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CARLO VALLINI POESIE
Carlo ValliniPoesie
A cura di Alessandro Di Nicola
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CARLO VALLINI POESIE
L'accidioso stupore di Carlo Vallini
Il nome di Carlo Vallini (1885-1920) lo si trova relegato fra le
note a margine di qualche sparuto almanacco sulla cultura torinese
d'inizio novecento o, al pi, inserito con benevola furtivit in
scritti sul suo concittadino e amico Guido Gozzano. La fortuna
critica di un autore, per, non sempre segue tempi e direzioni della
generica diffusione dei testi: nel caso di Vallini, infatti, a una
sostanziale invisibilit pubblica dell'opera poetica ha corrisposto
un interesse sommessamente vivace da parte della critica, con un
numero di studi dedicati all'autore via via crescente negli anni
(tra gli apporti pi recenti si segnalano quelli di Tobia R.
Toscano1, Marziano Guglielminetti2 e Giuseppe Farinelli3).
Tra i primi testi critici va ricordato l'importante La poesia di
Carlo Vallini di Edoardo Sanguineti4 che, ancor oggi, costituisce
un mezzo indispensabile per collocare storicamente l'opera di
questo poeta crepuscolare, fornendo al lettore una perlustrazione
attenta dell'esiguo corpus poetico valliniano per ci che concerne
il piano stilistico e quello delle movenze affettivo-psicologiche.
Tale testo critico, per, non fa che leggere l'opera di Vallini in
controluce: la luce, ovviamente, quella vivida della grande poesia
gozzaniana.
Certo, la vicinanza tra le raccolte di Vallini La rinunzia e Un
giorno e la contemporanea La via del rifugio (pubblicate tutte nel
1907) evidente e i motivi culturali, stilistici e pienamente
poetici che avvicinano i due scrittori sono di indubbio rilievo,
come attestato da Sanguineti: l'infiltrazione prima e il
superamento poi della maniera dannunziana, lo scarto generazionale
avvertito come spostamento di senso compiutamente esistenziale,
l'emblema araldico dell'ironia che come un acido corrode
irreparabilmente la percezione dell'umano e genera una struttura
del reale pervicacemente bipolare (Tutto e Nulla). La fratellanza
poetica tra Vallini e Gozzano palese ma non esaurisce il valore del
primo e, soprattutto, non ne discopre le caratteristiche pi moderne
dell'espressione.
Il centro nevralgico della poesia valliniana di maggiore
maturit, quella di Un giorno, non da ricercarsi nel sentimento
dell'ironia: si tratta di un fattore ostentatamente culturale che,
certo, innerva un numero nutrito di versi del poemetto, ma che si
pone accanto ad altri nuclei spirituali (tra i pi vistosi e
pervasivi, oltre alla reazione alla pienezza estetica dannunziana
merita menzione un rimando al buddismo d'ascendenza romantica).
L'ironia, senza dubbio, fornisce un carico di robusta scioltezza a
quei trapassi di tono che lardellano il poemetto, oltre a donare ad
essi congruit poetica, ma i risultati pi incisivi Vallini li
ottiene quando scioglie il dato culturale, rassoda i versi portando
a compiutezza il loro incedere afono e monocorde e quando, infine,
parla con una voce sola. L'ironia in Vallini ha invece carattere
polifonico: i versi sotto il regno di questa sono talune volte di
franca ed indifesa bellezza (e per i motivi indicati con acume da
Sanguineti), spesso approssimativi e scialbi.
nel momento in cui prende il sopravvento il meccanismo di
reificazione che i versi di Un giorno si animano con piena vigora:
un accidioso stupore allarga il canto, la monotonia d'impianto nei
versi si fa fermamente salmodiante e pastosa, con gli scarti
stilistici tutti riassorbiti in una 1 TOBIA R. TOSCANO, Poesia
all'ombra di Gozzano: Un giorno (1907) di Carlo Vallini, Critica
Letteraria, 39,
1983.2 MARZIANO GUGLIELMINETTI, La scuola dell'irona. Gozzano e
i viciniori, Firenze, Olschki, 1984.3 GIUSEPPE FARINELLI, Perch tu
mi dici poeta? Storia e poesia del movimento crepuscolare, Roma,
Carocci, 2005, pp.
539-559.4 EDOARDO SANGUINETI, La poesia di Carlo Vallini, in
Carlo Vallini, Un giorno ed altre poesie, Torino, Einaudi,
1967,
pp. 5-27.
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compostezza d'eloquio, a volte, da grande poeta minore. Si
tratta della sezione del poemetto chiamata La morte (forse quella,
nel complesso, di pi alto valore), di cui giova riportare qui
qualche estratto:
Morire! Una camera mutae un letto profondo: lontanola fiamma dun
vespro sanguignoche splenda tra i cento comignoliduna citt
sconosciuta:giacere in quel letto profondo;udir con un senso
inumanodangoscia il confuso lontanoeterno fragore del mondo:sentire
che per riposareun sonno profondo non basta,ma occorre una pace pi
vasta;[...]Giacere in un letto profondo,gi morto: ecco il solo
momentodi vero riposo nel mondo!Pi tardi la terra ci afferrae
penetra e sbriciola in polveree volge in s stessa ed evolvee
dissipa in preda del vento:ma il letto sul quale si muoreconcede
per quarantottorela pace assoluta, infinita.Nessuna forma di vitasi
svolge in quel tempo dal fondodelluomo mutatosi in cosa;quella
materia riposa;non vive, non vede, non sente:sfasciandosi
gradatamente,rinunzia allenorme faticadi dover essere unita.
Il tema della reificazione certo di schietta matrice
crepuscolare ma questa aderenza piena, almeno nei momenti migliori,
tra scansione prosciugata dei versi e una sorta di psicologia
residuale ( la cosa che soffre ed ha un io , in altra parte del
libretto) ben valliniana nei mezzi e negli esiti poetici; del
resto, se si pone orecchio alle rifrazioni generate dalla riduzione
a cosa del soggetto, cos centrale in Vallini, certe bizzarre
coincidenze con la futura esperienza poetica di Camillo Sbarbaro,
ad esempio, appariranno meno peregrine: si pensi al tema
sbarbariano della folla contrapposta ad un soggetto poetico inerte,
quindi si leggano dalla sezione La folla di Un giorno versi come la
specie temuta, lumana / specie simile a me: oppure i seguenti:
la specie gravata dal cuporetaggio dun odio mai domo,la specie
maligna delluomoche alluomo sar sempre lupo,la specie infinita che
figliain modo vertiginoso,che figlia senza riposoal pari duna
coniglia,che germina, alligna, rampollaovunque possa trovare
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un posto: e che forma quel marevivente detto la folla.[...]La
folla! Ecco il nome tremendoche mi sbiancava la faccia
Decantati i versi dagli elementi di prosaicit parodica, ecco
visibile in filigrana quell'alleanza tra reificazione, teso stupore
e molteplicit animalesca che successivamente gigantegger nella
poesia dell'essere di Sbarbaro. Il motivo di tali affinit di netta
evidenza: anche in Vallini la disgregazione di un orizzonte
culturale unitario a trasformare, da una parte, l'individuo
poetante in cosa, dall'altra il sodalizio umano in una brutale
sequenza di azioni svincolate le une dalle altre, all'interno di
una disarticolazione coerente degli spazi soggettivi e oggettivi.
Quel germina, alligna, rampolla , poi, difficile che non faccia
venire alla mente le Fronti calve di vecchi, inconsapevoli / occhi
di bimbi, facce consuete / di nati a faticare e a riprodursi di
Talor, mentre cammino per le strade del poeta ligure ed
interessante notare come, in questa sorta di passaggio di fiaccola
da Vallini a Sbarbaro, la reificazione maturi fino a divenire una
limpida cristallizzazione in immagini.Prima del poemetto Un giorno,
Carlo Vallini diede alle stampe la raccolta La rinunzia (datata
1906). Si tratta certo di un'opera dapprendistato, esile esile in
pi punti, ma con alcuni sviluppi che pur in frutti acerbi
testimoniano di unadesione non ovvia n automatica alla pi vivace
temperie poetica dellepoca. Tra gli inevitabili calchi pascoliani,
carducciani e soprattutto dannunziani sinfiltrano motivi che
possono dirsi, senza equivoci, tenacemente crepuscolari: il gran
teatro della memoria, i saldi legami parentali rivissuti quali
emblemi di un destino costretto nella differenza, alcune smorte ed
evanescenti figure femminili, gli oggetti onusti di memoria e
marchiati dal tempo, le abitazioni congelate nella loro antichit.
Tra i versi di variabilissima fattura di questo libretto spiccano I
sonetti della casa e, in misura minore, i sonetti raccolti nella
sezione La donna del parco; in essi possibile rinvenire le
soluzioni poetiche pi fertili e, se non ancora compiutamente
personali, certo pi culturalmente aggiornate presenti nella prima
raccolta valliniana.
ALESSANDRO DI NICOLA
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Carlo Vallini nasce a Milano nel 1885 da Tito Vallini e Maria
Zanoni. A Torino ottiene la licenza liceale. Nel 1902 si imbarca
come mozzo su una nave diretta in Giamaica: questa esperienza viene
raccontata nel diario di viaggio postumo pubblicato da Carlo
Calcaterra nel volume Scuola nostra. Letture per la scuola Media,
Torino, Sei, 1942: Da mozzo a poeta. Storia vera di Carlo Vallini,
poeta per un'altezza. Torna in Italia nel 1903 e nel 1905 si
iscrive alla facolt di Lettere e Filosofia di Torino, dove segue le
lezioni di Arturo Graf e stringe amicizia con Guido Gozzano. Nel
1907 pubblica La rinunzia e Un giorno presso l'editore Streglio.
Nel 1909 si laurea in Lettere a Bologna e, successivamente, insegna
in licei e istituti superiori. Nel 1912 pubblica presso l'editore
Sonzogno il Dramma lirico in un atto Radda (musica di Giacomo
Orefice), che viene messo in scena al Lirico di Milano nel medesimo
anno. Nel 1913 viene pubblicato il Dizionario della mitologia
classica e nell'anno seguente vede la luce Le Prince de la Mer,
testo destinato alla musica. Durante la prima guerra mondiale
sottotenente negli alpini e ottiene una medaglia al valore per la
presa del forte Matassone, evento ricordato nella ode Per una
altezza. Nel 1920 viene pubblicata sulla rivista Novella la favola
I presagi, facente parte delle Nove favole per un amore (di queste
sar poi pubblicata una seconda favola, L'isola del sogno, in
Convivium, 1959). Dello stesso anno la traduzione della Ballata del
carcere di Reading di Oscar Wilde. Muore per embolia nel 1920.
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Opere di Carlo Vallini
La rinunzia (1906), Torino-Venaria Reale, R. Streglio, 1907.Un
giorno, Torino-Venaria Reale, R. Streglio, 1907.Radda, Dramma
lirico in un atto (da Massimo Gorki). Musica di Giacomo Orefice,
Milano, E. Sonzogno, 1912.Dizionario della mitologia classica,
Rocca S. Casciano, L. Cappelli, 1913.Le Prince de la Mer, Reggio
Emilia, Cooperativa Lavoranti Tipografi, 1914.Per una altezza,
Pavia, Successori Marelli, 1916.La ballata del carcere di Reading
di Oscar Wilde, Milano, Modernissima, 1920.Dizionario della
mitologia classica, Seconda ed., Bologna-Rocca S. Casciano, L.
Cappelli, 1921.Dizionario della mitologia classica, 3 ed.,
Bologna-Rocca S. Casciano, L. Cappelli, 1933.Un giorno e altre
poesie a cura di Edoardo Sanguineti, Torino, G. Einaudi, 1967.Guido
Gozzano - Giorgio De Rienzo - Carlo Vallini, Lettere a Carlo
Vallini con altri inediti, Torino, Centro Studi Piemontesi,
1971.
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CARLO VALLINI POESIE
La rinunzia(1906)
Infinito ritorno delle cose!
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CARLO VALLINI POESIE
I baccanali
I.O meraviglia che non ha parole per tutta la pulsante carne
umana che esultando e fremendo, calda e sana, sabbronza nel tuo
raggio, o padre Sole! Unica vera che per mille gole grida al mondo
la sua forza sovrana, fervida dunignota vita, strana, muta carne
che sanguina e che duole! Par che dentro di me tutta saccenda
allignota virt del raggio ustorio lebbrezza dun antico istinto
indomo: e sentendo alla tua gioia tremenda le mie membra
risplendere, mi glorio, o padre Sole, desser nato uomo.
II. Il vento agita i rami dalla folta chioma e lenta frascheggia
la verzura dellorto, ove una luce verdescura piove per lalto della
cupa volta. Altro suon che del vento non sascolta vivere in questa
verde sepoltura:sol dei pomi che Agosto ora matura, languido il
tonfo in terra a volta a volta. Uno ne colgo presso me che serba
quasi come un tangibile vestigio del sole nella rosea polpa densa;
e addentandolo, prono in mezzo allerba guardo sotto il mio volto,
per prodigio, viva agitarsi una foresta immensa.
III. Agosto, la vertigine solare che esulta nellimmensit serena,
quella ondio nuovo sento in ogni vena scorrermi un caldo flutto
salutare, nella mia solitudine mappare fervida duna vita cos piena,
qual io la vedo sulla terra ellena
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CARLO VALLINI POESIE
splendere nel ricordo secolare. Agosto, io seguo in cielo la tua
traccia supino; e in questa sovrumana pacelansia del bene insolito
mafferra. Ma tu, divino, dalle curve braccia doro, come da unanfora
capace, mi versi, Agosto, i frutti della Terra.
IV. O mattino, mattino che mappari a un tratto per le schiuse
ampie finestre splendendo per limmensit campestre sui dispersi
lontani casolari, gemmeo sui vitiferi filari e tra le siepi delle
vie maestre, inneggiante alla gran forza terrestre tra il fogliame
dei tronchi centenari! O gloria del tuo sole tra i capelligiovani,
vivi, abbandonati al vento, ove il tuo folgorante oro traspare!Tu
milludi e mafferri e mi flagellidi tale un desiderio aspro, chio
sentoperdermi nel tuo fremito e mancare.
V.Regnando il mezzod sotto la cava infinit del ciel bianco e
silente, sta sola a mezzo il letto del torrente curva una donna
giovine che lava. Suscita il sole tra la chioma flava, a tratti,
come un altro sole ardente: ella, che nulla vede e nulla sente,
canta dun ch lontano e che lamava.Dilaga il canto via per il
soporegrave dei campi sconfinanti: dice nel suo vivo gorgoglio di
fontanatutta locculta fiamma dun amore, tutta la forza dellet
felicetutta la gioia dunanima umana.
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CARLO VALLINI POESIE
VI.Dal sereno orizzonte dove ancora persiste il giorno in un
chiaror sovrano, sorge la luna pallida e sul piano lentamente
sinarca e trascolora.Sullaia bianca intanto la canoraturba assisa
divide il biondo grano:dilaga il canto e attinge il ciel lontano
pieno della mala triste dellora.Tu pure, canti. In un dolce atto io
chino su te, ti guardo e tremo: e dalla golasento un singhiozzo
erompere di pianto e ti appresso le labbra e sul divinovolto ti
bacio senza far parola...tu mi sorridi e sguiti il tuo canto.
VII. Sotto il ciel vespertino, ove alle bracidel tramonto un
sereno ampio sovrasta,seminuda prorompe la nefasta turba, al rosso
baglior di mille faci.Gli uomini folli in impeti pugnacivibrano in
pugno i tirsi come unasta;bieche, di tra leffusa chioma
vasta,sogghignano le femmine procaci.Passa la turba come una bufera
sulla terra felice e tra furenti grida, nel morto vespero dispare.
Timide allora, nellestiva sera, dal profondo dei muti firmamenti
scintillano le prime stelle, chiare.
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CARLO VALLINI POESIE
Elegia allestate morente
Estate, sembri immota come il sole a mezzo il giorno e come lui
declini! teffondi per i tuoi cieli divini con un languore che non
ha parole. Forse non con tale impeto soverchio daffanno ti sentii
gi lontanare quandio triste vagava lungo il mare senza una vela,
tra la Magra e il Serchio e indugiando sul culmine rupestro il sole
morente a mezzo la catena dellAlpe, in me lantica anima ellena
suscitava il ricordo del Maestro. Pi mi commuovi adesso che
tattardi nel languore dunultima vigilia profondendo alla mia terra
dEmilia la dolcezza dei tuoi doni pi tardi, adesso che dal tuo
calice colmo nei silenzi dei vesperi tranquilli il miele nella vite
aurea distilli abbarbicata in lunghi ordini allolmo, ora che la
dolcezza del tuo miele i chicchi duva gi appassiti intorbida e pi
lenta si spande nella morbida polpa rosata e densa delle mele.
Dolce la sera quando tra le acacie delle siepi spinose il sol
traguarda e lentamente a occaso par che arda lorizzonte in un
cumulo di brace! Sullacqua immota del torrente, a specchiodel cielo
che pi in alto trascolorain una tinta meno calda, allora si
diffonde il color delloro vecchio; par che pi netto il pioppo si
profili sul cielo; vien dal folto dei noccioli flebile un
gorgheggiar di rosignoli e un cinguetto confuso dai fienili...
Estate eterna, quantio gi tamassifanciullo, assorto nei miei sogni
gravi,tu lo ricordi, ma non mi sembravi rapida come adesso che
trapassi!
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Soli, in lor verde pertinace, il salice e il cipresso non
mutano: ma sente la terra che tu versi pianamente lultime dolci
stille dal tuo calice, poich, prossimo il vespero, nellora divina,
quando la campagna tace, gi dai cieli dilaga tanta pace che lanima
stupita ne dolora. Ed io che assorto nel mio sogno amai queste
dolcezze, ed io non rivedr tutto ci che ora muore, tutto ci che
forse non ritorner pi mai? Anima mia che lenta ti compiaci in un
sogno nostalgico, non vuoi tu ritentare anche una volta i tuoi
sogni e le belle immagini fallaci? Se il dolore tingombra, e tu
rimuovinelamarezza e concediti una tregua.Or tarride lEstate che
dilegua,dolce, come unamante non pi giovine.E ancora ancora Pan,
dio dei poeti, sul digradante flauto a sette fori modula il pianto
dei perduti amori errando non veduto fra i canneti,poich, tremando
nel cuor mio di tanto prodigio, un d lo scorsi che dormivapresso un
gran fiume antico, sulla riva,e il flauto a sette fori eragli
accanto.
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Ipnosi
I.
Ben io quel d che prima lungamente negli occhi tuoi sereni
maffissava, sapea labisso che lo sguardo scava nel secreto
dellessere dormente. Tutto pareva in me nascostamente nutrir la
nuova cupidigia prava, quando il folle deso daverti schiava torbido
divamp nella mia mente. Ma poi che ti ridussi nellintero abbandono
di te, poi che nel tardo sonno ti contemplai bianca, asservita,
rabbrividii sullorlo del mistero che infondea per la forza duno
sguardo nella tua vita tutta la mia vita.
II.
Oggi se in me pi forte si rimova la confusa memoria di quel male
oggi il brivido tristo che massale safforza in me dunacutezza
nuova. E il lontano ricordo mi ritrova presso di te che in un
pallor mortale smarrita, affondi il volto nel guanciale, nuda nella
penombra dellalcova. Io ti guardo nel sonno: sotto al mio sguardo i
tuoi nervi vibrano, pervasi da uno strano infrenabile tremore.Ti
guardo: e a un improvviso scricchiolo del legno, io sento dentro il
petto quasi arrestarmisi i battiti del cuore.
III.
Nella stanza secreta ove una sola fiamma oscilla nellombra a
quando a quando sulle forme confuse il lume blando mette cupi
riflessi di viola. Tu invano, udendo dalla mia parola
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scender lirresistibile comando, mavvinci e ti divincoli
implorando vinta, sommessa, con il pianto in gola. Vedo nella
pupilla che divora liride dei tuoi grandi occhi sperduti lo
sgomento che tutta ti scompone: ma contro questignota forza ancora
inutilmente, o donna, ti rifiuti tu con un gesto di ribellione.
IV. Ombra che dal passato e dalla vana mia malata tristezza
ernergi fuori, ombra, che pi tavvivi e ti colori quanto il tempo da
me pi tallontana, tutti, attraverso la mia febbre insana, io
conobbi i nascosti tuoi tesori e le gioie e i misteri ed i dolori
profondi della tua miseria umana. Cos sicuramente io nella folta
tenebra del tuo cuor, non sazio mai la luce avventurai del mio
pensiero, che pavido ristetti alcuna volta sullatto, ed ismarrito,
dubitai desser giunto al di l dogni mistero.
V. Nessun tristo ricordo sopravviva, amica. Lora della pace
scesa. Splende nel fuoco del tramonto accesa la fiamma della dolce
sera estiva. Lanima va nei cieli fuggitiva n ricordo di lacrime le
pesa, tanto blanda in questora si palesa la virt della mia terra
adottiva. Amica, lungi palpitano lOrse nel cielo: lombra della
notte cade vasta, in un cos languido abbandono, che sullanima
stanca ora non forsepiovono lente insieme alle rugiade
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le lacrime soavi dun perdono?
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I sonetti della casa
I.
Da questa vecchia casa per le aperte finestre, come da unantica
fiala, lodor dun tempo ora scomparso esala acutamente nel silenzio
inerte. Sol nella muta vacuit savverte a quando a quando il fremito
dunala che solcando invisibile la sala dilegua per le camere
deserte. Nulla mutato intorno: ma la vera anima mia di bimbo onde
tamai nelle tue grazie semplici e leggiadre, scomparsa con la prima
primavera, ah quella non ritorner pi mai, vecchia casa del padre di
mia madre!
II.
O Nonno, la tua casa ora si gode il sole; sta come in un
abbandono ultimo, senza vita e senza suono, del tuo torrente sulle
dolci prode. E a me che duna mia pensosa lode malinconicamente
lincorono, memore forse ora discende il buono tuo domestico spirito
custode. Ancor nella memoria ti discerno aprendomi le braccia a un
tratto, lieto sorridere alla mia innocenza prima. Ma tu che dormi
nel tuo sonno eterno, tu non sai, tu non sai quale secreto pianto
non pianto ancora oggi mopprima.
III.
Ancora la tua bella faccia onesta tutta nella mia mente si
rischiara, quando mi consigliavi: Impara impara, non deve la fatica
esser molesta... E i tramonti dei d lunghi di festa
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quando lanima mia piccola e ignara uda la voce perdersi pi rara
nella gran pace di quellora mesta! Io guardavo nellombra in preda a
un sordo dolore, la tua tempia farsi cava. Chi aspettiamo? chiedevo
piano. Tu dicevi qualche nome... non ricordo. Chi dunque, o nonno,
allora saspettava tanto, che adesso non aspetto pi?
IV. Nessuno qui sattende, ora: fra tante cose morte e sepolte,
unico segno di vita, adesso, un oriol di legnoche il tempo edace ha
impresso nel quadrante.Tacea da lungo tempo: trepidante dansia, un
bel d, con paziente ingegno, io rassettai quel semplice congegno
nella sua vecchia cassa cigolante. A sommo della scala solitaria il
risorto Oriolo ora rintrona con un forte tic-tac irregolare;ma in
quel rumor metallico, per lariamorta, un oscuro ammonimento suona:
Lasciate i morti nelle loro bare!
V.Sia pace ai morti nelle bare: solo degno che fra i cipressi
alti li allieti, emulo sospiroso dei poeti,coi suoi flebili canti
il rosignolo. Cingono ancor le rondini dun volo la casa: ancora il
verde nei canneti; tutto ancor vive: lanima sacqueti lenta, cos,
tra la dolcezza e il duolo. Anima china su te stessa, ascolta:
lalbero della vita, forse, tutto grave di doni verso te sabbassa: e
tu non gioirai anche una volta del sapore fuggevole dun frutto,
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CARLO VALLINI POESIE
dellombra della nuvola che passa?
VI. Sii benedetta, o triste illusione dun tempo, che mi fai
lanima paga e tu, sperduta in unignota plaga, casa, lungi alla vita
e alle persone! Non forse questa generazione nostra, asservita alla
novella maga, troppo gli enigmi della vita indaga e il bene in
unindagine ripone? Chi dunque il fior della dimenticanza sparger
sopra il bene e sopra il male, ignorando la gloria e la
vergogna?Sia pur lombra del sogno che savanza gelida, allombra
della morte uguale: ma tu non la fuggire, anima: sogna.
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I sonetti di Settembre
I.
O Settembre tuttoro, o bel garzone soave nei tuoi rosei velarii,
o mesto iddio dei luoghi solitarii che ti cingi le tempie di
corone, O triste come unimplorazione che la malinconia dei tuoi
pomarii popoli solo, modulando in variiaccenti il pianto della tua
canzone, O tu che sotto un cumulo di morte foglie con un sorriso ti
prepari ogni giorno la tua gelida tomba, oh lascia tu che lanima,
pi forte sparga nei tuoi tramonti i pianti amari mentre con lombra
la tristezza piomba.
II.
Settembre, qual dolcezza nuova emana al lento luminoso dilagare
del sole nelle tue mattine chiare, dalla mia blanda terra emiliana?
Sembra ogni forma fatta pi lontana da un vel di sogno e di
silenzio: pare che ogni albero, ogni zolla, ogni filare, tremi nel
sole duna gioia umana. Mentrio, sperduto nei silenzi, ascolto come
ogni frutto in un respiro armonico duna celeste ebriet saggravi,
mappar la terra simile a un bel volto, ove, come un pensiero
malinconico, passin ombre di nuvole soavi.
III.
O Settembre, le tue placide vigne ove splendeano i bei grappoli
doro, giacciono dispogliate del tesoro pendulo tra il rossor del
tralcio insigne.Or non pi quando flagran le sanguigne
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CARLO VALLINI POESIE
nubi alloccaso, il lieto stuol canoro libera verso i cieli il
vasto coro bacchico, su dallalte erbe rossigne. Mesto Settembre, o
tu giovane Sire, celami sotto il pampino che trema dun grappolo
obliato oggi la gioia! Fa chio lo colga e dentro me fluire io senta
quella dolce estasi estrema: dolce cos che il cuor ebro ne
muoia.
IV. Settembre, se vivesse ora il gran parco ove regnar nel sogno
un d credei, vanire il suon della tua tibia udrei dal folto delle
acacie incurve ad arco. Piegando sotto il troppo grave incarco del
mito onde per me divin tu sei, sabbatteron trafitti i Sogni miei
dalla Vita che un d li attese al varco. Tacque allora il crosciare
delle cento fontane e nella lugubre dimora, funebri, soli, vissero
i cipressi.Ora, immoti, nei vespri senza vento, mentre lultimo sol
grave li indora, piangono, nella gran pace, sommessi.
V.O Settembre, nel bel parco silente ove assorto al mio sogno un
d vagai, fa chio rivegga ancora dai rosai fiorir le rose,
prodigiosamente. Chio rioda tra i boschi dolcemente gemer le mie
fontane dolci lai e le gelide statue che mai mutano gesto,
interrogarmi intente. Irrompa tra i cipressi, per le aperte
finestre, nel castello, la sovrana fiamma sanguigna del gran sol
che muore e dilaghi via via per le deserte plaghe, una voce triste
che lontana
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CARLO VALLINI POESIE
mi sembri e pianga invece nel mio cuore.
VI. Settembre, nella santit dellora nunzia del tramonto, per i
vastialberi dei frutteti non ti bastiinfondere lambrosia che li
irrora; ma tra i sentieri solitarii ancoraama vagare, celebrando i
fasti della tristezza che mi rivelasti nel soffio della tua tibia
sonora. O giovine dal crine di viola, cinto il fronte di pampino
rubente, mesto e superbo come un semidio, io sento mentre il suon
senza parola si disperde nellaere silente, profondarmi in un gran
mare doblio.
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CARLO VALLINI POESIE
La donna del parco
I.
Tu solitaria chentro me teffigi quando nel sogno lanima
sconfina, cupa celando unombra sibillina nella profondit delli
occhi grigi, tu che nel muto parco prediligi la serena tristezza
vespertina se tra i cipressi il raggio che declina folgori sopra
gli ultimi fastigi,anima amante ed anima sorella, abisso ignoto ove
lAmore cinge brividendo la Morte che linvita, non tu rendi limagine
di quella che presiede nellatto duna sfinge alle fonti del Sogno e
della Vita?
II.
Sola nel parco, a vespero, una fresca fontana rompe in getti di
coralli e nemergono i fauni ed i cavalli snelli, in atti di grazia
pittoresca. Ma sembra che pi languida saccrescala tristezza del
parco oltre i cristalli iridescenti, a toni rossi e gialli della
tua vasta casa secentesca. Vuota la casa: oscuri i secolariquadri,
come i pensieri che raccoglieimmobilmente la tua fronte
china,mentre guardi con occhi solitari come nel parco muoiano le
foglie e crolli nel tuo cuore una rovina.
III.
Non pi la fuga delle stanze vuote gravi di tante e tante cose
morte turbi il rombo feral del pianoforte che i silenzi dei secoli
riscote. Il sogno sacro: e qui si ripercote
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CARLO VALLINI POESIE
tra la mollezza delle stoffe smorte forse troppo improvviso e
troppo forte questo sonoro turbine di note. Voglio un motivo lento,
ove predmini la nota alta del pianto, ma con unapotenza che mi
vincoli e massorba; come quando, di notte, lungi agli uomini, un
infelice va, sotto la luna,addolcendo le note alla tiorba.
IV. E tu, simile allerma che corrose il tempo, senza fine ti
prepari a riveder tra i bussi secolari avvicendarsi i colchici e le
rose. Infinito ritorno delle cose nel tempo! Solo, in fondo alli
occhi chiari tuoi, come in grembo a laghi solitari, il tuo mistico
sogno si compose. Ben ti conobbi allora chio bambino di tutto
ignaro, presentivo il lento svolgersi della favola infinita,quando,
fiorendo a maggio il mio giardinotriste, con indicibile sgomento
matterrivo a quellimpeto di vita!
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CARLO VALLINI POESIE
Mare nostrum
I.
O mare immenso, ebro di sole estivo, dove naufraga il cerulo
Apennino roccioso, o mare, ove temprai bambino le forze del mio
corpo agile e vivo! Mio mare, nel cui flutto acre sentivo farsi
lanima mia soffio divino e mescersi col murmure marino al lontano
stormire dellulivo!Bianco il lido e infinito era: sovrana la luce:
i boschi immobili; dargento il golfo vasto scintillante terso: e a
tratti, invaso da una sovrumana forza, io senta nel liquido
elemento pulsarmi in petto il cuor dellUniverso.
II.
La barca si disnoda ora dal banco liberamente, uscita dalla
lotta del bassofondo, dove londa rotta ribolliva in un gran
risucchio bianco. Immoto a poppa io vigilo il paranco ove trepida
tendesi la scotta e la randa rigonfia, onde condotta va la piccola
nave sopra un fianco. Sallontanan le rive. Come Ulisse solo,
sperduto qui tra cielo e mare, vincere ancor lavversa sorte
fiera...Se la favola a un tratto rifiorisse! E sento sopra il mio
capo passare lepos dOmero, come una bufera.
III.
Allalba il mare calmo, dove ancora un gran raggio di luna si
riflette, ha luci verdi ed ombre violette tra la bruma leggera che
vapora. Poi sempre pi savviva, si colora,
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CARLO VALLINI POESIE
sprizza barbagli di rubino e mette fuochi tra londe, mentre
sulle vette brulle, dilaga il rosso dellaurora. Allora tutto un
nuovo vibramento che con mille colori e mille forme trasmuta il
piano dellequorea mole: fino a che tra una gloria doro, lento,come
un incandescente disco enorme appare e sta sopra le rocce il
Sole.
IV. Ma che tristezza nel tramonto doro che sfuma nella porpora e
nel croco! I flutti, accesi di un baglior di fuoco, rendono a
tratti un brivido sonoro. Per laranciato ciel di messidoro un canto
lene salza a poco a poco; ascoltando, sattrista: e lento e fioco
conquide e allaga il cerulo pianoro.Ondando lenti nella luce pia
che indora il Vespro, petali di rose vanno infiorando i cavi
polipai;e solo, come una sottil mala,dilaga lentamente sulle
cosequel canto triste che non muore mai.
V.Il sole trasparendo nella brumapesante, tinge i flutti di
sanguigno: greve un vapore per il ciel maligno,ondulando sullacque,
indugia e fuma. Galleggia lieve e candida la schiuma spinta dalla
risacca sul macigno di un enorme dirupo, irto, ferrigno, ove
sullalghe, a poco, si raggruma. Il salso odore su, fra grano e
grano della rena umidiccia, in una fuga acre, svapora con effluvio
lento. Ma si scioglie la nebbia a un tratto: il pianodel mare
brividendo si corruga
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CARLO VALLINI POESIE
sotto una prima raffica di vento.
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CARLO VALLINI POESIE
La canzone del mare
Maggio, qual voce ebbe il mio cuore quandoGenova agli occhi miei
fulse di gloria nel sole di un tuo limpido mattino? Ebra di luce la
citt dei Doria tutta di mille fiamme folgorando stendeasi bianca a
pie dellApennino: a tratti, con lo zefiro marino, giungean le prime
voci aspre, i rumori del porto: e col sentore del catrame tra i
pennoni protesi e il sartiame vena cornmisto lalito dei fiori:
tuonava a salve, rapido, solenne, il cannone sul bosco delle
antenne. Maggio, il mio cuor non disse la parola di gioia, poich
stette quasi vinto al dilagar dellimpeto solare: ma parve che in un
murmure indistinto salisse la sua voce ardente e sola confondendosi
al palpito del mare. E il fervor del lavoro e laccennare degli
alberi e il fischiar delle sirene di lungi e lacre odor delle
vernici e lo stridore delle gru motrici e il tendersi di leve e di
catene e ogni suono, ogni forma, allinfinita luce, parve
dischiudermi alla vita. Mare, dei sogni miei sogno pi grande! Mio
mare, pregno dellodor dellalga, che ti snodi nel vortice dellonda,
quale si lev mai canto che valga quel che tu canti? Quali mai
ghirlande sparsero ebriet cos profonda?O mare, fiamma della mia
gioconda fanciullezza, quandio di tra la rena cocente, steso al
sole sulla riva ligure, bimbo ignaro, mi stupiva innanzi a tanta
vastit serena, avendo a tratti dentro il cuore il senso rapido di
smarrirmi nellimmenso! Ma dove, o mare, risplend pi accesa lanima
innanzi al tuo cerulo cerchio ebra damor per te come non mai?
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CARLO VALLINI POESIE
Fu nella terra tra la Magra e il Serchio,sulla riva dai pini
circompresa la plaga, o mare, dove pi tamai! Quivi, di morti rovi e
gineprai vagando solo in mezzo allarso intricoardendo in cielo e
dogni intorno loradel fuoco estivo, udii nella sonora onda cantar
lellno canto antico e dalle solate terre lontane giunger le note
flebili di Pane. O mare o mare, dov mai la rabbia del solleone
sopra le deserte rive tacenti nellardor mortale? Dove il rottame e
la medusa inerte rigettati con lalghe fra la sabbia? Dove lalito
tuo pregno di sale?... Ma un ricordo maggior di te massale sio
pensi a quando, dedito alla tua forza, si pieg al vento il
brigantino e i gioghi io salutai dellApennino lultima volta, eretto
sulla prua guardando nel fulgor triste e sublime del vespro
conflagrar lultime cime. Ancora ancora udir gemere i fianchi del
legno e i flocchi garruli e i velacci sbattere al vento con un
rombo sordo; veder curvarsi gli uomini sui braccidelle manovre,
tendersi i paranchi occhiuti, reclinarsi lento il bordo, spander
sotto alla prora il flutto ingordo la schiuma, quasi il bianco dun
sorriso!... O lungo i lidi della Spagna, in una serata malinconica
di luna, se il vento mite taccia dimprovviso, ascoltar nellimmensa
pace insonne giunger di lungi il canto delle donne. Dov lisola
bella dai tramonti doro e di sangue, ove i miei sogni ardeano un
tempo, nelle sere solitarie? lisola che sperduta nelloceano libera
sapre a tutti gli orizzonti offrendo a tutti i venti la cesarie
verde delle foreste millenarie? dove il sole del tropico sui gialli
greti e sulle verzure colorite?
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CARLO VALLINI POESIE
dove le solitudini infinite dei golfi ignoti e i banchi di
coralli? dove i silenzi arcani sotto i densi velari e lo stormir
dei cocchi immensi? O mare o mare, come una tortura lenta e grave
che allanima sovrasta, come un sogno nostalgico che accora, quando
al ricordo tuo la fiamma vasta di un folle desiderio davventura
magita dimprovviso come allora! Ma forse ancor nel fuoco dunaurora
sublime, nella tua luce, o gran maggio, vedr la nave mia spiegar la
vela al vento, rosseggiar tutta la tela accesa dal fulgor del primo
raggio, muoversi e dileguar lalata mole tra il baleno dellacque
incontro al Sole. E dallampia salsedine infeconda vedr nel cielo
sorgere i riarsimonti e i boschi dellisole fiorenti, vedr i ceruli
golfi dilatarsi trai flutti, sentir nella profonda notte, per i
sereni firmamenti, gli aromi a onde giungere sui venti. Poi, nella
lenta pace duna sera divina, sotto un gran tramonto doro, splendere
guarder come un tesoro al di l dunincognita riviera in unimmensa
fiamma sovrumana le torri di una gran citt lontana. Canzone mia,
nel palpito solare bianca sotto il profondo ciel turchino vedrai
Genova a pie dellApennino: sfiorala, insieme allalito del mare.
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CARLO VALLINI POESIE
Un giorno(1907)
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La leggenda del principe Siddharta
O Vita, in faccia al sole che tannunzia,pallido, un tempo, si
lev chi intesela verit dellultima rinunzia:quegli che meditando fe
paleseche il diletto ha radice nel dolore,e che, sapendo, perdon le
offese,quegli che non si proclam Signore,ma che agli uomini disse
con umanavoce: Vinsegner come si muore :tra i viventi il pi
prossimo al NirvanaSiddharta, che dalla regina Maianacque e dal re
dei prodi Suddhodana.Languide e belle, sparse a centinaiale schiave
duna lor musica rararendeano lora al principe pi gaia:ma vanamente,
poi che dunamaratristezza disfaceasi lento il mitesposo del fior di
loto, Yasodhara.Tristezza delle uguali ore infinitescorse allombra
dei tre vasti palagi,per chi il germe chiudea di mille
vite!Disgusto insormontabile degli agisovrani per quel suo cuore
profondogonfio dinconoscibili presagi!Vigile egli era se per il
giocondoincanto del giardino imperialegiungesse una lontana eco del
mondo:ma silenzio, silenzio... Il penetralesacro cingea laltezza
delle muraerette contro il Bene e contro il Male.Allor lassillo
duna nuova curalo punse, il desiderio crudeledi fuggir la vivente
sepoltura.Fren in cuore le inutili querelee attese. Un giorno, ad
ingannar le scorte,laiut Channa, lauriga fedele.Ma non lungi un
trar darco dalle portemuovere incerto e trascinando il fianco
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CARLO VALLINI POESIE
videro un uomo che tremava forte:cave le guance grinze e locchio
stancoavea quelluomo, e il pelo delle cigliae del mento e del capo
raro e bianco.Chiese Siddharta pien di meraviglia: Che cosa quella?
Un vecchio, o mio signore:luomo che il tempo incurva ed assottiglia
. Tutti gli uomini - chiese con tremoreil principe - cos saranno un
giorno? Tutti: e tu pure, un giorno, o mio signore .Pi taciturno
allor, come dintornocadea la notte, il giovinetto sirelento compi
la strada del ritorno.E il d seguente, con pavido ardireuscito,
vide un uomo dalla facciagialla divincolarsi e maledire.Avea negli
occhi come una minacciadisperata: recea tra i denti fuoraschiuma
verde e torcevasi le braccia. Che fa, dimmi, quelluomo? - chiese
ancoraSiddharta. E il servo a lui: Quegli malatoe saffanna pel mal
che laddolora . Tutti gli uomini - chiese pi turbatoSiddharta -
fatti son preda del male? Tutti, per lalta volont del Fato .E il
terzo d, fuggito dalle saleregali, vide un altruomo supino,pallido
dun pallore innaturale.Tra grida e suon di pianti, a lui
vicinouomini e donne ne aspergean le vesticon incensi aromali e
belzuino. Fatti costoro son dogliosi e mesti -dissegli Channa -
perch quegli morto:morto quegli che tu ora vedesti!Principe,
ascolta il vero onde tesorto:luomo sacro ad un ultimo momentoper
quel destino a cui non conforto:segui ora tu linterno ammonimento
.Sparsa nei cieli la gemmata vesteavea la notte: al giovinetto
insonnegiungea il lungo respir delle foreste.
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CARLO VALLINI POESIE
Gialli arabeschi su per le colonnemettea la luna: piangea lungi
il corodei fonti: riposavano le donne.Giacean le belle in una
cripta doro,sfatte le chiome vaste come fiumi,strette in carnal
viluppo tra di loro;a spire molli, nuvole di fumisalan per lombra:
crepiti sul fuocodavano ardendo resine e profumi:e da quel gruppo
umano, a poco a poco,dal palpitar di quelle membra attorte,onde
usca qualche grido acuto e fioco,parve al sire sgomento che
risortefossero a un tratto le sembianze inertidel Dolore del Tempo
e della Morte.Fugg Siddharta sotto i cieli apertialla selva. Cos fu
che divenneegli amico degli eremi deserti:e fu il chiomato principe
ventenneil Perfetto Svegliato, il Buddha, il Grande,poi che ogni
impeto umano in s contenne. Uomo, - egli disse - ogni dolor si
spandedal desiderio: diverrai perfettose lacqua e lerbe ti saran
vivande . Uomo, - egli disse - pensa che il dilettoove il sommo del
tuo bene riponial duolo eterno ti far costretto .Spezza lincanto
dei terrestri doni:solo potrai cos far che si fermila ruota delle
trasmigrazioni . Soffoca nel tuo cuore i mali germi:giunto al Nulla
Assoluto del Nirvana,gli uomini contro te saranno inermi .Questa, o
uomini, invero fu lumanadottrina un tempo espressa dal
mortalefiglio del re dei prodi Suddhodana. Fuggite il Bene:
fuggirete il Male .Tristezza di quellanima proclivesul nulla
eterno, o uomini! Ma qualeBuddha cinsegner come si vive?
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CARLO VALLINI POESIE
La solitudine un giornocercai su uno scoglio recinto Lo
scogliodal mare, presso la riva.Era di maggio, a mattina.A torme
infinite dintornoaccorreano cupe e profondelonde flagellando la
rupe.Il cielo era corso da nubisconvolte come se dentrovi
precipitasse in silenziouna valanga di rupi:come un uomo ridotto a
brandelliera il cielo, come chi gridipiet fra un immane
disastro;era il mare azzurrastro,sinistro come chi affiliper un
tradimento il coltello:ma nitide chiazze dargentotra le balze degli
Apenninisorgenti dai boschi dulivimettevano i fasci di
raggirompenti di tra gli strappidelle nubi rotte dal
vento.Malinconia sovrumanadi che mi lasciarono eredele vite
infinite vissutenello spazio e negli evi,tu che mi fai piangere
versonon so che pi fulgidi cieli,ah come in quel giorno, in
quelloraindicibilmente esprimevila tristezza dellUniverso!Io era
comuno che giungasenza pi forze di dove fuggito per non tornareo
morire: ascolta pulsareegli il suo sangue, n muoveciglio: supino
sallungain terra e chiede alla terra,sentendosi presso
allestremo,soltanto il riposo, il supremoriposo, pur di
riposare.Guardandomi intorno, stupivo.Quello era il mio mare
Tirreno?Quello era il mio mare nativo
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CARLO VALLINI POESIE
che nelle mattine di un maggioinfinitamente serenomi si rivelava
sublimesplendendo nel raggio le cimedellApennino, salendonellaria
un odore tremendodi rose disfatte, un ronzodapi, un turbine,
ondiostupito pensavo al buon Dio?Quello era il mio mare
Tirreno,quello era il mio mare nativo:mutato soltanto sentivolo
sguardo un tempo sereno.Tutto, se il mondo ci
afferra,dimentichiamo: anche il cantodel mare: del mare che tantopi
vasto di quello che terra!E quanto pi triste il rimpiantoche lanima
nostra rinserraper quello che pi non ci atterrale fronti,
forzandoci al pianto!A mio parere nulla pi triste di pi non
poteredesiderar ci che non :sentire un cervello che tentadi
spremere lacrime vereda un cuore che saddormenta.Era sordo dentro
di meil mio cuore ad ogni ricordo.Io pi non vedevo nel mareil Dio
che mai non saddorme,il moto che mai non ha posa:ma solo una cosa
noiosaeterna inutile informeche mi costringeva a pensare:si
confondevano agli occhidella mia mente il pensierodel Tutto del
Nulla e del Verocon i ricordi pi sciocchi,ed erano per la mia
vistale cose della Naturacome la caricaturadun Vero che non
esista.Amico pensoso, che scrivia lettere piccole il nome
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CARLO VALLINI POESIE
tuo grande, ricordi tu comesi dubiti dessere vivi?Amico pensoso
e lontano,ben io nei miei soliloquiancor mi rammento i
colloquitenuti con guidogozzano!Rivedi il mio volto sul
chiarotramonto che ardevami a tergoin quella stanza dalbergoa San
Francesco dAlbaro?Avrei voluto moriresopra lo scoglio del
mare,avrei voluto provarela gioia di non pi sentire:spogliarmi
della miseriadel mio fantasma di uomo,non aver pi forma: esser
luomoscomposto nella materia;non essere pi luniversonelluniverso,
ma un fiatoimponderabile, un atomolabile in aria
disperso;dimenticarmi di ciche un giorno ho saputo, di
tutto:dimenticar soprattuttoquello che mai non sapr:esser la morte
cosciente,esser la vita dissolta,potere in una sol voltaessere il
tutto ed il niente.Questo nel triste abbandonopensavo, e sentivo
nel suonodellonda la vera risposta:la vera risposta
nascostanellincomprensibile suono.Non dunque luomo una partedel
Tutto, che ignora il misterodel Tutto? Che ignora un misterodi cui
egli stesso fa parte? il nostro cervello una lenteche tutto
trasforma e deformae che dentro e fuori ci formaun vero per s
inesistente?Qual sonno terribile chiudele nostre pupille alla
luce
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CARLO VALLINI POESIE
istessa che ci conducea chiedere se ci sillude?La vita e la
morte? Bisognapur che procedano unitese il lezzo duna carogna il
germe di mille vite.E mi ricondussi al pensierolimmagine dun
cimitero Il teschio fioritoabbandonato e romito,cinto di voli e di
stridia primavera: ovio vidiun teschio umano fiorito.Da molto
tempo, da molto,nessuno era stato sepoltodi l dalla soglia
deserta:la triste soglia era apertasul campo invaso dal
foltodellerba, da un bosco di erbaselvaggia, da un mare di
fioricampestri, da un mare dodoriprimaverili, da sciamidapi, da
tutta la vitache non visibili ditasanno agitare per entrola terra,
da tutta la vitache nasce e muore in silenzio.Era quelleremo
pregnodi succhi e dodori: tra i laccidellerba emergevano braccidi
rade croci di legno.Ed io procedendo e affondandoin quella selva
viventeero detestabilmentepoetico e lirico: quandofra un gruppo
dedere spesse,aggrovigliate ad un brancodi spine acutissime e
nere,vidi o credei di vedereun qualche cosa di biancoche sembrava
che mirridesse.Un teschio umano era quelloche mirrideva:
ripienotutto oramai di terrenodovera stato il cervello:e come da un
vaso di fiori,
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CARLO VALLINI POESIE
a render pi tragico e buffoquel misero avanzo, un gran
ciuffoderba ne usciva di fuoricon tal furore, che mossoparea da
quei resti carnosiper compiere lapoteosipazzesca dun paradosso.In
quel sorriso supremodi scherno eterno ben eravisibile quasi la
veraparola che mai non sapremo!Chio creda alla favola tristadel
vivere e del morire,se il Tutto, dato che esista,si pu chiamar
Divenire?Tutto la grande parolache sbalordisce e consolalanima
sciocca e fanciulla.Tutto vuol dire anche Nulla.Tutto vuol dire
limmensoprecipitare dei mondicelesti verso lignoto.Tutto materia ed
vuoto.Tutto rinchiuso nel sensodellessere: quello che vedie che non
vedi, che credie che non credi: pur quelloche gi ti tese un
tranellocol farti nascere: e appareleterno mistificatorenel fare
crescere un fioree nel far muovere il mare.Quale sar la mia
sortenovella dopo la morte?In quali forme viventidinsetti o di
chicchi di grano,o daltro che viva o non viva,si trasformer la
passivacarcassa dellessere umano?O forse accadr chio diventi,se il
caso mi toglie alloblo,la cosa che soffre ed ha un io,quella pi
vana che esistanellUniverso, la tristacosa che chiede perdono,
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CARLO VALLINI POESIE
la cosa umana chio sono?Destino! La libertcon cui ci deprimi e
bistrattiprova che tu non ci trattiin abito di societ!Tu vedi: ho
appena ventannie il mondo non mi diverte,sebbene non posi da
Wertherucciso dai disinganni;ho una discreta memoriae quasi sempre
appetito:non mi tortura il pruritodi uninafferrabile gloria.Che
cosa, dunque, di meglioper rendere un uomo felice?Eppur qualche
cosa mi diceche potrei stare assai meglio.Ho il benedettissimo
viziodi non creder ci che si vede:idea questa, come si vede,da uomo
di poco giudizio.Aggiungi che a volte non possocapir le pi semplici
cose,n credere che le cosebasti pensarle allingrosso.Queste
stranezze mhan fattoun posatore ed un orso,che non sa fare un
discorsoe finge desser distratto. Se non sei nemmeno giocondoprima
dellesperienza -mhan detto - a che la presenzadella tua faccia nel
mondo? O Terra, a te mabbandonodopo la morte: di mefa ci che credi,
fuorchrifarmi quello che sono.Questio ripensavo, supinosopra lo
scoglio del mare, Gli affetticol desiderio e il rimpiantodi non
poter ritornareancora una volta bambino:quando piangevo del
piantodi mia madre, dun disperatopianto, cos da sentire
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CARLO VALLINI POESIE
rapido il ritmo del sanguebattermi forte il palato;quando era
tutto pi grande;quando fra tutte le cosela pi gradita era loradi
prendere il mio caff e latte:il caff e latte che ancoraserba un
profumo di coserimaste oneste ed intatte;quando non ero distrattoed
ero quasi felice;quando il profumo miglioreera lodor di vernicedei
miei giocattoli nuovi;quando ero triste o giocondosenza sapere il
perche non pensando che a me,avevo in me tutto il mondo.Nulla or mi
vedo pi intornodi ci che amai: pianamentetutto caduto nel nientecol
tempo, giorno per giorno.Il non andare pi a messae il non guardar
pi le stellemhan fatto mutare la pelledellanima in pelle pi
spessa,cos spessa che la paurao il dubbio dessere mortofa chio
ricorra al confortodi nonna letteratura,la quale induce chi
campasotto il suo augusto poterea leggere con gran piacereil
proprio nome in istampa,spingendo sino lardirequesta signora
indiscretaa gabellar per poetachi non ha niente da dire.Ah chio
guarisca e diventibuono ed ami le cosenuove e misteriosechiamate
cose viventi!E sopra tutte mi piaccianoquelle su cui mi stupiscela
cosa che si definisce
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CARLO VALLINI POESIE
col nome strano di faccia.Faccia! La cosa mollicciacon dentro i
denti e la lingua,che si deforma ed impingua,che si torce e si
raggriccia,quella che manda dei suonie che si fa umile o
tronfia,quella che a un tratto si gonfiase tu la pigli a
ceffoni,quella che spreme dagli occhilacrime e che si
querela,quella che a noi ci rivelapi o meno stolidi e
sciocchi,quella che d la misuradi ci che giusto ed ingiustoe che,
staccata dal busto,ti fa tremar di paura:ma (porgi bene
lorecchiaalla verit spaventosa),ma soprattutto la cosa,la triste
cosa che invecchia!Eppure quandero innocentevolevo tutto il mio
beneai vecchi pii dalle venerigonfie e dal viso indulgente,ai
vecchi gravi e superbidavere molto vissuto,che hanno riconosciutola
verit dei proverbi,e dicono quello che vdi bene e di male nel
mondocon un lor fare profondo...Ma come, dunque? Perch?O vecchio,
chi sei tu? Perchvuoi chio ti porti rispetto?Che cosa hai tu fatto?
Che hai dettoper crederti dappi di me?T occorsa cos lunga etper
essere ancora malcertose qualcosa esista di certoo se tutto sia
vanit?La saggezza dei tuoi consigliforse che in parte ti togliela
colpa daver con tua mogliemesso alla luce dei figli?Vantandoti
conoscitore
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CARLO VALLINI POESIE
del mondo, hai pensato tu a quelloche hai fatto? Hai aggiunto un
anelloalla catena del dolore.Fosti deluso ad oltranza:fino
dilluderti appena,ti si appiccic la cancrenaincurabile della
speranza:ed eccoti che dopo tantimalanni, triboli e stenticocciuto
pur sempre ritentidandare ancora un po avanti.Prosegui per la tua
viae non farmi da precettore:per me la scuola migliore la scuola
dellironia. pi saggia, se tu sapessi,della saggezza tua calva:
quella che ancora ci salvadal ridicolo verso noi stessi.Mentrio nel
vano indagaregodevo del mio sgomento, La follaavea ricondotto gi il
ventolazzurro sul cielo e sul mare,e in cento aspetti divinitutta
la gloria del solecirconfondeva la molerocciosa degli Apennini.Ma
dietro quel vertice acclivesentivo poco lontanala specie temuta,
lumanaspecie simile a me:la specie degli uomini, chenon si
meraviglia di vivere;quella che fu favoritada nostra madre
Naturacol privilegio pi raro;ma che si chiede di raro,per non far
brutta figura,il gran perch della vita:la sola specie che credeben
fatto il coprirsi di panni;la specie che avr disingannifinch vorr
avere una fede,la specie gravata dal cuporetaggio dun odio mai
domo,la specie maligna delluomo
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CARLO VALLINI POESIE
che alluomo sar sempre lupo,la specie infinita che figliain modo
vertiginoso,che figlia senza riposoal pari duna coniglia,che
germina, alligna, rampollaovunque possa trovareun posto: e che
forma quel marevivente detto la folla.La folla! Ecco il nome
tremendoche mi sbiancava la facciaquando il mio sogno rompendonel
cielo scagliavasi in cacciadi gloria, quando al gigantemio sogno
una forza primevasbatteva le ali dalcione,e a me che tremavo
parevapi vasto di quello di Danteil sogno di Napoleone!Nellora
limpida, quandoil rosso tramonto divampasulla citt turbinosae i
fuochi di tutte le lampadesopra le strade ancor chiarestan contro
il vespero accesocome un prodigio sospesoa contrastar lopra
solare,oh quante volte, guardandola gran bestia umana da presso,non
chiesi tremante a me stessoun solo gesto, ma eterno,che
stupefacesse lignavasovrana, per renderla schiava,per renderla
schiava in eterno!Ironia, divina ironia!Sai tu quanti giovani
imberbiandavano e vanno superbidi simile roba stanta?Senza il
bromuro e larsenico,o cura medica alcuna,mi sparvero gi, per
fortuna,quei sintomi da nevrastenico,poich con unequa
ginnasticadella mia povera testami son liberato da questa
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CARLO VALLINI POESIE
mana troppo fantastica,e insieme con quel deleteriodifetto
dannoso al cervelloho in parte perduto anche quellodi prender le
cose sul serio:della mia antica follatanto ho distrutto che orala
parte che in me vive ancora un poco di malinconia.La folla che si
trascinaillusa da una speranza,la folla, guardata a distanza,che
cosa pietosa e meschina!Un po di gioire e soffrirein questo breve
camminocon alle spalle il destinosicuro di scomparire,e scomparir
senza pilasciar quasi traccia di s,al modo stesso con che gi
scomparso il mammouth.Per quattro misere oredi vita su questa
terra,a che dichiararci la guerra,a che dichiararci lamore?O folla,
che palpiti e vibriin mezzo alle gioie e ai malannie che
inutilmente ti affannisugli utensili o sui libri,ti giuro che
innanzi ai miei occhila tua gioia ed il tuo lamento,la tua pace ed
il tuo tormentoson cos inutili e sciocchi,che se dal buio ove
seipotessi trarti nel Verocon una parola, davveronon so se te la
direi!Rapido il tempo che passae che ci affoga nel nulla:
Lamoreieri eri ancor nella culla,domani sarai nella cassa: vano che
metta radicila gioia nel nostro pettose quello che reca diletto
quello che rende infelici:lamore la vanit
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maggiore dogni altra, poichvorrebbe rinchiudere in slidea
delleternit.Piccola donna, che semprericorder nei miei brevigiorni,
come sapevidir la parola per sempre!Il tuo per sempre s scioltonel
nulla, dopo non molto,come la neve nel sole;laltre tue buone
parolemhanno fiorito la viadella malinconia,mhanno cosparso di
piantila triste via dei rimpianti.Ma il bel fanciullo, lAmore,m s
addormentato nel fondodel cuore, dun sonno profondo:un sonno pi
grave e profondodi tutta lacqua del maregli appesantisce le
membracon tanta gravezza, che sembrache pi non si possa destare.E
se non si dester pi,pace su lui! Cos sia.Non resta la
malinconialontana dun bene che fu?Ma neppure quella rimane,piccola
donna! Il ricordogiorno per giorno scompare:il cuore sempre pi
sordoai miseri casi lontani.E forse un giorno, domani,se
tincontrassi per via,questanima mia, che si duolein tanta
malinconia,per la sua piccola amicaritroverebbe a faticagelide e
rare parole.E tu, dolorosa, che guardifarsi pi sempre profondii
segni degli anni sul visopallido e pensi che tardied a te stessa
nascondicon un tuo gesto improvviso
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CARLO VALLINI POESIE
un filo che ieri divennepi chiaro fra le tue chiomee brilla nel
muoversi comeper un riflesso di gemme,donna dadesso, non veditu che
lamore dolore?Quale conforto allamoretardivo e triste mai chiedi?O
donna, tu pensi che maibisognerebbe morirecome quand per
finiretutto e che senti e che saiprossimo il d che lamorenaufragher
nel dolore.E tu che a nome non chiamoperch non so chi tu sei,o tu,
che forse amerei, meglio che non cincontriamo!Sai tu che cos la
tristezza?Io guardo la mia giovinezzasorgere a un tratto su
questomondo, vigile e viva,come linfermo mal destodallincubo che
latterrivavede che il cielo di rosa,ed unangoscia affannosalo
stringe, poichegli ignorase sia il tramonto o laurora.O donna, la
mia giovinezza forse un tramonto: ogni giornoqualcosa non fa pi
ritorno,qualche idolo nuovo si spezza.Non si spezza, no: si
dissolvecol tempo, non si sa come:non ne rimane che il nomee un po
di misera polvere.Il tempo sgretola, annullaregolarmente entro
mequello che trova, finchnon ne rimanga pi nulla.Da questo perenne
pensare,da questo perenne soffriresi pu sperar di guarire?Si pu
sperare damare?Io sento che non si pu
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CARLO VALLINI POESIE
mai pi guarire; lo sento:da questo strano tormentonon si
guarisce: lo so.Sannida in te a tradimentoquando agisci e quando
riposi: come la tubercolosicronica del sentimento.Mio Dio, se tu
veramentefossi per noi come un padre, La pietse il Dio che mia
madrechiamava buono e clemente,se invece di esser leternavicenda di
quello che ,tu fossi per noi come un reche benignamente
governa,quale io timmagino ancoraa volte, con semplicit,vorrei
domandarti pietper tutto ci che dolora:per lanima mia che si sentea
un tempo grande ed inane:umile innanzi ad un cane,superba innanzi
al saccente;per gli uomini cupi e corrosi,provati da tutte le
prove;pei poveri senza ricoveroche chiedono un po di elemosina;per
la donna a cui nello specchioil segno del tempo gi appare;per chi
deve ancor lavorareessendo gi stanco e gi vecchio;pel piccolo
insetto modestoche saffanna e che non si vedee chio, camminando,
col piedeinconsciamente calpesto;per tutte le anime buonedi cui
signorano i nomi;per gli asini senza diplomiche soffrono sotto il
bastone;per gli uomini a cui non somigli,perch sono gobbi o
storpiati;pei ciechi; per glimpiegatiche mettono al mondo dei
figli:per tutto ci che si offrealloffesa senza difesa;pel male che
non si palesa
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CARLO VALLINI POESIE
da chi n colpito e ne soffre!Per tanto eterno soffrire,mio Dio,
ti chiedo piet:ma pi ti chiedo pietper me, che non so pi
soffrire!Stanchezza di questi mieigiorni chio vivo a ogni costo!Un
poco daria al mio postoed io non esisterei.Per chi vive, chi non
esiste come se stesse nascosto:un altro gli occupa il
postovuotandogli il calice triste.Il calice: poich la vita come una
mensa imbandita,su cui, da perfetto villano,il prossimo lesto di
mano.A volte per gli va male:il dolce un impasto di sale,e un servo
bizzarro, il Destino,gli ha reso imbevibile il vino:ma luomo per ci
non sarresta,finch un giramento di testalo smemora da tutti i
malifra il gaudio dei commensali.La storia un po matta e un po
seriaha questa morale: miseria.Luomo era un po di materiache nulla
vedeva e sentiva:un soffio improvviso lavvivaed eccoti
lUomo-Miseria:sabbranca - il perch non lo sa -a un lembo rotondo
dignoto,e via che parte nel vuotoa tutta velocit:il tempo di dire:
- Son qui -senza capir ci che dicee di gridar ch infelice...poi,
zitto. Tutto fin.Stupore di me, senza fine!Io stesso che vedo e che
sentomi trovo in quel dato momentoche sta tra il principio e la
fine!Mio Dio, se tu mi promettidi esistere veramente,
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CARLO VALLINI POESIE
ti prego desser clementecon tutti noi poveretti;ma se per caso
ti sbrachiper noi dun gran riso beffardo,usaci questo riguardo:di
crederci tutti ubriachi.Questio meditavo, supinosopra lo scoglio
del mare. La noiaCompiuto avea lastro solaremet del suo lento
camminonel cielo: ed insieme allimmensovibrar della luce, sul
maresera diffuso il silenzio.E unansia, unansia affannosa,che non
mi lasciava pi posa,pareva costringermi insiemea fuggire ed a
rimanere.Tornare nel mondo a speraresecondo lumano destino,o
rimaner solo, supinosopra lo scoglio del mare?A che ritornare nel
mondo?Conosco a memoria la storiaeterna del genere umano:vuol dire
esser triste e giocondo,vuol dire operare, ma invano;vivere la vita
vuol direcombattere: ma contro che?Combattere: ma perch?Per sempre
gioire e soffrire?Sugli uomini quale dirittoha luomo di vita e di
morte?Con quale diritto il pi fortesimpone a chi stato
sconfitto?Dovere esser umili o scaltri,dover esser lupo od
agnelloper semplicemente far quelloche sempre hanno fatto gli
altri?Tre volte beata la genteche trova evidente ogni cosa!Sio
penso alla minima cosanon ne capisco pi niente.Quale sar la mia
vita?Una sequela infinitadi notti insonni e di giorni;
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CARLO VALLINI POESIE
proponimenti e ritorniprevisti verso le moltecose che odiai
mille volte;un brancolare alla cieca,un aspettare affannosoquello
che il tempo non reca,labbandonarsi a un riposofebbrile; il cercare
un pretestoper iscusar lesistenza;un rendersi adatto a far senzadi
questo di questo e di questo;un prepararsi al viaggioultimo e
farsene bellocon s stesso, ma sul pi bellosentirsi mancare il
coraggioe assistere assistere assisterea questa comedia
desisterefino a sipario calatoda spettatore annoiato;avere un
ultimo amoreancora ed unillusione,e avere una delusioneultima e
ancora un dolore;guardare con meravigliasprezzante luomo e
dovereconvincersi dappartenerealla sua stessa famiglia;sentirsi
salire dal fondola noia di tutti i perch,ed essere inutili a sed
essere inutili al mondo.Inutilit! Se la fatuacredulit delle
masseumane non me lo vietasse,vorrei farti fare una statua.Umanit!
Se del tuttotu non mignorassi, un falfaresti di me, che non foche
esserti inutile in tutto.Non credere gi chio sia mossocontro te da
un odio furente:ti sono semplicementeinutile in quello che
posso.Maffaccio adesso alle portedel mondo: ma ho fede nutritadi
esserti inutile in vita
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CARLO VALLINI POESIE
e desserti inutile in morte.Quandio morir (te lo dicoper dire:
poich luomo ignoras stesso, pu darsi che alloraio sia tuo
buonissimo amico),quandio morir, la mia tomba,ovio dormir fino al
rombofinale, la voglio di piomborotonda come una bomba;che sia
lanciata agli squalinel pi profondo del mare:nessuno cos potr
usareil mio grasso pei suoi stivali.Signore del Cielo,
figuraretorica, fai tu la grazia Il sognodel sogno a questanima
saziadella sua sciocca natura!Tu vedi chio mi consolocon poco: ti
chiedo, o Signore,soltanto limmenso favoredesser lasciato da
solo.Illudermi! Non ho bisognodaltro conforto allambascia:fa chio
dimentichi: lasciachio mi dissolva nel sogno;chio veda ben oltre le
portedel mondo apparir la fioritacontrada che dona alla vitala
placidit della morte!Mio sogno, non sei lippogrifopagano, recantesi
in groppapei cieli lanima mia?Conducila in alto: ella ha schifo,per
s, dellaltrui borghesa.Alato cavallo, galoppain cieli pi puri e pi
vasti!Nessuna vertigine basti,nessuna gioia sia troppaallanima sola
che vuoleandar pi lontana del sole!Avventala nel turbinodegli
astri: le masse gigantile passeranno davanticon un immane ronzo,col
vibramento dun masso
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CARLO VALLINI POESIE
che con tre giri di fiondaunenergia furibondascagli in eterno
allo spazio.Anima mia, quali coseeterne e meravigliosetu vedi? La
faccia deformedi un mondo che passa: lenormeammasso savventa:
scompare.Che meraviglie hai tu scorte?Un mondo intero di morte:un
piano deserto ed un maredeserto: unimmensa catenadi rocce, un
deserto darenarovente: e su tutta la molela luce di un altro
sole.Un altro mondo savventa,altri mondi ancora, una schiera;una
vertigine interadi mondi, che romba e che ventacalore, precipita e
spareper sempre. Lo spazio e letscompaiono. Tu resti sola,anima
vigile, solanel nulla delleternit.Mio sogno, non sei pure un
angiolo?Lo spirito cristianocustode dellanima mia?Conducila piano
per mano:ella una bimba smarritasopra la via della vita:conducila
per i giardini,ove non sode che il suonodellacque,
nellabbandono;promettile molti balocchi,perch di buon grado
cammini;fa chella guardi con occhistupiti la rosa e linsetto;e
spiegale: questo un insetto;e spiegale: questa una rosa;e spiegale
come ogni cosaper fede, speranza ed amoresia fatta da nostro
Signore,che a tutti vuol bene e perdona;insegnale ad essere
buona;insegnale tutto lorroredi quello che sacrilegio;
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CARLO VALLINI POESIE
conducila per il collegiodel mondo: quanti bambinila stupiranno,
che sonovestiti da donna e da uomo,essendo pur sempre piccini!E ti
chieder: - Mio bellangiolo,sai dirmi perch tutti piangono?Sai dirmi
perch quel bambinopercuota con rabbia il vicino?E perch quellaltro
che a lettotossendo dia sangue dal petto? -Oh come, come stupitati
guarder ella ascoltandola cosa incredibile, quandosapr che questa
la vita!Mio sogno, bel sogno, la fogamagnifica verso il
prodigiodeclina: scompare nel grigiodel tempo: la vita ti
affoga.Mio sogno, non c pi conforto:io guardo tra il serio e il
beffardovelarsi pi sempre il tuo sguardodel torbido proprio a chi
morto.Passasti, poich tutto passa. come se non ci fossimomai visti:
il contagio del prossimoti ha belle ridotto alla cassa.Non chiedo
la grazia divinadel sogno, n la scintilla Alcuni desideridel genio:
una vita tranquillami basta, una vita meschina.Per questa mana
solitariamoccorrerebbe unonestacasa, assai vecchia e modesta,con
molta luce e buonaria,con alberi verdi e da fruttidintorno, sepolta
tra un foltodi pergole ombrose; ma molto,ma molto lontana da
tutti.Unassai vecchia dimora,linda, ospitale ed ammodo,un po rozza
e semplice al mododelle massaie dallora;e in questo rifugio
allantica,vorrei, nelloblo secolare,
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CARLO VALLINI POESIE
illudermi di riposareda unimmaginaria fatica.Che sonni, che
sonni tranquillida bimbo nella sua cuna,le notti col lume di
luna,le notti col canto dei grilli!Vorrei pure scrivere,
senzafatica, dei versi: ma sparsia spizzico, da giudicarsicon una
bonaria indulgenza:dei versi bizzarri, rimatisecondo la mia
prosoda,con molta malinconae quasi niente grammatica:e il lusso da
milionariovorrei per un mese, daverea nolo per cameriereun dottore
universitarioper mettere in bella copiale mie bislacche parolee
dirmi dove ci vuolela lettera semplice o doppia.O gioia di essere
solo!non lombra dun conosciutovicino, toltone il mutodottore che
avrei preso a nolo.Non ascolterei che la solaNatura, lunica
amica;non compirei pi la faticadi dire una mezza parola.Avrei con
me qualche radolibro, assai fuori di mano;andrei per i campi pian
pianosenza saper dove vado;nella mia testa i pensieriandrebbero
comio li lascioandare, tutti a rifascio,i pi pazzi con i pi seri:e
a sera, sullimbrunire,un letto fresco e profondomi smemorerebbe del
mondocon la volutt di dormire.Se un semplice regime ugualebastasse
a guarirmi dal tedio!Ma in simile caso il rimedio
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CARLO VALLINI POESIE
sarebbe peggiore del male.Non guarirei, ne son certo,da tutte
queste tortureimaginarie, neppurese andassi in mezzo al deserto;il
male, purtroppo, non stadi fuori, ma nel mio interno,ed un prodotto
modernocome lelettricit: come un tarlo che rodaaddentro, senza mai
posa,ed era in addietro una posaormai passata di moda.Oh come darei
le paroleinutili e lopere vanedelluomo, per essere un caneche dorma
placido al sole!Per esser la foglia o linsettoo lalbero o il gufo o
il leone,per non aver la ragione,per non aver lintelletto,per
essere (questo confortoconcedi, o Natura, a chi stancogi troppo),
per esser pur ancoun uomo, ma essere morto!Morire! Una camera mutae
un letto profondo: lontano La mortela fiamma dun vespro
sanguignoche splenda tra i cento comignoliduna citt
sconosciuta:giacere in quel letto profondo;udir con un senso
inumanodangoscia il confuso lontanoeterno fragore del mondo:sentire
che per riposareun sonno profondo non basta,ma occorre una pace pi
vasta;sentire che tutto scompareper sempre, che il sogno dileguaper
sempre, che tutto fuggitoper sempre, che tutto finito;sentire
vicina la tregua;compiere il gesto improvviso:il sangue che sfugge
dal viso,il senso indicibile, ignoto,di precipitare nel vuoto,
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CARLO VALLINI POESIE
di precipitare per sempre,di divenir preda del niente...un senso
di gelo, fugace,poi nulla. La morte. La pace.Giacere in quel letto
profondo,gi morto: sul volto, il suggellodella Verit
spaventosa,della Verit che si sposacon luomo ch uscito dal mondoe
agguaglia il deforme col bello,e agguaglia lignaro e il saccentenel
placido regno del niente:giacere in quel letto profondopi immobile
ancora di quandosi dorme: dellunica buonaimmobilit che traspiradal
volto di chi non respira,dal corpo di chi sabbandona;il drappo che
va disegnandopi profondamente le formedel rigido corpo che dormeper
sempre: poi ecco apparirela prima dissoluzioneche sforma e
devessere comese si continuasse a morire.Giacere in un letto
profondo,gi morto: ecco il solo momentodi vero riposo nel mondo!Pi
tardi la terra ci afferrae penetra e sbriciola in polveree volge in
s stessa ed evolvee dissipa in preda del vento:ma il letto sul
quale si muoreconcede per quarantottorela pace assoluta,
infinita.Nessuna forma di vitasi svolge in quel tempo dal
fondodelluomo mutatosi in cosa;quella materia riposa;non vive, non
vede, non sente:sfasciandosi gradatamente,rinunzia allenorme
faticadi dover essere unita.Natura, o burattinaia,come raduni i
tuoi fili
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CARLO VALLINI POESIE
a tempo, perch luno appaiae laltro scompaia! Rigirii fili che
agli esseri umanifan muovere i piedi e le manie torcere gli occhi e
la bocca:quindi, infallibile, appena tempo, il fantoccio a cui
toccascompare per sempre di scena.Tarder molto a finirequesta
ridicola farsa?Io sento che fo da comparsae che non ho niente da
dire.A che imaginarmi gi estinto?Parlare senza moriredi questo
piacere vuol direnon esserne bene convinto.O morte, la nostra
miseria grande: la nostra materiache soffre ed invoca
loblo,gridando pur sempre: - Non vogliomorire! - sabbarbica
alliocos disperatamente,come il mollusco aderentecon tutte le forze
allo scoglio:lio per ciascuna persona come unamante noiosache
stanca sopra ogni cosa,ma che tuttavia non si dona;lamante che pi
non si varia,compagna in piaceri e malannie che, con landare degli
anni,diventa vieppi necessaria;lamante un poco volgareche ha verso
di noi mille curee che spesse volte neppureci si accorge di
sopportare.Questo pensavo: e un divinotramonto doro e di
rosacirconfondea la rocciosacatena dellApennino.Lode a te, madre
Natura,che un poco ironica e dura Lironiamhai conformata la facciae
fatto esperto di questo:che luomo, pur se gli dispiaccia
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CARLO VALLINI POESIE
non essere il solo immortale, un essere medio, che valen pi n
meno del resto;tanto chio stesso mi guardoa volte con un
improvvisostupore ed un mezzo sorrisotra lindulgente e il
beffardo.Ma questo, o Natura, mi turbaprofondamente: che ignorole
cose pi semplici e chiare:gli uomini, a quanto mi pare,han laria
invidiabile e furbadintendersi tanto fra loro,chio solo, sentendomi
escluso,rimango in disparte confuso.O madre Natura, ti
chiedoperdono di tanta ignoranza:da molto tempo non vedopi libri:
ho perduto lusanzadi leggere libri e giornali;non son presidente di
leghe,n socio: detesto le beghepolitiche e ignoro, al momento,chi
occupi il parlamentoe i seggi ministeriali.O madre Natura,
bisognache tu mi perdoni due voltese per queste fisime stoltenon so
provare vergogna.Accogli nellanima immensail figlio non troppo
modello,facendogli grazia di quelloa cui per pigrizia non pensa.O
volutt di goderelimmobilit dei fachiri!Non sembra che tutto mi
giridintorno per farmi piacere?Il tempo trascorre, la
mortesapprossima, il mondo lontano:dallanima vigile e
forte,temprata nellessere sola,prorompe la vera parola:morire e
vivere vano!La traccia delluomo scomparesulla brevissima viadel
mondo come la scia
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CARLO VALLINI POESIE
che si riconfonde col mare;il Tempo, figliuolo
minoredellEternit, ci dissolvenel nulla o in un pugno di polverein
poco volgere dore;perfino larte sovrananon che la caricaturadi ci
che madre Naturaha dato allanima umana,tenendo per fermo che
tuttoil bello nel verso rinchiusonon vale un profumo diffuso,non
vale il sapore dun frutto. vana larte. La sortevuol che ogni cosa
sia vana,vuol che la vita sia vanae che sia vana la morte.O madre
Natura, il tuo figlioche trema guardandoti in faccia,non simula
quanto sia vanopur quello chei dice: lumanovortice ancora lo
allaccia;non sopporter pi lesilio:non rimarr pi supinosopra lo
scoglio del mare,ma torner ancora a speraresecondo lumano
destino.Che nuova speranza rampollanel suo cuore? Tutte e
nessuna:listinto che laccomunaa quello che vive, alla follapremuta,
accecata da un rudebisogno di vita, sospintaa vincere o ad essere
vinta,che spera lavora e sillude;listinto che mai non sapremodomare
e che tutti trascinaper la medesima china,il genio, il mediocre, lo
scemo;listinto a cui non si resiste,che torce la bocca al sorrisoo
al pianto e che sorge improvvisoa rammentarci che esiste.Natura,
che imponi la vitae ridi curvandoci sotto
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CARLO VALLINI POESIE
questobbligo, tu non ascoltise un uomo ti si rivolticome la
biscia colpitaa tergo dallurto del ciottolo:non curi chegli
savvedadel tiro: lhai fatto tua preda.Lignoto te lo imprigionaper
sempre: tu stessa finisciper esser con lui quasi buona;diventi
materna; lo liscifinchegli sia quasi quieto,lo rendi dabbene e
discreto,glinsegni che certe domandenon son pi da uomo gi
grande,gli parli dingegno e donorefinch gli si vada imbiancandola
barba: ed infine, allorquandodiventa commendatore,il nostro
bravuomo detersodogni impurit, veramentecomprende la Vita e si
senteil re dellimmenso Universo.La notte era sorta dal mare:la
notte serena ed illuneavea generato il profondosilenzio e la pace
sul mondo;udivo soltanto lansaredellacqua sopra le dunelontane: il
profilo malcertodei monti appara di lontanosul cielo, segnato
dinchiostrocome il profilo dun mostrodel tempo antidiluviano;il
mare tranquillo e desertocingea con alterno gorgogliolimmobilit
dello scoglio,e in cielo, non so quale manonon vista da me, a poco
a pocoavea suscitato gi il fuocolatente di cento
fiammelle:brillavano tutte le stelledel cielo: la notte
profonda,diffusa e confusa per entrola terra invisibile e londache
sincrespava sul mareinsonne, pareva ascoltare
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CARLO VALLINI POESIE
leternit del silenzio.Un giorno era infine trascorso:tutto era
triste ed ugualeintorno a me: limmortaleNatura seguiva il suo
corso.Il Tempo girava la ruotaeterna: leterno ritornodel cielo
segua quella tracciadovuta, che innanzi si cacciapur sempre la
notte ed il giorno:il Tutto era lindifferenzadel Tutto: ma lintima
essenzadellessere erami ignota.Come si muore e si viveallombra del
Tutto e del Nulla?Silenzio. Mai nessun Buddhacinsegner come si
vive!Lignoto non teme la lucedel nostro cervello; il misteroche
nasce con noi ci conduceper non si sa quale sentiero.Ci premon le
tenebre spessedi ununica sorte: di quellache uomini e cose
affratellanel tedio comune dellessere.Questo pensavo, e
leternosgomento gonfiava il mio cuore.Sentivo, sentivo fraternolo
scoglio del mare e il rumoredel mare, il lontano stormiredegli
alberi a terra, lauliredei boschi profondi col vento,le stelle che
nel firmamentobrillavan dun tremito doroe lente salivan la
viaremota, in eterna armona,con ritmo concorde fra loro:sentivo che
tutto era ugualealla mia spoglia mortale:sentivo di tendere versoil
Tutto, di esser la parteminima dellUniverso,la parte che vede e che
sente,che esiste in eterno e che cadecol tutto continuamente
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CARLO VALLINI POESIE
per una china infinitasenza principio, n fondo,per ove in eterno
si fondonoinsieme la Morte e la Vita.Questo sentivo, supinosopra lo
scoglio del mare.E parve un tratto alle miepupille immobili e
fissenelle celesti armone,che immensa, tra laceri veli,raggiasse su
un volto divinola Verit secolare.Fu come se il mondo salissein
alto, fu come se i cieliscendessero: tutte le porteaveva dischiuso
il misteroal mondo degli uomini, sullamirabile luce del Vero.E in
me scese il Tutto ed il Nulla,la Vita e la Morte.
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CARLO VALLINI POESIE
IndiceL'accidioso stupore di Carlo
Vallini................................................................................................
2La
rinunzia.......................................................................................................................................
6Un
giorno.......................................................................................................................................
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L'accidioso stupore di Carlo ValliniOpere di Carlo Vallini
La rinunziaUn giorno