IND ICE
lntroduzione ...... p. 9
I. Libro dell'enstasi .. » 23
II. Libro del metodo ..................... » 63
III. Libro delle facolta sovrannaturali .. » 102
IV. Libro dell'isolamento .. » 142
Appendice: note sulla traduzione .. » 181
Y ogena yo go jiiiitavyo yoga yogiit pravartate yo 'pramattas tu yogena sa yoge ramate ciram
(Conosci lo yoga con lo yoga lo yoga procede dallo yoga chi coltiva con diligenza lo yoga riposa lungamente nello yoga)
INTRODUZIONE
Dall' epoca della sua prima comparsa su un sigillo vallindo nel 11 I millennia a. C. fino ai giorni nostri, la figura ieratica dello )10.f!)ll assiso nella postura del lotO Si e saldamente attestata nel-1' itntnaginario collettivo come uno dei piu popolari stereotipi cul-1 urali dell'India. Cio che va sotto il nome di yoga e, in effetti, assai piu che una particolare dottrina, una disposizione perma-11ente e ubiquitaria, una sorta di linea di forza spirituale cheatl raversa da cima a fondo la civilta indiana suscitandovi un compbso di teorie e pratiche differenti in ambiti diversi: esiste, accanto allo yoga «ortodosso» brahmanico, uno yoga buddhista o jaina; esistono, accanto allo yoga speculativo e filosofico, innu-111erevoli varied di yoga popolare, magico, devozionale, mistico, esoterica 1• Chi voglia cogliere l'unita profonda sottesa al polimorfismo superficiale del complesso, converra tuttavia -rnm'c di regola in questi casi - che distolga a tutta prima lo sguardo dalle manifestazioni periferiche per appuntarlo su una lorma «classica», se esiste, in cui rifulga pura e semplice l'intuizione fondamentale all' origine di tutti gli sviluppi. Lo Yoga di Patanjali, benche esso stesso erede di tradizioni dottrinarie e tec-11 iche antecedenti, rappresenta questo pun to di vista «classico», per il suo intento speculativo e sistematico che integra per la prima volta gli sparsi conati preesistenti in un progetto filosofirn unitario.
Per intendere correttamente la specificita di questo proget-1 o, c necessario tener presente che la «filosofia» indiana ha carattcri assai diversi dalla filosofia occidentale. In primo luogo,
10 Aforismi dello Yoga
perche non e philo-sophfa, amore della sapienza. Per noi occidentali - per noi greci - Amore stesso, anzi, e filosofo, perche sta a mezzo trail sapiente e l'ignorante, e desidera la bellezza, la sapienza che presagisce e non possiede 2• Questa demone nudo e ardito insaziabilmente predace dal Simposio platonico domina come un nume tutelare l'intera cultura occidentale. Anche I' India conosce qualcosa di simile al filosofo, ma ha nei suoi confronti un'attitudine assai diversa: «l'ignorante si contenta facilmente, il sapiente si contenta ancor piu facilmente, ma l'uomo malamente abbruciato da tizzoni di sapienza neppure Brahma lo puo soddisfare» 3• L'India non esalta I' amore per la sapienza, ma la sapienza: jiiana, la gnosis, non e la meta vagheggiata mail sicuro possesso di tutte le grandi correnti del pensiero indiano - altrettante prospettive (darfana, «visioni») spalancate sull'unica realta. Questa positivita nasce dal fatto che la filosofia indiana riconosce il suo fondamento nella sacralita della rivelazione (fruti, «audizione») del Veda. Verrebbe percio la tentazione di accostarla a un' altra dilosofia», la filosofia del nostro medioevo: ma e un paragone claudicante, perche manca all'Induismo il concetto di ortodossia, cosl rilevante nelle religioni del Libra, e di conseguenza la filosofia indiana non conosce nessuna ancillarita alla maniera di Pier Damiani 4• La filosofia indiana non puo essere ancilla theologiae, per il semplice fatto che in senso rigoroso non esiste alcuna teologia rivelata a carattere dogmatico. E la filosofia stessa che, innestandosi direttamente sul tronco della rivelazione, la interpreta e la illumina in un lucidissimo lavoro di approfondimento razionale.
Ma la differenza fondamentale e senz'altro nel fine. La philosophfa e un atto di amore nato nel grembo del thaumdzein -«per la meraviglia gli uomini, ora come in origine, hanno cominciato a filosofare» 5 - e meravigliandosi si addentra nei penetrali della vita per carpirle il suo mistero, senz'altro scopo che la conoscenza che squarcia i veli successivi della meraviglia, spalancando meraviglie sempre piu vaste e sempre piu inutili. La somma filosofia e la pill nobile, e anche la piu inutile, dice Aristotele: «tutte le altre conoscenze saranno piu necessarie, ma superiori a lei nessuna» 6 • Viceversa, la jijiiasa e un anelito di liberazione suscitato dal pungolo incessante della sofferenza: «in-
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calzati dal triplice dolore agogniamo ad apprendere come stornarne i colpi» 7• L' anelito e esaudito, I' ansia e placata: lo Yoga e le altre «filosofie» mostrano infallibilmente al cercatore la via della pace. La jijiiasti non e, come la philosophia, la dimensione perenne dell'uomo, ma solo ii crepuscolo provvisorio del nonilluminato, che la chiarita aurorale del jiitina dissipera definitivamente; ma soprattutto, la jijiitisa non insegue la gioia dell'essere quanto piuttosto fugge ii dolore dell'esistere.
Nei suoi confronti, lo yogastistra, I' edificio dottrinale dello Yoga, rivela piu di qualsiasi altra «filosofia» la propria natura di techne, o ars: Vyasa lo paragona, in effetti, all' arte medica 8,
mettendo a nudo lo schema soggiacente all'ordine degli aforismi, che ricalca la suddivisione del cikitstisastra nelle quattro sezioni concernenti la malattia, la causa del suo insorgere, la guarigione e i mezzi per ottenerla: la malattia universale che cura lo yoga e ii dolore cosmico, la causa e l' ignoranza che confonde Spirito e Natura, la guarigione e l'isolamento dello Spirito e ii mezzo per attuarlo e la conoscenza discriminativa.
II dolore cosmico e ii dato originario del pensiero indiano. II dolore affiora ovunque nello scacco del desiderio, nella separazione da cio che si ama e nell'unione con cio che si odia, come una ostinata intermittenza che illude lo stolto ma non puo eludere lo sguardo penetrante del saggio. Egli sa bene che ii dolore e universale, ineluttabile e perenne perche affonda le sue radici nella matrice stessa del mondo e dell'uomo: l'ignoranza proteiforme, ii cui volto piu autentico e ii miraggio del Se nel non-se. Credendo di scorgere bellezza e stabilita in cio che e sordido ed effimero, ii pensiero estroverso si proietta in avanti in uno slancio inesausto diffrangendosi nelle mille propaggini delle cose. La struttura dell'esperienza mondana e intrinsecamente corrosa da questa ignoranza metafisica (avidya) e dai vizi originali (klesa) che ne traggono alimento: l'illusione della personalita (asmiti) che scambia ii Se trascendentale con l'Io empirico; l'amore (raga) e l'odio (dve~a) che s'impaniano nella futilita dei fenomeni misconoscendo ii fine assoluto; e l'ostinazione vitale (abhinivesa) che nello sforzo disperato di aggrapparsi alla vita sprofonda nella morte senza fine. Si muore e si rimuore, e neppure la morte pone fine al dolore, perche la morte none una cesura de-
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finitiva del flusso dell'esistenza. L'esperienza corrotta dai vizi originali impregna l'organismo psicofisico di latenze inconscie (viisanii): nostalgie e presentimenti, attrazioni e ripulse che riconducono irresistibilmente l'individuo nel teatro del mondo come i rimorsi riportano I' assassino sul luogo del delitto. La morte scioglie la solidarieta provvisoria dei cinque elementi in un corpo, ma non estingue il sostrato dello psichismo deco e impellente che reclama un nuov<:?_ corpo predestinato in cui scontare la sua fame di esperienza. E la legge inesorabile del karman, ii determinismo morale che non lascia alcun atto senza conseguenze: chi si e macchiato di un crimine sara trascinato in un grembo bestiale non da un giudice ma dalle stesse impressioni (saf!tskiira) brutali seminate nel terreno psichico dall'esperienza malvagia, cos'i come il pio sara innalzato a una sfera divina dal crisma beatifico delle sue stesse azioni. La condizione di entrambi non differisce all'occhio del saggio: schiavi ambedue del meccanismo perverso del karman, l'uno paga il fio della colpa nel dolore presente, l'altro consuma con trepidazione ii suo precario gruzzolo di gioia paventando il giorno inevitabile della ricaduta nell'oceano doloroso dell'esistenza. Solo ii saggio e salvo, perche ha reciso la radice dell'ignoranza e dissolto il miraggio, attingendo la suprema discriminazione tra Spirito e Natura.
La Natura (prakrti) e il grembo occulto e ineffabile da cui si sono generate tutte le case. Quando il primo sussulto di urgenza creatrice scuote il torpore informe della matrice, emergono dall'indistinto i tre gU1Ja, i tre «fili» che formano la trama dell'esistenza: il sattva luminoso e gioioso, il rajas attivo e doloroso e il tamas oscuro e inerte. All' aurora della manifestazione i tre gu;;a si conglomerano nel Grande principio cosmico (mahat), ii ricettacolo universale, che a sua volta si individua nel principio dell'Ego (ahaf!tkiira) da cui procede tutto l'universo esteriore e interiore. Sul versante esteriore, l' ego emana dapprima i rudimenti (tanmiitra) noumenali: l'udibilita, la tangibilita, la visibilita, la gustabilita e l' odorabilita che fondano l' oggettivita (ossia l'esperibilita) degli oggetti; questi rudimenti puramente noumenali condensandosi producono infine i cinque elementi fenomenali (mahiibhuta): spazio, aria, fuoco, acqua, terra - che formano la stoffa del mondo. Sul versante interiore, l' ego ema-
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na le cinque facolta di sensazione corrispondenti ai cinque rudimenti, le cinque facolta di azione e la mente che le coordina. Res cogitans e res extensa sono dunque entrambe trasformazioni dell'unica Natura, differenti solo per la maggiore o minore sottigliezza della rispettiva materia. II sommo fastigio della Natura, l'intelletto (buddhi) di puro sattva, come qualsiasi altra cosa naturale fa e non sa: la suprema attivita intellettuale e un puro rappresentare intrinsecamente sprovvisto di coscienza come l'ottusa riflessione di uno specchio.
Totalmente altro e lo Spirito, il veggente immoto che non diviene e non crea alcunche, ma sussiste eternamente come pura luce di consapevolezza che illumina soltanto se stessa. Quando la luce di consapevolezza cade sullo specchio dell'intelletto, per un misterioso portento indotto dalla contiguita sorge l'epifenomeno della coscienza: Spirito e Natura, il veggente immoto e la cieca fattrice, confondono insieme le proprie prerogative suscitando l'identita illusoria della persona a un tempo agente e cosciente. Ma questa persona che patisce gioie e dolori slanciandosi nel turbine della vita non esiste veramente: esiste lo specchio inerte della psiche, incapace di provare alcunche; esiste la luce circonfondente dello Spirito, eternamente imperturbato da gioie e dolori non suoi. Tuttavia l'illusione e tenace, ea vincere le sue malie non bastano le frigide risorse della ragione e del verbo, ma solo un'intuizione perforante, capace di giungere fino al cuore della vanita per vedere «in came ed ossa» il farsi dell'illusione. Si tratta di volgere le spalle alle cose per scrutare in se stessi, ripercorrendo a ritroso il cammino dell'evoluzione che mette capo agli oggetti grossolani del mondo esterno. La meta, al termine di un arduo processo di involuzione che evoca livelli di materia sempre piu sottili, e il puro sattva mentale, in cui la meditazione scopre alfine la scaturigine della coscienza come barbaglio dello Spirito eternamente libero e isolato dalla compagine psichica naturale. L'itinerario che vi conduce e una ottuplice disciplina: i precetti negativi (yama) e positivi (niyama) dettano le norme etiche su cui l' adepto deve regolare la propria condotta per conseguire una disposizione propizia allo yoga; la pratica delle posture (asana) e del controllo del respiro (prd1Jdyama) instaura la stabilita fisica che e il necessario presupposto della sta-
l·I Aforismi dello Yoga
hiliU1 psichica; ii raccoglimento (pratyahara) ritrae i sensi dagli oggetti esterni, interrompendo i canali di comunicazione con il mondo. Questa quintuplice propedeutica introduce finalmente ii momenta culminante della triplice concentrazione (sa1'?1yama): lo yogin fissa lo sguardo interiore su un unico oggetto per mezzo dell'attenzione (dharm:tal, lo contempla a lungo in immobile e protratta meditazione (dhyana) fino a scardinare la dualita fondendo ii residua senso dell' ego nella mera trasparenza dell' oggetto: el' atto conclusivo del samadhi, 0 «en-stasi>>, Secondo l' efficace conio di Eliade: l'ek-stasi a rovescio allorche ogni contenuto e ogni spessore psichico e trasceso, non in una fuga verso le remote lontananze dell' Altro, ma in un'implosione lungo le linee della pura irradiazione intenzionale che proviene dal Se. L'intero itinerario si puo sussumere sotto una bipolarita fondamentale: l' esercizio (abhyasa) che corrobora ii pensiero introverso, in cammino verso la realizzazione del Se; e l'impassibilita (vairagya) che estenua ii pensiero estroverso, ancora disperso tra le seduzioni delle case. A mano a mano che l'esercizio dell'interiorizzazione si fa pill saldo e perseverante, si accresce il disgusto nei confronti del mondo esteriore, e l'adepto ascende la scala della perfezione accedendo a livelli di coscienza sempre piu rarefatti, che l' esperienza del profano non puo attingere e la sua intelligenza puo solo a stento e per tramite d'analogia concepire. II primo grado dell'enstasi contempla l'immedesimazione in un oggetto concreto: per essa la mente e sottratta alla dispersione (vyutthana) nella congerie delle case, facendosi acuminata (ekagra, lett.: «a una sola punta») come un bulino, <mnintenzionale». Tuttavia, questa unintenzionalita incoativa e ancora rudimentale, poiche implica la molteplicita della stratificazione che appartiene alla psicogenesi dell'oggetto. Stadi piu elevati di enstasi spogliano via via l' oggetto composito dei suoi strati pill esterni: lo strata percettivo-grossolano, considerato dapprima con le sue implicite sustruzioni concettuali (savitarka) e quindi nella sua nuda immediatezza (niroitarka); lo strata intuitivo-sottile, accompagnato o meno da analoghe sustruzioni (savictira / niroictira); lo strata soggiacente all' oggetto in cui traspare la beatitudine del sattva mentale (sananda) che lo riflette nell'atto del rappresentare; e infine ii nucleo di ogni atto che esperisce un oggetto, ii
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soggetto (pseudo) personale (siismita) illusoriamente suscitato dalla sinergia della luminosita dello Spirito con la specularita del sattva.
II progresso dell' enstasi e segnato dalla comparsa di facolta sovrannaturali (vibhuti, siddhi) che sanciscono le mete raggiunte ma incarnano al tempo stesso le ultime sirene di un mondo dileguante dalle cui lusinghe lo yogin non deve lasciarsi irretire. Del pari che la potenza, anche la conoscenza acquista in intensita e in ampiezza, a misura che il «supporto» dell' enstasi e pill profondo e universale, e comincia ad albeggiare la gnosi (prajiia) che disvela il vero Se. II preludio e una calma serenita interiore (adhyatma-prasada), una lucidita di cielo autunnale dopa il monsone (vaisiiradya) 9 in cui i contorni del reale si stagliano piu netti: sarge allora la gnosi infallibile, apportatrice del retto e del vero (rtarrz-bhara). Inessa ogni cosa appare per cio che realmente e, nella costituzionale inopia ontologica al di sotto delle sue seduzioni, e si rafforza la repulsione a misura che si instaura la percezione della radicale differenza (anyata-khyiiti) dello Spirito dalle entita naturali, la conoscenza che discrimina (viveka-jiiiina) il puro dall'impuro, l'autonomo dall'eteronomo, il permanente dal transeunte, l'assoluto dal relativo. I gradi successivi in cui si dispiega questa conoscenza sublime hanno nomi immaginifici, il cui reale significato e racchiuso nel cuore dell' Erlebnis dello yogin 10 • Essa spunta dapprima come un lucore d' alba (pratibha) che annuncia il fulgore diurno, ed e chiamata «Zattera di salvezza» (taraka) perche promette la luce che trae in salvo dal Hutto dell' esistenza. Come l' alba trascolorando in giorno disegna vividamente le case che emergono ad una ad una dal limbo della notte, cosl a misura che si accresce l'intensita psichedelica della gnosi lo yogin si affaccia sulle intuizioni soavi e inebrianti di un ignoto mondo di miele o di idromele (madhubhumika). Quando l' alba culmina nel meriggio della perfetta discriminazione (prasmpkhyana) ogni cosa e ormai patente nella sua nudita senza ombra di reticenza, in una inconcepibile esperienza simultanea e totalfE che suscita per contrasto l'intuizione ineffabile del Se-Altro. E l'acme dell'enstasi cognitiva (sarrzprajiiata-samiidhi), allorche lo yo gin ha raggiunto l' apice della conoscenza che libera: ha vuotato metodicamente la coppa dell' esperienza saggiando l'intimo di ogni cosa fino all'onniscienza che porta seco il
16 !1/ori1111i dl'l!o )'nga
disg11slo 1111ivnsall'. Ma perfino l'o1111iscicnza dclla perfetta discrimi11azio11t· t' pm sl'111prt· 111ia sorta di cspcricnza che insiste s11 <11•.1 1,t·t l i, t' apparl it·rn· d1111q11l' al lo psichismo naturale che devt· l'ssnt· <li~;s()ll(). I.() vog{11 si apprcsta all'ultimo passo inoltrand11si lll'lla «1111vola dl'll'l'ssc11za» (dharma-megha) che lo seclude 1kl i11i1 iva1m·111t· dal 11101lllo fcnomcnale irrorandolo con la luce ddl:1 vna l{l'alti1. 11 supremo distacco e consumato, rinunciand() :dla d11ali1i1 rl'sidua nclla stessa discriminazione. Attraverso la «1111vola» lo yo,~in si sprofonda ormai nel vuoto dell'enstasi 11()11-rngnitiva (asm11praj1iiita-samiidhi), lo stato di inibizione (nir()(lha) allorchc !'ultimo barlume di pensiero non pensa che la sopprcssione del pensiero, ogni coscienza empirica della pseudopcrsona e estinta e resta soltanto la pura consapevolezza trascendcntale del Se. In questa condizione suprema ogni germoglio di cspcrienza attuale che spunta nel campo psichico e troncato dal rasoio upanishadico «non e cosl, non e cosh> 11 ' i destini di esperienze future sepolti nel karman accumulato in mille esistenze sono fatti simili a semi inariditi, incapaci di germinare, mentre ii nudo pensiero apofatico ormai non semina piu: per lo yogin che ha raggiunto la liberazione (mok~a) la ruota dell'esistenza continua a girare trascinata dall'inerzia degli eventi, fino ache egli non abbia gustato tutti i frutti, dolci o amari, gia maturati per la sua vita attuale: l'ultima vita, cui porra definitivo suggello l'ultima morte, spalancata sullo splendido isolamento dello Spirito.
I! testo
Gli Yogasutra («Aforismi dello Yoga») costituiscono ii testo fondamentale dello Yoga classico, uno dei sei sistemi filosofici ortodossi indiani. La tradizione unanime ne attribuisce la composizione a Patanjali, identificato con ii grande grammatico del II sec. a. C., ma gli studiosi sono divisi sul valore di questa identificazione, giungendo talora a proporre date tra ii IV e ii VI sec. d. C. (almeno per le parti pill tardive di un testo che appare a molti di natura composita). Gli Yogasutra constano di quattro libri. Nel primo, ii Libro dell'enstasi, si delinea ii processo dello
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yoga, consistente nel soggiogamento delle funzioni mentali fino a raggiungere i diversi gradi dell'enstasi. II Libro del metodo individua nei cinque vizi originali radicati nell'ignoranza e nella legge del karman la fonte del dolore dell'esistenza, e traccia il celebre cammino yogico a otto tappe per sfuggirvi: precetti negativi, precetti positivi, posture, controllo del respire, raccoglimento, attenzione, meditazione ed enstasi. Nel Libro delle facolta soprannaturali si esamina la concentrazione yogica e i suoi effetti. Infine il Libro dell'isolamento analizza la natura dei condizionamenti subcoscienti e l'isolamento del Se conseguente alla loro soppressione per mezzo dello yoga. Gli Yogasutra, che hanno esercitato un influsso enorme sulla cultura indiana, sono scritti nel caratteristico stile dei sutra: «collane» di brevi aforismi che tracciano le linee essenziali di una dottrina, destinati a essere integrati dalla viva voce del maestro. I sutra mirano alla massima concisione per favorire l' apprendimento mnemonico -e celebre il detto di Pataii.jali il grammatico, Secondo cui «Un au tore di sutra si rallegra di mezza sillaba risparmiata come della nascita di un figlio». Come gli altri testi del genere, anche gli Yogasutra sono pertanto difficilmente intelligibili senza l' ausilio di qualcuno dei numerosi commentari, il piu importante ed autorevole dei quali e lo Yogabhii~ya composto da Vyasa tra il 650e1'850 d. C., che costituisce a sua volta la base di ulteriori subcommentari. Poiche tuttavia il commentario di Vyasa e gia ampiamente noto in diverse traduzioni nelle principali lingue europee (incluso l'italiano) abbiamo ritenuto opportune presentare invece a complemento dei sutra il commentario Riijamarta1Jefa («Sole del re») composto da re Bhoja nell'XI sec. (il piu antico dopo quello di Vyasa), che unisce all'interesse della novita il pregio di una notevole perspicuita, conformemente all'intento dichiarato con humour dallo stesso Bhoja nella prefazione: «Cio che e astruso lo tralasciano dicendo: "il senso e chiaro"; in cio che e chiaro introducono una profusione di parafrasi vane, econ molte chiacchere inutili e fuori luogo accrescono la confusione degli ascoltatori: e cosl che tutti i commentatori saccheggiano la loro materia. Quanto a me, ho composto questo commentario per l' ammaestramento dei saggi, rigettando la prolissita e i sofismi brillanti ma vacui, e cercando invece di determinate i
18 Aforismi delta Yoga
retti significati secondo l'intima dottrina di Patafijali». A dispetto dei buoni propositi, che peraltro re Bhoja mette in pratica in maniera esemplare, l'opera none sempre piana, per la difficolta intrinseca del pensiero ulteriormente magnificata dalla traduzione, che deve spesso affrontare ostacoli quasi insormontabili nella resa di un linguaggio altamente specializzato quale e il sanscrito dei testi filosofici. Allo scope di favorire la comprensione del lettore ordinario, abbiamo pertanto aggiunto un subcommentario originale, composto in armonia con la tradizione indiana e nello stesso spirito di re Bhoja, riformulando liberamente il pensiero, attingendo secondo necessita agli altri commentatori, collegando, sistematizzando e aggiungendo qualsiasi notazione utile a migliorare l'intelligibilita del testo.
Nata bibliografica
La presente traduzione e stata condotta sul testo del: - Piitafijala-yoga-darfana con il commentario sanscrito Riijamiirta1J~a di Sridhardvara Bhojadeva e il subcommentario hindi PuY1Jimii, a cura di Kirtyanand Jha, Vara9asi, Caukhamba Amarabharati, 1984 (Harajivanadasa Sarpskrta Granthamala 4).
In subordine, si sono utilizzate per la collazione: - l'edizione a cura di I;>hu9c;lhiraja Sastri (Vara9asi, Caukhambha Sarpskrta Sarpsthana, 1982 (Kasi Sarpskrta Granthamala 83)); - l'edizione a cura di Afobodha Vidyabhii~a9a e Nityabodha Vidyaratna (Kalikata, Jivananda Vidyasagara & Sons, 1936).
Per il testo dei sutra si e utilizzato: - Yogasutra-Konkordanz von K. Meisig, Wiesbaden 1988 (Freiburger Beitrage zur Indologie 22)
Degli Yogasutra, perloppiu accompagnati dal classico commentario di Vyasa, esistono innumerevoli traduzioni nelle principali lingue occidentali, che sarebbe vano elencare. Ci limitiamo a ricordare anzitutto la traduzione italiana:
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- Patafijali, Gli aforismi sullo Yoga. Con il commento di Vyasa, a cura di C. Pensa, Torino, Boringhieri, 1978
e la fondamentale traduzione di Woods: - The Yoga-System of Pataiijali, or the Ancient Hindu Doctrine of Concentration of Mind, embracing the Mnemonic Rules, called Y oga-siitras, of Pataiijali, and the Comment, called Y oga-bha~ya, attributed to Vedavyasa, and the Explanation, called Tattvavaifaradi, of Vacaspatimifra, translated from the original sanskrit by J. H. Woods, Harvard 1917.
Del commentario Rajamarta?J4a di Bhoja, qui per la prima volta tradotto in lingua italiana, non esistono che due traduzioni in lingua occidentale, l'una intrapresa da J. R. Ballantyne e pubblicata incompleta e frammentaria ad Allahabad nel 1?52, successivamente portata a compimento da Govindadeva Sastri dal 1868 in poi; l'altra, a cura di Rajendralala Mitra, pubblicata nel 1883. La traduzione di Ballantyne e Deva, oggi disponibile in ristampa: - Yoga-siitras of Pataiijali with Bhojavrtti called Rajamart!l-1J¢a, translated into English by J. R. Ballantyne and Govinda Sastri Deva, Delhi repr. 1983 (Parimal Sanskrit Series 10) e tuttavia lacunosa e inattendibile, specialmente nella prima parte, variamente fraintendendo, riassumendo arbitrariamente o piu spesso omettendo senza alcun avvertimento i passi di piu difficile interpretazione.
Nel comporre ii subcommentario si sono tenuti presenti i principali commentari sanscriti, per i quali si sono consultate le seguenti edizioni: - Yogasiitra con commentario Yogabha~ya di Vyasa e su~commentario Tattvavaisaradi di Vacaspati Misra, Poona 1984 (Anandasrama Samskrta Granthavali 47) - Saf!1khyayog~darsana con commentario S.i1?1khyapravacanabha~ya di Vyasa e subcommentari Tattvavaifaradi di Vacaspati Misra, Pataiijalarahasya di Raghavananda Sarasvati, Yogavartika di Vijfianabhik~u e Bpasvati di Hariharanandara9ya (a cura di Gosvami Damodara Sastri), Varanasi 1989 (Kasi Samskrta Granthamala 110) · · ·
.'() Aforismi dello Yoga
fogasiitra con commentari RajamtirtatJ~a di Bhoja, Pradipikti di Bhavagai:iefa, V.rtti di Nagojibhana, MatJiprabhti di Ramananda, Candrikti di Anantadeva e Yogasudhtikara di Sadasivendra Sarasvatl (a cura di I)hun~iraja SastrI), Vara9as11982 (Kasi Sarp.skrta Granthamala 83) - Yogadarfana con commentari di Bhavagai:iefa e Nagojibhaga (a cura di Mahadeva Gangadhara Bakre), Bombay 1917 - Ptitafijalayogadarfana con coll}mentario RajamtirtatJef,a di Bhoja e subcommentario KiratJq di Srikna:iavallabhacarya Svaminarayai:ia (a cura di B. K. Sastrl), Vara9asi 1939. - Yogadarfana con commentari Y ogasiddhantacandrikti e Sutrtirthabodhini di Naraya9a Tirtha, Vara9asI 1910 (Caukhamba Sarp.skrta Granthamala 154,159).
NOTE
1 Cfr. M. Eliade, Le yoga. Immortalite et liberte, Paris 1954, passim. 2 Pia tone, Simposio 204b: « ... I: pcm: a q>tA.6aoqiov dvm, q>tA.6aoqiov of:
6vw µi;w~u dvm CJOq>OU Kat aµa0oi:ic;». 3 Bhart~hari, Nitisataka 3: «ajfia0 sukham aradhya0 sukhataram aradhyate
vise~a-jfia0 / jfiana-lava-durvidagdhaip. brahmapi naraip. na rafijayati». 4 Pier Damiani, De divina omnipotentia, 5 cristallizza in una formula clas
sica che sara ripetuta per tutto ii medioevo ii rapporto tra filosofia e sacra scrittura: «non debet ius magisterii sibimet arroganter arripere, sed velut ancilla dominae quodam famulatus obsequio subservire».
5 Aristotele, Metafisica A,982b,12: «Ota yap to 0auµa~i:tv oi iiv0pwnm Kat vuv Kat to np&rnv flp~avrn qitA.oaoqidv».
6 Ibidem, A,983a,10. 7 isvarakrsna, Siimkhyakiirikii l. 8 Cfr. Vyds~bhii~ya ad Yogasiitra II,16. 9 Cfr. G. Feuerstein, The Philosophy of Classical Yoga, Manchester 1980,
p. 92. 10 Un'analisi simpatetica e penetrante della fenomenologia yogica si tro
va in G. Koelmann, Pataiijala Yoga. From Related Ego to Absolute Self, Poona 1970.
11 Cfr. Brhadiira1}yaka Upanisad IIl,9,26 e Rajamiirtanda ad Yogasiitra I,51.