PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO PER LA GESTIONE DELLA BPCO – a cura della Sezione Regionale AIPO Veneto Stefano Calabro 1 , Loris Ceron 2 , Alessandra Concas 3 , Manuel G. Cosio 4,5 , Riccardo Drigo 6 , Enzo Faccini 7 , Massimo Guerriero 8 , Giuseppe Idotta 9 , Claudio Micheletto 10 , Rodolfo Muzzolon 11 , Rolando Negrin 12 , Manuele Nizzetto 13 , Kim Lokar Oliani 4 , Carlo Pomari 14 , Andrea Rossi 15 , Marina Saetta 4 , Andrea Vianello 3 , Franco Maria Zambotto 16 1 Pneumologia, Ospedale San Bassiano – Bassano del Grappa (VI) 2 U.O. Pneumologia, Azienda ULSS12 Veneziana, Ospedale dell’Angelo – Mestre (VE) 3 U.O. Fisiopatologia Respiratoria, Azienda Universitaria di Padova – Padova 4 Clinica Pneumologica, Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari, Università degli Studi di Padova - Padova 5 Meakins-Christie Laboratories, Respiratory Division, McGill University – Montreal (Canada) 6 U.O. Pneumologia, Ospedale San Valentino - Montebelluna (TV) 7 U.O.C. Pneumologia, Ospedale di Dolo, ULSS 13 – Dolo (VE) 8 Dipartimento di Informatica, Università degli Studi di Verona - Verona 9 U.O.C. Pneumologia, ULSS 15 Alta Padovana, Ospedale di Cittadella – Cittadella (PD) 10 U.O.C. Pneumologia, Azienda ULSS 21, Ospedale Mater Salutis – Legnago (VR) 11 U.O. Pneumologia, P.O. San Martino, ULSS 1 Belluno – Belluno 12 U.O. Pneumologia, Ospedale San Bortolo, ULSS 6 – Vicenza 13 U.O. Pneumologia, Ospedale Santa Maria di Cà Foncello – Treviso 14 Servizio di Endoscopia Toracica, Sacrocuore Don Calabria – Negrar (VR) 15 UOC Pneumologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università di Verona – Verona 16 S.C. Pneumotisiologia, Ospedale Santa Maria del Prato, ULSS 2 – Feltre (BL)
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PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO PER LA GESTIONE DELLA BPCO – a cura della Sezione Regionale AIPO Veneto
Stefano Calabro1, Loris Ceron2, Alessandra Concas3, Manuel G. Cosio4,5, Riccardo Drigo6, Enzo Faccini7, Massimo Guerriero8, Giuseppe Idotta9, Claudio Micheletto10, Rodolfo Muzzolon11, Rolando Negrin12, Manuele Nizzetto13, Kim Lokar Oliani4, Carlo Pomari14, Andrea Rossi15, Marina Saetta4, Andrea Vianello3, Franco Maria Zambotto16
1Pneumologia, Ospedale San Bassiano – Bassano del Grappa (VI)2U.O. Pneumologia, Azienda ULSS12 Veneziana, Ospedale dell’Angelo – Mestre (VE)3U.O. Fisiopatologia Respiratoria, Azienda Universitaria di Padova – Padova4Clinica Pneumologica, Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari, Università degli Studi di Padova - Padova5Meakins-Christie Laboratories, Respiratory Division, McGill University – Montreal (Canada)6U.O. Pneumologia, Ospedale San Valentino - Montebelluna (TV)7U.O.C. Pneumologia, Ospedale di Dolo, ULSS 13 – Dolo (VE)8Dipartimento di Informatica, Università degli Studi di Verona - Verona9U.O.C. Pneumologia, ULSS 15 Alta Padovana, Ospedale di Cittadella – Cittadella (PD)10U.O.C. Pneumologia, Azienda ULSS 21, Ospedale Mater Salutis – Legnago (VR)11U.O. Pneumologia, P.O. San Martino, ULSS 1 Belluno – Belluno12U.O. Pneumologia, Ospedale San Bortolo, ULSS 6 – Vicenza13U.O. Pneumologia, Ospedale Santa Maria di Cà Foncello – Treviso14Servizio di Endoscopia Toracica, Sacrocuore Don Calabria – Negrar (VR)15UOC Pneumologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università di Verona – Verona16S.C. Pneumotisiologia, Ospedale Santa Maria del Prato, ULSS 2 – Feltre (BL)
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DEFINIZIONE
La BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è una malattia del polmone caratterizzata da
una persistente e progressiva riduzione del flusso aereo associata ad una anormale risposta
infiammatoria cronica all’inalazione del fumo di sigaretta e/o di altri agenti nocivi.
Le riacutizzazioni della BPCO, la presenza di comorbilità e la bronchite cronica
contribuiscono alla gravità complessiva della malattia nel singolo paziente.
PATOGENESI E FISIOPATOLOGIA DELLA BPCO
Meccanismi patogeneticiNella BPCO i meccanismi patogenetici che possono contribuire ad innescare e perpetuare il danno
polmonare sono diversi. Infatti, oltre all’ipotesi tradizionale del disequilibrio tra proteasi e
antiproteasi, un ruolo importante è riconosciuto al sistema di ossidanti e antiossidanti polmonari,
a una ridotta clearance delle cellule apoptotiche, e a meccanismi su base immunitaria. L’ipotesi più
accreditata identifica il fumo di sigaretta come fattore decisivo per il reclutamento e l’attivazione
nel polmone di macrofagi e neutrofili (cellule dell’immunità innata) che, producendo un’ampia
gamma di enzimi proteolitici e di agenti ossidanti, sono in grado di danneggiare le cellule
strutturali del polmone e degradare l’interstizio, liberando peptidi che funzionano da potenziali
autoantigeni. Questo processo infiammatorio, innescato dal fumo di sigaretta, rappresenta una
risposta innata non specifica a uno stimolo dannoso, e questo avviene in tutti i fumatori.
Se i meccanismi che regolano la risposta innata sono efficaci, questa non progredisce
verso una risposta di tipo acquisito e il processo infiammatorio, parallelamente al danno
polmonare, si arresta a questo punto, come succede nella maggioranza dei fumatori. In caso
contrario gli antigeni liberati potrebbero innescare una risposta immune acquisita, attivando cellule
dendritiche e inducendo la proliferazione di linfociti B, CD4+ e CD8+. Queste cellule non sono
solo aumentate di numero ma sono anche correlate direttamente con la distruzione del polmone
e con il grado di ostruzione delle vie aeree. A questo stadio ci sono diversi meccanismi capaci di
controllare la risposta immune acquisita verso questi potenziali autoantigeni, e conseguentemente
limitare il danno polmonare e il grado di gravità della malattia. Soltanto in una minoranza di
soggetti fumatori, quelli senza tolleranza immunologica, tutti questi meccanismi di controllo
vengono elusi. Questo permette lo sviluppo di una grave reazione immunitaria acquisita che utilizza
come effettrici le cellule dell’immunità innata (macrofagi e neutrofili), e perpetua il danno
polmonare (Figura 1) consentendo lo sviluppo di una malattia grave.
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Figura 1: Meccanismi patogenetici
Fisiopatologia
I meccanismi patogenetici appena descritti possono determinare un importante
rimaneggiamento della normale struttura del polmone, portando alle alterazioni
anatomopatologiche responsabili della riduzione persistente del flusso aereo che caratterizza la
malattia. Queste alterazioni interessano sia le piccole vie aeree (bronchiolite) che il parenchima
polmonare (enfisema).
Studi pionieristici negli anni’60 hanno dimostrato che il sito responsabile dell’aumento
delle resistenze nei fumatori è localizzato soprattutto nelle vie aeree periferiche (bronchioli di
diametro inferiore ai 2 mm), dove alterazioni patologiche quali infiammazione cronica, fibrosi
della parete, ipertrofia del muscolo liscio e iperplasia delle cellule caliciformi nel loro insieme
contribuiscono al restringimento del bronchiolo (Figura 2).
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Figura 2: Malattia delle piccole vie aeree con perdita di attacchi alveolari
Il calibro delle vie aeree non dipende unicamente dalle condizioni anatomiche e
funzionali delle pareti bronchiolari, ma anche dalla loro relazione con il parenchima circostante
(interdipendenza).
L’enfisema polmonare contribuisce alla riduzione di flusso aereo non soltanto riducendo la
forza di retrazione elastica del polmone, ma anche attraverso la rottura degli attacchi alveolari,
cioè di quelle pareti alveolari che ancorandosi alle vie aeree contribuiscono a mantenerle pervie
(Figure 2-3).
Figura 3: Enfisema
La malattia delle piccole via aeree e la perdita di elasticità polmonare comportano non solo
la riduzione/limitazione del flusso aereo ma anche l’intrappolamento di aria a livello alveolare,
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con conseguente aumento del V olume Residuo (VR), iperinflazione polmonare, cioè l’aumento
della Capacità Funzionale Residua (CFR) e successivamente della Capacità Polmonare Totale
(CPT), e riduzione della Capacità Vitale (CV), che porta con sé la riduzione del Volume
Espiratorio Massimo nel primo Secondo (FEV1). La compromissione del FEV1 è maggiore della
riduzione della CV, così che il rapporto FEV1/CV, altrimenti noto come “indice di Tiffenau”, ne
risulta diminuito. La riduzione di questo rapporto definisce la presenza di “ostruzione”, mentre
l’aumento della CFR definisce la presenza di “iperinsufflazione”. Quest’ultima ha una
componente statica ed una dinamica. La prima è determinata dalla perdita della forza di
detrazione elastica del polmone e stabilizza ad un volume pi ù alto del normale il punto di
equilibrio elastico dell ’ apparato respiratorio (V r ): cos ì che CFR=V r . stabilizza. La seconda è
conseguenza della discrepanza tra il tempo necessario per una espirazione completa ed il tempo
effettivamente disponibile tra due sforzi inspiratori. Questa discrepanza può essere dovuta sia
all’aumentata resistenza al flusso espiratorio sia all’aumento della frequenza respiratoria sia ad
entrambi come accade di fatto in corso di riacutizzazione e/o di esercizio fisico. Nel caso
dell’iperinsufflazione dinamica, la CFR si stabilisce ad un volume più elevato del punto di
equilibrio elastico (CFR>V r ) e la pressione alveolare di fine espirazione rimane positiva, cioè
superiore alla pressione atmosferica.
L’iperinsufflazione, soprattutto nella sua componente dinamica, determina un aumento
del lavoro respiratorio ed una riduzione della capacità di generare pressione dei muscoli
inspiratori. Questa negativa associazione è all’origine della ridotta tolleranza all’esercizio fisico e
della dispnea, anche in pazienti con BPCO definita lieve.
L’alterazione della struttura delle piccole vie aeree e l’enfisema polmonare comportano non
solo una riduzione del flusso aereo, ma anche una compromissione della distribuzione del
rapporto ventilazione/perfusione V ’ A /Q ’ (V ’ A /Q’) con conseguenti anomalie degli scambi gassosi
che peggiorano con la progressione della malattia. L’ipossiemia e l’ipercapnia che ne conseguono
sono ulteriormente aggravate dall’alterazione del drive ventilatorio, conseguenza del
deterioramento della forza muscolare.
Infine, la riduzione del letto vascolare causato dall’enfisema polmonare, la
vasocostrizione da ipossiemia cronica e l’effetto diretto del fumo di sigaretta sul rimodellamento
delle arterie polmonari possono portare all’ipertensione polmonare e eventualmente allo
scompenso cardiaco destro.
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Figura 4: Patogenesi della BPCO
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Bronchite cronica
La bronchite cronica è una malatt ia definita in base alla presenza di tosse ed espettorato per
almeno 3 mesi all’anno da almeno per 2 anni consecutivi. Tali sintomi sono conseguenza delle
alterazioni che si sviluppano nelle vie aeree centrali, soprattutto infiammazione ed ipertrofia delle
ghiandole bronchiali con conseguente iperproduzione di muco.
È importante sottolineare che la diagnosi clinica di bronchite cronica è indipendente da
quella di BPCO, che è puramente funzionale. Infatti è ben noto fin dal classico studio di Fletcher e
collaboratori (1976) che la bronchite cronica può non essere associata ad ostruzione al flusso aereo.
Tuttavia va segnalato che studi epidemiologici hanno dimostrato come la presenza dei sintomi di
bronchite cronica si accompagni aa una maggiore l la gravità della broncostruzione. Infatti la
prevalenza di bronchite cronica, che è del 2.2% tra i fumatori senza BPCO, aumenta
progressivamente nei vari stadi di gravità della classificazione GOLD (10.3% in Stadio 1, 22.9%
in Stadio 2 e 39.4% in Stadio 3-4) (Tabella 1). Inoltre studi longitudinali hanno dimostrato come
la presenza di bronchite cronica sia associata ad un accelerato declino della funzionalità
respiratoria e ad un aumentato rischio di ricovero ospedaliero tra i pazienti con BPCO
conclamata. Rimane da chiarire se la presenza di tali sintomi sia in grado di predire il
successivo sviluppo di broncostruzione in soggetti con funzionalità respiratoria ancora nella
norma. In ogni caso, la bronchite cronica ha un ruolo importante su un altro outcome primario
nei pazienti con BPCO, le riacutizzazioni.: I infatti, i pazienti con broncostruzione associata a
tosse ed espettorato cronici tendono ad avere riacutizzazioni più frequenti e più gravi di quelli
senza bronchite cronica.
La bronchite cronica, come la BPCO, è una conseguenza del fumo ma non è necessariamente una componente della malattia.
Tuttavia la presenza di bronchite è importante nella BPCO perché:- è associata al declino della funzionalità respiratoria
Tabella 1 - Bronchite cronica
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Bibliografia di riferimento
- Barbera JA, Peinado VI, Santos S. Pulmonary Hypertension in COPD: old and new concept.
Monaldi Arch Chest Dis 2000; 55: 445-9.
- Cosio M, Ghezzo H, Hogg JC, et al. The relations between structural changes in small
airways and pulmonary-function tests. N Engl J Med 1978; 298(23):1277-81.
- Cosio MG, Saetta M, Agusti A. Immunologic aspects of chronic obstructive pulmonary
disease. N Engl J Med 2009; 360: 2445-54.
- Fletcher C, Peto R, Tinker C, et al. The natural history of chronic bronchitis and emphysema.
An eight-year study of early chronic obstructive lung disease in working men in London.
Oxford: Oxford University Press 1976.
- Hogg JC, Macklem PT, Thurlbeck WM. Site and nature of airway obstruction in chronic
obstructive lung disease. N Engl J Med 1968; 278(25):1355-60.
- Lee SH, Goswami S, Grudo A, et al. Antielastin autoimmunity in tobacco smoking- induced
emphysema. Nat Med 2007; 13: 567-9.
- Macklem PT. Therapeutic implications of the pathophysiology of COPD. Eur Respir J
2010;35:676-80.
- Majo J, Ghezzo H, Cosio MG. Lymphocyte population and apoptosis in the lungs of smokers
and their relation to emphysema. Eur Respir J 2001; 17: 946-53.
Gli interventi per la sospensione del fumo, dal punto di vista della Sanità Pubblica, hanno
un’assoluta rilevanza e tutte le Linee Guida riconoscono loro un ruolo cruciale nel trattamento dei
pazienti con BPCO e fumatori. Nonostante ciò, però, nella pratica: 1) la somministrazione dei
sostituti della nicotina e/o degli altri farmaci contro il tabagismo occupano un posto ancora piuttosto
marginale nella pratica clinica quotidiana dello Specialista, e 2) il counselling e gli interventi di
supporto al tabagista che intende smettere di fumare o che è in fase di sospensione non è
sufficientemente diffuso, incentivato e finanziato.
Anche se è molto frequente riscontrare delle ricadute (nei primi 12 mesi circa 50%), esistono
ragioni molto valide per incoraggiare i pazienti a riprovare a smettere di fumare utilizzando tutti gli
strumenti di cui si dispone [1]. Infatti, nel Lung Health Study (LHS) [2, 3, 4], pazienti con età media di
48 anni e esposizione al fumo di 40 pack/years venivano trattati con un preparato nicotinico
(gomma da masticare) + counselling per un numero di 12 sessioni distribuite in un arco di tempo di
3 mesi. Nei 5 anni successivi venivano contattati ogni 4 mesi ed i pazienti ricaduti venivano
ritrattati. Questo tipo d’intervento ha prodotto: 1) tasso di sospensione dal fumo del 35% a 1 anno e
del 22% a 5 anni contro rispettivamente 10% e 5% nel gruppo controllo; 2) declino totale del FEV1
di 72 ml in 5 anni nel gruppo trattato contro 301 ml nel gruppo di controllo; 3) tasso di sospensione
a 11 anni nei trattati ancora del 22% contro il 6% nel gruppo di controllo; 4) mortalità per tumore
del polmone, cause cardiovascolari e malattie respiratorie nel gruppo trattato a 14.5 anni pari a 8.83
per 1000 persone trattate/anno rispetto a 10.38 nel gruppo non trattato. Pertanto, tutti gli operatori
della sanità, e in particolare quelli impegnati nella cura delle malattie respiratorie, dovrebbero
essere in grado di fornire ad un tabagista almeno il counselling di base.
Già la semplice consegna di materiale informativo sui danni del fumo e i vantaggi di smettere può
indurre un significativo, ancorché piccolo, effetto e di conseguenza determinare un tasso di
cessazione dal fumo stimabile intorno all’1% circa. Il counselling breve di durata inferiore a 3
minuti, fornito da un MMG o da un’altra figura sanitaria adeguatamente formata, a sua volta è in
grado determinare un tasso di sospensione di circa il 2,5% [5] [6].
Anche il counselling telefonico si è dimostrato efficace [7] e può essere sfruttato, sia come
supplemento sia come sostituto d’incontri frontali. Il tabagismo è peraltro a tutti gli effetti una
dipendenza complessa e, per ottenere buone quote di sospensione, sono necessarie competenze di
tipo psicologico-motivazionale-comportamentale, e non solo di ordine farmacologico, che
difficilmente sono patrimonio di un unico professionista. Di conseguenza, i risultati migliori nella
lotta al tabagismo si ottengono con équipe multiprofessionali, in cui, combinando un adeguato
supporto psicologico con un’appropriata terapia farmacologica, è possibile ottenere tassi di
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sospensione a 3 mesi fino al 50 - 60% [5, 6]. Dall’interazione e cooperazione di più sanitari (medico,
infermiere, psicologo, ecc) deriva un effetto virtuoso. In ambienti ambulatoriali si potrebbe pensare
a un intervento del medico che dà il primo impulso, seguito poi da quello dell’infermiere o di altra
figura sanitaria con competenze di counselling.
Nel counselling c’è in ogni caso un effetto dose-risposta che dipende dal numero delle sedute e dalla
durata di ciascuna di esse. Sembra particolarmente efficace un programma di 4 o più sessioni e lo
scenario ottimale potrebbe essere rappresentato quindi da 4 sessioni di 10-15 minuti da tenersi
durante i primi 3 mesi dalla data della sospensione con questa cadenza: 1° incontro dopo 1-2
settimane; 2° incontro dopo 3-4 settimane; 3° incontro a 6 settimane; 4° incontro dopo 10-12
settimane [5].
La terapia di gruppo strutturata in corsi per smettere di fumare e in gruppi di auto-aiuto sembra
efficace come il counselling individuale.
B) Interventi farmacologici contro il fumo
I farmaci per smettere di fumare normalmente vengono usati per un arco di tempo limitato che si
conclude dopo 2 - 3 mesi dal momento della sospensione del fumo. Essi servono infatti per ridurre
l’impatto dei sintomi legati alla sospensione della nicotina e il loro dosaggio è a scalare con il
tempo. Hanno una solida base scientifica e una ben documentata efficacia clinica [1,5,8]. Sono
rappresentati da:
I. Preparati a base di nicotina
II. Vareniclina
III. Bupropione
I. - Preparati a base di Nicotina
Si trovano sotto forma di gomme da masticare, compresse sublinguali, cerotti, inalatori nasali e
orali. Vengono usati dal fumatore astinente per 6 – 12 settimane, riducendo il loro dosaggio mano a
mano che si riducono i sintomi dell’astinenza. Poiché soprattutto gomma da masticare e cerotti
assicurano livelli plasmatici senza picchi, i preparati a base di nicotina rispondono poco agli aspetti
impulsivi della dipendenza da nicotina. Hanno però il grande pregio di essere praticamente privi di
effetti indesiderati severi.
Il tasso medio di successo a 1 anno è intorno al 27% (circa 50-70% in più rispetto al placebo) [8].
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II. – Vareniclina
Tra i farmaci per la cessazione del fumo, la Vareniclina è il più efficace [1], ma è gravato da effetti
indesiderati non trascurabili e da un profilo di sicurezza non ottimale [9].
Con maggior frequenza vengono riportati nausea, incubi, infezioni del tratto respiratorio superiore e
insonnia [9]. All’analisi di un ampio database di soggetti sottoposti a trattamento per la cessazione dal
fumo (80.660 pazienti, di cui 63.265 trattati con derivati della nicotina, 10.973 con vareniclina e
6.422 con bupropione) raccolto da medici inglesi [10], pur essendo risultati simili gli eventi avversi di
tipo psichiatrico e senza raggiungere la significatività statistica, nel gruppo dei trattati con
vareniclina è stato comunque osservato un maggior numero di eventi di auto-danneggiamento
(anche grave). Il rischio di autolesionismo serio indotto dalla Vareniclina rispetto ai preparati
contenenti nicotina è risultato pari a 1.12 (quello del Bupropione pari a 1.17), per cui la Vareniclina
è controindicata nelle sindromi depressive.
Nonostante gli eventi avversi sopra ricordati, nell’opinione degli esperti e nelle raccomandazioni
contenute nelle linee guida per smettere di fumare [1,5,9] la Vareniclina rimane comunque, in virtù
della sua elevata efficacia, il farmaco di prima scelta nei programmi per la cessazione del fumo, con
tasso medio di successo a 1 anno intorno al 33% (circa 127% in più rispetto al placebo) [9,11,12]. In
combinazione con il counselling, i tassi di sospensione raggiunti con la Vareniclina sono da 2 a 3
volte superiori al solo counselling + placebo.
III. - Bupropione
È un vecchio antidepressivo con un effetto sulla cessazione dal fumo indipendente dalla sua azione
antidepressiva. Offre i risultati migliori in combinazione con i preparati a base di Nicotina. Il tasso
medio di successo a 1 anno è intorno al 24% (circa 69% in più rispetto al placebo) [13]. Può dare più
spesso insonnia e bocca secca, ma gli effetti avversi sono numerosi e non rarissimi (da 0.1 a 2%).
Ha varie controindicazioni per cui occupa un posto di secondo piano rispetto alla Vareniclina ed il
suo uso va riservato a mani esperte.
C. L ’ Ambulatorio per smettere di fumare
Già da molti anni la Regione Veneto appoggia e finanzia numerose iniziative per la Lotta al
Tabagismo, impegnando la maggior parte delle risorse nella prevenzione e rivolgendosi in
particolare ai giovani e alle gravide. Fin dagli anni ‘90, la Regione Veneto aveva iniziato a
finanziare anche progetti di cura del Tabagismo, nel 2005 ha promosso/deciso l’istituzione in ogni
Azienda U.L.S.S. di un Ambulatorio di Secondo Livello per smettere di fumare [14]. In esso
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confluiscono competenze di ordine specialistico variabile a seconda della storia di ciascuna
U.L.S.S., ma quasi sempre rappresentato da combinazioni di interventi di tipo pneumologico,
cardiologico o psichiatrico (il Tabagismo è a tutti gli effetti una dipendenza), e di sostegno
psicologico. È pensato per farvi afferire pazienti selezionati in base a criteri di particolare gravità o
difficoltà d’approccio, ed è in grado di trattare, con le risorse attuali, relativamente pochi e
selezionati pazienti.
Trattandosi di struttura non standardizzata in modo uniforme nella Regione, in molte realtà soffre
ancora di scarsa circolazione d’informazione in merito alle sue pratiche ed ai suoi meccanismi
d’accesso, quasi sempre diversi da U.L.S.S. ad U.L.S.S. L’Ambulatorio di Secondo Livello
rappresenta invece una risorsa importante nell’ambito della lotta al Tabagismo e ad esso
potrebbero/dovrebbero accedere, o per lo meno essere avviati, molti più pazienti BPCO e tabagisti
complessi.
D. La sigaretta elettronica (e-cig)
La sigaretta elettronica (electronic cigarette, e-cig) è un prodotto commerciale inventato in Cina nel
2003 che imita il sistema di inalazione della nicotina proprio della sigaretta tradizionale. Esistono
attualmente non solo molti tipi di sigarette elettroniche con cartucce per il funzionamento
contenenti miscele di sostanze che vengono vaporizzate e che possono contenere nicotina e/o aromi
vari, ma anche sigari e pipe elettroniche (in questo caso si parla di Electronic Nicotine Delivery
Systems o ENDS). Poco si sa della composizione chimica dei liquidi usati, dei vapori prodotti e
delle particelle sottili (PM) emessi nell’ambiente dalle e-cig, anche se non sembrerebbe emergere la
presenza in quantità rilevanti di sostanze cancerogene note. In particolare sono assenti i prodotti
della combustione (CO e catrame). La nicotina e l’aerosol di particelle emesse nell’ambiente
possono però essere inalate passivamente dai vicini e quindi dare origine ad effetti simili a quelli del
fumo passivo.
Le e-cig sono diventate molto popolari nei Paesi ad alto reddito e sono arrivate in Italia dal 2010. I
principali canali di vendita sono farmacie, supermercati, chioschi/edicole, internet ed altro (mercati,
bancarelle, bar e pub, casinò e Bingo..). Nel gennaio 2013 un analista della Wells Fargo Bank ha
definito le e-cig di oggi come la versione 1 dell’iPhone ed ha pronosticato che in 10 anni il consumo
di e-cig supererà il consumo di sigarette tradizionali [15].
L’evoluzione del fenomeno e-cig è avvenuto in assenza di un chiaro quadro di evidenze scientifiche
su eventuali rischi connessi e di criteri regolatori di sicurezza.
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Negli Usa è in atto una battaglia legale tra FDA e produttori di e-cig per stabilirne l’inquadramento
merceologico (se prodotto del tabacco, o comunque liberamente commerciabile, o se dispositivo
medico, o comunque prodotto farmaceutico) [16]. L’FDA [17, 18] ha dichiarato che in alcune sigarette
elettroniche sono state rilevate impurità [19], agenti tossici e sostanze cancerogene come nitrosamine
del tabacco e glicole dietilenico; ha intimato i fumatori a non utilizzare le e-cig per smettere di
fumare poiché non le ritiene sicure e innocue per la salute; e vorrebbe che le e-cig fossero
classificate come dispositivi medici. Una sentenza della Corte USA del Distretto di Columbia nel
2010 ha peraltro affermato che le e-cig possono essere disciplinate solo come prodotti del tabacco [20]. A ciò l’FDA ha risposto ribadendo di considerare l’e-cig un prodotto nocivo e ha preso
provvedimenti coattivi contro i produttori di sigarette elettroniche, dichiarando che violano la legge
federale in materia di alimenti, farmaci e cosmetici [21]. Nello specifico, le violazioni
riguarderebbero: le buone pratiche di fabbricazione; affermazioni false e infondate sul prodotto,
presentato come un farmaco; e l’utilizzo di questi dispositivi per rilasciare sostanze
farmacologicamente attive.
Depongono a favore della sigaretta elettronica [22]:
• La mancanza di prodotti della combustione (migliaia, invece, nella sigaretta tradizionale) e di
catrame.
• La probabile scarsa o nulla cancerogenicità.
• L’elevato livello di gradimento di una larga fascia di fumatori, che trova appagamento alla
sensazione tattile, al gusto, al bisogno di ritualità.
• Le potenzialità di utilizzo come ausilio nel percorso di cessazione dal fumo.
Sono a sfavore della e-cig [22]:
• La mancanza di studi sulla loro pericolosità a lungo termine, sebbene anche quelli sui danni a
breve termine siano pochi e lacunosi.
• La scarsità di studi rigorosi (e indipendenti dalle case produttrici) che ne accertino l’efficacia
come strumento per la cessazione dal fumo.
• I dubbi sulla possibilità di sopperire effettivamente alla sindrome astinenziale e al craving da
tabacco, al di la degli effetti a breve termine.
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• Il rischio che i giovani possano avvicinarsi ad essa pensando che sia innocua e ne facciano,
invece, un elemento che facilita poi il passaggio alla sperimentazione della sigaretta tradizionale.
• La mancanza di norme di produzione che ne garantiscano la sicurezza e ne standardizzino i
componenti.
In questo contesto, in cui mancano ancora certezze incontrovertibili [23], in poco tempo sono stati
pubblicati, da parte di Istituzioni, Enti Governativi, Organizzazioni Sanitarie e Società Medico-
Scientifiche, vari documenti, alcuni già sottoposti a revisione. L’OMS sostiene [24,25] che gli ENDS
debbano essere sottoposti alle medesime restrizioni imposte al fumo tradizionale di seconda mano,
che la sicurezza degli ENDS non è stata stabilita e che, sebbene i produttori vendano gli ENDS
come dispositivi efficaci per la cessazione del fumo, ad oggi non esistono prove di efficacia
sufficienti a stabilire la loro utilità e la loro sicurezza d’uso. L’uso emulativo acritico di e-cig da
parte di non fumatori, in particolare minori, potrebbe addirittura creare una dipendenza da nicotina.
Una posizione molto simile è quella presa da AIPO e SIMeR nel documento intersocietario [26].
L’estensione del divieto di fumo nei luoghi chiusi a questa categoria di prodotti è auspicata dalla
Società Italiana di Tabaccologia [22].
Vi è pertanto necessità di ulteriori studi, effettuati con fonti di finanziamento indipendenti dalle
case produttrici di e-cig. E si avverte forte la necessità di una normativa italiana, sia per
regolamentare la produzione, sia per chiarire gli ambiti in cui è possibile utilizzare l’e-cig. Infatti, se
si vuole perseguire la strada dell’uso terapeutico, è doveroso sottoporre il prodotto a tutte le fasi
indicate dalla normativa per dimostrare la mancanza di tossicità ed, infine, la validità nel campo
clinico. Se invece si volesse svincolare la vendita di questo dispositivo da ogni indicazione
terapeutica, la sua distribuzione dovrebbe comunque essere assoggettata a regole, anche
pubblicitarie, adeguate. Infatti, i messaggi pubblicitari attuali che incoraggiano il consumo di
sigarette elettroniche si prospettano come ingannevoli, sia perché non ne è stata provata l’innocuità
a lungo termine, sia perché il consumo di nicotina, quando presente nell’e-cig, è comunque dannoso
per la salute, anche se molto meno rispetto a quello derivato dalle sigarette normali.
2. INTERVENTI SU ALTRE ABITUDINI DI VITA
Nel paziente con BPCO, l’obesità rappresenta una condizione sfavorevole [27], in quanto può
aggiungere una componente di incapacità ventilatoria di tipo restrittivo a quella di tipo ostruttivo
propria della malattia e con ciò contribuire ad aumentare la dispnea. Inoltre, il paziente BPCO
21
obeso che associ alla BPCO la Sindrome delle Apnee Notturne Ostruttive (OSAS) più facilmente e
più rapidamente può evolvere verso l’insufficienza respiratoria di tipo ipossiemico-ipercapnico.
• Anche l’eccessiva magrezza, sia che derivi da un ridotto apporto calorico sia che sia la
conseguenza di un eccessivo consumo calorico da parte di muscoli respiratori costretti a lavorare
in condizioni di scarsa efficienza meccanica, rappresenta una condizione sfavorevole per il
paziente con BPCO. Questo tipo di soggetto non solo lamenterà molto di più la dispnea, ma
anche correrà il rischio di infezioni respiratorie più gravi e più difficili da controllare rispetto al
soggetto normo-peso per le sue ridotte difese immunitarie.
• La sedentarietà è un’abitudine di vita che nel paziente BPCO va contrastata [27] in quanto alla
lunga porta al decondizionamento muscolare e all’aumento della dispnea per minore efficienza
della muscolatura respiratoria. La sedentarietà inoltre favorisce l’obesità, se non si presta
sufficiente attenzione alla dieta e alla riduzione dell’attività fisica non si fa accompagnare un
adeguato e parallelo minore introito calorico.
• Anche la depressione, che spesso accompagna un individuo limitato dalla dispnea nella propria
vita di relazione, può avere ripercussioni importanti sullo stato di salute del paziente BPCO [27],
se lo condiziona al punto di indurlo a rinchiudersi in casa e a diventare sedentario, o di dover
ricorrere a trattamenti con farmaci attivi sul tono dell’umore come le benzodiazepine.
• Molti malati di BPCO, soprattutto se anziani, trascorrono fino al 90% del loro tempo al chiuso,
spesso in casa. Nelle abitazioni e negli edifici sono presenti in varia combinazione molte
sostanze inquinanti potenzialmente nocive per gli individui con BPCO, in grado quindi di
aggravare o riacutizzare la BPCO. Esse includono il fumo di tabacco, anche passivo; i residui
della combustione di petrolio, gas, cherosene, carbone; materiali da costruzione, mobili e
complementi d'arredo fabbricati con legno pressato; residui della combustione alimentare;
prodotti per la pulizia domestica e sostanze dotate di odore irritante. In merito all’inquinamento
domestico, poco è noto al paziente BPCO, il quale tende a limitare il ricircolo d’aria nelle
abitazioni per una errata/esagerata “cultura” di evitare gli spifferi e le correnti d’aria, e con ciò
concorre all’accumulo nella casa di sostanze nocive aerodisperse..
Prima ancora degli specifici interventi farmacologici, una buona azione di informazione ed
educazione può prevenire e limitare le conseguenze delle abitudini di vita non corrette sopra
ricordate.
3. PRATICHE VACCINALI
22
In coincidenza con i periodi di pandemia influenzale si osserva regolarmente un aumento di ricoveri
e decessi tra i pazienti BPCO. Nel corso della pandemia influenzale del 2009-2010, il 43% degli
adulti ricoverati negli USA soffriva di Malattie Croniche Respiratorie [28]. Le conseguenze
dell’infezione da virus influenzale potrebbero essere contrastate efficacemente dalla vaccinazione
anti-influenzale.
La vaccinazione anti-influenzale viene offerta gratuitamente dal SSN. Bisogna doverosamente
segnalare, però, che troppo spesso, anche per colpa della cattiva informazione, essa non ha la
diffusione che merita, spesso viene disattesa e le campagne anti-influenzali in Italia
durata d’azione (LABA) e a breve durata d’azione (SABA), dagli anticolinergici a lunga durata
d’azione (LAMA) e a breve durata d’azione (SAMA) e dalla teofillina a lento rilascio. Questi
farmaci migliorano il calibro delle vie aeree riducendo l’iperinsufflazione polmonare e le resistenze
a carico delle vie aeree migliorando, attraverso questi meccanismi, i sintomi, la tolleranza allo
sforzo e la qualità della vita dei pazienti con BPCO. L’uso regolare dei broncodilatatori a lunga
durata d’azione è inoltre in grado di ridurre la frequenza delle riacutizzazioni nella BPCO, uno dei
principali eventi clinici che caratterizzano la storia naturale della malattia. Possono essere prescritti
sia al bisogno che in maniera regolare con la finalità di alleviare e/o prevenire i sintomi respiratori e
la scelta a del trattamento dipende sia dalla disponibilità dei farmaci che dalla risposta individuale
sia in termini di efficacia che di effetti collaterali (1-3).
Broncodilatatori per via inalatoria a breve durata di azione
Beta-2 agonisti (SABA)
Fanno parte di questa categoria di farmaci il salbutamolo, il fenoterolo e la terbutalina. Tali farmaci
agiscono sui recettori beta-2 adrenergici del muscolo liscio bronchiale determinando aumento del
calibro delle vie aeree e riducendo di conseguenza la dispnea e migliorando la qualità di vita dei
pazienti, mentre determinano solo un modesto miglioramento della funzionalità respiratoria (4). La
broncodilatazione ottenuta è rapida e la durata d’azione massima è di 4-6 ore, pertanto sono
prevalentemente indicati come farmaci al bisogno in tutti gli stadi della malattia.
Gli effetti collaterali provocati da tali farmaci, più o meno rilevanti, dipendono molto
dell’età e dalle comorbilità presenti nei pazienti affetti da BPCO. Uno degli effetti collaterali più
frequenti in relazione al loro uso è sicuramente la comparsa di episodi di tremore degli arti e/o di
tachicardia dose-dipendente. Altri effetti collaterali legati al loro utilizzo sono l’ipokaliemia (5) e
l’aumento del consumo di ossigeno (6) ma comunque non è stata dimostrata alcuna responsabilità di
questi farmaci riguardo all’aumento della mortalità nella BPCO.
Antimuscarinicicolinergici (SAMA)
Fanno parte di questa categoria di farmaci l’ipratropio bromuro e l’ossitropio bromuro. Tali farmaci
agiscono bloccando l’azione dell’acetilcolina sui recettori colinergici e determinando di
conseguenza broncodilatazione, riduzione della dispnea ed una migliore qualità di vita per i pazienti
affetti da BPCO. La durata di azione di questi farmaci è un po' più lunga di quella dei SABA ed è di
circa 6-8 ore (7). Gli effetti collaterali provocati da tali farmaci possono essere secchezza delle
fauci, possibili disturbi prostatici ed talvolta effetti negativi in portatori di glaucoma acuto.
29
Associazioni con i broncodilatatori a breve durata d’azione
La somministrazione combinata di due broncodilatatori a breve durata di azione con meccanismo di
azione differenziato (beta-2 adrenergico e antimuscarinicocolinergico) determina una maggiore
variazione positiva dei parametri spirometrici rispetto a ognuno dei due componenti da soli, una
minore necessità di SABA al bisogno e un miglioramento della qualità di vita (8).
Broncodilatatori per via inalatoria a lunga durata di azione
Beta-2 agonisti a lunga durata d’azione (LABA)
I broncodilatatori beta-2 adrenergici a lunga durata di azione attualmente disponibili sono
formoterolo, salmeterolo e indacaterolo. Vari studi di confronto negli anni hanno dimostrato che tali
farmaci migliorano la funzionalità respiratoria, riducono la dispnea, e la necessità di SABA al
bisogno, migliorando pertanto la qualità di vita nei pazienti affetti da BPCO. Inoltre è stato
dimostrato che l’uso regolare di broncodilatatori a lunga durata d’azione riduce l’incidenza di
riacutizzazioni nella storia naturale di questa patologia (9-11).
L’effetto dei LABA è di durata maggiore rispetto ai SABA. La durata d’azione è di circa 12
ore per il formoterolo e il salmeterolo e di più di 24 ore per indacaterolo. In particolare indacaterolo
ha mostrato in recenti studi un’azione broncodilatatrice più rapida che si sviluppa entro 5 minuti
dall’inalazione e una superiorità come LABA in termini di funzionalità respiratoria, qualità di vita e
controllo della dispnea, rispetto al formoterolo (12) e al salmeterolo (13).
Antimuscarinicicolinergici a lunga durata d’azione (LAMA)
Gli antimuscarinicicolinergici a lunga durata d’azione hanno una maggiore selettività per i recettori
colinergici M3, che sono localizzati nel polmone sulla muscolatura liscia bronchiale, a livello
endoteliale e sulle ghiandole mucipare sottomucose e mediano la broncocostrizione, la produzione
di muco e la vasodilatazione. Tali farmaci agiscono riducendo il tono vagale colinergico che è
aumentato nelle vie aeree del paziente con BPCO e determinando pertanto broncodilatazione (14).
I LAMA attualmente disponibili sono il tiotropio bromuro, il glicopirronio e l’aclidinium.
Il tiotropio bromuro ha una durata di azione superiore alle 24 ore e agisce antagonizzando
competitivamente e reversibilmente soprattutto i recettori colinergici M1 e M3, ma anche gli M2 da
cui però si dissocia più rapidamente. Il suo uso regolare migliora la funzione respiratoria valutata in
termini di FEV1 e FVC, riduce i sintomi respiratori e la necessità di SABA al bisogno e migliora la
qualità di vita dei pazienti affetti da BPCO (15-17). Inoltre revisioni sistematiche (18) hanno
30
dimostrato che il tiotropio è in grado di ridurre significativamente il rischio di riacutizzazione e di
ricovero per questa causa rispetto al placebo e dell’ipratropio bromuro, ma non diversamente dai
LABA, in pazienti con BPCO da moderata a grave. Nello studio UPLIFT (17), durato quattro anni,
che ha coinvolto un totale di quasi seimila pazienti BPCO è stato a sua volta confermata l’efficacia
del tiotropio, nei confronti del placebo, nel migliorare la funzionalità respiratoria e la qualità della
vita e nel ridurre l’incidenza delle riacutizzazioni e dei ricoveri correlati a tale patologia, sebbene
non si sia dimostrata una riduzione statisticamente significativa del declino del FEV1 funzione
respiratoria che si ha nella BPCO. Per quanto riguarda gli effetti collaterali della somministrazione
di tiotropio, nei vari studi gli eventi avversi sono risultati paragonabili a quelli registrati nei soggetti
di controllo che non assumevano tiotropio.
Tra l’altro il recentissimo studio TIOSPIR, uno dei più ampi studi internazionali mai
condotti, ha confermato l’equivalenza, in termini di sicurezza e di efficacia, per entrambe le
formulazioni disponibili di tiotropio, tiotropio handihalear 18 µg 1 erogazione o.d. e tiotropio
respimat 2.5µg due erogazoni o.d. (19).
Il glicopirronio, altro LAMA approvato dall’EMEA nel 2012, mostra una spiccata selettività
per i recettori M3 rispetto gli M2 (quattro volte maggiore) ed è in grado di raggiungere una
concentrazione plasmatica di picco (C max) entro 5 minuti dall’assunzione del farmaco. Il
glicopirronio ha una lunga durata d’azione (24 ore) con una sola somministrazione giornaliera. In
due importanti studi di fase III randomizzati (20,21) e controllati con placebo e con tiotropio (22), è
stata dimostrata la superiorità di glicopirronio versus placebo in termini di miglioramento della
funzionalità respiratoria, sia per quanto concerne l’end point primario (trough FEV1) che per quanto
concerne gli end point secondari funzionali. Inoltre si è riscontrato un miglioramento
statisticamente significativo per quanto concerne il SGRQ e il TDi rispetto placebo. Nei trial clinici
il glicopirronio ha diminuito l’uso di farmaci al bisogno e ha ridotto in maniera statisticamente
significativa il rischio di riacutizzazioni moderate severe del 34% (p= 0.001) di rispetto placebo.
Infine nello studio GLOW III (23), questo nuovo LAMA ha mostrato miglioramenti significativi
rispetto placebo in termini di tolleranza all’esercizio dopo 3 settimane di trattamento. Anche per
questo la maggior parte degli eventi avversi sono risultati di lieve-moderata gravità. L’incidenza di
eventi avversi anticolinergici e cardiaci è risultata bassa e simile al gruppo placebo.
Aclidinio è un anticolinergico a lunga durata d’azione approvato nel luglio 2012 per la
terapia dei paziente BPCO. Il dosaggio raccomandato è 400µg t.d. Questa nuova molecola ha
mostrato una maggiore selettività per i recettori M3 rispetto agli M2 determinando un significativo
effetto broncodilatatore con un numero non significativo di effetti avversi cardiovascolari. La
bronco dilatazione viene ottenuta già dopo 10-15 minuti dall’assunzione del farmaco e due recenti
31
studi, ATTAIN (24) e ACCORD COPD I (25), hanno di fatto dimostrato l’efficacia della molecola
in termini di broncodilatazione e controllo della dispnea nonché nel miglioramento della qualità di
vita rispetto placebo nei pazienti con BPCO da moderata e grave. Inoltre l’analisi combinata dei due
studi di fase III sopra citati ha evidenziato che aclidinium ha diminuito in maniera significativa le
esacerbazioni moderate-severe del 29% (p=0.01) Il farmaco inoltre è risultato ben tollerato e la
maggior parte degli eventi avversi sono risultati di lieve–moderata gravità. L’incidenza di eventi
avversi anticolinergici e cardiaci è risultata bassa e simile al gruppo placebo.
Broncodilatatori per via orale: Metilxantine a lento rilascio
Oltre al rilascio del muscolo liscio bronchiale, i teofillinici, in genere somministrati come
formulazioni orali a lento rilascio, possono aumentare la forza di contrazione del diaframma,
interferire positivamente con la clearance delle vie aeree e aumentare l’output cardiaco, con benefici
per lo stato di salute nei pazienti con BPCO, ma il loro margine terapeutico è piuttosto ristretto a
causa della potenziale tossicità e delle interazioni con altri farmaci, per cui essi debbono essere
considerati di seconda scelta nel trattamento della fase stabile della malattia. Le metilxantine
possono essere indicate solamente nei pazienti che rimangono sintomatici nonostante la terapia con
broncodilatatori inalatori (1,2).
Inibitori delle fosfodiesterasi 4 (PDE-4)
Questa categoria di farmaci agisce aumentando la concentrazione cellulare dell’AMP ciclico e
riducendo l’infiammazione bronchiale. Roflumilast è il primo inibitore della fosfodiesterasi 4
approvato dall’EMEA, è un farmaco orale in monosomministrazione giornaliera, che pur non
avendo una azione broncodilatatrice diretta, migliora la funzionalità respiratoria (FEV1 e FVC) sia
in pazienti non trattati con broncodilatatori (26) che in pazienti in trattamento con salmeterolo e
tiotropio (27).
Al momento è indicato nel trattamento di pazienti BPCO in stadio III – in stadio IV, con
storia di bronchite cronica e frequenti riacutizzazioni poiché, oltre ad esplicare un’azione
antiinfiammatoria, riduce le riacutizzazione nei pazienti BPCO con tali caratteristiche. Tuttavia la
terapia con tale farmaco è associata a significativi effetti collaterali, in particolare diarrea, perdita di
peso (1,2).
Corticosteroidi
Il documento GOLD e le linee guida AGENAS sconsigliano la somministrazione dei soli
corticosteroidi inalatori nella BPCO e vengono raccomandati solo in combinazione con bronco
32
dilatatoria a lunga durata d’azione, la letteratura si riferisce ai LABA, nei pazienti BPCO (1,2). Le
associazioni al momento a disposizione per il trattamento della BPCO sono fluticasone/salmeterolo
e budesonide/formoterolo.
I dati più solidi, sui quali si basano le attuali indicazioni delle linee guida si basano su numerosi
studi nei quali gli steroidi inalatori sono stati studiati in associazione con i LABA e confrontati con i
singoli monocomponenti (ICS e LABA) ed il placebo. Tra i primi Mahler e coll. (28) hanno
evidenziato che il trattamento con l’associazione fluticasone propionato e salmeterolo somministrati
con lo stesso erogatore induceva un incremento della funzionalità respiratoria maggiore di quello
indotto dagli stessi farmaci somministrati singolarmente. Analoghi risultati a favore della
combinazione sono stati anche evidenziati in altri studi in cui l’associazione salmeterolo 50
μg/fluticasone 500 μg, era in grado di incrementare maggiormente la funzione respiratoria e di
ridurre i sintomi e il numero di riacutizzazioni di più rispetto al trattamento con ì singoli componenti
somministrati da soli nei pazienti con BPCO (29).
Tuttavia la nuova prospettiva per il trattamento della BPCO nasce con lo studio TORCH
(Towards a Revolution in COPD Health) (30). Nessun studio sino ad allora aveva valutato l’effetto
della terapia inalatori nella BPCO sui parametri fondamentali della malattia, come la mortalità. Lo
studio TORCH è stato condotto per valutare se il trattamento con la combinazione salmeterolo 50
μg più fluticasone propionato μg, due volte al giorno riducesse la mortalità per qualsiasi causa nei
pazienti affetti da BPCO, rispetto al placebo. Nello studio è stato comparato il trattamento
con salmeterolo 50 mcg più fluticasone propionato 500 mcg (in regime di combinazione) con
ciascuno dei componenti dell’associazione somministrati singolarmente e con il placebo per ha
valutato per un periodo di 3 anni in pazienti BPCO con FEV1 pre-broncodilatatore < 60%. Il dato
più rilevante riguarda la riduzione del rischio di mortalità relativa che è del 17.5% nel gruppo in
trattamento con l’associazione rispetto al placebo, ancorché ai limiti della significatività statistica
(P=0.052). Tale riduzione del rischio di mortalità relativa è particolarmente rilevante se si considera
che la riduzione di mortalità ottenibile con la sospensione del fumo di sigaretta sia intorno al 12% e
che l’effetto di riduzione della mortalità data dalle statine sia del 12.8%. Lo studio ha confermato
l’efficacia della combinazione fluticasione/salmeterolo nel ridurre la frequenza delle riacutizzazioni,
comprese quelle riacutizzazioni che richiedono l’ospedalizzazione, nel migliorare la sintomatologia
e la qualità della vita nonché la funzione respiratoria. Tali effetti sono risultati migliori non solo
rispetto al placebo ma anche rispetto ai gruppi trattati con i singoli componenti dell ’associazione
(salmeterolo o fluticasone solamente) indicando che la combinazione dei 2 farmaci (ICS e LABA) è
più vantaggiosa dei singoli componenti. Un’analisi post hoc del TORCH ha inoltre evidenziato che
il trattamento farmacologico con l’associazione steroide-broncodilatatore a lunga durata d’azione
33
per via inalatoria è in grado di ridurre il declino della funzione respiratoria (in termini di FEV1, cioè
volume di aria espirata nel primo secondo) nei pazienti con BPCO da moderata o grave rallentando
così la progressione della malattia. Si è evidenziato che salmeterolo la combinazione riduce il
declino del FEV1 di 16 ml/anno rispetto al placebo (p< 0,001). I dati ottenuti hanno quindi
supportato l’uso di questa terapia in pazienti con gravità spirometrica minore (FEV1
prebroncodilatore <60% predetto) rispetto a quelli indicati Sulla base di tali studi pertanto le linee
guida attualmente consigliano l’utilizzo degli steroidi in associazione ad broncodilatatori a lunga
durata d’azione in pazienti con FEV1 ≤ 50% del teorico (FEV1 < 60% pre broncodilatatore se si
utilizza fluticasone propionato + salmeterolo) e storia di frequenti riacutizzazioni (1 o più all’anno
negli ultimi 3 anni).
Per quanto concerne gli effetti collaterali della terapia con steroidi inalatori a lungo termine,
dati solidi sulla safety arrivano, ancora una volta, dallo studio TORCH, che per numerosità
coinvolge un numero di pazienti superiore a tutti gli studi precedenti con la stessa combinazione
ICS/LABA. In tale studio per quanto concerne l’associazione steroide-broncodilatatore a lunga
durata d’azione non sono emerse differenze rispetto al placebo riguardo al rischio di eventi
cardiovascolari, insorgenza di cataratta, fratture e variazioni in termini di osteopenia/osteoporosi
alla densitometria ossea (31-33).
In uno studio randomizzato di 12 mesi, anche l’associazione budesonide/formoterolo
(160/4.5 mcg) ha ridotto il numero di severe esacerbazioni per paziente/anno del 24% versus
placebo e 23% versus formoterolo (34). L’incremento del FEV1 è risultato del 15% versus placebo e
9% versus budesonide. Il miglioramento del PEF a favore dell’associazione si è mantenuto per tutti
i 12 mesi di osservazione. Budesonide/formoterolo ha ridotto i sintomi e l’uso di broncodilatatori al
bisogno e migliorato la qualità di vita.
In un ulteriore trial di 12 mesi (35), i soggetti trattati con budesonide/formoterolo avevavo
un tempo prolungato alla prima esacerbazione (254 versus 96 giorni) ed un miglioramento
significativo del FEV1 rispetto al placebo. La terapia di associazione si confermava in grado di
ridurre le esacerbazioni (1.38 versus 1.80 per paziente per anno) e di migliorare la qualità di vita.
Particolarmente discusso è stato il rischio di polmonite del trattamento prolungato con ICS,
che è emerso dallo studio TORCH (30), date le dimensioni del campione analizzato. L’incidenza
delle polmoniti nello studio, peraltro non confermate radiograficamente, non ha tuttavia determinato
un aumento nel numero dei decessi. Quantificando nel dettaglio il rischio pro-infettivo di un
trattamento cronico con una combinazione fluticasone/salmeterolo nei pazienti con BPCO dai
risultati dello studio TORCH emerge inoltre un dato contrastante: in corso di terapia con steroidi vi
è sì un aumento di patologie infettive come le polmoniti (3 su 100 pazienti/anno nel gruppo placebo
34
contro 7 su 100 pazienti nel gruppo trattato con la combinazione) ma si osserva anche una marcata
riduzione delle riacutizzazioni (92/100 pazienti/anno nel gruppo placebo contro 67/100
pazienti/anno nel gruppo in trattamento con la combinazione steroide–broncodilatatore a lunga
durata d’azione) (31). Un'analisi a posteriori dello studio ha rilevato inoltre che i pazienti a
maggiore rischio di sviluppare polmonite, sono i soggetti più anziani, quelli con un indice di massa
corporea più basso (<25kg/m2) ed i pazienti affetti da una forma grave della malattia (FEV1 < 50%
del teorico) (36).
I risultati dello studio osservazionale “real-life” PATHOS (37) hanno dimostrato che il
trattamento con la combinazione fissa budesonide/formoterolo si associa ad una minore incidenza di
polmonite e decessi correlati, rispetto alla terapia a base di fluticasone/salmeterolo (37).
Il gruppo di pazienti trattati con fluticasone/salmeterolo ha avuto un’incidenza di polmoniti
superiore del 73%, con un numero di eventi pari ad 11,0 per 100 pazienti-anni in confronto a 6,4 per
100 pazienti-anni nel gruppo budesonide/formoterolo. Inoltre, la terapia con fluticasone/salmeterolo
è associata al 74% in più di ospedalizzazioni per polmonite rispetto al trattamento con
budesonide/formoterolo, con 7,4 ricoveri ospedalieri per 100 pazienti-anni nel gruppo trattato con
fluticasone/salmeterolo, rispetto a 4,3 ricoveri ospedalieri per 100 pazienti-anni nel gruppo trattato
con budesonide/formoterolo.
BPCO stabile. La scelta terapeuticaLa scelta terapeutica deve essere adeguata per la singola persona e guidata dalla gravità del quadro
clinico, considerato nel suo complesso di sintomi, funzione respiratoria, complicanze, comorbilità e
dalle caratteristiche individuali (fenotipo) della persona che ne è affetta (1).
Nelle persone con diagnosi confermata spirometricamente di BPCO, che abbiano sintomi
quali ad esempio la ridotta tolleranza all’esercizio fisico e/o dispnea da sforzo (≥ grado 1 MMRC),
anche in presenza di un FEV1 pre-broncodilatatore > 80% del valore teorico si può considerare il
trattamento con farmaci broncodilatatori (38).
Nelle persone sintomatiche con diagnosi di BPCO e FEV1 pre-broncodilatatore < 80% del
valore teorico, attuare il trattamento regolare e continuativo con un broncodilatatore a lunga durata
d’azione (salmeterolo, formoterolo, indacaterolo, tiotropio, aclidinio, glicopirronio) per via
inalatoria (10-21, 39). Due studi clinici ad un anno hanno indicato una maggiore protezione verso le
riacutizzazioni del tiotropio rispetto ai LABA pur determinando entrambe le categorie una efficace
broncodilatazione (40-42). Inoltre, un studio clinico su una larga popolazione di pazienti ha
dimostrato la sicurezza clinica del tiotropio nelle formulazioni inalatorie e nei dosaggi disponibili
(19).
35
Nelle persone in trattamento farmacologico regolare, ad ogni visita programmata si
dovrebbe valutare:
- la corretta e regolare assunzione della terapia inalatoria;
- la variazione dei sintomi ed in particolare, la tolleranza all’esercizio fisico e la dispnea da
sforzo;
- le modificazioni della funzione polmonare in termini non solo di FEV1 e di volumi
polmonari (in base al programma di controlli spirometrici);
- il ricorso ai broncodilatatori a breve durata d’azione come supporto occasionale;
- la frequenza e gravità degli episodi di riacutizzazione;
- la frequenza e la durata degli episodi di ospedalizzazione;
- gli eventuali eventi collaterali e/o avversi.
Nel caso di risultato giudicato insoddisfacente in termini di sintomatologia e/o funzionalità
polmonare da parte della persona con BPCO e/o dal medico curante, considerare:
- l’aumento della dose del singolo broncodilatatore se e come previsto nella scheda tecnica
del farmaco in uso (43-44);
- l’aggiunta di un secondo broncodilatatore a lunga durata d’azione, con meccanismo d’azione
differente (45-50);
- l’aggiunta di un corticosteroide per via inalatoria (CSI), nei pazienti con frequenti
riacutizzazioni e FEV1 < 60% (28-31,34,35).
Nelle persone con BPCO, sintomatiche nonostante l’uso regolare di broncodilatatori a lunga
durata d’azione, con FEV1 pre-broncodilatatore < 60% del valore teorico e storia di frequenti
riacutizzazioni (≥ 2/anno), considerare l’associazione LABA+CSI (2,31)1. L’utilizzo della
combinazione fissa può migliorare significativamente l’aderenza della persona alla terapia
(30,31,34,35).
- L’associazione LAMA+LABA+CSI, in persone sintomatiche con FEV1< 60% del valore teorico,
ha migliorato la funzione ventilatoria e la qualità della vita e ridotto il numero di ospedalizzazioni
(51-52).
- In pazienti con diagnosi di BPCO, FEV1 < 50%, bronchite cronica e frequenti riacutizzazioni (≥
2), l’aggiunta di un inibitore delle fosfodiesterasi-4 (roflumilast) alla terapia regolare con
1 Nota EMA-AIFA per salmeterolo 50/fluticasone 500 mcg bid “trattamento sintomatico di pazienti con BPCO, con FEV1 < 60% del normale previsto (pre-broncodilatatori) ed una storia di riacutizzazioni ripetute, che abbiano sintomi significativi nonostante la terapia regolare con broncodilatatori”.
36
broncodilatatori a lunga durata d’azione (LAMA o LABA) migliora la funzione ventilatoria e
riduce la frequenza delle riacutizzazioni (26,27).
Scelta degli inalatoriLa terapia inalatoria rappresenta il cardine del trattamento farmacologico della BPCO. A differenza
della terapia orale o endovena, la terapia inalatoria consente di somministrare i farmaci direttamente
nel lume delle vie aeree, ottenendo a questo livello concentrazioni consistenti del farmaco
riducendone al minimo l’esposizione sistemica. L’efficacia dei farmaci somministrati per via
inalatoria può variare, però, in relazione alla differente formulazione e alle caratteristiche dei
dispositivi usati per inalarli. Il successo della terapia inalatoria non dipende solamente dall ’efficacia
del farmaco, ma anche dalla disponibilità di inalatori facili da usare e che assicurino elevate
quantità del farmaco nell’apparato respiratorio.
Le evidenze cliniche più recenti, sottolineate dalle principali società scientifiche
pneumologiche, richiamano l’attenzione sul fatto che la terapia inalatoria può risultare poco o per
niente efficace se non assunta in maniera adeguata. Si può affermare, quindi, che non si può parlare
solo dell’efficacia delle singole molecole, ma della combinazione tra molecola ed inalatore.
Esistono differenti tipi di device per la somministrazione inalatoria dei farmaci usati nel
trattamento dell’asma e della BPCO: i nebulizzatori, gli spray predosati (pressurized metered dose
inhaler, pMDI) e gli inalatori di polvere secca (dry powder inhalers, DPI).
Gli spray pre-dosati sono stati introdotti nella pratica clinica circa 50 anni fa, sono stati
progressivamente migliorati, in particolare per quanto riguarda la velocità dell’erogazione, il
diametro delle particelle, l’uso in soluzione anziché sospensione, i propellenti non più dannosi per
l’ambiente. Il limite maggiore rimane proprio la necessità di coordinare l’attuazione dello spray con
l’inspirio da parte del paziente. Lo sviluppo di nuove tecnologie e dispositivi inalatori ha consentito
lo sviluppo di formulazioni pMDI in soluzione che permettono di ridurre le dimensioni delle
particelle erogate e diminuire la velocità di erogazione. Gli MDI con propellente HFA migliorano la
coordinazione mano/respiro in quanto il plume prodotto dal MDI è meno veloce e questo offre al
paziente un maggior tempo per effettuare una corretta inspirazione.
I DPI possono essere: 1) a singola dose 2) multidose con dosi unitarie 3) multidose con
reservoir ed hanno eliminato rispetto ai tradizionali spray ogni necessità di coordinazione da parte
del paziente, poiché consentono di assumere la dose del farmaco inspirando direttamente
dall’inalatore. Il paziente deve tuttavia essere in grado di produrre un flusso inspiratorio sufficiente
a mobilizzare il farmaco. L’efficacia di un dispositivo DPI è funzionale al flusso inspiratorio
generato dal paziente. A parità di sforzo inspiratorio il dispositivo che genera al suo interno valori
37
più elevati di Picco di Flusso Inspiratorio (PIF) garantisce erogazioni più precise e costanti di
farmaco.
Anche per i DPI, come già sottolineato per gli MDI, la deposizione polmonare dipende dalla
quota di frazione respirabile del farmaco, vale a dire la quantità di particelle con un diametro tra 5 -
2.5 um. DPI dotati di una resistenza particolarmente elevata possono essere utilizzati con difficoltà
da pazienti che possono effettuare un modesto sforzo inspiratorio come bambini, anziani, paziente
severamente ostruiti.
Bibliografia1. La gestione clinica integrata della BPCO. Documento dell’Agenzia Nazionale per i Servizi
Sanitari Nazionali 2013.
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TERAPIA DELLA FASE STABILE: La riabilitazione
Introduzione e definizione La riabilitazione respiratoria è un'opzione terapeutica offerta ai pazienti affetti da BPCO, una
patologia sempre più diffusa. Essa aiuta a prevenire il decondizionamento e consente al paziente di
convivere al meglio con la sua malattia.
Il concetto di riabilitazione respiratoria si è evoluto negli ultimi decenni, anche se già nelle
definizioni degli anni Novanta compare sia la nozione di multidisciplinarietà sia l’obiettivo di
rendere il paziente il più possibile autonomo e indipendente in relazione alla sua condizione
patologica. La più recente definizione, apparsa nell’ultimo documento congiunto delle società
scientifiche ATS e ERS del 2013, la descrive come “un intervento globale basato su una valutazione
approfondita del paziente con prescrizione di terapie su misura, che includono, ma non sono limitate
a, l'esercizio fisico, l'educazione e il cambiamento di comportamento, finalizzate a migliorare la
condizione fisica e psicologica delle persone con malattie respiratorie croniche e promuovere
l'aderenza a lungo termine dei comportamenti che migliorano lo stato di salute”.
In questa articolata definizione rileviamo la presenza dei seguenti fattori:
- multidisciplinarietà: i programmi di riabilitazione polmonare utilizzano competenze di varie
discipline sanitarie, integrate in un programma globale;
- individualità: i pazienti con malattie polmonari invalidanti richiedono una valutazione
individuale delle loro specifiche esigenze e un programma progettato per soddisfare i singoli
obiettivi da raggiungere;
- attenzione alla funzione fisica e sociale: per avere successo, la riabilitazione polmonare non
può trascurare le dimensioni psicologica, emotiva e sociale né la disabilità fisica e deve
contribuire a ottimizzare la terapia medica per migliorare la funzione polmonare e la
tolleranza allo sforzo.
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Obiettivi e risultati nella BPCOI principali obiettivi della riabilitazione respiratoria sono:
1. ridurre i sintomi;
2. ridurre la limitazione nelle attività quotidiane e la restrizione alla partecipazione alla vita
sociale;
3. ottenere il più elevato livello possibile di indipendenza funzionale;
4. migliorare la qualità della vita;
5. ottenere un cambiamento comportamentale a lungo termine finalizzato al miglioramento
dello stato di salute.
E’ noto infatti che i pazienti affetti da BPCO presentano spesso una riduzione della attività
fisica dovuta alla dispnea da sforzo. Il progressivo decondizionamento fisico associato alla iniziale
inattività è all'origine di un circolo vizioso che mantiene e gradualmente incrementa l’inattività. La
riabilitazione respiratoria aiuta a interrompere questo circolo.
Grazie infatti all’approccio multidisclipinare e alla personalizzazione dell’intervento, i
programmi di riabilitazione respiratoria rivolti ai pazienti affetti da BPCO si sono dimostrati
efficaci in ordine al raggiungimento dei seguenti risultati, confortati dal riscontro dell'evidenza
clinica:
- aumento della tolleranza allo sforzo
- riduzione della sensazione di fame d’aria
- miglioramento della qualità della vita
- riduzione delle ospedalizzazioni e dei giorni di degenza (riduzione indiretta dei costi
sanitari)
- riduzione dell’ansia e della depressione
- incremento dell’aderenza ai trattamenti raccomandati
- riduzione della frequenza e della gravità dei sintomi
- miglioramento dell’umore e della motivazione
- riduzione della dipendenza
- incremento della partecipazione alle decisioni terapeutiche mediante la costruzione di una
capacità di autogestione
- incremento della partecipazione alle attività quotidiana.
Chi riabilitare e chi no La riabilitazione respiratoria è indirizzata ai pazienti affetti da BPCO sintomatici, specialmente se
presentano:
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- dispnea/stanchezza
- ridotta qualità della vita relativa allo stato di salute
- ridotto stato funzionale
- ridotta performance occupazionale
- difficoltà a effettuare le comuni attività quotidiane
- difficoltà con la terapia
- problemi psicologici correlati alla malattia respiratoria
- denutrizione
- aumentato uso di risorse sanitarie (p.e. frequenti riacutizzazioni, ricoveri, visite in pronto
soccorso, visite mediche)
- alterazioni dello scambio dei gas, inclusa l’ipossiemia.
Andranno esclusi invece i pazienti:
- con danno cognitivo
- con disturbi psicotici
- con patologie infettive rilevanti
- con patologie muscolo-scheletriche o neurologiche che impediscono l’esercizio fisico
- con malattia cardiovascolare instabile (angina instabile, malattia valvolare aortica,
ipertensione polmonare instabile).
Va segnalato come la motivazione e la convinzione dell’efficacia della riabilitazione da parte
del paziente risulti un criterio imprescindibile per il reclutamento dei pazienti, laddove età e sesso
non appaiono fattori limitanti; neppure la necessità di ossigenoterapia è discriminante.
Quando riabilitare (“Timing” della riabilitazione respiratoria)La riabilitazione respiratoria può essere iniziata a qualsiasi stadio della malattia, durante periodi di
stabilità clinica oppure durante (o immediatamente dopo) una riacutizzazione.
Secondo l’orientamento delle più attuali linee guida, quanto più precocemente ha inizio il
trattamento, tanto maggiori saranno i benefici ottenuti. Nuove evidenze scientifiche indicano infatti
che i pazienti affetti da BPCO sintomatici con gradi più lievi di limitazione al flusso traggono dal
programma di riabilitazione respiratoria gli stessi miglioramenti nei sintomi, nella tolleranza allo
sforzo e nella qualità della vita dei pazienti con malattia più grave.
In particolare, la riabilitazione respiratoria, dopo una ospedalizzazione per riacutizzazione di BPCO,
si è dimostrata clinicamente efficace, sicura e associata a una riduzione delle successive
riammissioni ospedaliere.
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Inoltre la riabilitazione respiratoria gioca un ruolo importante nei pazienti affetti da BPCO
candidati ad intervento di resezione polmonare e nei pazienti già operati che presentano un recupero
clinico e funzionale respiratorio più lento del previsto.
Dove riabilitareSecondo i più accreditati studi, la riabilitazione, effettuata in ospedale, in regime di ricovero
ordinario o di day hospital (ambulatorio integrato) oppure condotta a domicilio, ottiene risultati
comparabili. La scelta della sede è legata perciò ad altri fattori, quali problemi organizzativi,
difficoltà o meno negli spostamenti, presenza di comorbilità che necessitano di monitoraggio.
Chi riabilitaPoiché la riabilitazione respiratoria è una opzione terapeutica multidisciplinare, il team sarà
composto da diverse figure professionali tra cui: lo specialista pneumologo, esperto nel trattamento
delle patologie croniche respiratorie, il fisiatra, il fisioterapista respiratorio, l'infermiere
professionale, esperto di educazione sanitaria, lo psicologo, il nutrizionista e l'assistente sociale.
Come riabilitareLa riabilitazione respiratoria lavora su diversi fronti: allenamento all’esercizio fisico, rieducazione
respiratoria, fisioterapia respiratoria, educazione sanitaria e supporto psicologico.
La dispnea da sforzo nella BPCO ha infatti una origine multifattoriale, che riflette in parte la
disfunzione dei muscoli scheletrici, le conseguenze della iperinflazione dinamica, l’aumentato
carico di lavoro e/o i difetti nello scambio dei gas. Queste limitazioni sono aggravate poi dal
naturale declino funzionale correlato all’età e agli effetti del decondizionamento, cui si aggiungono
le comorbilità. Di fronte a questo scenario, l’allenamento allo sforzo rappresenta il mezzo più
efficace per migliorare la funzionalità muscolare attraverso la quale si riduce il sintomo dispnea
grazie all’interruzione del circolo vizioso dispnea-inabilità-decondizionamento, anche in assenza di
cambiamenti nella funzionalità polmonare.
Per massimizzare l’efficacia dell’intervento è necessario ottimizzare la terapia medica,
verificare la necessità di ossigenoterapia, trattare adeguatamente le comorbilità.
1. ALLENAMENTOL’allenamento allo sforzo si effettua con esercizi di tipo aerobico a carico costante (Endurance
training). La camminata libera (treadmil) e la bicicletta (cicloergometro) sono le modalità più
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comuni. Non va escluso neppure il Nordic Walking che si è dimostrato particolarmente efficace
perché permette l’allenamento contemporaneo dei gruppi muscolari degli arti inferiori e superiori.
Gli esercizi aerobici vanno sostenuti con l’intensità più alta possibile, compatibilmente con
la capacità massima allo sforzo individuale (da un minimo di 50-60% fino all’80-85% di VO2max o
FC max) (Hight intensity training target). Per i pazienti ambulatoriali, la frequenza settimanale
prevista è di 2-3 sedute, cui vanno aggiunte 2 sedute domiciliari, per un totale di almeno 4 sedute
settimanali. Ai pazienti ricoverati si suggeriscono 5 sedute settimanali. La durata prevista della
seduta di allenamento è variabile ed è compresa normalmente tra i 20 e i 60 minuti.
I pazienti maggiormente compromessi possono ottenere analoghi risultati con sedute di
durata più breve e intervallate da pause di riposo, ma con una frequenza maggiore (Interval
training).
Si possono allenare anche i muscoli degli arti superiori (ergometro per braccia), il cui
aumento della funzionalità si è dimostrato efficace per i pazienti affetti da BPCO. Oltre
all’allenamento alla resistenza è previsto anche l’allenamento della forza muscolare
(Resitance/Strength training), tramite il sollevamento ripetitivo di carichi relativamente pesanti.
Questo tipo di esercizi è finalizzato all'aumento della massa muscolare.
La combinazione delle due metodiche di allenamento raggiunge risultati superiori rispetto a
quelli ottenibili con una sola strategia.
La stimolazione neuromuscolare elettrica transcutanea (NMES) dei muscoli scheletrici è
una tecnica riabilitatoria alternativa, nella quale l’allenamento muscolare si ottiene con la
stimolazione della contrazione di gruppi muscolari selezionati. La NMES migliora la forza dei
muscoli degli arti, la capacità allo sforzo e riduce la dispnea in pazienti con BPCO stabile e scarsa
tolleranza all’esercizio.
Le controindicazioni a questa metodica sono però molteplici: presenza di impianti elettrici
miocardio, clips intracraniche, artroprotesi d’anca o di ginocchio. Tale metodica può invece essere
utile in pazienti con importante compromissione muscolare, molto defedati e con difficoltà a
eseguire i normali esercizi fisici.
2. EDUCAZIONECome parte del programma riabilitativo vanno identificati i bisogni educativi di base del paziente.
Durante il ciclo di riabilitazione respiratoria devono essere offerte sessioni educative che riguardano
i seguenti aspetti:
- meccanismi di fisiologia respiratoria
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- spiegazione della fisiopatologia, delle cause e della terapia della BPCO
- autogestione
- ruolo degli esercizi e del rilassamento
- impatto psicologico e minimizzazione dei suoi effetti
- gestione della dispnea – ambulatori del fumo
- benefici di una regolare attività fisica e capacità di effettuare attività fisica con sicurezza
ed efficacia
- supporto nutrizionale e strategie alimentari.
3. RIEDUCAZIONE RESPIRATORIA – FISIOTERAPIA RESPIRATORIALe pratiche di rieducazione respiratoria, come la respirazione diaframmatica, il respiro a labbra
chiuse e l’allenamento dei muscoli respiratori (respirazione contro resistenza), hanno un ruolo
secondario, anche se, associate agli altri interventi, contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi
del progetto riabilitativo.
Le tecniche di fisioterapia respiratoria sono volte a facilitare la clearance delle secrezioni
che ristagnano nelle vie aeree. Tra queste ricordiamo il drenaggio posturale, le percussioni e
l’utilizzo di incentivatori della tosse. Tali pratiche vanno utilizzate in presenza di situazioni
patologiche caratterizzate da ipersecrezione bronchiale (p.e. Bronchiectasie).
OutcomesE’ opportuno verificare l’efficacia dei programmi di riabilitazione respiratoria con la dimostrazione
clinica dei significativi miglioramenti nella capacità all’esercizio fisico, nella dispnea e nello stato
di salute. Per una valutazione completa è richiesto anche un feedback di soddisfazione da parte del
paziente.
Tra i risultati a breve termine da verificare si annoverano:
- miglioramento nel test del cammino (6MWT)
- miglioramento della qualità della vita in relazione allo stato di salute
- miglioramento dello stato funzionale
- riduzione dell’ansia e della depressione
- miglioramento della conoscenza e comprensione della condizione clinica.
Tra i risultati a lungo termine vi sono:
- riduzione delle riacutizzazioni necessitanti valutazione specialistica e/o di ricovero
- miglioramento della capacità allo sforzo
- capacità di autogestione.
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Tutti gli outcome andranno indagati con adeguati test scientificamente validati (MRC, SGRQ, Borg
scale, ecc).
Per quanto riabilitareLa durata della frequenza delle sessioni di riabilitazione respiratoria con supervisione non è stata
chiaramente dimostrata. Si ritiene che i programmi di riabilitazione dovrebbero comprendere un
minimo di tre-quattro settimane, mentre non vi sono limiti superiori. E' dimostrato che una durata
prolungata del ciclo riabilitativo assicura risultati migliori e un tempo più lungo di mantenimento
dei benefici raggiunti, che comunque tendono ad annullarsi dopo 6-12 mesi.
Mantenimento dei risultatiI pazienti che hanno completato un ciclo di riabilitazione respiratoria vanno incoraggiati a
continuare gli esercizi anche alla fine del programma, allo scopo di prolungare i benefici. E ’
necessario inoltre raccomandare una regolare attività fisica cinque volte alla settimana per almeno
30 minuti.
La ripetizione del ciclo di riabilitazione respiratoria è certamente utile e sebbene non sia
ancora noto a livello internazionale l’intervallo di tempo ottimale da frapporre tra un ciclo e il
successivo, si può comunque ragionevolmente affermare che per ripristinare i benefici raggiunti con
il precedente ciclo riabilitativo possa essere indicata come opportuna una cadenza semestrale, per i
pazienti in stadio clinico più avanzato, e annuale in tutti gli altri casi.
Utilizzo risorse sanitarieLa riabilitazione respiratoria ha importanti implicazioni economiche. I costi sono variabili perché
dipendono dalla durata dei cicli, dalla loro frequenza e dalla sede dove vengono effettuati (ospedale
o territorio). Gli studi clinici che hanno comparato l’utilizzo delle risorse sanitarie prima e dopo la
riabilitazione respiratoria evidenziano una significativa riduzione del numero dei ricoveri
ospedalieri e dei giorni di ospedalizzazione. La riabilitazione respiratoria contribuisce inoltre al
contenimento dei costi sanitari riducendo gli accessi in pronto soccorso.
ConclusioniLa riabilitazione respiratoria si è dimostrata clinicamente efficace, è indice di corretta gestione
globale della BPCO e va considerata un approccio terapeutico imprescindibile nella gestione del
malato affetto da BPCO (vedi tabella 3.5. del documento “Global strategies for the diagnosis,
management and prevention of chronic obstructive pulmonary disease, Update 2014”).
48
Di conseguenza, lo specialista dovrebbe impegnarsi a ridurre gli ostacoli che ancora
precludono l’accesso a questa metodica a una considerevole parte dei pazienti.
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pulmonary rehabilitation for individuals with chronic obstructive pulmonary disease
PaCO2 50-54 mmHg + desaturazione notturna < 88% ≥ 5 min nonostante OTLT ≥ 2 L/min oppure ≥ 2 ospedalizzazioni in un anno per insufficienza respiratoria acuta
In base a studi osservazionali
ventilazione meccanica prolungata in fase acuta (23)
riacutizzazioni a rischio fatale (24)
alto rischio di morte, sulla base di fattori di rischio noti (12)
Benefici
- Nella BPCO grave la ventilazione meccanica domiciliare è in grado di influenzare
positivamente il pattern ventilatorio, riducendo il lavoro respiratorio e migliorando la riserva
funzionale (25).
- L’uso di ventilazione meccanica domiciliare può costituire un importante strumento nel
fronteggiare tempestivamente gli episodi di insufficienza respiratoria acuta su cronica.
- L’utilizzo continuativo di ventilazione meccanica non invasiva domiciliare si è rivelato
associarsi ad una miglior sopravvivenza a seguito di difficoltoso e prolungato svezzamento dalla
ventilazione meccanica invasiva, indipendentemente dall’età del Paziente e dalla durata del
ricovero (4,23).
- La ventilazione meccanica non invasiva domiciliare si è dimostrata efficace nella gestione dei
Pazienti con BPCO con insufficienza respiratoria cronica quando introdotta durante le ore
notturne rispetto alla sola ossigenoterapia, determinando un miglioramento della dispnea e della
qualità di vita (26).
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In conclusione, le indicazioni all’utilizzo di ventilazione meccanica domiciliare dovrebbero
essere orientate su un’analisi dei fattori di rischio individuali in ogni singolo paziente (2).
Osservazioni
Dal punto di vista economico, un recente studio osservazionale italiano ha riscontrato come la
gestione a lungo termine del paziente con BPCO grave ed insufficienza respiratoria cronica con
ventilazione meccanica non invasiva non ha determinato un incremento della spesa sanitaria
confrontato con il trattamento con sola ossigenoterapia (27).
In sintesi, il ricorso a NIMV domiciliare non è al momento raccomandabile come
trattamento di routine nella BPCO grave in fase stabile, ma è piuttosto proponibile in pazienti
altamente selezionati con ipercapnia diurna stabile e frequenti riacutizzazioni e ammissioni in UTI
(28).
Conclusioni- L’insufficienza respiratoria rappresenta per il Paziente con BPCO una condizione correlata a
grave peggioramento delle condizioni cliniche e della prognosi, nonché ad un incremento
significativo della spesa sanitaria.
- Nelle riacutizzazioni gravi di BPCO con insufficienza respiratoria acuta, la supplementazione di
ossigeno è un approccio ragionevole ed efficace per migliorare i sintomi, contrastare
l’ipossiemia e ridurre il lavoro respiratorio. In presenza di ipercapnia, la ventilazione meccanica
è altamente raccomandata, in particolare nei Pazienti con acidosi respiratoria moderata.
- Nella BPCO con persistente, stabile ipossiemia, l’ossigenoterapia a lungo termine è fortemente
indicata per migliorare i parametri emodinamici, la prognosi a lungo termine e la qualità di vita
correlata allo stato di salute.
- Nella BPCO con acidosi respiratoria cronica il ruolo della ventilazione meccanica domiciliare
non è univocamente definito, pur essendo disponibili dati a favore di una regressione
dell’ipercapnia e del miglioramento della dispnea e della qualità di vita.