./ - Non perdi un colpo,/ come un cardillo- ./ Sidice di chi figlia ogni anno./ Ed anche se non si regge in piedi,/ ride, il fesso,d’una forza fatata / che passa dentro il suo essere,/ l’oscura ragione della Storia,/ e chissà dove finisce.

LLÀVIJ

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Ròi so’ i facce ra ggente.Ra nnanze:

so cchjne re llàvij,se préscene cchiù lore ca tupe na furtuna ca t’é capetàta,se pure pe scange.S’allargane e tu cu lloret’abbuòtte cumm’a nu ruospe.

Ra ddurète:nun puoie sapé cche dìcine,te tagliane ca fòrbece r’ammìria,ca pertòsa sette mura.

E a nonna recìa:“ Nun te fa vré nemméne addò cache,ca pòte cchiù ammìriar’i sckuppettàte “ .E avòglia a rice, pòccke,i pigliataruòchie cu a Croce‘nfronte! Nun ce fai nientecontra a forza r’ i parole,ca mò te àuzane nda na neglia r’oree mò te smerdéiene nda li zànghe.

ELOGI IPOCRITI. La gente ha due facce./ Davanti, / sono pieni d’ elogi,/ si mostranocontenti più loro di te / d’una fortuna che t’ é capitata,/ seppure per caso./S’inorgogliscono e tu con loro / ti gonfi come un rospo./ Da dietro: / non puoisapere cosa dicono,/ ti tagliano con la forbice dell’invidia, / che buca settemura./ E la nonna ripeteva:/ “ Non farti vedere neppure dove cachi, / perché ha piùmaleficio l’invidia che non le schioppettate” ./ E, dopo, hai voglia a recitare /gli scongiuri con la Croce / in fronte! Non ci fai niente / contro la forza delleparole, / che ora t’innalzano in una nuvola d’oro / ed ora t’ immerdano nel fango.

NA FACCIA RE CUORNE

Na furésa busciàrda, na pentìta venìhe

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addò mamma mia tutta resentìta.“ Vui nun c’avìta crère a i malaléngheca ve vénene a rìce ca ìye e u sìnnecheamma fatte kazze e kucchiéra “.( E s’infucàva e muvìya nu rìscetennanze e ddurète nda l’aria ).Mamma, ca ngiavìa fatte u calle,facìa a ciota pe nun z’appezzecàcu na cevéttula ca puzzava re latte muntema tenìa rùye casecavadde tuoste assàye.

UNA SFRONTATA. Una campagnola bugiarda, un’addoloratella venne / da mia madre tuttarisentita./ “ Non dovete crederci alle malelingue / che vi vengono a dire che io eil sindaco / abbiamo fatto cazzo e schiumarola”/ (E s’infuocava e agitava un dito/davanti e di dietro nell’aria) . Mia madre, che c’era abituata, / si faceva stùpidaper non litigarsi / con una civettuola che puzzava di latte munto / ma aveva dueseni assai duri.

L’UOMMENE NUN SO’ CILORFAE ssì ca sì fesse se faie u turisteca passànne p’ ì vicule

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vulera capisce a Civita,u Purtiedde, santu Vasile,u Casale, u Piette,i Casenove e i cunte r’i palazze.Respira l’aria sì e a lùce,s’arròtula ndo viéntema nun sàpe i reyàle re quìste paìse:a forza re l’abbetìne e ra trerecìnaa sant’Andònie ca te face fà nnanze e arréte a pière, na chiàppùlacàura cumme n’àcqua re sòle,l’acere ca n’accumpagnane a passeggià,a kuccìa ca càccia i muskìdde,l’angele ra Maronna ru Càrmene,na galantòma ca se tukuléya appezzùta,i prièsci ru vennemà cu l’ayùte,l’arravuògli r’i criyatùre ndo kiappelascùnne,a scelatìna, u zozicchie e i puparuole ku vine,nu fusciedde re recotta e na rafanata gialla,nu patròne appagglittàte e nu sotte allappàte,nu funerale affullate e na libbrerìa vacanda,riéce kapòteke e tante ka so’ cilòrfa,quera fréve cuntinua k’accìre l’uòmmene,tante cetrùle ( “ pu kule tùu”, me respùnne),na caterràle ca nun se résce all’erta,santu Scinuarie struppiàte, ca é u cuntenuoste cchiù bélle, u munacieddeca mò nunn’enze cchiù e nui,malombre ndo viente, ca n’arravugliàmmepe nu spìcchie re puparuòle crùske.

GLI UOMINI NON SONO NEVE SCIOLTA. E sì che sei fesso se fai come il turista / chepassando per i vicoli pretende di capire / la Civita, il Portello, san Basilio, ilCasale, / il Petto e le Casenuove e i racconti dei palazzi. / Certo respira l’ariae la luce, / s’avvita nel vento / ma non scopre i regali di questo paese:/ la forzadell’abitìno e della tredicina/ a S.Antonio che ti fa fare avanti e indietro apiedi, /una pietra riscaldata come acqua al sole,/ gli aceri che ci accompagnanonel passeggiare,/ la cuccìa che scaccia i moscerini, / l’angelo della Madonna delCarmine,/ una gentildonna che si smuove impettita, / la vendemmia con gli operai, /gli intrecci dei bambini nel nascondino, / la gelatina, la radice gialla, / unpadrone ubriaco e un sotto che prova arsura, / un funerale affollato ed unabiblioteca vuota, / dieci testardi e tanti ignavi,/ quella febbre continua cheuccide gli uomini,/ tanti cetrioli ( “ per il tuo culo “, mi interrompi ) / unacattedrale sempre scossa da sismi, /san Gianuario rovinato, che é il racconto/nostro più bello, il monachicchio / che non appare più e noi, / malombre al vento,che ci litighiamo / per uno spicchio di peperone abbrustolito.

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NCE SANNE FA LI FEMMENE

Sule tanne aprìhe i kòscea giuvanuttìna attruttata,ca u conquistatore( ca pe dritte se tenìa )ngi carìhe ìndae s’affucàhe ndo mastrille.

LE DONNE CI SANNO FARE. Solo allora aprì le gambe / la signorina istruita bene, /che il conquistatore / ( che si riteneva furbo) / le cadde dentro / e s’affogò comeil topo nella trappola.

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A FUNDANA ‘ NDO VOSCHE.

A màchina a tenìa Giuvanne e pure i gulìe.Girava i vosche nu pe guardà i cerzeo i piscùni addò sfrécciane i pernici,ma pe se bucà cu nu ianche veleneca n’hanne purtate a bénne ra fora.

Zumpava Giuvanne nda discotèca, abballavacumma na lepre, se muvìa scutuleyànne a càpe,a vvote aiutava pure attàne a carrescià cementenda quiru negoziette ca parìa nu bazàr.

Avìja pigliata a mala viapamm’ore re n’amiche nciutùteca se chrirrìa addritte e era pecura ra macelle.

Accussì sciénne ‘nsieme a bucarse:s’alluntanàvene ndo vosche e rumaniénneca cape a viénte, sbattuta ra nu ntruògliemischiàte ca ‘i cunsumava a raìnta.E quanne na matìna a mamma s’addunàzeca nun havìa rurmùte ndo liette,i guardie scèrene a la cérca.U truvèrene stìse vicìne a fundàna,ndo vosche ca ngì piacìja tante, cu l’uòcchie apièrte c’addummannàvene pecché,pe truvà l’infinìte, havìa truvàte a morte.

LA FONTANA NEL BOSCO. La macchina la teneva Giovanni e pure le voglie./ Girava iboschi non per guardare le querce / o le pietraie da dove sfrecciano le pernici,/ma per bucarsi con un veleno bianco / che ci hanno portato da fuori. / BallavaGiovanni nella discoteca, ballava come una lepre, si muoveva dimenando la testa,/ avolte lavorava pure con il padre trasportando cemento/ in quel negozietto chesembrava un bazar. / Aveva presa la cattiva strada / per colpa d’un amico stupido /che si credeva dritto ma era pecora da macello./ E così andavano insieme a bucarsi:/ s’allontanavano nel bosco e rimanevano/ con la testa sospesa al vento, sbattuta daquella droga / tagliata male che li consumava dentro./E quando una mattina la madres’accorse / che non aveva dormito nel letto, / le guardie andarono a cercarlo./ Lotrovarono disteso vicino alla fontana, / nel bosco che gli piaceva tanto: / con gliocchi aperti che domandavano perché / per trovare l’infinito avesse trovato lamorte .

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PAISE A DDOPPIE.

Cumme se ra nu spécchie fosse anzùtena copia e se fosse mèsa a cammenà,u paìse s’è muosse nda st’ànne.

Pe vrehògna làssane i case antìchee u ddòppie è a calamìta.

Ma quale è u paìse? Quere ca tenìai tégule rosse e verde

re muschie ca nun accummugliàvenei parlàte ru vicinàteo quere ca se mòve e crésce stuòrtecumm’ a nu lièvete sopa a fazzatòra?

Cchiù sotta ncé n’aggruvìglie re cementee so’ tante i màchine ca mai se férmanecumme pe na cundanna a struscià sempenda nu viente nìhure ca ddà spìra.

E tutte stu muvemente, stu sagli e scénne,è pe’ truvà fora ra kàsa lorequiru bbéne ca nun se tene cchiù a ra ìnda.

PAESI A DOPPIO. Come se da uno specchio fosse uscita fuori / una copia e si fossemessa a camminare, / il paese s’è mosso in questi anni. Per vergogna lasciano lecase antiche/ e il doppio è la calamita. / Ma qual è il paese? Quello che teneva /le tegole rosse e verdi / di muschio, che non coprivano / le chiacchiere delvicinato / o quello che si muove e cresce senz’ordine / come un lievito al di sopradella madia? / Più sotto si avviluppa un groviglio di cemento / e sono tante lemacchine che non si fermano mai / come per una condanna a passeggiare sempre / in unvento nero che lì spira. / E tutti questi movimenti, questo salire e scendere / sifa per cercare fuori casa propria/ quel bene che non si tiene più dentro di sé.

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ÀHERE

N’ha viste re cose st’acquaca chiane chiane scivùglia ra i voschee, ra Lama fin’e calanche re Policore,lassa na scia re piskùne lisceca brillane comm’e stelle ndo cièle.

Qua, pe ste giravota r’acque,nchianèrene Grece e Turchee pò Luca r’Armiente ca prehava

ndò cchiuse re na grotta ò friskeprima re fravecà i llaure re Criste.

Nde nevare Àhere crescìja e allahàvai terre trascenànne pecure e uòmmenese vulienne passà addò u iumme é citte,fridde cumm’a morte ca purtava.

E i Romane auzèrene i pontepe cammenà sopa sti sponne zangosee se purtà prusutte,vine e uoglie,grane, zozicchie e femmene re casa.

Quanne venihe u miereche ca pittavanda miseria ne truvahe affascenàtee, nde surche, gialle e spetazzatepe na freve cuntinua ch’accìre l’uòmmene.

Qua nonneme se cunsumava nde fatìchecu l’uorte, u grannìnije, i cerase, i vitigne.S’avija fatte na capanna-sputa vicin’o fiume,proprie addò nu revuote avìa purtatena spallata re prete e zanghe e ddàse repusava e mangiava ndo stiavucchefurmagge, cipodde, pane e puparuole.

Cchiù sotta u pastore re Mulitiernefacia pasce l’éreva e abbeverava a mandriaaddò verde striscia a biscia e i rranezòmpane pe nun se fa acchiappà.

Nda calùra l’ontàne nun tremàvanee u sole appicciava i terre, Die ne libera,cu nu chiarore ca sturdìa ‘i cristianenda nu bagne re surure ardiente.

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E foze nda una re ste jurnate r’aùsteca, surata e criatura, mamma Graziellamettìhe i pière nda n’acqua currentee se frecàhe u core, ca pò a fece murìaffucata nda nu liette, cu l’uocchie ra fora.

Se nge torne, mo’ a strada cu i màchinetaglia cumm’a nu lampe e ra sopa véhe l’Ahere citte, strinte ndo cemente,nda i dighe ru Purtusille e de Gannane.Cchiù sotte é scumparse nda certe tubeca vanne a Tarante e, cumm’a nu scurzone,se movene ndo liette vacante nìhure.

A Sant’Arcangele, nda fiumara hanne chiantatei pesche e l’arance e i vénnene pa’ viae ìje nun sacce cchiù chi so’ sti lucanené quala pacijénza i face resistenda na chiana petrosa ca sfilazzechéja i paisee nasconne a sfortuna ddurete u vverde

re fruttete ca énchiene r’ aucièdde l’aria e cunsòlene i poche paisane ca s’accuntentane.Povriedde ra muntagna marsecana,fatehatùre ra chiana re Scanzane,tutte s’aunìscene nde spire re l’ Àhere.E se aquànne passe pe ste terre re luce,nfora l’acqua, vire cumme tutte càngiae se sforma nda fatìha r’i machineca peffine l’albere vulessere cangià

re luoche pe fa spazie ò cemente grigie come l’anema re ste arruinatùre.

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AGRI. Ne ha visto di cose quest’acqua / che piano piano scivola dai boschi/ e,dalla Lama fino ai calanchi di Policoro ,/ lascia una scìa di pietre levigate / chebrillano come stelle in cielo. / Qui, per queste insenature dell’ acque, salirono iGreci e i Turchi, e poi Luca d’Armento che pregava / nel chiuso d’una grotta alfresco / prima di fabbricare le chiese di Cristo./ Con le nevicate Agri cresceva estraripava, trascinando pecore e quegli uomini / che passavano dove l’acqua eraimmobile / fredda come la morte che portava. / E i Romani innalzarono ponti / percamminare su queste sponde fangose e / portarsi via maiali e vino e olio,/ granosalsicce e serve./ Quando venne il medico pittore / ci trovò ammaliati nellamiseria/ e nei solchi gialli e disfatti/ per la malaria continua che fiacca l’uomo./Qui nonno lavorava / l’orto, il mais, le ciliegie, le viti./ S’era costruita unadebole capanna presso il fiume / proprio dove un rivolto aveva portato/ unaspallata di pietre e fango e lì/ si riposava e mangiava nella salvietta / formaggio,cipolla, pane e peperoni./ Più a valle il pastore di Moliterno / faceva brucarel’erba e abbeverava la mandria / lì dove verde striscia la biscia e le rane /saltano per non farsi prendere./ Nei mesi estivi, gli ontàni non tremavano e ilsole, Dio non voglia, bruciava i terreni / con un chiarore che stordiva le teste /e soffocava i contadini / in un bagno di sudore ardente. / E fu in una di questegiornate di agosto, / che la bambina sudata, mia madre Graziella / tenne a lungo ipiedi nell’acqua corrente / e s’ammalò alla mitralica, che poi la fece morire /soffocata su di un letto, con gli occhi fuori dalle orbite./ Se vi torno, ora lastrada con le macchine / si percorre in un lampo e da sopra / vedo l’Agrisilenzioso stretto nel cemento / come nella diga del Pertusillo e di Gannano./ Piùsotto l’Agri é scomparso in certi tubi / neri che vanno a Taranto e come unserpente nero / quei tubi si muovono in un letto vuoto. / A Sant’Arcangelo nellafiumara / hanno piantato pesche e arance, che vendono per la strada/ ed io non sopiù chi sono questi lucani / né quale pazienza li faccia resistere / in questa pianapietrosa che sfilaccia i paesi / e nasconde la sfortuna dietro il verde / deifrutteti che riempiono d’uccelli l’aria / e consolano i pochi paisani ches’accontentano./ Poveretti della montagna marsicana,/ lavoratori della piana diScanzano, / tutti s’uniscono nelle spire dell’Agri. / E se quest’anno passi perqueste terre di luce / al di fuori dell’acqua, osserva come tutto cambia / e sideforma sotto l’azione dei macchinari / che perfino gli alberi vorrebbero cambiaredi posto / per far spazio al cemento / grigio come l’anima loro, questi distruttori.

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NOTEPag.5 Origini. Alcuni temi della filosofia di F. Nietzsche (ilcaso, il vitalismo, la genealogia, la corporeità) costituiscono il fulcro delleimmagini.Pag.7 L’accettazione della finitudine. Utilizzando la filosofia diGalvano della Volpe, l’autore critica gli idealismi, qui G.Hegel e l’assoluto el’Uno di Plotino,non senza una carica di ambivalenza. Il termine “àplosi” indica ilbeato uscir fuori dalla materia, che si ritiene impossibile.Pag. 10 Regime. Si fa ironia della personalità autoritaria (E. Fromm) e si contestalospirito del gregge, la massificazione del pensiero, voluta in cambio dellasicurezza.Pag. 15 Sinisgalli a Grumentum. Si inventa una visita nel “castrum” di Grumento(Val d’Agri). “Agri lazzi” è anche un verso di E. Montale. Il contadino che citavabrani di T. Livio a memoria era persona fisica, coltivava un vigneto accantoall’attuale museo e guidava, con passione inventiva, il raro visitatore.

Pag. 16 v.9 “spara di Carnevale” , il fantoccio che si agita neltempo di Carnevale.E’ come lo “spaventapasseri” del male.Pag. 20 Acquafredda. Toponimo di Maratea, come Castrocucco, luoghi dispiagge difrequentazione estiva.Pag.42 v.7 “a schima”, espressione dialettale marsicana, con cui si

designa un tipo di

neve che, pur cadendo ,non lega ma si scioglie a terra.

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Pag.44 Un cicillo per madama. Ironicamente, si ricostruisce un bozzetto scherzoso.L’equivoco

- in Lucania – è dato dal fatto che “ cicillo” sta per “ pene”.

INDICE

GOLFO DI SOGNI INQUIETOIdee per un lettore di poesie di A. L.

I - MATERIA E ALTRI RICORDI ( 1990-93)OriginiCome un fotone L’accettazione della finitudineL’uomo come trapassoIl fuori di sé RegimeRosa agostanaIl gelso dell’angeloIl bucoMalessereSinisgalli a GrumentumPulcinellaMaratea

II - RESPONSORIALEAcquafreddaAlbumAcquetta tirrenicaLo specchio della speranzaPiazza CavourLa metropoli plebeaIllusioniHigh-techLa bouganvillea violettaAmori con guardoniRitratto di ragazzaGiubileoAl DuomoLa società multietnicaUn fascio di neutriniResponsorialeLa comprensione Le cicale di Castrocucco

Page 143: POESIE 1977-2001

L’indesideratoPasseggiando a SalaCaneScolatoioCarnevalePaure razzisteUn cicillo per madamaAnsia

L’amore, ditemi, in un sorrisoDistesa estateMiele d’amplessiPlataniIlariaDocentiCon il calcioIncubiFormiche

III - REVUOTE ( RIVOLTI) (1992-97)

Ndacche (Intaccature)Llavij ( Elogi ipocriti)Na faccia re cuorne ( Na sfrontata )

L’uommene nun so’ cilorfa ( Gli uomini non sono neve sciolta)Paise a ddoppie ( Paese doppio)

A’fundàna ndo vòsche (La fontana nel bosco)Nce sanne fa le femmene (Ci sanno fare le donne)Àhere (Agri)

Bandella laterale o quarta di copertinaANTONIO LOTIERZO , nato a Marsiconuovo (Potenza) il 28.06.1950, vive dal 1982 aNapoli. Laureato prima in filosofia e poi in sociologia, ha pubblicato una serie disaggi di storia e antropologia sociale. Le sue raccolte di versi, presso la Forum,sono: Il rovescio della pelle (1977) e Moritòio marginale (1979). Nel 1981, conRaffaele Nigro, editò l’antologia Poeti di Basilicata , ampliata nel 1993. Hacurato la sezione lucana per l’antologia americana ( editor Luigi Bonaffini ) :Dialect poetry of Southern Italy –Texts and Criticism, New York, 1997. E’ membrodella giuria del Premio A. Pierro di Tursi. V.SCHEIWILLER PUBBLICÒ NEL 1995 LAPLAQUETTE “ MATERIA ED ALTRI RICORDI” , VINCITRICE DEL PREMIO I. E.MONTALE PER L’INEDITO DEL1994.

Page 144: POESIE 1977-2001

VETRI RIFLETTENTI

BRANo di Kant giudizio riflettente

“ Quali per vetri trasparenti e tersi, o ver per acque nitide e

tranquille,

non sì profonde che i fondi

sien persi,

tornan d’i nostri visi le

postille

debili sì, che perla in bianca

fronte

non vien men forte a le nostre

pupille”

Dante Alighieri, Paradiso ,

III, 10- 15

DIALOGO

SULL’INCERTEZZA

“ alle incertezze

che non senza qualche superbia

Page 145: POESIE 1977-2001

sono chiamate metafisica “

( J.L.Borges, Elogio dell’ombra)

a Rosa M. Fusco

Mi chiedi, con occhi pungenti

come s’è fatto nei vuoti anni Ottanta

a stravolgere le dighe dell’utopìa

che ci tennero, doganieri

stregati, in anelli d’amori.

La tua costanza invidio

e mi so di gassosa materia,

incerta progressione d’ombre

ora che ho seppellito i miei,

in un roveto d’ accidia.

E quale sia non so la rete

della realtà, vetrate rotte

d’api delle ideologie,

arso da sensi di colpa assiepanti.

- E lasci fare ai volponi, eremita? –

In vari impegni dispersa,

l’innocenza non migliora la diversa

comunità. E se corro ai paesi,

dalla storia stravolto,

Page 146: POESIE 1977-2001

brancolo nel vuoto vicinato.

E le allegre grida d’un tempo?

Le nostre ebbre rondini

di voli al deserto balcone.

Carica la storia

di sensi e ignoti l’incrocia.

- E non vale più nulla la politica

e il tarlo non fora della solidarietà? -

La storia non ha il Bene, amica.

I disegni muta l’oscuro Destino

né de Cosmo cogliamo la necessità.

Vetri frangono le forme dell’Essere

e gnostici viviamo, nelle maschere.

( 19

93)

I ARCA MUNDO NAUFRAGO

SUONI IN S e B

Vipere di novembre,

Page 147: POESIE 1977-2001

scotimento a rivelare

gli scontenti scotennati dagli sciacalli :

trent’anni per nascere

e trenta per scuoiarci.

Nell’erba e fra i mattoni

Un bimbo prono burla

una bestia bruna butterata

abbarbicato su di un bulbo

muschio e barba di capra

belante fra beccacce e buoi.

SUONI IN D

La demolizione demoniaca

destina dietro

dimore ardenti

per motivi tellurici

dissanguamento

( domani disvelerà? )

derisione

deiezione dolorante

dubbio di doti dissacrante.

( 1991)

Page 148: POESIE 1977-2001

PORTALE ROMANICO

- E’ di Melchiorre, forse! -

Ignoto fra mastri normanni.

Scalciano la palla,

a s.Gianuario sul piazzile

incendiato a grida, fanciullini.

L’ombelico circolare,

le case basse e chiare

sulle rupi del fiume

snoda viuzze di pietre

grige come l’acqua dell’Agri.

Politici senza rovello

affidarono la sfabbrica del castello

Sanseverino con la chioccia d’oro

per svenderne le pietre nel vallo.

Alla Val d’Agri s’addice il silenzio

penetrato dal vento, un trittico

dipinto da ignoti frati.

Ruvido cemento più che menta

ad orgogliosa dialettica

di futuro scotimento.

Page 149: POESIE 1977-2001

E resteranno le formiche

a ripulire i crani , anche se storci

le dita a far le fiche.

1990

IL RICORDO

Il ricordo, operoso tappo

nell’acque dei giorni, troppo

chiara cicatrice segnala eventi

e li risuscita dal calendario sulle fronti

in un gorgo di lancette impazzite.

1991

L’INCARNAZIONE

Non sono acqua i pensieri

che leviga pietre e dei campi

sfarina i bordi erbosi.

Promettono l’oro del transumanare

alla chiesa infinita dell’Essere

che slancia l’uomo nel divino.

Page 150: POESIE 1977-2001

Toglie l’angoscia lacerante

e la furia in un ordine fluente

di simboli eterni si fa riposante

Piegato davanti al Crocifisso

tracimo la crisi, a terra confisso

e pioggia mi disperdo nella comunità.

E se dubbiate che sia il Cristo,

parole più pure non ho

e quel bacio alla sua luce incrocio.

1992

GIOMETRI DEI SISMI

Dei terremoti

( oh, se frequenti!)

c’è che non tutti recano

il peso di macerie.

Giometri, rilevatori saprofiti

compilano cifre

di conti bancari

e in questo fine, cumpà,

è tutta la ricostruzione.

1990

Page 151: POESIE 1977-2001

CHI GIRA A VUOTO

Intostare acqua.

La vita, un vortice

da cui Nulla riemerge

nel respiro del silenzio.

Non latte,

che giunga a compimento

il mio lavoro e l’esistere

si spreme in rutilante polvere

su cui grava la dispersione

della pula, offensiva agli occhi.

1992

IL VENTO MI SUONA

Schiacciato dal cinismo degli interessi,

Page 152: POESIE 1977-2001

i programmi della giovinezza celeste

scompagina la furia dei sentimenti.

Ma non si ferma nel fango sconfitto,

naviga il poeta sogni che immattinano

lucidi le sue assediate ore.

Inconsapevole congiura

per il dolore, la luce dell’eresia

pallidamente riscalda immagini.

Esistiamo per l’incertezza,

sfoglio di margherite e contraddizioni.

Rido al verdetto che il vento mi suona.

1992

ALLA MOGLIE CHE CORRE AL LAVORO

La guaina , che ti stringa

a rimodellare i confini

del tuo corpo scorpione,

non serve a dare un senso

Page 153: POESIE 1977-2001

integrale ai tuoi gesti. Né la mia body art

va oltre il nostro povero incontro,

gomitolo confuso del mio tempo.

Sui microprocessori dell’inconscio,

mi porto al tubero cinereo

dove è un lago ristretto il centro

dell’amore, umido limite

in cui so di non essere un dio.

- Vesti i bimbi e sai cosa comprare -

incalzi ventosa dalla soglia.

Quando capirò la Creazione

avrò chiaro me stesso?

Incerto Socrate osservo la bramosìa,

non è dal dialogo

che mi attendo miracoli.

E resto fermo al sole,

irremovibile alla consunzione.

Né altra pace ebbi radiosa,

bambino seduto sulla pietra

mattutina, scriba

che registra fermo l’Essere

senza un sorriso a scompigliare,

in un balzo di luce soffusa,

la felicità dell’attesa.

1992

Page 154: POESIE 1977-2001

TRANSFUGA

Schiuma di ginestre assedia il Vesuvio.

Mi contengo transfuga,

ai miei ristretti bisogni.

E la cresta rossastra si svela

a me viaggiatore

ignoto alle ansie di tutti.

Vado nelle emozioni a sicurezze

paradisiache e mi so

più fragile della conchiglia

che un fanciullo raschia nel giardino

immemore nell’ombra gioiosa

della magnolia che lo copre ascosa.

1992

12

CHI SPIA IL SENSO.

Flagiti quale sia il tuo posto

nello stato della vita.

Page 155: POESIE 1977-2001

Richiedente di senso

ignori

l’ordine oscuro al decifrante.

Vagoli con deliranti dolori

che intorno ti s’affollano

privi d’uscite

e aliti, in pumblea medietà,

mucchietti di parole.

MAI DETTE AL PADRE

Ora so l’incontro

( ma non puoi ricordare)

delle nostre parallele.

Non quando, incapace,

ti seguivo nella caccia

né all’assedio della serpe spezzata.

Non fu nel denso amore per il cane

né alla vigna, nostro continuo peso.

Disprezzai l’ansia con cui nuotavi

nel fardello della tua bisaccia.

Il funerale di mamma fu punto di croce:

nel corteo mi tirasti a te vicino

perché altero seguissi la luminosa

Page 156: POESIE 1977-2001

ombra che ci segnò la vita.

Comunione d’asprezze, il tuo riso

mi preme con forza spinoso.

1993

II

QUATTRO DI GRAZIELLA

( 1986)

“ … non lasciarmi Qui adesso senza

un dove onde impetrare asilo:

Ahi novembrina

ahi rovo di tenerezza”

( G. Giudici, Novembrina, v.10-12)

II, 1

Non so se pettine e monete

ti son serviti, fazzoletto

e messale che Giovanna, la fida,

ti mise ai piedi

per il tuo lungo inconcluso viaggio.

Page 157: POESIE 1977-2001

A noi, che tocchiamo la lapide

con simpatia di preci,

più fredda appare

del cimitero che ti tiene il cuore

ed innaffiamo una cresciuta

rosa spinosa

fra il cemento delle tombe,

consolandoci pigri

per quelle fotografie

amiche che ti guardano,

compagne del nuovo vicinato.

E lì vivete!

Chissà se nel lembo

del tuo aldilà, parli di noi

con tuo scontato e guardingo orgoglio,

e se tuo padre, ch’invocavi

nell’agonia ospedaliera,

ti ha, con mano tesa, guidata

per l’infinito Eliso, per te

così popolato di certezze.

Finiamo anche noi.

Candelora di febbraio,

luce carnevalesca

e le nostre colorite ragioni,

se non fosse che un punto c’è

Page 158: POESIE 1977-2001

ove la morte infutura la vita

ed a ruota si capovolgono

in indistricabile unità.

II,2

Marsico e la sua pretenziosa diga

non ci appartiene.

Era un paese di casalini diruti

con una storia disfatta

Da secoli impietrita.

Vivemmo fra dilavati sassi

nel nitore della tua isola

arredata di castagno e dei tuoi canti

odorosi di pace. Il tempo,

sanguinaccio di cioccolato,

gelati di neve, pizze

di riso e pasquali ciondoli

d’uova ingloriate.

Ora è kitsch di grilli,

cafoni al soldo dello Stato.

Non una chiesa è in piedi.

Come è difficile rifare il muro

Page 159: POESIE 1977-2001

della vita con quei tuoi valori

se c’immerdiamo e ci stingono

gli odi nel silenzio vuoto di volpi

sornione e tenere trote.

Tuoi insulsi sopravvissuti,

arranchiamo nei consumi amari,

nostra sola uguaglianza

( semmai ve ne fu una)

di finta e storta felicità.

II,3

Marmo , mamma, ti mantiene

nel primo Natale di abeti insensati

e Carnevale innevato dell’Ottantasei.

“ Non so dimenticarla” e a me

che ti diminuisco in memoria

per non straziarla, di rimbalzo Giovanna:

“Non era un cane. Vive. Finisse

presto questo tormentato dolore! “.

E cambia i lumi al Lare

né sa che un anno può la vita durare

Page 160: POESIE 1977-2001

se l’elegia passata offusca l’esistente.

II,4

Al tuo matrimonio con la morte

per un’ora abbiamo scambiate

mani di condolenza.

Nel chiaro fresco d’innocenza,

non v’erano orfanelli in bianca schiera

ma corone di prestigio per il sindaco

che ti scappava di casa pubblico.

Mesi dopo con l’amica emigrata

ho bevuto vino e non eri accennata

negli acri sospiri ( un vicinato

all’oceano del Nulla è approdato).

Non v’è più in cucina

per la tua mitralica mattina

la sedia e le giriamo intorno,

tuo parlante spazio.

Perfino le rondini, nell’arsa stagione,

ci privarono dei loro trilli radendi

sul davanzale da cui invidiando

“ Che c’è in piazza? “ ingabbiata

ai passanti gridavi con angosciata

Page 161: POESIE 1977-2001

metafisica di conoscenza.

Nulla degno di nota

attraversa i monti corrosi e solo

il vento parlotta delle tue attenzioni.

Ancora la pasta è oggetto di contenzioso

fra Andrea e Giovanna, io e papà

muti avventori; erige la sua villa

al pioppeto Angelo in Chiusulelle.

Non v’è chi tolga i tuoi

panni dall’armadio o al crepitìo

la messa segua del cibo.

Partecipare il mondo dalla cucina

era il tuo estremo modo di essere .

Ora il telefono m’informa dei freschi

dipartiti ma affrettato richiudo

e non regge la mente

che tutto impresenzia

nel fosforeo frastuono dell’esistere.

III

AMA LA POESIA IL NASCONDIMENTO

L’ accidia soffoca la poesia,

Page 162: POESIE 1977-2001

il male delle cose in plumbea sabbia

ingorga le parole di scabbia.

Né ritorna con le preghiere

cantilena in pii luoghi terrestri

alla pace dei santi inoperosa.

E mi avverto di logore incapacità:

lo specchio del lettore

è diamante nei gridi della città.

E se il poeta non abbaglia

e si sposta di soglia in soglia?

Dialoga con le carte e con il cuore,

lascia che il mare lo ricopra,

assordato da quotidiane cure

assediata inquietudine corporale.

1993

TAVOLA FIAMMINGA

Unione d’amore,

nella goccia sospesa all’acino

riscopro volti d’amore e la distanza,

raggio coperto di drappi.

Relitti spersi nei sensi confusi.

Diamante, l ‘ unione d’amore

Page 163: POESIE 1977-2001

Si frange su me, vittima in questua,

che busso a soffusa quiete

aspra a cercare nella tua luce.

1994

SUI PRATI VERDE LA FEDELTA’

“ alla fine tutto è bene, ed ogni lutto è soltanto la via

che conduce ad una vera e santa gioia”

F. Holderlin

A Maria

Tu, che ti stendi vicina,

dimentica della muta assassina

degli ospedalieri, lassù

ti stringi per la neve e più

àbiti origlianti alberelli.

La grata linguistica dei sogni,

luminescente cuneo, insegui.

Allodola al maggese o foglia disseccata

copri desideri derealizzati

e dissanguata illùci gli amati.

Page 164: POESIE 1977-2001

Le mani dialogano salmi

sul tuo pallore eterno: dormi?

Portaci, Signore, al tuo abbeveratoio,

impasta un porto senza inghiottitoio.

Corre sui prati verdi la fedeltà.

(26 agosto 1998 - 26 agosto 2000)

I GATTI DI GIOVANNA

La Giovanna aveva neri gatti

solerti e bianchi ma senza piatti,

saltanti con una mamma briccona

venti erano diventati senza immaginazione.

Non potendo brulicare nel vicinato

- linee di bottiglie d’acqua alla murata -

fra legna e salamende usato

cibo la Juana portava del desinato.

Bontà del libero mercato della vita!

Ma un virus, il primo infettato,

ne uccise venti. La specie si difende.

Incredula la Giuannìn nella demografia

aspettò mesi e poi, senza malincolia,

Page 165: POESIE 1977-2001

ne allevò altri con simpatia.

ADDIO A NONNA VINCENZA

( 1902 -

1987)

Avendo compiuto un lungo

faticoso viaggio chiedeva:

‘ Che ci faccio ancora qui ? ‘

e interrogava l’essere,

il suo smarrito senso.

Pregava che una stessa terra

la ricongiungesse, spazio sacro,

ai suoi, già tutti morti.

I vecchi passano una morte

né infelice né totale,

perché hanno insegnato,

a credere nell’eterna speranza.

Il suo saper vivere con poco

ci resta, tristezza consumata.

Il mulino e il pane, l’accudire,

la sartoria e i campi

l’ebbero lieta e capace

Page 166: POESIE 1977-2001

in vesti nere della tradizione.

Ricca di orali consigli

visse al tempo delle campane

fra gioie collettive e quotidiane

apprensioni incenerite

dall’ascoso sorriso di sempre.

1987

III PASSAGGI

DOVE IL MARE BAGNA IL POLLINO

Cassano, roseo disvelato

teatro, sulle rovine

dell’ampia Sibari attorcigliato.

L’ulivo infiamma gli avidi discorsi

e l’acqua, fresco lenimento,

alla salute dei Santi Medici.

Diversa umanità

Page 167: POESIE 1977-2001

violenza sposa torbida ignoranza

fra mandorli in radianza.

Le chiese, con succorpo inghiottito,

salgono dalla luce bizantina

a incidere diafano l’infinito.

1991

2

PASSAGGIO PER POTENZA

In lindi cerchi e lucore di vento

l’erta Potenza disperdeva cento

sogni a me vagabondo

fra porte e gli incontri del Sedile,

in libreria Riviello parlando

e di Ranaldi le mostre annotando.

Mercurio e argento è il politico,

sepolto da progetto rachitico,

mie speranze svagando

la gestione del cambiamento

con l’industrie di Tito e un firmamento

di nevi un’erba giubilando

amore e fascino in espansione,

Page 168: POESIE 1977-2001

eterna fu la nostra ricostruzione

miseria e vino cantando

peperoncini e cuntane

il tuo riso smuove a puttane

il cuore agli amici folleggiando.

Seguivo i Turchi a s.Gerardo,

i martiri africani e il lardo

delle congrue dei preti ricettiziando.

Città di scale e pietre radiose.

La mosca dell’invidia ti corrose,

il mercante altero scalpitando.

E vince nascosto Cristo,

traghetta il vescovo su dieci

tabernacoli un’ora felice.

E nelle morte stanze feudali,

ai Loffredo un violino blandisce

una resurrezione che marcisce.

E viandanti i contadini colombi

rientrano storditi dagli uffici

dove oracolo è l’amicizia degli scambi.

Page 169: POESIE 1977-2001

SUL SACELLO DEL SANSEVERINO CONTE DI MARSICO

( fra la Certosa di Padula e

Teggiano)

Guerriero chiuso nel sasso,

notturna meditazione,

il Conestabile Tommaso

al Signore affiso

e l’elmo e con le spighe di grano

alla Madonna si porge e agli Angioini

fedele in preghiera.

Scorrono le nuvole sui muschi

e la luna imbianca la pietra

al dormiente con la spada diletta.

S’aprono gli orti ai canti

per il signore del Vallo nella grancia

al murmure d’acqua fra le viti.

Me ne sto, converso della spezieria,

a lacrimare nell’argentea Certosa

oscuro sul mio tempo della miseria

e cadono gl’imbrici rossi

Page 170: POESIE 1977-2001

al vento allupato che il grido

candido trafigge dei pettirossi.

TRITTICO TORRESE

( 1993)

I SCUOLE A CALASTRO

Tutto riavvolge il vuoto dove ferveva

industria di pastai e pescatori.

Le grida degli studenti rianimano

l’abbandono sordido della scura cala.

C’inganna il mare col tremulo luccichio

e il vento saporoso sulla emersa scogliera

dà respiro al vulcano giallo di ginestre,

e lì Leopardi sciolse un canto di pietà virile.

Ora batte sulla cala l’onda schiumosa,

il treno è inghiottito dai balconi impavidi,

una donna s’affida alla certa preghiera,

scorrono acuti nei vicoli gli occhi del ladro.

Tutto è cadente dove fioriscono i giovani,

Page 171: POESIE 1977-2001

in sogno ho un borgo di coralli e d’oro,

brulicante di pesci e laboriosa bontà,

perché il dare illumini più che l’avere.

II I GIRONI DEL PRINCIPIO

Laggiù è la chiesa del Principio

dove la lava s’arrestò all’altare

e l’acqua scorrono invernali a mare

con incendiaria voglia di pulizia.

Romano, il beato

rianimò di culto la luce divina

e a strati si scoprì l’essere

con la paura buia del Vesuvio.

Brulicava l’ordine del corallo

e la divisa città dai vicoli laboriosi

ascese col ronzìo delle preghiere.

Martoriata speranza, per te s’elevi

un grido a trasmutare la grigia

ansia torrese in una gioia indorata.

III LA CAPPELLA DI S. BIAGIO

Page 172: POESIE 1977-2001

Torre mi s’apre dal basso, le rotaie

Incrociano le piramidi della cappella,

nere come l’inferno che ci possiede.

Ci fasciano a migliaia i garofani,

svettanti dalle precarie serre,

su di un mare di polipi e telline.

Non del prete ma del popolo è s. Biagio,

meridiano patrono delle coste infide,

visitato da trepide gole oranti.

Dappertutto un furore possiede lo spazio,

qui, sulla tua porta chiusa, formiche

assaltano molliche intrise di olio.

LA MASCHERINA DELL’ECOLOGISTA

Arruffata, sbiancata amazzone

occhi teneri, sfuggente

in negozi trafficante.

Apocalittica sfoggi

una mascherina a regale distinzione,

terribile fra noi e il benzene

Page 173: POESIE 1977-2001

che, monatti, sfidiamo.

Calco di Pulcinella, la tua ingiuria

fa meditare sull’insalubrità,

fra noi e carrozzine ignare,

esile Cassandra.

1994

IV M’ E FATTE NA FATTURA

MO’ E TANNE

Mo’ ch’hanne auzàte a diga

- Na bagnarola senz’acqua –

nun v’accurgite ka cchiù lacreme

nce so’ nda ù paise

ca nda quera ramera

grigia ca s’apre ‘o sole cchiù tarde

e appaùra quere r’ i Mastevitilli.

I pernice re Uocchie

so’ nghianate cchiù sopa

e nu scheletre re fierre s’allonga

cumm’a na serpe rossa ndo uaddone

mentr’ìje me gire sperse nde nure

re vie e nun pozze ra nu passe

came kàrene nguodde facce e parole.

Cumme quanne criature attanema

me purtava sopa ò bastone

Page 174: POESIE 1977-2001

ra bicicletta a scola r’i Ginestre.

Cunte e parole ne mparaveme

E sciemme nda nu prate a fa a lotta

Pe’ vence nda vita, sempe , cu vuluntà.

Nui, i fatehature ra speranza.

1992

ESERCIZIE IN “ SC”

“ …e scarpisciata vole ”

Scamava na schetta ca se cunsulava

schitte cu Scinauarie u scarpare

e se scarrupava a purtarèncisi na schana

cu nu sceccu ca se scurtecava

vicine ì scineste.

- Pozza schattà, sta scuncinziata! –

ngi hìrrahe addurete a migliera

cumm’a na scuppettata,

pe nun passà pe scurnacchiata,

edda ca se tenìa ascuse

nu scianare sciammerecate.

2000

SIERPE

Sièrpe, atturcigliate pensière,

so’ asciute ndo paìse re l’anema

e nun pozze chiù respirà

Page 175: POESIE 1977-2001

nda tutte quiru verde assulàte.

Cu l’uocchie e tanta ngiuce,

m’arravogliane i disgraziate

facenneme caré nda nu puzze

scure raddò sente i reste

re chi me vole male scuntruse

e m’arruveglie e me strenghe

ò liette pe nun caré nda ssu burrone

addò strisciane nìhure i scurzune.

ROSA R’ AUSTE

A rosa r’auste l’affascenava.

Attànema a nui, ca n’erame appena auzate,

na facìa vré cumm’a nu trufèhe

nde mmane argillose e a contentezza p’a fatiha

ca l’aria campagnola raie a la vita.

Citte citte, a pusava

n’faccia a mamma morta,

re fronte ‘o cannelière,

nda cucina e nchianava sopa pe se lavà,

addò a luce aràpe mbruoglie re pelle

e te scuorde r’ addummannà fessarìe.

Page 176: POESIE 1977-2001

M’a venniètte quera terra. Na nuvola re dolore,

strusciètte ndo casine

re Napule quire trenta solede.

Angora a mmente tornane geste,

né n’acqua re magge vene,

nda nu lampe, p’arrracquà quire surke.

1998

AGGRUVEGLIATE CUMME NDA NUTTATA

Adattamento da Paul Celan,

Nachtlich Geschurzt (Arricciati come a notte ) (1955)

Aggruvegliàte cumme nda nuttata

I llabbre re certe fiure, tutte

Page 177: POESIE 1977-2001

ncruciate e ncatastate

I rame re l’abete,

aggrigiùte u mùsckie, smuvùte i prète,

revegliàte nda nu vole ca nun fenèsce mai

re cuorve sopa i nevère:

quiste è u paìse addò campane

quire ka l’acchiàppane sempe addurète:

mo’ nun’ hanne alluccà nu nome,

nun se mettene a cuntà a neve,

nun n’hann’accumpagnà l’acqua fin’a chiusa.

Càmpane qua separate ra u munne,

ognarune chiuse nda notte sua,

ognarune ammantellate nda morte sua,

strafutténnese, a cape nura, nda brina

re quire ka è vicine o ka è luntane.

Scòntane r’esse nate, a colpa re l’origgine,

a pàhene pe na parola ka nun c’avera esse.

Quera parola tu a sàie: ammìria,

ka è cumme n’ umicìrie.

Ma mò, a vulime lavà e luvà,

a vulimme girà, ku na mane r’amore,

verse u cièle?

Page 178: POESIE 1977-2001

1996

d

a : Poesie, Mondadori,1998, p.210-213

ANNOTAMENTI

Lamentazione per un testo ( p. )

E’ un testo privo di metro ma pieno di connotazioni devianti. La lamentazione

allude ad E. De Martino ( si parla di lutto nella chiusa) ma il testo rimanda alla

fine di una certa scrittura, che qui si contesta proponendo una poesia agglutinante

e che proceda per contraddizione. Le “ rime apparse” ironizzano sul Petrarca,

maestro della tradizione lirica italiana, e l’invettiva rimanda al titolo di un

libro di D. Bellezza. Il “ cadavere squisito” è immagine surrealista,credo di

Breton. Il discorso sulla follia è quello di F. Basaglia. Il tutto viene accostato e

rimuginato secondo il pensiero libero e associativo del momento.

E’ il testo d’apertura, privo di metri ma pieno di connotazioni devianti.La la

tentazione. La “ strutturella” è un’ironia verso lo strutturalismo, a cui però

attribuisce spessore gnoselogico. Il “mitarsi del serpente nei gabbioni” è l’ unica

immagine realistica, la spoglia del serpente la ritrovavo nelle pietre che fungevano

da argine al fiume Agri, nel frutteto di Rofano. I versi sono a tutto fiato, di una

libertà forse eccessiva e di tipo narrativo.

Luisa,demoiselle d’Avignon, dei Quartieri ( p. )

Poesia urbana, napoletana.Ho vissuto per tre anni al Vico Consiglio, in una mansarda

piccola ma terrazzata,al lato dei Quartieri Spagnoli, che degradavano a Piazza

Carità.La sera gli studenti passavano nei vicoli delle prostitute, insieme a soldati

americani e ben dopo gli impiegati di Via Toledo. L’inventata Luisa è ricalcata sul

corpo delle ragazze di P. Picasso. In realtà qui erano anche mature, asmatiche, con

utero infantile o no, sbrigative ma ossequiose del miracolo che era la gioventù

istruita.

Questo testo piaceva a G. Mazzacurati. La prostituta vien presentata in maniera

positiva ma è come se la si guardasse dall’interno,diviene una caverna carsica.

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Il Tempo trascorso ( p. )

Poesie fra le prime, dove si mescola la riflessione sull’incedere del tempo con

quella sulla madre. E’ d’ascendenza ermetica.

Militare a Pietralata ( p. )

Ho assolto il servizio militare fra l’ottobre 1972 e il dicembre 1973, per tre mesi

a Sassari, poi a Roma Pietralata.E’ una testimonianza d’esperienza, scritta nel

1973.

Chiesa di S. Gianuario (p. )

Uno dei documenti medievali più affascinanti per il nostro immaginario. Il poeta è

un uccello che gira con lenti cerchi su quel panorama collinare ed addolcito dal

verde e dalla luce leonardesca che tutto permea.

La vita in paese ( p. )

La vita viene sentita come una mancanza di pienezza, dall’adolescente inquieto.

Questa è visione dall’interno.Con una nota di pessimismo che è tipico della “

miseria culturale” e che va o andrebbe rovesciata. La donna del dialogo è

immaginaria. Tormento e febbre è la vita dell’adolescente.

Il ritorno degli ulivi ( p. )

E’ del 1975.I fuochi di s. Giuseppe, col finale di patate bruciate nella cenere

e vino beneaugurante.Fantastica è la presenza di D. Crocco, che operò in altra zona.

Il massaro è nonno Antonio, che da giovane viveva alle Tempe.

La mediazione politica (p. )

La vita politica e quotidiane aggressioni fra i pretendenti al potere locale

costituivano il vissuto di chi è sempre stato definito “ il figlio del sindaco” .E

arrossiva a tale denominazione. Certo ho sperimentato l’odio, l’invidia perché sempre

la situazione dell’altro ci sembra più desiderabile, l’aggressione più che le gioie

deella politica, la soddisfazione per la realizzazione d’un bene comune. Anche

questa poesia risente del pessimismo degli anni Settanta, con la crisi socioeconomica

che dilaniava il tessuto sociale. Altra storia nascerà dopo il sisma del 1980 e più

ancora dopo il 1990 ,a ricostruzione quasi compiuta , per la metanizzazione e la

scoperta del petrolio. Allora l’ideologia democristiana celebrava la società del

tempo come il migliore dei mondi possibili, per cui il richiamo è a Leibnitz. La

partita chiusa è pessimismo che, in certo senso si contrappone a R. Scotellaro ed al

suo grido ottimistico di : “ è fatto giorno”, pieno di speranza per l’uscita dal

dopoguerra e per l’attuazione della Costituzione.

Dall’unione col proprio tempo ( p. )

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Testo costruito ironicamente con lacerti del linguaggio televisivo e ridondanzedegli anni Settanta. E con spezzoni di brani di giornali, ricuciti per ottenere un

effetto straniante. Mi sembrava l’operazione di E. Pagliarani. Il poeta, però,

intende continuare a vivere in sintonia con il “ proprio tempo” . La visione

storicistica si fondeva con una teoria dell’impegno, tipica del sessantottismo. Si

avvia l’alchimia sperimentale che vari trucioli e materiale rifonde in un testo, in

una nuova spazialità.

Satira prima ( p. )

La poesia è una sorta di satira contro le contraddizioni della modernizzazione, che

sradica i contesti comunitari. Vi è un umanesimo politico, che si fa denunzia delladisgregazione e un invito alla lotta ed alla vigilanza, unendo marxismo e

cristianesimo. E’ del 1975.

Gli abissi della palude ( p. )

La palude è metafora eletta di E. Sanguineti ( la “ palus putredinis”) . Vi è come un

sogno o incubo di sprofondamento o ritorno nell’utero materno. Anche la forma è

neoavanguardistica, con imitazioni di suoni. E’ del 1975.

Il relitto magico ( p. )

La poesia, di forma narrativa e con intarsi di vario materiale, presenta brani o riti

di antropologia ( E. De Martino, C. Levi) con l’immagine di Rocco (Scotellaro) e poi

di nonno Angelo Caprio, che morì per un’iniezione di petrolio che gli causò un tumore

alla milza. Dal malocchio che porterebbe via il latte alla madre, contro cui si

ripetono croci, si passa al rituale contro le possessioni diaboliche. Con tecnica

surrealista si associa materiale incongruo ( clitoride,sacrificio, processetti

archivistici) , producendo un non- senso comunicativo ma lampi di libera

associazione mentale. La visione di quadri di S. Dalì potrebbe aver esercitato una

certa influenza.

La vocazione dello storico ( p. )

Riflettendo sul lavoro della storiografia socioreligiosa ( archivi,

preti,decristianizzazione, permanenze, folclore) si produce un testo di puro

rimescolamento, una sorta di poltiglia linguistica, dove le parole sono agglutinate

in libertà.

Le figure della storia ( p. )

Ulteriore crogiuolo di incongruità, a partire dal fare dello storico (stregoneria,

Diderot, Levi, testamenti di Carnevale).

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Lei ( p. )

Testi scritti per una donna che avrei dovuto incontrare ma che qui rivive nell’attesa

del desiderio. “Vera” fu inesistente, anche se è un po’ la mia “ Beatrice”. Potrebbe

esservi un influsso di D. Campana, che lessi in quel periodo. Sono un caleidoscopio

del desiderio , del tutto irrealistico ma espressivo di una immaginazione giovanile.

E’ del 1974.

L’intellettuale meridionale ( p. )

E’ un ritratto dall’interno, con lamentazioni ed esaltazioni. Vale come esperienza

vissuta, non come progettualità o analisi.

Testo n. 1 (p. )

La pratica neoavanguardistica qui è fusa con immagini surrealistiche, forse anche un po’

alla R. Magritte. Sembra la trascrizione di un sogno. Tutto appare fondato sul non-

senso.

Nuova edilizia ( p. )

Tutti i paesi hanno prodotto un doppione. In qualche punto, si tenta l’edificazione di

una città, come se questa fosse un derivato dall’aggregazione di case- cemento.

L’edilizia raffigura il nuovo che emerge agli occhi accanto e come rimodellamento

dell’antico.

Testo n. “ (Aspettando le volpi ) ( p. )

Vi è un posto a Marsico, detto le Raje, dove andavo con mio padre, negli anni Cinquanta,

all’alba, ad attendere il rientro d’una volpe alla “ caforchia”. Da questa prima

immagine, la poesia elabora una meditazione ulteriore: una certa difficoltà del

giovane a vivere; l’accidia pomeridiana; la volontà di rompere una disamata

socialità. Più che un pessimismo o la ribellione vi leggo l’effetto d’una lucanità a

sfondo nero, demratiniana, da miseria psicologica , contro cui si ergeva e dilagava

la contestazione giovanile.E’ del 1974.

La lettera del poeta ( p. ) Sarà da rintracciare ( su di un giornale come “ Cronache di Potenza” ? ) una lettera di

Pascoli sul suo periodo materano.All’amico il Pascoli scriveva di aver trovato in

Basilicata gente comune, di aver visto che si vola basso. E direi, inoltre, quante

affinità si potevano rintracciare in quella cultura materiale e simbolica e

paesaggistica così analoga alla Romagna! Da quella lettera ho imbastito una serie di

immagini, con la speranza di far fuoriuscire anche l’affetto che ho per Pascoli,

maestro di stile se non di emozioni. E’ del 1974.

Page 182: POESIE 1977-2001

Napoli ( p. )

Napoli fu terra di contrastata libertà, senza più vicinato ma senza relazioni

stabili. E’, poi, d’una calura appiccicosa, spesso per noi insopportabile. Il resto

lo faceva il desiderio sessuale che qui ha punte esibizionistiche ma che, anch’esso,

era fantasmagorico più che soddisfatto. Come è difficile l’educazione alle relazioni

umani, che nessuno cura con intenzionalità. E’ del 1975.

Per Pablo Neruda ( p. )

1973, Trastevere, un incontro per il Cile di Allende. Leggevo dalla mole del “Canto

generale” ( mi pare della Sansoni) e ne coglievo poca poesia ma molte suggestioni e

travisamenti. Ci si riteneva impegnati in una lotta contro l’imperialismo, visto come

un polipo che soffocava tutti nei suoi tentacoli, integrandoci in “ una dimensione”.

Confronta “ Ancora su di una Roma”.

Il contadino sognante ( p. )

Un ritratto del nonno paterno, un buon contadino, che trascorse settanta anni al paese

e due nella guerra contro l’Austria. Lì perse una gamba, per cancrena, e portava una

protesi, di legno rozzo. Lavorò nei campi fino al 1960, quando un ictus lo costrinse

alla sedia. Morta la nonna Giovannina, nel 1968, venne a vivere con noi al

Portello,divenendo compagno di carte e parco di consigli .I contadini rispettavano

gli studenti e riconoscono il valore della cultura, che passano al vaglio della

propria esperienza umana. E’ del 1972.

L’ albanella ( p. )

Dedicata al poeta G. Cesarano, presenta una femmina di falco o simile ( o una donna

falco o un’Arpia benevola ? ) svolazzante sul vuoto dietro la cattedrale e l’Agri.

Poi esprime il contrasto fra la gaiezza dell’uccello, il furore del poeta e la

fariseicità degli inseguitori del denaro. E’ del 1975.

MIA MADRE ( P . )

Vi è un richiamo a G. Ungaretti ( “ come mi illumina / l’ombra …”). L’utopia di

una vecchiaia che consenta un ritorno alla innocenza dell’infanzia. E’ del 1974.Scomposizioni ( p. )

Gnomicità varia e condizione giovanile. Avevo letto il saggio di J. P. Sartre su

Baudelaire, ero intrigato dalla relazione madre-figlio e gelosia. La creatività può

nascere dall’odio, anche se comporta l’accettazione della sofferenza per il poeta-

uomo. E’ del 1975.

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Ancora su di una Roma ( p. )

Esprime una situazione analoga a quella di “ Per Pablo Neruda”, è del 1973. In più

presenta la condizione “ militare”, vissuta fra Pietralata, i bus verso la Tiburtina

e Via Nazionale.

A Vito Riviello ( p . )

“Il rovescio della pelle” era un testo di “poesia contro “ ; era un libro urlante,

perché sperava di attirare l’attenzione .Pertanto vi era una vis polemica contro

molti. La polemica linguistica, forse, qui opera con maggiore forza rispetto allatensione verso la bellezza. Non sfuggì Riviello, grande poeta potentino e romano, a

tale clima, che ritrovo nella poesia che sembra dettata da un animus contestativo ma

contiene altre motivazioni. In realtà, Riviello è stato,fra 1968 e 1972, per noi

giovani un modello, un conferenziere affascinante, un poeta amato e ricercato quale

maestro di buona poesia. Era un lucano che correva molto più avanti di noi e che

criticò la scelta dei disegni di G. Corrado per l’ arredo di questo tipo di testo

polemico. L’uscita di “ Premaman” fu l’occasione di un culto, una recitazione a

gruppetti per cercare di capire cosa dicesse,al di là dell’autobiografismo

mascherato. Dal libraio Riviello mi vidi proprorre T. S. Eliot nella traduzione

di R. Sanesi ( da cui qui gli “ hollow men “) ma anche l’antologia russa di A.M.

Ribellino. L’accenno fatto a “Nicaggio “ è ai beceri graffiti che colpirono Riviello

e lo spinsero, dal 1972, a Roma. Potenza non ha ancora celebrato il suo più grande

poeta del secolo. E se non ha un tale gesto d’amore una città ,cosa possiamo

sperare da un paese ? E’ del 1974.

A Dario Bellezza ( p. )

1973, Roma,fra Campo dei Fiori e Navona. A volte giravo per rintracciare Bellezza,

che due volte incontrai seduto sul muricciolo di Piazza Farnese. Ero incantato dalle

sue recensioni su “ Paese Sera “ .

La poesia inizia ad illustrare il tema dell’inappartenenza e della vitalità.

Flanerie e distacco. Nel finale riporta spezzoni da poeti francesi e sembra

alludere alla desiderata riproposizione d’una relazione forte, tipo Rimbaud-

Verlaine. Esprime il sogno d’un incontro.

Claudia con le femministe all’Instabile (p. )

1975, Napoli, Via Martucci, Teatro Instabile. Una conferenza,fra le tante, una

sconosciuta ( qui detta “ Claudia”), che diviene il “ tu” a cui attribuire le

discussioni del tempo, dal teatro di C. Bene (conoscevo meglio la “ Salomé”

cinematografica) all’uso della contraccezione, che un poco ci escludeva e

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preoccupava. Saliva il potere e sapere femminile. Come un santo ,però, o come un

idiota, attraversavo queste discussioni e serate sulla liberalizzazione sessuale

restando puro ed automarginalizzato.

Carla (p. )

1975, Napoli. L’incontro con Carla , fra Corso Umberto e Montesanto, segna la

svolta dell’amore pulito e colmante. Le poesie non sono, forse, all’altezza della

profondità del legame, ne testimoniano frammenti d’essere.

Pomigliano d’Arco ( p . )

Mi trovai qui una sera, in attesa d’un treno per Napoli. La poesia riflette la

dinamica città- campagna . Inoltre la periferia napoletana rivelava il suo orrore

urbanistico, che ancora dobbiamo trasformare in cultura accettabile. La Madonna

dell’Arco è lì vicino. La pendolarità e l’anonimato di massa rendono triste la

condizione umana che qui si registra, senza imbellettamenti. E’ del 1975.

L’Alfanebetismo di una intellettualità più forte.

L’acqua, cara memoria ( p. )

Partendo dalla morte di un Levi, si avviano simboli come l’acqua e la memoria di

inquisizioni ecclesiali fuse a pranzi eccessivi e contrasti di costumi. Sembra la

trascrizione di un sogno, con le sue immagini slegate rispetto ad uno spazio-tempo

organizzante.

Moritoio marginale

I – II - III ( p. )

Gusto della gratuità d’accostamenti, teso a gratificare l’intelligenza operosa del

lettore. Vi scorgo un richiamo ai surrealisti e alla neoavanguardia che celebrava

le slogature del discorso, un parlare non omogeneizzato, una messa in luce dei

significanti. E poi vi è il gioco di non ( p. )1974- 75, Secondigliano, tempo della lotta all’analfabetismo. E’ un documento,

assiepato di situazioni e dati di vita. Testimonia il disagio esistenziale e non si

propone una bellezza estetica. Vi è l’orrore allo stato puro per i fenomeni umani

all’interno d’un’urbanistica come la “ 167” . E io che vi piombai ignaro con nella

testa tante teorie pedagogiche e filosofiche e di politica sociale. L’Aleph rinvia a

Borges più che all’ebraismo, viene ricollocato in un ambiente orrido a contrasto fra

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cultura e barbarie urbana. L’assenza di vincoli familiari e la perdita dei valori

rurali sospendevano la mia personalità che rischiava di perdersi in un ambiente in

comprensivo, dove dilaga la mercificazione, anche del corpo ( qui per sfottò

urbano ).Vi è un’alterità di sguardo e partecipazione rispetto a P. Pasolini .

Lamento per Carlo Levi (p. )

Si rimescolano esigenze diverse: un omaggio a C. Levi, il lamento funebre ripreso da

E. De Martino, la ricerca riconoscimento rispetto alle attese dei lettori: l’

“Ortis” di U. Foscolo è qui un “ fagiolo”. Un allineamento di sostantivi suggerisce

quasi una colata linguistica.

Le parole ( p. )

Una sorta di poetica in cui affiorano concetti psicoanalitici e un uso linguistico

della deviazione dal senso comune. E’ del 1972 , rinvia,imperfettamente, agli “

strumenti umani” di V. Sereni, composta nel periodo militare, venne suggerita dalla

lettura di brani d’estetica ( Schiller ? ) .

Notturno ( p. )

Concepita nel 1973, mentra a Roma ero di guardia come militare ad una deposito di

nafta. Anche qui vi è un allineamento di immagini e di sensazioni che sono

rimescolate con richiami filosofici ( Husserl e il Sé ), anche alla crisi della

ragione.

IV - In putrefazione ginestre sui calanchi ( p . )

Una assiepata agglutinazione di sostantivi in cui tracima lo studio storico della

chiesa ricettizia ma anche la polemica sulla poesia del paesaggio, infatti le

ginestre ( dopo Leopardi) appaiono in putrescenza. E’ del 1977.

Quotidiano nonsense ( p. )

Accostamenti di sostantivi. Pur apparendo un “ non senso “, la poesia registra

situazioni come la vita dei giocatori che consumano il tempo, gli studi storici,

( cartolari, pastore d’Anglona). Il richiamo ai briganti è fuso con il matematico

Boole. E’ del 1977.

V – Le lettere persiane una boutade dicevi ( p. )

Lo stile procede per un baluginio di frasi. Qui è il contrasto fra noi e gli altri a

dominare il testo, una riflessione sulla distanza.VI- Nipotino di Rousseau… ( p. )

Page 186: POESIE 1977-2001

Qui si compie un’identificazione con Rouseau, nella sua polemica piccolo- borghese

contro i nobili. Continua la confusione fra queste tematiche alte ed europee con la

lucanità presente in Aliano, per cui la cronaca si mescida alla lotta democratica,

non priva qui di utopismi. La Basilicata è inserita in un dibattito europeo; si

tratta d’un’esplicita rivalutazione ed ascesa culturale.

VII – Gli ippocastani adornano con passeri ( p. )

Vegetali ed animali arredano il paesaggio meridionale, in cui affiora il medioevo,

la leggenda della chioccia dalle uova d’oro nel castello dei Sanseverino e il potere

democristiano.

VIII – Oh gallo speranzoso ( p. )

E’ del 1975, un’invenzione a partire dal gallo mattiniere ma simbolo ambivalente di

ombra e di luce, di vita e di morte.

IX – Parco cultore… ( p. )

Quasi una poetica, non priva d’estetismo, in cui si celebra l’aristocraticità della

poesia. Si riprendono atteggiamenti teatrali alla Carmelo Bene o raffigurazioni alla

Beardsley. E’ del 1976.

Fuoribattito ( p . )

Ancora la poesia è un cantare fuoribattito , fuori dal coro , metafora

dell’omologazione.Nella sezione, composta di sette quadri, ritroviamo la velenosa

polemica verso l’ambiente lucano ( visto negativamente ( invidia, odio,critiche

immotivate) . Vi è il solito rimescolamento con situazioni classiche o letterarie.

Il titolo allude alla ricerca di originalità che era teorizzata come un compito

specifico del poeta, al calpestare erba per un sentiero futuro, possibilmente non

sbarrato.

Nel testo n.3 appare con incisività il passaggio da contadini a impiegati. E’ la

tematica dello spaesamento. Quella che Riviello chiamava una “ città fra paesi”

( con tanto di augurio più che come constatazione) si mostrava a me anche come un

non-luogo o la cittadina d’una trasformazione antropologica cocente. Il testo

evidenzia una tematica sociale. E’ tutto del 1977.

Nel testo n. 4 siamo in immagini che si collocani fra van Gogh e Bacon; nel n. 5

Carmelo Bene , attore

della “ Salomè” è fuso con gli infantili ricordi del circo e dei carrozzoni per la

festa , vissuti come alterità scostumata , eccitanti una fantasia alla F.

Page 187: POESIE 1977-2001

Fellini. Il n. 5, 6 e 7 costituiscono una trilogia di ritratti di meridionali nel

periodo della trasformazione e della “decomposizione” della società rurale .

Cantina ( p. )

Testo più classico, scandito in quartine ipermetropi o varie sulla parte più “

bassa” della casa paterna. E’ del 1978.

Testi paesani ( p. )

Testi composti secondo la moda della neoavanguardia, secondo il gusto dell’antologia

dei “ Novissimi”.

Accumuli di nomi in cui si rimescolano letture , associazioni di idee, tese a

spiazzare la comunicazione

quotidiana e presentare un manufatto linguistico incredibile ed ineffato. E’ una

forma di poesia come

“pastiche “.

Il vescovo Bertazzoni …( p. )

La religione popolare, descritta nel primo verso come di tipo magico- apotropaico,

si lega all’immagine della Madonna di Viaggiano, molto amata nella val d’Agri e non

solo. La scena finale della visita pastorale dell’anziano mons. Bertazzoni , fine

anni Cinquanta, allude ad un’osservazione realmente pronunziata circa la scarsità di

frequentanti la comunione. Marsico era allora un paese socialcomunista e perciò per

il prelato conservatore “ di pissidi vuote”, con scarse ostie da distribuire.

X – Se giovane ancora …

Una specie di epitaffio ma dal tono sognante e movimentato come un quadro di

Chaggal, con certa enfaticità. Nel titolo vi è un interno rinvio al “ Dimenticatoio”

di L. Sinisgalli. La labilità umbratile della vita viene, quasi per concettuale

ossimoro, pietrificata nelle parole, che possono durare, loro sì le vibratili, più

delle esistenze concrete.

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TESTIMONIANZE

DOMENICO GRASSO

PREFAZIONE A “ IL ROVESCIO DELLA PELLE “

Antonio Lotierzo è il più bravo poeta lucano della quinta generazione,

per strutturazione formale e ampiezza di contenuti umani. Per

componimenti perentoriamente freddi e tecnicamente impietosi e crudeli

e per la iniziale lucida ristrutturazione di contenuti già ampiamente

lacerati e scomposti. E’ un poeta che parla due linguaggi, dimidiato

com’è tra l’attaccamento alla cultura contadina e le lacerazioni di

quella metropolitana; a tale carattere bifido, chiaramente indicato,

del resto, da “ Il rovescio della pelle”, dal passaggio, cioè, dai

mondi della giovinezza al cerchio dell’età adulta, corrispondono due

modi di approccio con le cose nettamente definiti, in simbiosi, in

contrasto: l’uno, di derivazione “classica” , si sperimenta su

universali che sono luoghi del rimpianto e, nel contempo, capaci di

mantenere alto e leggero il tema medio-grave della terra è di

simboli che ne “ Il contadino sognante” trovano il più

bell’epitaffio; l’ altro, posteriore logicamente ma temporalmente e

poeticamente in sincronia col primo ( “ le ultime esperienze non

frenano / l’oscillare periodico del cuore “) non nasce

dall’oggettivazione del ricordo, dal divenire nel non-movimento del

proprio pendolo lirico, ma da una fiducia complessa negli itinerari

dell’esistere, grazie alla quale non si rifiuta, per esempio, il

rischio di scrivere con “ appassionata ragione” ( ma in verità sempre

col margine di un distacco affettuoso) su Pablo Neruda come sulla

pubblicità di una compagnia di viaggi e si pone sullo stesso piano

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l’eloquenza, la forma chiusa, il lapsus linguistico, l’ccasione, la

meditazione.

Il rilevante potenziale di Lotierzo è, in effetti, l’enorme

disponibilità ad acquistarsi tutto, a lavorarlo ( e quindi lievitarlo,

ridurlo) fino all’estremo limite ( che è poi il più deciso programma

di partenza) di non aver “ più critica nel cervello che per l’usuale”.

E’ questo, mi pare, il centro radiante della raccolta, il punto cioè

in cui Lotierzo, transfuga attraverso le “terre di conquista e ( i )

servi della gleba” di un’educazione sentimentale esercitata su Levi,

Scotellaro, De Martino, dopo aver tumulato un Anchise “ gocciolante

paterna urina” e la sua “ oscura eredità / anzi interna di gesti”),

trascorre nella “ medierà affogata nell’incuria senza miti della

ragione” che ha progettato la demente ovvietà dell’omologo, seriale,

ripetibile. Il logos che produce l’irrazionale quotidiano trova,

pertanto, il suo gemello in un linguaggio contorto, vizioso,

ostentato, suscettibile, accademico, delirante nella lucidità che fa

salire a galla la masserizia della speculazione edilizia, degli

svizzeri che negano il credito, del sangue di maiale avvizzito, delle

esperienze universitarie, in una “ frenesia” che trova pause solo in

alcuni testi di esercizi e figure su donne. Si potrebbe certo

indugiare sul sociale di Lotierzo ed individuare in lui, come si

autodefinisce, piccoloborghese salariato di stato che vive in una

testuggine di compromessi sognando i maledetti e i diversi, le nostre

contraddizioni recenti ma, inserendolo nello scivolo dei massimi

sistemi, sarebbe come liquidare lo stimolo della sua tensione. Si

vedano gli splendidi ‘ alafanebetismi’, “ Dall’unione col proprio

tempo “, o, ancora, le trasferte poetiche a Roma, Napoli, Pomigliano

D’Arco: ambienti tipici della condizione dell’intellettuale

meridionale che eredita il regno delle due Sicilie ma che vorrebbe

Page 190: POESIE 1977-2001

investire nell’Alfasud, trasformare le città-confine dove i suoi padri

sognarono l’america degli Stati Uniti. Il “blablaterante

soliloquio” di Lotierzo, la sua logolalia, si dichiara subito, anche

nei calcoli retorici, e va visto pertanto come un metodo, un modo

intelligente di essere folli.

E, cioè, il pretesto, la maschera per passare inosservato e misurare i

circuiti della follia collettiva con i propri, il che porta poi alla

delusa constatazione che, purtroppo, “ la follia degli altri non rende

migliori”. E’ naturale a questo punto domandarsi come si inserisca

il fatto poetico in tale sistema. Come “ gioco finito senza stabile

inizio”, naturalmente. E anch’esso pretesto e, in quanto tale, implica

un fine, un progetto; rendere la poesia antagonistica del reale non

già attraverso il sogno ( che non è necessario se il reale è un

incubo! ) ma come azione che, imitandolo, “ rovescia” e dimostra il

reale, “ contraddice con la verità”. La combinazione del libro, un

altro registro nascosto, è infatti nei due famosi passi di Hegel cui

si collegano, quanto al modo della visione o conoscenza , i testi “

dotti” della raccolta nonché le varie citazioni ed autocitazioni, da

“ L’intellettuale meridionale” a “ La vocazione dello storico” fino

all’indovinatissima “ La lettera del poeta” , testo che colpisce

affettuosamente al cuore l’universo culturale in cui il poeta è

divino, il filosofo è Dio, e grazie al quale, in barba al buon Apollo,

il salto mortale si riduce all’elementare struttura del capitombolo

complicato.

In ciò è anche l’autocritica di Lotierzo; un momento fermo e

conclusivo che sollecita, specie nel lettore, una risposta o

quantomeno a non nascondersi dietro gli occhiali.

(Napoli - Monte di Procida, ottobre 1976)

Page 191: POESIE 1977-2001

GIANCARLO MAZZACURATI

POSTFAZIONE A “ IL ROVESCIO DELLA PELLE”

In questa prima raccolta di Antonio Lotierzo, narrata in filigrana

dalla scansione autologica nei due tempi ( “ La formazione

provvisoria”, “ La ragione appassionata”), si addensa una vicenda

quasi trentennale di echi.

E’ il connotato dominante di molti esordi appartati, questo emergere

dalla corrosione di una sottile crosta mimetica che li avvolge come

una matrice. E tanto più se questi echi ( Scotellaro,Sinisgalli, tra i

più ovvi) tornano a rifrangersi sopra un terreno sociale che ancora

tende a richiudersi, dopo ogni sobbalzo, sui propri archetipi,

producendo vicende che sembrano dominate da un viaggio più lento e

ripetitivo del tempo.

La lucania, la solitudine, il rito, i cicli familiari, le orbite

stagionali della protesta breve e intensa, i lunghi intervalli di

silenzio che lasciano affiorare volti secolari. Ma già qui, nel

ricalco provvisorio di una genesi non immediatamentee accantonabile,

la passione civile si fa strada attraverso il diaframma dell’elegia,

con una punta che pian piano la svuota e la ribalta, ne rifiuta i

risarcimenti, la riconsegna alla condizione ideologica del passato.

Questa punta ha un nome generico, ironia, ed una specifica condizione

conoscitiva, che è la distanza crescente che Lotierzo pone tra la

vecchia forma da cui egli pure emerge e la realtà diversamente

contraddittoria delle aree urbane che l’esperienza successivamente

incontra.

Page 192: POESIE 1977-2001

Questa realtà, la sua forma composita, la sua diversa disgregazione, a

sua volta scompone però la vecchia maniera, non le consente di

rinascere più con l’aura della nostalgia o del rimorso. L’ uscita

dal circuito non è, dunque, come accade spesso, una rarefazione o una

censura definitiva della sua realtà: dove per altri la terra d’origine

è rimasta come forma allogena, espulsa dal tempo storico e reintegrata

nel tempo e nei filtri della memoria privata, vagheggiata per

sembianze edeniche, nelle poesie (specie nelle ultime) de “ La

ragione appassionata”) essa torna proprio come mito da scomporre,

come territorio reale che lo spazio nuovo della funzione poetica non

accantona ma assume nella sua specifica storicità. A partire

ovviamanete dal livello del linguaggio, dalla sottile aggressione

all’uso antropologico dei miti e delle società “ naturali”, a aprtire

cioè dalla culturalizzazione consolatoria della separazione e della

subalternità: che l’ultima sezione variamente irride ed esorcizza,

componendo le sue formule, i suoi reliquiari, dalla distanza di una

diversa ipotesi di conoscenza. ( 1976 )

CARLO FELICE COLUCCI

Il rovescio della pelle di Antonio Lotierzo

Questa sobria silloge merita di essere segnalata per la sua buona

tenuta stilistica e la chiarezza e plausibilità del dettato . Un

costante senso della misura e del ritmo permea la maggior parte dei

componimenti, dando una sufficiente “naturalezza poetica “. E poco o

Page 193: POESIE 1977-2001

nulla, quindi, appare l’ operazione culturale. La manipolazione dei

materiali lessicali e sintattici, pure presente , passa quasi

inavvertita spesso anche laddove vengono usati lessemi insoliti o

trasformati. Tuttavia non sempre certi neologismi e deformazioni del

lessico si rivelano plausibili e funzionali in senso lirico. Finendo

anzi col dare un lieve fastidio.

Il discorso è in genere limpido, lineare, mira abbastanza dritto alla

sintesi ed al risultato, senza soverchie

sbavature, frange più o meno retoriche : “ Abbiamo sventrato montagne

insanguinate / dal passato, per

erigere una città sul borgo./ Fascio di luce che inchiarisce il

cemento / giallo vivo del pioppo in rigenerazione./ Non sono più

nulla i monasteri / riavvolti nella nebbia sulla collina./ Il resto è

movimento, / anche la foglia è ancora più in là / in quest’alba

d’edificazione / quando dimentico i silenzi negli uomini / e m’afferro

solo al futuro” ( da “ Nuova edilizia”) .

Il linguaggio è vivo, pregnante, non di rado perentorio ed icastico

fino alla protesta ed al sarcasmo. E l’esperienza poetica appare ben

radicata in un dolente e sofferto presente storico: dove non resta

spazio ai compiacimenti idillici od elegiaci. Sicché il ricorso alla

memoria non prevarica mai ed anche certe cadenze evocate dalla

nostalgia, dal sentimento un po’ più scoperto mantengono quasi sempre

una loro efficacia giustificazione lirica. Si può perciò

ragionevolmente supporre che ad una tale prova, piuttosto apprezzabile

, ne debbano seguire altre migliori: in grado di rivelarci

un’accresciuta maturità artistica, una più assidua essenzialità.

- da : “ Nostro tempo “ , apr-giugno 1978, pag. 21.

Page 194: POESIE 1977-2001

CARLO TABILI

IL ROVESCIO DELLA PELLE

Intenzionalmente più ambiziosa e più complessa la poesia di Lotierzo,

poeta lucano, in bilico tra l’attaccamento alla cultura contadina

delle origini e le seduzioni e lacerazioni di quella metropolitana e

d’avanguardia.

Ai due momenti ideali della giovinezza e dell’età adulta corrispondono

due linguaggi e modi diversi di approccio alle cose: l’uno di

derivazione classica che trasfigura nel rimpianto e investe di valori

etici la figura del nonno contadino, la terra e i suoi simboli;

l’altro che lo conduce a scrivere con “ appassionata ragione “ sui

vari aspetti del reale. Ma il reale per Lotierzo è un incubo, e il

suo progetto è quello di rendere la poesia antagonista del reale come

azione che, imitandolo , lo rovescia e lo dimostra, “ contraddice la

verità” : di qui quel suo “ blablaterante soliloquio “ che vorrebbe

essere un modo intelligente di essere folle.

Forse per Lotierzo la razionalità e l’assurdo non sono di per sé

categorie antiborghesi, così come non è irrazionale la dialettica

marxista solo perché è un rovesciamento di quella hegeliana; ed è

tutta da dimostrare la funzione rivoluzionaria di certe operazioni

linguistiche nei confronti di un ordine borghese esso sì materialmente

costituito.

Trasferita l’ideologia in sede linguistica, l’azione sovvertitrice si

fa puramente formale, uno sterile scarico di malumori a livello

iniziatici, e non trasmette nessun messaggio a chi aspira a un

sovvertimento non lessicale o sintattico ma di classe. L’aspirazione

a una “ scrittura totale” e il desiderio di “ unificare discipline

Page 195: POESIE 1977-2001

diverse nel verso lungo” rivelano certo la tensione a un discorso

poetico sempre più ricco e complesso, ma non sono di per sé il segno

di una raggiunta maturità artistica ; e fanno pensare piuttosto a un

ambizioso e giovanile desiderio di appropriazione culturale. Resta in

ogni caso indiscutibile l’esigenza e la sincerità della passione

poetica, quella inquieta ricerca di felicità – realizzazione “ come

desiderio infantile differito e appassionata esigenza vitale “ .

- da “ Oggi e domani “, genn-feb. 1978

GIANCARLO MAZZACURATI

PREFAZIONE A “ MORITOIO MARGINALE”

Un “ moritoio marginale “ è qualsiasi luogo in cui si aspetta la

morte, scrive Lotierzo commentando il titolo di questa sua seconda

raccolta. Ma l’aggettivo specifica ulteriormente: la morte ai margini.

Di che? Di un centro che è la metropolis , la cultura europea, la sua

scienza, la sua Storia. E chi, cosa muore? Le morti che s’incrociano

in questi testi sono più d’una: quella del paese meridionale senza

più identità, quella della metropoli che erutta le proprie scienze

come reliquie di un rituale insensato; infine quella del soggetto

sradicato che assume queste due morti e le vive come un’enorme

decomposizione di parole, di gesti e messaggi consumati, nel vorticare

di una patologica anamorfosi.

Una concreta periferia impoverita, un centro turgido e astratto, un

servo contadino e un metafisico padrone urbano, una parola sempre più

subalterna e posseduta e troppe parole dominanti ma inintelleggibili:

i poli che dovevano fecondarsi nell’utopia d’un riscatto sempre

rinviato si sgretolano come detriti compositi di un fuoco spento, di

una passione che si sfalda in frammenti oscuri. Certi testi funzionano

appunto come una macchina che schiaccia e scaglia nel vuoto spezzoni

Page 196: POESIE 1977-2001

di storia contadina, reperti di teoria, critica, schegge d’altra

poesia, immagini senza più vicenda.

Ma non sono macchine convulse: le loro sventagliate hanno un ritmo di

emissioni logico- simboliche ( il flusso è talvolta parolibero) che

può scoprirsi quando il materiale ricade e nel depositarsi comincia

a delineare una traccia informe, un possibile andirivieni irrequieto

del senso, una differenza che fa da spia nella ripetizione. Come nel

disordinato rondò del V Notturno, dove l’accostamento brusco delle

parole/ metafora accennano a balbettare una enigmatica sintassi

dell’esistente, una logica del magma: tra primo e ultimo verso,

bastano alcuni spostamenti ed una nuova locuzione perché un nuovo

senso ambiguo fiorisca.

ETTORE CATALANO

LA POESIA LUCANA TRA RICERCA E SPERIMENTALISMO: ROBERTO LINZALONE,

ANTONIO LOTIERZO, ROSA MARIA FUSCO, RAFFAELE NIGRO

Con la poesia di Roberto Linzalone, materano, ci inoltriamo in quella

che alcuni critici e studiosi hanno creduto di poter chiamare la linea

lucana ironica, erede della grazia epigrammatica di Sinisgalli e della

mediazione di un poeta come Vito Riviello. Con tale definizione si

intende un operare in versi che avverte, innanzitutto, la necessità e

il bisogno di delimitare la sua eventuale ragion d’essere in modo

significativamente diverso dalla grande tradizione, sia essa quella

dichiaratamente lirica oppure quella di matrice neorealistica. Si badi

bene: ciò non per volontà programmatica o per astuzia mercantile, ma

per effetto principalmente di quel complesso intrecciarsi di processi

economici, sociali e culturali che hanno portato a decomposizione la

Page 197: POESIE 1977-2001

vecchia immagine del Sud, e, se non hanno certo risolto le sue

secolari contraddizioni, le hanno tuttavia spostate in avanti,

ridefinite in un contesto magari più ampio, perfino a Sud di nessun

Nord, per usare una espressione felice quanto esatta. L’ampiezza di un

siffatto processo non consente, tuttavia, a nostro parere, di

restringere all’ironia la varietà del campo di risposte, ma suggerisce

di adottare una strategia più adeguata al differenziato e accidentato

profilo della poesia lucana più giovane e consapevole, nella quale le

voci di Roberto Linzalone, Antonio Lotierzo, Rosa Maria Fusco,

Raffaele Nigro, le più mature e ricche espressioni di un fermento che

coinvolge anche altri operatori poetici ancora alla ricerca di una

loro cifra stilistica specifica, portano ciascuna una accentuazione di

spiccata originalità inventiva.

Quel che le può accomunare, al di là del prepotente affiorare di

personalità perfino scontrosamente e orgogliosamente differenziate, è

probabilmente l’ansia polemica del distacco, congiunta ad una volontà

di ricerca e di sperimentalismo nella quale l’identità “ lucana”

acquista, come vedremo, valenze soprendentemente ( per quanti leggono

in modo meccanico il rapporto tra testo e contesto ) sovraregionali,

poetiche in senso ormai nazionale, al di là degli steccati “ storici”

e delle imbarazzate teorizzazioni delle grandi sintesi “ letterarie”,

legate spesso alla pratica dei soli “ poeti laureati” e ancora più

spesso alle soggettive preferenze ed alle private assiologie dei

critici e dei curatori di antologie.

Il contesto storico nel quale lavorano i poeti lucani di cui ci

occupiamo in questo paragrafo è lo scenario di un reale che sguscia

tra le dita e tende ormai a ricomporsi secondo le leggi computerizzate

dell’iconicità perseguita dai media : uno scenario che trasforma la

solitudine “ arroccata” dei paesetti lucani, nella rumorosa angoscia

Page 198: POESIE 1977-2001

del “ villaggio totale “, decretando ,con ciò, l’oggettiva scomparsa

delle mitologie protettive ( e tutto sommato rassicuranti) di origine

piccolo- borghese e di “ destinazione “ realistico- contadina e

l’affacciarsi di nuove tipologie “ metropolitane”, segnate dalla

densità semantico- progettuale dei linguaggi e della simultaneità

percettiva, orientate da forme di produzione sinergica del sapere,

nell’ambito di un continuo affastellarsi di dimensioni temporali tra

loro conflittuali ( il passato della tradizione della società

contadina, il presente di quella industriale e il futuro come capacità

di previsione della società dell’informazione) .

Gli intellettuali più giovani, quelli per i quali gli scossoni del

’68 e le tensioni del ’77 non sono trascorsi invano, avvertono la

necessità di rivedere i propri strumenti conoscitivi e poetici: donde

l’arma dell’ironia, in Linzalone, in un arduo e spesso riuscito

impasto di liricità nuova e di travolgente sarcasmo, tuttavia mai

greve per virtù di una scrittura agile e nervosa, attenta e

selettiva. ( … )

Anche Antonio Lotierzo, di Marsiconuovo , opera nell’ambito di

una presa di coscienza dei rischi lirico- segreganti di un certo tipo

di poesia , filtrata attraverso la memoria di una terra d’origine

espulsa dalla storia e risospinta nei cieli favolosi della memoria

privata.

Significativo è in lui il rifiuto del risarcimento mitico e la

connessa accettazione di un flusso conflittuale ( che) investe i

paesi, le culture, i sogni e i segni legati alla Basilicata e li

immerge in una audace ricerca linguistica ed espressiva che liquida le

attese consuete e reinventa codici iconici di dolorante e sicura

contemporaneità. In essi si celebrano, secondo una felice intuizione

di Giancarlo Mazzacurati, le morti congiunte delle vecchie certezze

Page 199: POESIE 1977-2001

protettive: quella del paese, della città, dello stesso soggetto,

dell’io poetico che si sfalda e si sgretola sotto l’incalzare delle

parole, di un oceano di parole che non parlano più e sono diventate

una enorme e soffocante massa patologica.

Eppure Lotierzo non è un semplice testimone della non dicibilità e

della mancanza di senso, un antropologico verificatore del giorno dopo

: i suoi versi ( ma si possono ancora chiamare così ? ) accennano a

qualcosa d’altro, sono come le fascinose tracce di un sentiero che

forse conduce al di là del vociante silenzio dell’assedio

metropolitano, magari verso un nuovo, ambiguo e tormentato sogno

semantico, di cui nulla si sa, se non che potrebbe ( o dovrebbe 9

esserci.

Il rovescio della pelle (1977) si mostra già matura conquista di una

dimensione critico-conoscitiva che, dall’ottica dello sradicamento

metropolitano, riesce a cogliere con acutezza la dolorante

contraddittorietà e l’ambigua perentorietà dei miti e delle liturgie

dell’intellettuale- vate e ne circonda di ironia sferzante le pratiche

separanti, travestite da paradigmi di valore. I paesi “ girano a

vuoto” e in essi invano cercano “ inesistenti consistenze” gli

intellettuali meridionali, improbabili e feroci sacerdoti di riti

inutili: ma non per questo la poesia perde quota in Lotierzo, anzi

acquista connotazioni molto vicine ad un impegno di vita, si carica di

responsabilità testimoniali e di rigorosa eticità prammatica, anche se

non può nascondere certi guizzi narcisistici intelligentemente

ambigui e tuttavia leggibili con sufficiente chiarezza.

Moritoio marginale ( 1979) , con più compatta densità e con

ambizioni di scrittura più rilevate, affonda il bisturi in “ un’

enorme decomposizione di parole, di gesti e messaggi consumati, nel

vorticare di una patologica anamorfosi “, come scrive ancora

Page 200: POESIE 1977-2001

Mazzacurati nella prefazione alla raccolta. Lotierzo affronta così la

nevrosi della scrittura, il fascino della distruzione e il bisogno

caotico di ricomporre, comunque, un senso , il disordinato

aggrovigliarsi dei frammenti di un’eredità, la violenta estirpazione

delle radici, la traumatica consapevolezza della necessità dello

strappo e lo stupore di ritrovarsi a redigere il catalogo- alfabeto

della rigenerazione.

Il dato imprescindibile rimane tuttavia quello di un furore analitico

che spietatamente passa al vaglio la geografia, la storia e la poesia

lucana e ne dimostra l’impraticabile esemplarità e le sospinge nel

“moritoio marginale “ nel quale acquistano la rigida monumentalità del

dato culturale: non senza, tuttavia, che la coscienza del poeta non

provi un brivido agghiacciante di solitudine e di angoscia.

Ed è proprio una simile arrembante consapevolezza di un coinvolgimento

del valore- coscienza dentro quel complessivo processo di azzeramento

a proporre al poeta la splendida intuizione di una rivolta – erosione

dell’ordine che finisce col tradirsi nello “ scivolare ai depositi

della storia “, secondo la poesia “ Il sole non ha nuovo “ ,non raccolta

nei libri finora pubblicati da Lotierzo e apparsa sul combattivo “

Pensionante de’ Saraceni “ di Antonio Verri nel numero genn-febbr.

1983 e che qui vogliamo riportare per intero, per l’evidente suo

riferirsi a tutta una generazione di intellettuali e di poeti ( non

soltanto ) : Giovani colpimmo gli obiettivi ma,

gatto ingoiante, il tempo ci stritolò,

chi tradisce ancora, chi cerca la luna…

L’erosione dell’ordine è stato nostro

scivolare ai depositi della storia,

la cuccia del padrone culostraccione

gli avanzi e il riflusso sessuale.

Sopporta, coscienza, anche se

Page 201: POESIE 1977-2001

Non basti a determinare la verità.

Da: Le rose e i terremoti, Osanna, Venosa, 1986 , pp.63 – 67.

MARIA LUISA SPAZIANI

SU “ MATERIA ED ALTRI RICORDI “

Poesia di pensiero, attenta agli emblemi e al linguaggio dell’attuale

fisica, Lotierzo non si abbandona a facili suggestioni poetiche,

rifiuta il verso musicale, teso com’è alla ricerca di un suo ritmo, di

un suo tono. Disincanto, certo, ma chi “canta” più in una società

marchiata da Kafka dove un giovane poeta può scrivere : “ Né l’aria

plumbea più libera il servo / l’interrogatorio procede fra sconosciuti

“, dove Masoch viene chiamato “ dio “ .

Da: “ 7 poeti del Premio Montale ( Roma, 1994)” , All’insegna del

Pesce d’oro di V. Scheiwiller, Milano, 1995, p. 7.

SIMONETTA VENTURI

Da : I LUOGHI DELL’INCONTRO

Antonio Lotierzo usa l’ironia quale sondaggio della sperimentazione

storica del vuoto del mondo ( “ L’estinzione- questa qui anche questa

- / pure questa questa pure - / senza recriminazioni affondare / cento

mille lumi senza rimorsi / non dà adito a preoccupazioni / o

insorgenze di colpe: / tutto si svolge col migliore leibnitz

possibile / e ben venga la notte a spegnere i desideri! “ –Il rovescio

della pelle,1977,p.19), visto quest’ultiimo in bilico fra la dispersione

del mito di una Lucania classica, sviscerata accettazione della vita

(“ Stenosi acrilica / con supplemento rapido / disintegrazione

Page 202: POESIE 1977-2001

incentivata / sui mari del Sud / pendula fantasia”- p.39), e la

forzata constatazione di un’invasione, inutilmente pubblicizzata, di

un mondo metropolitano visto come cultura della non esistenza ( “

un’altra vittima disoccupata del Sud / amava i paesi immigrati / con

quel quel suo modo di far violenza / con l’eau di coulogne fresca /

calda e stimolante / sa farsi amare la grappa incontrata al bar! “ –

p.20 ), e interpretato come impotenza al desiderio, alla fantasia, che

vengono di nuovo alla luce proprio nell’accozzaglia dei versi che

cercano di decifrare, se ancora è possibile, un percorso agibile per

l’uomo ( “ Ricominciare :Ogni volta./ Disamorarsi per rincorrere un

corpo : / lo svilimento del tempo e l’incapacità d’amare. / E il

desiderio daccapo con se stessi e gli altri / di smetterla così

lontani gli altri / ed io a me stesso” –p.56), ed inoltre la sua

trasformazione in poesia (“ La poesia / panno ordinato / s’aggiunge

alla vita / passa con significanti disuali / a comuni giorni in

archiviabili” –Moritoio marginale,1979,p.8).

Quindi il verso diventa più discorsivo e narra un gap , un momento di

stasi e di critica corrosiva che cerca, dalle ceneri che produce e che

raduna, di ricreare un insperato percorso di non solitudine ( “

quotidiano / medio / senza spessore / aperto al nulla” –p.11). In

questa prospettiva è dominante la condizione materia del mondo, la

ricerca biologica di un essere riproposto nella sua interiorità

atavica e memoriale, e il consumismo, sotto accusa da parte del poeta

ucciso. Questo diviene il mito di Lotierzo, il nuovo mito classico

dell’ironia dell’uomo postmoderno (“ Quacquacqua Quacquacqua

restoppie / dietro le spalle ci sono le palle ( nel fucile) rade /

inosservate quaglie insanguinanti incancrenite / voli corciti /

Pitagora Crotone centro / industriale italsider conversazione

Page 203: POESIE 1977-2001

proustiana / non iuvant reperita ma le pepite ma le pepite /

( cantavano)” – p.27).

- edizioni Mobydick, Faenza,1998, pp.96- 97 -

NICOLA DE BLASI

RAGIONE APPASSIONATA E PAESAGGI MENTALI ( PREFAZIONE A “ GOLFO DI

SOGNI INQUIETO )

Le tre sezioni di questa raccolta ( Materia e altri ricordi, Responsoriale, Revuote

) sono percorse trasversalmente da motivi e temi non separati

nettamente, ma riaffioranti, al di là delle distinzioni interne,

intorno ad alcuni nuclei agevolmente riconoscibili, intorno ai quali

si delineano movimenti centrifughi che solcano le costellazioni di

queste pagine come impreviste scie di stelle cadendi.

Ogni elemento di questi versi risulta del resto annodato agli altri da

una disposizione unificante, data dall’aggancio costante a nomi e

luoghi concreti, a circostanze di vita, richiamate spesso in emergenze

puntuali e minime, come in un’essenziale e asciutta citazione.

Riflessioni che potremmo definire di ordine esistenziale, visioni di

spazi e paesaggi, luoghi e ricordi privati: sono queste le tre

direzioni preferibilmente percorse dalla poesia di Lotierzo, che

tende peraltro a costanti intrecci e sovrapposizioni, quasi a riprova

del fatto che ogni circostanza, per quanto minima, può suggerire

qualcos’altro. Se nelle prime poesie l’ansia di definirsi ( “ mi

sconvolse il chiarore/ della neve fresca di mezzogiorno/ il candore al

mondo dei mansueti,/ gli inverni tremuli”) o di seguire altre istanze

al di fuori di sé ( “ e tu, Soggetto, ci smarrisci nella ricerca / dei

tuoi attributi nel tempo” ) sembra orientarsi verso spazi metafisici,

nelle successive anche le riflessioni sulla caducità umana si

Page 204: POESIE 1977-2001

delineano in un legame necessario con luoghi e con oggetti precisi.

Così nella poesia Il buco , il tema dichiarato nell’incipit ( “Spire di

serpente e agonia rissosa,/ la vita passa. Ci involve un Nulla”) è

pacatamente illustrato dall’exemplum che riconduce a un luogo

familiare (“ Nel paterno salotto frana / un buco alla base del

balcone”); così in Formiche, la sorte segnata dei piccoli insetti

conduce per analogia alla caducità della storia con un tono dal vago

accento montaliano ( “ Un getto d’acqua fa scivolare la storia / e mi

chiedo in quale album dell’evoluzione / sarà scritta questa vittoria

di Carla,/ biblica alluvione sulla tiepida ceramica”) . E a questo

proposito potrebbero anche citarsi quei versi che collocano gli studi

d’archivio prediletti dall’autore come una sorta di rimedio alla

frattura che attraversa l’umana esistenza ( “ E siamo / su questa

morta faglia / ove dialogo su carte d’antichi fasci”).

L’osservazione dei luoghi oscilla in queste poesie tra gli spazi

aperti lucani, montani e marini (“L’immensità riduce a falce le anse

del tuo mare”), e le sofferte angustie claustrofobiche delle caotiche

strade cittadine ( “ E soffocamento è il nostro passaggio”) : in un

caso e nell’altro, come si avrà modo di ribadire più avanti,

l’asciuttezza del dato geografico e spaziale non inclina però alla

contemplazione irenica o idilliaca né al disdegno, ma suona come un

riferimento oggettivo con cui si combinano ancora considerazioni di

ordine più generale: le cicale di Castrocucco sono quindi ascoltate “

mentre scola/ il giorno un altro spicchio di eternità”, o il dolce ed

il caffè gustati ad Acquafredda aiutano a riacciuffare “per coda / il

tempo / calante in nuove conversazioni”. Non c’è dubbio tuttavia che

la contrapposizione tra spazi naturali ( pur visti a volte nel tempo

dell’occupazione estiva da parte dei villeggianti ) e spazi snaturati

risalti in modo netto nella scrittura dell’autore: i bambini che

Page 205: POESIE 1977-2001

fuggono il temporale estivo tirrenico, per quanto goffi, assumono

sembianze di piccoli uccelli in fuga (“ uccelletti / avvitati negli

scomposti lenzuoli / di spugna “), mentre le folle cittadine sono ben

diversamente connotate, poiché si agitano “ nel formicaio ebbro di

traffico violento”, sbattute da “ questa mareggiata della vita”. La

sorte di queste formiche di città appare ancor meno lieta, in quanto

si delinea nel preciso scenario napoletano, dichiarato coi suoi

toponimi ( Piazza Cavour) , con i suoi requisiti latamente sociali (“ da

verminoso traffico si erge la città / sassaiola e civile, scomposta e

amara, / labirinto di speranze e acri afrori, / plumbea leggerezza di

balenanti orrori”), con il suo profilo di irrazionalità (“Nel letto

della ragione una lava / ribollente macera tutto incendiaria”), e con

l’inconfondibile corredo sonoro e olfattivo dei motorini

perniciosamente branditi da centuari in perenne delirio di onnipotenza

( “ fora l’udito l’atra motoretta / alla gola riarde lo smog ).

Nella discreta apparizione di spazi e momenti privati,visitati

con un misurato esercizio della memoria individuale, si afferma con

chiarezza la tendenza a riappropriarsi di luoghi ed eventi, spesso

recuperati dal passato e riconquistati attraverso il loro nome

puntigliosamente dichiarato ; nei testi che riportano a episodi

passati si nota meglio anche la già segnalata asciuttezza, che dona a

questi versi la grazia di inquadrature nitide, dai colori vividi, per

nulla segnate dall’ombra di sbavature patetiche o da patine di

soverchia nostalgia. Riesce in questi casi l’autore a conseguire quel

felice esito enunciato quasi come dichiarazione di poetica in Album :

” Annega il cuore nella gioia/ se riesci a tessere un discorso / su

visi in dagherrotipi ingialliti” . In questo modo, senza concessioni

alla malinconia, assumono forma scene familiari dell’infanzia, che

hanno la compostezza nitida degli Idilli domestici di Attilio Bertolucci,

Page 206: POESIE 1977-2001

in cui d’altronde anche ricorre spesso l’indicazione esplicita di nomi

e toponimi. Sono significativi da questo punto di vista i versi di

Rosa agostana ( “ La rosa agostana l’incantava. / A noi appena alzati

mio padre / la mostrava a trofeo nelle mani / cretose e la felice

stanchezza/ che l’aria terrigna offre alla vita”), di Cane (“ Nel

cane godeva la sua ricchezza,/ nelle festevoli mosse / al rientro dal

lavoro”), o quelli di Passeggiando a Sala (“L’adolescenza sfiora carraie

di polvere./ L’ascesa al san Michele fra rovi e ginestre / al tiepido

sole di maggio solitaria”). Il ricordo di episodi lontani ha dunque

l’impronta inconfondibile del pudore che non consente eccessi, meno

che mai li consente quando la memoria ritrova momenti di dolore (“Due

ore di vita in un’incubatrice”). Nella tendenza alla sobria evocazione

del passato si incontra in realtà la consuetudine con un certo

sbrigativo understatement meridionale ( se non specificamente lucano ),

forse poco noto perché lontano dagli stereotipi correnti.

La predilezione per i toni scabri ed essenziali consente ad

Antonio Lotierzo di sperimentare con originalità l’uso del dialetto,

che, pur collegandosi strettamente a un’inclinazione memoriale, è

tuttavia esente da un certo ipertrofico soggettivismo lirico che non

di rado alberga presso i neo-dialettali della fine del Novecento. Il

dialetto è senz’altro funzionale alla rievocazione del passato o al

ritorno nell’orizzonte dell’universo paesano ( si pensi al suggestivo

elenco dei vari aspetti della vita tradizionale: “ a forza re

l’abbetine e ra trerecìna / a sant’Andonie ca te face fa nnanze e

arréte a pière, na chiàppula càura cumme n’ackua re sole “ etc.), ma

si tratta di ritorni che dal dialetto traggono nuova forza e

vivacità. Né forse è un caso che, a conferma della icastica vivezza

dialogica del dialetto , queste poesie nascano quasi tutte come

allocuzioni dirette al lettore ( “ E ssì ca sì fesse se fai u

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turiste”) o come costruzioni intorno a frasi rimaste per decenni

impresse nella memoria ( come accade in italiano anche nel caso di “

Non sono la spara di Carnevale”), e qui ripetute perché nel tempo

hanno acquisito un valore che sembra a metà fra il mitologico e il

proverbiale: “ Vai colpe colpe / cumm’a nu cardille”; “ Nunte fa vré

nemmeno addò cache, / ca pòte cchiù ammìria / r’i skuppettate”; “Vui

nun c’avita crere a i malalénghe”. E in quest’ultimo caso il

dagherrotipo memoriale di questa forosetta bugiarda acquista sfumature

legate all’odorato e perfino forme in qualche modo tridimensionali (“

na cevettula ca puzzava re latte munte / ma tenìa rùye casecavadde

toste assàye).

Proprio il ricorso al dialetto, per di più con queste coloriture,

rappresenta uno degli imprevedibili momenti centrifughi di cui si

diceva all’inizio. A questa categoria vanno ricondotte le sfumature

ironiche di certi versi ( per esempio quelli dedicati, peraltro con

piena comprensione, alle Docenti ), o le ricercate allitterazioni di

Giubileo, o le poesie pensose e tenere in cui si allude ai figli (“Tu

non ricordi, Ilaria, la bambina che giocava con le bambole”; “ Michele

trascorre le ore dall’oro / in bocca davanti la tv e sulle pagine /

sportive, per tutto sapere e sistemare. / Concentrato, qui viaggia nel

suo mondo / di fisica scienza che ignora il destino”). In queste, come

in tutte le altre poesie della raccolta, si nota come requisito

unitario l’incessante lavorìo stilistico che conduce a una piana e

scorrevole discorsività, spesso articolata su rime e assonanze

interne, ma anch’essa sobria e misurata nella sua distanza da

gratuiti compiacimenti di stile.

( Napoli, gennaio 2000)

TITO SPINELLI

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Fra i poeti della nuova generazione più evolutiva nei contenuti e

nelle forme anziché nei dati anagrafici Antonio Lotierzo - di

Marsiconuovo (n. 1950 ) – è quello che , assieme a Nigro e a qualcun

altro, rompe decisamente con un passato litografico e spesso

affabulatorio per consegnarsi alla ragionata e drammatica dissipazione

del verso. Ch lungi dal restringere un rimpianto come dazio obbligato

verso la cosiddetta lucanità di riporto ancestrale, si avvia a

consacrare una ribellione anche verbale, se si guardi alla sua prima

raccolta, Il rovescio della pelle ( 1977), dove le forme poetiche sono

subornate a una specie di qualificante subisso, senza che si

stabiliscano in tarsie dalle nomenclature musicali.

La sillabazione offre un concetto di pura ellissi, circostanza che

tronca il vocabolo dal suo universo di significanti, aggiogati al

carro verbale, per essere “ insulae” di provocazione e di

perturbazione versificatoria, posto che il verso possieda una concinna

definizione, ancorché regolata da normative retoriche. La sua poesia

sa di assalto provocatorio e, in pari tempo, cuneo o ariete per

sfrondare in percussione una tradizione elegiaca e non una eredità

idilliaca, che contrassegnano la poesia lucana fino agli anni ’70.

Lascito raffinato di un Sinisgalli o saga contadina d’uno Scotellaro ?

Fatto sta che la poesia di Lotierzo – pur avendo esili appigli con

tali fondamenti osservati alla luce dell’antropologia poetica o d’una

poetica dell’antropologia – diventa spaziale , agguanta altre realtà,

si conclama spesso urbana ; e nel fare ciò si inserisce nell’alveo

di una coscienza del “ fare poetico “ ormai non più ristretto alla

sacralità delle origini e delle querulazioni di un mondo in rapido

cambiamento.

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Simile a un serpente che si sciolga dalle vecchie squame, Lotierzo

compie la stessa mutazione denunciando un’ alterità che non è più

lucana, ma in continua trasgressione con i consunti stereotipi della

liturgia incantata di un paesaggio o di un costume, piegati alla

necessità musicale del tipico “ verso del rimpianto “ . Il

superamento di tale situazione avviene per costrutto innovativo e per

soggettistica allogena, con un linguaggio visceralmente sentito che

sacrifica più al grido soffocato che al pacificato sentore di un

salmodiante sentimento.

Già in Lamentazione per un testo, che apre la raccolta , Lotierzo

propone il rovesciamento della didascalia all’interno stesso del

materiale approntato per fare della testualità un continuo divenire

e rigettare le forme lapidarie della parola vincolata come Sisifo

alla sua fatica, tant’ è che l’unione di vocaboli qui e altrove (

testocadavere , questamarezza, gialloritmo, fattiparole ,ecc.) sottolinea la

precarietà della parola sia enucleata dal suo consueto ricavo

fonematica, sia congelata nella sua fluidificazione espressiva. Ma

quando dispiegamento e innovazione, in un giuoco apparentemente

ludico, allegano un più pausato filtro emozionale, allora Lotierzo sa

offrire strofe di mediata e riflessiva pacatezza : Ti ho scelta, sconosciuta speranza, perché ancora sei insieme amore e fine

carne desiderata e pelle da maturare

pace silenzio e quiete in cui annegare. (…)

Ti ho scelta, mancata espressione del sospiro,

perché non sei l’avventura indecifrabile

- la morte congiunta all’eterno –

ma conosci il lavoro più fermo nei vuoti

dell’essere e sei più stretta alla vita,

tu compagna sessuale che hai la musica del giorno.

Page 210: POESIE 1977-2001

Appresso, la sottolineazione ludica coordina la de-strutturazione

della malta poetica fino a pregiudicare la compattezza, a vantaggio

d’un impatto antinorma che anticipa in sé l’espressività da allineare

col parlato per nobilitare il suo deduttivo interloquire.

La parola si ribella all’ordito poetico e media con quello del

reticolo vitale, o della vitalità. Si prefigura, in tale risorsa,

l’inclinazione alla energia pura del vocabolo, svincolato dal suo

nitore eburneo per essere riattratto alla sua funzione comunicativa,

sommovimentata dalla pretestuosità dell’atto poetico e inseguita come

modalità interpersonale. Si allude, in particolare a L’ alfanebetismo

,dove la versatilità del modulo ribellistico si sospende su di un

esiguo margine, che concilia il taglio chiaro con quello ambiguo .

Per cui le parole trafugate dall’attimo assumono il corredo più spinto

per maturare all’antilingua, capace di ripudiare la poeticità per farsi

codice di un nuovo modo di produrre un contrastato lirismo. Fra

l’altro si può leggere : I versi liberi delle canzoni nette all’inguine tiravano il mio intervento

statualmente vuoto sempre terroso nero

acquitrinoso plastificato panzarottato

fra anticristici esorcismi e sicurezze

di materiale elettrico coperto da parati

e ancora fragoletta invinata ed ulive

malaticce con fiori d’occhiali cartacei

disegnate pubblicità librerie nelle troppo

apribili bacheche ( …)

E ancora per più versi, dove il congruo e l’incongruo fonematica si

combinano per un responso di pura comunicazione, falsamente

antiprogrammatica sotto il profilo della emissione e della esibizione.

Con tale raccolta Lotierzo inserisce un taglio non di poco conto fra

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la liricità di elaborati antecedenti, ascritti ai primi anni del

secondo dopoguerra e continuata fino alle soglie degli anni ’70, tanto

che lo spartiacque insediato mira a un filtraggio, anche di elementi e

di suggestioni poetiche non autoctone, e a un riesame sia della

situazione linguistica entro le coordinate del consistere poetico, sia

con l’aggiornamento del lessico con vocaboli non necessariamente

nobilitati, ma tolti con ironia ( e forse con controllata

disperazione) da un idioma, evolutivo che cozza contro una normativa

istituzionalizzata e, per certi aspetti sibillina nel suo involucro

fonico, è la proclamazione elitaria dell’ellissi verbale. Il verso

smemora la sua funzione di raccordo logico, né il tutto organico

dipende da una correlazione di predicati o di complementi. Con questo

però non si introduce un apprezzamento minimale, né la riduzione

espressiva entro il giro versificatorio proposto. Emergono di primo

balzo l’assurdità e la difficoltà, esponenti complessi in poesia,

perché entrambe s’intreccino senza scomporsi, in vista di una

funzionalità ricettiva per il lettore scaltrito, adusato a un

linguaggio essenzialmente eversore e che anche nella metafora trova

il suo naturale complemento antiretorico o, se vogliamo ,

antiaccademico.

La varietà dei vocaboli, la tematica generatrice di morte

( essenzialmente l’allegoria della putrefazione d’un Sud non più

bucolico o rimpianto ), il timbro a percussione della parola sono

questi i risvolti argomentativi più penetranti di questa silloge che

nella titolatura esprime la marginalità di una fatica inutile per

una discarica Moritoio marginale ( 1979 ), farragine di pezzi ‘

repertati’, probabilmente non più riciclabili. Accludiamo un esempio: In putrefazione ginistre sui calanchi

Società mitica magre recitanti

Occhiazzurri ubriaca speranza

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Magnolia scoscesa disturbazione

Vocali gialle linfogranuloma seme

Dolce film vomitato timore tumorale

Triangolo screziato sessuale addomesticato

Tenebroso mio andare rottura gelo

Orditura fenditura flessura gola

Ricettizia laicale pèndula filigranata

Figura rupestre angiporto luce

Battòna sassi appisolati rovi concrezioni

Putrefazione in fiore sui calanchi ginestre. La scelta dei lemmi è condizionata in primo luogo dalla possibilità di

urtarsi isolatamente creando omofonie, convulsi ossimori, raffinati

rimescolamenti concettuali fino al rovesciamento ironico e non

tecnico dello stesso titolo. E così per le composizioni, spesso con

un tema centrale, il Sud depurato di ogni sordida contaminazione

folclorica e ricondotto invece a una denuncia di stato morboso, alla

smitizzazione dei demiurgi e a un sottofondo di protesta, quasi un

volere accostare la propria sperimentazione a esperienze consolidatee

ma dissepolte dal fradicio e spesso rivoltato humus della propria

regione.

Allorché viene invogliato a de-costruire la propria personale

modalità, Lotierzo saggia, per così dire, una rifrazione delle

escursioni e si hanno esiti mediati fra cui si segnala: Gli ippocastani adornano con passeri

Le vie dei paesi del Nulla

Calato nella lotta,

nostalgia castelli dirupati

chiocce d’oro addentellato mite

dissolvimento glaucomico potere bianco.

Di tutti i luoghi per nascere l’alba

Questo brancolando elesse

Rosa d’amore

Esenin buio punzonato contadino

Perché dell’umana compostezza non rimanesse

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Che il vuoto a figliare la paura dell’essere.

Ritorna il discorso più o meno agglutinato ai procedimenti sintattici,

versificatori, e riappare un tentativo d’interpunzione; ma il graffio

non riduce il sarcasmo, né il panorama ritratto perde la sua il

lividura . Lotierzo si tiene in perfetto equilibrio tra la poesia da

fotogramma e una inviscerata di lemmi, con un giuoco raffinato che, a

prima vista, potrebbe suscitare indugio o perplessità di “ scuola “.

La sua, alle volte, s’avvia a una forma di antisperimentalismo senza

distinzione certa, in quanto la logica e la sua misura hanno perduto i

loro regali referenti; ed è questa duplice perdita a rendere moderna e

suggestiva la frammentazione perseguita per un verso che ignora la

tradizione scolastica delle antologie. Se sussiste qualche parentela,

immaginiamo Lee Masters, Lotierzo la flette a una convenzione

schermata in cui l’ironia traduce un ilare scherzo epigrafico per

attestare l’usura di una corrente poetica fino a un immaginario

congedo ( segue il testo: Se giovane ancora in questo moritoio -n.d.r. ).

Come si vede, altra caratteristica la contropartita grafica, con

collocazione lapidaria dei vocaboli che qui ammoniscono e perturbano,

mentre in altre parti disviano l’occhio per conquistare ulteriori

parole che non riescono a incastrarsi nel sensato discorso dello scriba

desueto .

Il caos enumerativo o elencativo di Lotierzo ubbidisce alle esigenze

di provocare l’emarginazione della poesia senza rinnegarla, anzi

rivestendola di un indice che dalle forme vessatorie della parola ne

indichi l’accorta palingenesi. Di qui il non-verso , ma la trappola

metalinguistica di contrapposti giuochi di parole , ritmati ubbidendo

a un criterio analiticamente freddo a prima vista, come di

un’alambiccata partitura senza pentagrammi, finalizzata a un

divertimento lessicale, mentre il latomico scopo sta nel ricercare

Page 214: POESIE 1977-2001

l’estrema risorsa della parola che cerca il banale per divenire a sua

volta qualcosa al di là della semplice espunzione del suono. Il

corrivo, dunque, alla base di una sofferta introiezione per ridare al

ritmo la sua primitiva e ineducata sedimentazione prima che la ragione

e la logica lo investano del rigore formale. La poesia, è risaputo,

ha in sé il germe dell’anarchia, e le liriche di Lotierzo lo

perseguono e lo realizzano, ponendo a confronto, in una ininterrotta

specularità, la pars destruens e la pars construens, che, elidendosi e via

via confondendosi, apprestano risultati di efficace marginalità del

non “ morituro verseggiatore “ Parco cultore d’infrequenti luoghi il poeta

( citata tutta fino

al finale: n.d.r. )

occhi falli per labbra blu al Guadalquivir delle

stelle

Ove Lotierzo passa dalla estremizzazione, anche grafica , della parola

gratificata delle allucinate probabilità di rigetto e si cimenta con

una sequenza scrittoria più abbarbicata ai canini ritmici ed

esplicativi dell’apprendimento, si hanno risultati di ottima fattura e

dal punto di vista lirico e da quello dell’organica economia del

segno verbale. Così, tanto per nota documentale, va segnalata Cantina

: Trepido cantuccio della disperazione

la botte annerita e i ragni

sfaldano cemento, impudridisce l’acqua

( … )

Tu non presenzi ai riti della vita ebbra

parli civiltà cittadine che angosciano le notti

rumori scontrosi qui attutiti dal nulla bacchico

d’un esistere senza speranze puro disinteressato.

Page 215: POESIE 1977-2001

Anche qui Lotierzo non rinuncia alla costruzione di opposizioni sul

filo del sarcasmo e della parola in flessa in un contesto

costrittivo. Donde le frange di un’allegazione sostenuta, nel

tentativo di recuperare – al di là di temperate o sdolcinate parabole

delle usuali combutte dei vocaboli – l’energia eruttiva di uno scrollo

fortemente icastico e un materiale primario che anticipi la stessa

attualità professionale ( in questo caso estremamente beffardo ), che

attedia gran parte della nostrana poesia. In tale sfondo non ha senso

parlare di Lotierzo poeta lucano, ma di un poeta tutt’intero e

godibile sotto più latitudini.- da : T.Spinelli, POETI LUCANI FRA OTTO E NOVECENTO , pp. 242 – 249 . -

LETTERE

LETTERA DI LIBERO DE LIBERO

Roma, 21 settembre 1977

Gentile Lotierzo, e gentile anch’io quanto Lei e non maestro ma

allievo della vita.

Grazie per il dono delle sue poesie (“ Il rovescio della pelle”)

sicchè Marsia ha scotennato Apollo.

Sono grato all’amico Bonelli che mi ha dato la conoscenza d’un poeta,

non sapevo niente del

Suo dire e fare, mentre oggi ne so assai di più e ho chiuso un vuoto

inammissibile, ho appreso

Page 216: POESIE 1977-2001

un poeta nuovo e non è poca la mia stima, del resto la “ merentente

cordiale” non esclude una solidarietà schietta anzi allegra.

Una stretta di mano, libero de

libero

LETTERA DI GIOVANNI COIRO

Roma, 6 novembre 1979

Carissimo Antonio,

alla vigilia della mia partenza da Marsiconuovo, a fine agosto

scorso, appresi che mi avevi portato copia della rivista “ Nodi” con

tuoi scritti e un esemplare della recente raccolta di poesie “ Il

rovescio della pelle “.

Spiacente di non aver potuto salutarti e ringraziarti , adempio a

questo dovere a lettura compiuta dei testi dei quali hai voluto farmi

gradito omaggio. Il tuo studio su Michele Pasquarelli delinea

abbastanza felicemente la figura di quel medico umanista, storico,

etnologo che fu il nostro concittadino, del quale conoscevo, in

particolare , gli studi sul folklore marsicano. La sua lettura ha

suscitato in me - oltre tutto – ricordi vivissimi dei giovanili studi

di storia marsicana sulla scorta di alcuni libri ottenuti in prestito

dalla biblioteca dei maestri della locale scuola elementare ( elementi

di grande interesse trovai in un volume sulla storia della diocesi di

Marsiconuovo e Grumento ), di alcune pubblicazioni fornitemi dal mio

maestro Vito Arato,uomo di non comune preparazione e dai molteplici

interessi culturali, nonché attraverso gli incontri con Luigi Ventre,

autore di una pubblicazione che – pur con le riserve espresse in sede

Page 217: POESIE 1977-2001

critica, delle quali io stesso mi resi , con affettuosa premura e

profondo rispetto, presago interprete, prima della stampa dell’opera –

costituisce il primo, serio tentativo di presentare un compendio

organico della storia di Marsiconuovo.

Della famiglia Pasquarelli conobbi personalmente Eva ( detta anche

Evita) , andata sposa al medico Giovanni Montesano , una figura di

autentico apostolo, scomparso prematuramente per una setticemia al

viso lasciando alla moglie un figliolo, e la sorella Vivina, entrambe

bellissime, specie quest’ultima. Abitavano al Casale, nello stabile

attiguo a quello dell’avv. Beniamino Corleto; poi emigrarono

all’estero ( credo in Venezuela) e di loro nulla ho più saputo.

La formazione umanistica, storica e filosofica del Pasquarelli si

sovrappone, in certo senso, a quella professionale e tale aspetto

della sua personalità ti ha offerto lo spunto per una approfondita

analisi della cultura del tempo nella quale la sua opera si

inserisce.Il peso di questa cultura, le sue contraddizioni e le sue

carenze, alla luce di studi più recenti e criticamente più rigorosi,

ha forse in qualche punto schiacciato la figura del Pasquarelli,

relegandolo – a tratti – nel ruolo di comprimario se non in quello di

comparsa. Il saggio costituisce, comunque, un contributo di grande

interesse che rientra in quella più ampia opera di rivalutazione di

alcuni affascinanti e poco noti aspetti della cultura lucana e

marsicana, che si affianca alla fioritura di studi lucani, la cui

espressione più significativa è costituita dalla serie di convegni di

storiografia lucana, dei quali il promotore e animatore, Pietro

Borraro, già direttore della biblioteca provinciale di Potenza e

attualmente di quella di Salerno, ha raccolto e pubblicato gli atti

nelle pregevoli edizioni di Congedo di Galatina, certo a te note.

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Avevo già letto nella raccolta “ Ottanta poesie”, della quale

volesti farmi omaggio con un’affettuosa dedica, alcune delle poesie

che ora ripresenti con altre in rinnovata ed elegante veste

tipografica.

Il titolo, un po’ enigmatico, “Il rovescio della pelle” va al di là

dello spirito insito nella lirica conclusiva e abbraccia tutta la

raccolta, nella quale i preziosismi letterari, scaturiti certo più da

una erompente e tumultuante fantasia, in parte condizionata da un

amore speculativo talvolta esasperato e manifestamente doloroso, e il

vezzo ricorrente delle parole composte (“ gialloritmo”,

“piccolomedi”, ”malovento”, ”vagomoventisi” ecc.)nulla tolgono allo

straordinario vigore concettuale e alla decisa reazione contro uno

stile conformista in una generale sciatteria o paludata verbosità per

mimetizzare una sostanziale povertà di contenuti.

Può forse pesare sul lettore – specie se meno provveduto – ( i lettori

di poesia non devono essere necessariamente degli iniziati ai misteri

dell’ermeneutica ) il riflusso di una erudizione,senza dubbio

apprezzabile, che affiora con insistenza e toglie talvolta slancio

alla ispirazione. La poesia del Carducci, pur grandissima nel suo

complesso, resta un po’ distante dalla sensibilità del lettore medio

quando in essa prevale il “sapere”, anche se inteso nel senso più

nobile ed elevato.

Mi sembra che nella tua poesia affiori il rigetto, certo traumatico,

di un indirizzo educativo e culturale rigoroso, ligio a precostituite

tradizionali norme di vita e di formazione che è nello stile dei

salesiani; anche la compiacenza verso termini non certo castigati

( almeno per i salesiani e nelle accezioni ormai comuni,

volgarizzate ,per certi aspetti, “ufficialmente” dalla televisione di

stato !) è come il portato di questo rigetto.

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Non mancano poesie di alto valore lirico, nelle quali gli affetti, i

ricordi prendono il sopravvento su una cultura volta, direi

fisiologicamente, alla speculazione filosofica e incline alla

trasposizione dei valori umani sul piano metafisico.

La poesia “ Mia madre”, ad esempio, estremamente delicata, si chiude

con due bellissimi versi nei quali il richiamo all’infanzia non è

sola aspirazione ad un mondo perduto, ma ricomposizione di una realtà

interiore diversa, limpida, serena, gioiosa.

L’immagine della rustica chiesa di “ Marsiconuovo” , che domina gli

spazi da un monte all’altro, si ricollega a quella dell’altra “

Marsico”, apparsa nelle “ Ottanta “, nella quale gli elementi

descrittivi si fondevano armonicamente col senso di “ ultima felicità”

colta “ nell’immenso vuoto “ .

Nella stupenda figura del “ nonno massaro saltellante”, cara al mio

personale, ammirato e reverente ricordo, che “ sfidava il vento in

cima al Volturino” è la sintesi di tanta parte dell’ oscura e,

talvolta, tragica storia di quelle generazioni contadine lucane,

strappate dai campi e scaraventate sui costoni del Grappa, del

Sabotino, del San Michele, dell’ Hermada ( su quest’ultimo cadde un

mio zio, s.ten. di fanteria,geometra e insegnante elementare, il cui

nome, Gianuario, figura tra quelli incisi sul monumento ai caduti di

Marsiconuovo – i suoi resti mortali riposano nel grande sacrario dei

centomila di Redipuglia, da me visitato anni or sono - ) e

restituiti , poi, in sparuti gruppi all’aspra e avara terra di

origine, addolcita appena dal verde dei radi uliveti.

Lo spirito del momento conclusivo di questo “ritorno “ è , nella

lirica “ Il contadino sognante” che sembra un bassorilievo in pietra

lucana. In poesie come queste ho la sensazione di scoprire il più

autentico e incisivo Antonio, poeta.

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La tua solida cultura, la serietà professionale, l’impegno nella

ricerca scientifica – come già ebbi modo di dirti – possono aprirti la

strada dell’insegnamento universitario nelle materie speculative

( storia della filosofia; filosofia teoretica; filosofia morale ecc.)

o anche nelle discipline storiche ( dalle antiche alle

contemporanee ). Mi permetto, quindi, di stimolarti ad inserirti

( qualora non l’abbia già fatto) nell’ambiente universitario con un

preciso programma di lavoro scientifico unidirezionale per meglio

concentrare fresche e preziose energie nello sforzo di raggiungere un

sicuro obiettivo.

La poesia, da non abbandonare, renderà più lieve la fatica di docente

( basti ricordare il Carducci, il Pascoli e, tra i più recenti,

Ungaretti) e sarà anche motivo di edificazione spirituale, di

appagamento di quel bisogno che ognuno di noi ha di superare i limiti

della pura e semplice esistenza.

Con molti fervidi,affettuosi auguri di buon lavoro ti abbraccio,

Giovanni Coiro

LETTERA DI GIOVANNI GIUDICI

Mil

ano,3 febbraio 1980

Caro Lotierzo,

purtroppo non riesco a intrattenere corrispondenze, tanto più che

le preoccupazioni pratiche mi assillano in questo momento in modo

particolare. E voglia dunque perdonarmi se all’invio del suo “

Moritoio marginale” rispondo qui con un generico “grazie” e con

l’indicazione della poesia che preferisco ( “ Cantina”), benché anche

altrove vi siano tratti secondo me abbastanza vivi ( per es. “ Parco

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cultore d’infrequenti luoghi il poeta”); però le ridondanze

culturalistiche e intellettualistiche mi sembrano ancora molte e non

sono certo io in grado di impartirLe prescrizioni sul modo di

attuare un più essenziale e necessario discorso… Sono cose difficili,

lo so, e comprendo anche la Sua impazienza, il disagio dell’isolamento

e così via: ma non creda, però , che il mio isolamento sia molto

minore. Solo che, essendo più vecchio, non me ne curo granchè.

La ringrazio anche dell’articolo che mi riguarda: l’avevo già

visto e l’avrei ringraziato prima, ma non avevo più il Suo indirizzo e

le carte mi seppelliscono. Tenga presente che per me è molto difficile

scrivere lettere ed abbia dunque pazienza se mi limiterò a queste

poche righe: dovessi rispondere a tutti quelli che mi mandano libri o

dattiloscritti, sarei costretto a non fare altro; mentre, cole Lei

potrà supporre, sono prima di tutto un lavoratore che deve

guadagnarsi da vivere sfornando articoli su articoli, specialmente

adesso che non ho più un impiego fisso. Lei è un uomo intelligente e

mi capirà.

Mi saluti molto Domenico Monelli: spero che goda buona salute, io

lo ricordo con costante affetto.

Quanto a Lei, coraggio, e tanti sinceri auguri per raggiungere ciò

che più di tutto desidera…

Suo, Giovanni Giudici

LETTERA DI ROSA MARIA FUSCO N. I

Tu

rsi, 6 dicembre 1980

Caro Antonio,

le vicende sismiche mi hanno fatto stare in pensiero per molti amici,

te compreso – anzi te per primo -.

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Alcuni giorni fa, finalmente, mi è stato possibile comunicare con tua

sorella, che mi ha detto che state tutti bene, a parte lo spavento e

divisori lesionati, e la cupola della Chiesa rotolata per le vie.

Nella tua ultima che risale ad ottobre, mi dici che hai cambiato

scuola e casa. Ora, scusami la smemoratezza, ma non ricordo più se a

quella tua lettera ho risposto o meno. Nell’incertezza ti riscrivo ( o

ti scrivo, non so ) anche per mandarti una superstite copia di “

Tangenze”.

Volevo dirti che, a Siena, la mostra si ripropone a luglio, integrata

con qualche altro testo e naturalmente accompagnato da altre,

differenti iniziative culturali.

Il tuo libro, ad ogni modo, piacque molto a Franco Maniscalchi il

quale, però, per “Messapo “ non cura più una “ Antologia sulla poesia

degli Anni Settanta” bensì uno studio sulla poesia nei “ gruppi” ,

passando in rassegna, se ho ben capito, le esperienze delle riviste

alternative di questi ultimi anni e dei poeti che, a queste riviste

hanno fatto capo. Lo studio generale sui poeti del “ decennio” è,

viceversa, demandato più in là, a cura, credo, di Barbuto. Ad ogni

modo, fatti sentire ogni tanto, se possibile.

Aspetto con ansia il saggio che hai scritto per la “ Forum” e

certamente non solo perché sono curiosa di sapere quel che hai scritto

sui mei versi.

Ciao, Rosa Maria

LETTERA DI FRANCO TILENA

Ferrandina, 23. 1. 1981

Caro Lotierzo, ho ricevuto dalla Forum il plico raccomandato, ma con

mia somma meraviglia ho trovato solo 15 copie dell’antologia, mentre,

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a tuo dire, l’esborso da parte mia di lire 60.000, di cui peraltro non

mi hai parlato a suo tempo, mi darebbe diritto a 50 copie. Il volume,

che ha una bella veste tipografica, mi ha deluso alquanto, sia per la

mia biografia troppo sintetica e sia per l’inclusione di autori del

tutto sconosciuti e di dubbio valore artistico. Vorrei poi sapere come

mai ti sia venuto in mente di citare nella tua nota critica sulla

mia poesia , pubblicata nella rivista “ Quinta Generazione “ , oltre

alla pregevole e poetica recensione di Savelli anche quella malevole

del sedicente critico pisticcese Vitelli, il quale non ha capito

proprio niente del mio mondo poetico ed ha dimenticato che, dopo

Scotellaro e Sinisgalli, io sono l’unico poeta lucano arrivato due

volte all’ambito traguardo del “ Viareggio” e conosciuto in tutti gli

ambienti culturali italiani. Mi hanno, inoltre, stupito talune tue

irriguardose espressioni, come “ mancanza di strumenti di analisi”, “

retorica “, “ letterarietà”, mentre per altri autori , i cui scritti

sono privi di forma e di contenuto, hai profuso a piene mani lodi e

consensi. Spero che non me ne vorrai per questa meritata tiratina

d’orecchi, poiché , come certamente avrai capito, ho l’abitudine di

dire sempre ciò che penso. Con l’occasione, ti saluto affettuosamente

e ti abbraccio,

tuo Franco Tilena

LETTERA DI ROSA MARIA FUSCO N.II

T

ursi, 28 gennaio 1981

Caro Antonio,

ricevetti il 13 di questo mese la tua lettera datata 23 dicembre…

Prima di proseguire in questa ti pregherei di non darmi della “ prof.”

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La prossima volta che mi scrivi, intanto perché non ho mai avuto il

tempo di laurearmi ( naturalmente ho dato tutti gli esami) e poi

perché appartengo a una categoria di persone che chiama tutti per nome

e cognome ( quando posso per nome e basta).

Dunque, da amici e compagni quali siamo, dimmi piuttosto come stai; mi

dispiace leggere nelle tue lettere espressioni del tipo “

sopravvissuti alla vita” e “ finito a trent’anni” , sia pure col

punto interrogativo… La nostra generazione non ha neppure

cominciato sicchè non può concedersi il lusso di “ finire”. Io non

ho ancora ricevuto l’antologia ma,tant’è, la curiosità è femmina e mi

son fatta leggere un terzo della monografia per telefono da Roberto

Linzalone…

Adesso ovviamente non mi ricordo nulla di quanto Roiberto ha letto.

Non ti scrivo quindi neanche per l’antologia che, comunque, secondo me

bisognerebbe presentare ( con preghiera di avvertirmi in tempo, perché

ho una gran voglia di conoscere i colleghi lucani, e dico proprio

conoscerli di persona, giacchè l’isolamento è padre di tutti i vizi…)

Non è che ho voglia di scherzare, dati i tempi ,sarebbe di pessimo

gusto. Ma è vero che bisogna scrollarsi di dosso il mal di vivere o si

finisce, come me, sempre con gli antidepressivi a portata di mano.

Anche la poesia è un antidepressivo ( convieni?)

Ora ascoltami, e rispondi a stretto giro di posta (nella misura in cui

un giro di posta può considerarsi stretto) , devo fare per “ Impegno

80 “ ( già

“ Impegno 70”, vale a dire la rivista dell’ Antigruppo) una

piccolissima nota sui lucani, con relative mini-antologia. Mi spiego

meglio. Rolando Certa ed io, avremmo intenzione di mettere in qualche

modo in contatto lucani e siciliani, giusto per fare amicizia insomma,

per far sapere che ci siamo.

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A seguito dell’impatto con “ I corpi e le parole” ( grazie a

proposito per il “ bravissima” dello scorso settembre ). Certa mi ha

scritto di proporre qualcosa. Io di solito propongo i poeti. Perciò

sei pregato di mandarmi un qualche tuo testo inedito, se proprio di

inedito non hai niente, devi scrivermi lo stesso perché, in tal caso,

prendo un paio di poesie da “ Moritoio marginale “.

A proposito di libri tuoi, io non ho “ Il rovescio della pelle “ e

non saprei a chi chiederlo. Mi sarebbe utile tenerlo, non certo per

smania di collezionismo… L’altra settimana comunicai a Franco

Maniscalchi il tuo nuovo indirizzo, credo che Franco desideri ricevere

tutto ciò che hai pubblicato di successivo a “ Il rovescio della pelle

“ oltre ad una eventuale accurata bibliografia critica. Questo

materiale gli serve per un saggio sui poeti di Quinta e Sesta

Generazione ( si dice così ?) al quale sta lavorando da tempo, nel

quale so che hai già un posto, e il cui dattiloscritto dovrebbe essere

consegnato in tipografia per fine marzo. Perciò se Maniscalchi non

t’ha ancora scritto ( o se il postino non t’ha ancora recapitato la

sua lettera) mandagli comunque il materiale che ti ho elencato,

dicendo che te l’ho detto io. Se vedi Giuseppe Settembrino, dì anche a

lui di mandarmi qualcosa di recente ( sempre per quell’articoletto

che devo fare per i siciliani), so che, purtroppo, il sisma ha colpito

anche la sua casa e che ora abita presso i suoceri, di cui però non ho

l’indirizzo.

Infine, mi ha scritto Vincenzo Celano, al quale devo una risposta sul

“ Senza trucchi di finale “ , un grazie per “ La cinghia,vostro onore

“ e alcune informazioni sulle mie, diciamo attività culturali…

Se dunque lo vedi, salutamelo, scusami per la non tempestività della

risposta e digli che ho letto tutto e che, dunque, gli scriverò appena

potrò. Credo di averti informato su quasi tutto, tranne che mancano

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due minuti alla mezzanotte, che ho sonno, mal di testa e un tavolo

troppo ingombro di carte, e una gran tentazione di farne una gran

fiammata… Ciao, Rosa Maria

LETTERA DI GIOVANNI COLANGELO

Be

llizzi, 26.07.1987

Carissimo Antonio,

giorni fa pensavo e ripensavo ai tuoi consigli telefonici ( avevo

comprato anche il volume consigliatomi: “Manuale di stile”), quando mi

giunse “Basilicata” . La sfogliai e mi fermai a pag. 26. Lessi

rapidamente la prima parte della tua recensione al mio “ Le

ricettizie della diocesi di Marsico nei secoli XVI-XVIII e tuo “

Parrocchie in Val d’Agri”, che è poi lo stesso libro. Lessi e

rilessi, invece, attentamente la parte che ti prego di rileggere per

l’ennesima volta, mentre faccio qualche digressione, non troppe, però,

e senza approfondire il discorso perché ho troppo da fare per

scriverti un romanzo:

“ Un conflitto fra essere e dover essere, che Colangelo illustra con

pignoleria, anche se non si può non augurare che anche i nostri

storici inizino a venire incontro al desiderio di conoscenza d’un

pubblico più vasto e che quindi apprendano a scrivere in maniera più

suadente e discorsiva, abbandonando gli attuali timori che li

vincolano all’inutile rispetto accademico o ad una malintesa fedeltà

ai testi ed alle fonti, che stanno lì per essere reinterpretati e non

solo, sia pur accuratamente, presentati . Antonio Lotierzo “.

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Tu sai che per una legge ingiusta siamo stati tagliati fuori dai ruoli

universitari. Ma ciò non c’impedisce di scrivere libri a livello

universitario. “Laico” della cultura e pur con tante cose da fare, di

tanto in tanto mi permetto il lusso di dare qualche lezione agli “

accademici”, i quali spesso blaterano di qua e di là e pensano che,

impedendomi l’accesso a certi Centri e non inviandomi gli inviti a

certi convegni, mi impediranno di parlare e di scrivere! Ma non è

così, perché più si danno da fare, più tutta la loro farina va in

crusca. Una lezione volevo dare a parecchi “ accademici” con i miei

due articoli sulle ricettizie della diocesi di Marsico, lezione che

andavo preparando sin dal 1971 quando, ricercando, ero già addivenuto

a certe conclusioni, conclusioni che m’impedirono di pubblicare,

perché le mie documentate tesi scalzavano alcune “ storie” che

andavano e vanno per la maggiore e delle quali anche tu sei ancora

infatuato. Io avevo intrapreso allora la “ carriera” universitaria e

perciò mi convenne tenere nel cassetto le mie idee. Successivamente,

però, avendo raggiunto la maggiore età e scrollatomi di dosso il giogo

feudale che tu ancora non sei riuscito a scrollarti di dosso, ho

scritto senza alcun ritegno quanto pensavo, anche se sempre in modo

pacato e senza partire all’attacco contro questo o quello. Ritengo,

d’altra parte, che questo si chiami e sia equilibrio, equilibrio che

lo storico deve sempre conservare anche in considerazione del fatto

che non esiste la STORIA ma esistono tante storie e tutte, purchè

siano scientifiche, ugualmente importanti. Io dò dei tasselli e così

ogni studioso. Ma dire la VERITA’ ( ti prego non chiedermi che cos’è

la verità! ) non è sempre facile e allora forse il mio e tuo libro ha

contribuito a far innervosire “ alcuni storici”, che ti hanno indotto

a qualche ripensamento. Dunque era agli storici che mi rivolgevo, né

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ho intenzione di cambiare interlocutori a 45 anni per i motivi che ti

dirò.

D’altra parte, pubblicati i miei due articoli, me ne stavo contento “

al quia”, perché avevo raggiunto il mio scopo. Tu hai voluto farne un

libro con un titolo ambizioso e con la tua introduzione che, malgrado

i miei suggerimenti , non hai voluto rivedere. Ma né tu ,né io

dobbiamo rimproverarci alcunché, perché entrambi abbiamo fatto buona

cultura, in particolare storica. D’altra parte, se non sono mancate le

critiche e sai da parte di chi, molti sono stati i giudizi

lusinghieri: conosci anche questi!

Perciò non abbiamo sbagliato, anche se c’era qualche tuo amico che

avrebbe voluto fartelo migliorare…

Certo, si può, anzi si deve, sempre migliorare! Ma non come

suggeriscono gli invidiosi!

Ad un certo punto, però, tu hai avuto il “ grande incontro

letterario”, ti sei imbattuto in ( S.) Martelli, (U.) Eco,ecc., e,

novello Saulo, ti sei convertito… non so a che cosa! Hai

ritenuto,perciò, che io avrei dovuto usare il linguaggio dei nominati

e che debbo rivolgermi ad un più vasto pubblico, che sarebbe poi il

popolo: considero tale anche i sedicenti intellettuali, anche laureati

ed insegnanti di provincia, che quando debbono comprare un libro

dicono: costa L. 5.000!!!) . Certo il linguaggio cammina con i

tempi, ma non credo che il mio sia tanto diverso da quello corrente. E

pensare che solo qualche anno fa avevo la consapevolezza, ce l’ho

ancora, di non saper scrivere da accademico e i miei scritti mi

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sembravano poco aulici e troppo rivolti al popolo! Ora tu mi accusi

del contrario: o tu mi sopravvaluti o io mi sottovaluto. Se la tua

affermazione fosse giusta, ne sarei lusingato. Intanto, per

perfezionare ancora meglio il mio linguaggio accademico, continuerò a

leggere gli scritti degli accademici e trascurerò quelli che non lo

sono ( forse che Eco, Martelli, Camporesi,ecc. non sono

accademici ? ). Tuttavia, io, come ti dicevo, ho fatto la mia scelta:

ho deciso di rivolgermi agli accademici e, se voglio farmi capire da

loro, debbo, per forza di cose, usare il loro linguaggio. D’altra

parte, non m’interessa indottrinare il popolo, anche perché ho già

visto fallire molti di questi progetti. Che resta ad esempio, di tutti

i buoni proponimenti degli “ Apostoli” degli Anni Cinquanta ( De

Martino, Arturo Arcomanno,ecc.) ? Consapevoli che la cultura avrebbe

trasformato il popolo, pretesero di elevarlo dandogli più scuola, con

l’ antropologia e con le idee del PCI e del PSI. Ma il popolo crebbe

diversamente sfottendosene dei suoi benefattori e diventò più colto

per altra strada ( la televisione, l’automobile, le strade a

scorrimento veloce,ecc.), creandosi ideali diversi da quelli che

volevano inculcargli i nostri bravi studiosi e per i quali avevano

tanto combattuto e sofferto. Ed ora di tutto il loro travagli

interiore, ansie, preoccupazioni,ecc. non restano che alcune migliaia

di pagine sulle quali di tanto in tanto si sprofonda un Lotierzo, un

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Colangelo,ecc., per fare la storia di quel momento culturale, che,

tutto sommato, ha avuto una “certa” importanza forse solo per l’

“intellighentia “ ( perdonami questa parolaccia), che suonerà male ad

un populista quale tu vorresti essere, forse solo a scopo

editoriale !!!). D’altra parte a 23 anni avevo le tue idee e pensavo

di fare storia per il popolo. Feci le mie prime esperienze su un

giornalaccio ( lo definisco tale non tanto per l’opinabile contenuto,

che allora non capivo neppure, ma in particolare perché era pieno

zeppo di ORRORI tipografici) di provincia. Pensavo che tutti

dovessero comprare il settimanale ( poi quindicinale e mensile) perché

io vi scrivevo sulla storia di Brienza, raccontata, naturalmente, come

sapeva fare un maestro elementare ( allora insegnavo alle elementari)

ai suoi scolari. Mi leggeva solo l’”intellighentia “ burgentina

( Paolo Laurino,Mimì Collazzo e pochi altri colleghi, perché mi

rispettavano) . Il popolo, che io volevo indottrinare ed elevare, se

ne FOTTEVA, anzi mi diceva: chi te lo fa fare di perdere tempo e

denaro ? Eppure allora stavo in mezzo al popolo, parlavo la sua

lingua, mi ponevo i problemi dal suo punto di vista, ecc., in una :

facevo parte del popolo.

Ma un giorno ebbi anch’io la mia conversione. Il prof. A. Cestaro ,

al quale, malgrado i suoi difetti, debbo parecchio, aveva sulla

scrivania uno dei numeri del “ giornalaccio” . Lo fissava e poi,

Page 231: POESIE 1977-2001

alzando gli occhi puntatemeli addosso, mi disse : “ Deve fare una

scelta ! O fa il ricercatore o fa il divulgatore . Sono due ruoli ben

distinti. Se vuol fare il divulgatore, continui pure a scrivere così e

per il popolo, come lei dice, dal quale non le verrà granchè. Se,

invece, vuole entrare nel mondo accademico e vuol contribuire al

progresso della ricerca storica, deve pensare che quando ricerca deve

avere un bagaglio culturale, perciò deve leggere molto, leggere,

leggere… e quando scrive (deve) rivolgersi agli storici, dei quali

deve cercare di sapere ciò che sanno e ciò che vogliono sapere da lei

“ .

Fu un discorso fatto col cuore, serio, che accettai subito, anche

se in quel momento non ne compresi tutta la portata. Allora feci la

mia scelta e, come ti ho già scritto, non intendo rimetterla in

discussione. Io continuerò a scrivere di storia come so fare, avrò 25

( almeno me lo auguro) lettori ( caso mai per illudermi di averli,

regalerò loro i miei libri ) quasi tutti terribili, spietati,

criticisimi più di te, ma continuerò a fare ricerca storica i8n modo

scientifico e col linguaggio che tu condanni. Autorizzerò gli altri

( invero ne è già sorto qualcuno e a tal proposito vedi il libro su

Brienza di Mariano Collazzo non solo tutto suggerito da me, ma anche

copiato dai miei scritti, anche le note e i documenti riportati ) a

leggere i miei libri ed a farne delle edizioni per il popolo: spero

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che i divulgatori trovino più lettori di quanti ne abbia trovati io

fino a questo momento in Val d’Agri ( ma la cosa mi interessa poco,

perché professori da Filadelfia, ecc. mi chiedono di scrivere con

loro ! ).

Ed ora veniamo a questo linguaggio nuovo che io non conosco. Intanto

ti ringrazio per l’assaggio inviatomi di “ Il pane selvaggio “ di

Camporesi, un libro che avevo già segnato fra quelli da prendere in

biblioteca insieme ad altri due dello stesso autore. Confesso, conosco

Camporesi da alcuni giudizi, uno dei quali riporto qui: vedi

fotocopia. Ma veniamo alla p.5 di “ Il pane selvaggio” , 25 righi,

titolo compreso,tutti per il popolo ( credo di non aver capito il tuo

concetto di più vasto pubblico!!!) Dopo il titolo,un rigo o quasi in

francese, per il popolo! Ad un certo punto 3 righi e poi 2 riportati

da due documenti del ‘500. Al centro della pagina un pensiero di 8

righi, pieno di incisi e controincisi e di una elaborazione culturale

unica! Anche questi tutti per il popolo! Analizziamoli ( le

sottolineature sono mie) : “ Uno squarcio orribile - proveniente da una

delle più dotte città d’Europa – che illumina

sinistramente l’ultimo stadio d’una tormentata metamorfosi, il lungo,miserabile

viaggio verso la

distruzione dell’umano e la nascita effimera dell’uomo-bestia a diuturno contatto col letame

, attratto dal miraggio del suo tiepido e fermentante calore, rifugio nauseabondo per

chi - novello Giobbe – era costretto a dormire nudo sullo sterco “.

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Mi vuoi dire di quante di queste parole il popolo conosce il

significato! Quali concetti vi vedrà dietro ad ognuna di esse ? Sono

proprio quelli che voleva esprimere il raffinato Camporesi ? Ma

passiamo a pag. 6. 36 righi ( senza le due di note, che il popolo

spesso legge in continuazione del testo) , 17 dei quali in latino

8saranno questi gli unici righi che il popolo comprenderà ,

considerato che il latino è il padre della lingua italiana ), due

righi riportati da un documento e poi tante, tante, troppe parole

difficili, calamitose, labili esternate ombre rinsecchite dagli stenti, metafisiche presenze

e deprimenti allegorie della Mestizia , come altre parole, con la maiuscola ),

promenade, Homilia dicta tempore famis et siccitatis e tanti elaborati concetti

dietro ad esse che sono compresi solo da un’anima filosofica e poetica

come la tua e non già da quella più matematica e scientifica quale è

la mia ! !! Per carità, non facciamo, con queste letture, perdere al

popolo anche quel pochissimo amore per la lettura inculcatogli sui

banchi di scuola. Se vuoi che io lasci il mio modo di scrivere,

suggeriscimi di leggere gli storici francesi, inglesi,americani, i

quali , tuttavia, sembrano dalla lingua facile ed accessibile , ma

aleggerli bene sonodifficili quanto se non più degli italiani. Non

propormi ,però, di leggere gli aulici e raffinati Camporesi, Eco, ecc.

altrimenti finirò per amare sempre più il mio linguaggio e il mio modo

di fare storia, modi che il mio editore ( leggi Lotierzo ) prima

pubblica e pubblicizza e poi condanna ( pubblicizzandoli ) su una

rivista che ha tanti meriti, ma che pure si rivolge al popolo con un

linguaggio spesso aulico, “ accademico”,ecc..

Rifletterò ancora sulle poche ma significative frasi da te scritte a

recensione del mio libro ( tra l’altro accenni al mio modo di fare

storia ed all’utilizzazione che faccio dei documenti che certamente a

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te non piacciono !!! ) cose sulle quali, se avrò il tempo, ti

risponderò, sempre per lettera.

Per ora ti abbraccio ancora più fraternamente di sempre, pregandoti di

estenedere i miei saluti, e quelli delle mie , ai tuoi,

tuo Nino

LETTERA DI PASQUALE TOTARO ZIELLA

Senise, 14. 10. 1987

Caro Tonino,

non so se posso chiamarti ancora così, adesso che sei preside ( a

proposito tanti,tanti auguri di cuore).

Tu vuoi sapere novità. E’ tutto a posto e niente in ordine; qui non

succede niente. Sono disperato, disperato,

disperato. Non riesco più a concludere niente e quel poco che faccio

sembra che sia tutto sbagliato, che mi si

rivolti contro. I miei figli, sono già tre, mi mangiano tutto il tempo.

Non riesco più a pensare, a sermi al tavolo. Stare in Basilicata a fare

resistenza e confino comincia a pesarmi. Devo lottare anche per una

stupidaggine. Qui vedono l’interesse e la cattiveria in tutto.

L’iniziativa editoriale è fallimentare e la reggo con le stampelle. Non

riesco a far partire niente di niente. Nessuno dà una mano. Captano ha

ragione. Abbiamo accumulato nel deposito pile di libri. Gli organi

competenti e preposti fanno finta di niente su qualsiasi proposta.

Chiedono solo e sempre la tessera per farti mendicare le briciole, che

sono sempre umilianti. Ti vogliono togliere il midollo spinale.

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Sono anni già che lavoro a due libri di racconti. Caro Tonino, scusa

dello sfogo e scusami per averti fatto perdere tempo con le mie

chiacchiere. La disperazione è mia e me la tengo.

In riguardo al tuo lavoro, forse lunedì dovrei andare a ritirare le bozze

e le spedisco.

A proposito! Dimenticavo di ringraziarti per il Corriere della Sera . Ti

ringrazio. Scusami ancora per la poco organicità del dettato: Ti

abbraccio fraternamente,

Pasquale

LETTERA DI MICHELE DE LUCA

Roma, 5. 12. 1993

Caro Antonio,

mi ha fatto molto piacere ricevere la tua lettera e vedere così

ristabilito un contatto interrotto qualche anno fa’.

Innanzitutto accetto ( con interesse) il tuo suggerimento e mi

autoregalerò il tuo libro. Anch’io ti seguo su “ Basilicata”, che per ora

è rimasto il mio unico ( e assolutamente gratuito) impegno “ lucano” .

Con Leonardo Sacco – tra le persone, che, per la sua intelligenza e

dedizione, stimo di più in assoluto – è sempre gratificante collaborare,

dando una mano alla sua costante fatica.

Per il resto ho dovuto interrompere il lungo e fruttuoso ( mi auguro)

lavoro svolto nei nostri paesi perché era diventato troppo gravoso,

mentre poco o niente – almeno ai livelli che immaginavo e per i quali

valeva la pena impegnarsi – sembrava “ decollare”, nella sostanziale

indifferenza delle amministrazioni, a partire da quella locale ( di

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Sasso). L’esperienza del Comitato mi è servita moltissimo per dare uno

sbocco professionale all’impegno e agli interessi prima confinati nel

cosiddetto volontariato, tanto che il lavoro attuale ( tranne un piede

dentro ad una banca, che purtroppo ancora non sono riuscito a tirare

fuori ) è tutto calato nella attività giornalistica ( con diverse

collaborazioni), negli uffici stampa ( da 7 – 8 anni curo quello della

Fratelli Alinari, che è il top nel settore della fotografia) e

nell’organizzazione culturale. Anche se il momento, come per tante altre

cose, non è davvero esaltante. Avrei voluto, a questo punto, riversare la

mia “ professionalità” in nuovo impegno per la Basilicata e per il Sud;

ma ho l’impressione che quella bella stagione sia lontana ed

irripetibile… E’ rimasto in piedi a Sasso il discorso della biblioteca,

tenuta in frigorifero ( o, forse meglio, nell’obitorio) dalla passata

amministrazione. Ora è cambiato il sindaco e fatto fuori l’ “ancien

régime”, e pare che si siano risvegliati interessi per la cultura!

Staremo a vedere. Arrivederci spero presto, grazie per la tua lettera e

tanti auguri anche a te e famiglia per le prossime festività. Un

abbraccio, Michele

LETTERA DI GIANCARLO TRAMUTOLI

Potenza, 25. 06. 1995

Caro Lotierzo,

ti ringrazio innanzitutto delle bellissime cose che mi hai scritto sui

miei versi. Non capita quasi mai di trovare qualcuno che vada così a

fondo e con tale attenzione e precisione nel giudizio critico.

Sono complimenti che in genere ci si fa da soli per tirarsi si e che in

questo momento davvero mi hanno dato una bella botta di fiducia di cui

avevo bisogno.

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In particolare ho apprezzato il fatto che hai colto una cosa che è

centrale nella mia scrittura: la sistematica distruzione del luogo

comune, della frase fatta, del linguaggio , sia quotidiano che

letterario, logorato dall’abuso, cercando di reinventarne un altro

utilizzandone anche i brandelli in maniera anomala e spiazzante.

Un’altra cosa cui tengo moltissimo hai colto: che dietro il gioco,

l’ironia e il “ cazzeggiamento lessicale” c’è un universo di sostanziale

malinconia. Infatti succede che se dici una cosa seria scherzando

nessuno se ne accorge, e invece credo sia il solo modo di poter parlare

oggi in versi di cose anche dure e dolorose, al riparo dalla retorica che

è sempre in agguato.

Ho letto più volte le tue poesie, la cui densità mi ha suggerito una

lettura assai lenta e attenta. Ci sono dentro delle suggestioni forti e

versi come “ una piccola mela mi basta / a pulire l’amaro della bocca “

che sono di una bellezza pura. E’ uno stile che trovo intenso senza che

diventi ostico.

Pur non reputandomi un critico, scrivo quando mi capita e solo di cose

che mi piacciono veramente,credo di poter proporre qualcosa al

trimestrale della Regione Basilicata ( vi collabora anche Settembrino che

però scrive soprattutto di ambiente e col quale ci salutiamo soltanto) .

Quando uscirà ti spedirò la rivista:

Penso di dare una copia del tuo volumetto anche a Bernardo Panella che

scrive su “ Cronache Lucane “ e ad Oreste Lo Pomo, poeta e giornalista

Rai, che forse potrebbe scrivere qualcosa su “ Il Tempo” .

Se esce qualcosa te le spedirò. Intendo di nuovo grazie, e auguri, magari

il mitico Scheiwiller potrebbe presto pubblicarti il prossimo lavoro. Un

saluto affettuoso e a presto, Giancarlo Tramutoli.

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INDICE

GENERALE

Cronologia

La luna della ragione: sulla poesia di Antonio Lotierzo

IL ROVESCIO DELLA PELLE

MORITOIO MARGINALE

GOLFO DI SOGNI INQUIETO

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VETRI RIFLETTENTI

Annotazioni

TESTIMONIANZE CRITICHE

LETTERE

Bibliografia

Indice

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