ANTONIO LOTIERZO POESIE ( 1972 – 2000 ) NAPOLI 2014
.
Cronologia
1950 - 1960
Antonio Lotierzo , primogenito, nasce il 28 giugno 1950, alle ore
17,30 , in una casa fittata dai Santalucia in Civita a
Marsiconuovo (Pz). Il padre, Michele Lotierzo ( 1923 – 1989) ,
scampato alla guerra ed alla prigionia, è insegnante elementare e la
madre , Graziella Caprio ( 1927- 1985 ) dopo il magistrale, a
Lagonegro, non sostenne l’esame finale e poi venne costretta a non
lavorare se non come casalinga, è proprietaria d’una casa al
Portello, dove si trasferiscono dal 1952,avendola ristrutturata.
Insieme con loro viveva Vincenza Caprio ( 1902- 1987), vedova del
sarto Angelo, figlio del “ varricchiaro” Nicola.
Il 14 settembre 1952 nacque Angelo; il 12 febbraio 1957 Giovanna, il
30 novembre 1964 Andrea.
La casa del Portello, non spaziosa ma comoda, si suddivideva in tre
ambienti : al piano terra una lunga cantina, che fungeva anche da
deposito derrate, forno, lavanderia manuale, gallinaio; al primo
piano cucina e soggiorno ; al secondo piano camera da letto e
salottino-studio.
La famiglia era piccolo-borghese, i nonni paterni contadini , i
materni artigiani . Nonno Antonio ( ) era un contadino
che aveva perso una gamba nella prima guerra mondiale, ricevendo una
magra pensione che integrò con il suo lavoro agricolo fino al 1961.
Sono anni di grande trasformazione sociale, impercettibile dai
soggetti coinvolti, la struttura sociale rurale sta cedendo ad una
contraddittoria trasformazione . Gli anni dell’ infanzia scorrono
fra le grida del vicinato, il ciclo stagionale del lavoro contadino,
la spensierata vicinanza di decine di compagni.
A cinque anni è iscritto come uditore alla prima elementare
nell’austero quanto fatiscente palazzo Manzoni – convento Benedettine
- al Casale e lì svolge l’intero ciclo , con insegnanti ogni anno
diversi, concludendo con l’esame di ammissione alla prima media che si
svolgeva a Moliterno. La prima comunione avviene in S. Marco, chiesa
anche dei funerali dei suoi. Avendo riportato la media dei sette/
decimi il padre chiese all’Enam un posto in un collegio meridionale.
Il padre acquistò enciclopedie come “ Vita meravigliosa” nella cui
lettura, sia delle immagini e sia dei testi, si formò l’immaginazione
del fanciullo. Possedeva anche un minuscolo proiettore di
diapositive, con cui iniziava a conoscere la civiltà delle immagini
che sarebbe esplosa con la televisione, dopo il 1957.
1960 - 1965
L’Ente assistenziale dei maestri lo assegna a Taranto , presso il
collegio dei Salesiani , su Viale Virgilio , allora periferia della
città, di fronte ad un mare sempre pensato e mai visto. I tre anni di
scuola media vedono un allargamento ed un’interazione culturale
essenziale: un’educazione cattolica intensiva che viene vissuta con
adesione e trasporto.
Lotierzo canterà nella ‘schola cantorum’, servirà messa per anni,
anche al paese, nella chiesa di s. Rocco, aderendo ad una spiritualità
che modifica la stessa percezione della cultura sociale originaria.
La vita costrittiva ma ricca di amicizie e cultura religiosa del
collegio, la sofferenza iniziale nel distacco dalla situazione
affettiva , riplasmeranno la personalità che scoprirà effimere ma
intense amicizie , allarganti il nucleo del vissuto, in quanto i
collegiali provenivano da città come Brindisi , altri paesi lucani
( Sant’Arcangelo, Corleto) , Manduria . Il padre Michele è eletto
sindaco di Marsico, per la Democrazia Cristiana, di cui era iscritto
dal 1947 e segretario di sezione dal 1955, operando un’opposizione sia
al Movimento Sociale e sia ai Socialcomunisti.
Quasi naturalmente, avendo coltivato meglio le materie umanistiche e
manifestando paurosi vuoti verso le matematiche, Lotierzo si iscrive
al Ginnasio dello stesso collegio.
Inizia la crisi adolescenziale, in cui l’interesse mistico
religioso manifestato negli anni precedenti si sposta ed allarga ad
interessi letterari. Periodicamente i Salesiani facevano delle fiere
del libro, offrendo con un certo sconto libri da loro curato o
distribuiti, con testi sia d’ispirazione religiosa( H.Hello) ma anche
sunti da Shakespeare ( C.Lamb). L’uscita dei primi Oscar
della Mondatori nel 1965 e poi quelli della Longanesi gli
consente di leggere pagine di Gide , Hemingway, Pavese, Russell .
Nel collegio, nel febbraio 1965, i Salesiani operano una
perquisizione, che coincide con alcuni fatti di non corretto
comportamento generalizzato . Nel polverone della scoperta dei libri
proibiti ,di immagini che venivano definite pornografiche, di alcune
battute scambiate via citofono con delle suore, il direttivo del
collegio decide di allontanare prima con una sospensione settimanale
e poi definitivamente Antonio con altri tre convittori. E’ il crollo
della pedagogia salesiana, il contrasto fra il dire e l’operare che
viene vissuto drammaticamente nell’animo del nostro. Il padre si
rivolge ad un onorevole democristiano ma il debole intervento scritto
non produce la restituzione del posto, che il padre gli fa vivere
come aggravio economico. A ciò si aggiunga che i Salesiani non
formalizzano l’espulsione ma pretendono che passi presso l’Enam come
ritiro volontario compiuto dal genitore per ‘ motivi di famiglia’. E’
una prassi che sconvolge Antonio, perché gli rivela sotto triste luce
l’operato dei preti , la non decisione del padre di contrastarli e di
chiedere chiarezza, lo scaricare sulla coscienza del giovane un
sottinteso di propria insufficienza negli studi. Infatti così solo
viene letta l’iscrizione al Liceo Classico “ M. T. Cicerone “ di Sala
Consilina dai locali docenti, che vedono presentarsi a marzo uno
studente di prima Liceo, corso B.
La docente di latino e greco lo rimanderà settembre proprio perché
vittima del pregiudizio che Antonio fosse stato ritirato dai
salesiani per puri motivi di carenza negli studi . A settembre è
promosso.
1965 - 1968
Da marzo 1965 a luglio 1968 Antonio completa il Liceo classico a
Sala, vivendo un periodo nuovo, laico, in una pensioncina, dove viene
a frequentare anche il fratello Angelo, iscritto al corso A, con
docenti ancora più mitici ( Bracco, Stanzione, Trione ). Angelo
appare da sempre più equilibrato negli studi, attento sia nelle
materie classiche che in quelle scientifiche , che poi approfondirà
con la laurea in medicina.
La pensioncina di Sala apre il giovane ad esperienze laiche , infatti
si è soli con lo studio , si ha libertà di movimento nel paese, che
appare grande come una cittadina, in cui predomina il senso degli
affari, un costume sessuale più libertino ,la ricerca del guadagno,
l’innovazione capitalistica. A tavola Antonio ed Angelo pranzano con
adulti, un orologiaio scapolo impenitente , degli assicuratori ,
degli impiegati , dei bottegai , con altri studenti ma di incogniti
paesi di mare come Palinuro o Sapri che raccontano di svedesi,
bagnanti libertine.
E’ un ambiente che parla di felicità boccaccesca, ma nel cuore di
Antonio è vissuto con ambivalente adesione, in quanto il clima
valoriale lucano e salesiano si scontra con la vitalità secolare, che
fonda la vita su Bacco, tabacco e Venere e su di un’amicizia e
solidarietà tutta mondana e serena.
Gli studi proseguono veloci. Dal 1966 , traducendo i lirici greci,
Antonio inizia a comporre brevi poesie , in cui riaffiora la
classicità , l’imitazione facile ed esteriore di Quasimodo. Ora può
leggere senza controllo ciò che l’editoria milanese propina in edicola
a basso costo ; americani come “ I peccati di Peyton Place” o
Pirandello ; altro B.Russell . La lettura e la vita da pensionante
iniziano a straniarlo dalla comunità , si sviluppa l’occhio altro, che
aspira ad una famiglia ma che la sente al tempo stesso perduta o
insoddisfacente.
In questo clima psicologico avverte l’eco delle prime manifestazioni
studentesche.
1968 – 1972
Iscrittosi a filosofia a Napoli, non inizia che a frequentare un mese
a novembre e poi da gennaio 1969. E’ la vita delle pensioni
studentesche e dei miseri appartamenti dei fuorisede. Si formano
amicizie d’una vita: conosce Alfonso Reccia ,che diventerà avvocato,
un casertano che fungerà da mediatore per la conoscenza della realtà
napoletana, che l’avvierà alle lettura de “L’Espresso” . Le lotte
politiche incendiano la città. Gli studenti sono in lotta accanto alla
classe operaia. Lo studio continuo è accompagnato da questo incendio
di lotte confuse, utopistiche se non astratte, da un esteriore e
sconosciuto maoismo a “ Il manifesto”, dove Antonio ascolterà
V.Caprara, A. Wanderling, A. Carlo passando attraverso assemblee più
appassionate che analitiche e lunghe manifestazioni di piazza contro
i governi, contro l’imperialismo. Sui gradoni dell’Università, a
corso Umberto, si poteva rintracciare Antonio fra i giovani che col
pugno chiuso accoglievano gli operai sfilanti nell’autunno caldo. E
poi verrà l’incendio dell’Università, gli scontri con i fascisti. E
tanti slegati rapporti umani. La storia esterna confluiva nelle
pensioni studentesche dove si commentava l’anticapitalismo e si
finiva per imparare meglio il tressette .Non esisteva alcun legame con
la borghesia napoletana, con i suoi figli studenti. Il fuori sede
viveva in un suo limbo, in questa immensa altra e sconosciuta città di
Napoli. Nel febbraio del 1970 Antonio organizza alcuni comizi in
Basilicata contro la politica governativa. L’eco della contestazione
studentesca giunge a Villa d’Agri, dove si promuovono convegni e si
incontrano le esigenze del rinnovamento democristiano della ‘Base’
con una recente organizzazione socialista, con cui collabora. Nel
febbraio il padre ebbe una violenta emorragia allo stomaco, venne
resecato ed uscì tre mesi dopo dall’ospedale.
Nel luglio del 1972 Antonio si laurea in filosofia,con C.Carbonara,
ottenendo 110 / 110. La tesi su Marx gli consente di leggere sia le
interpretazioni storicistiche che le strutturalistiche, da L. Colletti
a L.Althusser. Nel novembre il padre non è più sindaco: una risicata
giunta di sinistra ottiene la maggioranza al Comune.
1972 – 1973
Dall’ottobre 1972 è chiamato per il servizio di leva, quale fante
presso i granatieri di Sardegna a Sassari.
Nel gennaio è trasferito a Roma, Pietralata. Assolte le funzioni
dovute, dalle ore 17 alle 23 di ogni pomeriggio, Antonio è al centro
di Roma, fra piazza Campo dei Fiori e Trastevere. Sviluppando questa
sua modalità di esserci e di non appartenere allo stesso tempo,
frequentò cinema d’essai, teatri ‘ underground’ , mostre, musei, seguì
conferenze, trascorse ore alla ‘Rizzoli ‘ . Con tremore scoprì una
sera d’avere davanti a sé come spettatore A. Moravia, di cui leggerà
il commento su “L’Espresso” e ciò gli permetterà di riflettere sulla
rapida modalità di composizione degli articoli. In caserma riuscì a
stampare al ciclostile una trentina di poesie, cercò di venderle in
piazza Navona. Incontrò D. Bellezza, seguendone gli articoli per
‘Paese Sera’ . Partecipa al concorso a cattedra di filosofia e
storia, che si concluderà anni dopo e da cui risulta idoneo.
Nel luglio del 1973 la madre Graziella è colpita da ictus, la paresi
laterale si scioglierà con l’eparina ma le sue condizioni inizieranno
a risultare preoccupanti per la stenosi mitralica postreumatica,
curata solo
con digitatici.
A dicembre 1973 rientrò a Marsico, congedato quale caporalmaggiore.
Si iscrisse alla specializzazione biennale in archivistica
biblioteconomia a Napoli, che concluse nel 1975.
1974 - 1975
Da gennaio inizia ad insegnare in un corso serale per lavoratori a
Satriano e poi a Moliterno in un doposcuola della locale media.
Stringe amicizia con il tipografo-editore Romeo Porfidio e frequenta
Domenico Bonelli, di Montemurro, antifascista e intellettuale curioso
se non raffinato, giornalista e singolare figura di giurista.
Partecipa ad un bando dell’UNLA per direttore di un centro di
servizi culturali a Napoli e vince il posto di Secondigliano, Via
Monte Rosa, dove lavorerà dal luglio 1974 all’agosto 1975. Ritorna a
vivere a Napoli, in un appartamentino di Vico Consiglio, presso Piazza
Carità; si abilita in Filosofia e storia nel corso riservato e
conclude la specializazione . Conosce Carla De Benedetti ed inizia una
stabile ed intensa relazione affettiva.
Nel 1975 partecipa ad un concorso di borsista dell’Università di
Salerno e lo vince iniziando a collaborare alla fondazione del
Centro studi per la storia del Mezzogiorno , diretto da Gabriele de
Rosa , iniziatore della storiografia socio-religiosa. Legge F.Braudel
, M.Bloch, numeri delle “ Annales” , P.Villani, G.Galasso, la “ Storia
d’Italia “ della Einaudi , C. Ginzburg.
1976 - 1982
Dal febbraio 1976 si dimette dagli impieghi precedenti, in quanto
ottiene una nomina a titolare di filosofia e storia nel Liceo
scientifico di Rotonda, che dipendeva da Lagonegro. Sembra la
sistemazione definitiva,con un mensile di trecentomila lire . Gli
impegni di studio continuano e si focalizzano intorno alla figura di
Michele Gerardo Pasquarelli ed al positivismo demologico, che
rintraccia nella sezione Lucchesi Palli della Biblioteca Nazionale
di Napoli, dove trascorrerà ore deliziose della sua vita,
attraversandone le sale, abitando il giardino pensile, incontrando
studiosi. Inizia a studiare antropologia, E. De Martino, Lévi-
Strauss, Evans-Pritchard, C.T. Altan, V. Lanternari, A. Di
Nola, G. Pitrè , M. Foucault.
Il 14 agosto 1976 sposa Carla e parte un mese per Parigi, abitando a
Raspail. Da settembre è trasferito al Liceo di Marsico, prende casa in
fitto e coglie la crisi abitativa e del centro storico.
A giugno, muore il suocero, Mario De Benedetti ( del 1902),
assicuratore, con fratelli a S. Francisco.
Dal 1977 insegna al Liceo Scientifico di Sant’Arcangelo, viaggiando
con una Renault 5 e dal 1980 a Viggiano. In contatto con l’editore
Piccari di Forlì fin dal 1974 – contattato dopo la segnalazione al
Premio “ R. Serra” - pubblica il suo primo libro di versi : Il
rovescio della pelle. Suo fratello Angelo si laurea in medicina, non
trovando un’accoglienza professionale nel paese decide di avviare la
professione a Paterno , sposandosi con Miranda Cunetta, da cui avrà
Grazia e Michele.
Nel 1978 fonda la rivista “Nodi” , che uscirà fino al 1985,
costituendo un polo di aggregazione culturale per una generazione
regionale.
Il padre Michele si pensiona , continua l’attività politica e si
difende da decine di processi, intesi a spegnere per via giudiziaria
la sua passione civica e dai quali uscirà sempre assolto pienamente.
La partecipazione politica di Antonio al Partito Socialista procede
con alternanza e si avvia a spegnersi per l ‘evidente uso strumentale
del suo cognome e per la ristrettezza della formazione e l’arrivismo
dei compagni che confermano un ambiente non confacente con l’utopia
libertaria che permea l’astratto egualitarismo democratico e non
trova un riferimento concreto in un politico o in una forma
apprezzata.
L’8 luglio 1979 nasce il figlio Michele .Dovendo trovare casa, si
trasferiscono in Paterno, in un appartamento di un emigrato. Esce
la raccoltina di versi “ Moritoio marginale” .
Il terremoto del 1980 lo coglie a Scarpano; nei giorni successivi
segue lo spostamento dell’archivio storico comunale compiuto dai
vigili del fuoco. Poi coglie e vive la crisi strutturale del centro
storico e della società lucana, persa e dominata da una
ricostruzione che da un lato fa emergere un ceto di faccendieri
interno alla società e dall’altro inizia una delocalizzazione del
paese, che inizierà a spostarsi a valle e nei luoghi contermini , in
un abbrutimento urbanistico, privo di servizi e coesione sociale.
Partecipa ad un concorso per ricercatore di storia moderna a Salerno
ma giunge terzo.
1983 - 1988
La famiglia decide di spostarsi a Napoli, dove la suocera Consolata
è sola e possiede un appartamento in Via P. Della Valle, 32. Vince la
matrilocalità. Carla acquista dal fratello Guido la quota del
quartino, essendo andato Guido a Roma.dove sposerà Rosanna Cosentino
, da cui nasceranno Federico e Ludovica.
Antonio ottiene il trasferimento per il Liceo Sc. “ Medi” di Cicciano
, poi passerà a Napoli, al Calamandrei ( 1984-5), al Mercalli, al Vico
( 1986- 1989).
Matura la crisi con il paese, in cui gli amici di un tempo sono persi
nel mare di soldi della ricostruzione. Il paese sta diventando
diverso nelle strutture antropologiche e nelle trasformazioni
sociali, segnate dal familismo più che da servizi sociali.
Nel 1985 chiude “ Nodi” . Nel 1984 Michele viene rieletto sindaco di
Marsico: è per lui soprattutto
una riabilitazione morale, un senso d’orgoglio lo riempie, ma le
condizioni di gestione non sono più le stesse e la DC condivide il
potere con i socialisti, in modo subalterno. Il Psi gioca fra Dc e Pci
in alleanze utili.
Nel 1985, in un inverno nevoso e freddo , una crisi cardiaca porta
alla morte Graziella, il quattro febbraio. Il padre rimane sconvolto.
La sua solitudine sarà confortata da Giovanna, che, impiegata al
comune di Marsico, accudirà la casa familiare, mentre Andrea termina
gli studi di ingegneria chimica a Napoli ed approfondisce competenze
nella musica classica.
Il 12 gennaio 1988 nasce Ilaria. La collaborazione con “ Basilicata”
di L. Sacco si fa più meditata e stretta: la linea leviano-azionista
influenza il pensiero di Antonio e si fonde alle strutture precedenti
in una sintesi . Escluso dalla vita politica vivrà senza iscriversi
più ad un partito. Negli anni successivi si apre anche ad una visione
ambientalistica . Ammesso all’orale ad un concorso presso
l’Università di Cassino, quale ricercatore di discipline
demoetnoantropologiche, constata il funzionamento della selezione come
promozione delle comodità del professore e non come accertamento
del merito acquisito negli anni di studi. Anche qui l’appartenenza è
tutto. Un presidente di commissione imposta l’intero esame in maniera
da trasformare il proprio a-priori in un giudizio a- posteriori , per
di più psicologicamente cercando di convincere il perdente della
propria buona fede e scaricando sensi di colpa sull’escluso.
1989 - 2000
Avendo partecipato al concorso a preside di Licei bandito nel 1986 ed
essendosi collocato al posto 104 nella graduatoria nazionale, viene
invitato a scegliere la regione di assegnazione.
Improvvisamente, la sera del 4 giugno 1989 muore il padre Michele, che
aveva avvertito e non verificato un malore nel marzo e che il giorno
prima aveva innaffiato di verderame la sua vigna e preparato un
discorso per le elezioni europee.Questa morte, ritenuta evitabile,
sarà motivo di riflessione su come gli uomini non usino la scienza a
loro disposizione e come non tutto il sapere sia contemporaneo per
tutti.
A settembre 1989 prende servizio quale preside nel Liceo Classico di
Cassano allo Jonio, dove rimarrà fino al 1992 , quando sarà
trasferito al Liceo Scientifico” Nobel” di Torre del Greco ( 1992-
1995) , e poi a Napoli, presso l’istituto “ T. Campanella” di
Piazza Cavour ( dal settembre 1995 ad oggi) . Il 9 febbraio 1990 si
sottopone ad un intervento di colicistectomia, per mano del chirurgo
Leopoldo Torino, al Pellegrini di Napoli.
A Cassano riscopre la cultura calabrese, che aveva vissuto d’estate
nell’infanzia nelle case degli zii paterni che vivendo a Crotone ed a
Cirò Marina, luoghi di serena socialità e intensa gioia per un folto
stuolo di cugini scrive una serie di saggi storici, uno dedicato
all’amministrazione di Marsico nel periodo del padre, rifrequenta
un ambiente religioso, in quanto trova eletta ospitalità presso il
Seminario, luogo di discussioni spirituali e di frequenza discreta
dei vari momenti di culto.
Nel 1990 è riammesso all’orale ad un concorso di demoantropologia a
Campobasso ma nuovamente, su due ammessi agli orali, risulta secondo,
qui svolge da presidente il lucano G.B. Bronzini , che non lo ha
ammesso neppure agli orali in simile concorso a Potenza, teso alla
salvaguardia di un laureato barese. Mesi dopo, invitato a
presentarsi per storia moderna a Potenza, rinunzia a presenziare per
non contrastare A. Lerra.
A Salerno, nel 1992, gli viene assegnato il premio “ A.Gatto” per
l’inedito ( per “ Rosa agostana” ).
I tre anni di Torre del Greco sono caratterizzati dalla scoperta della
disgregazione politica e dagli affarismi evidenti nel degrado
vesuviano, dalla crescita politica di una società civile che iniziava
a ribellarsi e prendeva coscienza della necessità di un nuovo costume
civile ed ambientale, dalla conoscenza di nuclei di femminismo e
centri psicologici adeguati alla realtà urbana.
Il rientro a Napoli si accompagna con la rinascita della città, con
l’entusiamo attivo che spinge a modificare decenni di lassismo e di
incuria e di vuoto progettuale per una metropoli più vivibile. Antonio
è presente in molte manifestazioni dell’Istituto per gli studi
filosofici; frequenta l’antropologo Domenico Scafoglio e interviene
in momenti quali la Galassia del libro. Nel 1994 partecipa al Premio
Montale e M. L. Spaziani ritiene di poter premiare , quale inedito,
la plaquette di “ Memoria ed altri ricordi ” , che nel 1995 è stampata da
Scheiwiller. Riceve il premio a Perugia, dalle mani di A.Zanzotto e G.
Bassani.
Nel 1996 riceve, all’interno del premio Pierro, il premio speciale “
Mimì Latrecchina: una vita per Tursi, la solidarietà la cultura”,
insieme a Achille Serrao, Marco Gal e Dante Mafia. La giuria ,composta
da Franco Brevini, Giogo Delia, Franco Vitelli e Antonio Valicenti
assegna il premio al miglior componimento in un dialetto di area
lucana, al testo Áhere ( Agri) con questa motivazione: “ Scrittore
eclettico, quanto ai generi e agli interessi letterari , ma di rara coerenza e onestà
intellettuale, Antonio Lotierzo aggiunge, al suo già vasto ventaglio espressivo, l’esperienza
della scrittura dialettale. Le sue composizioni nella lingua natìa di Marsico, quasi piccoli
poemetti, effondono un canto di profonda amarezza e di critica alla società attuale che ha
stravolto il quieto e ordinato vivere delle antiche contrade lucane, aggiungendo mali nuovi
( la droga,ad es.) a quelli antichi. Ancorando i ricordi personali e generazionali al filo storico-
sociale-antropologico, la poesia di Antonio Lotierzo ( all’interno della Quinta Generazione non
solo lucana, sempre più incline alle evasioni liricistiche e ai ripiegamenti intimistici ) è un
bell’esempio di attenzione ai destini collettivi e di civile resistenza all’omologazione culturale.
“( riprodotto nella “ Rassegna delle tradizioni popolari “ di
F.Noviello ,a.IX, n.4, 1996, Schena, Fasano, pp. 4-9) .
2001-2014
Lotierzo resta a dirigere l'Istituto "Campanella" di Piazza Cavour
(ora dimensionato con il Liceo Scientifico CUOCO) fino al 2007; dal
settembre 2008 e fino al 2014 è nominato quale dirigente scolastico
dell'Istituto Tecnico Commerciale " Mario Pagano" di Napoli
Mergellina. Dal 2009, contribuisce a modificare, con la riforma
scolastica, il Tecnico in un ISIS M.Pagano con due indirizzi,
l'Amminuistrrazione Finanze e Marketing ed il Liceo Linguistico, che
consente il superamento delle antiche minisperimentazioni. Dal 2013,
il Ministero e la Regione, con atto di dimensionamento gli aggregano
anche l'IPIA, con ottici e meccanici, G.B. Bernini di via Arco
Mirelli, raggiungendo la dimensione di oltre settanta classi. Dal
2008, il figlio Michele, laureato in Economia a Napoli,si sposta a
MIlano per lavoro, in Viale Carlo Troya,22, seguito poi dalla compagna
Margherita Brasiello, ingegnere gestionale. Questo dato familiare gli
consentirà molte visite a Milano. Dal 2012 la figlia Ilaria,
laureata in legge, decide di lavorare in Roma, convivendo con
Niciolino D'Elia, esperto edile.
BIBLIOGRAFIA
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K.Marx
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1979 fonda e dirige la rivista di varia cultura “
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1980 pubblica “Sboccature “( epigrammi) in: Salvo
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a.VII, n.3
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1980 La parola e i frantumi. Da Sinisgalli a Riviello , Forum, Forlì
1980 Poeti di Basilicata ( antologia , scritta insieme a
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1980 Cultura e poesia al Sud , convegno con relazione di
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1981 La biblioteca d’ un medico di Marsiconuovo sta in “
Nodi”
1981 recensione a Nino Calice, E.Ciccotti sta in “
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1983 Antropologia e cultura popolare. La Basilicata di M.G.Pasquarelli,
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1983 Canti popolari di Spinoso , Ferraro , Napoli
1983 Antropologia della festa e storia sociale , introduzione al
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La vergine del grano ,
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di Basilicata , Ciesseti, Napoli , pp.1- 20
1984 L’alimentazione nel folclore , saggio che sta in AA.VV.(a
cura di N. Calice) Porco e
Aglianico ,
Basilicata editrice, Matera
1985 San Gianuario.Agiografia e folclore,
I.G.E.I., Napoli
1985 Spinoso , nelle pietre la storia , Glaux , Napoli
1985 Lo stereotipo del lucano in Nicola Sole, sta negli atti del
convegno “ Nicola Sole e la società
Meridionale,
Senise 1982 , Venosa, 1985
1986 La morte, il cordoglio nell’opera di E. De Martino sta in “
Basilicata” , a.28,n.12,pp.29-36
1984 Diocesi e società del Vallo di Marsico fra ‘500 e ‘700 , saggio
introduttivo a Giovanni
A. Colangelo, Parrocchie
in Val d’Agri, R. Porfidio – Nodi, pp.7-20
1986 Giacomo Racioppi , Edisud , Salerno
1986 La morte, il cordoglio nell’opera di E. de Martino sta in “
Basilicata” a.28,n. 12,pp.29-35
1987 recensione a Vittorio D.Catalano, Le Reali Case dei Matti
nel Regno di Napoli, sta in “
Rassegna storica
lucana”, n.6, a.1987, p.128
1987 recensione a Raffaele Nigro , I fuochi del Basento , sta in
Basilicata ,Matera , n .5-6 e
anche in “Tarsia” ,
Melfi, n.2, settembre 1987, p.39-4
1987 articolo: La famiglia materna nelle ricerche di un trentennio sta in
“ Basilicata”,
n.29,
marzo, pp.23-28
1988 La svolta della rivolta.Poesia e narrativa del 900 lucano , saggi di A.
Lotierzo , R. Nigro,
A.Piromalli, T.Spinelli, a cura di
F.Bellusci, Capuano ed., Francavilla sul Sinni
1988 recensione a M.G. Pasquarelli. Medicina magia e classi sociali nella
Basilicata
degli anni Venti, a cura di G.B.Bronzini,
Galatina, Congedo, 2 vol. sta in “ Rassegna
Storica
Lucana”, n.7-8
1988 recensione: Michele Pasquarelli .L’ edizione critica dei suoi materiali di domologia
lucana sta
in “Basilicata “ , a.30, gen-marzo 1988,
n.1, pp.46-50 ( con lettera di G. Fortunato)
1988 Antropologi a confronto: la morte dai simbolismi mitico-rituali
all’enciclopedia folclorica
( da E. De Martino a L. M. Lombardi Satriani e M. Meligrana ), pp.51-80 , sta
in atti del
convegno del 1985 “ Morte del discorso e discorso
della morte “ ( a cura di Franco
Noviello), BMG , Matera
1991 articolo giornalistico: Quando scatta la resistenza passiva, sta in
“ Il giornale di Napoli “ , 9
genn.1991
1992 La poesia della Fusco dalla “luna” ad “arcana” sta in “ Quaderni
meridionali “, Portici
a.VII, n.18,
feb.1992
1991 riscrive, aggiornandola per gli anni Ottanta, l’antologia : Poeti
di Basilicata ( per Giampaolo
Piccari, della Forum di Forlì), che continua a
portare in copertina come coautore R .Nigro
1993 Toponomastica di Marsiconuovo , con Maria Teresa Greco ,
Librìa, Melfi
1993 Pulcinella: l’enigma e la tradizione, sta in “ Quaderni meridionali”
a.VIII,n.21, giugno 1993,
pp.39-46
1993 Il poeta della terra graffiata ( A.Pierro, Nunc’è pizze di munne ), rec.
sta in “ Basilicata “
1994 I desideri dell’altalena, rec. a D.Scafoglio, L’ altalena, sta in “
Basilicata” 6 marzo, p.10
1995 Materia ed altri ricordi ( Premio Montale 1994 per l’inedito) ,
Scheiwiller, Milano
1996 relaz. Poesia della vita e disappartenenza in G. A. Arena sta in La figura e
l’opera di
Giuseppe A. Arena (Acri,1996), a cura di E. Bonifiglio,B.Bruni,
D.Scafoglio;
T. Pironti,
Napoli, 1998,pp. 109 - 122
1997 maggio, in una libreria di Potenza legge la relazione “ La
dissonanza
incantata.Contemplazione ed inquietudine nell’ “Orto Botanico “ di
Salvatore
Pagliuca “, poeta di Muro
Lucano (ed.Libria , Melfi)
1997 esce l’antologia trilingue : Dialect Poetry of Southern Italy ,
( edited by Luigi
Bonaffini) , New York, Legas , dove Lotierzo ha curato la
parte e la voce “Basilicata “
pp.291-330 ( che contiene poesie di Albino Pierro, Vito
Riviello, Mario Romeo,
A.Lotierzo, Rocco Brindisi ). Qui cinque poesie
dialettali di Lotierzo sono tradotte in
inglese da Michael Palma
1999 rec. Realtà e meraviglioso in Nino De Vita sta in “ Pagine dal
Sud” ,a.XV,n.2,Ragusa,p.35
1999 Statuti, bagliva e conti comunali in Basilicata , Curto, Napoli
2000 Golfo di sogni inquieto ( poesie), Loffredo
2001 Esce il saggio del 1996. Racconti erotici lucani. Linee di una ricerca,
nel volume di
atti del convegno, editor D.Scafoglio, Letterature
popolari , Università di Salerno,
ESI, Napoli
INTERVENTI CRITICI
Mazzacurati Giancarlo , postfazione a “ Il rovescio della pelle” ,ivi,1977
Grasso Domenico, prefazione a “ Il rovescio della pelle”, ivi, 1977
Colucci Carlo Felice, Il rovescio della pelle di Antonio Lotierzo , sta in “
Nostro Tempo “, aprile-
giugno 1978
Fini Carlo e Giò Ferri , Tangenze .Proposta di incontro poesia/grafica ,
Barbablù, Siena, 1980
Mazzacurati Giancarlo, prefazione a “ Moritoio marginale” ,ivi,1979
Settembrino Giuseppe, sta in “ Nodi” , Moliterno, n.1, 1981
Pomilio Mario, Tre regioni in antologia ( Sicilia, Basilicata e Abruzzo)
rec. sta in “ Il Tempo”,
Roma,sab.
11 Aprile 1981, p.18
Scardaccione Felice, A proposito di un untore ( Q. G. - La poesia in
Basilicata ) sta in “ Il nuovo
corso”, Potenza, 14
aprile 1981
Dell’Aquila Michele, Basilicata: così i poeti della Quinta Generazione, sta in “
Sud/ Libri” , Bari,a. I, 3
aprile 1981
Corrado Gerardo, Una “ provocazione “ ai poeti lucani, sta in “ Il nuovo Corso”
mart.5 maggio 1981,
p.8
Perilli Adelaide,La palude e la lava in Lotierzo, sta in
“Nodi” ,n.4,1982,pp.10-11
Caserta Giovanni, La frantumata poesia lucana, sta in “
Nodi”,n.,1982,pp.12-13
AA.VV., a cura di G. Settembrino, speciale su Terremoto e
poesia ,cronaca del convegno del Cospim,
del 1981, con schede sui poeti , sta in “
Dimensione” n.2. a.3., feb-marzo 1982,
pp.22- 72
Andriuoli Elio, Antonio Lotierzo : la parola e i frantumi, sta in “Adige
Panorama”,a. XIII, giugno
1982,p. 40
Manescalchi Franco, in “ Punto d’incontro”, a.V, n.14, 1983
Di Nola Alfonso, Quante Lucanie ci sono ? sta in “ Il Mattino” 1983
Nigro Raffaele, Criminali per cranio e per statura, sta in Il Quotidiano,
Lecce, 5 aprile mar.1983, p.12
De Luca Michele, Antropologia e cultura popolare, sta in “ Avanti “ ,Roma, 9
nov. merc.,1983
Jacovino Vincenzo, Tradizione e memorie storiche, sta in “ Puglia
“(quotidiano),a.V.n.30,8 feb.1983
Colangelo Giovanni , recensione in “ Rivista di storia della Chiesa
in Italia, XXXVII,1, gen.-giugno
1983, pp.245- 246
Catalano Ettore, Le rose e i terremoti, Venosa,Osanna,1986, pp.63- 67
Caserta Giovanni, Storia della letteratura lucana, Venosa,Osanna, 1993
Settembrino Giuseppe, Nomi e luoghi a Marsico, rec. sta in “ Lucania” ,15
aprile 1993
Spaziani Maria L., introduzione a I poeti del Premio Montale 1994,
Scheiwiller, Milano, 1995
Albano Maddalena, Marsiconuovo, esemplare toponomastica, sta in”
Basilicata”, Matera,6 feb.1994
Nigro Raffaele, Viaggio in Basilicata, M. Adda, Bari, 1996 , pp.30- 34
Premio Pierro 1996, motivazione della giuria e resoconto redazionale sta
in “ Rassegna delle tradizioni
popolari “, dir.
Franco Noviello, a.IX.n.4,1996, pp.4- 9
De Lucia Mario, Nicola De Blasi , Alfonso Reccia, presentazione del
16 novembre 1999 presso
l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici degli “ Statuti
, bagliva e conti comunali
in Basilicata” stampata nel “ Bollettino sezione Campania ANISN,
n.18,1999, pp.77- 88
Pinto Rosario, I conti dei Comuni non tornano mai, sta in “ Lo Spettro” ,
22 sett.1999
Pellegrini Marco, Vita di un paese nel 400, sta in “ Il Mattino”, 13
genn.2000
De Blasi Nicola, Ragione appassionata e paesaggi mentali, prefazione a “Golfo
di sogni inquieto”,
2000
Spinelli Tito, Poeti lucani fra Otto e Novecento, Capuano A., Francavilla sul
Sinni, 2000, pp.242-249
ANTONIO LOTIERZO
POESIE
IL ROVESCIO DELLA PELLE
<<LA FORMAMONE PROVVISORIA >>
a Graziella, mia madre
<Io ho la mía autocoscienza non in me, ma nell'altro; ma quest’altro,in cui soltanto sono contento di avere la mia pace con me ( e io sono unicamente in quanto ho pace in me: se non ho questo sono la contraddizione che si dissolve), questo altro in quanto è del pari fuori di me, ha la sua autocoscienza soloin me; ed entrambi siamo soltanto questa coscienza della nostra alteritá e della nostra identitá ». <La contraddizione che in generale è nell'essenza obbíettiva si ripartisce quindi in due oggetti .La cosa, quindi, è,sì, uguale a se stessa in sè e per sè,ma questa unità, con se stessa viene distrutta da altre cose; in tal modo é conservata l’unitá della cosa e al tempo stesso l’alterità fluori di essa». (G.W.F.HEGEL )1
LAMENTAZIONE PER UN TESTO
Un difetto di lingua inaccettabile colpiscetra il serio e il faceto l' animula glottologica quando umanística l’invasione disseminata é un lamento in azione di volgari vendilacrime scure lavoranti il cordoglio come un testo il critico o un cadavere rilassato e protetto ma la vexata quaestio se il linguaggio inferisca la scrittura non elimina il mito fascinans della follía come opposto mondo implacabile con luci illimitate cristalline piatte. Il testo si offre con tavola gioco vino e donne rifatte. -Andiamo, bricconi, fatemi divertire! - e lí il mestiere si fa valere piú che si pu6: è difficíle morire insolenti. Nel testocadavere, dipoi, la genesi trova la sua strutturella e la colonia bíanca si muove verso una storía nuova, pensabile almeno come il mutarsi del serpente nei gabbioni. Se il cadavere ha sconfitto il tempo, sempre ci ha guadagnato e finirá l’angoscía delle campane nel marcire sotto, il marmo: - Sono un povero míserabile... lasciatemi andare sgolato.-Parte melanconica ripartita il lutto si fa recitare per voi che ascoltate in rime apparse il suono dell'invettiva detersa interessata, perfida e vile.
(1976)
LUISA, DEMOISELLE D’AVIGNON, DEI QUARTIERI
Dentro di te é il sepolcro tiepido d' accoglienza florito. Haí vuoti paurosi e cali inenarrabili, e spazi e arnmanchi d' essere come incavata roccia, ricovero dell' onda piú fresca. Il vento ha del tuo riso squillante
il murmure periodico. Hai rivoli lenti di lava coagulante e stallatíti che penzolano all'ombra della sera. Ho frugato fra le tue carte segrete, pagine della tua storica scienza e senza tempo, immensi templi e anfiteatri radiosí, cupule con risonanze divíne e ordinati centenafi, viali di glicine in fiore senza futuro.
(1973)
IL TEMPO TRASCORSO a mía madre
Per un gesto ravvolto di tanto in tanto scarno e traquillosi presentano mille stralci di vita. Resti di antichi occhi,parvenze scolpite nella memoria. E il vento che rode le querce, non tí smuove un capello, non ti provoca un grido. Com'é passato il tempo! E la vitaé ancora partecipazione alla morte.
(1972)
1
MILITARE A PIETRALATA
Non questa noia mi pesa senza tempo diverso ma vuoto lo spazio raffrenante la vita. Non questamarezza acre, gialloritmo dell'ore senza tempo ma l’amorfo reticolo di superficie, quotidiano spessore del nulla. Non questa luce ferma sugli abeti ma le mura fioríte sul cuore nudo, dísumana impotenza del signorsí. Ho seppellito le mie radici verdi stringendomi nelle coperte anonime, sopravvívenza al freddo d' angoscia della sera.
( 1973)
CHIESA DI S. GIANUARIO
Mi porti,chiesa di S. Gíanuario,in giro per il cielo che ti spaziaronzando a spirale le fiancatein amore.Girano a vuoto i nostri paesicon cerchi lunghi e rumorosi.Rompo col becco stridenteil campanile alto sulla scoscesa roccia.Ho spazio fra i monti e la facciacontadina ha un cuore arrugginito.La neve ci riporta gli svizzeri, a negarcicredito, e il sangue dei maiali avvizzito. ( 1974 )LA VITA IN PAESE
Ancora il tempo disperde al ventofiumi del mio sangue cristallino.Sospendo, giomi immobili ai fili della vitea raggiera nel fresco di marmoe lo stesso dire dell' allodola mattiníera.
Ravvolto in questo bozzolo ebbro e sfilacciatomi nascondo al tormento,la febbre della vita,estinguendomi flusso al frusciare dell' aria.
Né il tuo viso parlato mi soccorre, che anziinoperosa cavitá vaste zone d'ombre illuminae sconto questo peso nel terrore delle nottiaperto al nulla ed alle stelle ferme come mortefresca nell' acqua in cui riaffiora il chiarore degli occhi.
(1972)
IL RITORNO DEGLI ULIVI
Hai nella durata del tempo presente la fuligine aspra degli ulivi di S. Giuseppe e la passione rozza e cantilenata, ripetitiva dei canti contadini, pulsioni uguali di monotona allegria. Sorprendo nello stagno della memoria i resti d'una fuga recente, fra l’onde del fiume e i campi il brigante Crocco col cuore in tumulto, braccato dal frusciare del vento. Non rompe lo straripare del cemento grigio questa penombra tragica di storia lucana quando mio nonno massaro saltellante sfidava il vento in cima al Volturino. ( 1973 )
LA MEDIAZIONE POLITICA
Lo stritolarsi senza tregua con le parolefatti,l'avvinghiarsi ora frontale ora strisciantedei piccolomedi borghesi - nei paesi vuotati della campagna -cornacchie che disputano una carogna,saprofiti ingordi del vitello morto,non svela ai superstiti che la partita é chiusa ,é chiusa per sempre.L'estinzione - questa qui anche questa
pure questa questa pure -senza recriminazioni affondarecento mille lumi senza rimorsinon dá adito a preoccupazionio insorgenze di colpe:tutto si svolge col migliore leibnitz possibile e ben venga la notte a spegnere i desideri! ( 1973)
DALL’ UNIONE COL PROPRIO TEMPO
Perciòd' ora in poi
per sempre evviva la velocitá stabilizzata elettronicamente del giradischi, al sole in poche ore diventerá tahitiano il vostro corpo.
Tutti i giorniofferta speciale al ghiaccio,che gli altriinvidieranno il suo colore prezioso e il suo profumo flagrante.
Un' altra vittima disoccupata del Sudamava i paesi immigraticon quel suo modo di far violenza
con l’eau de cologne frescacalda e stimolantesa farsi amare la grappa incontrata al bar!
Ma pure:alle magnificazioni del mercato senza controllocede un titolo in ribasso, ricercata convalescenza
per gli elefanti.
Euforica la speculazione in rialzoballa nudanelle borse per il boom deí settori patrimoniali;é allegra…
All' estero la situazione é identica.Caro dollaro, sei un po' invecchiato per tanti incrocidi razza!
Studentessa si prostituisce in utilitaria;ma pure:
scippano una donna e…firmato un buon contratto per i metalmeccanici; più giù:appicca il fuocoalla sua examante; insornma: scegli vacanze fantasia!
Poscritto per passionaria testimonianza a terroristiche attivitá, il congedo riposo é agli occhi stanchi e lacrimanti.
(1973)
SATIRA PRIMA
L' erba si ritirae la tragedia ci asfissia!Settembre d'afa di polvere e pianto,nauseaquesta lottatimida e sviata condotta altasull’incoscienza della paura.Alzare un calicein nome dell'uomoa quante bestie
non conobbero né Dio né I'uomo.Ricostruire la distruzione,questa morte che ci accompagnasenza volto insonneper i tratturi del bosco,che ci sconvolge le case,che vuota orribilmente le contrade,questa morte non l’abbiamo voluta noi!Non é piú possibile questa realtá:ingenuo credere in Cristo e nel denaro.Non é piú possibile questa speranzapoggiata alla soglia di casa in vesti antiche!Non fiorisce il giglio nei campi del napalm,né si sveglia col suono il morto nel sangue.Rompiamo il sonno che ci divora!Il fegato ci strappino da svegli!E andiamo dalle catene alla lucegiallo tenue della mimosa!E' forse tardi per noi che lo chiediamoinsieme dappertutto,è forse tardi?La terra è un mostro d' argilla montuoso. ( 1973)
GLI ABISSI DELLA PALUDE
Vi sono! sbra sbra sbrasquascchf pluuschh tungsschhh il buco dell'assurda caverna elicoidale
scopre un magma puteolente dai riccioli maleodoranti d'ametistalucida - scloppff ssschhf ! - mi raggomitolo al caldo dello sterco e in posizione fetale
sprofondosenza fine
nelle fauci della terra.Ssssstrasffffscchhschhhschplaaaangtung !
E giú giú sempre piú giú! ( 1973)
IL RELITTO MAGICO
Che il latte riposi nel capezzolo dilaniato con le croci e l’assonanza dei membri tracci la guarigione benefica.Gli occhi di Rocco legano il rischio all'assenza del sée le svolazzanti polveri de exorcizandis obsessis costringono l’acqua a ripetersi scongiuri e derisione al malovento delle sere.L'argento mette al dito miserie attasate; morí renitente mio nonno incancrato alla milza per complottatainiezione di lucido petrolio.Sentendosi dominata la donna benedisse la clitoride nefastae il sacrifizio irruppe nella storia del mulino orifiziale, i processetti maniacali lucani spalmano le trecce delle bare.
(1975)
LA VOCAZIONE DELLO STORICO
Il modo infinito di lavorareriprende il niente del tempo, sconfitta e scandalosa erezionearchiviale putrescentee il rimpianto s'infrange sui fallimentidelle ossa in pacequando Taranto soffia il ritorno della vita alla luce dualista ininterrottaformazione umana, mancanza del respiro,penetrante malvagitá stregata del prete tonificante la noia sterile incancrenente gli atti umani che vuotano la realtá.La condizione assoluta decristianizzafolcloriche permanenze, l’occhio sdoppia visionidell'uomo moderno, qui e altroveè avvenire il dialogo del Gioco,la trappola della dispersione pura,la liturgia delle perversioni dei sensi, il testo del movimento casuale.Il pubblico deve passare ínascoltato:la sua mobilità è deludente.
(1975)
LE FIGURE DELLA STORIA
Va fuori del tempo lo storico sviato destino di contiguitá molli uova da cuocere e il malleus maleficarum.La polvere d’ archivi non è tempo pietrificato, il topo costruisce labbra come seni e merda,anche la divisione degli oggetti è trasgressionedel mio esistere incavato e gratuito,un Rameau castrato incappottato - ma limitiamoci alla Croce rossa in passaggio –e il non trovare un testamento di carnevale,un becchino registrante la qualitàdella morte e il sonno sgretolato, l’acquilotto birmano di Levidistrugge il mormorío sorgivo. Si sgretola il rifiuto del tempo
a farsi psicoanalizzare,l’invischiamento emorroidico condiziona la seduzione e noi che bruciamo.La figura della morte è il limite dei Padri, la lucentezza sussiste in un corpo duplice. (1975)
«LA RAGIONE APPASSIONATA »
a Carla, continente stravagante
« Fuori ci si batte contro ciò che non può durareQuest'uomo tra tanti altri bruscamente símiliChe cosa é dunque che cosa si sente dunque piú di se stessoPerché ciò che non può piú
durare non duri piúE' pronto a non durare piú egli stessoUno per tutti succeda quello che deve succedere».
ANDRÉ BRETON
LEI
I
Volo di gioiafantasia il tuo corpo stellare,
freme la mente e confonde come i battiti del primo incontro.
E ancora sei ombra da fare carne contrastata
presenza da conservare svestita in labirinti celesti
e mora di rovo scura.
II
Luna sbiancata
fuggente a perdifiato sulla costalucida paura di sperdersinell' angoscia del fragore vitale,conchiglia preservata nei millenni,erimoto ambiguo nella nottetu, Vera, sbiancata.
III
Hai trascorso unità infinite di temponella livida palude dilaniata.
Calabria di lampi e selve stecchite. Promontorio d' anarchiavioletta e silenziosa
ha in cuore amore e rancore e amoresenza dimensioni futureíncommensurabile dilatazione.
Tu vestale disvelatrice a me visitatore
d' immense nuditá, storia come gracile elegiaco mattatoio picassiano con merletti e fronzoli di vanitá. IV
Riso d' animali domestici storditi dal fuoco.Hai la penombra che dà pace alla mente.Occhi di gatto saltellanti al buiodietro giornali e lana.Hai lo sguardo che compénetra l’esseree s' accompagna a pietá fraterna.Coscienza di luce posata sull' acciaioe mobili presentassenti all' iride indagatrice.Sei la sfera della consapevole sopportazionedell’esistere, Vera.Nozione di carne, modello anticoesterno corpo a me stesso,pensiero di pensiero.Sei il mio corpo diventatomi altroaltrove, linguaggio intermediario.Soddisferò la morte riappriopriandoti!
V ( Giro in città )
Condensato di sapori e parole nel controsenso d'un tram in ritardo sulla vita.
Incosciente fontana, costruzione rinviante al sogno. Le immagini che mi riporta il vetro dei negozi hanno le nostre presenze prismatiche e utilizzo le interruzioni di luce per baciarti con eccitato tremore nel sottosuolo. No! non il bleu, colore di selve al tramonto- intendo correggere le tue deviazioni archeologiche – ma dargli senso, al nero sconforto agli occhi ed involontario desiderio di morte ! Haí ripetuto gesti di vestizione esaltanti, riti di palazzo o cerimoniale totemico, contrasti di luce e gonfiore di carne adulta alla sfiducia nel commercio, anche dell'uomo.
Il rientro è di nuovo un' introduzione,ho traslato da un' origine all' altraed è sempre la fine che abbonda affermativa,il fragile schianto di lamiere e meno ancorae la nascita d'un quarto me stesso.Solo la tua infanzia é unica:ne ritrovo i filamenti uno ad unofradici.Non ho superato l’incredulitá.I tuoi abiti nell' armadio seme nel campoma alla base solida l’incapacitá,la soglia da varcare, la minaccia da abbattere.Mi ha punito la mia punizione. Il nemico è dunque nel corpo. Ricerco un'altra cosa vera anch' essa come me e te supini a ritrovarci nell' amore.
VI
Porti le gambe, bleu di jeans, senza metaper la piazza di ragazze smagrite.Come per voto e aperte ombre al vento.Non ha amplificazioni odorose
l’ acqua nell' aria di castagne ottobrine.Cosí fresco il guscio e cosí pallide pallide.Il volto del morto non é un sogno sbiadito:Allende é lí a schernire la nostra pigrizialE come sventolano le bandiere il lutto degli arazzi..E' scivolata la rivoluzione come un bimbo nella vascaaí passi della canzone.Le tue trecce gli scacchi della camicia e i jeansfra le note sradicate di piazza Navonae la mia acuta incapacitá di vivere vivendoti, Vera…
VII
Ti ho scelta, sconosciuta speranza, perché ancora, sei insieme amore e fine carne desiderata e pelle da maturare pace silenzío e quiete in cui annegare e perché ancora sei amore e fine
contatto da ricercare per redenzionee scienza mascherata dalla morte.
Ti ho scelta, silenzio impastato di foglie e terra,perché sei muta nei movimenti radiosi
e non hai il clamore gracidante delle notti. Sei il desiderio non impastato di suoni l’oscuro portato senza significazioni verbali la comunicazione ínterrotta nei sentieri piú oscuri.
E sei la morte sposata al finito.Ti ho scelta, mancata espressione del sospiro,perché non sei l’avventura indecifrabile
- la morte congiunta all'eterno,ma conosci il lavoro piú fermo nei vuoti dell’essere e sei piú stretta alla vita, tu compagna sessuale che hai la musica del giorno.
VIII
Come i delicati puri eterei supporti tu portante qualitá della vita meridiana
bianca aria sospesa all’immaginariocorposa
desiderata ombra nell' ombra della fuga - dalla cittá sul filo dei binarinon c'è traccia di silenzio granulato – tu personasfumata nella precisione del desiderio squillante.Hai filtrato, il sangue al cafone con setaccio improprio. Non vivi che di vento rosso sui campi suonante tempesta innamorata come me del tempo che sei, insperata dolcezza desiderata tenerezza desiderata.
IX
Rumore filtrato da spazi interconnessi e vero chiarore di scombinati deserti,
quando svetta il silenzio le lenzuola, crespata azzurra intensa lucentezza, trema col letto la mente intraducibile lingua di vitalí rifluti e bianconeri contrasti. Tu seduta sul duro ghiaccio sibilante gelatina addolcita dal mare nei rifiessi lucidie donna che si ritrova interíore sorriso
- angoscia il riso di cellulosa - .Tu mano tesa sul vulcano fermosorella dell'albero piú nudo nel cieloblablaterante soliloquio della fanciulla miti persone perdute negli spazi del potere,e ancora:verde amore fra i vuoti delle casenon piú ferme nell' aria ma franantiscivolosa dimensione sociale in crisisigaxetta disfatta in poltrona aminorbidentePuotno si ripete si ripete si rípete.
xDi tutto lo scardinato illuminato delle notti d'agosto non é rimasto lo spessore candido. Si é oltre nella programmata estinzione
e con cura l’animale uomo si preparaplateale chiassoso equilibristaanello di linee incurvate
e va con rísonanze a mescolare filigrane indorate e ricciutí capelli di grigia splendidezza . Non compro le camicie del mondo per te, Vera!Amo il pugno d'arancia sugli occhiali in frammenti e ripetizioni piacevoli sessualitá intimitá dolcemente violatee labbra tumíde e umide. Tí vestí di lana come il vento d'Africa corri gíú dalle scale e imbratti l’aria di gesti spazzi di grida spolverí lastricate corporietá; affastellati ciuffi di morbidezza i tuoi senicapelli si spingono nell’umbratile calore del mio corpo .Trasmetti fiocchi d'argento vivo al mío tremare. Puntini righe lucentezza verde collo: le cose che seiNon piú nel vano scossone funambolare dell' esistere puntato sulla terra disseminata.
L’INTELLETTUALE MERIDIONALE
E' del tutto inutile la pace ferma. Slargare í vuoti per il nuovo e gli spazi respiranti la diversitá.Un solo rimorso per tutta una vita:una medietá affogata nell’incuria senza miti.I fantasmi sono queste ombre vagomoventisi fra terre di conquiste e servi della gleba. Noi risvolti migliori di sofferenze cristiane noi ancora di nessuna utilitá pratica noi acconsentiamo al passato semplici tributari d’irreali consistenze.
TESTO N.1
Stenosi acrilica
con supplemento rapidodisintegrazione incentivata sui mari del Sudpendula fantasia ripercussíone omotetica
suono incandescente sublime imperizia burocratica sostanziale imbecillitácostituzionale e opposto amplesso amoroso discorde:ha frasi chiare per íl popolo il demagogo seraficovolano, gli alberi plantipedi eresia logica il verbocontorsione ha affogato il cuore nella terra,un millepiedi braccato. ( 1974)
NUOVA EDILIZIA
Abbiamo sventrato montagne insanguinate dal passato, per erigere una cittá sul borgo. Fascio di luce che inchiarisce il cemento giallo vivo del pioppo in rigenerazione. Non sono piú nulla i monasterí riavvolti nella nebbia sulla collina. Il resto è movimento, anche la foglia é ancora piú in lá in quest'alba d'edificazione quando dimentico i silenzi negli uomini e m' afferro solo al futuro.
TESTO N. 2 (Aspettando le volpi)
Le ombre tremolanti non tornano sui passiné la volpe rintraccia la rossa compagnain quest' alba d' attesa con le parolestrozzate nella gola chiara d' echi.Sembra cosí gracile questa terra,cosí eterna!La speranza non ha bucadove nascondere il suo capoe negli anfratti si rimuginano discorsi.Gli ulivi hanno il tenue spessore dei raggitrattenuti nella foschia.Altre volte ho desiderato scomparireessere piú rigida consistenzanon essere mai nato,
ora ho, voglia di gridarein questa valle impietosamentela vita compressa e la mia
ancora selvaggia d'immediatezze.E rovesciare il futuro dalle rupi
a rotoloni e salti fino al fiume.Non é piú possibile restare alticome nubi appisolate fra le stellené fermare il cuore che va oltrerincorrendo la luce nella neve.Ma come ci sará possibile superarel’angoscia ferma d’un eterno pomeriggioalla ricerca d' un senso in un tressetteriflesso in un rossore che ci strugge le reni.E andarsene con un peso alla ricercadi quanto non scoveró in nessun nuovo ordine per noi.Illusione il credere sfasata la nascitao il disprezzarsi dentro,vana è la lotta col cuore in paceal verde gocciolare della neveche ci compatta al suolo.
LA LETTERA DEL POETA
No certo, Pascoli, qui nessuna nova progenies coelo demittetur alto. In sostanza siamo tutti erbette appetibili Chi piú come te pianto crucciato e no chi no,
ridente nei chiari mattini. Tu professore al diminuitivo animuccia uccia e noi disincantati agitatori del presente abbiamo acquistatouna vigile conservazione perché tutto con sentimento cambi rimanendo latino.
NAPOLI
Quando la cittá é assopita solare nei divani delle piazze la donna che non si offre nel vicolo alla facile erezione é il peggiore nemico dell'uomo. Scavati volti, ossa lavate nella danza incomprimibile movimento la vita dissociata dimensione del soggetto, l’io insomma, si sbraca per nulla fra una bretella cadente e un riso dilaniato. La città miracolistica si rotola nuda atteggiandosi a puttana nel suo buio estivo, un pater ave e gloria e che il giallo ci eviti piú accorate rappresentazioni.
PER PABLO NERUDA
Non finisce l’eco del tuo nome nella piazzaMastai danzato in iminagini daí compagni.Sono floriti i muri in autunnoed ha il colore del sangue sparso il ribesche m'accompagna nei mattini solitari.Il tuo volto sereno s' é ripresa la terralarga, fanghiglia raffrenata dopo spaziosi movimenti.Qui dove il tempo affoga le coscienzeritrovo nei tuoi versi mediterranei veritá di sogno umana
vergogna per il potere bestiale.Ora che il sangue versato traccia un solco per l'Atlanticosei la coscienza desta in gloriose sconfittee sei la storia che smuove con violenzale viscere del mostro agonizzante,sei la bandiera del futuro nei campi dell'immaginazionee l’attesa in armi nei pomeriggi spossati dalla calura.
IL CONTADINO SOGNANTE
ad Antonío mio nonno
La morte, stanca pianta, ti ravvolse.Le pene del tuo cuore,settant' anni di storia,si spostarono altrove.La vita che ti diedero da vivere vivesti,privazioni e sudore sotto il sole(ventoso l'Agri ci risegna ancora),ombra ora in un mondo ombrache ti trattiene vuoto.Sei affettuosa figura venuta menosí stranamente nella nostra vita insieme,nostalgia dei moti del tuo volto sereno.Interrogheremo il passato per andare avanti:il tuo silenzio è fermo nel chiarore del marmoantico che ti concilia il sonno.
L’albanella( Quadri in morte di Giorgio Cesarano, poeta )
Non é piú niente il furore, non un buco è il sole nell'azzurro ed anche l'aria m' acceca.
Hai le ali alte sul ponte. A precipizio sorvoli l’occhio del burrone; sei l’amante del falco nello spazio e contorta rigiri il monte e la vallata gaia al tuo passaggío.
Fresche mele penzolanonel dolore vasto della campagna
con profumo di vita imbrigliata.
E tanti di loro, porci di Gadara unidimensionali fortezza scalcinatadeviata dalla storia morti di relitti soffocanti.
MIA MADRE
L’ombra che spartiscela strada dove cammíno
porta la mia vita negli spazidella sera, evocatrice d' incubi.
Passioni non spenteravvoltc nell’umida nebbia.
E attendo l’infanzia che vivròe non saprò di viverla. ( 1974 )
SCOMPOSIZIONI
Ho ritmato il pomeriggio con ridondanze musicali. Com'è buffo, credere ancora in un volto. La tua serenità non è critica come il mio pessimismo. Apprendere nello sconforto che tutto il respiro va bene. Il corpo mi piace al buio. Non so chiederti di non pentirmi. Alla stazione il tuo, volto solo mi é amico. Rossoneri silenzi artraversati da passi veloci. Non sará possibile garantire l’eternitá per tutti. I circuiti della follia collettiva non sono i miei. Non sono ancora una semiretta sbarrata e soffro. Ho desiderato per notti stellate una magrezza in gonna lunga.O fare l’amore con la madre sartriana di Baudelaire. Si svilirebbe il poeta, illanguidendosi nell’odio. E amare quell’odio come essenza di creatività. La follia degli altri non mi rende migliore.
ANCORA SU DI UNA ROMA
Militare indecente non inseguivo umidisegni in kilometriche tappené l’erotale corpo, si dava treguain silenzi tristemente afosi di terra.Pietralata, volto infernale della nudità,carte svolazzate dal vento che non copronoi vuoti indesiderati della devianza ormonica.Il pulmann era l’aria infetta d'ingermogliatesempreverdi, il fascio di luce grigia monotonia.Ho negli occhi il freddo Neruda acclamatoin Mastai strisciata dal languore del fiumené il viale mette ancora ordine alle coscienze sgualcite. ( 1973)
A VITO RIVIELLO
Avevi la presunzione sinisgallianapallida e nervosad' essere nato male in un anfrattod' uomini vuoti e irreggimentati.Ricordo la forza nell’incrinare, la codardiadi chi se ne partiva per le citta' mitiche dei raccontiE tu pure partisti con la bocca fumata.Nicaggio Vate Vito Nicastro Formaggio.Per ore amavo la tua bocca imprecante!Ora vi ho scoperto i vermi del tempoe i segni del nulla che svuota la carne in silenzio. ( 1975)
A DARIO BELLEZZA
Vendevo agli angoli poesie e noi stessi. La tua presenza ricercavo in due piazzee nelle fresche latterie e pulite con marmi da macellerie. Loro, tutte pallidule e blateranti,
nevrotiche e lo sconosciuto,amato fino a stremare il corpo. La verità e il. tutto, nell'uomo che non si conosce. Pulite gestualitá anali e rimproverí di precarietá: una madre, si sa, dà sempre fastidio, un poeta un po' meno se si lascia smembrare piano e sbuccia sull’impossibile ideale dell’ermafrodità. La tua inappartenenza non è una difficoltàper incontrarsi, anzi, le tue angosce persecutorie mi trovano connivente. Haí mai sognato un bacio grande sul cuore frastagliato ad un cadavere fresco d' eroticitá dadaista? Ecco! Vuoi che ti baci crepando? ( 1973)
CLAUDIA CON LE FEMMINISTE ALL’INSTABILE.
Giornate di lotta al vento delle gonne col rosso e l’oro dei capellí impagliati l’incerto instabile teatro di rottami carmelbeniani agcovacciati fra borsette maschili e frigiditá di donne anch'esse rigide e chi fragilmente vitree. Monasterialí sedie progressiste nello spaziato nero e vita sessuale scalcinata con elettricità lignea. Santa liberalizzazione ampiamente castrata, Stalin accusato d’iminaginificí revisionismi biologicí e il tuo dire, Claudia, anche con gli occhi e piú appassionato riportare in vita schegge d'un anticlericalismo contraccettivante la vita.
CARLA
I
Ricominciare. Ogni volta.Disamorarsi per rincorrere un corpo:lo svilimento del tempo e l’incapacitá d'amare.E il desiderio con se stessí e gli altri
di smetterla così lontani gli altried io a me stesso.Rotture di continuitá confusionarie ed accaldate, strisce di fumo sui polmoni come vetrate autunnalie ventate di doloreper le ossa svilite dalla carne.Occhi velati come seni e sigaretteaccorciate.Gli stagni riportano le nostre immagini sfuocanti.La polvere dei secoli non basta a coprire il mio esistere.
II
Non voglio dar retta alla ragíone che tenebra ti impone riservatezza . Lo squallore della negazione, l’eccezioni dietetiche e ghiandolari e il tuo eloquio ripetitivo e monotono, un ciuffo di capelli senza freno al vento. Le tue pietrificazíoni pallidule non scoprono nervi e la pelle medusea non ha pulsare di vita. Cerebrali crudeltá ammorbidiscono la mia morte e concrezioni di tempo vuoto ne preannunziano il silenzioDefinire l’ombra sacra del tuo sesso e spalmare piacere: ecco la carezzevole sospensione infuocata e non altro che il tuo fantasma inseguire nelle labbra piú rosse e ancora esalare leggeri spasimi di dubbiosa liberazione. ( 1975)
POMIGLIANO D'ARCO
Devastata essudazione alla cicala notturna con merlettati rumori ai luminosi binari. Non compàre la madredonna ai ghignanti sorrisi e il tuo sociale razionalizza speranze, scivola su capitombole funambolari friabili. Naturella naturella che rottura di budella! Il binario ha scoperto le sue vene varicose col pudore ubriaco della nudità sconcertata. Stasera non ho odio che basti ad amicarmi uno uno solo di questi attorno superficiali e no impresenze aggrappolate al treno della miseria.
AD UNA COMPAGNA
Le enunciazioni epiglottidiche del tuo socialismo legano processi d'eresia a tormentati isolamenti; compagna del nuovo, divisioni di tessuti scozzesi a vagabondati spartineve ubriachi ed impagliati. Come non ricordare, ricordo, le grida a punti rossi e dilavati crani macerati nel camposantico egoismo. Enea sopportava l’urina paterna gocciolante e i portali s' accasciano sufla prospettíva imbiancantecotanto orgoglio, sí aveva d' affossare il passato. A destra ed a sinistra ti giochi la vita, la tua maledetta presenza che mi pesa sempre. (1974)
L'ALFANEBETISMO
L'Aleph appeso al muro scrostato non ritempra cervelli giocati fuori quando oltre le fitte nuvole è in attesa la trepida primavera, genuflessa. Tu dici diversamente a me diverso diverse cose di cui cotanto ragionammo insieme come si parlavano. I verdi libri degli sport preferiti e i miei moravia mondiali spazianti come d’erboree cosce silenzi dei campi non attrezzati che arotture precipitose.1 versi liberi delle cuorate canzoni-nette all’inguine tiravano il mio intervento
statualmente vuoto sempre terroso nero acquitrinoso plastificato panzarottato fra anticristici esorcismi e sicurezze di materiale elettrico coperto da parati e ancora fragoletta invinata ed ulive malaticce con fiori d' occhiali cartaceidisegnate pubblicitá librerie nelle troppo aribili bacheche ed io Antonia questurataper incitamento a prostituire budella fra palazzine sbiancanti d'officina pluricoloranti le nostre lavate coscienze. Educazione alla raccolta di cartoni o svendita di mobili con film mitici alle violee pasti di bicchieri incantanti carrucole a palline leggere dove strappiamo manifestidi fognanti storicità con panni al vento.A quindici anni, dopo un po' di manicomio,un bell'aborto per pluralistici padri come piselli o funghi di muro svolazzanti.Da me da soli i peggiori le immaginifichestorie di verità piramidali con carnalità di plausibile allegrezza raccontate mea me stesso nel mio tempo di crisidove non realizzo sogni ma scontocon dolore la colpa del compromesso. ( 1975 )
LAMENTO PER CARLO LEVI
Il suicidio, e non la morte, è già avvenuto?Contro noi stessi e cessare di riconoscersi puttanesca, presentazione in resa interessante agli altri.Dormi, padre mio, dormi e riposa,letto di menta e cuscino di rosa.Ad Aliano in sottana traslucida.Le notti d' angoscia - che frani il tuo tumulo, Carlo? -,le notturne danze mutuate dal tempo della chiesaed il rifiuto ora di noi stessi a noi nel caosscontiamo adagiati nel flusso dell' onde che ci spezzanosintetiche sincroniche l’ali bluastre e il fresco della bara.La tua bonarietá non è stata una diga al terrore,un antidoto magico, a pozioni narcotizzanti subliminari e loro sí sublimi favole
spazianti nelle strade incementate.Ora te ne devi andare, fratello, togliendo la nevedalla nostra strada con la fatica delle mani.Hai pregato che questo finísca, che piú non olio si versi vischiosonella ruggine pallida e che possa ritornare tranquillala luna a scoprire il seno alla Rabata mora.Sei stato il destino toccatoci in sorte pellegrinae il fascino sfasciato dalla polvere intatta delle madie,frantumate nelle strade del silenzio brullo dei burroni.Ma il tempo muta il sigaro arcaico e l'immobile varia svariatoe niente resta uguale se non l’incertezza della storia.La tua passione totale ha fecondato un muro di pietra, col rovescio della pelle sarà tutto o sarà niente il lenzuolocontadino steso nell’aria agitata della nuova malinconia. (1975)
L’ACQUA, CARA MEMORIA
Il fresco della bara d'Aliano guarda Levi Avviandolo, con teneri baci nella livida chioma, ad un aldilà protetto come le serpi l’anima dei morti. L'acqua, cara memoria, riporta incontrollata
oggetti maniacali del diabolus simia Deistrappando il disprezzo ai buoni costumi,le virtú viziate indispensabili alla noía dei morti. L'acqua, cara memoria, riporta incontrollata
la violenza ecclesiale che deforma il superío difendendo il fare della notte e il vino, cibi delicati e rotolarsi nelle vanitá sessuali dei morti. L' acqua, cara memoria, riporta incontrollata
le relazioni irrilevanti della scrittura reificataoccorrendo nuovi linguaggi per emergenti bisognied una chiarificazione -vivalascienza –con un tantino di lurida sorcellerie surnaturale.Si pénetra in osceni colori accecanti.
(1976)
MORITOIO MARGINALE
NOTTURNO
1
Treni,in fuga
non esentano il gallo monotonoverticale stridore da remote cavitá,risalire d'una barbarie con il cuore carponitrafitto dal freddo pungente, le redini strette al linguaggio. Scavo nel nullail ritmarsi del ventopieno fra gli abeti - la nafta non mi dà pace -chiaro il ricordo della luna.
con il cuore carponi
- Scoppieranno le parole mine sul sentiero inespresso al buio? -- Chiederanno oboli dalla storia versi versati come pioggia sull' arido? -
II Notte insonnedi delirio alle stelle
incontaminata oscuritá di marzo errante ad ogni logica ferrea del tempo
quotidiano medio
senza spessoreaperto al nulla vuoto del pensieroupupa rantolante nell’inferma cavitá spaziale ricerca husserliana delle radicí di SE' stordimento de¡ bocciòliriavvolti in sottili intendimenti
scardinate essenze delle coseportate al macero della r a g i o n e rícciolo mitteleuropéo di pendolari incapacitá
IV In putrefazione ginestre sui calanchi
In putrefazione ginestre su¡ calanchisocietá mitica magáre recitanti occhiazzurri ubriaca speranza magnolía scoscesa clisturbazionevocal¡ gialle linfogranuloma semedolcefilm vomitato timore tumoraletriangolo screziato sessuale addomesticato
tenebroso mio andare rottura geloorditura fenditura blessura golaricettizia laicále péndula filigranatafigura rupestre angiporto lucebattona sassi appisolati rovi concrezioni putrefazione ín fiore sui calanchi ginestre
QUOTIDIANO NONSENSE
Cartulari blastule al chiaro di lunazecchínetta o libro di Thoth scopa raminoalla resurrezione dell’uccello paníco fremitononsense inquietante carrozza o portantina.Pastore cluniacense d'Anglona dionisiaca follesospensione esorcismo feconditá Carnevale mitovolto bipartito campanacci inferi cuccagna metafisicaPantomime sregolamento casuale esoterico buioconfessore convocato castello con capra e círcoliCrocco Ninco Nenco e l’algebra di Boole distributiva.
V LE LETTERE PERSIANE UNA BOUTADE DICEVI
Le lettere persiane una boutade dicevi
Montesquieu esotico eroticocoloniale specializzato veridico indegno altro
Venívano exibite riletture indigene il ramod' oro selvaggio, surrealista probo
galaxy stampato elogio dell'alienazione
L'ideología il vissuto umanopattern. sofistico immaginario figlio
defraudava Pound con una curva mondana
Caccia di teste Mississippì l'Agri ulivimembri conosciuti enfiati ipotizzati
oi barbaroi fantasmi impagliati cattivi infidi noi
VI NIPOTINO DI ROUSSEAU
Nipotino di Rousseau odio i Grandi odio il loro statoGhiglíottine in liberta latte in polvere tendopoliAliano che vien giú sull.' argilla mio tramontoVitamine partigíane maldestri democristiani amigdalaPadri corpi abili scarti sottosviluppate dilatazioniLibro Cuore al meeting sulla logica de Il capitalePoeta fin de siécle minor mascella scorciatoie differenzeFuturo della realtá fedeltá alla ragione sítuazionaleTragico barocco putrefazione rococò archibugi segnaliDeprivazione stomaco affascinante bocciato ripetenteVizio stortura non parlavano di ciò che sarebbeMa di ció che sarebbe potuto accadere al lettoreBlasfemo onus probandi marchingegni sadianiRifare in 15 punti l’apologo dell'antropologoE il processo varierá grattando evitando grane
VII GLI IPPOCASTANI ADORNANO CON PASSERI
Gli ippocastani adornano con passeri le vie dei paesi del Nulla calato sulla lotta, nostalgía castelli dirupati chiócciole d'oro, addentefiato mitedissolvimento glaucomico potere bianco.
Di tutti i luoghi per nascere l’alba questo brancolando elesse rosa d' amoreEsenín buio punzonato contadino perché dell' umana compostezza non rimanesseche il vuoto a figliare la pauta dell’essere.
VIII OH GALLO SPERANZOSO
Oh gallo speranzoso
stregàtogallo delle mie certezzeche canti l’alba al poeta addormentato,
topi della notte i timoriombre
svaniscono alla tua pallida gola.
Oh la felicità della mia donnanascosta musa marmellata melmosa,
all' abbeveratoio,quercia immensa clarità,il violino della malinconía morto, riposa.
1
IX PARCO CULTORE D’ INFREQUENTI LUOGHI IL POETA
Parco cultore d’infrequenti luoghi il poeta mi incontrerete -disse - in una brocca circoncisole foglie vanno alla deriva memoria di sé untuosal’ essere sociale le dame omosessuali e i cavalieri canteròdollaro borghese piccolo esilio mansueto corvi corda l'amore del padrone la figlia vergine alienazioneimbianchini schizoidi ruzzolano nell'aiuola dell'Essere cibernetica asettica contadino ubriaco vita sprecata se almeno il tuo corpo fremesse incantato putibondo, monastero sadiano badessa taciturna postribolare l’ anima si fascia del Nulla per materia e veste nero la gotta il. gozzo i romanzi immaginabili l’epifaníevi scriverò - disse - dal reggicalze del piacere sintatticoi cromosomi danzano l'ore gotiche i fagioli esplodono
occhi falli per labbra blu al Guadalquivir delle stelle
FUORIBATTITO
1
Uomini senza voce e voltipiccole piccole piattole.
Covo di fiere.
Smemoramento
attaccato ai démoni della cittá. L'orribile suono dell’ermafrodito.
Anche Scotellaro monachicchio rosso serpeggiava onirico con talismano e budella. Silenzio di tamburi e lampi di cicale intontite dal discorso provocatorio le serate smemorateplastiche con spettri e presàgi.
2 nietzsche primiero l’ indice rivolto
al cavallo bruciavaermetiche malinconie indicava androginie
visive ODO/ROSE
trasmutanti la vitaautomatismi deliziosi nights degli strappi
LOCUS SOLUS
Celibe essenzialmente sedentario ovale
il
feudatario descriveva isabella con analogici limoni
3
zio giovanni contadino monarchico prima democristiano poibestemmiava: croce di guerra! croce di savoia!Si curava con menta, camomilla di campo et erbe.Coppola e gilé falce contro l’ orizzonte scaccia i mostrida verde distanza. Masseria di Campo di Lupo già di nobilfamiglia ora deí suoi figli intatti trattore chiúsa quercetagliar legna se sia meglio trasferirsi in città discute.Il posticino alla Regione bidello o che so io a guardarmosche aprir porte salutare senza fatica di domenica inauto ritornare qui curarsi la vigna ma senza preoccupazionidi grandine sole animali…Tossisce ubriaco la sera senza sciarpa a fiori nei barfumosi del centro moquette sigaro Anice cassiera esilarante(ma forse)
4
cornacchie con campi e spilli di sicurezzaper mantenere l’inferno polmonare. Sant'Arcangelo.Cardínale sguaiato con paure surrealifondotinta maculato gocce sonore diametralmente recisocontadini al chinino defaticanti spompatifrane enormi vergine lunare giunglamorfologico
schiantodell' essere
5
nel paese carrozzoni cigolano la fiaba androgina prostituta da circo chimera indiavolata saltimbanca del sessomorbida rosea sparute speranze sdolcinate sbavature succoseleonesse teneri clowns
SALOME'
orridi padri leziosí occhiazzurri venustà soffice appuntiti capezzoli di capra uranica alacremente divoratrice assorbì pallida mercanteggiòstrofina selvagge calze prospettiche reticolate scheletroromboidale leccante ruffiani con Fiat affari giarrettiererotoli curiosi scialli osservanti anche la storia qui risciacqua in Arno il. mattatoio degli affanni
6
Scivolò l’occhio fuori in officina svizzera con sangue.carmelo emigrato rientrato con pensione in franchiaccasato con figli e trattore per coltivare lungo l'Agri anche conigli erbosi, Lago di Losanna Wagner Nietzsche: per te solo incubo l’occhio
barconi treno al ghiaccio cavalcata Besançon…
Amante la moglie affascinante i carnai notturni lui cacciatore- di frodo - con occhío finissimo umorismo peregrino mentaDioniso la strega in montagna...Fu indirizzato e spedíto al posto sícuro: bidello a scuola -far legna al preside - tempestare allievi scaldarsi altermosifone si fa per dire salsiccia e vino d' inverno fino aldiapason: infartino líneare configurazione articolata barariposo con lapide: padre affettuoso…
7
Antonio stagnáro andava rientravacanonico distacco meridionale.
Grazia sul basso corso del fiume.Temeva la pallida luna
saltava danzava ébbro
udiva l’eco del napalm
dallo scardinato Viet-Nam.
Sognava turismo comprò le docce per i contadini
fallí sotto la pallida luna salItava danzava ebbro.Riemigrò ritornò discorsi gnomici slegati
fitti alcools amati riandava rientrava licenziato.Le labbra fumate scarni balbettii gesticolati
ritornava centomila da partebuone per due mesi
fiumi di birra
malvivente
rivendicava il possesso arduo della vita. Ora é un anno chegalleggiava baffuto nell'Agri fresco serpente altero ...
CANTINA
Trepido cantuccio della disperazione la botte annerita e i ragnisfaldano cemento, imputridisce l’acqua a rigagnoli forati fra ruvide pietre scure.
Nel forno paterno oggetti confusi riavvolti sogni di polvere chiodi piedi di letto manubrio di bici cernécchio cazzuola dove passo un' ora di fresco far nulla.
Senza in niente sperare, un topo affogato riporta la poverà, mancanza quotidiana le catene per il ghiaccio due Pirelli al muro sospese all’odore del vino píú scuro del buio.
Tu non presenzi ai riti della vita ebbra parli civiltà cittadine che angosciano le notti rumori scontrosi qui attutiti dal nulla bacchico d' un esistere senza speranze puro disinteressato.
TESTI PAESANI
Abriola anzi capaccio carpaccio colobràro
Brienza grumento lagonegro lauria salaAccettura lagopesole potenza montemurroValsinni villa d'Agri moliterno marsiconuovoTursi paterno metaponto ionica
Quácquácquá Quácquácquá restoppiedietro le spalle ci sono le palle, (nel fucile) radeinosservate quaglie insanguinanti incancrenite
vofi coerciti
Pitagora Crotone centroindustriale italsidér conversazione proustíananon iuvant repetita ma le pepite ma le pepite
(cantavano)
S Sinisgalli Scotellarosostituzioni horror vacui occupazione di terreipersideree politiche imprevedibili bramosìedietro, non c’ é non c'é l’incantola favola bella che ieri ti illuseche oggi non so sciorina limonibudella lapilli rampolli
Tam tam. intrugliotout court non il Kurt moraviano, ma il cortocotto tacchino ricucito e farcitogiunto ormai per treno diretto tradotta del sognoangolo imbriglíato spasmo,
Nietzsche nietzsche, vecchio gelo! Se tremano le foglie i fichistecchiti accattonati
umidei latteila navigazione a Siris malarica giallodeforme
L’ideale l’ideale l’ideale fottitura femminail positivismo anale arcuato re
nudo povero ormai carico di affanní urogenitalimucca sacra fungo
Marsico Marsico
l’universo in espansione addosso bozzolo chiuso! L' usuraio comunista sventolava il martello scuro
diceva di non poter rompere il muroma il flume levigava le pietre come suoleil fanciullo aveva in odio le scuole
scotimento secondo Proserpina
IL VESCOVO BERTAZZONIDOPO UNA VISITA PASTORALE A MARSICO
Ho visto il mulattiere chinarsi ai trivi.
Dall' anfratto scosceso nascere la Vergine nera.Non tutti gli occhi sono per vedere cose. Tacerò del resto di cui non si può parlare.
Ma lui disse: « Paese di píssidi vuote! ».
X SE GIOVANE ANCORA IN QUESTO MORITOIO
Se giovane ancora in questo moritoiomarginale venissi ad essere
inghiottito
di menon altro si dica che la favola variache un popolo di contadini racconta
nel chiuso d' un andronele sere
deí lunghi inverni nevosi con vento sfibrantePOETA CON FILOSOFIA RAMONALE
INCANTO' LA STORIA.SMUOVENDO MAGICHE CARTE
VIVE NELLE PAROLE
di medunque così poco e già tanto resteràche il linguaggio confuso d'un bambino
fra il monotono grido della cicala reciteràil mio nome contando di sera
le stelle.
INDICE
5 Giancarlo Mazzacurati, Presentazione
7 I Calembours gogoliani. La nevrosi 7 II Oh I'Ortis é un lagiolo Matinowski lata russa 8 III a) Verde sviolinato silenzio urbano
b) a Parigi grigio metrb musica venefica zia incípriata9 Le parole10 Notturno12 IV In putrelazione ginestre su¡ calanchi13 Quotidiano nonsense14 V Le lettere persiane una boutade dicevi15 VI Nipotino di Rousseau odio i Grandi odio il loro stato16 VII Gli ippocastani adornano con passeri17 VIII Oh gallo speranzoso,18 IX Parco cultore d'ínfrequenti luoghi il poeta19 FUORIBATTITO19 1 piccole piccole piattole20 2 nietzsche primiero21 3 zio Giovanni contadino monarchico prima democristiano poi22 4 cornacchie con campi e spilli di sicurezza23 5 nel paese carrozzoni cigolano la fiaba androgina24 6 Scivoib Pocchio, tuori in officina svizzera con sangue.25 7 Antonio Stagnaro26 Cantina27 Testí paesani29 Il vescavo Bertazzoní dopo una visita pastorale a Marsico.30 X Se giovane ancora in questo moritoio31 Indice
MORITOIO MARGINALE
I Calembours gogoliani.La nevrosiII Oh l’Ortis è un fagiolo Malinowskj fata russaIII a) Verde sviolinato silenzio urbano b) a Parigi grigio metò musica venefica zia incipriataLe paroleNotturnoIV In putrefazione ginestre sui calanchiQuotidiano nonsenseV Le lettere persiane una boutade diceviVI Nipotino di Rousseau odio i Grandi odio il loro statoVII Gli ippocastani adornano con passeriVIII Oh gallo speranzosoIX Parco cultore d’infrequenti luoghi il poetaX Se giovane ancora in questo moritoio
I
Calembours gogoliani .La nevrosiè il bene del procedimento trasmentaleanche se innocente non sono. Perché nasconderseli? I gattiaddormentati atteggiamentida cornice dorata. Copricapo del nonno notturnoLa notte non passa più penetrazione dell’essere.
II
Oh l’Ortis è un fagiolo Malinowskj fata russarimano fra loro con risparmio
Testa anguria acqua fungo pungo l’energia“ Ma non ha niente a che fare ?”disse il critico grattandosiUomini si lasciano guidare miti dalle parole straniate.
III
a)
Verde sviolinato silenzio urbanoalgebra ontologica eternofai il giro della stanza azzurraautomatizzazione dell’oggettoper gli annali su Tolstoj il manoscrittopassa la paura come se la vita non ci fosse mai stataper lo meno l’inappartenenzacome fantasmi punge d’innocenzala confusione della favola.
b)
A Parigi grigio metrò zia incipriatavenefica musica se frananoi paesi aquiloni frullati dal vento.Ma lo scambio alterato Metapontosabbia fina érebo gialloi corrieri orfici deliberanodi frustare il desideriodeterminarlo e potevano le sfingiincantare il medicoapoteosi del grottesco questa terra quiriceve conclusione fantasticacon Pound nel Mato Grosso.
LE PAROLE
I Mitiche
evocanti simboli di lussuria giochi
gioia d’io deserticiombre gialle sul realesemoventi nella propria logica semantica surrealeorganizzazione cibernetica del mentalecol sangue costruiscono muri d’irrealtàcaos informano concrezioni di sognobalugini di stati inconsci spazi inermisegni architettonici vuoti d’esseremurmure sincopatoinfinita leggerezza del dolore evocato sorridente smorfiasenza appendici
IILa poesia panno ordinatos’aggiunge alla vita passa con significanti disualia comuni giorni in archiviabili.Dolce stil nuovo sui cadaveriDel fideismo impagliatoNon ho più critica nel cervello che per l’usuale.
NOTTURNO
I Treni in fuganon esentano il gallo monotonoverticale stridore da remote cavità,risalire d’una barbarie con il cuore carponitrafitto dal freddo pungente,le redini strette al linguaggio. Scavo nel nullail ritmarsi del ventopieno fra gli abeti - la nafta non mi dà pace –chiaro il ricordo della luna.
- Scoppieranno le parole mine sul sentiero inespresso al buio? -- Chiederanno oboli dalla storia versi come pioggia sull’arido? –
II
Notte insonnedi delirio alle stelle incontaminata oscuritàdi marzo errantead ogni logica ferrea del tempo quotidiano medio senza spessoreaperto al nulla vuoto del pensieroùpupa rantolantenell’inferma cavità spaziale ricerca husserliana delle radici di Sé stordimento dei bocciòliriavvolti in sottili intendimenti scardinate essenze delle coseportate al macero della r a g i o n ericciolo mitteleuropeo di pendolari incapacità.
LA LUNA DELLA RAGIONE . SULLA POESIA
di Antonio Lotierzo
Nostra unica guida, la ragione, nell’accezione illuministica e derivazione da J.Locke,ci porge aiuto e lumi nella storia che viviamo. Sappiamo che l’uomo è ancheinconscio e sentimento, emozioni e istintualità, forze che esprimiamo nel simbolo della“ luna “ . Corpo buio, la luna viene rischiarata, di riflesso , dalla ragione, chedall’altro emisfero rende chiara la notte, incantata come nella pittura romantica. Considero la poesia una formale ermeneutica della vita. Formale perchél’ordito costituisce la modalità con cui il poeta esegue l’ispirazione, lo stile chesostanzia la comunicazione , la tessitura di richiami fonici o di accenti attraversocui il poeta esprime la parola. Nel verso, libero o rimato, la parola poetica uniscevoce e vocazione a parlare, spezza il silenzio dell’Essere e restituisce un epifanicoritmo per l’esistenza. La poesia, espressiva coincidenza d’ opposti, è la risultanteordinata degli squilibri intellettivi ed affettivi di un parlante. Come riesca , avolte, in questa impresa il poeta stesso non sa a pieno ma, in questa inconsapevolescienza , si materializza la magia della poesia, quando rilucono i diamanti espressi.Ermeneutica del mondo umano, sottile interpretazione che una mente opera sugli aspettiriflessi, emozionali e relazionali in cui incorre, la poesia è l’esposizione di unmondo, reale o fantastico. Il lettore ( spesso, a non poco prezzo) può compiere unpercorso conoscitivo di quel mondo, che la poesia mantiene illuminato e fermo in unastruttura formale ( o può ignorarlo, a non poco prezzo) .Ermeneutica della vita è la poesia, perché il linguaggio espone, in questo suo piano,l’esperienza ma sottoponendola a filtri e deformazioni che costituiscono altrettanteespressioni di senso. Attraverso l’ermeneutica il poeta presenta la sua verità ( chenon è religiosa né giuridica) come processo di tensione nel linguaggio, ove, infatti,si compie e cucina la discordia fra illuminazione e nascondimento.Il linguaggio è la “porta della Luce”; evocando gli enti li fa comparire davanti alnostro sguardo. Il lettore si avvia alla comprensione meditando le figure dell’opera e,interpretando ,nei limiti concessi, allinea materiale per la comprensione, elimina iveli del nascondimento, si apre alla chiarezza della radura conquistata dopo la selva.La dialettica è la continua tensione fra un Dio nascosto e un Dio incarnato. Il poeta,componendo, ha assicurato la vita al suo mondo, ha rivelato la sua conoscenzadell’essere, un’agnizione parziale ma compiuta. Ogni poeta ha il suo linguaggio; in quellinguaggio si può ascoltare il suo mondo, la modalità del suo essere uomo.Il linguaggio poetico richiede lettura ed interpretazione. Noi leggiamo di continuo lepoesie che amiamo. Noi interpretiamo di nuovo ogni poesia, ricostruendo la forzacreativa e comunicativa che troviamo viva ed espressa, come cosa e figura, nelleproduzioni che riteniamo esemplari o significative e di cui sviluppiamo leimplicazioni culturali.La poesia appare come scon-volgimento, volgimento dentro noi stessi della realtà,epifanìa dei conflitti interiori che segnano la nostra crescita. Anche quando si apre atestimoniare i conflitti sociali o di classe , la poesia è percezione interiore diquelle dinamiche.Il trascrizionismo è l’interpretazione della poesia come registrazione del tempo eattribuzione di senso alle fasi della vita, che altrimenti rischierebbero di rimanereirrelate. Il poeta si può raffigurare in un funambolo che oscilla, con la lampada della
ragione, fra delirio e memoria. Il delirio consiste nella mancata distinzione frapassato e presente, fra fantasia e corporeità, che Comporta una confusione fra tempotrascorso e tempo attuale.La memoria apre al futuro, rischiara la luce coatta che consiste nella sensazione chetutte le possibilità siano perdute, che l’intero mondo appaia una nera totalità ditenebre, riapre un senso nel labirinto del dolore e ci permette di proseguire il nostrocammino. La poesia è trascrizione formalizzata della dinamica interiore fra una menteche opera nel presente ma ha elaborato esperienze trascorse.
A.L. Napoli,10.12.99
MATERIA E ALTRI RICORDI( 1990 - 1993 )
“ Eccovi un uomo
uniforme
eccovi una lastra
di deserto
dove il mondo
si specchia “ Giuseppe Ungaretti, Distacco, v.1-6.
ORIGINICaso il mondo, caso io stesso, vasoumido di chiarore disperato.
Mi aprii all’andare della terra:nel tempo vidi nascere le cosee nelle più oscure paludi fui tuffatoper risalire all’accecante luce.E provvisorio mi sconvolse il chiaroredella neve fresca di mezzogiorno,il candore al mondo dei mansueti,gli inverni tremulidove cova terribile un’ansia d’amore.Alle origini é la ricerca e l’altro.Vengo da solitudini corpose di terra,muschio sfiorato dall’onda marinae alghe al sole chiassoso dell’alba.Il mio corpo era figlio del vento pallido,mi attraversava con l’aria e mi spingeva
al di sopra delle trasformazioni impensate,volavo uccello teso nell’aria.Leggera dolcezza solleva il mio corpoe mura contro i pensieri innalzosu per le montagne, all’ombelico riempire del profondo mondo.Amo quest’esistenza di bramosa terra.Come te, virtuale lettore.
COME UN FOTONELuce materiale é il mantello del mondoe tu, Soggetto, ci smarrisci nella ricercadei tuoi attributi nel tempo.Fortuna non bendata é la morte che vienee le sofferenze trasmigra orrida.Miracolo é la tua epifania,lusso di vita, come un fotone,campo e particelle,teologia che inseguo nel vento,polvere di silenzio arsa.
L’ACCETTAZIONE DELLA FINITUDINEBramavano l’eternità perenne:
il darsi per sempre valido di certe idee.E’ radicato spavento per il nuovodel futuro spazio in movimentata creazione.
Pure ci piacerebbe l’unità:mistico sentire senza vento.Se non fosse per questa disintegrazione,angoscia acerba del finitoriconosciutosi nel profondo senza idealistici superamentima in sé bastevole: gioia del vivente pulsare,vitale autocompiutezza,intensa leggerezza.Non vedo quiete,àplosi possibile all’asceta:ho le mani lordate di sanguené é sopprimibile il mondo,un perdersi allucinatorionell’intuizione dotta, riavvolta in sé.
L’UOMO COME TRAPASSOLa crisi della ragione attraversammoe, ignari, il suo periplo oscuro.Riappare la scala che scendo,ma Sisifo ricado dal culmine
e in alto riprendo voli inesauribili.Sola continui a stridere, rondine,nell’ infuocato tramonto ( ch’ é ogni vivere ) cumulo soffocato d’irte discariche.
Né più l’aria plumbea libera il servo,l’interrogatorio procede fra sconosciutidove lo sguardo accomuna di pietànoi naufraghi, larve d’un viaggio sbarrato.
Violaceo sapere, il Tempo, particelladella materia, vorremmo in luce,se non fosse per queste onde fluttuantiche ci rimescolano, grani arsi alla battigia.
IL FUORI DI SE’Non la condizione mi pesadi pungenti giorni inesaustial vento dell’esistere.Inadeguata mancanza a noi stessi,espressione compressa,ce petit monde meurtrier: questi noi stessi, in sfacelo...Scarno vuoto radicato alle vene
comprime il sangue ogni ora.Aureo feticcio,il restringersi dell’uomo:potere d’orizzontale pressione;reprimere anche i versie le leggere parole in libertà;questo gioco finito senza stabile inizio,alba rossa spenta nella nebbiaed un me stessoche con furore impreca.Caldo sepolcro,necessità d’abbattere le separazioni,vasi isolanti e comprimenti,d’una solare terrestrità.
REGIME
Oh certo! sublime incantevole brezza -un lento irretirsi della coscienzanella quotidiana ovvietà del reale.Sbiadirsi d’anni e d’esistenzeal sole precario,nell’ignava parentesi dei giorni.
Dicono i conservatori,che é bello, dio Masoch,lasciarsi andare sicuricon memoria uterinagioiosamente nelle spiredei responsabili pensieri dell’autorità.
ROSA AGOSTANA
La rosa agostana l’incantava.A noi appena alzati mio padrela mostrava a trofeo nelle manicrettose e la felice stanchezzache l’aria terrigna offre alla vita.
Senza rimproveri, la posavaalla residua foto,a fronte al candeliere,di Graziella e andava su a lavarsi,dove la luce apre labirinti di pellee dimentichi le domande senza risposta.
Vendetti quella terra. Un lembo di dolore,dispersi nei vorticiurbani quei trenta denari.Ancora la memoria offre gestinè una tregua viene,in un lampo, a dare acqua a quei solchi.
IL GELSO DELL’ANGELO
Sangue sulle pietre calde, il gelso nello stazzo ombroso le gridaascoltava e veloci dei giochi le vampe.
Salivano vocii acrinei pomeriggi del vicinatodalle madri su sedie impagliate,ordinato fiume dell’amicizia.
In quel senso di parole consunte,nascosto, abitava l’Esseree mia madre cantava al soleoperosa lenzuola sbattendo.
Un angelo tenevano quelle foglie,agitato nello stormire e ascoso :mi sollevò quando caddi dal muro,sporgendo un martello nel vuoto.
Poi veniva luglio e riapparival’angelo broccato a guerriero d’argento,bianco fra i balconi avvicinatida corda unta stirata al ritodelle orazioni della festa del Carmine.
Alto e serio, oscillante,un fanciullo recitava sospesole lodi di Maria , con la coronanel vuoto trepidante dei voltisudati nella gioia del sacro che alitava lì, fra noi esultanti.
Non so se l’angelo torna al gelso.Altre fughe intrapresi e scacchi.Ma la luce tracima alla mentese riappare la ruota dei morti:a denti rossi, sorridonofra le sue larghe foglie, invitantipasseggeri d ‘un’ inviolata armonia.
IL BUCO
Spire di serpente e agonia rissosa,la vita passa. Ci involve un Nulla.
Nel paterno salotto franaun buco alla base del balcone;ruggine corrode operosalì dove mi distendevo coi librial sole dei sognanti affetti.
Sferzanti monadi, focolaric’intendiamo guerra col riso.Palazzi occupano ignote generazioni,a ripercorrere basse le vite dei nonni.
Muta la scena e ritorna acqua cheta.Rotolano sugli stessi sassi riottosi.La geometria divina, con rigore ignoto, riscatta, inseminandola, la mia terra.
MALESSERE
Il male delle cose in plumbee anseingorga le parole marcite.Malariche fioriscono le cantilenein luoghi catacombalial riposo dei santi ossificati.
E mi specchio con logore incapacità,meteorite spersa ai gridi delle sere.E siamosu questa morta fagliaove dialogo su carte d’antichi fasci.
Attendo che il mare mi ricopra,cura assordata, tenerainquietudine corporale.
SINISGALLI A GRUMENTUM
E’ neve questa storia che crolla,scivolosa, sui vetri calda.
Agri lazzi - ripeteva rapido,allegria d’un Carnevale radioso.Era, invece, l’Agri di Sinisgalliche in polverose anse inseguivo,di Cartaginesi orgogliosi di spadelancinanti sulle verdi grumentine colline.
E fra i cippi un contadino citava Livioa pezzi e l’opera reticolataquanto il nostro vivere a rombiincastrati nel magnetismo del mondo.
E i Romani ? - incalzava, impudico.
Ho in odio i conquistatori e agli occhimi langue in palude malarica ogni boria.La terra si dona a chi la lavora.
Una piccola mela mi bastaa pulire l’amaro della bocca.
PULCINELLA
Comici sberleffi, duri priapi e volpid’argute utopie e pianti sulla miseria.Neri sensi d’un solatìo lenzuolo!
Ma se alla memoria amori e danzesalgono, sai della rispostaesplosiva che mia madre,irata più che disperata,rovesciò sul sindaco mio padre:
“ Non sono una spara di Carnevale” ,misero straccio di Befanasospeso ai vicoliventosi del pietrisco vesuviano.
E quel di più, dimenticato a volte, é il sacro sommerso, polverosa clessidra, la laboriosità femminileche inchiara amorosa la storia.
MARATEA
L’immensità riduce a falcele anse del tuo marearabo di pietre elise.L’acqua sa di fredda neve
e nei mobili colori combatte soave l’arsura del sale.Non fosse per le alte cannel’antico maleficio non sapreidove, accecata serpe di tombe,marcisce Blanda con cupo fragore.Ma è speranza la tua saggezzaper noi distesi alla gaia sabbiané specola d’amore t’ardefra ignoti seni e labili presenze.
II
RESPONSORIALE
“ Natura umana, or come,se frale in tutto e vile,se polve ed ombra sei, tant’ alto senti ? “
Giacomo Leopardi, Sopra il ritratto di una bella donna,v.50-53
ACQUAFREDDA
All’ora che luccica l’onda e il calorela sabbia irrespirabile bruciaalla paglierina di canne troviamorifugio, l’arancio bazardove una caprese e un caffébastano a riparare la vitalità,riacciuffando per coda il tempocalante in nuove conversazionie spruzzi d’acqua con illuminazioni.
.
ALBUM
Chi non sa scrivere, ti allettasornione con fotografie. Ne proponedecine, con lo sguardoda Trimalcione, in afasia piena.Annega il cuore nella gioiase riesci a tessere un discorsosu visi in dagherrotipi ingialliti.Concorda allora con te,il mercante, e s’accontentad’una illimite gloria di parole,fuochi d’artificio in una cupola rupestre.
( 1997)
ACQUETTA TIRRENICA
Piove sulla spiaggia.(Bagnanti in comica corsa).Le nuvole scure rabbuiano d’afai goffi bambini, uccellettiavvitati negli scomposti lenzuolicolorati di morbida spugna.Saranno evitati altri incendi,l’ erbe cresceranno tra le macchiearide per polverosa calura.
LO SPECCHIO DELLA SPERANZA
ad Antonio Bassolino
Qualche merlo saltella al roso parco,un avvoltoio s’abbevera a Coroglio,alta erba robusto ferro involvefra rapidi scotimenti di vita.Verminoso traffico bùca la cittàbassaiola e civile, scomposta e amara,labirinto di speranze e acri afrori,plumbea leggerezza di balenanti orrori.
Più d’una pioggia, che l’anfiteatrotufaceo lavi a mare, la coscienzarifranga il tuo operoso sudore.
E sacra di verità fecondi, luce gioiosa, al fanciulletto,che s’apre all’aula di sole.
(1994)
PIAZZA CAVOUR
Al fragore di vite smosse,nel formicaio ebbro del traffico violento,l’ io debole inségue le fatiche del giorno,tentando di sopravvivere.
Gli interni, ufficio o casa, oscillanofragili a questa mareggiata della vita,con disegni precisi che l’ordine consolida,ancorando le persone all’ abitudini delle cose.
LA METROPOLI PLEBEA
Si soffre il morso della plebe,ansia di assedio e tubinio di voci,richieste d’aiuto e laccio di furtiin frettolosa esecuzione.
Come nel gioco di carte spariscono soldie la pena si trasmuta in paura:costante incertezza napoletana e precarietàdi beni, risacca smossa di pietre alla battigia.
Nessun lavoro, non un ordine impone graziaai diavoli imprevedibili, di cui scorrela verminosa dilapidazione del destino.
Nel letto della ragione una lavaribollente macera tutto incendiaria.E soffocamento é il nostro passaggio.
ILLUSIONI
Le speranze tarpano l’anima,l’animale insegue il visibile.Le proiezioni non mi sorreggonopiù, fantasmatico nientedi cui conservo il vuoto dorato.Alimenti del cuore, le illusionisi seggono sui ciottoli del fiumein cui galleggia la mia vitadispersa fra gorghi ed alghe.Il fringuello ansioso pigolafra i peperoni rossi e un’erbettanasconde la viscida rananel fangoso ingorgo dell’acqua.
HIGH-TECH
I biologi pensano che , dopo il brodooriginario, cristalli siano trasmutatiin microbi, avendo informazionicomplete del sistema che diciamo vita.
Una materia che si organizza da sé,la crescita di un cristallo a strati,la mica che ripete i suoi messaggie tanti replicano la loro storia inconscia.
In altri mondi si sta formando la Vita?
La mia dilatata coscienza fingemiliardi di germi e ride del senodi Lucia, evoluzione microbica.
LA BOUGANVILLEA VIOLETTA
La bouganvillea violetta, sposataai circoli degli insetti, slanciataverso l’alta luce in cui si fascia,ci conforta col ricordo degli anniin questa casetta estiva che vide
crescere i desideri degli adolescenti,l’affacciarsi alle inquietudini della vita.
La cicala, scacciata con l’acqua più in là, riprende simileall’ingannevole ripetizione che aggiungepaura nel cuore per gli anni consunti.Saltella la vibratilefarfalla sulla bouganvillea violetta.
AMORI CON GUARDONE
Dove il paesaggio si fa più brullos’inerpica sentiero fra le fragoledei faggi, profumo delle capre irsute,osservanti ebeti i nostri amori.
Lì un vecchio specchiava immobilelo scorrere delle mani sul volto amatoe il biancore della carne inebriarsiquasi di vino e di nero disamore.
Ai giovani ginestre irrorano i visipungenti sterpi minacciano i passipiù del dolore che incombe futuro
e urge nel petto un mare di mieleacceso sapore dei baci e tenerezzescontrose, irrorate a luce dal sangue. (1997)
RITRATTO DI RAGAZZA
Dirà pure una parola, non so;sculettando oscilla l’ombelico,tira i capelli in sù e ridesorniona al richiamo dell’ amiche.
Odorosa speranza lùce agli occhipigri e sfuggenti, avidi e disarmatipiù dell’ aria che stinge i sensischiumosi di irrefrenabile vitalità.
E urla di colpo verso l’amica,in tensione di corsa, rondine di stradauna coda di profumo lascia nel vento
paga dell’abbraccio in cui si perdee più non tende verso ogni uomo,spegnendo i desideri in una rossa risata.
(sett.1997)
GIUBILEO
Giùbili giocondi giù al giubilèogiuggiole aggiungono gigli,giubilanti giorni ginnicigià gitani agitanti grazie.
AL DUOMO
Suonano campane nel vuoto...Nell’aria settembrina é s.Gennaro.Fòra l’udito l’atra motoretta,alla gola riarde lo smogper noi ombre che vagoliamosui marmi del sacrato a via Duomo.
Impalpabile l’usura una reteaggroviglia e suonanocampane nel vuoto.
LA SOCIETA’ MULTIETNICA
Fra i crinali della faggeta fiorisplendono a decìne e la pianura verdeggiadi giochi ombrosi alla luce ridenteche meraviglie mostra in dolce fusione.
Nello splendore delle razze brillano idee,bisettrici di pensieri soffianoal vento ove il desiderio d’avere li spinge.La società caotica incrocia il pullulame
delle ansiose brame, fascio di rette smossenel campo magnetico ove scorrono bianchie negri al silenzioso flusso dei gialli.
Il sole benedice tanta pluralità,fermentando natura e uominicon la lucentezza del calore amicoe l’attraversar ci é dolce in questa vita.
UN FASCIO DI NEUTRINI
I fisici raccontano del fascio di neutriniche, a nube spessa, ci attraversano,noi ignari del materiale fuocoche riscalderà l’implosione della Terra.Ci consola il tempo: fra decinedi miliardi anni. Congruo intervalloper rendere smemoriata la nostra durata.I poeti immaginano che un Paradisodi parole possa esistere in eternitàe il Verbo, infinita Verità,copra di senso la sabbia degli esseri.
RESPONSORIALE
Dio di colpa, come un artigianomi lavori la mente coi tuoi divieti,accompagni di scrupoli le mie azioni,fermi la mente percossa dal maestrale,scavi un tunnel nei miei progetti.Misteriosa forza dell’invidia,la colpa rende timida la mia vita,trasporta, col ricatto dell’Eternità,col vento del dubbio, il mio lacero desiderio.Insonne sentimento di colpa, la vitavendemmi con pungenti api, l’ansiasoffocante accresci coi suoi lacciuòli,ràdi a spiaggia inerte la formica dell’Essere.
LA COMPRENSIONE
Essere l’io e il Tutto,unione di materia e deitàmi penso in uno slancio onnipotente.
Delirio d’armonia,sposare il deserto ai ghiacciaie far correre l’immobilitàtrasportando la mia presenzafecondatrice in ogni dove serena.
E’ questo mare la comprensione?
LE CICALE DI CASTROCUCCO
Dietro i canneti, che cavalli altériaprono coi ferrati zoccoli, appareil monticello di sabbia che nasconde il mare.
Fra un coro di cicale, percorriamoil pigro spazio fra torrente e insenaturaa falce, sgretolata di fichidindiae gialle ginestre fra grige pietre instabili.
Provi il freddo del mare in superficiee t’immergi verso un più tiepido maree ti risveglia una simile acquaalla vita, che ognora sai carica di pena.
Quando il sole picchia a bruciare la luceuna baracca elettrizzata fornisce ombrae scarno cibo ai miei, beoni delle vacanze.Di rado all’orizzonte un uccello galleggia bianco o rompe l’onda bluastra un motoscafo sperso.Si resta al sole calante fra parole lievi( rovelli di speranze o sogni inesaudibili? )a raffreddare la sabbia grigia mentre scolail giorno un altro spicchio di eternità.
(luglio 1998)
L’INDESIDERATO
per Mario Lotierzo De Benedetti
Due ore di vita, in un’incubatrice.Mio figlio malformato, senza un artoe il cuore che non può battere.
Nella gravidanza sopportò le lotte aspredei sessi ansiosi e gli inutili alterchi.In quell’attesa si consumò il suo esserci.Perchè restare in vita quando puoiadeguarti a cenere al più presto ?
Un anno dopo, dalla fossa, riesumaila scodellina del cranio consuntoe rinviato al nulla che mi appartienee scioglie ora di neve la mia mente.
PASSEGGIANDO A SALA
L’adolescenza sfiora carraie di polvere.L’ascesa al s.Michele fra rovi e ginestreal tiepido sole di maggio solitaria.Sfugge al commercio della Sala ribollente,
al passeggio ostile fra folla indifferente.Era l’aria allora apertasulle coste della valledegli ulivi e i camminamentitortuosi col fruscìo di lucertole giocosee fuggenti allodolefra roveti di more.Ad un fonte si fermava il passo liberoe nell’acqua le braccia al saporedi neve ritempravanospasimi con alte canzoni.Erezioni inseminavano ginestreove affaccendate contadinepassassero con occhisornioni di compiaciuta tolleranza.La solitudine premia il forestieroe nuovi spazi illumina fra ruderi e roveti lo studenteche vive di relazioni pure.
CANE
Nel cane godeva la sua ricchezza,nelle festevoli mosseal rientro dal lavoro,negli scodinzolamenti freneticialle liete cacce, nel superboincedere per la passeggiata serale.
Mio padre sentiva nel cane danzantela serenità del Creatore, nelle sue pieghesvelte, nello slancio incosciente dietro le leprisornioni, nella punta fremente alla quagliafra gialle restoppie, nell’annusare le tanesguarnite delle volpi accorte e vigili.
E alla mamma che si querelava per pulizia, cibo e continueattenzioni, imprecavaper salvare una libertà dal mondoche nelle cacce sfuggiva ilare e svagato.
E pianse con mani lente nel peloquando lo ritrovò in un pianoroucciso da un morso al nasoche una vipera iniettò gonfia d’invidia.
SCOLATOIO
Nel trentennio delle ricchezze gonfiatesi mossero i paesi verso le valli,cedendo energia nel rimescolatoio.
Drenaggio di torrenti calarono molticon empia emigrazionea cercare casa con parcheggionella rozza società d’una frale uguaglianza.
Il pianoro è lo scolatoio delle animemontane, morse dal vivere moderno,fiera di belletti senza memoria.
Il dolce vivere s’inarca sul presente.Non scuotete più l’albero del passato!Irriconoscibilenello specchio a se stessovola il cittadino nella rete dell’orizzonte.
CARNEVALE
IMinuscole dita bussavano all’uscio:
Chi é? - - E’ il carnevale - e si esibivano nell’angusta cucina, alati spiritelliinfuocati alla questua.
IICon le pernacchie del cupe-cupe,fatti a vino,ignari del freddoche la neve a schima frustava,cercavano una cantina legnosadove aprire salsicce e contare fesserie a scordare artriti invernali.
IIIAiutandosi coi trattori, ruzzolanoin vestiti stracciati. L’oro della boccaaprono a sorriso le giovani illuse d’amoree nel ritornello delle danze intrecciatesi rimescolano soffocati odi, concrete invidie.
PAURE RAZZISTE
Incrociando un negro, slanciato dandy,musico raffinato, elegante nei colori,al Museo sputò ai suoi fianchiun miserabile, con codino falso,ubriacone sadico e blaterante odionei confronti del riuscito straniero.La paura del presente genera invidia,solleva un fiume di fango sporco,carica l’uomo d’argillosa miseria.E la ricchezza meritata e pulitaattacca un fetido barbone, carcassache s’imputridisce nell’ozioe urla superiorità che non bastaun colore ad attribuire.
UN CICILLO PER MADAMA
Una supponente altezzosa di colpos’affacciò al balconcino, agli ordinichiamando un complice bracciante:“ Chichìllo! Chichìllo! “,volavano le urla al vicinato.Da più sotto alla strada, risuonòa contrasto la battuta non serviledi mio padre, sornione:“Léva l’h! Léva l’h! “
ANSIA
Occhi sgranati,la notte non sai affrontare né sonno scende a lenirele ferite della lama sibilanteche apre la pozza dell’insonnia.
Si cuoceva la malva a fuoco lentogialla camomilla sbuffava ai bordi e ristagnava benefica
in una larga ciotola svaporante.
Ad occhi stanchi contempli la stanza nota,bevi i rumori improvvisi della strada,non riesci a spegnere la conoscenzache irrora del suo carico la tua mente.
E a te giungerà spossata l’albafra le griglie della persiana e il fuoriti parrà più carico di dolorifin dalla messa a terra dei piedi.
L’AMORE, DITEMI, IN UN SORRISO
Come perenni acque di cascatalucente che rodono infinite mordendo rocce, limando piante:l’amore, ditemi, in un sorriso.
Come a miliardi nel deserto le polveriagitano dune, smuovono paesaggi,riannodano aride storie e interminabili:l’amore, ditemi, in un sorriso.
Come pallidi sospiri d’ombroseragazze dietro vetri e ragioni che vannoal silenzio d’ una pace gioiosa:l’amore, ditemi, in un sorriso.
DISTESA ESTATE
Umida estate, lavacri d’acque,insudorate ideologie afoseche battono sui giornalii colpi dell’invettiva, lasciamo la cittàretinate di smog, asfalto bruciantedi insignificanti esistenze larvali.
Distesa estate, incontrollatadurata di tempo insensato,stordita nell’acqua, a passistretti ci nascondiamo alla luceesplosiva accecante.
MIELE D’AMPLESSI
Lo scavo nel tuo corpo flessuosoé sincronia d’un lussocalmo che il sudore del desiderioporge ai vibranti amanti lucenti.
La tua bocca, dopo rifiuti astiosi, concediin unione e, implacabile, scorazzaserpentina a rinfocolare l’amore,insieme alle frequenti mani possessive.
La girandola del tuo corpo flessuososposta gli spazi dei congiungimentie inarcata vibri colpendomi a risaccamentre frugo gli aperti fiori inumiditid’un piacere scontroso, a occhi chiusi.
La tua profanazione finisce col mio flaccidoe immielato turgore. M’accoccoloal tuo madido seno e la tua carnem’affoga , vertigine quietadi sprofondamenti e lieti deliri.
PLATANI
Pigra l’estate snocciola lenti giorniche dal fresco alito dell’ albe
a vampeggiante meriggio si svolgonofra sabbia e mare, ombra e sudore.
Stiracchiandosi i miei,dopo colazione, la corsaalla distesa marina preparanocon minuti panini e frescaacqua, limone, per annullareil tempo nel flusso continuodi nuoto e distensione al sole.
E vanno vaghe e imprecisele conversazioni a resocontodell’inverno e aprono timorisul futuro dei giovani il mondomentre s’irretisce di nubi e la difficilelettura del realeirradia luce d’ignoti itinerari.
L’acciottolato brucia ai saltellanti bagnantiper un’infinita spiaggiarotta di rado da un promontoriocorroso e verde e riprendecorsa il breve lembo tirreniconel frangersi d’ una risacca eterna.
ILARIA
Tu non ricordi, Ilaria,la bambina che a terra sul frescopavimento giocava con le bambolein un fascio di serenità sognante?Pettinava i capelli, vestiva dieci voltele membra, l’ infioccava di baci lunghie tenerezze giulive e sfuggenti.Il tempo della realtà era sospeso,la bambola costruiva un sacro spazio,un infaticabile racconto snodavala bocca d’un biondo sorriso sovrano.
DOCENTI
Le mie professoresseformicolano veloci:parlottano del più con amiche festose,redigono registrie assegnano votilitigiose, propongonoorari a sollievo della vita famigliare, s’urtano suscettibilifarfalle per gli aggettivi improprie scompaiono sul più bello,vaghe d’irreperibilità.
CON IL CALCIO
Michele trascorre le ore dall’oroin bocca alla tv e sulle paginesportive, per tutto sapere e sistemare.Concentrato, qui viaggianel suo mondo di fisicascienza che ignora il destino.
Tutto é azione, movimentodella mente, spintatra immagini e commentiin una nuvolaglia di uominie cose caricati d’affetto,beata consunzione d’ energia.
INCUBI
Dormiveglia estivo: procedo a scattifra un sudato sonno e passi d’azione.Brandelli della vita passatasi ripresentano a macerare l’animo col possibilenon realizzato, a scalfire con spineil cuore. Trepidettaanima illusa, rincorri speranze.E ti rimetti in corsa,sognando illimiti idealicadi in un mare d’ intranquillità.
FORMICHE
Le formiche marroncine infestano,con tuo continuo orrore e disappunto,la via dei residui del pane caduto,a noi che mangiamo all’ombrellonesul roso davanzale di casa.A velocità sfuggono alle tue maniinvasive e da pochesembrano riprodursi a centinaia,le gulliveriane operose.
Ne difendo l’esistere:spazzine della vita.Un getto d’acqua fa scivolare la storiae mi chiedo in quale albumdell’evoluzione sarà scrittaquesta vittoria di Carla, biblicaalluvione sulla tiepida ceramica.
“ Ma in cosa consiste,…,la possibile portata emancipativa, liberatoria, dellaperdita del senso della realtà, della vera e propria erosione del principio direaltà nel mondo dei mass-media ? (…) Il senso emancipativo della liberazione delledifferenze e dei “dialetti “ consiste (…) nel complessivo effetto di spaesamentoche accompagna il primo effetto di identificazione. Se parlo il mio dialetto,finalmente, in un mondo di dialetti, sarò anche consapevole che esso non è la sola“lingua”, ma è appunto un dialetto fra altri. Se professo il mio sistema di valori –religiosi, estetici, politici, etnici – in questo mondo di culture plurali, avròanche un’acuta coscienza della storicità, contingenza, limitatezza, di tutti questisistemi, a cominciare dal mio “ .Gianni Vattimo, La società trasparente, p. 19.
NDÀCCHE
Ogne botta na ndàcca. Vai colpe colpe,
cumm’a nu cardille -.Se rice re chi figlia ogn’ anne.E, pure se nun se rèsce all’erta,rire, u fesse, re na forza fatataca passa pe ndo cuorpe sue,a scura raggione ra Storia,e chissà addò fernisce.
INTACCATURE. Ogni botta un intacco./ - Non perdi un colpo,/ come un cardillo- ./ Sidice di chi figlia ogni anno./ Ed anche se non si regge in piedi,/ ride, il fesso,d’una forza fatata / che passa dentro il suo essere,/ l’oscura ragione della Storia,/ e chissà dove finisce.
LLÀVIJ
Ròi so’ i facce ra ggente.Ra nnanze:
so cchjne re llàvij,se préscene cchiù lore ca tupe na furtuna ca t’é capetàta,se pure pe scange.S’allargane e tu cu lloret’abbuòtte cumm’a nu ruospe.
Ra ddurète:nun puoie sapé cche dìcine,te tagliane ca fòrbece r’ammìria,ca pertòsa sette mura.
E a nonna recìa:“ Nun te fa vré nemméne addò cache,ca pòte cchiù ammìriar’i sckuppettàte “ .E avòglia a rice, pòccke,i pigliataruòchie cu a Croce‘nfronte! Nun ce fai nientecontra a forza r’ i parole,ca mò te àuzane nda na neglia r’oree mò te smerdéiene nda li zànghe.
ELOGI IPOCRITI. La gente ha due facce./ Davanti, / sono pieni d’ elogi,/ si mostranocontenti più loro di te / d’una fortuna che t’ é capitata,/ seppure per caso./S’inorgogliscono e tu con loro / ti gonfi come un rospo./ Da dietro: / non puoisapere cosa dicono,/ ti tagliano con la forbice dell’invidia, / che buca settemura./ E la nonna ripeteva:/ “ Non farti vedere neppure dove cachi, / perché ha piùmaleficio l’invidia che non le schioppettate” ./ E, dopo, hai voglia a recitare /gli scongiuri con la Croce / in fronte! Non ci fai niente / contro la forza delleparole, / che ora t’innalzano in una nuvola d’oro / ed ora t’ immerdano nel fango.
NA FACCIA RE CUORNE
Na furésa busciàrda, na pentìta venìhe
addò mamma mia tutta resentìta.“ Vui nun c’avìta crère a i malaléngheca ve vénene a rìce ca ìye e u sìnnecheamma fatte kazze e kucchiéra “.( E s’infucàva e muvìya nu rìscetennanze e ddurète nda l’aria ).Mamma, ca ngiavìa fatte u calle,facìa a ciota pe nun z’appezzecàcu na cevéttula ca puzzava re latte muntema tenìa rùye casecavadde tuoste assàye.
UNA SFRONTATA. Una campagnola bugiarda, un’addoloratella venne / da mia madre tuttarisentita./ “ Non dovete crederci alle malelingue / che vi vengono a dire che io eil sindaco / abbiamo fatto cazzo e schiumarola”/ (E s’infuocava e agitava un dito/davanti e di dietro nell’aria) . Mia madre, che c’era abituata, / si faceva stùpidaper non litigarsi / con una civettuola che puzzava di latte munto / ma aveva dueseni assai duri.
L’UOMMENE NUN SO’ CILORFAE ssì ca sì fesse se faie u turisteca passànne p’ ì vicule
vulera capisce a Civita,u Purtiedde, santu Vasile,u Casale, u Piette,i Casenove e i cunte r’i palazze.Respira l’aria sì e a lùce,s’arròtula ndo viéntema nun sàpe i reyàle re quìste paìse:a forza re l’abbetìne e ra trerecìnaa sant’Andònie ca te face fà nnanze e arréte a pière, na chiàppùlacàura cumme n’àcqua re sòle,l’acere ca n’accumpagnane a passeggià,a kuccìa ca càccia i muskìdde,l’angele ra Maronna ru Càrmene,na galantòma ca se tukuléya appezzùta,i prièsci ru vennemà cu l’ayùte,l’arravuògli r’i criyatùre ndo kiappelascùnne,a scelatìna, u zozicchie e i puparuole ku vine,nu fusciedde re recotta e na rafanata gialla,nu patròne appagglittàte e nu sotte allappàte,nu funerale affullate e na libbrerìa vacanda,riéce kapòteke e tante ka so’ cilòrfa,quera fréve cuntinua k’accìre l’uòmmene,tante cetrùle ( “ pu kule tùu”, me respùnne),na caterràle ca nun se résce all’erta,santu Scinuarie struppiàte, ca é u cuntenuoste cchiù bélle, u munacieddeca mò nunn’enze cchiù e nui,malombre ndo viente, ca n’arravugliàmmepe nu spìcchie re puparuòle crùske.
GLI UOMINI NON SONO NEVE SCIOLTA. E sì che sei fesso se fai come il turista / chepassando per i vicoli pretende di capire / la Civita, il Portello, san Basilio, ilCasale, / il Petto e le Casenuove e i racconti dei palazzi. / Certo respira l’ariae la luce, / s’avvita nel vento / ma non scopre i regali di questo paese:/ la forzadell’abitìno e della tredicina/ a S.Antonio che ti fa fare avanti e indietro apiedi, /una pietra riscaldata come acqua al sole,/ gli aceri che ci accompagnanonel passeggiare,/ la cuccìa che scaccia i moscerini, / l’angelo della Madonna delCarmine,/ una gentildonna che si smuove impettita, / la vendemmia con gli operai, /gli intrecci dei bambini nel nascondino, / la gelatina, la radice gialla, / unpadrone ubriaco e un sotto che prova arsura, / un funerale affollato ed unabiblioteca vuota, / dieci testardi e tanti ignavi,/ quella febbre continua cheuccide gli uomini,/ tanti cetrioli ( “ per il tuo culo “, mi interrompi ) / unacattedrale sempre scossa da sismi, /san Gianuario rovinato, che é il racconto/nostro più bello, il monachicchio / che non appare più e noi, / malombre al vento,che ci litighiamo / per uno spicchio di peperone abbrustolito.
NCE SANNE FA LI FEMMENE
Sule tanne aprìhe i kòscea giuvanuttìna attruttata,ca u conquistatore( ca pe dritte se tenìa )ngi carìhe ìndae s’affucàhe ndo mastrille.
LE DONNE CI SANNO FARE. Solo allora aprì le gambe / la signorina istruita bene, /che il conquistatore / ( che si riteneva furbo) / le cadde dentro / e s’affogò comeil topo nella trappola.
A FUNDANA ‘ NDO VOSCHE.
A màchina a tenìa Giuvanne e pure i gulìe.Girava i vosche nu pe guardà i cerzeo i piscùni addò sfrécciane i pernici,ma pe se bucà cu nu ianche veleneca n’hanne purtate a bénne ra fora.
Zumpava Giuvanne nda discotèca, abballavacumma na lepre, se muvìa scutuleyànne a càpe,a vvote aiutava pure attàne a carrescià cementenda quiru negoziette ca parìa nu bazàr.
Avìja pigliata a mala viapamm’ore re n’amiche nciutùteca se chrirrìa addritte e era pecura ra macelle.
Accussì sciénne ‘nsieme a bucarse:s’alluntanàvene ndo vosche e rumaniénneca cape a viénte, sbattuta ra nu ntruògliemischiàte ca ‘i cunsumava a raìnta.E quanne na matìna a mamma s’addunàzeca nun havìa rurmùte ndo liette,i guardie scèrene a la cérca.U truvèrene stìse vicìne a fundàna,ndo vosche ca ngì piacìja tante, cu l’uòcchie apièrte c’addummannàvene pecché,pe truvà l’infinìte, havìa truvàte a morte.
LA FONTANA NEL BOSCO. La macchina la teneva Giovanni e pure le voglie./ Girava iboschi non per guardare le querce / o le pietraie da dove sfrecciano le pernici,/ma per bucarsi con un veleno bianco / che ci hanno portato da fuori. / BallavaGiovanni nella discoteca, ballava come una lepre, si muoveva dimenando la testa,/ avolte lavorava pure con il padre trasportando cemento/ in quel negozietto chesembrava un bazar. / Aveva presa la cattiva strada / per colpa d’un amico stupido /che si credeva dritto ma era pecora da macello./ E così andavano insieme a bucarsi:/ s’allontanavano nel bosco e rimanevano/ con la testa sospesa al vento, sbattuta daquella droga / tagliata male che li consumava dentro./E quando una mattina la madres’accorse / che non aveva dormito nel letto, / le guardie andarono a cercarlo./ Lotrovarono disteso vicino alla fontana, / nel bosco che gli piaceva tanto: / con gliocchi aperti che domandavano perché / per trovare l’infinito avesse trovato lamorte .
PAISE A DDOPPIE.
Cumme se ra nu spécchie fosse anzùtena copia e se fosse mèsa a cammenà,u paìse s’è muosse nda st’ànne.
Pe vrehògna làssane i case antìchee u ddòppie è a calamìta.
Ma quale è u paìse? Quere ca tenìai tégule rosse e verde
re muschie ca nun accummugliàvenei parlàte ru vicinàteo quere ca se mòve e crésce stuòrtecumm’ a nu lièvete sopa a fazzatòra?
Cchiù sotta ncé n’aggruvìglie re cementee so’ tante i màchine ca mai se férmanecumme pe na cundanna a struscià sempenda nu viente nìhure ca ddà spìra.
E tutte stu muvemente, stu sagli e scénne,è pe’ truvà fora ra kàsa lorequiru bbéne ca nun se tene cchiù a ra ìnda.
PAESI A DOPPIO. Come se da uno specchio fosse uscita fuori / una copia e si fossemessa a camminare, / il paese s’è mosso in questi anni. Per vergogna lasciano lecase antiche/ e il doppio è la calamita. / Ma qual è il paese? Quello che teneva /le tegole rosse e verdi / di muschio, che non coprivano / le chiacchiere delvicinato / o quello che si muove e cresce senz’ordine / come un lievito al di sopradella madia? / Più sotto si avviluppa un groviglio di cemento / e sono tante lemacchine che non si fermano mai / come per una condanna a passeggiare sempre / in unvento nero che lì spira. / E tutti questi movimenti, questo salire e scendere / sifa per cercare fuori casa propria/ quel bene che non si tiene più dentro di sé.
ÀHERE
N’ha viste re cose st’acquaca chiane chiane scivùglia ra i voschee, ra Lama fin’e calanche re Policore,lassa na scia re piskùne lisceca brillane comm’e stelle ndo cièle.
Qua, pe ste giravota r’acque,nchianèrene Grece e Turchee pò Luca r’Armiente ca prehava
ndò cchiuse re na grotta ò friskeprima re fravecà i llaure re Criste.
Nde nevare Àhere crescìja e allahàvai terre trascenànne pecure e uòmmenese vulienne passà addò u iumme é citte,fridde cumm’a morte ca purtava.
E i Romane auzèrene i pontepe cammenà sopa sti sponne zangosee se purtà prusutte,vine e uoglie,grane, zozicchie e femmene re casa.
Quanne venihe u miereche ca pittavanda miseria ne truvahe affascenàtee, nde surche, gialle e spetazzatepe na freve cuntinua ch’accìre l’uòmmene.
Qua nonneme se cunsumava nde fatìchecu l’uorte, u grannìnije, i cerase, i vitigne.S’avija fatte na capanna-sputa vicin’o fiume,proprie addò nu revuote avìa purtatena spallata re prete e zanghe e ddàse repusava e mangiava ndo stiavucchefurmagge, cipodde, pane e puparuole.
Cchiù sotta u pastore re Mulitiernefacia pasce l’éreva e abbeverava a mandriaaddò verde striscia a biscia e i rranezòmpane pe nun se fa acchiappà.
Nda calùra l’ontàne nun tremàvanee u sole appicciava i terre, Die ne libera,cu nu chiarore ca sturdìa ‘i cristianenda nu bagne re surure ardiente.
E foze nda una re ste jurnate r’aùsteca, surata e criatura, mamma Graziellamettìhe i pière nda n’acqua currentee se frecàhe u core, ca pò a fece murìaffucata nda nu liette, cu l’uocchie ra fora.
Se nge torne, mo’ a strada cu i màchinetaglia cumm’a nu lampe e ra sopa véhe l’Ahere citte, strinte ndo cemente,nda i dighe ru Purtusille e de Gannane.Cchiù sotte é scumparse nda certe tubeca vanne a Tarante e, cumm’a nu scurzone,se movene ndo liette vacante nìhure.
A Sant’Arcangele, nda fiumara hanne chiantatei pesche e l’arance e i vénnene pa’ viae ìje nun sacce cchiù chi so’ sti lucanené quala pacijénza i face resistenda na chiana petrosa ca sfilazzechéja i paisee nasconne a sfortuna ddurete u vverde
re fruttete ca énchiene r’ aucièdde l’aria e cunsòlene i poche paisane ca s’accuntentane.Povriedde ra muntagna marsecana,fatehatùre ra chiana re Scanzane,tutte s’aunìscene nde spire re l’ Àhere.E se aquànne passe pe ste terre re luce,nfora l’acqua, vire cumme tutte càngiae se sforma nda fatìha r’i machineca peffine l’albere vulessere cangià
re luoche pe fa spazie ò cemente grigie come l’anema re ste arruinatùre.
AGRI. Ne ha visto di cose quest’acqua / che piano piano scivola dai boschi/ e,dalla Lama fino ai calanchi di Policoro ,/ lascia una scìa di pietre levigate / chebrillano come stelle in cielo. / Qui, per queste insenature dell’ acque, salirono iGreci e i Turchi, e poi Luca d’Armento che pregava / nel chiuso d’una grotta alfresco / prima di fabbricare le chiese di Cristo./ Con le nevicate Agri cresceva estraripava, trascinando pecore e quegli uomini / che passavano dove l’acqua eraimmobile / fredda come la morte che portava. / E i Romani innalzarono ponti / percamminare su queste sponde fangose e / portarsi via maiali e vino e olio,/ granosalsicce e serve./ Quando venne il medico pittore / ci trovò ammaliati nellamiseria/ e nei solchi gialli e disfatti/ per la malaria continua che fiacca l’uomo./Qui nonno lavorava / l’orto, il mais, le ciliegie, le viti./ S’era costruita unadebole capanna presso il fiume / proprio dove un rivolto aveva portato/ unaspallata di pietre e fango e lì/ si riposava e mangiava nella salvietta / formaggio,cipolla, pane e peperoni./ Più a valle il pastore di Moliterno / faceva brucarel’erba e abbeverava la mandria / lì dove verde striscia la biscia e le rane /saltano per non farsi prendere./ Nei mesi estivi, gli ontàni non tremavano e ilsole, Dio non voglia, bruciava i terreni / con un chiarore che stordiva le teste /e soffocava i contadini / in un bagno di sudore ardente. / E fu in una di questegiornate di agosto, / che la bambina sudata, mia madre Graziella / tenne a lungo ipiedi nell’acqua corrente / e s’ammalò alla mitralica, che poi la fece morire /soffocata su di un letto, con gli occhi fuori dalle orbite./ Se vi torno, ora lastrada con le macchine / si percorre in un lampo e da sopra / vedo l’Agrisilenzioso stretto nel cemento / come nella diga del Pertusillo e di Gannano./ Piùsotto l’Agri é scomparso in certi tubi / neri che vanno a Taranto e come unserpente nero / quei tubi si muovono in un letto vuoto. / A Sant’Arcangelo nellafiumara / hanno piantato pesche e arance, che vendono per la strada/ ed io non sopiù chi sono questi lucani / né quale pazienza li faccia resistere / in questa pianapietrosa che sfilaccia i paesi / e nasconde la sfortuna dietro il verde / deifrutteti che riempiono d’uccelli l’aria / e consolano i pochi paisani ches’accontentano./ Poveretti della montagna marsicana,/ lavoratori della piana diScanzano, / tutti s’uniscono nelle spire dell’Agri. / E se quest’anno passi perqueste terre di luce / al di fuori dell’acqua, osserva come tutto cambia / e sideforma sotto l’azione dei macchinari / che perfino gli alberi vorrebbero cambiaredi posto / per far spazio al cemento / grigio come l’anima loro, questi distruttori.
NOTEPag.5 Origini. Alcuni temi della filosofia di F. Nietzsche (ilcaso, il vitalismo, la genealogia, la corporeità) costituiscono il fulcro delleimmagini.Pag.7 L’accettazione della finitudine. Utilizzando la filosofia diGalvano della Volpe, l’autore critica gli idealismi, qui G.Hegel e l’assoluto el’Uno di Plotino,non senza una carica di ambivalenza. Il termine “àplosi” indica ilbeato uscir fuori dalla materia, che si ritiene impossibile.Pag. 10 Regime. Si fa ironia della personalità autoritaria (E. Fromm) e si contestalospirito del gregge, la massificazione del pensiero, voluta in cambio dellasicurezza.Pag. 15 Sinisgalli a Grumentum. Si inventa una visita nel “castrum” di Grumento(Val d’Agri). “Agri lazzi” è anche un verso di E. Montale. Il contadino che citavabrani di T. Livio a memoria era persona fisica, coltivava un vigneto accantoall’attuale museo e guidava, con passione inventiva, il raro visitatore.
Pag. 16 v.9 “spara di Carnevale” , il fantoccio che si agita neltempo di Carnevale.E’ come lo “spaventapasseri” del male.Pag. 20 Acquafredda. Toponimo di Maratea, come Castrocucco, luoghi dispiagge difrequentazione estiva.Pag.42 v.7 “a schima”, espressione dialettale marsicana, con cui si
designa un tipo di
neve che, pur cadendo ,non lega ma si scioglie a terra.
Pag.44 Un cicillo per madama. Ironicamente, si ricostruisce un bozzetto scherzoso.L’equivoco
- in Lucania – è dato dal fatto che “ cicillo” sta per “ pene”.
INDICE
GOLFO DI SOGNI INQUIETOIdee per un lettore di poesie di A. L.
I - MATERIA E ALTRI RICORDI ( 1990-93)OriginiCome un fotone L’accettazione della finitudineL’uomo come trapassoIl fuori di sé RegimeRosa agostanaIl gelso dell’angeloIl bucoMalessereSinisgalli a GrumentumPulcinellaMaratea
II - RESPONSORIALEAcquafreddaAlbumAcquetta tirrenicaLo specchio della speranzaPiazza CavourLa metropoli plebeaIllusioniHigh-techLa bouganvillea violettaAmori con guardoniRitratto di ragazzaGiubileoAl DuomoLa società multietnicaUn fascio di neutriniResponsorialeLa comprensione Le cicale di Castrocucco
L’indesideratoPasseggiando a SalaCaneScolatoioCarnevalePaure razzisteUn cicillo per madamaAnsia
L’amore, ditemi, in un sorrisoDistesa estateMiele d’amplessiPlataniIlariaDocentiCon il calcioIncubiFormiche
III - REVUOTE ( RIVOLTI) (1992-97)
Ndacche (Intaccature)Llavij ( Elogi ipocriti)Na faccia re cuorne ( Na sfrontata )
L’uommene nun so’ cilorfa ( Gli uomini non sono neve sciolta)Paise a ddoppie ( Paese doppio)
A’fundàna ndo vòsche (La fontana nel bosco)Nce sanne fa le femmene (Ci sanno fare le donne)Àhere (Agri)
Bandella laterale o quarta di copertinaANTONIO LOTIERZO , nato a Marsiconuovo (Potenza) il 28.06.1950, vive dal 1982 aNapoli. Laureato prima in filosofia e poi in sociologia, ha pubblicato una serie disaggi di storia e antropologia sociale. Le sue raccolte di versi, presso la Forum,sono: Il rovescio della pelle (1977) e Moritòio marginale (1979). Nel 1981, conRaffaele Nigro, editò l’antologia Poeti di Basilicata , ampliata nel 1993. Hacurato la sezione lucana per l’antologia americana ( editor Luigi Bonaffini ) :Dialect poetry of Southern Italy –Texts and Criticism, New York, 1997. E’ membrodella giuria del Premio A. Pierro di Tursi. V.SCHEIWILLER PUBBLICÒ NEL 1995 LAPLAQUETTE “ MATERIA ED ALTRI RICORDI” , VINCITRICE DEL PREMIO I. E.MONTALE PER L’INEDITO DEL1994.
VETRI RIFLETTENTI
BRANo di Kant giudizio riflettente
“ Quali per vetri trasparenti e tersi, o ver per acque nitide e
tranquille,
non sì profonde che i fondi
sien persi,
tornan d’i nostri visi le
postille
debili sì, che perla in bianca
fronte
non vien men forte a le nostre
pupille”
Dante Alighieri, Paradiso ,
III, 10- 15
DIALOGO
SULL’INCERTEZZA
“ alle incertezze
che non senza qualche superbia
sono chiamate metafisica “
( J.L.Borges, Elogio dell’ombra)
a Rosa M. Fusco
Mi chiedi, con occhi pungenti
come s’è fatto nei vuoti anni Ottanta
a stravolgere le dighe dell’utopìa
che ci tennero, doganieri
stregati, in anelli d’amori.
La tua costanza invidio
e mi so di gassosa materia,
incerta progressione d’ombre
ora che ho seppellito i miei,
in un roveto d’ accidia.
E quale sia non so la rete
della realtà, vetrate rotte
d’api delle ideologie,
arso da sensi di colpa assiepanti.
- E lasci fare ai volponi, eremita? –
In vari impegni dispersa,
l’innocenza non migliora la diversa
comunità. E se corro ai paesi,
dalla storia stravolto,
brancolo nel vuoto vicinato.
E le allegre grida d’un tempo?
Le nostre ebbre rondini
di voli al deserto balcone.
Carica la storia
di sensi e ignoti l’incrocia.
- E non vale più nulla la politica
e il tarlo non fora della solidarietà? -
La storia non ha il Bene, amica.
I disegni muta l’oscuro Destino
né de Cosmo cogliamo la necessità.
Vetri frangono le forme dell’Essere
e gnostici viviamo, nelle maschere.
( 19
93)
I ARCA MUNDO NAUFRAGO
SUONI IN S e B
Vipere di novembre,
scotimento a rivelare
gli scontenti scotennati dagli sciacalli :
trent’anni per nascere
e trenta per scuoiarci.
Nell’erba e fra i mattoni
Un bimbo prono burla
una bestia bruna butterata
abbarbicato su di un bulbo
muschio e barba di capra
belante fra beccacce e buoi.
SUONI IN D
La demolizione demoniaca
destina dietro
dimore ardenti
per motivi tellurici
dissanguamento
( domani disvelerà? )
derisione
deiezione dolorante
dubbio di doti dissacrante.
( 1991)
PORTALE ROMANICO
- E’ di Melchiorre, forse! -
Ignoto fra mastri normanni.
Scalciano la palla,
a s.Gianuario sul piazzile
incendiato a grida, fanciullini.
L’ombelico circolare,
le case basse e chiare
sulle rupi del fiume
snoda viuzze di pietre
grige come l’acqua dell’Agri.
Politici senza rovello
affidarono la sfabbrica del castello
Sanseverino con la chioccia d’oro
per svenderne le pietre nel vallo.
Alla Val d’Agri s’addice il silenzio
penetrato dal vento, un trittico
dipinto da ignoti frati.
Ruvido cemento più che menta
ad orgogliosa dialettica
di futuro scotimento.
E resteranno le formiche
a ripulire i crani , anche se storci
le dita a far le fiche.
1990
IL RICORDO
Il ricordo, operoso tappo
nell’acque dei giorni, troppo
chiara cicatrice segnala eventi
e li risuscita dal calendario sulle fronti
in un gorgo di lancette impazzite.
1991
L’INCARNAZIONE
Non sono acqua i pensieri
che leviga pietre e dei campi
sfarina i bordi erbosi.
Promettono l’oro del transumanare
alla chiesa infinita dell’Essere
che slancia l’uomo nel divino.
Toglie l’angoscia lacerante
e la furia in un ordine fluente
di simboli eterni si fa riposante
Piegato davanti al Crocifisso
tracimo la crisi, a terra confisso
e pioggia mi disperdo nella comunità.
E se dubbiate che sia il Cristo,
parole più pure non ho
e quel bacio alla sua luce incrocio.
1992
GIOMETRI DEI SISMI
Dei terremoti
( oh, se frequenti!)
c’è che non tutti recano
il peso di macerie.
Giometri, rilevatori saprofiti
compilano cifre
di conti bancari
e in questo fine, cumpà,
è tutta la ricostruzione.
1990
CHI GIRA A VUOTO
Intostare acqua.
La vita, un vortice
da cui Nulla riemerge
nel respiro del silenzio.
Non latte,
che giunga a compimento
il mio lavoro e l’esistere
si spreme in rutilante polvere
su cui grava la dispersione
della pula, offensiva agli occhi.
1992
IL VENTO MI SUONA
Schiacciato dal cinismo degli interessi,
i programmi della giovinezza celeste
scompagina la furia dei sentimenti.
Ma non si ferma nel fango sconfitto,
naviga il poeta sogni che immattinano
lucidi le sue assediate ore.
Inconsapevole congiura
per il dolore, la luce dell’eresia
pallidamente riscalda immagini.
Esistiamo per l’incertezza,
sfoglio di margherite e contraddizioni.
Rido al verdetto che il vento mi suona.
1992
ALLA MOGLIE CHE CORRE AL LAVORO
La guaina , che ti stringa
a rimodellare i confini
del tuo corpo scorpione,
non serve a dare un senso
integrale ai tuoi gesti. Né la mia body art
va oltre il nostro povero incontro,
gomitolo confuso del mio tempo.
Sui microprocessori dell’inconscio,
mi porto al tubero cinereo
dove è un lago ristretto il centro
dell’amore, umido limite
in cui so di non essere un dio.
- Vesti i bimbi e sai cosa comprare -
incalzi ventosa dalla soglia.
Quando capirò la Creazione
avrò chiaro me stesso?
Incerto Socrate osservo la bramosìa,
non è dal dialogo
che mi attendo miracoli.
E resto fermo al sole,
irremovibile alla consunzione.
Né altra pace ebbi radiosa,
bambino seduto sulla pietra
mattutina, scriba
che registra fermo l’Essere
senza un sorriso a scompigliare,
in un balzo di luce soffusa,
la felicità dell’attesa.
1992
TRANSFUGA
Schiuma di ginestre assedia il Vesuvio.
Mi contengo transfuga,
ai miei ristretti bisogni.
E la cresta rossastra si svela
a me viaggiatore
ignoto alle ansie di tutti.
Vado nelle emozioni a sicurezze
paradisiache e mi so
più fragile della conchiglia
che un fanciullo raschia nel giardino
immemore nell’ombra gioiosa
della magnolia che lo copre ascosa.
1992
12
CHI SPIA IL SENSO.
Flagiti quale sia il tuo posto
nello stato della vita.
Richiedente di senso
ignori
l’ordine oscuro al decifrante.
Vagoli con deliranti dolori
che intorno ti s’affollano
privi d’uscite
e aliti, in pumblea medietà,
mucchietti di parole.
MAI DETTE AL PADRE
Ora so l’incontro
( ma non puoi ricordare)
delle nostre parallele.
Non quando, incapace,
ti seguivo nella caccia
né all’assedio della serpe spezzata.
Non fu nel denso amore per il cane
né alla vigna, nostro continuo peso.
Disprezzai l’ansia con cui nuotavi
nel fardello della tua bisaccia.
Il funerale di mamma fu punto di croce:
nel corteo mi tirasti a te vicino
perché altero seguissi la luminosa
ombra che ci segnò la vita.
Comunione d’asprezze, il tuo riso
mi preme con forza spinoso.
1993
II
QUATTRO DI GRAZIELLA
( 1986)
“ … non lasciarmi Qui adesso senza
un dove onde impetrare asilo:
Ahi novembrina
ahi rovo di tenerezza”
( G. Giudici, Novembrina, v.10-12)
II, 1
Non so se pettine e monete
ti son serviti, fazzoletto
e messale che Giovanna, la fida,
ti mise ai piedi
per il tuo lungo inconcluso viaggio.
A noi, che tocchiamo la lapide
con simpatia di preci,
più fredda appare
del cimitero che ti tiene il cuore
ed innaffiamo una cresciuta
rosa spinosa
fra il cemento delle tombe,
consolandoci pigri
per quelle fotografie
amiche che ti guardano,
compagne del nuovo vicinato.
E lì vivete!
Chissà se nel lembo
del tuo aldilà, parli di noi
con tuo scontato e guardingo orgoglio,
e se tuo padre, ch’invocavi
nell’agonia ospedaliera,
ti ha, con mano tesa, guidata
per l’infinito Eliso, per te
così popolato di certezze.
Finiamo anche noi.
Candelora di febbraio,
luce carnevalesca
e le nostre colorite ragioni,
se non fosse che un punto c’è
ove la morte infutura la vita
ed a ruota si capovolgono
in indistricabile unità.
II,2
Marsico e la sua pretenziosa diga
non ci appartiene.
Era un paese di casalini diruti
con una storia disfatta
Da secoli impietrita.
Vivemmo fra dilavati sassi
nel nitore della tua isola
arredata di castagno e dei tuoi canti
odorosi di pace. Il tempo,
sanguinaccio di cioccolato,
gelati di neve, pizze
di riso e pasquali ciondoli
d’uova ingloriate.
Ora è kitsch di grilli,
cafoni al soldo dello Stato.
Non una chiesa è in piedi.
Come è difficile rifare il muro
della vita con quei tuoi valori
se c’immerdiamo e ci stingono
gli odi nel silenzio vuoto di volpi
sornione e tenere trote.
Tuoi insulsi sopravvissuti,
arranchiamo nei consumi amari,
nostra sola uguaglianza
( semmai ve ne fu una)
di finta e storta felicità.
II,3
Marmo , mamma, ti mantiene
nel primo Natale di abeti insensati
e Carnevale innevato dell’Ottantasei.
“ Non so dimenticarla” e a me
che ti diminuisco in memoria
per non straziarla, di rimbalzo Giovanna:
“Non era un cane. Vive. Finisse
presto questo tormentato dolore! “.
E cambia i lumi al Lare
né sa che un anno può la vita durare
se l’elegia passata offusca l’esistente.
II,4
Al tuo matrimonio con la morte
per un’ora abbiamo scambiate
mani di condolenza.
Nel chiaro fresco d’innocenza,
non v’erano orfanelli in bianca schiera
ma corone di prestigio per il sindaco
che ti scappava di casa pubblico.
Mesi dopo con l’amica emigrata
ho bevuto vino e non eri accennata
negli acri sospiri ( un vicinato
all’oceano del Nulla è approdato).
Non v’è più in cucina
per la tua mitralica mattina
la sedia e le giriamo intorno,
tuo parlante spazio.
Perfino le rondini, nell’arsa stagione,
ci privarono dei loro trilli radendi
sul davanzale da cui invidiando
“ Che c’è in piazza? “ ingabbiata
ai passanti gridavi con angosciata
metafisica di conoscenza.
Nulla degno di nota
attraversa i monti corrosi e solo
il vento parlotta delle tue attenzioni.
Ancora la pasta è oggetto di contenzioso
fra Andrea e Giovanna, io e papà
muti avventori; erige la sua villa
al pioppeto Angelo in Chiusulelle.
Non v’è chi tolga i tuoi
panni dall’armadio o al crepitìo
la messa segua del cibo.
Partecipare il mondo dalla cucina
era il tuo estremo modo di essere .
Ora il telefono m’informa dei freschi
dipartiti ma affrettato richiudo
e non regge la mente
che tutto impresenzia
nel fosforeo frastuono dell’esistere.
III
AMA LA POESIA IL NASCONDIMENTO
L’ accidia soffoca la poesia,
il male delle cose in plumbea sabbia
ingorga le parole di scabbia.
Né ritorna con le preghiere
cantilena in pii luoghi terrestri
alla pace dei santi inoperosa.
E mi avverto di logore incapacità:
lo specchio del lettore
è diamante nei gridi della città.
E se il poeta non abbaglia
e si sposta di soglia in soglia?
Dialoga con le carte e con il cuore,
lascia che il mare lo ricopra,
assordato da quotidiane cure
assediata inquietudine corporale.
1993
TAVOLA FIAMMINGA
Unione d’amore,
nella goccia sospesa all’acino
riscopro volti d’amore e la distanza,
raggio coperto di drappi.
Relitti spersi nei sensi confusi.
Diamante, l ‘ unione d’amore
Si frange su me, vittima in questua,
che busso a soffusa quiete
aspra a cercare nella tua luce.
1994
SUI PRATI VERDE LA FEDELTA’
“ alla fine tutto è bene, ed ogni lutto è soltanto la via
che conduce ad una vera e santa gioia”
F. Holderlin
A Maria
Tu, che ti stendi vicina,
dimentica della muta assassina
degli ospedalieri, lassù
ti stringi per la neve e più
àbiti origlianti alberelli.
La grata linguistica dei sogni,
luminescente cuneo, insegui.
Allodola al maggese o foglia disseccata
copri desideri derealizzati
e dissanguata illùci gli amati.
Le mani dialogano salmi
sul tuo pallore eterno: dormi?
Portaci, Signore, al tuo abbeveratoio,
impasta un porto senza inghiottitoio.
Corre sui prati verdi la fedeltà.
(26 agosto 1998 - 26 agosto 2000)
I GATTI DI GIOVANNA
La Giovanna aveva neri gatti
solerti e bianchi ma senza piatti,
saltanti con una mamma briccona
venti erano diventati senza immaginazione.
Non potendo brulicare nel vicinato
- linee di bottiglie d’acqua alla murata -
fra legna e salamende usato
cibo la Juana portava del desinato.
Bontà del libero mercato della vita!
Ma un virus, il primo infettato,
ne uccise venti. La specie si difende.
Incredula la Giuannìn nella demografia
aspettò mesi e poi, senza malincolia,
ne allevò altri con simpatia.
ADDIO A NONNA VINCENZA
( 1902 -
1987)
Avendo compiuto un lungo
faticoso viaggio chiedeva:
‘ Che ci faccio ancora qui ? ‘
e interrogava l’essere,
il suo smarrito senso.
Pregava che una stessa terra
la ricongiungesse, spazio sacro,
ai suoi, già tutti morti.
I vecchi passano una morte
né infelice né totale,
perché hanno insegnato,
a credere nell’eterna speranza.
Il suo saper vivere con poco
ci resta, tristezza consumata.
Il mulino e il pane, l’accudire,
la sartoria e i campi
l’ebbero lieta e capace
in vesti nere della tradizione.
Ricca di orali consigli
visse al tempo delle campane
fra gioie collettive e quotidiane
apprensioni incenerite
dall’ascoso sorriso di sempre.
1987
III PASSAGGI
DOVE IL MARE BAGNA IL POLLINO
Cassano, roseo disvelato
teatro, sulle rovine
dell’ampia Sibari attorcigliato.
L’ulivo infiamma gli avidi discorsi
e l’acqua, fresco lenimento,
alla salute dei Santi Medici.
Diversa umanità
violenza sposa torbida ignoranza
fra mandorli in radianza.
Le chiese, con succorpo inghiottito,
salgono dalla luce bizantina
a incidere diafano l’infinito.
1991
2
PASSAGGIO PER POTENZA
In lindi cerchi e lucore di vento
l’erta Potenza disperdeva cento
sogni a me vagabondo
fra porte e gli incontri del Sedile,
in libreria Riviello parlando
e di Ranaldi le mostre annotando.
Mercurio e argento è il politico,
sepolto da progetto rachitico,
mie speranze svagando
la gestione del cambiamento
con l’industrie di Tito e un firmamento
di nevi un’erba giubilando
amore e fascino in espansione,
eterna fu la nostra ricostruzione
miseria e vino cantando
peperoncini e cuntane
il tuo riso smuove a puttane
il cuore agli amici folleggiando.
Seguivo i Turchi a s.Gerardo,
i martiri africani e il lardo
delle congrue dei preti ricettiziando.
Città di scale e pietre radiose.
La mosca dell’invidia ti corrose,
il mercante altero scalpitando.
E vince nascosto Cristo,
traghetta il vescovo su dieci
tabernacoli un’ora felice.
E nelle morte stanze feudali,
ai Loffredo un violino blandisce
una resurrezione che marcisce.
E viandanti i contadini colombi
rientrano storditi dagli uffici
dove oracolo è l’amicizia degli scambi.
SUL SACELLO DEL SANSEVERINO CONTE DI MARSICO
( fra la Certosa di Padula e
Teggiano)
Guerriero chiuso nel sasso,
notturna meditazione,
il Conestabile Tommaso
al Signore affiso
e l’elmo e con le spighe di grano
alla Madonna si porge e agli Angioini
fedele in preghiera.
Scorrono le nuvole sui muschi
e la luna imbianca la pietra
al dormiente con la spada diletta.
S’aprono gli orti ai canti
per il signore del Vallo nella grancia
al murmure d’acqua fra le viti.
Me ne sto, converso della spezieria,
a lacrimare nell’argentea Certosa
oscuro sul mio tempo della miseria
e cadono gl’imbrici rossi
al vento allupato che il grido
candido trafigge dei pettirossi.
TRITTICO TORRESE
( 1993)
I SCUOLE A CALASTRO
Tutto riavvolge il vuoto dove ferveva
industria di pastai e pescatori.
Le grida degli studenti rianimano
l’abbandono sordido della scura cala.
C’inganna il mare col tremulo luccichio
e il vento saporoso sulla emersa scogliera
dà respiro al vulcano giallo di ginestre,
e lì Leopardi sciolse un canto di pietà virile.
Ora batte sulla cala l’onda schiumosa,
il treno è inghiottito dai balconi impavidi,
una donna s’affida alla certa preghiera,
scorrono acuti nei vicoli gli occhi del ladro.
Tutto è cadente dove fioriscono i giovani,
in sogno ho un borgo di coralli e d’oro,
brulicante di pesci e laboriosa bontà,
perché il dare illumini più che l’avere.
II I GIRONI DEL PRINCIPIO
Laggiù è la chiesa del Principio
dove la lava s’arrestò all’altare
e l’acqua scorrono invernali a mare
con incendiaria voglia di pulizia.
Romano, il beato
rianimò di culto la luce divina
e a strati si scoprì l’essere
con la paura buia del Vesuvio.
Brulicava l’ordine del corallo
e la divisa città dai vicoli laboriosi
ascese col ronzìo delle preghiere.
Martoriata speranza, per te s’elevi
un grido a trasmutare la grigia
ansia torrese in una gioia indorata.
III LA CAPPELLA DI S. BIAGIO
Torre mi s’apre dal basso, le rotaie
Incrociano le piramidi della cappella,
nere come l’inferno che ci possiede.
Ci fasciano a migliaia i garofani,
svettanti dalle precarie serre,
su di un mare di polipi e telline.
Non del prete ma del popolo è s. Biagio,
meridiano patrono delle coste infide,
visitato da trepide gole oranti.
Dappertutto un furore possiede lo spazio,
qui, sulla tua porta chiusa, formiche
assaltano molliche intrise di olio.
LA MASCHERINA DELL’ECOLOGISTA
Arruffata, sbiancata amazzone
occhi teneri, sfuggente
in negozi trafficante.
Apocalittica sfoggi
una mascherina a regale distinzione,
terribile fra noi e il benzene
che, monatti, sfidiamo.
Calco di Pulcinella, la tua ingiuria
fa meditare sull’insalubrità,
fra noi e carrozzine ignare,
esile Cassandra.
1994
IV M’ E FATTE NA FATTURA
MO’ E TANNE
Mo’ ch’hanne auzàte a diga
- Na bagnarola senz’acqua –
nun v’accurgite ka cchiù lacreme
nce so’ nda ù paise
ca nda quera ramera
grigia ca s’apre ‘o sole cchiù tarde
e appaùra quere r’ i Mastevitilli.
I pernice re Uocchie
so’ nghianate cchiù sopa
e nu scheletre re fierre s’allonga
cumm’a na serpe rossa ndo uaddone
mentr’ìje me gire sperse nde nure
re vie e nun pozze ra nu passe
came kàrene nguodde facce e parole.
Cumme quanne criature attanema
me purtava sopa ò bastone
ra bicicletta a scola r’i Ginestre.
Cunte e parole ne mparaveme
E sciemme nda nu prate a fa a lotta
Pe’ vence nda vita, sempe , cu vuluntà.
Nui, i fatehature ra speranza.
1992
ESERCIZIE IN “ SC”
“ …e scarpisciata vole ”
Scamava na schetta ca se cunsulava
schitte cu Scinauarie u scarpare
e se scarrupava a purtarèncisi na schana
cu nu sceccu ca se scurtecava
vicine ì scineste.
- Pozza schattà, sta scuncinziata! –
ngi hìrrahe addurete a migliera
cumm’a na scuppettata,
pe nun passà pe scurnacchiata,
edda ca se tenìa ascuse
nu scianare sciammerecate.
2000
SIERPE
Sièrpe, atturcigliate pensière,
so’ asciute ndo paìse re l’anema
e nun pozze chiù respirà
nda tutte quiru verde assulàte.
Cu l’uocchie e tanta ngiuce,
m’arravogliane i disgraziate
facenneme caré nda nu puzze
scure raddò sente i reste
re chi me vole male scuntruse
e m’arruveglie e me strenghe
ò liette pe nun caré nda ssu burrone
addò strisciane nìhure i scurzune.
ROSA R’ AUSTE
A rosa r’auste l’affascenava.
Attànema a nui, ca n’erame appena auzate,
na facìa vré cumm’a nu trufèhe
nde mmane argillose e a contentezza p’a fatiha
ca l’aria campagnola raie a la vita.
Citte citte, a pusava
n’faccia a mamma morta,
re fronte ‘o cannelière,
nda cucina e nchianava sopa pe se lavà,
addò a luce aràpe mbruoglie re pelle
e te scuorde r’ addummannà fessarìe.
M’a venniètte quera terra. Na nuvola re dolore,
strusciètte ndo casine
re Napule quire trenta solede.
Angora a mmente tornane geste,
né n’acqua re magge vene,
nda nu lampe, p’arrracquà quire surke.
1998
AGGRUVEGLIATE CUMME NDA NUTTATA
Adattamento da Paul Celan,
Nachtlich Geschurzt (Arricciati come a notte ) (1955)
Aggruvegliàte cumme nda nuttata
I llabbre re certe fiure, tutte
ncruciate e ncatastate
I rame re l’abete,
aggrigiùte u mùsckie, smuvùte i prète,
revegliàte nda nu vole ca nun fenèsce mai
re cuorve sopa i nevère:
quiste è u paìse addò campane
quire ka l’acchiàppane sempe addurète:
mo’ nun’ hanne alluccà nu nome,
nun se mettene a cuntà a neve,
nun n’hann’accumpagnà l’acqua fin’a chiusa.
Càmpane qua separate ra u munne,
ognarune chiuse nda notte sua,
ognarune ammantellate nda morte sua,
strafutténnese, a cape nura, nda brina
re quire ka è vicine o ka è luntane.
Scòntane r’esse nate, a colpa re l’origgine,
a pàhene pe na parola ka nun c’avera esse.
Quera parola tu a sàie: ammìria,
ka è cumme n’ umicìrie.
Ma mò, a vulime lavà e luvà,
a vulimme girà, ku na mane r’amore,
verse u cièle?
1996
d
a : Poesie, Mondadori,1998, p.210-213
ANNOTAMENTI
Lamentazione per un testo ( p. )
E’ un testo privo di metro ma pieno di connotazioni devianti. La lamentazione
allude ad E. De Martino ( si parla di lutto nella chiusa) ma il testo rimanda alla
fine di una certa scrittura, che qui si contesta proponendo una poesia agglutinante
e che proceda per contraddizione. Le “ rime apparse” ironizzano sul Petrarca,
maestro della tradizione lirica italiana, e l’invettiva rimanda al titolo di un
libro di D. Bellezza. Il “ cadavere squisito” è immagine surrealista,credo di
Breton. Il discorso sulla follia è quello di F. Basaglia. Il tutto viene accostato e
rimuginato secondo il pensiero libero e associativo del momento.
E’ il testo d’apertura, privo di metri ma pieno di connotazioni devianti.La la
tentazione. La “ strutturella” è un’ironia verso lo strutturalismo, a cui però
attribuisce spessore gnoselogico. Il “mitarsi del serpente nei gabbioni” è l’ unica
immagine realistica, la spoglia del serpente la ritrovavo nelle pietre che fungevano
da argine al fiume Agri, nel frutteto di Rofano. I versi sono a tutto fiato, di una
libertà forse eccessiva e di tipo narrativo.
Luisa,demoiselle d’Avignon, dei Quartieri ( p. )
Poesia urbana, napoletana.Ho vissuto per tre anni al Vico Consiglio, in una mansarda
piccola ma terrazzata,al lato dei Quartieri Spagnoli, che degradavano a Piazza
Carità.La sera gli studenti passavano nei vicoli delle prostitute, insieme a soldati
americani e ben dopo gli impiegati di Via Toledo. L’inventata Luisa è ricalcata sul
corpo delle ragazze di P. Picasso. In realtà qui erano anche mature, asmatiche, con
utero infantile o no, sbrigative ma ossequiose del miracolo che era la gioventù
istruita.
Questo testo piaceva a G. Mazzacurati. La prostituta vien presentata in maniera
positiva ma è come se la si guardasse dall’interno,diviene una caverna carsica.
Il Tempo trascorso ( p. )
Poesie fra le prime, dove si mescola la riflessione sull’incedere del tempo con
quella sulla madre. E’ d’ascendenza ermetica.
Militare a Pietralata ( p. )
Ho assolto il servizio militare fra l’ottobre 1972 e il dicembre 1973, per tre mesi
a Sassari, poi a Roma Pietralata.E’ una testimonianza d’esperienza, scritta nel
1973.
Chiesa di S. Gianuario (p. )
Uno dei documenti medievali più affascinanti per il nostro immaginario. Il poeta è
un uccello che gira con lenti cerchi su quel panorama collinare ed addolcito dal
verde e dalla luce leonardesca che tutto permea.
La vita in paese ( p. )
La vita viene sentita come una mancanza di pienezza, dall’adolescente inquieto.
Questa è visione dall’interno.Con una nota di pessimismo che è tipico della “
miseria culturale” e che va o andrebbe rovesciata. La donna del dialogo è
immaginaria. Tormento e febbre è la vita dell’adolescente.
Il ritorno degli ulivi ( p. )
E’ del 1975.I fuochi di s. Giuseppe, col finale di patate bruciate nella cenere
e vino beneaugurante.Fantastica è la presenza di D. Crocco, che operò in altra zona.
Il massaro è nonno Antonio, che da giovane viveva alle Tempe.
La mediazione politica (p. )
La vita politica e quotidiane aggressioni fra i pretendenti al potere locale
costituivano il vissuto di chi è sempre stato definito “ il figlio del sindaco” .E
arrossiva a tale denominazione. Certo ho sperimentato l’odio, l’invidia perché sempre
la situazione dell’altro ci sembra più desiderabile, l’aggressione più che le gioie
deella politica, la soddisfazione per la realizzazione d’un bene comune. Anche
questa poesia risente del pessimismo degli anni Settanta, con la crisi socioeconomica
che dilaniava il tessuto sociale. Altra storia nascerà dopo il sisma del 1980 e più
ancora dopo il 1990 ,a ricostruzione quasi compiuta , per la metanizzazione e la
scoperta del petrolio. Allora l’ideologia democristiana celebrava la società del
tempo come il migliore dei mondi possibili, per cui il richiamo è a Leibnitz. La
partita chiusa è pessimismo che, in certo senso si contrappone a R. Scotellaro ed al
suo grido ottimistico di : “ è fatto giorno”, pieno di speranza per l’uscita dal
dopoguerra e per l’attuazione della Costituzione.
Dall’unione col proprio tempo ( p. )
Testo costruito ironicamente con lacerti del linguaggio televisivo e ridondanzedegli anni Settanta. E con spezzoni di brani di giornali, ricuciti per ottenere un
effetto straniante. Mi sembrava l’operazione di E. Pagliarani. Il poeta, però,
intende continuare a vivere in sintonia con il “ proprio tempo” . La visione
storicistica si fondeva con una teoria dell’impegno, tipica del sessantottismo. Si
avvia l’alchimia sperimentale che vari trucioli e materiale rifonde in un testo, in
una nuova spazialità.
Satira prima ( p. )
La poesia è una sorta di satira contro le contraddizioni della modernizzazione, che
sradica i contesti comunitari. Vi è un umanesimo politico, che si fa denunzia delladisgregazione e un invito alla lotta ed alla vigilanza, unendo marxismo e
cristianesimo. E’ del 1975.
Gli abissi della palude ( p. )
La palude è metafora eletta di E. Sanguineti ( la “ palus putredinis”) . Vi è come un
sogno o incubo di sprofondamento o ritorno nell’utero materno. Anche la forma è
neoavanguardistica, con imitazioni di suoni. E’ del 1975.
Il relitto magico ( p. )
La poesia, di forma narrativa e con intarsi di vario materiale, presenta brani o riti
di antropologia ( E. De Martino, C. Levi) con l’immagine di Rocco (Scotellaro) e poi
di nonno Angelo Caprio, che morì per un’iniezione di petrolio che gli causò un tumore
alla milza. Dal malocchio che porterebbe via il latte alla madre, contro cui si
ripetono croci, si passa al rituale contro le possessioni diaboliche. Con tecnica
surrealista si associa materiale incongruo ( clitoride,sacrificio, processetti
archivistici) , producendo un non- senso comunicativo ma lampi di libera
associazione mentale. La visione di quadri di S. Dalì potrebbe aver esercitato una
certa influenza.
La vocazione dello storico ( p. )
Riflettendo sul lavoro della storiografia socioreligiosa ( archivi,
preti,decristianizzazione, permanenze, folclore) si produce un testo di puro
rimescolamento, una sorta di poltiglia linguistica, dove le parole sono agglutinate
in libertà.
Le figure della storia ( p. )
Ulteriore crogiuolo di incongruità, a partire dal fare dello storico (stregoneria,
Diderot, Levi, testamenti di Carnevale).
Lei ( p. )
Testi scritti per una donna che avrei dovuto incontrare ma che qui rivive nell’attesa
del desiderio. “Vera” fu inesistente, anche se è un po’ la mia “ Beatrice”. Potrebbe
esservi un influsso di D. Campana, che lessi in quel periodo. Sono un caleidoscopio
del desiderio , del tutto irrealistico ma espressivo di una immaginazione giovanile.
E’ del 1974.
L’intellettuale meridionale ( p. )
E’ un ritratto dall’interno, con lamentazioni ed esaltazioni. Vale come esperienza
vissuta, non come progettualità o analisi.
Testo n. 1 (p. )
La pratica neoavanguardistica qui è fusa con immagini surrealistiche, forse anche un po’
alla R. Magritte. Sembra la trascrizione di un sogno. Tutto appare fondato sul non-
senso.
Nuova edilizia ( p. )
Tutti i paesi hanno prodotto un doppione. In qualche punto, si tenta l’edificazione di
una città, come se questa fosse un derivato dall’aggregazione di case- cemento.
L’edilizia raffigura il nuovo che emerge agli occhi accanto e come rimodellamento
dell’antico.
Testo n. “ (Aspettando le volpi ) ( p. )
Vi è un posto a Marsico, detto le Raje, dove andavo con mio padre, negli anni Cinquanta,
all’alba, ad attendere il rientro d’una volpe alla “ caforchia”. Da questa prima
immagine, la poesia elabora una meditazione ulteriore: una certa difficoltà del
giovane a vivere; l’accidia pomeridiana; la volontà di rompere una disamata
socialità. Più che un pessimismo o la ribellione vi leggo l’effetto d’una lucanità a
sfondo nero, demratiniana, da miseria psicologica , contro cui si ergeva e dilagava
la contestazione giovanile.E’ del 1974.
La lettera del poeta ( p. ) Sarà da rintracciare ( su di un giornale come “ Cronache di Potenza” ? ) una lettera di
Pascoli sul suo periodo materano.All’amico il Pascoli scriveva di aver trovato in
Basilicata gente comune, di aver visto che si vola basso. E direi, inoltre, quante
affinità si potevano rintracciare in quella cultura materiale e simbolica e
paesaggistica così analoga alla Romagna! Da quella lettera ho imbastito una serie di
immagini, con la speranza di far fuoriuscire anche l’affetto che ho per Pascoli,
maestro di stile se non di emozioni. E’ del 1974.
Napoli ( p. )
Napoli fu terra di contrastata libertà, senza più vicinato ma senza relazioni
stabili. E’, poi, d’una calura appiccicosa, spesso per noi insopportabile. Il resto
lo faceva il desiderio sessuale che qui ha punte esibizionistiche ma che, anch’esso,
era fantasmagorico più che soddisfatto. Come è difficile l’educazione alle relazioni
umani, che nessuno cura con intenzionalità. E’ del 1975.
Per Pablo Neruda ( p. )
1973, Trastevere, un incontro per il Cile di Allende. Leggevo dalla mole del “Canto
generale” ( mi pare della Sansoni) e ne coglievo poca poesia ma molte suggestioni e
travisamenti. Ci si riteneva impegnati in una lotta contro l’imperialismo, visto come
un polipo che soffocava tutti nei suoi tentacoli, integrandoci in “ una dimensione”.
Confronta “ Ancora su di una Roma”.
Il contadino sognante ( p. )
Un ritratto del nonno paterno, un buon contadino, che trascorse settanta anni al paese
e due nella guerra contro l’Austria. Lì perse una gamba, per cancrena, e portava una
protesi, di legno rozzo. Lavorò nei campi fino al 1960, quando un ictus lo costrinse
alla sedia. Morta la nonna Giovannina, nel 1968, venne a vivere con noi al
Portello,divenendo compagno di carte e parco di consigli .I contadini rispettavano
gli studenti e riconoscono il valore della cultura, che passano al vaglio della
propria esperienza umana. E’ del 1972.
L’ albanella ( p. )
Dedicata al poeta G. Cesarano, presenta una femmina di falco o simile ( o una donna
falco o un’Arpia benevola ? ) svolazzante sul vuoto dietro la cattedrale e l’Agri.
Poi esprime il contrasto fra la gaiezza dell’uccello, il furore del poeta e la
fariseicità degli inseguitori del denaro. E’ del 1975.
MIA MADRE ( P . )
Vi è un richiamo a G. Ungaretti ( “ come mi illumina / l’ombra …”). L’utopia di
una vecchiaia che consenta un ritorno alla innocenza dell’infanzia. E’ del 1974.Scomposizioni ( p. )
Gnomicità varia e condizione giovanile. Avevo letto il saggio di J. P. Sartre su
Baudelaire, ero intrigato dalla relazione madre-figlio e gelosia. La creatività può
nascere dall’odio, anche se comporta l’accettazione della sofferenza per il poeta-
uomo. E’ del 1975.
Ancora su di una Roma ( p. )
Esprime una situazione analoga a quella di “ Per Pablo Neruda”, è del 1973. In più
presenta la condizione “ militare”, vissuta fra Pietralata, i bus verso la Tiburtina
e Via Nazionale.
A Vito Riviello ( p . )
“Il rovescio della pelle” era un testo di “poesia contro “ ; era un libro urlante,
perché sperava di attirare l’attenzione .Pertanto vi era una vis polemica contro
molti. La polemica linguistica, forse, qui opera con maggiore forza rispetto allatensione verso la bellezza. Non sfuggì Riviello, grande poeta potentino e romano, a
tale clima, che ritrovo nella poesia che sembra dettata da un animus contestativo ma
contiene altre motivazioni. In realtà, Riviello è stato,fra 1968 e 1972, per noi
giovani un modello, un conferenziere affascinante, un poeta amato e ricercato quale
maestro di buona poesia. Era un lucano che correva molto più avanti di noi e che
criticò la scelta dei disegni di G. Corrado per l’ arredo di questo tipo di testo
polemico. L’uscita di “ Premaman” fu l’occasione di un culto, una recitazione a
gruppetti per cercare di capire cosa dicesse,al di là dell’autobiografismo
mascherato. Dal libraio Riviello mi vidi proprorre T. S. Eliot nella traduzione
di R. Sanesi ( da cui qui gli “ hollow men “) ma anche l’antologia russa di A.M.
Ribellino. L’accenno fatto a “Nicaggio “ è ai beceri graffiti che colpirono Riviello
e lo spinsero, dal 1972, a Roma. Potenza non ha ancora celebrato il suo più grande
poeta del secolo. E se non ha un tale gesto d’amore una città ,cosa possiamo
sperare da un paese ? E’ del 1974.
A Dario Bellezza ( p. )
1973, Roma,fra Campo dei Fiori e Navona. A volte giravo per rintracciare Bellezza,
che due volte incontrai seduto sul muricciolo di Piazza Farnese. Ero incantato dalle
sue recensioni su “ Paese Sera “ .
La poesia inizia ad illustrare il tema dell’inappartenenza e della vitalità.
Flanerie e distacco. Nel finale riporta spezzoni da poeti francesi e sembra
alludere alla desiderata riproposizione d’una relazione forte, tipo Rimbaud-
Verlaine. Esprime il sogno d’un incontro.
Claudia con le femministe all’Instabile (p. )
1975, Napoli, Via Martucci, Teatro Instabile. Una conferenza,fra le tante, una
sconosciuta ( qui detta “ Claudia”), che diviene il “ tu” a cui attribuire le
discussioni del tempo, dal teatro di C. Bene (conoscevo meglio la “ Salomé”
cinematografica) all’uso della contraccezione, che un poco ci escludeva e
preoccupava. Saliva il potere e sapere femminile. Come un santo ,però, o come un
idiota, attraversavo queste discussioni e serate sulla liberalizzazione sessuale
restando puro ed automarginalizzato.
Carla (p. )
1975, Napoli. L’incontro con Carla , fra Corso Umberto e Montesanto, segna la
svolta dell’amore pulito e colmante. Le poesie non sono, forse, all’altezza della
profondità del legame, ne testimoniano frammenti d’essere.
Pomigliano d’Arco ( p . )
Mi trovai qui una sera, in attesa d’un treno per Napoli. La poesia riflette la
dinamica città- campagna . Inoltre la periferia napoletana rivelava il suo orrore
urbanistico, che ancora dobbiamo trasformare in cultura accettabile. La Madonna
dell’Arco è lì vicino. La pendolarità e l’anonimato di massa rendono triste la
condizione umana che qui si registra, senza imbellettamenti. E’ del 1975.
L’Alfanebetismo di una intellettualità più forte.
L’acqua, cara memoria ( p. )
Partendo dalla morte di un Levi, si avviano simboli come l’acqua e la memoria di
inquisizioni ecclesiali fuse a pranzi eccessivi e contrasti di costumi. Sembra la
trascrizione di un sogno, con le sue immagini slegate rispetto ad uno spazio-tempo
organizzante.
Moritoio marginale
I – II - III ( p. )
Gusto della gratuità d’accostamenti, teso a gratificare l’intelligenza operosa del
lettore. Vi scorgo un richiamo ai surrealisti e alla neoavanguardia che celebrava
le slogature del discorso, un parlare non omogeneizzato, una messa in luce dei
significanti. E poi vi è il gioco di non ( p. )1974- 75, Secondigliano, tempo della lotta all’analfabetismo. E’ un documento,
assiepato di situazioni e dati di vita. Testimonia il disagio esistenziale e non si
propone una bellezza estetica. Vi è l’orrore allo stato puro per i fenomeni umani
all’interno d’un’urbanistica come la “ 167” . E io che vi piombai ignaro con nella
testa tante teorie pedagogiche e filosofiche e di politica sociale. L’Aleph rinvia a
Borges più che all’ebraismo, viene ricollocato in un ambiente orrido a contrasto fra
cultura e barbarie urbana. L’assenza di vincoli familiari e la perdita dei valori
rurali sospendevano la mia personalità che rischiava di perdersi in un ambiente in
comprensivo, dove dilaga la mercificazione, anche del corpo ( qui per sfottò
urbano ).Vi è un’alterità di sguardo e partecipazione rispetto a P. Pasolini .
Lamento per Carlo Levi (p. )
Si rimescolano esigenze diverse: un omaggio a C. Levi, il lamento funebre ripreso da
E. De Martino, la ricerca riconoscimento rispetto alle attese dei lettori: l’
“Ortis” di U. Foscolo è qui un “ fagiolo”. Un allineamento di sostantivi suggerisce
quasi una colata linguistica.
Le parole ( p. )
Una sorta di poetica in cui affiorano concetti psicoanalitici e un uso linguistico
della deviazione dal senso comune. E’ del 1972 , rinvia,imperfettamente, agli “
strumenti umani” di V. Sereni, composta nel periodo militare, venne suggerita dalla
lettura di brani d’estetica ( Schiller ? ) .
Notturno ( p. )
Concepita nel 1973, mentra a Roma ero di guardia come militare ad una deposito di
nafta. Anche qui vi è un allineamento di immagini e di sensazioni che sono
rimescolate con richiami filosofici ( Husserl e il Sé ), anche alla crisi della
ragione.
IV - In putrefazione ginestre sui calanchi ( p . )
Una assiepata agglutinazione di sostantivi in cui tracima lo studio storico della
chiesa ricettizia ma anche la polemica sulla poesia del paesaggio, infatti le
ginestre ( dopo Leopardi) appaiono in putrescenza. E’ del 1977.
Quotidiano nonsense ( p. )
Accostamenti di sostantivi. Pur apparendo un “ non senso “, la poesia registra
situazioni come la vita dei giocatori che consumano il tempo, gli studi storici,
( cartolari, pastore d’Anglona). Il richiamo ai briganti è fuso con il matematico
Boole. E’ del 1977.
V – Le lettere persiane una boutade dicevi ( p. )
Lo stile procede per un baluginio di frasi. Qui è il contrasto fra noi e gli altri a
dominare il testo, una riflessione sulla distanza.VI- Nipotino di Rousseau… ( p. )
Qui si compie un’identificazione con Rouseau, nella sua polemica piccolo- borghese
contro i nobili. Continua la confusione fra queste tematiche alte ed europee con la
lucanità presente in Aliano, per cui la cronaca si mescida alla lotta democratica,
non priva qui di utopismi. La Basilicata è inserita in un dibattito europeo; si
tratta d’un’esplicita rivalutazione ed ascesa culturale.
VII – Gli ippocastani adornano con passeri ( p. )
Vegetali ed animali arredano il paesaggio meridionale, in cui affiora il medioevo,
la leggenda della chioccia dalle uova d’oro nel castello dei Sanseverino e il potere
democristiano.
VIII – Oh gallo speranzoso ( p. )
E’ del 1975, un’invenzione a partire dal gallo mattiniere ma simbolo ambivalente di
ombra e di luce, di vita e di morte.
IX – Parco cultore… ( p. )
Quasi una poetica, non priva d’estetismo, in cui si celebra l’aristocraticità della
poesia. Si riprendono atteggiamenti teatrali alla Carmelo Bene o raffigurazioni alla
Beardsley. E’ del 1976.
Fuoribattito ( p . )
Ancora la poesia è un cantare fuoribattito , fuori dal coro , metafora
dell’omologazione.Nella sezione, composta di sette quadri, ritroviamo la velenosa
polemica verso l’ambiente lucano ( visto negativamente ( invidia, odio,critiche
immotivate) . Vi è il solito rimescolamento con situazioni classiche o letterarie.
Il titolo allude alla ricerca di originalità che era teorizzata come un compito
specifico del poeta, al calpestare erba per un sentiero futuro, possibilmente non
sbarrato.
Nel testo n.3 appare con incisività il passaggio da contadini a impiegati. E’ la
tematica dello spaesamento. Quella che Riviello chiamava una “ città fra paesi”
( con tanto di augurio più che come constatazione) si mostrava a me anche come un
non-luogo o la cittadina d’una trasformazione antropologica cocente. Il testo
evidenzia una tematica sociale. E’ tutto del 1977.
Nel testo n. 4 siamo in immagini che si collocani fra van Gogh e Bacon; nel n. 5
Carmelo Bene , attore
della “ Salomè” è fuso con gli infantili ricordi del circo e dei carrozzoni per la
festa , vissuti come alterità scostumata , eccitanti una fantasia alla F.
Fellini. Il n. 5, 6 e 7 costituiscono una trilogia di ritratti di meridionali nel
periodo della trasformazione e della “decomposizione” della società rurale .
Cantina ( p. )
Testo più classico, scandito in quartine ipermetropi o varie sulla parte più “
bassa” della casa paterna. E’ del 1978.
Testi paesani ( p. )
Testi composti secondo la moda della neoavanguardia, secondo il gusto dell’antologia
dei “ Novissimi”.
Accumuli di nomi in cui si rimescolano letture , associazioni di idee, tese a
spiazzare la comunicazione
quotidiana e presentare un manufatto linguistico incredibile ed ineffato. E’ una
forma di poesia come
“pastiche “.
Il vescovo Bertazzoni …( p. )
La religione popolare, descritta nel primo verso come di tipo magico- apotropaico,
si lega all’immagine della Madonna di Viaggiano, molto amata nella val d’Agri e non
solo. La scena finale della visita pastorale dell’anziano mons. Bertazzoni , fine
anni Cinquanta, allude ad un’osservazione realmente pronunziata circa la scarsità di
frequentanti la comunione. Marsico era allora un paese socialcomunista e perciò per
il prelato conservatore “ di pissidi vuote”, con scarse ostie da distribuire.
X – Se giovane ancora …
Una specie di epitaffio ma dal tono sognante e movimentato come un quadro di
Chaggal, con certa enfaticità. Nel titolo vi è un interno rinvio al “ Dimenticatoio”
di L. Sinisgalli. La labilità umbratile della vita viene, quasi per concettuale
ossimoro, pietrificata nelle parole, che possono durare, loro sì le vibratili, più
delle esistenze concrete.
TESTIMONIANZE
DOMENICO GRASSO
PREFAZIONE A “ IL ROVESCIO DELLA PELLE “
Antonio Lotierzo è il più bravo poeta lucano della quinta generazione,
per strutturazione formale e ampiezza di contenuti umani. Per
componimenti perentoriamente freddi e tecnicamente impietosi e crudeli
e per la iniziale lucida ristrutturazione di contenuti già ampiamente
lacerati e scomposti. E’ un poeta che parla due linguaggi, dimidiato
com’è tra l’attaccamento alla cultura contadina e le lacerazioni di
quella metropolitana; a tale carattere bifido, chiaramente indicato,
del resto, da “ Il rovescio della pelle”, dal passaggio, cioè, dai
mondi della giovinezza al cerchio dell’età adulta, corrispondono due
modi di approccio con le cose nettamente definiti, in simbiosi, in
contrasto: l’uno, di derivazione “classica” , si sperimenta su
universali che sono luoghi del rimpianto e, nel contempo, capaci di
mantenere alto e leggero il tema medio-grave della terra è di
simboli che ne “ Il contadino sognante” trovano il più
bell’epitaffio; l’ altro, posteriore logicamente ma temporalmente e
poeticamente in sincronia col primo ( “ le ultime esperienze non
frenano / l’oscillare periodico del cuore “) non nasce
dall’oggettivazione del ricordo, dal divenire nel non-movimento del
proprio pendolo lirico, ma da una fiducia complessa negli itinerari
dell’esistere, grazie alla quale non si rifiuta, per esempio, il
rischio di scrivere con “ appassionata ragione” ( ma in verità sempre
col margine di un distacco affettuoso) su Pablo Neruda come sulla
pubblicità di una compagnia di viaggi e si pone sullo stesso piano
l’eloquenza, la forma chiusa, il lapsus linguistico, l’ccasione, la
meditazione.
Il rilevante potenziale di Lotierzo è, in effetti, l’enorme
disponibilità ad acquistarsi tutto, a lavorarlo ( e quindi lievitarlo,
ridurlo) fino all’estremo limite ( che è poi il più deciso programma
di partenza) di non aver “ più critica nel cervello che per l’usuale”.
E’ questo, mi pare, il centro radiante della raccolta, il punto cioè
in cui Lotierzo, transfuga attraverso le “terre di conquista e ( i )
servi della gleba” di un’educazione sentimentale esercitata su Levi,
Scotellaro, De Martino, dopo aver tumulato un Anchise “ gocciolante
paterna urina” e la sua “ oscura eredità / anzi interna di gesti”),
trascorre nella “ medierà affogata nell’incuria senza miti della
ragione” che ha progettato la demente ovvietà dell’omologo, seriale,
ripetibile. Il logos che produce l’irrazionale quotidiano trova,
pertanto, il suo gemello in un linguaggio contorto, vizioso,
ostentato, suscettibile, accademico, delirante nella lucidità che fa
salire a galla la masserizia della speculazione edilizia, degli
svizzeri che negano il credito, del sangue di maiale avvizzito, delle
esperienze universitarie, in una “ frenesia” che trova pause solo in
alcuni testi di esercizi e figure su donne. Si potrebbe certo
indugiare sul sociale di Lotierzo ed individuare in lui, come si
autodefinisce, piccoloborghese salariato di stato che vive in una
testuggine di compromessi sognando i maledetti e i diversi, le nostre
contraddizioni recenti ma, inserendolo nello scivolo dei massimi
sistemi, sarebbe come liquidare lo stimolo della sua tensione. Si
vedano gli splendidi ‘ alafanebetismi’, “ Dall’unione col proprio
tempo “, o, ancora, le trasferte poetiche a Roma, Napoli, Pomigliano
D’Arco: ambienti tipici della condizione dell’intellettuale
meridionale che eredita il regno delle due Sicilie ma che vorrebbe
investire nell’Alfasud, trasformare le città-confine dove i suoi padri
sognarono l’america degli Stati Uniti. Il “blablaterante
soliloquio” di Lotierzo, la sua logolalia, si dichiara subito, anche
nei calcoli retorici, e va visto pertanto come un metodo, un modo
intelligente di essere folli.
E, cioè, il pretesto, la maschera per passare inosservato e misurare i
circuiti della follia collettiva con i propri, il che porta poi alla
delusa constatazione che, purtroppo, “ la follia degli altri non rende
migliori”. E’ naturale a questo punto domandarsi come si inserisca
il fatto poetico in tale sistema. Come “ gioco finito senza stabile
inizio”, naturalmente. E anch’esso pretesto e, in quanto tale, implica
un fine, un progetto; rendere la poesia antagonistica del reale non
già attraverso il sogno ( che non è necessario se il reale è un
incubo! ) ma come azione che, imitandolo, “ rovescia” e dimostra il
reale, “ contraddice con la verità”. La combinazione del libro, un
altro registro nascosto, è infatti nei due famosi passi di Hegel cui
si collegano, quanto al modo della visione o conoscenza , i testi “
dotti” della raccolta nonché le varie citazioni ed autocitazioni, da
“ L’intellettuale meridionale” a “ La vocazione dello storico” fino
all’indovinatissima “ La lettera del poeta” , testo che colpisce
affettuosamente al cuore l’universo culturale in cui il poeta è
divino, il filosofo è Dio, e grazie al quale, in barba al buon Apollo,
il salto mortale si riduce all’elementare struttura del capitombolo
complicato.
In ciò è anche l’autocritica di Lotierzo; un momento fermo e
conclusivo che sollecita, specie nel lettore, una risposta o
quantomeno a non nascondersi dietro gli occhiali.
(Napoli - Monte di Procida, ottobre 1976)
GIANCARLO MAZZACURATI
POSTFAZIONE A “ IL ROVESCIO DELLA PELLE”
In questa prima raccolta di Antonio Lotierzo, narrata in filigrana
dalla scansione autologica nei due tempi ( “ La formazione
provvisoria”, “ La ragione appassionata”), si addensa una vicenda
quasi trentennale di echi.
E’ il connotato dominante di molti esordi appartati, questo emergere
dalla corrosione di una sottile crosta mimetica che li avvolge come
una matrice. E tanto più se questi echi ( Scotellaro,Sinisgalli, tra i
più ovvi) tornano a rifrangersi sopra un terreno sociale che ancora
tende a richiudersi, dopo ogni sobbalzo, sui propri archetipi,
producendo vicende che sembrano dominate da un viaggio più lento e
ripetitivo del tempo.
La lucania, la solitudine, il rito, i cicli familiari, le orbite
stagionali della protesta breve e intensa, i lunghi intervalli di
silenzio che lasciano affiorare volti secolari. Ma già qui, nel
ricalco provvisorio di una genesi non immediatamentee accantonabile,
la passione civile si fa strada attraverso il diaframma dell’elegia,
con una punta che pian piano la svuota e la ribalta, ne rifiuta i
risarcimenti, la riconsegna alla condizione ideologica del passato.
Questa punta ha un nome generico, ironia, ed una specifica condizione
conoscitiva, che è la distanza crescente che Lotierzo pone tra la
vecchia forma da cui egli pure emerge e la realtà diversamente
contraddittoria delle aree urbane che l’esperienza successivamente
incontra.
Questa realtà, la sua forma composita, la sua diversa disgregazione, a
sua volta scompone però la vecchia maniera, non le consente di
rinascere più con l’aura della nostalgia o del rimorso. L’ uscita
dal circuito non è, dunque, come accade spesso, una rarefazione o una
censura definitiva della sua realtà: dove per altri la terra d’origine
è rimasta come forma allogena, espulsa dal tempo storico e reintegrata
nel tempo e nei filtri della memoria privata, vagheggiata per
sembianze edeniche, nelle poesie (specie nelle ultime) de “ La
ragione appassionata”) essa torna proprio come mito da scomporre,
come territorio reale che lo spazio nuovo della funzione poetica non
accantona ma assume nella sua specifica storicità. A partire
ovviamanete dal livello del linguaggio, dalla sottile aggressione
all’uso antropologico dei miti e delle società “ naturali”, a aprtire
cioè dalla culturalizzazione consolatoria della separazione e della
subalternità: che l’ultima sezione variamente irride ed esorcizza,
componendo le sue formule, i suoi reliquiari, dalla distanza di una
diversa ipotesi di conoscenza. ( 1976 )
CARLO FELICE COLUCCI
Il rovescio della pelle di Antonio Lotierzo
Questa sobria silloge merita di essere segnalata per la sua buona
tenuta stilistica e la chiarezza e plausibilità del dettato . Un
costante senso della misura e del ritmo permea la maggior parte dei
componimenti, dando una sufficiente “naturalezza poetica “. E poco o
nulla, quindi, appare l’ operazione culturale. La manipolazione dei
materiali lessicali e sintattici, pure presente , passa quasi
inavvertita spesso anche laddove vengono usati lessemi insoliti o
trasformati. Tuttavia non sempre certi neologismi e deformazioni del
lessico si rivelano plausibili e funzionali in senso lirico. Finendo
anzi col dare un lieve fastidio.
Il discorso è in genere limpido, lineare, mira abbastanza dritto alla
sintesi ed al risultato, senza soverchie
sbavature, frange più o meno retoriche : “ Abbiamo sventrato montagne
insanguinate / dal passato, per
erigere una città sul borgo./ Fascio di luce che inchiarisce il
cemento / giallo vivo del pioppo in rigenerazione./ Non sono più
nulla i monasteri / riavvolti nella nebbia sulla collina./ Il resto è
movimento, / anche la foglia è ancora più in là / in quest’alba
d’edificazione / quando dimentico i silenzi negli uomini / e m’afferro
solo al futuro” ( da “ Nuova edilizia”) .
Il linguaggio è vivo, pregnante, non di rado perentorio ed icastico
fino alla protesta ed al sarcasmo. E l’esperienza poetica appare ben
radicata in un dolente e sofferto presente storico: dove non resta
spazio ai compiacimenti idillici od elegiaci. Sicché il ricorso alla
memoria non prevarica mai ed anche certe cadenze evocate dalla
nostalgia, dal sentimento un po’ più scoperto mantengono quasi sempre
una loro efficacia giustificazione lirica. Si può perciò
ragionevolmente supporre che ad una tale prova, piuttosto apprezzabile
, ne debbano seguire altre migliori: in grado di rivelarci
un’accresciuta maturità artistica, una più assidua essenzialità.
- da : “ Nostro tempo “ , apr-giugno 1978, pag. 21.
CARLO TABILI
IL ROVESCIO DELLA PELLE
Intenzionalmente più ambiziosa e più complessa la poesia di Lotierzo,
poeta lucano, in bilico tra l’attaccamento alla cultura contadina
delle origini e le seduzioni e lacerazioni di quella metropolitana e
d’avanguardia.
Ai due momenti ideali della giovinezza e dell’età adulta corrispondono
due linguaggi e modi diversi di approccio alle cose: l’uno di
derivazione classica che trasfigura nel rimpianto e investe di valori
etici la figura del nonno contadino, la terra e i suoi simboli;
l’altro che lo conduce a scrivere con “ appassionata ragione “ sui
vari aspetti del reale. Ma il reale per Lotierzo è un incubo, e il
suo progetto è quello di rendere la poesia antagonista del reale come
azione che, imitandolo , lo rovescia e lo dimostra, “ contraddice la
verità” : di qui quel suo “ blablaterante soliloquio “ che vorrebbe
essere un modo intelligente di essere folle.
Forse per Lotierzo la razionalità e l’assurdo non sono di per sé
categorie antiborghesi, così come non è irrazionale la dialettica
marxista solo perché è un rovesciamento di quella hegeliana; ed è
tutta da dimostrare la funzione rivoluzionaria di certe operazioni
linguistiche nei confronti di un ordine borghese esso sì materialmente
costituito.
Trasferita l’ideologia in sede linguistica, l’azione sovvertitrice si
fa puramente formale, uno sterile scarico di malumori a livello
iniziatici, e non trasmette nessun messaggio a chi aspira a un
sovvertimento non lessicale o sintattico ma di classe. L’aspirazione
a una “ scrittura totale” e il desiderio di “ unificare discipline
diverse nel verso lungo” rivelano certo la tensione a un discorso
poetico sempre più ricco e complesso, ma non sono di per sé il segno
di una raggiunta maturità artistica ; e fanno pensare piuttosto a un
ambizioso e giovanile desiderio di appropriazione culturale. Resta in
ogni caso indiscutibile l’esigenza e la sincerità della passione
poetica, quella inquieta ricerca di felicità – realizzazione “ come
desiderio infantile differito e appassionata esigenza vitale “ .
- da “ Oggi e domani “, genn-feb. 1978
GIANCARLO MAZZACURATI
PREFAZIONE A “ MORITOIO MARGINALE”
Un “ moritoio marginale “ è qualsiasi luogo in cui si aspetta la
morte, scrive Lotierzo commentando il titolo di questa sua seconda
raccolta. Ma l’aggettivo specifica ulteriormente: la morte ai margini.
Di che? Di un centro che è la metropolis , la cultura europea, la sua
scienza, la sua Storia. E chi, cosa muore? Le morti che s’incrociano
in questi testi sono più d’una: quella del paese meridionale senza
più identità, quella della metropoli che erutta le proprie scienze
come reliquie di un rituale insensato; infine quella del soggetto
sradicato che assume queste due morti e le vive come un’enorme
decomposizione di parole, di gesti e messaggi consumati, nel vorticare
di una patologica anamorfosi.
Una concreta periferia impoverita, un centro turgido e astratto, un
servo contadino e un metafisico padrone urbano, una parola sempre più
subalterna e posseduta e troppe parole dominanti ma inintelleggibili:
i poli che dovevano fecondarsi nell’utopia d’un riscatto sempre
rinviato si sgretolano come detriti compositi di un fuoco spento, di
una passione che si sfalda in frammenti oscuri. Certi testi funzionano
appunto come una macchina che schiaccia e scaglia nel vuoto spezzoni
di storia contadina, reperti di teoria, critica, schegge d’altra
poesia, immagini senza più vicenda.
Ma non sono macchine convulse: le loro sventagliate hanno un ritmo di
emissioni logico- simboliche ( il flusso è talvolta parolibero) che
può scoprirsi quando il materiale ricade e nel depositarsi comincia
a delineare una traccia informe, un possibile andirivieni irrequieto
del senso, una differenza che fa da spia nella ripetizione. Come nel
disordinato rondò del V Notturno, dove l’accostamento brusco delle
parole/ metafora accennano a balbettare una enigmatica sintassi
dell’esistente, una logica del magma: tra primo e ultimo verso,
bastano alcuni spostamenti ed una nuova locuzione perché un nuovo
senso ambiguo fiorisca.
ETTORE CATALANO
LA POESIA LUCANA TRA RICERCA E SPERIMENTALISMO: ROBERTO LINZALONE,
ANTONIO LOTIERZO, ROSA MARIA FUSCO, RAFFAELE NIGRO
Con la poesia di Roberto Linzalone, materano, ci inoltriamo in quella
che alcuni critici e studiosi hanno creduto di poter chiamare la linea
lucana ironica, erede della grazia epigrammatica di Sinisgalli e della
mediazione di un poeta come Vito Riviello. Con tale definizione si
intende un operare in versi che avverte, innanzitutto, la necessità e
il bisogno di delimitare la sua eventuale ragion d’essere in modo
significativamente diverso dalla grande tradizione, sia essa quella
dichiaratamente lirica oppure quella di matrice neorealistica. Si badi
bene: ciò non per volontà programmatica o per astuzia mercantile, ma
per effetto principalmente di quel complesso intrecciarsi di processi
economici, sociali e culturali che hanno portato a decomposizione la
vecchia immagine del Sud, e, se non hanno certo risolto le sue
secolari contraddizioni, le hanno tuttavia spostate in avanti,
ridefinite in un contesto magari più ampio, perfino a Sud di nessun
Nord, per usare una espressione felice quanto esatta. L’ampiezza di un
siffatto processo non consente, tuttavia, a nostro parere, di
restringere all’ironia la varietà del campo di risposte, ma suggerisce
di adottare una strategia più adeguata al differenziato e accidentato
profilo della poesia lucana più giovane e consapevole, nella quale le
voci di Roberto Linzalone, Antonio Lotierzo, Rosa Maria Fusco,
Raffaele Nigro, le più mature e ricche espressioni di un fermento che
coinvolge anche altri operatori poetici ancora alla ricerca di una
loro cifra stilistica specifica, portano ciascuna una accentuazione di
spiccata originalità inventiva.
Quel che le può accomunare, al di là del prepotente affiorare di
personalità perfino scontrosamente e orgogliosamente differenziate, è
probabilmente l’ansia polemica del distacco, congiunta ad una volontà
di ricerca e di sperimentalismo nella quale l’identità “ lucana”
acquista, come vedremo, valenze soprendentemente ( per quanti leggono
in modo meccanico il rapporto tra testo e contesto ) sovraregionali,
poetiche in senso ormai nazionale, al di là degli steccati “ storici”
e delle imbarazzate teorizzazioni delle grandi sintesi “ letterarie”,
legate spesso alla pratica dei soli “ poeti laureati” e ancora più
spesso alle soggettive preferenze ed alle private assiologie dei
critici e dei curatori di antologie.
Il contesto storico nel quale lavorano i poeti lucani di cui ci
occupiamo in questo paragrafo è lo scenario di un reale che sguscia
tra le dita e tende ormai a ricomporsi secondo le leggi computerizzate
dell’iconicità perseguita dai media : uno scenario che trasforma la
solitudine “ arroccata” dei paesetti lucani, nella rumorosa angoscia
del “ villaggio totale “, decretando ,con ciò, l’oggettiva scomparsa
delle mitologie protettive ( e tutto sommato rassicuranti) di origine
piccolo- borghese e di “ destinazione “ realistico- contadina e
l’affacciarsi di nuove tipologie “ metropolitane”, segnate dalla
densità semantico- progettuale dei linguaggi e della simultaneità
percettiva, orientate da forme di produzione sinergica del sapere,
nell’ambito di un continuo affastellarsi di dimensioni temporali tra
loro conflittuali ( il passato della tradizione della società
contadina, il presente di quella industriale e il futuro come capacità
di previsione della società dell’informazione) .
Gli intellettuali più giovani, quelli per i quali gli scossoni del
’68 e le tensioni del ’77 non sono trascorsi invano, avvertono la
necessità di rivedere i propri strumenti conoscitivi e poetici: donde
l’arma dell’ironia, in Linzalone, in un arduo e spesso riuscito
impasto di liricità nuova e di travolgente sarcasmo, tuttavia mai
greve per virtù di una scrittura agile e nervosa, attenta e
selettiva. ( … )
Anche Antonio Lotierzo, di Marsiconuovo , opera nell’ambito di
una presa di coscienza dei rischi lirico- segreganti di un certo tipo
di poesia , filtrata attraverso la memoria di una terra d’origine
espulsa dalla storia e risospinta nei cieli favolosi della memoria
privata.
Significativo è in lui il rifiuto del risarcimento mitico e la
connessa accettazione di un flusso conflittuale ( che) investe i
paesi, le culture, i sogni e i segni legati alla Basilicata e li
immerge in una audace ricerca linguistica ed espressiva che liquida le
attese consuete e reinventa codici iconici di dolorante e sicura
contemporaneità. In essi si celebrano, secondo una felice intuizione
di Giancarlo Mazzacurati, le morti congiunte delle vecchie certezze
protettive: quella del paese, della città, dello stesso soggetto,
dell’io poetico che si sfalda e si sgretola sotto l’incalzare delle
parole, di un oceano di parole che non parlano più e sono diventate
una enorme e soffocante massa patologica.
Eppure Lotierzo non è un semplice testimone della non dicibilità e
della mancanza di senso, un antropologico verificatore del giorno dopo
: i suoi versi ( ma si possono ancora chiamare così ? ) accennano a
qualcosa d’altro, sono come le fascinose tracce di un sentiero che
forse conduce al di là del vociante silenzio dell’assedio
metropolitano, magari verso un nuovo, ambiguo e tormentato sogno
semantico, di cui nulla si sa, se non che potrebbe ( o dovrebbe 9
esserci.
Il rovescio della pelle (1977) si mostra già matura conquista di una
dimensione critico-conoscitiva che, dall’ottica dello sradicamento
metropolitano, riesce a cogliere con acutezza la dolorante
contraddittorietà e l’ambigua perentorietà dei miti e delle liturgie
dell’intellettuale- vate e ne circonda di ironia sferzante le pratiche
separanti, travestite da paradigmi di valore. I paesi “ girano a
vuoto” e in essi invano cercano “ inesistenti consistenze” gli
intellettuali meridionali, improbabili e feroci sacerdoti di riti
inutili: ma non per questo la poesia perde quota in Lotierzo, anzi
acquista connotazioni molto vicine ad un impegno di vita, si carica di
responsabilità testimoniali e di rigorosa eticità prammatica, anche se
non può nascondere certi guizzi narcisistici intelligentemente
ambigui e tuttavia leggibili con sufficiente chiarezza.
Moritoio marginale ( 1979) , con più compatta densità e con
ambizioni di scrittura più rilevate, affonda il bisturi in “ un’
enorme decomposizione di parole, di gesti e messaggi consumati, nel
vorticare di una patologica anamorfosi “, come scrive ancora
Mazzacurati nella prefazione alla raccolta. Lotierzo affronta così la
nevrosi della scrittura, il fascino della distruzione e il bisogno
caotico di ricomporre, comunque, un senso , il disordinato
aggrovigliarsi dei frammenti di un’eredità, la violenta estirpazione
delle radici, la traumatica consapevolezza della necessità dello
strappo e lo stupore di ritrovarsi a redigere il catalogo- alfabeto
della rigenerazione.
Il dato imprescindibile rimane tuttavia quello di un furore analitico
che spietatamente passa al vaglio la geografia, la storia e la poesia
lucana e ne dimostra l’impraticabile esemplarità e le sospinge nel
“moritoio marginale “ nel quale acquistano la rigida monumentalità del
dato culturale: non senza, tuttavia, che la coscienza del poeta non
provi un brivido agghiacciante di solitudine e di angoscia.
Ed è proprio una simile arrembante consapevolezza di un coinvolgimento
del valore- coscienza dentro quel complessivo processo di azzeramento
a proporre al poeta la splendida intuizione di una rivolta – erosione
dell’ordine che finisce col tradirsi nello “ scivolare ai depositi
della storia “, secondo la poesia “ Il sole non ha nuovo “ ,non raccolta
nei libri finora pubblicati da Lotierzo e apparsa sul combattivo “
Pensionante de’ Saraceni “ di Antonio Verri nel numero genn-febbr.
1983 e che qui vogliamo riportare per intero, per l’evidente suo
riferirsi a tutta una generazione di intellettuali e di poeti ( non
soltanto ) : Giovani colpimmo gli obiettivi ma,
gatto ingoiante, il tempo ci stritolò,
chi tradisce ancora, chi cerca la luna…
L’erosione dell’ordine è stato nostro
scivolare ai depositi della storia,
la cuccia del padrone culostraccione
gli avanzi e il riflusso sessuale.
Sopporta, coscienza, anche se
Non basti a determinare la verità.
Da: Le rose e i terremoti, Osanna, Venosa, 1986 , pp.63 – 67.
MARIA LUISA SPAZIANI
SU “ MATERIA ED ALTRI RICORDI “
Poesia di pensiero, attenta agli emblemi e al linguaggio dell’attuale
fisica, Lotierzo non si abbandona a facili suggestioni poetiche,
rifiuta il verso musicale, teso com’è alla ricerca di un suo ritmo, di
un suo tono. Disincanto, certo, ma chi “canta” più in una società
marchiata da Kafka dove un giovane poeta può scrivere : “ Né l’aria
plumbea più libera il servo / l’interrogatorio procede fra sconosciuti
“, dove Masoch viene chiamato “ dio “ .
Da: “ 7 poeti del Premio Montale ( Roma, 1994)” , All’insegna del
Pesce d’oro di V. Scheiwiller, Milano, 1995, p. 7.
SIMONETTA VENTURI
Da : I LUOGHI DELL’INCONTRO
Antonio Lotierzo usa l’ironia quale sondaggio della sperimentazione
storica del vuoto del mondo ( “ L’estinzione- questa qui anche questa
- / pure questa questa pure - / senza recriminazioni affondare / cento
mille lumi senza rimorsi / non dà adito a preoccupazioni / o
insorgenze di colpe: / tutto si svolge col migliore leibnitz
possibile / e ben venga la notte a spegnere i desideri! “ –Il rovescio
della pelle,1977,p.19), visto quest’ultiimo in bilico fra la dispersione
del mito di una Lucania classica, sviscerata accettazione della vita
(“ Stenosi acrilica / con supplemento rapido / disintegrazione
incentivata / sui mari del Sud / pendula fantasia”- p.39), e la
forzata constatazione di un’invasione, inutilmente pubblicizzata, di
un mondo metropolitano visto come cultura della non esistenza ( “
un’altra vittima disoccupata del Sud / amava i paesi immigrati / con
quel quel suo modo di far violenza / con l’eau di coulogne fresca /
calda e stimolante / sa farsi amare la grappa incontrata al bar! “ –
p.20 ), e interpretato come impotenza al desiderio, alla fantasia, che
vengono di nuovo alla luce proprio nell’accozzaglia dei versi che
cercano di decifrare, se ancora è possibile, un percorso agibile per
l’uomo ( “ Ricominciare :Ogni volta./ Disamorarsi per rincorrere un
corpo : / lo svilimento del tempo e l’incapacità d’amare. / E il
desiderio daccapo con se stessi e gli altri / di smetterla così
lontani gli altri / ed io a me stesso” –p.56), ed inoltre la sua
trasformazione in poesia (“ La poesia / panno ordinato / s’aggiunge
alla vita / passa con significanti disuali / a comuni giorni in
archiviabili” –Moritoio marginale,1979,p.8).
Quindi il verso diventa più discorsivo e narra un gap , un momento di
stasi e di critica corrosiva che cerca, dalle ceneri che produce e che
raduna, di ricreare un insperato percorso di non solitudine ( “
quotidiano / medio / senza spessore / aperto al nulla” –p.11). In
questa prospettiva è dominante la condizione materia del mondo, la
ricerca biologica di un essere riproposto nella sua interiorità
atavica e memoriale, e il consumismo, sotto accusa da parte del poeta
ucciso. Questo diviene il mito di Lotierzo, il nuovo mito classico
dell’ironia dell’uomo postmoderno (“ Quacquacqua Quacquacqua
restoppie / dietro le spalle ci sono le palle ( nel fucile) rade /
inosservate quaglie insanguinanti incancrenite / voli corciti /
Pitagora Crotone centro / industriale italsider conversazione
proustiana / non iuvant reperita ma le pepite ma le pepite /
( cantavano)” – p.27).
- edizioni Mobydick, Faenza,1998, pp.96- 97 -
NICOLA DE BLASI
RAGIONE APPASSIONATA E PAESAGGI MENTALI ( PREFAZIONE A “ GOLFO DI
SOGNI INQUIETO )
Le tre sezioni di questa raccolta ( Materia e altri ricordi, Responsoriale, Revuote
) sono percorse trasversalmente da motivi e temi non separati
nettamente, ma riaffioranti, al di là delle distinzioni interne,
intorno ad alcuni nuclei agevolmente riconoscibili, intorno ai quali
si delineano movimenti centrifughi che solcano le costellazioni di
queste pagine come impreviste scie di stelle cadendi.
Ogni elemento di questi versi risulta del resto annodato agli altri da
una disposizione unificante, data dall’aggancio costante a nomi e
luoghi concreti, a circostanze di vita, richiamate spesso in emergenze
puntuali e minime, come in un’essenziale e asciutta citazione.
Riflessioni che potremmo definire di ordine esistenziale, visioni di
spazi e paesaggi, luoghi e ricordi privati: sono queste le tre
direzioni preferibilmente percorse dalla poesia di Lotierzo, che
tende peraltro a costanti intrecci e sovrapposizioni, quasi a riprova
del fatto che ogni circostanza, per quanto minima, può suggerire
qualcos’altro. Se nelle prime poesie l’ansia di definirsi ( “ mi
sconvolse il chiarore/ della neve fresca di mezzogiorno/ il candore al
mondo dei mansueti,/ gli inverni tremuli”) o di seguire altre istanze
al di fuori di sé ( “ e tu, Soggetto, ci smarrisci nella ricerca / dei
tuoi attributi nel tempo” ) sembra orientarsi verso spazi metafisici,
nelle successive anche le riflessioni sulla caducità umana si
delineano in un legame necessario con luoghi e con oggetti precisi.
Così nella poesia Il buco , il tema dichiarato nell’incipit ( “Spire di
serpente e agonia rissosa,/ la vita passa. Ci involve un Nulla”) è
pacatamente illustrato dall’exemplum che riconduce a un luogo
familiare (“ Nel paterno salotto frana / un buco alla base del
balcone”); così in Formiche, la sorte segnata dei piccoli insetti
conduce per analogia alla caducità della storia con un tono dal vago
accento montaliano ( “ Un getto d’acqua fa scivolare la storia / e mi
chiedo in quale album dell’evoluzione / sarà scritta questa vittoria
di Carla,/ biblica alluvione sulla tiepida ceramica”) . E a questo
proposito potrebbero anche citarsi quei versi che collocano gli studi
d’archivio prediletti dall’autore come una sorta di rimedio alla
frattura che attraversa l’umana esistenza ( “ E siamo / su questa
morta faglia / ove dialogo su carte d’antichi fasci”).
L’osservazione dei luoghi oscilla in queste poesie tra gli spazi
aperti lucani, montani e marini (“L’immensità riduce a falce le anse
del tuo mare”), e le sofferte angustie claustrofobiche delle caotiche
strade cittadine ( “ E soffocamento è il nostro passaggio”) : in un
caso e nell’altro, come si avrà modo di ribadire più avanti,
l’asciuttezza del dato geografico e spaziale non inclina però alla
contemplazione irenica o idilliaca né al disdegno, ma suona come un
riferimento oggettivo con cui si combinano ancora considerazioni di
ordine più generale: le cicale di Castrocucco sono quindi ascoltate “
mentre scola/ il giorno un altro spicchio di eternità”, o il dolce ed
il caffè gustati ad Acquafredda aiutano a riacciuffare “per coda / il
tempo / calante in nuove conversazioni”. Non c’è dubbio tuttavia che
la contrapposizione tra spazi naturali ( pur visti a volte nel tempo
dell’occupazione estiva da parte dei villeggianti ) e spazi snaturati
risalti in modo netto nella scrittura dell’autore: i bambini che
fuggono il temporale estivo tirrenico, per quanto goffi, assumono
sembianze di piccoli uccelli in fuga (“ uccelletti / avvitati negli
scomposti lenzuoli / di spugna “), mentre le folle cittadine sono ben
diversamente connotate, poiché si agitano “ nel formicaio ebbro di
traffico violento”, sbattute da “ questa mareggiata della vita”. La
sorte di queste formiche di città appare ancor meno lieta, in quanto
si delinea nel preciso scenario napoletano, dichiarato coi suoi
toponimi ( Piazza Cavour) , con i suoi requisiti latamente sociali (“ da
verminoso traffico si erge la città / sassaiola e civile, scomposta e
amara, / labirinto di speranze e acri afrori, / plumbea leggerezza di
balenanti orrori”), con il suo profilo di irrazionalità (“Nel letto
della ragione una lava / ribollente macera tutto incendiaria”), e con
l’inconfondibile corredo sonoro e olfattivo dei motorini
perniciosamente branditi da centuari in perenne delirio di onnipotenza
( “ fora l’udito l’atra motoretta / alla gola riarde lo smog ).
Nella discreta apparizione di spazi e momenti privati,visitati
con un misurato esercizio della memoria individuale, si afferma con
chiarezza la tendenza a riappropriarsi di luoghi ed eventi, spesso
recuperati dal passato e riconquistati attraverso il loro nome
puntigliosamente dichiarato ; nei testi che riportano a episodi
passati si nota meglio anche la già segnalata asciuttezza, che dona a
questi versi la grazia di inquadrature nitide, dai colori vividi, per
nulla segnate dall’ombra di sbavature patetiche o da patine di
soverchia nostalgia. Riesce in questi casi l’autore a conseguire quel
felice esito enunciato quasi come dichiarazione di poetica in Album :
” Annega il cuore nella gioia/ se riesci a tessere un discorso / su
visi in dagherrotipi ingialliti” . In questo modo, senza concessioni
alla malinconia, assumono forma scene familiari dell’infanzia, che
hanno la compostezza nitida degli Idilli domestici di Attilio Bertolucci,
in cui d’altronde anche ricorre spesso l’indicazione esplicita di nomi
e toponimi. Sono significativi da questo punto di vista i versi di
Rosa agostana ( “ La rosa agostana l’incantava. / A noi appena alzati
mio padre / la mostrava a trofeo nelle mani / cretose e la felice
stanchezza/ che l’aria terrigna offre alla vita”), di Cane (“ Nel
cane godeva la sua ricchezza,/ nelle festevoli mosse / al rientro dal
lavoro”), o quelli di Passeggiando a Sala (“L’adolescenza sfiora carraie
di polvere./ L’ascesa al san Michele fra rovi e ginestre / al tiepido
sole di maggio solitaria”). Il ricordo di episodi lontani ha dunque
l’impronta inconfondibile del pudore che non consente eccessi, meno
che mai li consente quando la memoria ritrova momenti di dolore (“Due
ore di vita in un’incubatrice”). Nella tendenza alla sobria evocazione
del passato si incontra in realtà la consuetudine con un certo
sbrigativo understatement meridionale ( se non specificamente lucano ),
forse poco noto perché lontano dagli stereotipi correnti.
La predilezione per i toni scabri ed essenziali consente ad
Antonio Lotierzo di sperimentare con originalità l’uso del dialetto,
che, pur collegandosi strettamente a un’inclinazione memoriale, è
tuttavia esente da un certo ipertrofico soggettivismo lirico che non
di rado alberga presso i neo-dialettali della fine del Novecento. Il
dialetto è senz’altro funzionale alla rievocazione del passato o al
ritorno nell’orizzonte dell’universo paesano ( si pensi al suggestivo
elenco dei vari aspetti della vita tradizionale: “ a forza re
l’abbetine e ra trerecìna / a sant’Andonie ca te face fa nnanze e
arréte a pière, na chiàppula càura cumme n’ackua re sole “ etc.), ma
si tratta di ritorni che dal dialetto traggono nuova forza e
vivacità. Né forse è un caso che, a conferma della icastica vivezza
dialogica del dialetto , queste poesie nascano quasi tutte come
allocuzioni dirette al lettore ( “ E ssì ca sì fesse se fai u
turiste”) o come costruzioni intorno a frasi rimaste per decenni
impresse nella memoria ( come accade in italiano anche nel caso di “
Non sono la spara di Carnevale”), e qui ripetute perché nel tempo
hanno acquisito un valore che sembra a metà fra il mitologico e il
proverbiale: “ Vai colpe colpe / cumm’a nu cardille”; “ Nunte fa vré
nemmeno addò cache, / ca pòte cchiù ammìria / r’i skuppettate”; “Vui
nun c’avita crere a i malalénghe”. E in quest’ultimo caso il
dagherrotipo memoriale di questa forosetta bugiarda acquista sfumature
legate all’odorato e perfino forme in qualche modo tridimensionali (“
na cevettula ca puzzava re latte munte / ma tenìa rùye casecavadde
toste assàye).
Proprio il ricorso al dialetto, per di più con queste coloriture,
rappresenta uno degli imprevedibili momenti centrifughi di cui si
diceva all’inizio. A questa categoria vanno ricondotte le sfumature
ironiche di certi versi ( per esempio quelli dedicati, peraltro con
piena comprensione, alle Docenti ), o le ricercate allitterazioni di
Giubileo, o le poesie pensose e tenere in cui si allude ai figli (“Tu
non ricordi, Ilaria, la bambina che giocava con le bambole”; “ Michele
trascorre le ore dall’oro / in bocca davanti la tv e sulle pagine /
sportive, per tutto sapere e sistemare. / Concentrato, qui viaggia nel
suo mondo / di fisica scienza che ignora il destino”). In queste, come
in tutte le altre poesie della raccolta, si nota come requisito
unitario l’incessante lavorìo stilistico che conduce a una piana e
scorrevole discorsività, spesso articolata su rime e assonanze
interne, ma anch’essa sobria e misurata nella sua distanza da
gratuiti compiacimenti di stile.
( Napoli, gennaio 2000)
TITO SPINELLI
Fra i poeti della nuova generazione più evolutiva nei contenuti e
nelle forme anziché nei dati anagrafici Antonio Lotierzo - di
Marsiconuovo (n. 1950 ) – è quello che , assieme a Nigro e a qualcun
altro, rompe decisamente con un passato litografico e spesso
affabulatorio per consegnarsi alla ragionata e drammatica dissipazione
del verso. Ch lungi dal restringere un rimpianto come dazio obbligato
verso la cosiddetta lucanità di riporto ancestrale, si avvia a
consacrare una ribellione anche verbale, se si guardi alla sua prima
raccolta, Il rovescio della pelle ( 1977), dove le forme poetiche sono
subornate a una specie di qualificante subisso, senza che si
stabiliscano in tarsie dalle nomenclature musicali.
La sillabazione offre un concetto di pura ellissi, circostanza che
tronca il vocabolo dal suo universo di significanti, aggiogati al
carro verbale, per essere “ insulae” di provocazione e di
perturbazione versificatoria, posto che il verso possieda una concinna
definizione, ancorché regolata da normative retoriche. La sua poesia
sa di assalto provocatorio e, in pari tempo, cuneo o ariete per
sfrondare in percussione una tradizione elegiaca e non una eredità
idilliaca, che contrassegnano la poesia lucana fino agli anni ’70.
Lascito raffinato di un Sinisgalli o saga contadina d’uno Scotellaro ?
Fatto sta che la poesia di Lotierzo – pur avendo esili appigli con
tali fondamenti osservati alla luce dell’antropologia poetica o d’una
poetica dell’antropologia – diventa spaziale , agguanta altre realtà,
si conclama spesso urbana ; e nel fare ciò si inserisce nell’alveo
di una coscienza del “ fare poetico “ ormai non più ristretto alla
sacralità delle origini e delle querulazioni di un mondo in rapido
cambiamento.
Simile a un serpente che si sciolga dalle vecchie squame, Lotierzo
compie la stessa mutazione denunciando un’ alterità che non è più
lucana, ma in continua trasgressione con i consunti stereotipi della
liturgia incantata di un paesaggio o di un costume, piegati alla
necessità musicale del tipico “ verso del rimpianto “ . Il
superamento di tale situazione avviene per costrutto innovativo e per
soggettistica allogena, con un linguaggio visceralmente sentito che
sacrifica più al grido soffocato che al pacificato sentore di un
salmodiante sentimento.
Già in Lamentazione per un testo, che apre la raccolta , Lotierzo
propone il rovesciamento della didascalia all’interno stesso del
materiale approntato per fare della testualità un continuo divenire
e rigettare le forme lapidarie della parola vincolata come Sisifo
alla sua fatica, tant’ è che l’unione di vocaboli qui e altrove (
testocadavere , questamarezza, gialloritmo, fattiparole ,ecc.) sottolinea la
precarietà della parola sia enucleata dal suo consueto ricavo
fonematica, sia congelata nella sua fluidificazione espressiva. Ma
quando dispiegamento e innovazione, in un giuoco apparentemente
ludico, allegano un più pausato filtro emozionale, allora Lotierzo sa
offrire strofe di mediata e riflessiva pacatezza : Ti ho scelta, sconosciuta speranza, perché ancora sei insieme amore e fine
carne desiderata e pelle da maturare
pace silenzio e quiete in cui annegare. (…)
Ti ho scelta, mancata espressione del sospiro,
perché non sei l’avventura indecifrabile
- la morte congiunta all’eterno –
ma conosci il lavoro più fermo nei vuoti
dell’essere e sei più stretta alla vita,
tu compagna sessuale che hai la musica del giorno.
Appresso, la sottolineazione ludica coordina la de-strutturazione
della malta poetica fino a pregiudicare la compattezza, a vantaggio
d’un impatto antinorma che anticipa in sé l’espressività da allineare
col parlato per nobilitare il suo deduttivo interloquire.
La parola si ribella all’ordito poetico e media con quello del
reticolo vitale, o della vitalità. Si prefigura, in tale risorsa,
l’inclinazione alla energia pura del vocabolo, svincolato dal suo
nitore eburneo per essere riattratto alla sua funzione comunicativa,
sommovimentata dalla pretestuosità dell’atto poetico e inseguita come
modalità interpersonale. Si allude, in particolare a L’ alfanebetismo
,dove la versatilità del modulo ribellistico si sospende su di un
esiguo margine, che concilia il taglio chiaro con quello ambiguo .
Per cui le parole trafugate dall’attimo assumono il corredo più spinto
per maturare all’antilingua, capace di ripudiare la poeticità per farsi
codice di un nuovo modo di produrre un contrastato lirismo. Fra
l’altro si può leggere : I versi liberi delle canzoni nette all’inguine tiravano il mio intervento
statualmente vuoto sempre terroso nero
acquitrinoso plastificato panzarottato
fra anticristici esorcismi e sicurezze
di materiale elettrico coperto da parati
e ancora fragoletta invinata ed ulive
malaticce con fiori d’occhiali cartacei
disegnate pubblicità librerie nelle troppo
apribili bacheche ( …)
E ancora per più versi, dove il congruo e l’incongruo fonematica si
combinano per un responso di pura comunicazione, falsamente
antiprogrammatica sotto il profilo della emissione e della esibizione.
Con tale raccolta Lotierzo inserisce un taglio non di poco conto fra
la liricità di elaborati antecedenti, ascritti ai primi anni del
secondo dopoguerra e continuata fino alle soglie degli anni ’70, tanto
che lo spartiacque insediato mira a un filtraggio, anche di elementi e
di suggestioni poetiche non autoctone, e a un riesame sia della
situazione linguistica entro le coordinate del consistere poetico, sia
con l’aggiornamento del lessico con vocaboli non necessariamente
nobilitati, ma tolti con ironia ( e forse con controllata
disperazione) da un idioma, evolutivo che cozza contro una normativa
istituzionalizzata e, per certi aspetti sibillina nel suo involucro
fonico, è la proclamazione elitaria dell’ellissi verbale. Il verso
smemora la sua funzione di raccordo logico, né il tutto organico
dipende da una correlazione di predicati o di complementi. Con questo
però non si introduce un apprezzamento minimale, né la riduzione
espressiva entro il giro versificatorio proposto. Emergono di primo
balzo l’assurdità e la difficoltà, esponenti complessi in poesia,
perché entrambe s’intreccino senza scomporsi, in vista di una
funzionalità ricettiva per il lettore scaltrito, adusato a un
linguaggio essenzialmente eversore e che anche nella metafora trova
il suo naturale complemento antiretorico o, se vogliamo ,
antiaccademico.
La varietà dei vocaboli, la tematica generatrice di morte
( essenzialmente l’allegoria della putrefazione d’un Sud non più
bucolico o rimpianto ), il timbro a percussione della parola sono
questi i risvolti argomentativi più penetranti di questa silloge che
nella titolatura esprime la marginalità di una fatica inutile per
una discarica Moritoio marginale ( 1979 ), farragine di pezzi ‘
repertati’, probabilmente non più riciclabili. Accludiamo un esempio: In putrefazione ginistre sui calanchi
Società mitica magre recitanti
Occhiazzurri ubriaca speranza
Magnolia scoscesa disturbazione
Vocali gialle linfogranuloma seme
Dolce film vomitato timore tumorale
Triangolo screziato sessuale addomesticato
Tenebroso mio andare rottura gelo
Orditura fenditura flessura gola
Ricettizia laicale pèndula filigranata
Figura rupestre angiporto luce
Battòna sassi appisolati rovi concrezioni
Putrefazione in fiore sui calanchi ginestre. La scelta dei lemmi è condizionata in primo luogo dalla possibilità di
urtarsi isolatamente creando omofonie, convulsi ossimori, raffinati
rimescolamenti concettuali fino al rovesciamento ironico e non
tecnico dello stesso titolo. E così per le composizioni, spesso con
un tema centrale, il Sud depurato di ogni sordida contaminazione
folclorica e ricondotto invece a una denuncia di stato morboso, alla
smitizzazione dei demiurgi e a un sottofondo di protesta, quasi un
volere accostare la propria sperimentazione a esperienze consolidatee
ma dissepolte dal fradicio e spesso rivoltato humus della propria
regione.
Allorché viene invogliato a de-costruire la propria personale
modalità, Lotierzo saggia, per così dire, una rifrazione delle
escursioni e si hanno esiti mediati fra cui si segnala: Gli ippocastani adornano con passeri
Le vie dei paesi del Nulla
Calato nella lotta,
nostalgia castelli dirupati
chiocce d’oro addentellato mite
dissolvimento glaucomico potere bianco.
Di tutti i luoghi per nascere l’alba
Questo brancolando elesse
Rosa d’amore
Esenin buio punzonato contadino
Perché dell’umana compostezza non rimanesse
Che il vuoto a figliare la paura dell’essere.
Ritorna il discorso più o meno agglutinato ai procedimenti sintattici,
versificatori, e riappare un tentativo d’interpunzione; ma il graffio
non riduce il sarcasmo, né il panorama ritratto perde la sua il
lividura . Lotierzo si tiene in perfetto equilibrio tra la poesia da
fotogramma e una inviscerata di lemmi, con un giuoco raffinato che, a
prima vista, potrebbe suscitare indugio o perplessità di “ scuola “.
La sua, alle volte, s’avvia a una forma di antisperimentalismo senza
distinzione certa, in quanto la logica e la sua misura hanno perduto i
loro regali referenti; ed è questa duplice perdita a rendere moderna e
suggestiva la frammentazione perseguita per un verso che ignora la
tradizione scolastica delle antologie. Se sussiste qualche parentela,
immaginiamo Lee Masters, Lotierzo la flette a una convenzione
schermata in cui l’ironia traduce un ilare scherzo epigrafico per
attestare l’usura di una corrente poetica fino a un immaginario
congedo ( segue il testo: Se giovane ancora in questo moritoio -n.d.r. ).
Come si vede, altra caratteristica la contropartita grafica, con
collocazione lapidaria dei vocaboli che qui ammoniscono e perturbano,
mentre in altre parti disviano l’occhio per conquistare ulteriori
parole che non riescono a incastrarsi nel sensato discorso dello scriba
desueto .
Il caos enumerativo o elencativo di Lotierzo ubbidisce alle esigenze
di provocare l’emarginazione della poesia senza rinnegarla, anzi
rivestendola di un indice che dalle forme vessatorie della parola ne
indichi l’accorta palingenesi. Di qui il non-verso , ma la trappola
metalinguistica di contrapposti giuochi di parole , ritmati ubbidendo
a un criterio analiticamente freddo a prima vista, come di
un’alambiccata partitura senza pentagrammi, finalizzata a un
divertimento lessicale, mentre il latomico scopo sta nel ricercare
l’estrema risorsa della parola che cerca il banale per divenire a sua
volta qualcosa al di là della semplice espunzione del suono. Il
corrivo, dunque, alla base di una sofferta introiezione per ridare al
ritmo la sua primitiva e ineducata sedimentazione prima che la ragione
e la logica lo investano del rigore formale. La poesia, è risaputo,
ha in sé il germe dell’anarchia, e le liriche di Lotierzo lo
perseguono e lo realizzano, ponendo a confronto, in una ininterrotta
specularità, la pars destruens e la pars construens, che, elidendosi e via
via confondendosi, apprestano risultati di efficace marginalità del
non “ morituro verseggiatore “ Parco cultore d’infrequenti luoghi il poeta
( citata tutta fino
al finale: n.d.r. )
occhi falli per labbra blu al Guadalquivir delle
stelle
Ove Lotierzo passa dalla estremizzazione, anche grafica , della parola
gratificata delle allucinate probabilità di rigetto e si cimenta con
una sequenza scrittoria più abbarbicata ai canini ritmici ed
esplicativi dell’apprendimento, si hanno risultati di ottima fattura e
dal punto di vista lirico e da quello dell’organica economia del
segno verbale. Così, tanto per nota documentale, va segnalata Cantina
: Trepido cantuccio della disperazione
la botte annerita e i ragni
sfaldano cemento, impudridisce l’acqua
( … )
Tu non presenzi ai riti della vita ebbra
parli civiltà cittadine che angosciano le notti
rumori scontrosi qui attutiti dal nulla bacchico
d’un esistere senza speranze puro disinteressato.
Anche qui Lotierzo non rinuncia alla costruzione di opposizioni sul
filo del sarcasmo e della parola in flessa in un contesto
costrittivo. Donde le frange di un’allegazione sostenuta, nel
tentativo di recuperare – al di là di temperate o sdolcinate parabole
delle usuali combutte dei vocaboli – l’energia eruttiva di uno scrollo
fortemente icastico e un materiale primario che anticipi la stessa
attualità professionale ( in questo caso estremamente beffardo ), che
attedia gran parte della nostrana poesia. In tale sfondo non ha senso
parlare di Lotierzo poeta lucano, ma di un poeta tutt’intero e
godibile sotto più latitudini.- da : T.Spinelli, POETI LUCANI FRA OTTO E NOVECENTO , pp. 242 – 249 . -
LETTERE
LETTERA DI LIBERO DE LIBERO
Roma, 21 settembre 1977
Gentile Lotierzo, e gentile anch’io quanto Lei e non maestro ma
allievo della vita.
Grazie per il dono delle sue poesie (“ Il rovescio della pelle”)
sicchè Marsia ha scotennato Apollo.
Sono grato all’amico Bonelli che mi ha dato la conoscenza d’un poeta,
non sapevo niente del
Suo dire e fare, mentre oggi ne so assai di più e ho chiuso un vuoto
inammissibile, ho appreso
un poeta nuovo e non è poca la mia stima, del resto la “ merentente
cordiale” non esclude una solidarietà schietta anzi allegra.
Una stretta di mano, libero de
libero
LETTERA DI GIOVANNI COIRO
Roma, 6 novembre 1979
Carissimo Antonio,
alla vigilia della mia partenza da Marsiconuovo, a fine agosto
scorso, appresi che mi avevi portato copia della rivista “ Nodi” con
tuoi scritti e un esemplare della recente raccolta di poesie “ Il
rovescio della pelle “.
Spiacente di non aver potuto salutarti e ringraziarti , adempio a
questo dovere a lettura compiuta dei testi dei quali hai voluto farmi
gradito omaggio. Il tuo studio su Michele Pasquarelli delinea
abbastanza felicemente la figura di quel medico umanista, storico,
etnologo che fu il nostro concittadino, del quale conoscevo, in
particolare , gli studi sul folklore marsicano. La sua lettura ha
suscitato in me - oltre tutto – ricordi vivissimi dei giovanili studi
di storia marsicana sulla scorta di alcuni libri ottenuti in prestito
dalla biblioteca dei maestri della locale scuola elementare ( elementi
di grande interesse trovai in un volume sulla storia della diocesi di
Marsiconuovo e Grumento ), di alcune pubblicazioni fornitemi dal mio
maestro Vito Arato,uomo di non comune preparazione e dai molteplici
interessi culturali, nonché attraverso gli incontri con Luigi Ventre,
autore di una pubblicazione che – pur con le riserve espresse in sede
critica, delle quali io stesso mi resi , con affettuosa premura e
profondo rispetto, presago interprete, prima della stampa dell’opera –
costituisce il primo, serio tentativo di presentare un compendio
organico della storia di Marsiconuovo.
Della famiglia Pasquarelli conobbi personalmente Eva ( detta anche
Evita) , andata sposa al medico Giovanni Montesano , una figura di
autentico apostolo, scomparso prematuramente per una setticemia al
viso lasciando alla moglie un figliolo, e la sorella Vivina, entrambe
bellissime, specie quest’ultima. Abitavano al Casale, nello stabile
attiguo a quello dell’avv. Beniamino Corleto; poi emigrarono
all’estero ( credo in Venezuela) e di loro nulla ho più saputo.
La formazione umanistica, storica e filosofica del Pasquarelli si
sovrappone, in certo senso, a quella professionale e tale aspetto
della sua personalità ti ha offerto lo spunto per una approfondita
analisi della cultura del tempo nella quale la sua opera si
inserisce.Il peso di questa cultura, le sue contraddizioni e le sue
carenze, alla luce di studi più recenti e criticamente più rigorosi,
ha forse in qualche punto schiacciato la figura del Pasquarelli,
relegandolo – a tratti – nel ruolo di comprimario se non in quello di
comparsa. Il saggio costituisce, comunque, un contributo di grande
interesse che rientra in quella più ampia opera di rivalutazione di
alcuni affascinanti e poco noti aspetti della cultura lucana e
marsicana, che si affianca alla fioritura di studi lucani, la cui
espressione più significativa è costituita dalla serie di convegni di
storiografia lucana, dei quali il promotore e animatore, Pietro
Borraro, già direttore della biblioteca provinciale di Potenza e
attualmente di quella di Salerno, ha raccolto e pubblicato gli atti
nelle pregevoli edizioni di Congedo di Galatina, certo a te note.
Avevo già letto nella raccolta “ Ottanta poesie”, della quale
volesti farmi omaggio con un’affettuosa dedica, alcune delle poesie
che ora ripresenti con altre in rinnovata ed elegante veste
tipografica.
Il titolo, un po’ enigmatico, “Il rovescio della pelle” va al di là
dello spirito insito nella lirica conclusiva e abbraccia tutta la
raccolta, nella quale i preziosismi letterari, scaturiti certo più da
una erompente e tumultuante fantasia, in parte condizionata da un
amore speculativo talvolta esasperato e manifestamente doloroso, e il
vezzo ricorrente delle parole composte (“ gialloritmo”,
“piccolomedi”, ”malovento”, ”vagomoventisi” ecc.)nulla tolgono allo
straordinario vigore concettuale e alla decisa reazione contro uno
stile conformista in una generale sciatteria o paludata verbosità per
mimetizzare una sostanziale povertà di contenuti.
Può forse pesare sul lettore – specie se meno provveduto – ( i lettori
di poesia non devono essere necessariamente degli iniziati ai misteri
dell’ermeneutica ) il riflusso di una erudizione,senza dubbio
apprezzabile, che affiora con insistenza e toglie talvolta slancio
alla ispirazione. La poesia del Carducci, pur grandissima nel suo
complesso, resta un po’ distante dalla sensibilità del lettore medio
quando in essa prevale il “sapere”, anche se inteso nel senso più
nobile ed elevato.
Mi sembra che nella tua poesia affiori il rigetto, certo traumatico,
di un indirizzo educativo e culturale rigoroso, ligio a precostituite
tradizionali norme di vita e di formazione che è nello stile dei
salesiani; anche la compiacenza verso termini non certo castigati
( almeno per i salesiani e nelle accezioni ormai comuni,
volgarizzate ,per certi aspetti, “ufficialmente” dalla televisione di
stato !) è come il portato di questo rigetto.
Non mancano poesie di alto valore lirico, nelle quali gli affetti, i
ricordi prendono il sopravvento su una cultura volta, direi
fisiologicamente, alla speculazione filosofica e incline alla
trasposizione dei valori umani sul piano metafisico.
La poesia “ Mia madre”, ad esempio, estremamente delicata, si chiude
con due bellissimi versi nei quali il richiamo all’infanzia non è
sola aspirazione ad un mondo perduto, ma ricomposizione di una realtà
interiore diversa, limpida, serena, gioiosa.
L’immagine della rustica chiesa di “ Marsiconuovo” , che domina gli
spazi da un monte all’altro, si ricollega a quella dell’altra “
Marsico”, apparsa nelle “ Ottanta “, nella quale gli elementi
descrittivi si fondevano armonicamente col senso di “ ultima felicità”
colta “ nell’immenso vuoto “ .
Nella stupenda figura del “ nonno massaro saltellante”, cara al mio
personale, ammirato e reverente ricordo, che “ sfidava il vento in
cima al Volturino” è la sintesi di tanta parte dell’ oscura e,
talvolta, tragica storia di quelle generazioni contadine lucane,
strappate dai campi e scaraventate sui costoni del Grappa, del
Sabotino, del San Michele, dell’ Hermada ( su quest’ultimo cadde un
mio zio, s.ten. di fanteria,geometra e insegnante elementare, il cui
nome, Gianuario, figura tra quelli incisi sul monumento ai caduti di
Marsiconuovo – i suoi resti mortali riposano nel grande sacrario dei
centomila di Redipuglia, da me visitato anni or sono - ) e
restituiti , poi, in sparuti gruppi all’aspra e avara terra di
origine, addolcita appena dal verde dei radi uliveti.
Lo spirito del momento conclusivo di questo “ritorno “ è , nella
lirica “ Il contadino sognante” che sembra un bassorilievo in pietra
lucana. In poesie come queste ho la sensazione di scoprire il più
autentico e incisivo Antonio, poeta.
La tua solida cultura, la serietà professionale, l’impegno nella
ricerca scientifica – come già ebbi modo di dirti – possono aprirti la
strada dell’insegnamento universitario nelle materie speculative
( storia della filosofia; filosofia teoretica; filosofia morale ecc.)
o anche nelle discipline storiche ( dalle antiche alle
contemporanee ). Mi permetto, quindi, di stimolarti ad inserirti
( qualora non l’abbia già fatto) nell’ambiente universitario con un
preciso programma di lavoro scientifico unidirezionale per meglio
concentrare fresche e preziose energie nello sforzo di raggiungere un
sicuro obiettivo.
La poesia, da non abbandonare, renderà più lieve la fatica di docente
( basti ricordare il Carducci, il Pascoli e, tra i più recenti,
Ungaretti) e sarà anche motivo di edificazione spirituale, di
appagamento di quel bisogno che ognuno di noi ha di superare i limiti
della pura e semplice esistenza.
Con molti fervidi,affettuosi auguri di buon lavoro ti abbraccio,
Giovanni Coiro
LETTERA DI GIOVANNI GIUDICI
Mil
ano,3 febbraio 1980
Caro Lotierzo,
purtroppo non riesco a intrattenere corrispondenze, tanto più che
le preoccupazioni pratiche mi assillano in questo momento in modo
particolare. E voglia dunque perdonarmi se all’invio del suo “
Moritoio marginale” rispondo qui con un generico “grazie” e con
l’indicazione della poesia che preferisco ( “ Cantina”), benché anche
altrove vi siano tratti secondo me abbastanza vivi ( per es. “ Parco
cultore d’infrequenti luoghi il poeta”); però le ridondanze
culturalistiche e intellettualistiche mi sembrano ancora molte e non
sono certo io in grado di impartirLe prescrizioni sul modo di
attuare un più essenziale e necessario discorso… Sono cose difficili,
lo so, e comprendo anche la Sua impazienza, il disagio dell’isolamento
e così via: ma non creda, però , che il mio isolamento sia molto
minore. Solo che, essendo più vecchio, non me ne curo granchè.
La ringrazio anche dell’articolo che mi riguarda: l’avevo già
visto e l’avrei ringraziato prima, ma non avevo più il Suo indirizzo e
le carte mi seppelliscono. Tenga presente che per me è molto difficile
scrivere lettere ed abbia dunque pazienza se mi limiterò a queste
poche righe: dovessi rispondere a tutti quelli che mi mandano libri o
dattiloscritti, sarei costretto a non fare altro; mentre, cole Lei
potrà supporre, sono prima di tutto un lavoratore che deve
guadagnarsi da vivere sfornando articoli su articoli, specialmente
adesso che non ho più un impiego fisso. Lei è un uomo intelligente e
mi capirà.
Mi saluti molto Domenico Monelli: spero che goda buona salute, io
lo ricordo con costante affetto.
Quanto a Lei, coraggio, e tanti sinceri auguri per raggiungere ciò
che più di tutto desidera…
Suo, Giovanni Giudici
LETTERA DI ROSA MARIA FUSCO N. I
Tu
rsi, 6 dicembre 1980
Caro Antonio,
le vicende sismiche mi hanno fatto stare in pensiero per molti amici,
te compreso – anzi te per primo -.
Alcuni giorni fa, finalmente, mi è stato possibile comunicare con tua
sorella, che mi ha detto che state tutti bene, a parte lo spavento e
divisori lesionati, e la cupola della Chiesa rotolata per le vie.
Nella tua ultima che risale ad ottobre, mi dici che hai cambiato
scuola e casa. Ora, scusami la smemoratezza, ma non ricordo più se a
quella tua lettera ho risposto o meno. Nell’incertezza ti riscrivo ( o
ti scrivo, non so ) anche per mandarti una superstite copia di “
Tangenze”.
Volevo dirti che, a Siena, la mostra si ripropone a luglio, integrata
con qualche altro testo e naturalmente accompagnato da altre,
differenti iniziative culturali.
Il tuo libro, ad ogni modo, piacque molto a Franco Maniscalchi il
quale, però, per “Messapo “ non cura più una “ Antologia sulla poesia
degli Anni Settanta” bensì uno studio sulla poesia nei “ gruppi” ,
passando in rassegna, se ho ben capito, le esperienze delle riviste
alternative di questi ultimi anni e dei poeti che, a queste riviste
hanno fatto capo. Lo studio generale sui poeti del “ decennio” è,
viceversa, demandato più in là, a cura, credo, di Barbuto. Ad ogni
modo, fatti sentire ogni tanto, se possibile.
Aspetto con ansia il saggio che hai scritto per la “ Forum” e
certamente non solo perché sono curiosa di sapere quel che hai scritto
sui mei versi.
Ciao, Rosa Maria
LETTERA DI FRANCO TILENA
Ferrandina, 23. 1. 1981
Caro Lotierzo, ho ricevuto dalla Forum il plico raccomandato, ma con
mia somma meraviglia ho trovato solo 15 copie dell’antologia, mentre,
a tuo dire, l’esborso da parte mia di lire 60.000, di cui peraltro non
mi hai parlato a suo tempo, mi darebbe diritto a 50 copie. Il volume,
che ha una bella veste tipografica, mi ha deluso alquanto, sia per la
mia biografia troppo sintetica e sia per l’inclusione di autori del
tutto sconosciuti e di dubbio valore artistico. Vorrei poi sapere come
mai ti sia venuto in mente di citare nella tua nota critica sulla
mia poesia , pubblicata nella rivista “ Quinta Generazione “ , oltre
alla pregevole e poetica recensione di Savelli anche quella malevole
del sedicente critico pisticcese Vitelli, il quale non ha capito
proprio niente del mio mondo poetico ed ha dimenticato che, dopo
Scotellaro e Sinisgalli, io sono l’unico poeta lucano arrivato due
volte all’ambito traguardo del “ Viareggio” e conosciuto in tutti gli
ambienti culturali italiani. Mi hanno, inoltre, stupito talune tue
irriguardose espressioni, come “ mancanza di strumenti di analisi”, “
retorica “, “ letterarietà”, mentre per altri autori , i cui scritti
sono privi di forma e di contenuto, hai profuso a piene mani lodi e
consensi. Spero che non me ne vorrai per questa meritata tiratina
d’orecchi, poiché , come certamente avrai capito, ho l’abitudine di
dire sempre ciò che penso. Con l’occasione, ti saluto affettuosamente
e ti abbraccio,
tuo Franco Tilena
LETTERA DI ROSA MARIA FUSCO N.II
T
ursi, 28 gennaio 1981
Caro Antonio,
ricevetti il 13 di questo mese la tua lettera datata 23 dicembre…
Prima di proseguire in questa ti pregherei di non darmi della “ prof.”
La prossima volta che mi scrivi, intanto perché non ho mai avuto il
tempo di laurearmi ( naturalmente ho dato tutti gli esami) e poi
perché appartengo a una categoria di persone che chiama tutti per nome
e cognome ( quando posso per nome e basta).
Dunque, da amici e compagni quali siamo, dimmi piuttosto come stai; mi
dispiace leggere nelle tue lettere espressioni del tipo “
sopravvissuti alla vita” e “ finito a trent’anni” , sia pure col
punto interrogativo… La nostra generazione non ha neppure
cominciato sicchè non può concedersi il lusso di “ finire”. Io non
ho ancora ricevuto l’antologia ma,tant’è, la curiosità è femmina e mi
son fatta leggere un terzo della monografia per telefono da Roberto
Linzalone…
Adesso ovviamente non mi ricordo nulla di quanto Roiberto ha letto.
Non ti scrivo quindi neanche per l’antologia che, comunque, secondo me
bisognerebbe presentare ( con preghiera di avvertirmi in tempo, perché
ho una gran voglia di conoscere i colleghi lucani, e dico proprio
conoscerli di persona, giacchè l’isolamento è padre di tutti i vizi…)
Non è che ho voglia di scherzare, dati i tempi ,sarebbe di pessimo
gusto. Ma è vero che bisogna scrollarsi di dosso il mal di vivere o si
finisce, come me, sempre con gli antidepressivi a portata di mano.
Anche la poesia è un antidepressivo ( convieni?)
Ora ascoltami, e rispondi a stretto giro di posta (nella misura in cui
un giro di posta può considerarsi stretto) , devo fare per “ Impegno
80 “ ( già
“ Impegno 70”, vale a dire la rivista dell’ Antigruppo) una
piccolissima nota sui lucani, con relative mini-antologia. Mi spiego
meglio. Rolando Certa ed io, avremmo intenzione di mettere in qualche
modo in contatto lucani e siciliani, giusto per fare amicizia insomma,
per far sapere che ci siamo.
A seguito dell’impatto con “ I corpi e le parole” ( grazie a
proposito per il “ bravissima” dello scorso settembre ). Certa mi ha
scritto di proporre qualcosa. Io di solito propongo i poeti. Perciò
sei pregato di mandarmi un qualche tuo testo inedito, se proprio di
inedito non hai niente, devi scrivermi lo stesso perché, in tal caso,
prendo un paio di poesie da “ Moritoio marginale “.
A proposito di libri tuoi, io non ho “ Il rovescio della pelle “ e
non saprei a chi chiederlo. Mi sarebbe utile tenerlo, non certo per
smania di collezionismo… L’altra settimana comunicai a Franco
Maniscalchi il tuo nuovo indirizzo, credo che Franco desideri ricevere
tutto ciò che hai pubblicato di successivo a “ Il rovescio della pelle
“ oltre ad una eventuale accurata bibliografia critica. Questo
materiale gli serve per un saggio sui poeti di Quinta e Sesta
Generazione ( si dice così ?) al quale sta lavorando da tempo, nel
quale so che hai già un posto, e il cui dattiloscritto dovrebbe essere
consegnato in tipografia per fine marzo. Perciò se Maniscalchi non
t’ha ancora scritto ( o se il postino non t’ha ancora recapitato la
sua lettera) mandagli comunque il materiale che ti ho elencato,
dicendo che te l’ho detto io. Se vedi Giuseppe Settembrino, dì anche a
lui di mandarmi qualcosa di recente ( sempre per quell’articoletto
che devo fare per i siciliani), so che, purtroppo, il sisma ha colpito
anche la sua casa e che ora abita presso i suoceri, di cui però non ho
l’indirizzo.
Infine, mi ha scritto Vincenzo Celano, al quale devo una risposta sul
“ Senza trucchi di finale “ , un grazie per “ La cinghia,vostro onore
“ e alcune informazioni sulle mie, diciamo attività culturali…
Se dunque lo vedi, salutamelo, scusami per la non tempestività della
risposta e digli che ho letto tutto e che, dunque, gli scriverò appena
potrò. Credo di averti informato su quasi tutto, tranne che mancano
due minuti alla mezzanotte, che ho sonno, mal di testa e un tavolo
troppo ingombro di carte, e una gran tentazione di farne una gran
fiammata… Ciao, Rosa Maria
LETTERA DI GIOVANNI COLANGELO
Be
llizzi, 26.07.1987
Carissimo Antonio,
giorni fa pensavo e ripensavo ai tuoi consigli telefonici ( avevo
comprato anche il volume consigliatomi: “Manuale di stile”), quando mi
giunse “Basilicata” . La sfogliai e mi fermai a pag. 26. Lessi
rapidamente la prima parte della tua recensione al mio “ Le
ricettizie della diocesi di Marsico nei secoli XVI-XVIII e tuo “
Parrocchie in Val d’Agri”, che è poi lo stesso libro. Lessi e
rilessi, invece, attentamente la parte che ti prego di rileggere per
l’ennesima volta, mentre faccio qualche digressione, non troppe, però,
e senza approfondire il discorso perché ho troppo da fare per
scriverti un romanzo:
“ Un conflitto fra essere e dover essere, che Colangelo illustra con
pignoleria, anche se non si può non augurare che anche i nostri
storici inizino a venire incontro al desiderio di conoscenza d’un
pubblico più vasto e che quindi apprendano a scrivere in maniera più
suadente e discorsiva, abbandonando gli attuali timori che li
vincolano all’inutile rispetto accademico o ad una malintesa fedeltà
ai testi ed alle fonti, che stanno lì per essere reinterpretati e non
solo, sia pur accuratamente, presentati . Antonio Lotierzo “.
Tu sai che per una legge ingiusta siamo stati tagliati fuori dai ruoli
universitari. Ma ciò non c’impedisce di scrivere libri a livello
universitario. “Laico” della cultura e pur con tante cose da fare, di
tanto in tanto mi permetto il lusso di dare qualche lezione agli “
accademici”, i quali spesso blaterano di qua e di là e pensano che,
impedendomi l’accesso a certi Centri e non inviandomi gli inviti a
certi convegni, mi impediranno di parlare e di scrivere! Ma non è
così, perché più si danno da fare, più tutta la loro farina va in
crusca. Una lezione volevo dare a parecchi “ accademici” con i miei
due articoli sulle ricettizie della diocesi di Marsico, lezione che
andavo preparando sin dal 1971 quando, ricercando, ero già addivenuto
a certe conclusioni, conclusioni che m’impedirono di pubblicare,
perché le mie documentate tesi scalzavano alcune “ storie” che
andavano e vanno per la maggiore e delle quali anche tu sei ancora
infatuato. Io avevo intrapreso allora la “ carriera” universitaria e
perciò mi convenne tenere nel cassetto le mie idee. Successivamente,
però, avendo raggiunto la maggiore età e scrollatomi di dosso il giogo
feudale che tu ancora non sei riuscito a scrollarti di dosso, ho
scritto senza alcun ritegno quanto pensavo, anche se sempre in modo
pacato e senza partire all’attacco contro questo o quello. Ritengo,
d’altra parte, che questo si chiami e sia equilibrio, equilibrio che
lo storico deve sempre conservare anche in considerazione del fatto
che non esiste la STORIA ma esistono tante storie e tutte, purchè
siano scientifiche, ugualmente importanti. Io dò dei tasselli e così
ogni studioso. Ma dire la VERITA’ ( ti prego non chiedermi che cos’è
la verità! ) non è sempre facile e allora forse il mio e tuo libro ha
contribuito a far innervosire “ alcuni storici”, che ti hanno indotto
a qualche ripensamento. Dunque era agli storici che mi rivolgevo, né
ho intenzione di cambiare interlocutori a 45 anni per i motivi che ti
dirò.
D’altra parte, pubblicati i miei due articoli, me ne stavo contento “
al quia”, perché avevo raggiunto il mio scopo. Tu hai voluto farne un
libro con un titolo ambizioso e con la tua introduzione che, malgrado
i miei suggerimenti , non hai voluto rivedere. Ma né tu ,né io
dobbiamo rimproverarci alcunché, perché entrambi abbiamo fatto buona
cultura, in particolare storica. D’altra parte, se non sono mancate le
critiche e sai da parte di chi, molti sono stati i giudizi
lusinghieri: conosci anche questi!
Perciò non abbiamo sbagliato, anche se c’era qualche tuo amico che
avrebbe voluto fartelo migliorare…
Certo, si può, anzi si deve, sempre migliorare! Ma non come
suggeriscono gli invidiosi!
Ad un certo punto, però, tu hai avuto il “ grande incontro
letterario”, ti sei imbattuto in ( S.) Martelli, (U.) Eco,ecc., e,
novello Saulo, ti sei convertito… non so a che cosa! Hai
ritenuto,perciò, che io avrei dovuto usare il linguaggio dei nominati
e che debbo rivolgermi ad un più vasto pubblico, che sarebbe poi il
popolo: considero tale anche i sedicenti intellettuali, anche laureati
ed insegnanti di provincia, che quando debbono comprare un libro
dicono: costa L. 5.000!!!) . Certo il linguaggio cammina con i
tempi, ma non credo che il mio sia tanto diverso da quello corrente. E
pensare che solo qualche anno fa avevo la consapevolezza, ce l’ho
ancora, di non saper scrivere da accademico e i miei scritti mi
sembravano poco aulici e troppo rivolti al popolo! Ora tu mi accusi
del contrario: o tu mi sopravvaluti o io mi sottovaluto. Se la tua
affermazione fosse giusta, ne sarei lusingato. Intanto, per
perfezionare ancora meglio il mio linguaggio accademico, continuerò a
leggere gli scritti degli accademici e trascurerò quelli che non lo
sono ( forse che Eco, Martelli, Camporesi,ecc. non sono
accademici ? ). Tuttavia, io, come ti dicevo, ho fatto la mia scelta:
ho deciso di rivolgermi agli accademici e, se voglio farmi capire da
loro, debbo, per forza di cose, usare il loro linguaggio. D’altra
parte, non m’interessa indottrinare il popolo, anche perché ho già
visto fallire molti di questi progetti. Che resta ad esempio, di tutti
i buoni proponimenti degli “ Apostoli” degli Anni Cinquanta ( De
Martino, Arturo Arcomanno,ecc.) ? Consapevoli che la cultura avrebbe
trasformato il popolo, pretesero di elevarlo dandogli più scuola, con
l’ antropologia e con le idee del PCI e del PSI. Ma il popolo crebbe
diversamente sfottendosene dei suoi benefattori e diventò più colto
per altra strada ( la televisione, l’automobile, le strade a
scorrimento veloce,ecc.), creandosi ideali diversi da quelli che
volevano inculcargli i nostri bravi studiosi e per i quali avevano
tanto combattuto e sofferto. Ed ora di tutto il loro travagli
interiore, ansie, preoccupazioni,ecc. non restano che alcune migliaia
di pagine sulle quali di tanto in tanto si sprofonda un Lotierzo, un
Colangelo,ecc., per fare la storia di quel momento culturale, che,
tutto sommato, ha avuto una “certa” importanza forse solo per l’
“intellighentia “ ( perdonami questa parolaccia), che suonerà male ad
un populista quale tu vorresti essere, forse solo a scopo
editoriale !!!). D’altra parte a 23 anni avevo le tue idee e pensavo
di fare storia per il popolo. Feci le mie prime esperienze su un
giornalaccio ( lo definisco tale non tanto per l’opinabile contenuto,
che allora non capivo neppure, ma in particolare perché era pieno
zeppo di ORRORI tipografici) di provincia. Pensavo che tutti
dovessero comprare il settimanale ( poi quindicinale e mensile) perché
io vi scrivevo sulla storia di Brienza, raccontata, naturalmente, come
sapeva fare un maestro elementare ( allora insegnavo alle elementari)
ai suoi scolari. Mi leggeva solo l’”intellighentia “ burgentina
( Paolo Laurino,Mimì Collazzo e pochi altri colleghi, perché mi
rispettavano) . Il popolo, che io volevo indottrinare ed elevare, se
ne FOTTEVA, anzi mi diceva: chi te lo fa fare di perdere tempo e
denaro ? Eppure allora stavo in mezzo al popolo, parlavo la sua
lingua, mi ponevo i problemi dal suo punto di vista, ecc., in una :
facevo parte del popolo.
Ma un giorno ebbi anch’io la mia conversione. Il prof. A. Cestaro ,
al quale, malgrado i suoi difetti, debbo parecchio, aveva sulla
scrivania uno dei numeri del “ giornalaccio” . Lo fissava e poi,
alzando gli occhi puntatemeli addosso, mi disse : “ Deve fare una
scelta ! O fa il ricercatore o fa il divulgatore . Sono due ruoli ben
distinti. Se vuol fare il divulgatore, continui pure a scrivere così e
per il popolo, come lei dice, dal quale non le verrà granchè. Se,
invece, vuole entrare nel mondo accademico e vuol contribuire al
progresso della ricerca storica, deve pensare che quando ricerca deve
avere un bagaglio culturale, perciò deve leggere molto, leggere,
leggere… e quando scrive (deve) rivolgersi agli storici, dei quali
deve cercare di sapere ciò che sanno e ciò che vogliono sapere da lei
“ .
Fu un discorso fatto col cuore, serio, che accettai subito, anche
se in quel momento non ne compresi tutta la portata. Allora feci la
mia scelta e, come ti ho già scritto, non intendo rimetterla in
discussione. Io continuerò a scrivere di storia come so fare, avrò 25
( almeno me lo auguro) lettori ( caso mai per illudermi di averli,
regalerò loro i miei libri ) quasi tutti terribili, spietati,
criticisimi più di te, ma continuerò a fare ricerca storica i8n modo
scientifico e col linguaggio che tu condanni. Autorizzerò gli altri
( invero ne è già sorto qualcuno e a tal proposito vedi il libro su
Brienza di Mariano Collazzo non solo tutto suggerito da me, ma anche
copiato dai miei scritti, anche le note e i documenti riportati ) a
leggere i miei libri ed a farne delle edizioni per il popolo: spero
che i divulgatori trovino più lettori di quanti ne abbia trovati io
fino a questo momento in Val d’Agri ( ma la cosa mi interessa poco,
perché professori da Filadelfia, ecc. mi chiedono di scrivere con
loro ! ).
Ed ora veniamo a questo linguaggio nuovo che io non conosco. Intanto
ti ringrazio per l’assaggio inviatomi di “ Il pane selvaggio “ di
Camporesi, un libro che avevo già segnato fra quelli da prendere in
biblioteca insieme ad altri due dello stesso autore. Confesso, conosco
Camporesi da alcuni giudizi, uno dei quali riporto qui: vedi
fotocopia. Ma veniamo alla p.5 di “ Il pane selvaggio” , 25 righi,
titolo compreso,tutti per il popolo ( credo di non aver capito il tuo
concetto di più vasto pubblico!!!) Dopo il titolo,un rigo o quasi in
francese, per il popolo! Ad un certo punto 3 righi e poi 2 riportati
da due documenti del ‘500. Al centro della pagina un pensiero di 8
righi, pieno di incisi e controincisi e di una elaborazione culturale
unica! Anche questi tutti per il popolo! Analizziamoli ( le
sottolineature sono mie) : “ Uno squarcio orribile - proveniente da una
delle più dotte città d’Europa – che illumina
sinistramente l’ultimo stadio d’una tormentata metamorfosi, il lungo,miserabile
viaggio verso la
distruzione dell’umano e la nascita effimera dell’uomo-bestia a diuturno contatto col letame
, attratto dal miraggio del suo tiepido e fermentante calore, rifugio nauseabondo per
chi - novello Giobbe – era costretto a dormire nudo sullo sterco “.
Mi vuoi dire di quante di queste parole il popolo conosce il
significato! Quali concetti vi vedrà dietro ad ognuna di esse ? Sono
proprio quelli che voleva esprimere il raffinato Camporesi ? Ma
passiamo a pag. 6. 36 righi ( senza le due di note, che il popolo
spesso legge in continuazione del testo) , 17 dei quali in latino
8saranno questi gli unici righi che il popolo comprenderà ,
considerato che il latino è il padre della lingua italiana ), due
righi riportati da un documento e poi tante, tante, troppe parole
difficili, calamitose, labili esternate ombre rinsecchite dagli stenti, metafisiche presenze
e deprimenti allegorie della Mestizia , come altre parole, con la maiuscola ),
promenade, Homilia dicta tempore famis et siccitatis e tanti elaborati concetti
dietro ad esse che sono compresi solo da un’anima filosofica e poetica
come la tua e non già da quella più matematica e scientifica quale è
la mia ! !! Per carità, non facciamo, con queste letture, perdere al
popolo anche quel pochissimo amore per la lettura inculcatogli sui
banchi di scuola. Se vuoi che io lasci il mio modo di scrivere,
suggeriscimi di leggere gli storici francesi, inglesi,americani, i
quali , tuttavia, sembrano dalla lingua facile ed accessibile , ma
aleggerli bene sonodifficili quanto se non più degli italiani. Non
propormi ,però, di leggere gli aulici e raffinati Camporesi, Eco, ecc.
altrimenti finirò per amare sempre più il mio linguaggio e il mio modo
di fare storia, modi che il mio editore ( leggi Lotierzo ) prima
pubblica e pubblicizza e poi condanna ( pubblicizzandoli ) su una
rivista che ha tanti meriti, ma che pure si rivolge al popolo con un
linguaggio spesso aulico, “ accademico”,ecc..
Rifletterò ancora sulle poche ma significative frasi da te scritte a
recensione del mio libro ( tra l’altro accenni al mio modo di fare
storia ed all’utilizzazione che faccio dei documenti che certamente a
te non piacciono !!! ) cose sulle quali, se avrò il tempo, ti
risponderò, sempre per lettera.
Per ora ti abbraccio ancora più fraternamente di sempre, pregandoti di
estenedere i miei saluti, e quelli delle mie , ai tuoi,
tuo Nino
LETTERA DI PASQUALE TOTARO ZIELLA
Senise, 14. 10. 1987
Caro Tonino,
non so se posso chiamarti ancora così, adesso che sei preside ( a
proposito tanti,tanti auguri di cuore).
Tu vuoi sapere novità. E’ tutto a posto e niente in ordine; qui non
succede niente. Sono disperato, disperato,
disperato. Non riesco più a concludere niente e quel poco che faccio
sembra che sia tutto sbagliato, che mi si
rivolti contro. I miei figli, sono già tre, mi mangiano tutto il tempo.
Non riesco più a pensare, a sermi al tavolo. Stare in Basilicata a fare
resistenza e confino comincia a pesarmi. Devo lottare anche per una
stupidaggine. Qui vedono l’interesse e la cattiveria in tutto.
L’iniziativa editoriale è fallimentare e la reggo con le stampelle. Non
riesco a far partire niente di niente. Nessuno dà una mano. Captano ha
ragione. Abbiamo accumulato nel deposito pile di libri. Gli organi
competenti e preposti fanno finta di niente su qualsiasi proposta.
Chiedono solo e sempre la tessera per farti mendicare le briciole, che
sono sempre umilianti. Ti vogliono togliere il midollo spinale.
Sono anni già che lavoro a due libri di racconti. Caro Tonino, scusa
dello sfogo e scusami per averti fatto perdere tempo con le mie
chiacchiere. La disperazione è mia e me la tengo.
In riguardo al tuo lavoro, forse lunedì dovrei andare a ritirare le bozze
e le spedisco.
A proposito! Dimenticavo di ringraziarti per il Corriere della Sera . Ti
ringrazio. Scusami ancora per la poco organicità del dettato: Ti
abbraccio fraternamente,
Pasquale
LETTERA DI MICHELE DE LUCA
Roma, 5. 12. 1993
Caro Antonio,
mi ha fatto molto piacere ricevere la tua lettera e vedere così
ristabilito un contatto interrotto qualche anno fa’.
Innanzitutto accetto ( con interesse) il tuo suggerimento e mi
autoregalerò il tuo libro. Anch’io ti seguo su “ Basilicata”, che per ora
è rimasto il mio unico ( e assolutamente gratuito) impegno “ lucano” .
Con Leonardo Sacco – tra le persone, che, per la sua intelligenza e
dedizione, stimo di più in assoluto – è sempre gratificante collaborare,
dando una mano alla sua costante fatica.
Per il resto ho dovuto interrompere il lungo e fruttuoso ( mi auguro)
lavoro svolto nei nostri paesi perché era diventato troppo gravoso,
mentre poco o niente – almeno ai livelli che immaginavo e per i quali
valeva la pena impegnarsi – sembrava “ decollare”, nella sostanziale
indifferenza delle amministrazioni, a partire da quella locale ( di
Sasso). L’esperienza del Comitato mi è servita moltissimo per dare uno
sbocco professionale all’impegno e agli interessi prima confinati nel
cosiddetto volontariato, tanto che il lavoro attuale ( tranne un piede
dentro ad una banca, che purtroppo ancora non sono riuscito a tirare
fuori ) è tutto calato nella attività giornalistica ( con diverse
collaborazioni), negli uffici stampa ( da 7 – 8 anni curo quello della
Fratelli Alinari, che è il top nel settore della fotografia) e
nell’organizzazione culturale. Anche se il momento, come per tante altre
cose, non è davvero esaltante. Avrei voluto, a questo punto, riversare la
mia “ professionalità” in nuovo impegno per la Basilicata e per il Sud;
ma ho l’impressione che quella bella stagione sia lontana ed
irripetibile… E’ rimasto in piedi a Sasso il discorso della biblioteca,
tenuta in frigorifero ( o, forse meglio, nell’obitorio) dalla passata
amministrazione. Ora è cambiato il sindaco e fatto fuori l’ “ancien
régime”, e pare che si siano risvegliati interessi per la cultura!
Staremo a vedere. Arrivederci spero presto, grazie per la tua lettera e
tanti auguri anche a te e famiglia per le prossime festività. Un
abbraccio, Michele
LETTERA DI GIANCARLO TRAMUTOLI
Potenza, 25. 06. 1995
Caro Lotierzo,
ti ringrazio innanzitutto delle bellissime cose che mi hai scritto sui
miei versi. Non capita quasi mai di trovare qualcuno che vada così a
fondo e con tale attenzione e precisione nel giudizio critico.
Sono complimenti che in genere ci si fa da soli per tirarsi si e che in
questo momento davvero mi hanno dato una bella botta di fiducia di cui
avevo bisogno.
In particolare ho apprezzato il fatto che hai colto una cosa che è
centrale nella mia scrittura: la sistematica distruzione del luogo
comune, della frase fatta, del linguaggio , sia quotidiano che
letterario, logorato dall’abuso, cercando di reinventarne un altro
utilizzandone anche i brandelli in maniera anomala e spiazzante.
Un’altra cosa cui tengo moltissimo hai colto: che dietro il gioco,
l’ironia e il “ cazzeggiamento lessicale” c’è un universo di sostanziale
malinconia. Infatti succede che se dici una cosa seria scherzando
nessuno se ne accorge, e invece credo sia il solo modo di poter parlare
oggi in versi di cose anche dure e dolorose, al riparo dalla retorica che
è sempre in agguato.
Ho letto più volte le tue poesie, la cui densità mi ha suggerito una
lettura assai lenta e attenta. Ci sono dentro delle suggestioni forti e
versi come “ una piccola mela mi basta / a pulire l’amaro della bocca “
che sono di una bellezza pura. E’ uno stile che trovo intenso senza che
diventi ostico.
Pur non reputandomi un critico, scrivo quando mi capita e solo di cose
che mi piacciono veramente,credo di poter proporre qualcosa al
trimestrale della Regione Basilicata ( vi collabora anche Settembrino che
però scrive soprattutto di ambiente e col quale ci salutiamo soltanto) .
Quando uscirà ti spedirò la rivista:
Penso di dare una copia del tuo volumetto anche a Bernardo Panella che
scrive su “ Cronache Lucane “ e ad Oreste Lo Pomo, poeta e giornalista
Rai, che forse potrebbe scrivere qualcosa su “ Il Tempo” .
Se esce qualcosa te le spedirò. Intendo di nuovo grazie, e auguri, magari
il mitico Scheiwiller potrebbe presto pubblicarti il prossimo lavoro. Un
saluto affettuoso e a presto, Giancarlo Tramutoli.
INDICE
GENERALE
Cronologia
La luna della ragione: sulla poesia di Antonio Lotierzo
IL ROVESCIO DELLA PELLE
MORITOIO MARGINALE
GOLFO DI SOGNI INQUIETO