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Patañjali, Aforismi dello Yoga (Yogasūtra). [Con il commentario Rājamārtaṇḍa di Bhoja. Introduzione, traduzione, subcommentario e note di Paolo Magnone] ● Patañjali, Yogasūtras

Jan 18, 2023

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«IL LOTO»

Collana di cultura orientale diretta da Stefano Piano

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AFORISMI DELLO YOGA

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PATANJALI

AFORISMI DELLO YOGA (Yogasiitra)

a cura di Paolo Magnone

PROMOLIBRI

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IND ICE

lntroduzione ...... p. 9

I. Libro dell'enstasi .. » 23

II. Libro del metodo ..................... » 63

III. Libro delle facolta sovrannaturali .. » 102

IV. Libro dell'isolamento .. » 142

Appendice: note sulla traduzione .. » 181

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Y ogena yo go jiiiitavyo yoga yogiit pravartate yo 'pramattas tu yogena sa yoge ramate ciram

(Conosci lo yoga con lo yoga lo yoga procede dallo yoga chi coltiva con diligenza lo yoga riposa lungamente nello yoga)

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INTRODUZIONE

Dall' epoca della sua prima comparsa su un sigillo vallindo nel 11 I millennia a. C. fino ai giorni nostri, la figura ieratica dello )10.f!)ll assiso nella postura del lotO Si e saldamente attestata nel-1' itntnaginario collettivo come uno dei piu popolari stereotipi cul-1 urali dell'India. Cio che va sotto il nome di yoga e, in effetti, assai piu che una particolare dottrina, una disposizione perma-11ente e ubiquitaria, una sorta di linea di forza spirituale cheat­l raversa da cima a fondo la civilta indiana suscitandovi un com­pbso di teorie e pratiche differenti in ambiti diversi: esiste, ac­canto allo yoga «ortodosso» brahmanico, uno yoga buddhista o jaina; esistono, accanto allo yoga speculativo e filosofico, innu-111erevoli varied di yoga popolare, magico, devozionale, misti­co, esoterica 1• Chi voglia cogliere l'unita profonda sottesa al polimorfismo superficiale del complesso, converra tuttavia -rnm'c di regola in questi casi - che distolga a tutta prima lo sguardo dalle manifestazioni periferiche per appuntarlo su una lorma «classica», se esiste, in cui rifulga pura e semplice l'intui­zione fondamentale all' origine di tutti gli sviluppi. Lo Yoga di Patanjali, benche esso stesso erede di tradizioni dottrinarie e tec-11 iche antecedenti, rappresenta questo pun to di vista «classico», per il suo intento speculativo e sistematico che integra per la prima volta gli sparsi conati preesistenti in un progetto filosofi­rn unitario.

Per intendere correttamente la specificita di questo proget-1 o, c necessario tener presente che la «filosofia» indiana ha ca­rattcri assai diversi dalla filosofia occidentale. In primo luogo,

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10 Aforismi dello Yoga

perche non e philo-sophfa, amore della sapienza. Per noi occi­dentali - per noi greci - Amore stesso, anzi, e filosofo, per­che sta a mezzo trail sapiente e l'ignorante, e desidera la bellez­za, la sapienza che presagisce e non possiede 2• Questa demo­ne nudo e ardito insaziabilmente predace dal Simposio platonico domina come un nume tutelare l'intera cultura occidentale. Anche I' India conosce qualcosa di simile al filosofo, ma ha nei suoi con­fronti un'attitudine assai diversa: «l'ignorante si contenta facil­mente, il sapiente si contenta ancor piu facilmente, ma l'uomo malamente abbruciato da tizzoni di sapienza neppure Brahma lo puo soddisfare» 3• L'India non esalta I' amore per la sapien­za, ma la sapienza: jiiana, la gnosis, non e la meta vagheggiata mail sicuro possesso di tutte le grandi correnti del pensiero in­diano - altrettante prospettive (darfana, «visioni») spalancate sull'unica realta. Questa positivita nasce dal fatto che la filoso­fia indiana riconosce il suo fondamento nella sacralita della ri­velazione (fruti, «audizione») del Veda. Verrebbe percio la ten­tazione di accostarla a un' altra dilosofia», la filosofia del no­stro medioevo: ma e un paragone claudicante, perche manca all'Induismo il concetto di ortodossia, cosl rilevante nelle reli­gioni del Libra, e di conseguenza la filosofia indiana non cono­sce nessuna ancillarita alla maniera di Pier Damiani 4• La filo­sofia indiana non puo essere ancilla theologiae, per il semplice fatto che in senso rigoroso non esiste alcuna teologia rivelata a carattere dogmatico. E la filosofia stessa che, innestandosi di­rettamente sul tronco della rivelazione, la interpreta e la illumi­na in un lucidissimo lavoro di approfondimento razionale.

Ma la differenza fondamentale e senz'altro nel fine. La phi­losophfa e un atto di amore nato nel grembo del thaumdzein -«per la meraviglia gli uomini, ora come in origine, hanno comin­ciato a filosofare» 5 - e meravigliandosi si addentra nei pene­trali della vita per carpirle il suo mistero, senz'altro scopo che la conoscenza che squarcia i veli successivi della meraviglia, spa­lancando meraviglie sempre piu vaste e sempre piu inutili. La somma filosofia e la pill nobile, e anche la piu inutile, dice Ari­stotele: «tutte le altre conoscenze saranno piu necessarie, ma su­periori a lei nessuna» 6 • Viceversa, la jijiiasa e un anelito di li­berazione suscitato dal pungolo incessante della sofferenza: «in-

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Introduzione 11

calzati dal triplice dolore agogniamo ad apprendere come stor­narne i colpi» 7• L' anelito e esaudito, I' ansia e placata: lo Yoga e le altre «filosofie» mostrano infallibilmente al cercatore la via della pace. La jijiiasti non e, come la philosophia, la dimensione perenne dell'uomo, ma solo ii crepuscolo provvisorio del non­illuminato, che la chiarita aurorale del jiitina dissipera definiti­vamente; ma soprattutto, la jijiitisa non insegue la gioia dell'es­sere quanto piuttosto fugge ii dolore dell'esistere.

Nei suoi confronti, lo yogastistra, I' edificio dottrinale dello Yo­ga, rivela piu di qualsiasi altra «filosofia» la propria natura di techne, o ars: Vyasa lo paragona, in effetti, all' arte medica 8,

mettendo a nudo lo schema soggiacente all'ordine degli afori­smi, che ricalca la suddivisione del cikitstisastra nelle quattro se­zioni concernenti la malattia, la causa del suo insorgere, la gua­rigione e i mezzi per ottenerla: la malattia universale che cura lo yoga e ii dolore cosmico, la causa e l' ignoranza che confonde Spirito e Natura, la guarigione e l'isolamento dello Spirito e ii mezzo per attuarlo e la conoscenza discriminativa.

II dolore cosmico e ii dato originario del pensiero indiano. II dolore affiora ovunque nello scacco del desiderio, nella sepa­razione da cio che si ama e nell'unione con cio che si odia, come una ostinata intermittenza che illude lo stolto ma non puo elu­dere lo sguardo penetrante del saggio. Egli sa bene che ii dolore e universale, ineluttabile e perenne perche affonda le sue radici nella matrice stessa del mondo e dell'uomo: l'ignoranza protei­forme, ii cui volto piu autentico e ii miraggio del Se nel non-se. Credendo di scorgere bellezza e stabilita in cio che e sordido ed effimero, ii pensiero estroverso si proietta in avanti in uno slancio inesausto diffrangendosi nelle mille propaggini delle co­se. La struttura dell'esperienza mondana e intrinsecamente cor­rosa da questa ignoranza metafisica (avidya) e dai vizi originali (klesa) che ne traggono alimento: l'illusione della personalita (asmi­ti) che scambia ii Se trascendentale con l'Io empirico; l'amore (raga) e l'odio (dve~a) che s'impaniano nella futilita dei fenome­ni misconoscendo ii fine assoluto; e l'ostinazione vitale (abhini­vesa) che nello sforzo disperato di aggrapparsi alla vita sprofon­da nella morte senza fine. Si muore e si rimuore, e neppure la morte pone fine al dolore, perche la morte none una cesura de-

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12 Aforismi de!lo Yoga

finitiva del flusso dell'esistenza. L'esperienza corrotta dai vizi originali impregna l'organismo psicofisico di latenze inconscie (viisanii): nostalgie e presentimenti, attrazioni e ripulse che ri­conducono irresistibilmente l'individuo nel teatro del mondo co­me i rimorsi riportano I' assassino sul luogo del delitto. La mor­te scioglie la solidarieta provvisoria dei cinque elementi in un corpo, ma non estingue il sostrato dello psichismo deco e im­pellente che reclama un nuov<:?_ corpo predestinato in cui sconta­re la sua fame di esperienza. E la legge inesorabile del karman, ii determinismo morale che non lascia alcun atto senza conse­guenze: chi si e macchiato di un crimine sara trascinato in un grembo bestiale non da un giudice ma dalle stesse impressioni (saf!tskiira) brutali seminate nel terreno psichico dall'esperienza malvagia, cos'i come il pio sara innalzato a una sfera divina dal crisma beatifico delle sue stesse azioni. La condizione di entrambi non differisce all'occhio del saggio: schiavi ambedue del mecca­nismo perverso del karman, l'uno paga il fio della colpa nel do­lore presente, l'altro consuma con trepidazione ii suo precario gruzzolo di gioia paventando il giorno inevitabile della ricaduta nell'oceano doloroso dell'esistenza. Solo ii saggio e salvo, per­che ha reciso la radice dell'ignoranza e dissolto il miraggio, at­tingendo la suprema discriminazione tra Spirito e Natura.

La Natura (prakrti) e il grembo occulto e ineffabile da cui si sono generate tutte le case. Quando il primo sussulto di urgen­za creatrice scuote il torpore informe della matrice, emergono dall'indistinto i tre gU1Ja, i tre «fili» che formano la trama dell'e­sistenza: il sattva luminoso e gioioso, il rajas attivo e doloroso e il tamas oscuro e inerte. All' aurora della manifestazione i tre gu;;a si conglomerano nel Grande principio cosmico (mahat), ii ricettacolo universale, che a sua volta si individua nel principio dell'Ego (ahaf!tkiira) da cui procede tutto l'universo esteriore e interiore. Sul versante esteriore, l' ego emana dapprima i rudi­menti (tanmiitra) noumenali: l'udibilita, la tangibilita, la visibi­lita, la gustabilita e l' odorabilita che fondano l' oggettivita (os­sia l'esperibilita) degli oggetti; questi rudimenti puramente nou­menali condensandosi producono infine i cinque elementi fenomenali (mahiibhuta): spazio, aria, fuoco, acqua, terra - che formano la stoffa del mondo. Sul versante interiore, l' ego ema-

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Introduzione 13

na le cinque facolta di sensazione corrispondenti ai cinque rudi­menti, le cinque facolta di azione e la mente che le coordina. Res cogitans e res extensa sono dunque entrambe trasformazioni dell'unica Natura, differenti solo per la maggiore o minore sot­tigliezza della rispettiva materia. II sommo fastigio della Natu­ra, l'intelletto (buddhi) di puro sattva, come qualsiasi altra cosa naturale fa e non sa: la suprema attivita intellettuale e un puro rappresentare intrinsecamente sprovvisto di coscienza come l'ot­tusa riflessione di uno specchio.

Totalmente altro e lo Spirito, il veggente immoto che non diviene e non crea alcunche, ma sussiste eternamente come pu­ra luce di consapevolezza che illumina soltanto se stessa. Quan­do la luce di consapevolezza cade sullo specchio dell'intelletto, per un misterioso portento indotto dalla contiguita sorge l'epi­fenomeno della coscienza: Spirito e Natura, il veggente immoto e la cieca fattrice, confondono insieme le proprie prerogative su­scitando l'identita illusoria della persona a un tempo agente e cosciente. Ma questa persona che patisce gioie e dolori slancian­dosi nel turbine della vita non esiste veramente: esiste lo spec­chio inerte della psiche, incapace di provare alcunche; esiste la luce circonfondente dello Spirito, eternamente imperturbato da gioie e dolori non suoi. Tuttavia l'illusione e tenace, ea vincere le sue malie non bastano le frigide risorse della ragione e del ver­bo, ma solo un'intuizione perforante, capace di giungere fino al cuore della vanita per vedere «in came ed ossa» il farsi dell'il­lusione. Si tratta di volgere le spalle alle cose per scrutare in se stessi, ripercorrendo a ritroso il cammino dell'evoluzione che met­te capo agli oggetti grossolani del mondo esterno. La meta, al termine di un arduo processo di involuzione che evoca livelli di materia sempre piu sottili, e il puro sattva mentale, in cui la me­ditazione scopre alfine la scaturigine della coscienza come bar­baglio dello Spirito eternamente libero e isolato dalla compagi­ne psichica naturale. L'itinerario che vi conduce e una ottuplice disciplina: i precetti negativi (yama) e positivi (niyama) dettano le norme etiche su cui l' adepto deve regolare la propria condot­ta per conseguire una disposizione propizia allo yoga; la pratica delle posture (asana) e del controllo del respiro (prd1Jdyama) in­staura la stabilita fisica che e il necessario presupposto della sta-

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l·I Aforismi dello Yoga

hiliU1 psichica; ii raccoglimento (pratyahara) ritrae i sensi dagli oggetti esterni, interrompendo i canali di comunicazione con il mondo. Questa quintuplice propedeutica introduce finalmente ii momenta culminante della triplice concentrazione (sa1'?1yama): lo yogin fissa lo sguardo interiore su un unico oggetto per mez­zo dell'attenzione (dharm:tal, lo contempla a lungo in immobile e protratta meditazione (dhyana) fino a scardinare la dualita fon­dendo ii residua senso dell' ego nella mera trasparenza dell' og­getto: el' atto conclusivo del samadhi, 0 «en-stasi>>, Secondo l' ef­ficace conio di Eliade: l'ek-stasi a rovescio allorche ogni conte­nuto e ogni spessore psichico e trasceso, non in una fuga verso le remote lontananze dell' Altro, ma in un'implosione lungo le linee della pura irradiazione intenzionale che proviene dal Se. L'intero itinerario si puo sussumere sotto una bipolarita fonda­mentale: l' esercizio (abhyasa) che corrobora ii pensiero introverso, in cammino verso la realizzazione del Se; e l'impassibilita (vai­ragya) che estenua ii pensiero estroverso, ancora disperso tra le seduzioni delle case. A mano a mano che l'esercizio dell'inte­riorizzazione si fa pill saldo e perseverante, si accresce il disgu­sto nei confronti del mondo esteriore, e l'adepto ascende la sca­la della perfezione accedendo a livelli di coscienza sempre piu rarefatti, che l' esperienza del profano non puo attingere e la sua intelligenza puo solo a stento e per tramite d'analogia concepi­re. II primo grado dell'enstasi contempla l'immedesimazione in un oggetto concreto: per essa la mente e sottratta alla dispersio­ne (vyutthana) nella congerie delle case, facendosi acuminata (eka­gra, lett.: «a una sola punta») come un bulino, <mnintenziona­le». Tuttavia, questa unintenzionalita incoativa e ancora rudi­mentale, poiche implica la molteplicita della stratificazione che appartiene alla psicogenesi dell'oggetto. Stadi piu elevati di en­stasi spogliano via via l' oggetto composito dei suoi strati pill ester­ni: lo strata percettivo-grossolano, considerato dapprima con le sue implicite sustruzioni concettuali (savitarka) e quindi nella sua nuda immediatezza (niroitarka); lo strata intuitivo-sottile, accom­pagnato o meno da analoghe sustruzioni (savictira / niroictira); lo strata soggiacente all' oggetto in cui traspare la beatitudine del sattva mentale (sananda) che lo riflette nell'atto del rappresenta­re; e infine ii nucleo di ogni atto che esperisce un oggetto, ii

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Introduzione 15

soggetto (pseudo) personale (siismita) illusoriamente suscitato dalla sinergia della luminosita dello Spirito con la specularita del sattva.

II progresso dell' enstasi e segnato dalla comparsa di facolta sovrannaturali (vibhuti, siddhi) che sanciscono le mete raggiun­te ma incarnano al tempo stesso le ultime sirene di un mondo dileguante dalle cui lusinghe lo yogin non deve lasciarsi irretire. Del pari che la potenza, anche la conoscenza acquista in inten­sita e in ampiezza, a misura che il «supporto» dell' enstasi e pill profondo e universale, e comincia ad albeggiare la gnosi (prajiia) che disvela il vero Se. II preludio e una calma serenita interiore (adhyatma-prasada), una lucidita di cielo autunnale dopa il mon­sone (vaisiiradya) 9 in cui i contorni del reale si stagliano piu net­ti: sarge allora la gnosi infallibile, apportatrice del retto e del vero (rtarrz-bhara). Inessa ogni cosa appare per cio che realmen­te e, nella costituzionale inopia ontologica al di sotto delle sue seduzioni, e si rafforza la repulsione a misura che si instaura la percezione della radicale differenza (anyata-khyiiti) dello Spiri­to dalle entita naturali, la conoscenza che discrimina (viveka-jiiiina) il puro dall'impuro, l'autonomo dall'eteronomo, il permanente dal transeunte, l'assoluto dal relativo. I gradi successivi in cui si dispiega questa conoscenza sublime hanno nomi immaginifi­ci, il cui reale significato e racchiuso nel cuore dell' Erlebnis del­lo yogin 10 • Essa spunta dapprima come un lucore d' alba (prati­bha) che annuncia il fulgore diurno, ed e chiamata «Zattera di salvezza» (taraka) perche promette la luce che trae in salvo dal Hutto dell' esistenza. Come l' alba trascolorando in giorno dise­gna vividamente le case che emergono ad una ad una dal limbo della notte, cosl a misura che si accresce l'intensita psichedelica della gnosi lo yogin si affaccia sulle intuizioni soavi e inebrianti di un ignoto mondo di miele o di idromele (madhubhumika). Quando l' alba culmina nel meriggio della perfetta discrimina­zione (prasmpkhyana) ogni cosa e ormai patente nella sua nudita senza ombra di reticenza, in una inconcepibile esperienza simul­tanea e totalfE che suscita per contrasto l'intuizione ineffabile del Se-Altro. E l'acme dell'enstasi cognitiva (sarrzprajiiata-samiidhi), allorche lo yo gin ha raggiunto l' apice della conoscenza che libe­ra: ha vuotato metodicamente la coppa dell' esperienza saggian­do l'intimo di ogni cosa fino all'onniscienza che porta seco il

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16 !1/ori1111i dl'l!o )'nga

disg11slo 1111ivnsall'. Ma perfino l'o1111iscicnza dclla perfetta di­scrimi11azio11t· t' pm sl'111prt· 111ia sorta di cspcricnza che insiste s11 <11•.1 1,t·t l i, t' apparl it·rn· d1111q11l' al lo psichismo naturale che de­vt· l'ssnt· <li~;s()ll(). I.() vog{11 si apprcsta all'ultimo passo inoltran­d11si lll'lla «1111vola dl'll'l'ssc11za» (dharma-megha) che lo seclude 1kl i11i1 iva1m·111t· dal 11101lllo fcnomcnale irrorandolo con la luce ddl:1 vna l{l'alti1. 11 supremo distacco e consumato, rinuncian­d() :dla d11ali1i1 rl'sidua nclla stessa discriminazione. Attraverso la «1111vola» lo yo,~in si sprofonda ormai nel vuoto dell'enstasi 11()11-rngnitiva (asm11praj1iiita-samiidhi), lo stato di inibizione (ni­r()(lha) allorchc !'ultimo barlume di pensiero non pensa che la sopprcssione del pensiero, ogni coscienza empirica della pseudo­pcrsona e estinta e resta soltanto la pura consapevolezza trascen­dcntale del Se. In questa condizione suprema ogni germoglio di cspcrienza attuale che spunta nel campo psichico e troncato dal rasoio upanishadico «non e cosl, non e cosh> 11 ' i destini di espe­rienze future sepolti nel karman accumulato in mille esistenze sono fatti simili a semi inariditi, incapaci di germinare, mentre ii nudo pensiero apofatico ormai non semina piu: per lo yogin che ha raggiunto la liberazione (mok~a) la ruota dell'esistenza continua a girare trascinata dall'inerzia degli eventi, fino ache egli non abbia gustato tutti i frutti, dolci o amari, gia maturati per la sua vita attuale: l'ultima vita, cui porra definitivo suggel­lo l'ultima morte, spalancata sullo splendido isolamento dello Spirito.

I! testo

Gli Yogasutra («Aforismi dello Yoga») costituiscono ii testo fondamentale dello Yoga classico, uno dei sei sistemi filosofici ortodossi indiani. La tradizione unanime ne attribuisce la com­posizione a Patanjali, identificato con ii grande grammatico del II sec. a. C., ma gli studiosi sono divisi sul valore di questa iden­tificazione, giungendo talora a proporre date tra ii IV e ii VI sec. d. C. (almeno per le parti pill tardive di un testo che appare a molti di natura composita). Gli Yogasutra constano di quattro libri. Nel primo, ii Libro dell'enstasi, si delinea ii processo dello

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Introduzione 17

yoga, consistente nel soggiogamento delle funzioni mentali fino a raggiungere i diversi gradi dell'enstasi. II Libro del metodo individua nei cinque vizi originali radicati nell'ignoranza e nel­la legge del karman la fonte del dolore dell'esistenza, e traccia il celebre cammino yogico a otto tappe per sfuggirvi: precetti negativi, precetti positivi, posture, controllo del respire, racco­glimento, attenzione, meditazione ed enstasi. Nel Libro delle facolta soprannaturali si esamina la concentrazione yogica e i suoi effetti. Infine il Libro dell'isolamento analizza la natura dei con­dizionamenti subcoscienti e l'isolamento del Se conseguente al­la loro soppressione per mezzo dello yoga. Gli Yogasutra, che hanno esercitato un influsso enorme sulla cultura indiana, sono scritti nel caratteristico stile dei sutra: «collane» di brevi afori­smi che tracciano le linee essenziali di una dottrina, destinati a essere integrati dalla viva voce del maestro. I sutra mirano alla massima concisione per favorire l' apprendimento mnemonico -e celebre il detto di Pataii.jali il grammatico, Secondo cui «Un au tore di sutra si rallegra di mezza sillaba risparmiata come del­la nascita di un figlio». Come gli altri testi del genere, anche gli Yogasutra sono pertanto difficilmente intelligibili senza l' au­silio di qualcuno dei numerosi commentari, il piu importante ed autorevole dei quali e lo Yogabhii~ya composto da Vyasa tra il 650e1'850 d. C., che costituisce a sua volta la base di ulteriori subcommentari. Poiche tuttavia il commentario di Vyasa e gia ampiamente noto in diverse traduzioni nelle principali lingue eu­ropee (incluso l'italiano) abbiamo ritenuto opportune presenta­re invece a complemento dei sutra il commentario Riijamarta1Jefa («Sole del re») composto da re Bhoja nell'XI sec. (il piu antico dopo quello di Vyasa), che unisce all'interesse della novita il pre­gio di una notevole perspicuita, conformemente all'intento di­chiarato con humour dallo stesso Bhoja nella prefazione: «Cio che e astruso lo tralasciano dicendo: "il senso e chiaro"; in cio che e chiaro introducono una profusione di parafrasi vane, econ molte chiacchere inutili e fuori luogo accrescono la confusione degli ascoltatori: e cosl che tutti i commentatori saccheggiano la loro materia. Quanto a me, ho composto questo commenta­rio per l' ammaestramento dei saggi, rigettando la prolissita e i sofismi brillanti ma vacui, e cercando invece di determinate i

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18 Aforismi delta Yoga

retti significati secondo l'intima dottrina di Patafijali». A dispetto dei buoni propositi, che peraltro re Bhoja mette in pratica in maniera esemplare, l'opera none sempre piana, per la difficolta intrinseca del pensiero ulteriormente magnificata dalla traduzio­ne, che deve spesso affrontare ostacoli quasi insormontabili nella resa di un linguaggio altamente specializzato quale e il sanscrito dei testi filosofici. Allo scope di favorire la comprensione del lettore ordinario, abbiamo pertanto aggiunto un subcommenta­rio originale, composto in armonia con la tradizione indiana e nello stesso spirito di re Bhoja, riformulando liberamente il pen­siero, attingendo secondo necessita agli altri commentatori, col­legando, sistematizzando e aggiungendo qualsiasi notazione utile a migliorare l'intelligibilita del testo.

Nata bibliografica

La presente traduzione e stata condotta sul testo del: - Piitafijala-yoga-darfana con il commentario sanscrito Riijamiir­ta1J~a di Sridhardvara Bhojadeva e il subcommentario hindi PuY1Jimii, a cura di Kirtyanand Jha, Vara9asi, Caukhamba Ama­rabharati, 1984 (Harajivanadasa Sarpskrta Granthamala 4).

In subordine, si sono utilizzate per la collazione: - l'edizione a cura di I;>hu9c;lhiraja Sastri (Vara9asi, Caukham­bha Sarpskrta Sarpsthana, 1982 (Kasi Sarpskrta Granthamala 83)); - l'edizione a cura di Afobodha Vidyabhii~a9a e Nityabodha Vidyaratna (Kalikata, Jivananda Vidyasagara & Sons, 1936).

Per il testo dei sutra si e utilizzato: - Yogasutra-Konkordanz von K. Meisig, Wiesbaden 1988 (Frei­burger Beitrage zur Indologie 22)

Degli Yogasutra, perloppiu accompagnati dal classico commen­tario di Vyasa, esistono innumerevoli traduzioni nelle principa­li lingue occidentali, che sarebbe vano elencare. Ci limitiamo a ricordare anzitutto la traduzione italiana:

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Introduzione 19

- Patafijali, Gli aforismi sullo Yoga. Con il commento di Vyasa, a cura di C. Pensa, Torino, Boringhieri, 1978

e la fondamentale traduzione di Woods: - The Yoga-System of Pataiijali, or the Ancient Hindu Doctrine of Concentration of Mind, embracing the Mnemonic Rules, called Y oga-siitras, of Pataiijali, and the Comment, called Y oga-bha~ya, attributed to Vedavyasa, and the Explanation, called Tattva­vaifaradi, of Vacaspatimifra, translated from the original sanskrit by J. H. Woods, Harvard 1917.

Del commentario Rajamarta?J4a di Bhoja, qui per la prima volta tradotto in lingua italiana, non esistono che due traduzioni in lingua occidentale, l'una intrapresa da J. R. Ballantyne e pub­blicata incompleta e frammentaria ad Allahabad nel 1?52, suc­cessivamente portata a compimento da Govindadeva Sastri dal 1868 in poi; l'altra, a cura di Rajendralala Mitra, pubblicata nel 1883. La traduzione di Ballantyne e Deva, oggi disponibile in ristampa: - Yoga-siitras of Pataiijali with Bhojavrtti called Rajamart!l-1J¢a, translated into English by J. R. Ballantyne and Govinda Sastri Deva, Delhi repr. 1983 (Parimal Sanskrit Series 10) e tuttavia lacunosa e inattendibile, specialmente nella prima parte, variamente fraintendendo, riassumendo arbitrariamente o piu spesso omettendo senza alcun avvertimento i passi di piu diffi­cile interpretazione.

Nel comporre ii subcommentario si sono tenuti presenti i prin­cipali commentari sanscriti, per i quali si sono consultate le se­guenti edizioni: - Yogasiitra con commentario Yogabha~ya di Vyasa e su~com­mentario Tattvavaisaradi di Vacaspati Misra, Poona 1984 (Anan­dasrama Samskrta Granthavali 47) - Saf!1khyayog~darsana con commentario S.i1?1khyapravacana­bha~ya di Vyasa e subcommentari Tattvavaifaradi di Vacaspati Misra, Pataiijalarahasya di Raghavananda Sarasvati, Yogavarti­ka di Vijfianabhik~u e Bpasvati di Hariharanandara9ya (a cura di Gosvami Damodara Sastri), Varanasi 1989 (Kasi Samskrta Granthamala 110) · · ·

Page 19: Patañjali, Aforismi dello Yoga (Yogasūtra). [Con il commentario Rājamārtaṇḍa di Bhoja. Introduzione, traduzione, subcommentario e note di Paolo Magnone] ● Patañjali, Yogasūtras

.'() Aforismi dello Yoga

fogasiitra con commentari RajamtirtatJ~a di Bhoja, Pradipikti di Bhavagai:iefa, V.rtti di Nagojibhana, MatJiprabhti di Ramananda, Candrikti di Anantadeva e Yogasudhtikara di Sadasivendra Sara­svatl (a cura di I)hun~iraja SastrI), Vara9as11982 (Kasi Sarp.skrta Granthamala 83) - Yogadarfana con commentari di Bhavagai:iefa e Nagojibhaga (a cura di Mahadeva Gangadhara Bakre), Bombay 1917 - Ptitafijalayogadarfana con coll}mentario RajamtirtatJef,a di Bhoja e subcommentario KiratJq di Srikna:iavallabhacarya Svamina­rayai:ia (a cura di B. K. Sastrl), Vara9asi 1939. - Yogadarfana con commentari Y ogasiddhantacandrikti e Sutrtir­thabodhini di Naraya9a Tirtha, Vara9asI 1910 (Caukhamba Sarp.skrta Granthamala 154,159).

NOTE

1 Cfr. M. Eliade, Le yoga. Immortalite et liberte, Paris 1954, passim. 2 Pia tone, Simposio 204b: « ... I: pcm: a q>tA.6aoqiov dvm, q>tA.6aoqiov of:

6vw µi;w~u dvm CJOq>OU Kat aµa0oi:ic;». 3 Bhart~hari, Nitisataka 3: «ajfia0 sukham aradhya0 sukhataram aradhyate

vise~a-jfia0 / jfiana-lava-durvidagdhaip. brahmapi naraip. na rafijayati». 4 Pier Damiani, De divina omnipotentia, 5 cristallizza in una formula clas­

sica che sara ripetuta per tutto ii medioevo ii rapporto tra filosofia e sacra scrittura: «non debet ius magisterii sibimet arroganter arripere, sed velut an­cilla dominae quodam famulatus obsequio subservire».

5 Aristotele, Metafisica A,982b,12: «Ota yap to 0auµa~i:tv oi iiv0pwnm Kat vuv Kat to np&rnv flp~avrn qitA.oaoqidv».

6 Ibidem, A,983a,10. 7 isvarakrsna, Siimkhyakiirikii l. 8 Cfr. Vyds~bhii~ya ad Yogasiitra II,16. 9 Cfr. G. Feuerstein, The Philosophy of Classical Yoga, Manchester 1980,

p. 92. 10 Un'analisi simpatetica e penetrante della fenomenologia yogica si tro­

va in G. Koelmann, Pataiijala Yoga. From Related Ego to Absolute Self, Poona 1970.

11 Cfr. Brhadiira1}yaka Upanisad IIl,9,26 e Rajamiirtanda ad Yogasiitra I,51.