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MARKET-DRIVEN MANAGEMENT Marketing Strategico e Operativo 1
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MARKET-DRIVEN MANAGEMENT

Marketing Strategico e Operativo

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CAPITOLO 1Il ruolo del marketing nell’impresa e nell’economia sociale di mercato1.1. I fondamenti ideologici del processo di marketingNel linguaggio corrente esistono tre definizioni di marketing:o Il marketing è un insieme di mezzi di vendita aggressivi, utilizzati per conquistare i mercati.

Come tale, esso troverebbe principalmente applicazione nei mercati dei beni di largo consumo e molto meno nei settori più nobili (prodotti tecnologici, servizi finanziari, servizi sociali e culturali).

o Il marketing è un insieme di strumenti di analisi (modelli di previsione delle vendite, modelli di simulazione, ricerche di mercato) allestiti allo scopo di sviluppare un quadro previsionale dei bisogni e della domanda. A causa del loro costo, questi strumenti sarebbero riservati alle grandi imprese, ma la loro utilità sarebbe dubbia.

o Il marketing è l’architetto della società dei consumi, il seduttore che, creando di continuo nuovi bisogni, aiuta a vendere. Per quanto affascinante e diffuso, questo dell’onnipotenza del marketing non è altro che un mito, la cui fragilità è dimostrata dal tasso molto elevato di insuccesso che colpisce nuove marche e prodotti che si affacciano sul mercato.

Dietro a queste concezioni troviamo tre dimensioni caratteristiche del concetto di orientamento al mercato: o una dimensione di cultura cioè una filosofia di gestione;o una dimensione di analisi cioè la mente strategica;o una dimensione di azione cioè il braccio operativo commerciale. La tendenza più frequente consiste nel ridurre il processo di marketing alla dimensione di azione, cioè a un insieme di metodi di vendita chiamati marketing operativo, sottovalutando la dimensione di analisi cioè il marketing strategico e la dimensione di cultura cioè la filosofia di gestione. Queste tre dimensioni, nel loro insieme, sono parte di un processo gestionale orientato al mercato (market-oriented management). Quindi quando ci riferiamo a queste tre dimensioni, parliamo di processo di marketing e/o di market-driven management.

1.1.1. Principio della sovranità del clienteLa filosofia di business sottesa al processo di marketing si basa su una teoria delle scelte individuali fondata sul principio della sovranità del cliente. Tale principio, che si pone alla base dell’economia di mercato, può essere riassunto come segue: il benessere sociale deriva in primo luogo dall’unione degli impulsi egoistici dei produttori e dei consumatori, attraverso lo scambio volontario e concorrenziale. Questo principio di base è stato corretto, nelle economie moderne, con considerazioni di carattere sociale come solidarietà, beni collettivi, ruolo dello Stato. Ad ogni modo il principio orienta l’attività economica di ogni impresa operante in un mercato di libera concorrenza. Alla base dell’economia di mercato troviamo quattro idee centrali:a) La ricerca di un interesse personale spinge gli individui a produrre e lavorare. Questa ricerca è il motore dello sviluppo e determina il benessere generale.b) Ciò che è gratificante per gli individui dipende dalle scelte individuali, che sono ovviamente variabili;c) Attraverso lo scambio concorrenziale gli individui realizzeranno al meglio i propri obiettivi;d) I meccanismi dell’economia di mercato si fondano sul principio della libertà individuale e, in particolare, sul principio della sovranità del cliente. Il fondamento morale del sistema risiede nel fatto che gli individui sono responsabili delle loro azioni e sono quasi sempre in grado di decidere ciò che è bene o male per loro stessi.

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1.1.2. I campi d azione del processo di marketingSe il processo di marketing trova i suoi fondamenti nei quattro principi testé citati, gli ambiti di azione del marketing possono essere suddivisi in tre grandi categorie:o La prima categoria comprende il marketing dei beni e dei servizi di consumo , o marketing

business-to-consumer (B2C), che gestisce gli scambi tra l’impresa e i consumatori finali (singoli o famiglie).

o La seconda categoria include il marketing industriale, detto anche marketing business-to-business (B2B) o marketing organizzativo, nel quale le parti coinvolte nel processo di scambio sono rappresentate da organizzazioni.

o La terza categoria, infine, include il marketing sociale, che riguarda le organizzazioni senza fini di lucro.

In ciascuno di questi ambiti, il processo di marketing implica che la soddisfazione dei bisogni del cliente rappresenti l’obiettivo principale di tutta l’attività dell’organizzazione, non per spirito altruistico, ma per un interesse preciso, poiché questo è il modo migliore per raggiungere i propri obiettivi di crescita e redditività.

1.1.3. I due aspetti del processo di marketingL’applicazione di questa filosofia di business implica che l’impresa segua due approcci distinti:o Il primo approccio, definito marketing strategico, prevede che l’impresa svolga un analisi

sistematica e continuativa dei bisogni del mercato e che sviluppi nuovi concetti di prodotto competitivi. È importante che questi siano destinati a gruppi di clienti specifici e che presentino caratteristiche che li differenzino dai concorrenti diretti: solo in questo modo, infatti, l impresa può assicurarsi un vantaggio competitivo duraturo e difendibile.

o Il secondo approccio, detto di marketing operativo, comprende l’organizzazione di strategie di distribuzione, vendita e comunicazione. L’obiettivo, in questo caso, è di far conoscere e valorizzare presso i clienti potenziali le qualità distintive vantate dai prodotti offerti, riducendo i costi di ricerca della clientela.

Queste due fasi del processo sono strettamente complementari e si concretizzano all’interno dell’impresa nell’elaborazione delle politiche di marca, che rappresentano uno strumento chiave di applicazione operativa del concetto di orientamento al mercato. Ne deriva la seguente definizione del processo di marketing: in un economia di mercato, il ruolo del market-driven management è quello di concepire e promuovere, in modo redditizio per l’impresa, soluzioni di valore superiore ai problemi dei clienti. Il termine concepire rinvia al marketing strategico, mentre il termine promuovere rinvia al marketing operativo; per soluzioni di valore superiore, infine, si intendono prodotti o servizi che soddisfino i bisogni dei clienti in modo migliore rispetto all’offerta dei concorrenti diretti.

1.2. L implementazione del processo di marketing nell’impresa1.2.1. Il marketing strategicoIl marketing strategico si basa innanzi tutto sull’analisi dei bisogni degli individui e delle organizzazioni. Il suo ruolo consiste nel seguire l evoluzione del mercato di riferimento e di identificare i differenti prodotti-mercati e segmenti attuali o potenziali, in base all’analisi dei diversi bisogni da soddisfare. I prodotti-mercato identificati rappresentano un opportunità economica di cui occorre valutare l’attrattività . Il ruolo del marketing strategico riguarda dunque la risposta alle opportunità esistenti o la creazione di nuove opportunità interessanti per l impresa, cioè che ben si adattino alle sue risorse e capacità, e che offrano un potenziale di crescita e redditività. Il marketing strategico si colloca in un orizzonte temporale di medio-lungo termine; il suo scopo

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consiste nel precisare la missione dell’impresa, nel definirne gli obiettivi, nell elaborare una strategia di sviluppo e nel riuscire a mantenere una struttura equilibrata nel portafoglio prodotti.

1.2.2. Il marketing operativoIl marketing operativo rappresenta la dimensione di azione del concetto di orientamento al mercato e il suo orizzonte temporale è il breve-medio termine. Si tratta del classico approccio commerciale incentrato sulla realizzazione di un obiettivo di quote di mercato e basato sui mezzi derivanti dalle politiche di prodotto, distribuzione, prezzo e comunicazione, vale a dire le 4 P del marketing mix. Pianificare il marketing operativo significa definire gli obiettivi, il posizionamento ricercato, la tattica da adottare. Il ruolo primario del marketing operativo consiste nel creare fatturato, utilizzando a tale scopo gli strumenti di vendita più efficaci e minimizzando i costi. L obiettivo di fatturato da realizzare si traduce poi in programmi di fabbricazione per la funzione produzione e in programmi di stoccaggio e distribuzione fisica per i servizi commerciali. Il marketing operativo è quindi un elemento determinante, che influenza in modo diretto la redditività a breve termine dell’impresa. L incisività del marketing operativo costituisce un fattore decisivo nella performance dell’impresa, in particolare nei mercati dove la concorrenza è molto forte. Il marketing operativo è dunque il braccio commerciale dell’impresa, senza il quale il migliore piano strategico non potrebbe fornire risultati soddisfacenti. Al tempo stesso, è evidente che non ci potrebbe essere un marketing operativo profittevole senza una solida scelta strategica.

1.2.3. Marketing strategico di risposta e di creazione dell’offertaLe idee di nuovi prodotti possono avere due origini distinte: il mercato o l’impresa. Se l’esigenza di un nuovo prodotto proviene dal mercato (ad esempio in seguito ad un indagine di mercato), si dice che l’innovazione è tratta dal mercato (market-pull). Questa indicazione derivante dal mercato viene trasmessa alla funzione R&S (Ricerca & Sviluppo), che cercherà di dare una risposta adeguata a tale bisogno insoddisfatto. Sarà poi compito del marketing operativo promuovere la nuova soluzione nel segmento target identificato dall’indagine di mercato. Un altra fonte di innovazione è la funzione di R&S, che in seguito ad una ricerca di base o applicata scopre un nuovo processo, un nuovo prodotto o una nuova modalità organizzativa che consente di soddisfare meglio un bisogno latente o di anticipare una domanda di cui non vi è consapevolezza nel mercato. Sono molte le aziende che aumentano la loro concorrenzialità e scavalcano gli avversari creando innovazioni di rottura: si tratta di aziende trainate dalla tecnologia più che orientate ai bisogni del consumatore. In questo caso l innovazione è spinta dall’impresa (technology-push).Pertanto, nell’ambito del marketing strategico, è necessario distinguere due approcci complementari: il marketing strategico di risposta e il marketing strategico di creazione dell’offerta. Il marketing strategico di risposta si propone di individuare bisogni o desideri espressi e di soddisfarli. In questo caso l innovazione è market-pull. Il marketing strategico guidato dall’offerta, invece, è finalizzato All’identificazione di bisogni non espressi o alla ricerca di soluzioni nuove a necessità o desideri già conosciuti. L obiettivo, in questo caso, è quello di creare nuovi mercati servendosi della tecnologia e/o della creatività interna all’impresa.

1.3. Il ruolo del processo di marketing nell’economia sociale di mercatoIl ruolo del processo di marketing nell’economia è quello di organizzare lo scambio e la comunicazione tra produttori e consumatori. Secondo la visione tradizionale del marketing, produttori, distributori e consumatori sono i tre attori principali del marketing stesso, ciascuno con ruoli specifici. Per cominciare, la produzione e la creazione del valore, attraverso le offerte proposte al mercato, avvengono per iniziativa dei produttori. Sono poi i distributori ad organizzare il processo di scambio dei valori nel luogo deputato allo scambio. Infine intervengono i segmenti

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target di clienti, i quali estraggono il valore dalle offerte dell’azienda. Questa visione, molto tradizionale, pone l azienda al centro del processo di marketing e sono i produttori a controllare quasi per intero i flussi di comunicazione diretti ai potenziali clienti. Con l’evoluzione dell’equilibrio di potere tra gli attori del mercato, però, muta pure la natura della relazione che intercorre tra loro. Si può allora ulteriormente distinguere tra due modelli aziendali, quello dominato dal produttore e quello dominato dal distributore. Nel primo, il produttore rafforza il suo dominio sul processo di marketing; nel secondo, è il distributore a diventare il principale protagonista del mercato.

1.3.1. Il marketing come fattore di democrazia economicaIl processo di marketing riveste un ruolo economico di rilievo in un economia di mercato, non solo perché assicura un collegamento efficiente tra la domanda e l offerta, ma anche perché dà vita a una sorta di circolo virtuoso di sviluppo economico. Le tappe di questo processo di sviluppo sono le seguenti:o Il marketing strategico identifica i bisogni insoddisfatti o mal soddisfatti dei clienti e sviluppa

nuovi prodotti adeguati a soddisfare tali bisogni;o Il marketing operativo delinea un piano di attività di marketing che crea e/o sviluppa la

domanda di questi nuovi prodotti;Questo aumento della domanda provoca un calo dei costi, che rendono a loro volta possibili riduzioni di prezzo, grazie alle quali entrano nel mercato nuovi gruppi di clienti; Questo ampliamento del mercato stimola nuovi investimenti in capacità produttiva, che generano economie di scala e sollecitano un impegno maggiore da parte del settore R&S per dare vita a prodotti di nuova generazione. Il marketing strategico è un fattore di democrazia economica soprattutto perché realizza un sistema che:a) parte dall analisi delle aspettative dei clienti;b) orienta gli investimenti e la produzione in funzione dei bisogni previsti dal mercato;c) rispetta la diversità dei gusti e delle preferenze tramite la segmentazione dei mercati e l elaborazione di prodotti ad essi adeguati;d) stimola l innovazione e l imprenditorialità.

1.4. L’evoluzione del ruolo del processo di marketingIn tale evoluzione, si possono distinguere tre fasi, ciascuna caratterizzata da diverse priorità negli obiettivi di marketing: il marketing passivo, quello operativo e quello strategico.

1.4.1. Il marketing passivo: l’orientamento al prodottoQuella del marketing passivo o dell’orientamento al prodotto è una modalità che prevale in un ambiente economico caratterizzato dall’esistenza di un mercato potenzialmente importante, in cui tuttavia c è scarsità di offerta, poiché le capacità produttive non sono in grado di soddisfare le richieste del mercato. In un contesto del genere, il marketing non ha molto spazio: il marketing strategico si sviluppa spontaneamente, dal momento che i bisogni sono conosciuti, quello operativo si riduce allo smercio dei prodotti fabbricati, mentre le attività promozionali diventano superflue. Il marketing serve solo a vendere ciò che è stato prodotto. Questo tipo di organizzazione favorisce lo sviluppo di un ottica di prodotto, che si basa sull’ipotesi che l impresa sappia ciò che è buono per il cliente e che quest’ultimo condivida tale convincimento.

1.4.2. Il marketing operativo: l’orientamento alla venditaIl marketing operativo pone l accento sulla dimensione azione del concetto di orientamento al mercato. La funzione principale del marketing consiste nell’organizzare una distribuzione efficiente

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dei prodotti e nel gestire tutti i compiti che ricadono in questa attività. L’ottica di vendita è una caratteristica ben presente nel marketing organizzativo, spesso con il ricorso a tecniche commerciali aggressive che racchiudono al loro interno il rischio dell’adozione di un marketing manipolatorio e selvaggio, il cui obiettivo è plasmare la domanda alle esigenze dell’offerta, anziché quello di adattare l offerta alle attese della domanda. Si tratta di un impostazione autodistruttiva, che va nella direzione opposta rispetto agli interessi a lungo termine dell’impresa o della marca.

1.4.3. Il marketing strategico: l’orientamento al clienteLa tentazione di ridurre il marketing al solo aspetto operativo è forte nei settori in fase di rapida espansione e quando il mercato potenziale da conquistare è ampio. La necessità di integrare la dimensione strategica del concetto di orientamento al mercato viene percepita invece quanto i mercati raggiungono la maturità e le strategie di posizionamento diventano fondamentali, la concorrenza si intensifica e il ritmo d innovazione accelera. In un contesto del genere, gli obiettivi prioritari diventano l identificazione di segmenti o nicchie di mercato in grado di produrre crescita, lo sviluppo di prodotti nuovi, la diversificazione del portafoglio di prodotti, l’individuazione di una strategia di marketing per ogni unità di attività strategica. La fase di rinforzo dell’orientamento al mercato è caratterizzata all’interno dell’azienda dallo sviluppo del ruolo del marketing strategico e dall’adozione di un orientamento al consumatore. Due sono i fattori che stanno alla base di questo tipo di evoluzione: da una parte, la progressiva saturazione dei bisogni nel nucleo centrale del mercato; dall’altra, la crescente velocità di diffusione del progresso tecnologico. Nel primo caso, quando i bisogni corrispondenti al nucleo centrale del mercato si saturano, soprattutto a causa di un numero elevato di concorrenti che presentano offerte simili, diventa importante concentrarsi sui segmenti minoritari e sulle diversità che essi esprimono, sviluppando prodotti appositamente concepiti per soddisfarne i bisogni. L’impresa praticherà quindi una strategia di segmentazione del mercato. Naturalmente, trovare segmenti non sfruttati non è un compito facile e richiede una profonda conoscenza dei mercati, dei bisogni degli utenti e delle modalità di utilizzo dei prodotti. Tale conoscenza può essere ottenuta solo tramite un rafforzamento della dimensione di analisi del processo di marketing, vale a dire utilizzando il marketing strategico e adottando un orientamento al cliente. Nel secondo caso, la crescente velocità di diffusione del progresso tecnologico richiede un attenzione al rinnovamento dei prodotti molto maggiore che in passato. I fattori di cambiamento testé citati implicano tutti un rafforzamento del marketing strategico nell’impresa, con un crescente orientamento non alla vendita, ma al cliente. L’ipotesi che sta alla base dell’orientamento al cliente è dunque la seguente: la soddisfazione dei bisogni del cliente è l’obiettivo prioritario dell’impresa, non per altruismo, ma perché proprio questo è il modo migliore per l’impresa per raggiungere i propri obiettivi di redditività e/o di crescita. Questo è quello che viene chiamato il concetto tradizionale di marketing. Naturalmente, come per l orientamento al prodotto e alla vendita, anche l’orientamento al cliente presenta dei limiti, che si possono ben sintetizzare nei tre interrogativi che seguono:1) il marketing si deve preoccupare del benessere dei clienti?2) Il marketing non tende a trascurare il costo sociale della soddisfazione dei bisogni individuali?3) Un adozione troppo entusiastica dell’orientamento al cliente non rischia di spingere l’impresa

a porre troppo l accento sui prodotti richiesti dal mercato, a scapito di quelli tecnologicamente innovativi?

1.4.4. L orientamento al mercato: il market-driven managementL orientamento al mercato e il market-driven management costituiscono il tentativo di rispondere ai tre cruciali quesiti posti alla fine del paragrafo precedente. Si tratta di un evoluzione della filosofia aziendale che è il risultato di tre cambiamenti in corso nell’ambiente del macro-

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marketing: la globalizzazione dell’economia mondiale, la rivoluzione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) con il conseguente sviluppo del commercio elettronico e l emergere di nuovi valori che promuovono un economia sociale di mercato orientata ad uno sviluppo sostenibile. Tali cambiamenti richiedono un evoluzione del ruolo e della struttura della funzione di marketing all’interno delle imprese. All’inizio del nuovo millennio, nelle imprese più attente si è già registrato uno spostamento dall’orientamento al cliente ad una visione a più ampio spettro, in cui il mercato è visto come un ecosistema complesso, al quale accostarsi con una cultura di base che deve pervadere ogni livello e ogni funzione all’interno dell’azienda.

CAPITOLO 2Il market driven management nel mercato globale2.1. L impatto della globalizzazioneNegli ultimi due decenni, la maggior parte delle imprese internazionali ha adottato un approccio di marketing globale. Si tratta del fenomeno della globalizzazione, che ha investito tutti i settori dell’economia e che si riferisce all’insieme dei processi che contribuiscono all’eliminazione delle barriere regionali, che facilitano il movimento dei capitali, dei prodotti e delle informazioni su scala planetaria, diffondendo la convinzione che il mondo funzioni come un sistema unico e integrato.

2.1.1. I vantaggi della globalizzazione del marketingUn approccio globale al marketing può produrre diversi vantaggi: o Il primo e più importante è rappresentato dalla possibilità di realizzare notevoli economie di

scala, le quali forniscono ad un impresa un vantaggio competitivo fondamentale;o Il secondo è rappresentato dalla velocità di introduzione nel mercato. Un impresa globalizzata

è molto più centralizzata delle altre, come tale è in grado di contenere i costi e di pianificare e organizzare il lancio di nuovi prodotti in tempi rapidi;

o Il terzo è costituito dall’opportunità di creare un unica marca e un'unica identità di marca a livello globale.

2.1.2. Gli svantaggi della globalizzazione del marketingTra questi svantaggi, occorre considerare che:o La centralizzazione può rallentare la velocità complessiva della macchina aziendale e la sua

capacità di rispondere in tempi rapidi alle sollecitazioni provenienti dal mercato;o Una minore capacità di risposta alle esigenze che si manifestano a livello locale;o Il rischio di sviluppare prodotti eccessivamente standardizzati e indifferenziati, tali da risultare

insoddisfacenti per i consumatori;o Una maggiore vulnerabilità nella gestione del rischio. Se un prodotto è globale ed è

universalmente conosciuto come tale, un problema che sorge nel Paese X può rapidamente trasformarsi in una crisi a livello globale e in un autentica catastrofe comunicativa.

Non bisogna infine dimenticare che in molti Paesi del mondo è in atto una crescente contestazione nei riguardi della globalizzazione dei mercati, accompagnata da una polemica nei riguardi delle marche globale e da una riscoperta e rivalorizzazione delle marche locali.

2.2. La nuova complessità del mercato globaleLo sviluppo di Internet e dell’economia globale sta definendo due tipologie di mercati: o i mercati globali tradizionali (GTM, Global Traditional Markets);o i mercati globali elettronici (GEM, Global Electronic Markets).

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2.2.1. Il mercato come ecosistema di consumatoriIn un economia di mercato, per ecosistema si intende un complesso raggruppamento di società e clienti, fornitori, concorrenti, distributori, che dall’interazione ottengono vantaggi reciproci. In un ecosistema di consumatori, le attività di mercato sono controllate dal consumatore invece che dal fornitore. L’ecosistema di consumatori è costituito da diversi attori di mercato, i quali vanno a costituire una supply chain industriale che abbraccia tutti gli stadi della produzione, dall’acquisizione delle materie prime alla trasformazione, dall’assemblaggio alla distribuzione al cliente finale. Tali attività hanno luogo nei due mercati globali (GTM e GEM).

2.2.2. Gli attori di mercato nell’ecosistema di consumatoriIl mercato, in linea generale, può essere definito in riferimento a cinque attori: Clienti, Partner, Distributori, Concorrenti e Prescrittori. A questi partecipanti tradizionali si aggiungono nuovi attori provenienti dal GEM, il cui ruolo riveste un importanza crescente. o Clienti: i clienti diretti e finali appartengono al mercato tradizionale o primario dell’impresa ed

esprimono una domanda diretta di beni e servizi. L’impresa li conosce e sa come soddisfarli;o Partner: in molti settori, tuttavia, esistono gruppi supplementari di clienti che rappresentano

una domanda supplementare spesso ignorata, in quanto le aziende sono incapaci di raggiungerli in modo diretto. Il partner è colui che riesce a sfruttare la domanda indiretta;

o Distributori: i distributori non devono essere considerati come partner, ma come clienti a pieno titolo. Né può essere sottovalutata l importanza oggi assunta dai facilitatori del mercato on line

o Concorrenti: il concetto tradizionale di marketing si concentra unicamente sulle esigenze dei clienti e ignora gli effetti della concorrenza, offrendo così una visione incompleta del mercato. I concorrenti, per contro, sono attori fondamentali del mercato e l atteggiamento adottato nei riguardi della concorrenza è cruciale per la formulazione di qualsiasi strategia, in quanto fungerà da base per definire il vantaggio competitivo. Occorre tuttavia mantenere un corretto bilanciamento tra l orientamento ai clienti e quello ai concorrenti.

o Prescrittori e influenzatori: In molti mercati, oltre agli attori tradizionalmente presenti clienti, distributori e concorrenti vi sono altri individui e altre organizzazioni in grado di svolgere un ruolo importante nel consigliare e prescrivere le marche, le società, i beni e i servizi a clienti e distributori. L’esempio più ovvio è quello del mercato farmaceutico, dove i medici svolgono un ruolo fondamentale nel successo di un farmaco. Ne consegue che l’orientamento al prescrittore comporta, da parte dell’impresa, l’individuazione dei principali influenzatori od opinion leader, la valutazione della natura del loro ruolo, nonché lo sviluppo di un programma di comunicazione specifico volto ad ottenere il loro sostegno.

2.2.3. Un nuovo modello manageriale: l’approccio alla soluzione del problema del clienteCon la crescente integrazione industriale della filosofia aziendale orientata al mercato, molti produttori hanno tentato di allearsi con i propri clienti e con altri attori del mercato al fine di diventare fornitori di soluzioni, cioè di combinazioni di prodotti e servizi, invece che di semplici prodotti, in grado di risolvere il problema di un cliente. In termini generali, una soluzione è una combinazione di prodotti e servizi che creano un valore superiore alla somma delle rispettive parti. Non si tratta però di una scelta facile.

2.3. Orientamento al mercato e performance d’impresaUn impresa che aumenta il proprio orientamento al mercato è destinata, nel lungo periodo, a migliorare la sua performance economica e concorrenziale.

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2.3.1. Complessità del rapporto tra l orientamento al mercato e la performance economicaIl rapporto tra l’orientamento al mercato dell’impresa (OM) e la sua performance economica (PE) non è semplice. Per misurare tale relazione, è necessario individuare altre due variabili: l’effetto moderatore del contesto macro-marketing e l’effetto mediatore dell’organizzazione interna all’impresa.

2.3.2. L’effetto moderatore del contesto macro-marketingAll’interno di ogni mercato di riferimento, le tendenze macro-ambientali (demografiche, economiche, politiche, tecnologiche e socio-culturali) incidono sul futuro sviluppo del mercato stesso. Poiché questi fattori esterni possono offrire significative opportunità produttive o porre notevoli limitazioni alle stesse, la società orientata al mercato deve sviluppare un sistema di monitoraggio che la aiuti a prevedere tali cambiamenti.

2.3.3. L’effetto mediatore del coordinamento interfunzionaleL’orientamento al mercato deve essere considerato come un attività che coinvolge chiunque e non soltanto chi opera nel marketing. Si tratta dunque di un fattore organizzativo che agevola il coinvolgimento di tutti i livelli dell’organizzazione d’impresa e che crea la cultura di orientamento al mercato.

2.4. Reinventare l’organizzazione di marketingL’analisi dei mercati attuali rivela un esplosione di segmenti di clienti, prodotti, veicoli mediatici e canali di distribuzione che hanno reso la gestione orientata al mercato molto più complessa e costosa, oltre che meno efficiente. L’insieme di tutti questi fattori ha drasticamente aumentato la complessità e i costi di programmazione e gestione di un programma di marketing. Ne consegue che, per vincere questa nuova sfida, è necessario sviluppare un nuovo modello di gestione del marketing.

2.4.1. Organizzazione tradizionale della funzione marketingIn termini organizzativi, l’attuazione del concetto di marketing tradizionale è stata raggiunta con la creazione di potenti divisioni di marketing, responsabili tanto del marketing strategico quanto di quello operativo. Questo sistema, adottato dalla maggior parte delle imprese che vendono beni di largo consumo, come pure da molte imprese industriali, ha contribuito ad instaurare il dominio delle marche dei produttori nel mercato. L’organizzazione basata sulla gestione del prodotto o della marca offre diversi vantaggi, i più rilevanti dei quali sono la concentrazione sulla marca/prodotto e la flessibilità delle risposte agli stimoli che provengono dal mercato. Tuttavia, si tratta anche di un sistema complesso, costoso e che richiede una forte convergenza sugli obiettivi, che spesso sono di corto respiro, più che a lungo termine. A ciò si aggiunga il fatto che difficilmente le piccole e medie imprese (PMI) possono permettersi un organizzazione del genere.Oggi un numero crescente di imprese ritiene che la funzione del marketing debba reinventarsi in modo da rafforzare l’orientamento complessivo al mercato dell’impresa. Il problema non è quindi il marketing in sé, ma piuttosto la funzione che esso svolge. Nel nuovo ambiente competitivo, la gestione market-driven è diventata troppo importante per essere affidata esclusivamente alla funzione marketing. Per questo motivo, oggi i responsabili di marketing devono:o possedere una notevole preparazione e molta esperienza nell’analisi dei mercati internazionalio comprendere le differenze culturalio tener conto dei giudizi espressi dai consumatori di tutto il mondo.

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2.4.3. Le caratteristiche di un organizzazione market-drivenL’adozione di un orientamento al mercato in tutti i livelli aziendali ha prodotto una serie di implicazioni per la funzione marketing.In primo luogo, il sistema di gestione della marca adottato con successo da molte imprese nel corso dell’ultimo quarantennio non sembra in grado di affrontare le sfide del presente. In secondo luogo, con la crescente applicazione del concetto di orientamento al mercato in tutte le funzioni dell’ impresa, il ruolo del marketing come funzione distinta viene messo in discussione e deve essere riconsiderato. Un’impresa market-driven deve avere una cultura orientata verso l’esterno, che metta in primo piano l’importanza della creazione del valore per il cliente e la continua ricerca di nuove fonti di vantaggi competitivi. L’impresa deve possedere particolari capacità di percezione del mercato, relazione con il mercato e riflessione strategica preventiva. Inoltre l’impresa deve possedere una configurazione che consente all’intera organizzazione di prevedere costantemente le richieste dei clienti e le condizioni di mercato, nonché di reagirvi.

2.4.4. Verso forme di organizzazione interfunzionaliSecondo McKinsey, le attuali organizzazioni di mercato si fondano su due ruoli, gli integratori e gli specialisti, collegati da team e processi invece che mediante strutture funzionali o unità aziendali. o Gli integratori (o process manager): sono i responsabili delle attività nella catena del valore

aziendale; essi identificano i segmenti del mercato nei quali competere e quali risorse bisogna sfruttare per massimizzare la redditività di lungo periodo. Gli integratori sono incaricati di abbattere i muri che separano le diverse funzioni. Di norma gli integratori sono responsabili dello sviluppo della strategia di marketing.

o Gli specialisti, forniscono le competenze tecniche richieste per attuare con successo la strategia di marketing nelle diverse discipline (come la ricerca di marketing, la business intelligence, la strategia di pricing, la pubblicità, la promozione, etc.).

Nel nuovo contesto organizzativo, il coordinamento interfunzionale assume un importanza particolare, in quanto implica il coinvolgimento di tutti i livelli dell’organizzazione aziendale. L’idea di base consiste nel considerare l’orientamento al mercato un attività che coinvolge chiunque e non solo chi opera nel marketing. I responsabili del marketing, tuttavia, devono svolgere un ruolo chiave nella diffusione della cultura di orientamento al mercato all’interno dell’organizzazione.

CAPITOLO 3L’analisi dei bisogni del cliente3.1. La nozione di bisogno generico3.1.1. La stabilità dei bisogni genericiIl bisogno è un esigenza della natura o della vita sociale. Questa definizione permette di distinguere due tipi di bisogni: o i bisogni assoluti, che sono inerenti alla natura umana;o i bisogni relativi, che sono culturali e sociali. Nell’ambito del quadro concettuale del market-driven management, è utile considerare i bisogni generici sia assoluti sia relativi - come problemi dei clienti potenziali, che cercano di risolverli acquistando prodotti o servizi diversi. Adottando questo approccio, teorizzato da Abbott, si arriva a considerare come bisogno derivato una particolare risposta tecnologica (il bene o il servizio) a un bisogno generico e, allo stesso tempo, l’oggetto del desiderio. Occorre perciò rivedere la diffusa convinzione per cui sarebbe l’attività di marketing d’impresa a creare i bisogni. In verità, il marketing non è in grado di dare vita a nuovi bisogni, può soltanto stimolare la domanda per i bisogni derivati, cioè quella domanda che si indirizza ad una specifica risposta tecnologica. La saturazione, a sua volta, non riguarda il bisogno generico, che è stabile, ma soltanto il bisogno

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derivato, cioè la risposta tecnologica dominante del momento. Sotto l’impulso del progresso tecnologico, il bisogno generico evolve semplicemente verso livelli superiori a seguito dell’introduzione nel mercato di prodotti migliorati e, quindi, della comparsa di nuovi bisogni derivati. L’evoluzione stimolerà senza sosta la produzione dei beni destinati a soddisfare bisogni generici; tenderanno perciò ad apparire sul mercato nuovi beni, più adatti a soddisfare il nuovo livello raggiunto dal bisogno. A loro volta, dunque, i bisogni derivati saranno saturati e sostituiti da nuovi bisogni derivati, che si riferiscono a beni più evoluti. Questo fenomeno di saturazione relativa provocato dal progresso tecnologico che si pone alla base del modello del ciclo di vita del prodotto è osservabile nella maggior parte dei beni, tanto a livello di miglioramento della performance tecnologica dei prodotti stessi, quanto a livello di sostituzione pura e semplice di una risposta tecnologica particolare con un altra migliore (il CD sostituisce il disco in vinile, la posta elettronica sostituisce il fax, etc.). La distinzione tra bisogno generico e bisogno derivato mette dunque in evidenza il fatto che, anche se non può esserci saturazione generale, è possibile rilevare saturazioni settoriali di natura tecnologica. Un ruolo importante del marketing strategico consisterà quindi nel favorire l’adattamento dell’impresa all’evoluzione osservata nella soddisfazione dei bisogni. In questa prospettiva, l’impresa ha dunque interesse a definire la propria mission facendo riferimento al bisogno generico piuttosto che al bisogno derivato, visto che il secondo è variabile e soggetto all’influenza costante della tecnologia, a differenza del primo.

3.1.2. L impossibilità di saturare i bisogni generici relativiA differenza dei bisogni assoluti, i bisogni relativi non sono saturabili, in quanto, più sale il livello generale, più essi andranno oltre. Questo perché i bisogni di origine socio-psicologica possono essere sentiti tanto quanto i bisogni più elementari, e forse anche di più.

3.1.3. Bisogni latenti e bisogni espressiComprendere i bisogni dei clienti non è un compito facile ed è utile, a tal fine, stabilire una distinzione tra i bisogni latenti e i bisogni espressi. o I bisogni espressi, sono quelli di cui il potenziale cliente è consapevole.o I bisogni latenti, sono quelli di cui il potenziale cliente non è consapevole. Il ruolo del

marketing strategico proattivo è quello di scoprirli e di analizzare il loro potenziale di redditività.

3.1.4. Bisogni falsi e bisogni veriLa critica mossa più di frequente nei riguardi del marketing moderno è quella di aver fatto del mercato un meccanismo di creazione anziché di soddisfazione dei bisogni. È implicita, in questo approccio, l’idea che esistano bisogni veri e bisogni falsi, e che quelli falsi siano creati dalla società e dal produttore. A detta di Lambin non è così, poiché il fatto che il tasso di insuccesso dei nuovi prodotti sia molto elevato (più del 50%) sta a dimostrare che il potere discrezionale del consumatore è in realtà molto forte.

3.2. La motivazione del cliente finale I contributi della psicologia sperimentale allo studio della motivazione umana rendono possibile descrivere le tre forze motivazionali che determinano il benessere individuale nel modo che segue:o La ricerca di comfort, che deriva da due tipologie di comportamento: una che riduce le

tensioni per mezzo della soddisfazione dei bisogni omeostatici; l’altra che lotta contro la noia con stimoli legati a novità, cambiamento, incertezza, rischio, etc.;

o La ricerca di piacere, anch’essa derivante da due fonti: il piacere derivante dalla riduzione delle tensioni e quello derivante dalla stimolazione;

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o La ricerca di stimolazione, non solo come mezzo per combattere la noia, ma anche come obiettivo in sé, senza altro fine che la tensione che genera.

È chiaro che la ricerca di comfort si propone di colmare una mancanza e di assicurare così un bene negativo, mentre il piacere e la stimolazione hanno lo scopo di assicurare un bene positivo. Se si tiene conto di tutto questo, è chiaro che la progressiva escalation del marketing, che prende la forma di prodotti rinnovati in continuazione, di differenziazioni sempre più sottili, di azioni pubblicitarie che suggeriscono stili di vita elaborati, in realtà non fa altro che rispondere all’evoluzione dei bisogni di piacere e stimolazione che si osserva nelle società moderne, dove i bisogni di base sono ampiamente soddisfatti, ma dove al contrario i bisogni di novità e di rischio diventano esigenze vitali. Si tratta di una dinamica senza fine, dal momento che non esiste saturazione possibile per questo genere di bisogno. Gli studi di Maslow e Rokeach hanno dimostrato che i valori svolgono un ruolo rilevante nella gestione del comportamento dell’individuo in tutti gli aspetti dell’esistenza. Applicando il concetto di valore ai comportamenti d’acquisto, Sheth, Newman e Gross descrivono la dimensione d’acquisto come un fenomeno multidimensionale che chiama in causa valori diversi, definiti nel modo che segue:a) Valore funzionale: l’utilità percepita di un alternativa, derivante dalla sua capacità di svolgere il proprio ruolo funzionale, utilitario o fisico;b) Valore sociale: l’utilità percepita di un alternativa derivante dalla sua associazione a uno o più gruppi sociali;c) Valore emozionale: l’utilità percepita di un alternativa derivante dalla sua capacità di suscitare sentimenti o reazioni affettive;d) Valore epistemico: l’utilità percepita di un alternativa derivante dalla sua capacità di suscitare curiosità, apportare del nuovo o soddisfare un desiderio di conoscenza. e) Valore circostanziale: l’utilità percepita di un alternativa derivante da una situazione o da un contesto specifico nel quale si viene a trovare chi deve decidere.Questi cinque valori apportano contributi diversi in una situazione di scelta, nel senso che alcuni possono possedere un importanza maggiore rispetto ad altri. Il concetto di valore offre all’analista di mercato un quadro concettuale semplice ma completo, che gli permette di analizzare la struttura dei bisogni del cliente finale individuale e di segmentare il mercato.

3.4. La motivazione del cliente industriale3.4.1. Specificità dei mercati business-to-business (B2B)Le principali differenze tra il marketing B2C e quello B2B possono essere raggruppate in tre categorie, a seconda che interessino la domanda, il profilo del cliente industriale o infine le caratteristiche dei prodotti o servizi industriali. La domanda industriale, o organizzativa, è una domanda derivata, espressa cioè da un organizzazione che utilizza i prodotti acquistati all’interno del suo sistema di produzione per poter rispondere alla domanda sia di altre organizzazioni sia del consumatore finale. Ne consegue che la domanda industriale di inserisce in una filiera industriale che dipende da una domanda che sta a valle e che a sua volta deriva dalla richiesta di beni di consumo. L’impresa industriale, a sua volta, si trova di fronte a clienti multipli: i suoi clienti diretti e i clienti dei suoi clienti diretti che fanno parte della filiera industriale. Il cliente industriale è un cliente tecnicamente competente, per cui l atto di acquisto implica un livello di standardizzazione non rintracciabile nel processo di acquisto del consumatore finale. Il prodotto ricercato viene in genere indicato con precisione dal cliente industriale, che sa bene ciò che vuole e vuole solo quello.

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3.4.2. Il cliente industriale (B2B) come centro decisionale d’acquistoIn un impresa industriale, le più importanti decisioni di acquisto sono prese dal centro decisionale di acquisto, composto in genere da cinque ruoli, ciascuno dei quali può essere ricoperto da una o più persone:o L’acquirente, ovvero colui che all’interno dell’organizzazione ha il compito di definire le

condizioni di acquisto, selezionare i fornitori e le marche, negoziare i contratti. Di solito questo ruolo è svolto dalla direzione acquisti.

o L’utente, cioè colui che utilizza il prodotto (ad es.: gli operai). Di norma è colui che si trova nella posizione migliore per valutare le prestazioni dei prodotti e servizi acquistati.

o Il prescrittore, vale a dire colui (coloro) che non ha necessariamente il potere di acquistare, ma è in grado di influenzare la decisione finale, definendo i criteri che restringono le scelte possibili. A questa categoria appartengono i progettisti, il personale della R&S, i consulenti.

o Il decisore, cioè la persona che è responsabile della scelta finale delle marche e dei venditori.o I filtri, vale a dire i membri che controllano il flusso di informazioni all’interno del gruppo

stesso e che possono influenzare direttamente il processo di acquisto.

3.4.3. Bisogni generici del cliente industrialeIl bisogno generico del cliente industriale deve essere definito in riferimento ad almeno cinque dimensioni:o Dimensione tecnologica: specifiche del prodotto, tecnologia d’avanguardia, qualità costante

del prodotto, consegna just-in-time, etc. o Dimensione finanziaria: competitività del prezzo; costo del trasporto, dell’ installazione e della

manutenzione; condizioni e termini di pagamento; puntualità nelle consegne, etc.o Dimensione di assistenza: servizio post-vendita di assistenza per l’installazione e la messa in

opera, assistenza tecnica e di servizio, etc. o Dimensione d’informazione: comunicazione, qualificazione del personale di vendita, accesso

prioritario all‘innovazione, formazione, business intelligence, etc. o Dimensione strategica: rapporti reciproci, compatibilità delle modalità di organizzazione,

reputazione della marca o dell’ impresa, etc. Da quanto si è visto fin qui è facile constatare come la struttura delle motivazioni del cliente industriale sia al tempo stesso più complessa e più semplice di quella del consumatore finale: o più complessa perché: chiama in causa un organizzazione; o più semplice perché le motivazioni principali sono più oggettive e dunque più facili da

identificare.Malgrado le differenze esistenti tra i due campi, tuttavia, l’approccio di marketing resta il medesimo, cioè quello di adattare l’offerta alla multidimensionalità del bisogno espresso dal cliente.

CAPITOLO 4Il comportamento d acquisto del cliente4.1. I diversi ruoli del clienteOgni transazione commerciale richiede che il cliente realizzi tre tipi di azione: a) l’acquisto, cioè la scelta di un prodotto o servizio;b) il pagamento del prodotto o servizio acquistato;c) il suo utilizzo o consumo. Ne consegue che il cliente può esercitare tre ruoli: acquirente, pagante e utente consumatore. Tutti questi ruoli possono essere esercitati da una stessa persona (ad es. una casalinga) o da una

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stessa unità organizzativa (ad es. l ufficio acquisti di un impresa), oppure, al contrario, da diverse persone e istituzioni.Ognuno di questi tre ruoli attribuisce a una persona la qualifica di cliente. Ne consegue che è importante conoscere, a seconda delle situazioni di mercato, il modo in cui i clienti si spartiscono tra loro questi ruoli, al fine di adattare gli sforzi di marketing in base al ruolo ricoperto. È possibile identificare quattro suddivisioni di ruoli:o L’utente è anche acquirente e pagante: la maggior parte dei prodotti che acquistiamo per uso

personale appartiene a questa categoria, per cui, in tale caso, un unica persona ricopre i tre ruoli. Nel marketing industriale si può riscontrare la medesima concentrazione di ruoli nelle piccole imprese.

o L’utente non è acquirente né pagante: nel mercato dei beni di consumo, questa è la situazione tipica dei prodotti acquistati dalle casalinghe per uso domestico o per i bambini; nei mercati B2B, il servizio acquisti di un impresa compra e paga molti prodotti (mobili per ufficio, cancelleria, etc.) che vengono utilizzati dal personale dell’ impresa, che tuttavia non è coinvolto nella decisione d acquisto.

o L’utente è anche acquirente, ma non pagante: tutte le decisioni relative ad acquisti effettuati su conti spese rientrano in questa categoria, in quanto l utente è l acquirente, ma non è colui che paga il prodotto o servizio;

o L’utente è il pagante, ma non l’acquirente: nei mercati B2B, ad es., capita spesso che si ricorra ad un intermediario esterno che paga, ma acquista un attrezzatura o delle materie prime per conto terzi.

È del tutto evidente che, quando un solo consumatore ricopre tutti e tre i ruoli testé citati, l impresa adotterà una strategia diversa rispetto ai casi in cui a essere utenti sono persone diverse, paganti a acquirenti.

4.2. Il processo d acquisto nei mercati B2CIl comportamento d acquisto è l insieme delle attività che precedono, accompagnano e seguono le decisioni d acquisto, e durante le quali l individuo interviene attivamente al fine di compiere scelte con cognizione di causa e non in modo casuale

4.2.1. Fasi del processo di acquistoIl processo di acquisto si articola in cinque fasi:a) individuazione del problema;b) ricerca di informazionic) valutazione delle possibili soluzioni alternatived) decisione di acquisto;e) comportamento dopo l acquisto.Si possono distinguere tre tipi di comportamenti risolutori dei problemi posti dal processo di acquisto: comportamento risolutorio estensivo, comportamento risolutorio limitato e comportamento risolutorio di routine. Il comportamento risolutorio estensivo sarà adottato là dove il valore delle informazioni e/o il rischio percepito siano elevati. Si tratterà, ad es., di situazioni in cui il cliente-acquirente sia posto di fronte a nuove marche, magari in una classe di prodotti per lui ignota. La scelta sarà dunque difficile e potrà richiedere una ricerca approfondita. Il comportamento risolutorio limitato si osserverà invece quando l acquirente si trovi di fronte ad una marca nuova e sconosciuta all’interno di una classe di prodotti nota. In questo caso i criteri di scelta sono già definiti, ma l acquisto richiederà comunque una preliminare ricerca di informazioni e alcune valutazioni. Il comportamento risolutorio di routine, invece, si osserverà quando il cliente

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avrà accumulato esperienze e informazioni adeguate su una o più marche in una categoria di prodotti nota. In tal caso il processo di scelta sarà ripetitivo e quasi senza ricerca di informazioni.

4.2.2. L importanza del rischio percepitoLa complessità della condotta risolutoria dipenderà anche dall’importanza del rischio percepito associato all’acquisto, vale a dire all’incertezza sulla portata delle conseguenze derivanti dalla scelta da compiere. Sei sono i tipi di rischi di fronte ai quali si trova in genere l’acquirente:a) un rischio funzionale, quando le caratteristiche del prodotto non corrispondono alle attese;b) un rischio finanziario, in caso di oneri da sostenere se il prodotto acquistato è difettoso;c) un rischio di perdita di tempo imputabile all’esigenza di ripianare una situazione;d) un rischio fisico, causato da prodotti il cui consumo o utilizzo possa nuocere alla salute o all’ ambiente;e) un rischio sociale, se il prodotto acquistato trasmette un immaginesociale non conforme alla personalità del cliente;f) un rischio psicologico, causato da varie forme di insoddisfazione legate ad un cattivo acquisto.Per ridurre questo tipo di rischi, in genere il cliente ricorre a fonti di informazione diverse.

4.3. Il processo d’acquisto nei mercati B2BCome per la decisione d’acquisto del consumatore individuale, il processo d’acquisto del cliente industriale può suddividersi in diverse fasi:1) Identificazione dei bisogni;2) Determinazione delle specifiche e programmazione dell’acquisto;3) Identificazione delle alternative d’acquisto;4) Valutazione delle attività alternative d’acquisto;5) Scelta dei fornitori;6) Controllo e valutazione della performance.

4.3.1. La filiera industrialeConcetto centrale dei mercati B2B è quello di filiera industriale, che rende obsoleta la classica ripartizione dei settori economici in primario, secondario e terziario, e che comprende tutte le fasi del processo produttivo che porta delle materie prime a soddisfare il bisogno dell’utente finale. La struttura tipo della domanda industriale è la seguente:a) Prima trasformazione; La domanda riguarda materie prime che vengono trasformate in prodotti semilavorati;b) Trasformazione finale: La domanda riguarda prodotti grezzi che saranno trasformati in prodotti più complessi;c) Primo assemblaggio: La domanda riguarda prodotti finiti che vengono utilizzati per fabbricare prodotti più complessi, i quali, a loro volta, rappresentano componenti di altri prodotti;d) Assemblaggio finale: La domanda riguarda prodotti finiti che vengono assemblati in prodotti destinati alla domanda finale;e) Assemblatori: La domanda riguarda una grande varietà di prodotti che vengono assemblati per creare sistemi o grandi complessi.A questa successione di domande devono essere aggiunte le domande collaterali, che riguardano i beni d investimento, i materiali di consumo e i servizi. L’impresa industriale posizionata all’inizio di una filiera è messa dunque a confronto con una serie di domande interdipendenti, che in definitiva determinano la sua domanda. L’impresa deve confrontarsi con due categorie di clienti: i suoi clienti diretti ed i suoi clienti indiretti cioè i clienti dei suoi clienti diretti. Per sviluppare un

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marketing di tipo attivo, è quindi necessario considerare i bisogni specifici dei clienti diretti, di quelli intermedi e di quelli che esprimono la domanda finale.

4.4. Il prodotto come paniere di attributiDal punto di vista del cliente, il prodotto può essere definito come un paniere di attributi , che fornisce al cliente stesso il valore funzionale specifico di quella classe di prodotti. Nel paniere è compreso anche un insieme di valori e caratteristiche secondarie cioè benefici o servizi, che possono a loro volta essere necessari o aggiunti. Sono proprio i benefici o i servizi a differenziare le marche e a influenzare in maniera determinante le preferenze del cliente.

4.4.1. Il servizio o beneficio di base Il servizio di base offerto da un prodotto o da una marca corrisponde al valore funzionale della categoria di prodotto; costituisce il vantaggio di base, o generico, fornito da ciascuna delle marche che fanno parte della categoria di prodotto. Tutte le marche appartenenti allo stesso mercato di riferimento offrono al cliente il medesimo servizio di base, con modalità che tendono ad uniformarsi, in quanto le performance tecnologiche si equilibrano per effetto della concorrenza e della diffusione del progresso tecnologico. Di conseguenza, per un numero elevato di mercati, il servizio di base è spesso in sé un criterio di scelta poco determinante. Più discriminante, invece, sarà il modo in cui il servizio di base viene offerto.

4.4.2. I servizi supplementariI servizi supplementari si distinguono in servizi necessari e servizi aggiunti. Per servizi supplementari necessari si intendono le modalità di produzione del servizio di base e tutto ciò che accompagna di norma il servizio di base (confezione, consegna, termini di pagamento, servizio post-vendita). I servizi supplementari aggiunti sono utilità non legate al servizio di base, offerti in più dalla marca e che, di conseguenza, rappresentano un importante fattore di distinzione. Questi servizi supplementari, necessari o aggiunti, danno vita agli attributi che generano soddisfazione per il cliente. Possono essere molto diversi a seconda delle marche e possono quindi essere utilizzati come criteri di scelta. È evidente, inoltre, come clienti diversi possano attribuire differenti gradi di importanza alla presenza (o meno) di alcuni attributi. È quindi possibile definire una marca come un paniere di attributi che genera il servizio di base e alcuni servizi supplementari, necessari o aggiunti, la cui importanza e utilità possono essere percepite in modo diverso dai potenziali clienti. Ogni marca possiede di solito almeno una caratteristica unica (ma di solito più di una). La percezione globale di una marca da parte del cliente costituisce quella che viene comunemente definita l’immagine di marca.

4.5. Il Customer Relationship Management (CRM)4.5.1. Definizione di Customer Relationship ManagementIl concetto di CRM, cioè di management incentrato sulla gestione dei rapporti con i clienti, è relativamente recente ed è stato favorito dallo sviluppo delle ICT. Queste tecnologie consentono infatti di gestire relazioni individuali con un numero potenzialmente enorme di clienti, in un contesto di mercato globale. L’obiettivo è quello di aumentare l’acquisizione e il mantenimento di clienti redditizi.

4.6. Il comportamento del cliente dopo l’acquistoL’obiettivo del CRM è quello di costruire rapporti redditizi, durevoli e reciproci, con buoni clienti. Per farlo, è necessario:a) monitorare il grado di soddisfazione del cliente;

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b) gestire correttamente i reclami dei clienti insoddisfatti;c) trovare soluzioni appropriate ai loro problemi;d) ricompensare i clienti fedeli.La risposta del cliente include tutte le attività fisiche o mentali causate da uno stimolo di marketing. I diversi livelli di risposta del cliente possono essere raggruppati in tre categorie: risposta cognitiva, che riguarda le informazioni e le conoscenze acquisite; risposta affettiva, che ha a che fare con le attitudini e le valutazioni; risposta comportamentale, che descrive le azioni intraprese, non solo al momento dell’acquisto ma anche dopo l’atto di acquisto. L’analisi del comportamento dopo il consumo si basa sulle misure di soddisfazione/insoddisfazione del cliente. Un buon indicatore della soddisfazione del cliente è rappresentato dal suo tasso di fedeltà.

CAPITOLO 5La misurazione della risposta del cliente5.1. Struttura del sistema informativo di marketing (MIS)Un impresa orientata al mercato deve attivare un sistema di informazioni di marketing che le consenta di seguire l’evoluzione del proprio ambiente macromarketing. Il ruolo del sistema informativo di marketing consiste nell’analizzare rigorosamente le necessità informative esistenti, strutturare un sistema informativo che le soddisfi, centralizzare le informazioni disponibili e predisporne la diffusione all’interno dell’organizzazione. I flussi di informazione provenienti da tale contesto vengono captati e analizzati da tre sottosistemi: o il sistema di contabilità internao il sistema di business intelligenceo il sistema di ricerca di marketing. Un quarto sottosistema è rappresentato dal sistema analitico di mercato, che si occupa dell’elaborazione dei dati e del trasferimento delle informazioni al management come supporto per la comprensione, la decisione e il controllo. Il sistema di contabilità interna è presente in ogni azienda, anche se spesso non è sufficientemente approfondito. Il sistema di business intelligence, dal canto suo, ha il compito di raccogliereinformazioni sull’evoluzione del contesto, per consentire al management di tenere costantemente sotto controllo forze e debolezze della posizione competitiva dell’impresa nel mercato di riferimento. Il ruolo della ricerca di marketing consiste nel fornire dati e informazioni relativi al mercato, utili al management per realizzare l’orientamento al mercato, nonché per prendere le decisioni strategiche ed operative. Si possono identificare tre obiettivi della ricerca di mercato: supporto alla comprensione, supporto alla decisione e supporto al controllo. o supporto alla comprensione cioè descrivere, analizzare, misurare e prevedere i fattori di

mercato e la domanda. o supporto alla decisione cioè individuare le strategie e gli strumenti di marketing più

appropriati a determinare il livello ottimale d intervento. o supporto al controllo in cui si propone di valutare la performance e i risultati dei programmi di

marketing.

5.2. Ricerca di marketing e metodo scientificoLa ricerca di marketing deve fornire dati la cui validità sia certificata. Questa è la ragione per cui tale ricerca deve adottare un metodo scientifico. Come ogni altro genere di ricerca scientifica, anche la ricerca di marketing si compone di una sequenza di attività tra loro correlate:1) definizione del problema;

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2) disegno della ricerca;3) raccolta di informazioni;4) elaborazione e analisi dei dati;5) presentazione del rapporto di ricerca.Le principali tipologie di ricerca di mercato, dal canto loro, sono tre:a) la ricerca esplorativa, che è volta a chiarire la natura di un problema o a comprendere più a fondo una situazione di mercato. Essa si basa sullo studio dei dati secondari, le indagini presso informatori chiave, l’analisi dei casi selezionati e le ricerche qualitative con l’ausilio dei focus group. In verità, la ricerca esplorativa non può sostituire quella quantitativa e conclusiva. Malgrado ciò, molti manager tendono ad accettare risultati esplorativi ricavati sulla base di campioni ridotti e ritenerli sufficienti per i propri obiettivi di ricerca.b) la ricerca descrittiva, che si propone di descrivere al meglio una data situazione. Può essere utile precisare che la maggior parte delle ricerche di mercato rientra in questa categoria e ha l ambizione di fotografare una situazione di mercato in un dato momento. La forma di ricerca descrittiva più diffusa è il sondaggio (nella forma di interviste personali, interviste telefoniche, questionari postali e sondaggi online). Nel campo dei sondaggi, una buona strutturazione dei questionari è la chiave che consente di ottenere risultati soddisfacenti. Molto importante è anche la selezione dei soggetti da intervistare, tramite campioni statistici o non statistici. Ognuno di questi due metodi presenta vantaggi e svantaggi, con la possibilità sia di errori di campionamento statistico sia di errori non statistici. Per minimizzare il rischio di errori non statistici, l analista di mercato deve esercitare un controllo molto severo sul processo di raccolta dei dati. Ancora più importante, infine, è l analisi dei dati, che forse è la fase più difficile.c) la ricerca causale, che è la forma più ambiziosa di ricerca di mercato e si propone di trovare relazioni di tipo causa/effetto fra una variabile di azione e una variabile di risposta. La sperimentazione è un metodo di ricerca scientifica nel quale l analista gestisce e controlla una o più variabili di azione e osserva l evoluzione della variabile di risposta in concomitanza alla manipolazione della variabile di azione. Esistono diversi tipi di piani sperimentali, che si differenziano per il grado di controllo esercitato dall’analista sui fattori esterni.

CAPITOLO 6L’analisi dei mercati attraverso la segmentazioneUna delle prime decisioni strategiche che l’impresa deve prendere riguarda l’identificazione del mercato di riferimento è la scelta dei segmenti dei clienti target. Questa scelta comporta innanzitutto la scomposizione del mercato totale in sottoinsiemi di clienti omogenei in termini di bisogni, comportamenti e motivazioni di acquisto, nonché in grado di costituire mercati potenziali a sé stanti. L’impresa può scegliere di rivolgersi al mercato nel suo complesso o di concentrarsi su uno o più segmenti del mercato di riferimento. Il tipico risultato dell’analisi di segmentazione è una griglia che descrive il profilo qualitativo e quantitativo dei segmenti principali (di norma quattro o cinque).

6.1. Fasi del processo di segmentazione strategicaL’applicazione del processo di segmentazione strategica si compone di quattro fasi fondamentali:o LA PRIMA FASE è costituita dall’analisi di segmentazione, ossia dalla suddivisione dei prodotti-

mercati in gruppi di potenziali acquirenti aventi le stesse aspettative o richieste (condizione di omogeneità), che devono essere diverse da quelle dei consumatori di altri segmenti (condizione di eterogeneità). Essa viene a sua volta suddivisa in due momenti, che corrispondono a diversi livelli della disgregazione del mercato totale. I due momenti sono:o macrosegmentazione, che mira all’identificazione dei prodotti-mercati;

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o microsegmentazione, che porta a distinguere i segmenti dei clienti all’interno di ciascun prodotto mercato preso in esame.

o LA SECONDA FASE riguarda l’individuazione del mercato target oppure la selezione di uno o più segmenti ai quali rivolgersi, a seconda dell’ambizione strategica dell’impresa e delle sue capacità distintive. Si tratta di una decisione basata sui risultati dell’analisi di attrattività (Capitolo 7) e competitività (Capitolo 8).

o LA TERZA FASE consiste nel posizionamento sul mercato, in cui si decide come l’azienda intenda essere percepita dal potenziale cliente, in base alle qualità distintive del prodotto e alle posizioni già occupate dai concorrenti (Capitolo 9).

o LA QUARTA FASE, infine, prevede la programmazione del marketing mirato ai segmenti target. Quest’ultima fase implica lo sviluppo e la messa in opera di specifici programmi di marketing elaborati appositamente per conquistare il posizionamento desiderato nei segmenti (o nel segmento) target.

6.2. L’analisi di macro-segmentazioneNella maggior parte dei mercati è praticamente impossibile soddisfare tutti i clienti con un unico prodotto o servizio, in quanto clienti diversi hanno interessi e desideri diversi. Le imprese sono perciò sempre più indotte ad abbandonare le strategie di marketing di massa per evolvere verso strategie di marketing mirate a uno o più gruppi di clienti. Quando si identificano i consumatori target, di fatto si realizza la segmentazione del mercato, ossia la disaggregazione in sistemi omogenei dal punto di vista delle aspettative e dei comportamenti di acquisto. Saper come segmentare un mercato è uno dei più importanti requisiti, per un impresa. La segmentazione, infatti, definisce il campo di attività dell’impresa e guida lo sviluppo della sua strategia.

6.2.1. Definizione del mercato di riferimento in termini di soluzioneLa realizzazione di una strategia di segmentazione del mercato presuppone innanzitutto la definizione della missione dell’impresa, sulla base di tre domande fondamentali. Qual è o quali sono i nostri settori? In quale settore dovremmo operare? e in quale settore non dovremmo operare? La risposta a queste domande va cercata in una prospettiva orientata ai bisogni del cliente, da un punto di vista generico, cioè in termini di soluzione cercata dal cliente. La definizione del business costituisce il punto di partenza per lo sviluppo della strategia, in quanto aiuta ad identificare i clienti da servire, i concorrenti da superare, i fattori di successo da controllare, le tecnologie a disposizione per la produzione del servizio.

6.2.2. La concettualizzazione del mercato di riferimentoL’obiettivo consiste perciò nel definire il mercato di riferimento dal punto di vista del cliente e non da quello del produttore, come spesso accade. Un mercato di riferimento si può definire in base a tre dimensioni: o i clienti cioè chi occorre soddisfare;o le tecnologie utilizzate per soddisfare i bisogni;o il modo in cui i bisogni vengono soddisfatti.

6.2.3. La definizione dei confini del mercatoIn riferimento al quadro concettuale precedentemente descritto, possiamo distinguere tre strutture: il prodotto-mercato , il mercato-soluzione e l’industria.o Nel prodotto-mercato, un gruppo specifico di clienti che cerca una determinata funzione o un

assortimento di funzioni basate su una singola tecnologia definisce un prodotto-mercato.

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o Nel mercato-soluzione, invece, si è di fronte ad un mercato definito dall’esecuzione di determinate funzioni in un gruppo di clienti determinati, comprese tutte le tecnologie sostitutive che possono eseguire la medesima funzione.

o Nell’industria, infine, si ha un industria (o settore) che viene definita da una particolare tecnologia ma include diversi business, cioè molte funzioni o assortimenti di funzioni e numerosi gruppi di clienti.

Abbiamo dunque tre diverse definizioni di confini che corrispondono a diverse strategie di copertura del mercato, ciascuna con i suoi pregi e difetti. La nozione di industria (o settore) è la più classica ma anche la meno soddisfacente, perché poggia su caratteristiche dell’offerta (è orientata al produttore) e quindi non favorisce l’adozione di un orientamento al mercato. La nozione di mercato-soluzione si avvicina molto al concetto di bisogno generico e presenta il vantaggio di enfatizzare l’esistenza di prodotti o tecnologie sostitutive per realizzare la stessa funzione. Il suo inconveniente principale riguarda la grande eterogeneità degli ambiti tecnologici considerati. La nozione di prodotto-mercato aderisce da vicino alla realtà del mercato. Si tratta di una definizione che suggerisce automaticamente quattro elementi fondamentali per la formulazione della strategia d impresa: o i clienti, da servire; o il pacchetto di benefici, da fornire; o i concorrenti diretti, da superare; o le tecnologie sostitutive e i concorrenti, da tenere sotto controllo; o i principali attori del mercato, con cui rapportarsi.

6.3. La costruzione di una griglia di macro-segmentazioneUna volta identificate le variabili di segmentazione rilevanti, il compito successivo consiste nell’individuare le combinazioni pertinenti e costruire una griglia di segmentazione. Per arrivare alla definizione di una griglia di segmentazione operativa è necessario isolare le variabili che rivestono un importanza strategica. Alcune variabili di segmentazione sono di immediata percezione, ma l’individuazione di segmentazioni innovative del mercato può fornire all’impresa un vantaggio competitivo nei riguardi dei concorrenti.

6.4. L’analisi di micro-segmentazione nei mercati di consumoObiettivo della micro-segmentazione è l’analisi della diversità delle richieste dei vari gruppi di clienti all’interno dei prodotti-mercati (o macro-segmenti) identificati tramite l’analisi di macro-segmentazione. Tenendo presente il concetto di prodotto come paniere di attributi, possono esserci delle differenze nelle modalità di erogazione del servizio di base o nei servizi supplementari che accompagnano il servizio di base. La micro-segmentazione si propone quindi di individuare gruppi di clienti che cercano nel prodotto lo stesso paniere di attributi. Si può così arrivare a una strategia di differenziazione che, tramite il miglioramento del servizio o la soddisfazione delle richieste del cliente, fornisca un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti.

6.4.1. La segmentazione socio-demografica o descrittivaQuesto metodo di segmentazione dei clienti si basa sul presupposto che sono le diversità dei profili socio-demografici a determinare le differenze nei bisogni e nelle aspettative nei riguardi di prodotti e servizi. Le variabili utilizzate sono il sesso, l’età, il reddito, la provenienza geografica, le dimensioni del nucleo familiare, il livello di istruzione, il tipo di occupazione, le dimensioni della famiglia e la classe sociale. Sono tutte variabili che riflettono dati statistici facilmente rilevabili e misurabili nelle economie industrializzate. I vantaggi di questo metodo di segmentazione sono il costo ridotto e la facilità di applicazione, nonché la disponibilità di molte informazioni con il

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semplice ricorso alla consultazione delle fonti ufficiali. Le principali applicazioni della segmentazione socio-demografica nell’ambito degli studi di mercato sono: o una migliore definizione e comprensione del profilo dei clienti attuali; o la definizione del profilo di un segmento target; o identificazione dei clienti potenziali di un nuovo prodotto. La segmentazione socio-demografica rappresenta un analisi a posteriori del tipo di persone che compongono uno specifico segmento. Essa pone l’accento sulla descrizione delle caratteristiche del segmento, piuttosto che sull’analisi dei fattori che spiegano la formazione del segmento stesso. Ecco perché si parla anche di segmentazione descrittiva. La segmentazione socio-demografica deve quindi essere completata con altri metodi di analisi, per poter spiegare e prevedere i comportamenti d’acquisto dei consumatori.

6.4.2. La segmentazione in base ai vantaggi perseguitiIn questo tipo di segmentazione non ci si concentra più sulle differenze socio demografiche dei clienti, bensì sulle differenze all’interno del loro sistema di valori, nell’intento di spiegare le differenze nelle preferenze. La realizzazione di una segmentazione in base ai vantaggi perseguiti richiede la conoscenza del sistema di valori dei clienti. Il modello comportamentale su cui poggia la segmentazione basata sui vantaggiperseguiti è il modello del prodotto visto come paniere di attributi. L’applicazione della segmentazione in base ai vantaggi perseguiti presuppone la raccolta di una serie di informazioni cioè: o la lista degli attributi o dei vantaggi associati alla categoria dei prodotti presi in esame; o una valutazione dell’importanza relativa assegnata a ciascun attributo; o un raggruppamento dei clienti che esprimano valutazioni simili; o una valutazione delle dimensioni e del profitto di ciascun segmento identificato. L’analisi della segmentazione in base ai vantaggi perseguiti presenta importanti implicazioni per la definizione della politica di prodotto. Una volta che il marketing ha compreso le aspettative di un determinato gruppo di consumatori, l’impresa può sviluppare prodotti nuovi o modificati indirizzati a un gruppo di clienti potenziali che ricerca una determinata combinazione di vantaggi. La maggiore difficoltà di un metodo di questo tipo riguarda l’identificazione degli attributi da privilegiare, specialmente nel mercato dei beni di consumo. Un analisi di segmentazione in base ai vantaggi perseguiti implica la raccolta di dati primari, che è un operazione costosa. Inoltre è necessario ricorrere a sofisticati metodi di analisi statistica per individuare i vari sottogruppi di clienti.

6.4.3. La segmentazione comportamentaleLa segmentazione in base all’uso si propone di classificare i consumatori rispetto al loro comportamento d’acquisto al momento della transazione. I criteri più usati per questo tipo di segmentazione sono:o l’utilizzo del prodotto; o il volume di acquisto;o il tipo di fedeltà.Occorre ricordare che la segmentazione comportamentale, come quella sociodemografica, è un metodo di segmentazione a posteriori, basato sul sistema informativo interno dell’azienda e su banche dati dei clienti. Questo sistema di segmentazione è alla base del Customer Relationship Management (CRM). Una forma particolare di segmentazione comportamentale è la

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segmentazione tribale, vale a dire quella che porta gli individui stessi a raggrupparsi in base a caratteristiche comuni (ad esempio un prodotto, una marca, un hobby, etc.).6.4.4. La segmentazione socio-culturale o per stili di vitaSi tratta di un tipo di segmentazione che viene in sostegno di quella demografica, alla quale aggiunge elementi come attività, attitudini, interessi, opinioni, percezioni e preferenze, allo scopo di ottenere un profilo più completo del consumatore. Lo stile di vita è quindi il risultato globale del sistema di valori di un individuo, dei suoi atteggiamenti, dei suoi interessi e delle sue opinioni, oltre che del suo tipo di consumo. Esso descrive il modo di essere di un individuo e lo distingue dagli altri. Le ricerche sugli stili di vita forniscono una descrizione ampia e generica dei consumatori, un ritratto dal vivo che va oltre le semplici descrizioni sociodemografiche e aiuta a comprendere il loro reale comportamento d’acquisto. In questo campo, è possibile effettuare due tipi di analisi: o analisi generale dello stile di vita in cui si identificano le tendenze presenti le minacce e le

opportunità delle tendenze future;o analisi specifiche di una categoria di prodotto in cui è possibile determinare se un dato

sottogruppo è in anticipo o in ritardo rispetto ad una corrente socio-culturale.

6.5. La micro-segmentazione nei mercati dei beni industrialiConcettualmente non esistono differenze di rilievo tra la segmentazione dei mercati B2B e quella dei mercati dei beni di consumo, anche se i criteri utilizzati sono molto diversi. Le differenze maggiori emergono a livello di microsegmentazione. Come per i beni di consumo, la segmentazione in base ai vantaggi perseguiti è il metodo più naturale. Essa poggia direttamente sui bisogni specifici del cliente industriale, che nella maggior parte dei casi sono definiti con grande chiarezza. Le funzioni esercitate da un prodotto industriale e la loro importanza nel processo produttivo del cliente industriale variano a seconda che si tratti di:o beni strumentali principali o secondari;o prodotti intermedi semilavorati o componenti;o prodotti di consumo;o materie prime grezze;o servizi. La segmentazione comportamentale, dal canto suo, è assai importante nei mercati industriali. Il suo obiettivo consiste nell’adattare le strategie di approccio ai clienti industriali in funzione delle strutture e delle caratteristiche di funzionamento del centro decisionale. La segmentazione per vantaggi perseguiti è più facile da realizzare, rispetto a quella per mercati dei beni di consumo, perché gli utenti sono dei professionisti che hanno meno difficoltà ad esprimere i bisogni e a qualificare l’importanza relativa degli attributi di un prodotto.

6.6. I requisiti per una segmentazione efficace Per essere efficace e utile, la segmentazione deve identificare gruppi di clienti che rispettino cinque condizioni: risposta differenziata, dimensione sufficiente, misurabilità, accessibilità e attivabilità. o La risposta differenziata è la condizione più importante quando si deve scegliere una strategia

di segmentazione. I segmenti identificati devono essere diversi dal punto di vista della loro sensibilità a una o più variabili di marketing controllate dall’impresa. Occorre quindi che il sistema di differenziazione applicato massimizzi le differenze tra i segmenti (condizione di eterogeneità) e minimizzi quelle tra clienti nell’ambito di uno stesso segmento (condizione di omogeneità). Per quanto concerne . . .

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o La dimensione sufficiente, è chiaro che i segmenti identificati devono rappresentare un mercato di dimensioni tali da giustificare l’elaborazione di una specifica strategia di marketing. Questa condizione non riguarda soltanto la dimensione del segmento in termini di volume o frequenza degli acquisti, ma anche la sua durata nel tempo. Infine, il requisito legato alla dimensione implica anche che il valore aggiunto del prodotto, a causa della sua specificità, sia conveniente dal punto di vista economico. Relativamente alla . . .

o Misurabilità, prima di scegliere un segmento target occorre stabilire le sue dimensioni e valutare il potere d’acquisto dei segmenti identificati. Per quanto attiene infine all’ . . .

o Accessibilità, essa indica la misura in cui un segmento di mercato è raggiungibile utilizzando un unico programma di marketing.

Esistono due modi per arrivare ai potenziali clienti: uno consiste nell’ . . . o auto-selezione dei clienti, per cui i consumatori si selezionano da soli in base all’attenzione che

riservano alla pubblicità del prodotto; l’altro, invece, consiste nella . . . o copertura controllata dei segmenti, si tratta di un modo molto efficace per arrivare ai clienti,

poiché l azienda raggiunge quasi esclusivamente i clienti target, evitando di sprecare risorse.

6.7. L’emergere di segmenti transnazionali di mercatoNegli ultimi tempi, l’interdipendenza dei mercati ha dato luogo ad una convergenza culturale, creando segmenti transnazionali di mercato. Nascono dunque, in Paesi diversi, gruppi di consumatori dal profilo simile, cui rivolgersi utilizzando le stesse campagne pubblicitarie e le stesse marche. Con la globalizzazione dell’economia mondiale, stanno aumentando le opportunità di creare domanda per prodotti universali: la segmentazione internazionale rappresenta un approccio globale alla vendita di prodotti fisicamente simili in tutto il mondo.

CAPITOLO 7L’analisi di attrattività del mercato7.1. I fondamenti dell’analisi della domandaPer iniziare, occorre distinguere fra due livelli di domanda: la domanda primaria (o domanda globale di mercato) e la domanda relativa all’impresa (o domanda selettiva). o La domanda primaria di un determinato prodotto rappresenta il volume delle vendite

realizzate presso un dato gruppo di clienti, in un luogo e in un periodo specifici, e in un determinato contesto economico e di macro-marketing.

o La domanda relativa all’impresa, rappresenta la quota della domanda primaria detenuta dalla marca o dall’impresa in una determinata categoria di prodotto e in un determinato segmento o prodotto-mercato.

7.1.1. La domanda primaria espandibile e non espandibileSi possono osservare due situazioni di mercato ben distinte: i mercati in cui la domanda primaria è espandibile e quelli in cui non lo è. o ESPANDIBILE: La domanda primaria viene detta espandibile quando il livello delle vendite è

influenzato da fattori del contesto macro-marketing, nonché dalla dimensione e intensità degli sforzi di marketing.

o NON ESPANDIBILE: Per contro, la domanda primaria viene detta non espandibile quando il livello totale delle vendite non è più influenzato dal contesto macro-marketing in cui è inserito e dagli sforzi di marketing delle aziende concorrenti, in quanto i mercati sono stagnanti.

7.1.2. La domanda primaria come funzione di risposta

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La domanda primaria non è rappresentata da una quantità fissa ma da una funzione, che mette in relazione il livello delle vendite alle cause che lo determinano. A determinare il livello di vendite vi sono due categorie di fattori: i fattori non controllabili), legati al contesto macro-marketing, e i fattori controllabili, rappresentati dagli sforzi totali di marketing realizzati dalle imprese concorrenti nel mercato. Il livello della domanda primaria è influenzato non solo dalla pressione di marketing totale delle imprese operanti in un determinato segmento, ma anche da fattori relativi al contesto socio-economico.

7.1.3. Il mercato potenziale attuale e assolutoSi può distinguere il mercato potenziale attuale, illustrato in precedenza, dal mercato potenziale assoluto. Il mercato potenziale attuale è rappresentato graficamente dal limite verso il quale tende la domanda primaria per una pressione di marketing totale del settore tendente all’infinito, in un dato contesto e in un determinato periodo di tempo. Il mercato potenziale assoluto, può essere definito come il limite massimo della dimensione del mercato, nell’ipotesi fittizia di una copertura ottimale del mercato di riferimento. Il mercato potenziale assoluto corrisponde dunque al livello di vendite totali (in termini di volume o di valore) osservabili in concomitanza con i tre prerequisiti elencati di seguito:o Tutti gli utilizzatori potenziali di un prodotto sono anche utilizzatori effettivi;o Ciascun utilizzatore impiega il prodotto in ogni occasione d uso;o Ciascun utilizzo del prodotto avviene nella misura ottimale.Il concetto risulta utile per determinare l’entità di un opportunità economica e per stimare la possibilità di crescita in un determinato mercato, a partire dal livello della domanda primaria. Il mercato potenziale assoluto dipende dal tempo e il suo valore evolve nel tempo sotto l’influenza di fattori di diffusione e contagio o a causa di fattori esogeni (come i cambiamenti nel livello dei prezzi, la legislazione, etc.). L’impresa non ha alcun controllo diretto su questi fattori, che tuttavia influiscono in modo decisivo sull’evoluzione del mercato. In alcuni casi le imprese possono riuscire a influenzare le cause esogene (ad es. mediante azioni di lobbying), ma il loro potere rimane limitato. Gran parte degli sforzi dell’azienda, quindi, sono diretti a cercare di prevedere i cambiamenti di contesto.

7.2. Analisi delle opportunità di business nel mercato virtualeL’evoluzione di Internet e del commercio elettronico ha ampliato notevolmente le dimensioni del mercato potenziale, aprendo alle aziende l’accesso ai mercati virtuali. Mentre i mercati, in generale, ruotano intorno alla fornitura di prodotti e servizi, il processo di acquisto del consumatore nel mercato virtuale è strutturato in relazione alle attività connesse al suo spazio cognitivo.

7.2.1. Lo spazio cognitivo del clienteUn mercato virtuale rappresenta una sequenza temporale completa di attività logicamente correlate nello spazio cognitivo dei clienti. Con premesse di questo genere, la sfida per l’impresa consiste nel passare dal concetto abbastanza astratto di mercato virtuale a quello di metamercato, fatto di un offerta o di un assortimento di offerte definite in base a tutti gli elementi (attività e servizi) che rientrano nello spazio cognitivo del cliente.

7.2.2. Come si costruisce un metamercato

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Le imprese orientate al mercato mirano sempre più a collaborare con i loro clienti e a diventare fornitori di soluzioni combinando in modo originale prodotti e servizi che possano risolvere un problema del cliente.

7.2.3. Il concetto di catena di attività del clienteQuando cerca di ottenere un risultato, il cliente intraprende attività che possono essere schematizzate nella cosiddetta catena di attività del cliente. Questa catena descrive una sequenza di attività, correlate tra loro in modo diretto o indiretto, poste in essere dal cliente prima, durante o dopo la decisione di acquisto.

7.3. La struttura della domanda primaria di beni di consumoL’analisi, la misurazione e la previsione della domanda costituiscono la prima responsabilità di una ricerca di mercato. L’obiettivo è quello di arrivare a stime quantitative del mercato potenziale e del livello attuale raggiunto dalla domanda, oltre che di formulare ipotesi sul suo sviluppo negli anni successivi. La domanda è strutturata in modo diverso a seconda che si tratti di domanda di beni di consumo (durevoli o meno), di beni industriali o di servizi.

7.3.1. La domanda di beni di consumoLe stime sulla domanda si basano essenzialmente su due fattori: il numero di unità potenziali di consumo (n) e la quantità acquistata da ciascuna unità (q). Si ha quindi:

Q = n x qdove Q indica la domanda totale in unità. Alla stessa stregua, il volume di affari totale si determina nel modo che segue:

R = n x q x pdove R indica il volume d affari totale e P il prezzo medio per unità.

7.3.2. La domanda di beni deperibiliLa domanda totale di un bene di consumo deperibile si può determinare ricorrendo ai dati che seguono:o Numero di unità di consumo potenziali;o Tasso di clienti che utilizzano il prodotto (tasso di occupazione del mercato);o Dimensione o frequenza degli acquisti (o tasso di penetrazione del mercato.La distinzione fra tasso di occupazione e di penetrazione è necessaria per poter identificare gli obiettivi prioritari di una strategia di sviluppo del mercato: aumentare il numero di utenti o aumentare la quantità consumata da ogni utente. Il mercato potenziale assoluto si determina ipotizzando un presunto tasso di occupazione del 100% e un tasso di penetrazione ottimale per occasione di utilizzo. Si dovrà quindi disporre di dati sui comportamenti di consumo per determinare il livello attuale della domanda primaria. Quando invece il bene di consumo è legato all’utilizzo di un bene durevole, occorre considerare il numero di unità di consumo dotate del bene durevole e la frequenza del suo impiego. Si hanno allora le seguenti relazioni:o Numero di unità di consumo potenziali;o Tasso di dotazione di queste unità;o Tasso di utilizzo del bene di investimento;o Consumo per occasione di utilizzo del bene d investimento.

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Anche in questo caso, il mercato potenziale assoluto può essere determinato presupponendo un tasso di dotazione delle unità di consumo pari al 100%, un tasso d’impiego medio e un tasso di consumo medio.

7.3.3. La domanda di beni di consumo durevoliQuando il bene di consumo è un prodotto durevole, si deve fare una distinzione importante tra domanda di primo acquisto e la domanda di sostituzione. La domanda di primo acquisto chiama in causa il numero delle unità di consumo esistenti e l’aumento del loro tasso di dotazione, nonché il numero delle nuove unità di consumo e il loro tasso di dotazione. La domanda di sostituzione è più complessa da valutare e chiama in causa le seguenti componenti di riutilizzo, che devono essere identificate e stimate:o Dimensioni del parco esistente;o Distribuzione dell’età del parco;o Distribuzione della durata di vita;o Tasso di scarto del prodotto;o Eventuale effetto di sostituzione (nuove tecnologie)o Effetto di scomparsa di unità di consumo.La domanda di sostituzione dipende direttamente dal ritmo con cui gli utenti si sbarazzano di un prodotto in quanto consumato o considerato obsoleto. Tale domanda dipende inoltre direttamente dalle dimensioni del parco e dalla longevità del bene durevole.

7.4. La domanda di servizi nei mercati di consumoLa domanda di servizi si determina esattamente come la domanda di beni di consumo. Tuttavia, poiché i servizi sono immateriali, le loro caratteristiche distintive influenzano notevolmente la gestione del marketing. I servizi possono essere classificati in cinque categorie:o Servizi alla persona non specializzati;o Servizi alla persona specializzati;o Servizi professionali;o Servizi al consumatore di massa;o Servizi hi-tech

7.4.1. Caratteristiche tipiche dei serviziI servizi sono immateriali, nel senso che non esistono, se non nella misura in cui sono prodotti o consumati. I servizi, inoltre, non sono conservabili. I servizi vengono prodotti nello stesso istante in cui vengono consumati. In genere si distingue tra o beni o servizi a qualità esterna, valutabili prima dell’acquisto; o beni a qualità interna, verificabili solo dopo l’utilizzoo beni a qualità di fiducia, difficilmente valutabili anche dopo l’utilizzo del prodotto o del

servizio. I servizi tendono a rientrare nelle due ultime categorie, per cui la loro qualità è assai difficile da valutare.

7.4.2. Le implicazioni per la gestione dei serviziLe caratteristiche della domanda di servizi descritte in precedenza hanno implicazioni dirette sulla gestione dei servizi. Le imprese di servizi devono perciò cercare di conciliare: o vincoli di produttività, che spingono alla standardizzazione e all’utilizzo massiccio delle

tecnologie informatiche;

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o obiettivi di controllo della qualità, che spingono a privilegiare le interazioni dirette con il cliente;

o obiettivi di differenziazioneÈ possibile descrivere le diverse attività di servizio in base a due dimensioni e su due livelli: o da una parte il grado di intensità della manodopera richiesta per l’attività;o dall’altra, il grado di interazione e adattamento al cliente. Utilizzando queste due dimensioni si possono identificare quattro gruppi di attività di servizio:1) Fabbriche di Servizi, cioè società di servizi con un intensità relativamente bassa di lavoro e

d’interazione con il cliente (come le linee aeree e gli hotel);2) Negozi di Servizi, in cui il grado d’interazione con il cliente e di personalizzazione è maggiore

(ospedali, autofficine, ristoranti);3) Servizio di Massa, In questo caso l’intensità del lavoro è alta, ma è basso il livello di interazione

e personalizzazione del servizio (negozi al dettaglio, lavanderie, servizi di pulizia);4) Servizio Professionale, quando il livello d interazione con il cliente aumenta e la parola d

ordine diventa personalizzazione, i servizi professionali sostituiscono quelli di massa (medici, avvocati, architetti).

7.5. La domanda di beni industrialiLa domanda di beni industriali si struttura in modo diverso a seconda che si tratti di beni di consumo, componenti o attrezzature industriali. I dati necessari alla valutazione della domanda sono praticamente gli stessi che vengono utilizzati per i beni destinati al consumatore finale, con poche eccezioni.

7.5.1. La domanda di beni industriali di consumoIn questo caso si tratta di prodotti che l’impresa industriale utilizza nella sua attività produttiva e che non vengono incorporati nel prodotto finito. Le componenti della domanda sono:o Numero potenziale di imprese utenti (ripartite per dimensioni);o Tasso di utenti effettivi (ripartiti per dimensioni);o Livello di attività per utente effettivo;o Tasso d impiego per occasione d uso.

7.5.2. La domanda di componenti industrialiI componenti industriali vengono utilizzati nel prodotto fabbricato dal cliente industriale. In questo caso la domanda dipende direttamente dalla quantità prodotta dall’impresa cliente. Si hanno quindi le seguenti componenti della domanda: o Numero di potenziali utenti industriali (ripartiti per dimensioni);o Tasso di utenti effettivi (ripartiti per dimensioni);o Quantità prodotto per utente effettivo;o Tasso d impiego per unità di prodotto.

7.5.3. La domanda di beni industriali strumentaliIn questa categoria rientrano prodotti come le macchine utensili o i computer, che sono necessari all’attività produttiva. Si tratta di beni durevoli ed è quindi importante distinguere fra la domanda di primo acquisto e quella di sostituzione. La domanda di primo acquisto di beni strumentali si determina nel modo che segue:o Numero di imprese dotate del bene durevole (ripartite per dimensioni);o Incremento della capacità produttiva;

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o Numero di nuove imprese utilizzatrici (ripartite per dimensioni);o Capacità di produzione.Allo stesso modo, per la domanda di sostituzione si avranno:o Dimensione del parco esistente;o Distribuzione dell’età e del livello tecnologico del parco;o Distribuzione della durata di vita dei prodotti;o Tasso di sostituzione;o Effetto di sostituzione dei prodotti;o Effetto della riduzione della capacità produttiva.La domanda di beni industriali strumentali dipende direttamente dalla capacità produttiva delle imprese clienti e quindi una variazione anche minima della domanda finale può tradursi in un cambiamento sostanziale nella domanda di beni strumentali. Questo fenomeno prende il nome di effetto di accelerazione.

7.6. L’analisi delle opportunità di crescita nel mercato esistenteLo scarto fra il livello attuale e il livello assoluto della domanda primaria rappresenta un indicatore del grado di sviluppo o di sottosviluppo di un prodotto mercato. Maggiore è lo scarto, più il potenziale di crescita della domanda primaria sarà elevato; viceversa, minore è lo scarto, più si sarà vicini al livello di saturazione.

7.6.1. I problemi della rete distributivaLe carenze nella distribuzione sono dovute a un assenza o a un inadeguatezza della rete di distribuzione del prodotto mercato. Si possono verificare tre situazioni:o Una copertura insufficiente, quando la linea di prodotto rilevante non è distribuita in tutte le

aree geografiche desiderate; o Un intensità di distribuzione insufficiente, quando il prodotto è presente nell’area geografica

di copertura, ma in un numero troppo basso di punti vendita;o Un esposizione insufficiente, quando le linee di prodotto dell’impresa sono mal presentate

all’interno dei punti vendita che lo distribuiscono.

7.6.2. I problemi nell’utilizzo del prodottoUna seconda causa dello scarto osservato può risiedere in un livello insufficiente di impiego del prodotto, causato da tre situazioni:o Una carenza nel numero di utenti, quando molti utenti potenziali sono dei non utenti;o Una carenza nelle occasioni di utilizzo del prodotto, quando gli utenti effettivi non utilizzano il

prodotto in tutte le possibili occasioni d impiego;o Una carenza d impiego, quando gli utenti effettivi utilizzano una quantità ridotta di prodotto a

ogni impiego.

7.6.3. Inadeguatezza nelle linee di prodottoTale inadeguatezza può essere dovuta alla mancanza di un intera linea di prodotti, frutto di sette situazioni diverse, legate all’inadeguatezza delle dimensioni del prodotto, all’inadeguatezza delle opzioni disponibili nelle linee di prodotto, ad inadeguatezze stilistiche o cromatiche, ad inadeguatezza della forma, della qualità, della distribuzione o infine proprio nelle linee di prodotti relative ad un determinato segmento.

7.7. Il modello del ciclo di vita del prodotto (CVP)

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Il modello CVP ritrae la storia delle vendite di un prodotto dotato di una determinata tecnologia, che costituisce una soluzione specifica a un bisogno di mercato per un gruppo specifico di acquirenti. Affermare che un prodotto ha un ciclo di vita significa che:o L’ambiente economico e competitivo è diverso in ogni fase;o L’obiettivo strategico prioritario deve essere ridefinito in ogni fase;o La struttura dei costi e dei profitti è diversa in ogni fase;o Il programma di marketing deve essere adattato in ogni fase.

7.7.1. La fase d’introduzioneNella fase d’introduzione, il mercato è spesso (ma non sempre) caratterizzato da una crescita lenta delle vendite, dovuta a fattori tipici del contesto come l’incertezza tecnologica, la riluttanza della distribuzione (poco incline a spingere un prodotto nuovo), il conservatorismo dei clienti, la concorrenza. Ciò sta a significare che, quanto più il prodotto sarà realmente innovativo, tanto maggiori saranno le sue incertezze iniziali. La durata della fase di introduzione dipende dalla velocità con cui i potenziali clienti meno ricettivi all’innovazione adotteranno il prodotto. Per ottenere tale risultato, l’obiettivo strategico primario dell’impresa consiste nel creare il più rapidamente possibile la domanda primaria, puntando su una strategia di marketing che si preoccupi di far conoscere il nuovo prodotto e di educare il mercato a tale conoscenza.

7.7.2. La fase di crescitaSe il prodotto supera con successo il test dell’introduzione sul mercato, entra nella fase di crescita, caratterizzata da un rapido sviluppo delle vendite. Le cause di tale crescita sono dovute al fatto che si ampliano gli acquisti da parte dei clienti soddisfatti, mentre la maggiore visibilità di mercato del prodotto ne aumenta le possibilità di diffusione. Una caratteristica importante di questa fase è la diminuzione costante dei costi di produzione, mentre i prezzi tendono a ridursi e il mercato risulta coperto nella sua totalità (o quasi). Per far fronte a questa nuova situazione, cambiano anche gli obiettivi prioritari del marketing strategico, che diventano:o Estendere la dimensione del mercato totale;o Massimizzare il tasso di occupazione del mercato;o Costruire una forte immagine di marca;o Creare la fedeltà alla marca.Per raggiungere questi obiettivi, il programma di marketing dovrà essere migliorato grazie al perfezionamento del prodotto, al miglioramento della distribuzione, alla riduzione dei prezzi e all’adozione di una strategia comunicativa mirata alla costruzione d immagine.

7.7.3. La fase di turbolenzaQuesta fase rappresenta un periodo di transizione, durante il quale il tasso di crescita delle vendite subisce una decelerazione. In sostanza, il quadro generale si complica e diventa importante, per l’azienda, identificare i segmenti target prioritari e creare e mantenere la fedeltà alla marca.

7.7.4. La fase di maturitàLa crescita della domanda primaria continua a rallentare e il prodotto entra in una fase di stagnazione legata al fatto che è difficile ampliare ulteriormente la sua quota di mercato, né è possibile innovarlo tecnologicamente in misura significativa. In un contesto del genere, l’obiettivo strategico prioritario consiste nel mantenere la quota di mercato e cercare di ritagliarsi un vantaggio competitivo significativo sui

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concorrenti diretti.

7.7.5. La fase di declinoLa fase di declino si traduce in un decremento strutturale della domanda primaria a seguito:o della comparsa di nuovi prodotti, tecnologicamente più avanzati, che sostituiscono i prodotti

esistenti svolgendo la medesima funzione; o del mutamento dei gusti e delle abitudini di consumo; o dei cambiamenti dell’ambiente sociale, economico e giuridico, che rendono i prodotti obsoleti

o addirittura vietati.

7.8. Il modello del ciclo di vita di un prodotto come quadro concettualePiù che uno strumento di pianificazione, il modello del ciclo di vita è prima di tutto un quadro concettuale da utilizzare per analizzare le forze che determinano l’attività di un prodotto-mercato e ne provocano l’evoluzione. In ogni fase del CVP, l’impresa dinamica tenterà di perseguire i seguenti obiettivi: o abbreviare la fase di introduzione; o accelerare la fase di sviluppo, o prolungare il più possibile la fase di maturitào rallentare la fase di declino.

CAPITOLO 8L’analisi di competitività dell’impresa8.1. La nozione di vantaggio competitivoPer vantaggio competitivo si intende l’insieme delle caratteristiche o attributi detenuti da un prodotto (o da una marca) che gli conferiscono un certo grado di superiorità nei confronti dei concorrenti diretti. Tali caratteristiche o attributi possono essere di varia natura e riguardare il prodotto stesso (la funzione di base), i servizi necessari o aggiunti che accompagnano la funzione di base o le modalità di produzione, distribuzione o vendita proprie del prodotto o dell’impresa. Questa superiorità, se è presente, è dunque una superiorità relativa, stabilita in rapporto al concorrente (detto concorrente prioritario) che occupa la posizione migliore nel prodotto-mercato o nel segmento. La superiorità relativa di un concorrente può essere il risultato di una molteplicità di fattori, che possono essere suddivisi in base all’origine del vantaggio competitivo che procurano.

8.1.1. Il vantaggio competitivo di qualità (o esterno)Tale vantaggio si basa su alcune qualità distintive del prodotto che rappresentano un valore per il cliente e permettono di stabilire un prezzo di vendita superiore a quello della concorrenza. Per il successo di una strategia fondata sul vantaggio competitivo esterno, il supplemento di prezzo (premium price) che il cliente è disposto a pagare deve essere superiore al costo supplementare necessario a conferire il valore aggiuntivo.

8.1.2. Il vantaggio competitivo di costo (o interno)Tale vantaggio si basa sulla superiorità dell’impresa nel controllo dei costi di produzione, amministrazione e gestione del prodotto. Una strategia basata su un vantaggio competitivo interno è una strategia di dominio tramite i costi che chiama in causa soprattutto il know-how organizzativo e tecnologico dell’impresa.

8.1.3. La ricerca di un posizionamento competitivo difendibile

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Questi due tipi di vantaggio competitivo sono spesso incompatibili, perché comportano abilità e culture molto diverse. Le due dimensioni del vantaggio competitivo, riprese nella Figura 8.1. [p. 212 del testo] possono essere espresse sotto forma di domande. Per quanto concerne il potere di mercato, ci si può chiedere fino a che punto il cliente è disposto a pagare un prezzo più alto di quello del nostro principale concorrente, mentre, per quanto riguarda la produttività, la domanda da porsi è: come si rapporta il nostro costo unitario con quello del nostro principale concorrente? Sull’asse orizzontale della Figura è rappresentato il prezzo di vendita massimo accettabile, mentre l’asse verticale indica il costo unitario: entrambi sono espressi in termini percentuali rispetto al concorrente principale. Più in dettaglio, l’asse verticale della produttività permette all’impresa di posizionarsi rispetto al concorrente principale in termini di vantaggio o svantaggio di costo: un posizionamento nella parte superiore del grafico denota uno svantaggio di costo, mentre un posizionamento nella sua parte inferiore indica un vantaggio. L’asse orizzontale del potere di mercato , invece, permette di posizionare l’impresa in termini di prezzo di vendita massimo accettabile dal cliente rispetto al concorrente principale. Un posizionamento nella parte destra denota un elevata forza dell’impresa e una capacità di far accettare al mercato un prezzo superiore (premium price), mentre un posizionamento nella parte sinistra indica che l’impresa ha un potere di mercato limitato e deve praticare prezzi notevolmente inferiori rispetto al concorrente principale per essere accettata dal mercato. L’obiettivo di un analisi della competitività è quello di permettere all’impresa di posizionarsi su questi assi e ricavarne indicazioni strategiche e obiettivi prioritari per ognuno dei prodotti facenti parte del suo portafoglio di attività.

8.1.4. Il vantaggio competitivo basato sulle competenze chiaveSi definisce competenza chiave una capacità o tecnologia particolare, che crea un valore unico per il cliente. Queste competenze chiave possono essere considerate il fondamento del vantaggio competitivo dell’impresa.

8.1.5. Il vantaggio competitivo strategico e operativoLa ricerca di un vantaggio competitivo sostenibile è centrale nel processo di elaborazione di una strategia e rappresenta una delle principali responsabilità del marketing strategico. Un impresa può dominare i suoi concorrenti in modo duraturo nella misura in cui crea un differenziale difendibile. In questa prospettiva, è possibile stabilire una distinzione tra vantaggio competitivo strategico e vantaggio competitivo operativo. Ottenere un vantaggio competitivo operativo in un dato mercato comporta lo svolgimento delle stesse attività dei concorrenti, ma in modo più efficace di quanto facciano questi ultimi in termini di qualità, prezzi, assistenza e rapidità. Non è un compito facile da assolvere, poiché anche i concorrenti migliorano di continuo. Per contro, ottenere un vantaggio competitivo strategico comporta un elemento di differenziazione che può essere di due tipi: a) esercitare nel mercato di riferimento attività diverse da quelle dei concorrenti; b) esercitare attività simili, ma in modo diverso, con l’obiettivo di proporre al mercato un insieme di valori unici (come hanno fatto Ikea nel campo dei mobili o Ryanair in quello delle linee aeree). Nella ricerca di un vantaggio competitivo è importante stabilire una distinzione chiara tra questi due tipi di vantaggi, poiché il posizionamento strategico è più sostenibile, a lungo termine, di quello competitivo.

8.2. Le forze che guidano la concorrenza nel settoreLa nozione di concorrenza allargata si basa sull’idea che la capacità di un impresa di sfruttare il vantaggio competitivo, all’interno del suo mercato di riferimento, non dipende soltanto dalla

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concorrenza diretta, ma anche dal ruolo esercitato da forze come i potenziali entranti nel mercato, i prodotti sostitutivi, i clienti e i fornitori. Le quattro forze competitive esterne testé citate, cui bisogna aggiungere la concorrenza diretta tra imprese all’interno dello stesso prodotto-mercato, determinano la redditività e la capacità potenziale di mercato dell’impresa. Risulta molto importante, tuttavia, anche identificare con precisione le principali tipologie di concorrenti, che sono: i concorrenti diretti, quelli potenziali, i produttori di beni sostitutivi (che servono i medesimi bisogni del mercato, utilizzando però risorse o tecnologie diverse) e infine i concorrenti dormienti.

8.3. Il vantaggio competitivo basato sul potere di mercatoDi norma, si è soliti distinguere tra quattro situazioni concorrenziali: concorrenza pura o perfetta, oligopolio, concorrenza monopolistica (o imperfetta) e monopolio.

8.3.1. La concorrenza pura e perfettaIl modello di concorrenza pura o perfetta è caratterizzato da un numero elevato di venditori e acquirenti; da prodotti indifferenziati, perfettamente sostituibili; e da assenza completa di controllo sul mercato per ciascun concorrente. La sola manovra possibile per l’impresa che cerchi di migliorare la propria competitività consiste nel modulare l’offerta al mercato o nel cambiare la sua capacità di produzione, aumentandola o diminuendola a seconda dell’attrattività del prezzo di mercato. Dal punto di vista dell’impresa, per uscire da questa situazione di stallo sono necessarie due fasi: una ricerca sistematica delle opportunità di differenziazione e una segmentazione accurata del mercato, al fine di scoprire i segmenti di consumatori che adottino i criteri d acquisto più selettivi.

8.3.2. L’oligopolioL’oligopolio è una situazione in cui la dipendenza tra imprese rivali è molto forte, a causa del numero ridotto di concorrenti o della presenza di alcune imprese dominanti: La dipendenza tra concorrenti è tanto più forte quanto più sono indifferenziati i prodotti delle imprese a confronto: si parla in questo caso di oligopolio indifferenziato, per distinguerlo dall’oligopolio differenziato, in cui i beni presentano caratteristiche rilevanti per il cliente. Le situazioni di oligopolio si incontrano soprattutto nei prodotti-mercati che attraversano la fase di maturità del loro ciclo di vita, cioè quando la domanda primaria è stagnante e non espandibile. In condizioni di oligopolio indifferenziato i prodotti sono percepiti come commodity e la scelta del cliente dipende in larga parte dal prezzo e dal servizio. Si tratta quindi di una situazione che favorisce un intensa competizione sul prezzo, a meno che un impresa dominante non sia in grado di far accettare un prezzo guida. Nelle economie industrializzate, le situazioni oligopolistiche sono frequenti e in diversi settori industriali le imprese si affrontano con prodotti scarsamente differenziati su mercati stagnanti o saturi, dove il guadagno dell’uno comporta necessariamente la perdita dell’altro. In situazioni del genere, ostacolare le azioni della concorrenza diventa un fattore chiave di successo. Questo clima competitivo favorisce ovviamente l’adozione di un marketing combattivo, che si pone come obiettivo principale la distruzione dell’avversario. Per questo motivo, è anche molto importante conoscere che cosa fanno gli avversari.

8.3.3. La concorrenza monopolistica o imperfettaLa situazione di concorrenza monopolistica si colloca a metà strada tra la concorrenza pura e il monopolio. I concorrenti sono numerosi e le loro forze sono equilibrate, ma i prodotti sono differenziati, cioè presentano caratteristiche distintive importanti per il cliente e percepite come

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tali all’interno del prodotto-mercato. La competizione monopolistica si fonda dunque su una strategia di differenziazione pensata per generare un vantaggio competitivo esterno. In una condizione di concorrenza monopolistica, l’impresa offre un prodotto differenziato e detiene, di conseguenza, un vantaggio competitivo esterno. Tale potere di mercato la colloca in una situazione protetta e le permette di realizzare profitti superiori alla media del mercato. Il suo obiettivo strategico è dunque quello di sfruttare questa domanda preferenziale, senza smettere di tenere sotto controllo il valore e la durata dell’elemento di differenziazione.

8.3.4. Il monopolioIl monopolio, come situazione concorrenziale, rappresenta un caso limite, al pari della concorrenza pura. Il mercato è dominato da un solo produttore, che per un periodo di tempo limitato non ha concorrenti nella sua categoria. È una situazione che si osserva nella fase introduttiva del ciclo di vita di un prodotto, in settori nuovi, caratterizzati da forti innovazioni tecnologiche. Si tratta tuttavia di una situazione effimera.

8.4. Il vantaggio competitivo basato sul costoIl vantaggio competitivo di un impresa dipende non solo dal potere di mercato acquisito grazie a un elemento di differenziazione ma anche dall’eventuale presenza di una differenza nei costi, rispetto ai concorrenti diretti, dovuta ad una maggiore produttività e al controllo dei costi.

8.4.1. L’effetto di esperienza L’importanza strategica della legge di esperienza deriva dal fatto che essa permette di prevedere l’evoluzione del costo non solo dei propri prodotti, ma anche di quelli dei concorrenti diretti. L’effetto di esperienza ha cause diverse, tra cui l’efficienza del lavoro manuale, la specializzazione del lavoro e il miglioramento dei metodi, nuovi processi di fabbricazione, migliori prestazioni delle attrezzature di produzione, il mutamento delle risorse impiegate, una nuova concezione del prodotto. L’esperienza in sé non produce una riduzione dei costi, tuttavia fornisce occasioni affinché ciò si verifichi: spetta poi alla direzione dell’impresa cogliere tali opportunità. Nell’ottica di una strategia basata sulla legge di esperienza, accrescere la propria quota di mercato e adottare una politica di prezzo di penetrazione sono fattori chiave per ottenere un vantaggio competitivo basato sul dominio dei costi. L’importanza strategica della legge di esperienza deriva dal fatto che è possibile prevedere l’evoluzione non soltanto dei propri costi, ma anche di quelli dei concorrenti diretti.

CAPITOLO 9Il mercato target e le strategie di posizionamento9.1. Strategie di copertura del mercato di riferimentoL’impresa ha a disposizione diverse strategie di copertura del mercato, che vanno dall’approccio di massa alla customizzazione di massa. Tra questi due poli esistono comunque moltissime possibilità intermedie. La focalizzazione del marketing permette all’impresa di raccogliere i frutti della specializzazione e di utilizzare più efficientemente le risorse interne. L’applicabilità di questo tipo di strategie dipende dalle dimensioni del segmento e dalla forza del vantaggio competitivo conquistato dall’azienda proprio grazie alla specializzazione. o Se l’impresa adotta una strategia di marketing indifferenziato (o di massa) , ignora le diversità

presenti all’interno del segmento e decide di rivolgersi al mercato come a un insieme, senza

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servirsi dell’analisi di segmentazione. Si concentra sui punti in comune nei bisogni dei clienti, tralasciandone le differenze.

o Se invece adotta una strategia di marketing differenziato, o di personalizzazione di massa , l’impresa si rivolge sempre all’intero mercato, ma con programmi su misura per ciascun segmento.

Naturalmente è anche possibile adottare una strategia mista, mentre l’ipersegmentazione e la controsegmentazione sono le politiche estreme alle quali si può arrivare applicando una strategia di segmentazione: o la politica di ipersegmentazione dà vita a prodotti su commissione realizzati per soddisfare i

bisogni individuali, il tutto a costi elevati. Nel caso della o politica di controsegmentazione, invece, l’impresa offre un prodotto base, senza fronzoli né

extra, con poche opzioni ma a un prezzo molto più ridotto. La prima è guidata da una logica market-driven, la seconda da una logica supply-driven. La decisione sui segmenti da privilegiare è compatibile sia con una copertura ampia del mercato sia con una selezione di uno o più segmenti, in cui l’impresa investirà di più. La regola d’oro consiste nel rivolgere la propria attenzione in particolare ai gruppi di clienti che danno maggior valore al prodotto e non come si sarebbe tentati di fare a quelli che rivestono maggiore interesse per l’impresa.

9.2. Le decisioni di posizionamento strategicoDopo aver deciso a quale tipo di copertura del mercato mirare, il passo successivo sarà rappresentato dalla scelta della strategia di posizionamento da adottare all’interno di ciascuno dei segmenti target. Si tratta di un momento critico nel processo di applicazione del marketing strategico, poiché l’impresa deve decidere come differenziare al meglio la sua marca rispetto a quelle dei concorrenti. Il posizionamento è la decisione dell’impresa relativa alla scelta dei benefici della marca che possono farle guadagnare un posto distintivo nel mercato. La strategia di posizionamento è la modalità operativa adottata per introdurre una strategia di differenziazione e si basa: a) sull’analisi interna dei punti di forza e debolezza dell’impresa; b) sul contesto competitivo; c) sul tipo di beneficio distintivo e unico che la marca può fornire al cliente. L’obiettivo dell’impresa è quello di comunicare questo elemento di differenziazione ai potenziali clienti, in modo che sia chiaramente delineato nella loro mente. La percezione mentale che il consumatore ha della marca è detta immagine di marca. Il posizionamento costituisce la base del programma di marketing operativo, che deve essere coerente al posizionamento di marca.

9.2.1. Modalità di posizionamento della marca rispetto ai concorrentiEsistono diversi modi di posizionare una marca nei riguardi dei concorrenti ed essenzialmente si possono distinguere tre tipi di strategia di differenziazione: del prodotto, del prezzo e dell’immagine. Nel posizionamento occorre evitare quattro errori fondamentali, che sono sottoposizionamento (cioè posizionamento poco distintivo), sovra posizionamento (l’immagine della marca è troppo ristretta, nel senso di troppo specialistica o inaccessibile), posizionamento confuso e posizionamento ambiguo (errore,quest’ultimo, che probabilmente è il più diffuso).

9.3. Il comportamento di risposta del cliente al posizionamento d’impresaI diversi livelli di risposta del cliente potenziale possono essere raggruppati in tre categorie: la risposta cognitiva, che chiama in causa le informazioni possedute e la conoscenza;

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la risposta affettiva, che analizza l’atteggiamento e il sistema di valutazione; la risposta comportamentale, che descrive l’azione, intesa non soltanto come atto d’acquisto ma anche come comportamento post-acquisto. Gli esperti di comunicazione sostengono che questi tre livelli di risposta sono posti in una scala gerarchica e che l’individuo, o l’organizzazione, li attraversa in sequenza, secondo quest’ordine: cognitivo, affettivo, comportamentale (learn, feel, do). Sebbene le ipotesi sul processo di apprendimento non siano sempre applicabili, il modello learn, feel, do rimane valido per la strutturazione delle informazioni raccolte sui comportamenti d’acquisto, in particolar modo se usato insieme ai concetti di rischio percepito e di coinvolgimento dell’acquirente . Vaughn, per ottenere uno schema concettuale che integrasse il modello gerarchico learn, feel, do , il grado di coinvolgimento del consumatore e la teoria della specializzazione del cervello (secondo cui l’emisfero sinistro presiede agli aspetti intellettuali e quello destro agli aspetti affettivi o sensoriali), ha elaborato una griglia in cui il processo della decisione di acquisto viene analizzato in base a due dimensioni: un coinvolgimento alto-basso e una percezione della realtà basata su pensare-sentire. L’incrocio tra il grado di coinvolgimento e la modalità di apprendimento della realtà porta alla matrice della Figura 9.5. (p. 248), nella quale è possibile identificare quattro percorsi diversi del processo di risposta. Infine, sei sono le strategie cui si può fare ricorso per modificare un posizionamento sfavorevole. Esse consistono: nel modificare il prodotto, modificare il peso degli attributi, modificare le convinzioni relative alla marca, modificare le convinzioni relative alle marche concorrenti, attirare l’attenzione verso gli attributi fino a quel momento ignorati, modificare il livello degli attributi richiesti. Il vantaggio principale dei modelli basati sul paniere di attributi rispetto alle misurazioni dell’attitudine generale è la possibilità che offrono di comprendere la struttura attitudinale del segmento in esame, necessaria a identificare le strategie più appropriate di posizionamento e comunicazione.

9.4. La catena del valore nell’analisi di differenziazioneNella ricerca di un elemento di unicità su cui fondare una strategia di differenziazione, è necessario da una parte individuare l elemento di unicità apprezzato dai clienti, ma che l impresa non è in grado di offrire; dall’altra, identificare un elemento di unicità che l impresa è in grado di offrire, ma che non è apprezzato dai clienti. A tale riguardo si dimostra particolarmente utile il modello della catena del valore messo a punto da Porter. Qualunque impresa può essere descritta come un insieme di attività volte a ideare, produrre, commercializzare, distribuire e sostenere i propri prodotti. Come illustrato nella Figura 9.7. (p. 251), queste attività possono essere raggruppate in due grandi categorie: attività primarie e attività di supporto. Si costruisce una catena del valore per una particolare impresa tenendo conto dell’importanza e della separabilità di ogni attività, ma anche della capacità di ogni attività di rappresentare una fonte di differenziazione per l’impresa. A titolo di spiegazione, le possibili fonti di differenziazione per le attività di base potrebbero riguardare gli acquisti, la produzione, l’immagazzinaggio e la distribuzione, il marketing e le vendite, l’assistenza ai clienti. Per le attività di supporto, le potenziali fonti di differenziazione riguardano le risorse umane, la R&S, l’infrastruttura. L’obiettivo consiste nell’individuare i fattori di unicità di ogni attività, ovvero le variabili e/o le azioni che l’impresa può controllare per offrire qualcosa di unico, che le differenzi dai concorrenti e rappresenti un valore per il cliente. Lo scopo del modello della catena del valore è quello di mettere in evidenza che la ricerca di un vantaggio competitivo sostenibile interessa ogni funzione dell’organizzazione e non solo la funzione di marketing.

9.4.1. La misurazione del potere di mercato

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Il grado di potere di mercato detenuto è misurato dalla capacità dell’impresa di far accettare al mercato un prezzo superiore a quello praticato dai suoi diretti concorrenti. L’impresa, o la marca, che detiene un potere di mercato presenta una domanda meno elastica rispetto a quella di un prodotto poco differenziato ed è pertanto in grado di far accettare un prezzo superiore ad un gruppo di clienti sensibili all’elemento di differenziazione. La forza della marca dipende dal grado di attaccamento dei clienti alla marca stessa o all’impresa. È possibile individuare cinque indicatori della forza di una marca: più limitata sensibilità al prezzo, accettazione di premium price, tasso di esclusività, tasso di fedeltà dinamico, misure attitudinali positive.

9.5. Target: segmenti internazionali di mercatoLa segmentazione internazionale può essere definita come un processo di identificazione di segmenti di clienti potenziali (formati da gruppi nazionali o da singoli acquirenti) che abbiano attributi e comportamenti simili. Nella segmentazione globale si possono adottare tre approcci distinti:a) identificazione di gruppi di Paesi che richiedono prodotti simili. Questo è l’approccio più radicale, quello che dà all’impresa un vantaggio competitivo significativo, in quanto il prodotto e la comunicazione possono essere standardizzati e trasferiti in Paesi diversi;b) identificazione di segmenti presenti in più Paesi;c) scelta di segmenti target diversi in ciascun Paese, pur con lo stesso prodotto.Non tutti i prodotti hanno necessariamente una vocazione universale e alcuni si prestano meglio di altri ad una strategia di sviluppo internazionale. Tuttavia, il potenziale di globalizzazione su scala planetaria è più facilmente realizzabile per i prodotti che si avvicinano maggiormente ai poli hi-tech/hi-touch.

CAPITOLO 10La formulazione di una strategia di marketing10.1. L’analisi del portafoglio prodottiL’obiettivo di un analisi del portafoglio prodotti è quello di aiutare un impresa multibusiness a distribuire risorse limitate tra i diversi prodotti-mercati nei quali compete. In generale, la procedura adottata consiste nel classificare ciascuna attività in base a due dimensioni indipendenti: l’attrattività del mercato di riferimento in cui l’impresa opera e la capacità dell’impresa stessa di cogliere le opportunità offerte dal mercato. Sono stati sviluppati vari metodi di analisi di portafoglio, che prendono la forma di rappresentazioni matriciali in cui vengono utilizzati indicatori diversi per misurare parametri di attrattività e competitività. Qui ci concentreremo nella descrizione dei due metodi più usati: il metodo del Boston Consulting Group (BCG), detto della matrice crescita-quota di mercato relativa, e il metodo del portafoglio multifattoriale. Nonostante abbiano obiettivi identici, i due metodi si basano su ipotesi di fondo diversissime.

10.1.1. La matrice crescita-quota di mercato relativa del BCGLa matrice BCG è costruita sulla base di due criteri: il tasso di crescita del mercato di riferimento (corretto dall’effetto dell’inflazione), che funge da indicatore di attrattività, e la quota di mercato relativa al concorrente più pericoloso, usata come indicatore di competitività. Si ottiene così una tabella a doppia entrata, come mostra la Figura 10.1 (p. 260), dove è stata tracciata una linea di demarcazione su ciascuno

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degli assi, in modo da creare una griglia a quattro quadranti. Tali quadranti definiscono altrettante situazioni alquanto diverse in termini di esigenze finanziarie necessarie al loro funzionamento, situazioni che andranno gestite distintamente sul piano degli obiettivi specifici e della strategia di marketing. Alla base dell’analisi del BCG vi sono due ipotesi di fondo, di cui una verte sulla presenza dell’effetto di esperienza e l’altra sul modello del ciclo di vita del prodotto (CVP). Queste due ipotesi possono essere riassunte come segue: grazie all’effetto di esperienza, un elevata quota di mercato relativa implica un vantaggio competitivo in termini di costi rispetto ai concorrenti. Viceversa, una scarsa quota di mercato relativa implica uno svantaggio in termini di costi. La conseguenza diretta di questa prima ipotesi è che il flusso di cassa derivante dai prodotti con un alta quota di mercato relativa sarà superiore rispetto a quelli che detengono una quota di mercato inferiore. D’altra parte, la collocazione in un mercato in rapida crescita implica un bisogno elevato di liquidità per finanziare l’espansione. Per contro, sarà un prodotto operante in un mercato maturo a generare flussi di liquidità; in questo caso si fa ricorso al modello del ciclo di vita del prodotto per evidenziare come sia importante distribuire le proprie attività in un portafoglio bilanciato, con prodotti collocati in varie fasi del ciclo di vita. Questa seconda ipotesi implica che le necessità di liquidità per i prodotti nei mercati in rapida crescita sono maggiori che per i prodotti nei mercati a lenta crescita. Partendo da tali presupposti, è possibile identificare quattro gruppi di prodottimercati (Figura 10.2, p. 262) molto differenti per esigenze finanziarie e/o di contribuzione. Il primo gruppo si situa nel quadrante bassa crescita/alta quota di mercato (cash cows, cioè mucche da mungere ). Questi prodotti dovrebbero generare una liquidità finanziaria molto superiore a quella necessaria per mantenere la propria posizione sul mercato. Il secondo gruppo si colloca nel quadrante bassa crescita/bassa quota di mercato (dogs, cani ). Sono prodotti la cui quota di mercato relativa è bassa in un settore a bassa crescita, dunque la posizione peggiore. Il terzo gruppo si colloca nel quadrante alta crescita/bassa quota di mercato (problem children, dilemmi ). In questa categoria rientrano prodotti con una quota di mercato relativa modesta in un mercato in rapida espansione. Senza un sostegno finanziario consistente, tali prodotti si trasformeranno progressivamente in dogs, con il progredire del loro ciclo di vita e il rallentamento della crescita del mercato. L’obiettivo principale consiste pertanto, in questo caso, nell’accrescere la quota di mercato o nel disinvestire. Il quarto gruppo si posiziona nel quadrante alta crescita/alta quota di mercato (stars, stelle ). Si tratta di prodotti leader nel loro mercato, che attraversa una fase di rapida espansione. Richiedono anch’essi mezzi finanziari notevoli che ne sostengano la crescita; tuttavia, grazie alla loro posizione competitiva, genereranno anche profitti notevoli da reinvestire per mantenere la posizione di mercato. Con la maturazione del mercato, entreranno a far parte della categoria cash cows. Per applicare questo metodo è necessario definire bene il mercato di riferimento di un attività. La quota di mercato relativa esprime le capacità competitive di un impresa rispetto ai suoi concorrenti. A partire da questo tipo di diagnosi, l’impresa può individuare diverse strategie volte a mantenere o ripristinare l’equilibrio del suo portafoglio prodotti. Il merito principale del metodo sviluppato dal BCG risiede nella solidità del suo apparato teorico, che stabilisce un legame rigoroso tra il posizionamento strategico e la performance finanziaria. Esiste però una serie di limiti e difficoltà che consente il ricorso a questa tecnica di analisi solo nel caso in cui sussista l’effetto di esperienza, cioè nelle industrie che operano sui volumi. Ma l’effetto di esperienza si osserva solo in certi prodotti-mercati e non in tutti quelli che fanno parte del portafoglio dell’impresa. Bisogna inoltre considerare che il metodo si basa esclusivamente sulla nozione di vantaggio competitivo interno e non considera alcun tipo di vantaggio competitivo esterno di cui un impresa o una marca possono beneficiare grazie al successo di una strategia di diversificazione. Questi limiti sono importanti e restringono notevolmente il campo di applicazione della matrice crescita-quota di mercato relativa, che non è

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sempre valida allo stesso modo a prescindere dalle situazioni aziendali. Sono stati perciò elaborati altri metodi, che poggiano su ipotesi meno restrittive.

10.1.2. La matrice di portafoglio multifattoriale (attrattività-competitività)Il metodo BCG si basa su due indicatori: la quota di mercato relativa e il tasso di crescita del mercato di riferimento. Tuttavia, è evidente che l’attrattività di un mercato e la forza di una posizione competitiva possono dipendere da molti altri fattori. Ad esempio, il grado di attrattività di un mercato può dipendere anche dalla sua accessibilità, dalle sue dimensioni, dalla presenza di una rete di distribuzione organizzata o di una legislazione favorevole, dalla struttura della concorrenza, etc. Alla stessa stregua, il vantaggio competitivo di un impresa può derivare da una forte immagine di marca, da una nuova tecnologia, da qualità uniche del prodotto o da altri fattori, anche se la sua quota di mercato è bassa rispetto al concorrente principale. È chiaro che bisogna considerare altri fattori per stimare correttamente il potenziale di attrattività e competitività di un impresa. Invece che usare un solo indicatore per dimensione, quindi, si ricorre ad un insieme di misure di attrattività e competitività per costruire un indice composito per ciascuna dimensione. La Tabella 10.4. (p. 267) illustra lo sviluppo e le caratteristiche di una griglia multicriteri, che fornisce un sistema di classificazione a due dimensioni simile al modello BCG. Di norma si divide ciascuna dimensione in tre livelli (basso, medio, elevato), il che conduce a definire nove casi, ciascuno corrispondente a una posizione strategica specifica. Si viene in tal modo a disporre di una rappresentazione visiva del potenziale di sviluppo dell’impresa. Proiettando la prevista evoluzione di ogni attività (nell’ipotesi del mantenimento della strategia in corso), l’impresa sarà in grado di determinare la sua posizione futura. Essa può scegliere fra strategie d’investimento, di riduzione degli investimenti e di disinvestimento. La matrice multicriteri approda dunque ad analisi simili a quelle descritte in precedenza per il modello BCG, ma con una differenza: la mancanza di collegamento tra competitività e performance finanziaria (ossia il flusso di liquidità). Il metodo che si è appena presentato, tuttavia, offre un applicazione più generale, in quanto non poggia su alcuna ipotesi particolare, supera i limiti della matrice BCG ed è dotato di grande flessibilità, poiché gli indicatori vengono scelti in funzione di ciascuna impresa. Ci sono però anche dei limiti nell’applicazione delle matrici di questo tipo. In primo luogo, i problemi di misura sono più delicati e il rischio di soggettività è molto maggiore. In secondo luogo, quando il numero dei criteri considerati e il numero di attività da valutare sono elevati, il procedimento diventa difficile, specie quando le informazioni disponibili sono scarse e imprecise. In terzo luogo, il risultato varierà a seconda del metodo di valutazione e ponderazione adottato, al punto che, manipolando il peso relativo, si può ottenere il posizionamento desiderato nella matrice. In quarto luogo, come per il modello BCG, le indicazioni che si traggono dall’analisi rimangono molto generiche e devono essere precisate. Inoltre il rapporto con il livello finanziario è meno chiaramente definito. I due metodi citati possono dare luogo a valutazioni molto diverse. Onde evitare problemi, è consigliabile utilizzarli in parallelo e confrontare i risultati ottenuti.

10.1.3. L analisi SWOTL analisi SWOT acronimo di Strenghts, Weaknesses, Opportunities, Threats, ovvero punti forti e punti deboli dell’impresa, opportunità e minacce (ambientali) è una soluzione molto usata per organizzare le informazioni raccolte dal sistema informativo aziendale e dall’ambiente di macromarketing. Essa consiste in un analisi basata su più criteri, simili ai due modelli analizzati precedentemente, ma con due differenze: è di tipo puramente qualitativo e non tenta di giungere a misure oggettive o dati sensibili; definisce in modo diverso i concetti di attrattività (data da fattori esterni) e di competitività (data da fattori interni) dell’azienda. Prendendo in esame

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opportunità e minacce di mercati diversi e misurando attentamente forze e debolezze interne, questo metodo permette di elaborare strategie alternative per l impresa.

10.1.4. Modelli pratici di portafogliLa pianificazione strategica e le analisi di portafoglio sono gli strumenti di gestione più utilizzati dalle aziende per studiare gli strumenti e le tecniche di management. Un analisi di portafoglio, quale che sia il metodo utilizzato, poggia sui seguenti elementi: la suddivisione precisa delle attività dell’impresa in prodotti-mercati o in segmenti; gli indicatori di competitività e attrattività che permettono di valutare e confrontare il valore strategico delle diverse attività; il legame tra posizione strategica e performance economica e finanziaria. Malgrado le apparenze, la loro elaborazione non è semplice, ma presuppone l esistenza di informazioni complete e attendibili sul funzionamento dei mercati e sui punti di forza e debolezza dell’impresa e dei suoi concorrenti. Il principale punto debole dei metodi di analisi di portafoglio è il fatto di fornire un immagine del presente o addirittura di un passato recente, dedicando troppa pocaattenzione alla valutazione dei cambiamenti futuri e delle strategie per affrontarli. Esiste anche il rischio di un applicazione meccanica di questi metodi.

10.2. Le opzioni strategiche di base10.2.1. Due concezioni di strategiaIl primo passo da compiere nell’elaborare una strategia di sviluppo consiste nel determinare la natura del vantaggio competitivo difendibile, che servirà da punto d’appoggio alle successive attività strategiche e tattiche. È possibile adottare due visioni della strategia: o la prima, elaborata da Porter, consiste nella scelta di un mercato, o di un prodotto-mercato,

sul quale l’impresa intende essere presente e sul quale potrà differenziarsi dai concorrenti diretti, esercitando attività diverse o le stesse attività in modo diverso. In altre parole, si tratta di ricercare un vantaggio difendibile in un dato prodotto-mercato, il che comporta un approfondita analisi della struttura competitiva. Questo tipo di ricerca sistematica di un vantaggio competitivo sostenibile sta alla base di una strategia di differenziazione.

o La seconda visione della strategia ha un carattere più proattivo e in questo caso l’obiettivo è anticipare i possibili sviluppi di un mercato grazie alla lungimiranza.

Per mettere in atto una strategia di valore o di rottura è necessario trovare soluzioni a problemi che i consumatori nemmeno sanno di avere. Scoprire soluzioni innovative significa andare oltre quelle già in uso, mettendo alla prova le modalità tradizionali di funzionamento del mercato e ridisegnando i confini segnati per creare mercati e settori nuovi.

10.2.2. Le strategie generiche nei mercati esistentiLe strategie generiche variano a seconda del tipo di vantaggio competitivo ricercato, cioè in base al fatto che dipendano dalla produttività (e quindi da un vantaggio di costo) o da un elemento di differenziazione (e quindi siano basate su un premium price). Porter ipotizza che vi siano quattro strategie competitive generiche per superare la concorrenza delle altre aziende in un dato settore: la differenziazione, il dominio di costo, la concentrazione con differenziazione e la focalizzazione sui costi. La strategia di dominio attraverso i costi comporta un attenzione costante a tutte le tipologie di costo. La strategia di differenziazione si propone di conferire al prodotto caratteristiche distintive importanti per il cliente, creando un offerta percepita come unica. Come si è già avuto modo di vedere, la differenziazione può assumere forme diverse (design o immagine di marca, tecnologia, caratteristiche, servizio post-vendita, distribuzione, etc.). Rispetto ai concorrenti diretti, la differenziazione isola l’azienda dalla rivalità competitiva, perché accresce la fedeltà alla marca, diminuisce la sensibilità al prezzo e migliora la redditività, rendendo non indispensabile avere costi

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ridotti. Il successo della differenziazione permette quindi di realizzare profitti superiori a quelli dei concorrenti, grazie al prezzo più elevato che il mercato è disposto ad accettare e malgrado i costi, generalmente più alti. Questo tipo di strategia non sempre è compatibile con l’obiettivo di una quota di mercato elevata, in quanto non sempre la maggioranza dei clienti, pur riconoscendo la superiorità del prodotto, è disposta a pagare un prezzo elevato per acquistarlo. Le strategie di differenziazione comportano di norma investimenti consistenti nel marketing operativo, soprattutto in spese pubblicitarie, il cui obiettivo è far conoscere al mercato le qualità distintive rivendicate dall’impresa. Una terza strategia di base è quella dello specialista che si concentra sui bisogni di un segmento, di un gruppo particolare di clienti o di un mercato geograficamente limitato, senza pretendere di rivolgersi a tutto il mercato. L’obiettivo è quindi quello di scegliere un target ristretto e soddisfare i suoi bisogni specifici meglio dei concorrenti che si rivolgono alla totalità del mercato.

10.3. Le strategie di crescitaUn impresa può definire un obiettivo di crescita a tre livelli diversi: o crescita intensiva: nell’ambito del mercato di riferimento in cui opera; o crescita integrata: nell’ambito della filiera industriale, attraverso un estensione laterale, a

monte o a valle della sua attività di base; o crescita per diversificazione: nell’ambito di opportunità esterne al suo campo di attività

abituale.A ciascuno di questi obiettivi di crescita corrisponde un certo numero di strategie possibili.

10.3.1. Le strategie di crescita intensivaLa strategia di crescita intensiva è giustificata per un impresa che non ha ancora sfruttato completamente le opportunità offerte dai prodotti di cui dispone nei suoi mercati naturali di riferimento. Ne sono possibili diverse versioni: penetrazione del mercato, sviluppo attraverso i mercati e sviluppo attraverso i prodotti. Una strategia di penetrazione del mercato consiste nel cercare d incrementare o mantenere le vendite dei prodotti attuali nei mercati esistenti. Per realizzarla, si possono seguire diverse vie:o sviluppo della domanda primaria, allo scopo di aumentare la dimensione del mercato totale;o aumento della quota di mercato, a scapito della concorrenza. Iniziative di questo tipo si

osservano principalmente nei mercati in cui la domanda non è più espandibile;o acquisizione di mercati, che consiste nell’aumentare la quota di mercato con una strategia di

acquisizioni;o difesa di una posizione di mercato mediante il rafforzamento del marketing operativo;o razionalizzazione del mercato, al fine di ridurre i costi e aumentare l’efficacia del marketing

operativo;o organizzazione del mercato, consistente nell’influenzare il livello di competitività di un settore

per cercare di migliorare la redditività. Una strategia di sviluppo incentrata sui mercati si propone di aumentare le vendite introducendo i prodotti dell’impresa su mercati nuovi o futuri.

Ci sono quattro approcci diversi per arrivare al medesimo risultato:o Il primo approccio consiste nel proporre soluzioni a bisogni che i consumatori non hanno

ancora percepito o espresso. In questo caso l’obiettivo è attirare i consumatori con nuovi prodotti e creare mercati nuovi.

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o Il secondo approccio prevede che l’impresa si rivolga a nuovi segmenti di clienti (non serviti) nello stesso mercato geografico.

o Il terzo approccio consiste nell’introdurre il prodotto in una rete di distribuzione diversa, complementare a quelle esistenti.

o Il quarto approccio si basa sull’espansione geografica in altre aree e altri Stati. In genere le strategie di sviluppo incentrate sui mercati si basano essenzialmente sulle conoscenze distributive e sulla capacità di marketing dell’impresa. A sua volta, una strategia di sviluppo incentrata sui prodotti si propone di aumentare le vendite perfezionando i prodotti o sviluppandone di nuovi per destinarli ai mercati già serviti dall’impresa. Le possibilità sono molteplici: innovazioni di rottura, aggiunta di caratteristiche (in modo da ampliare il mercato), estensione della gamma dei prodotti, rinnovo di una linea di prodotti, miglioramento della qualità, acquisizione di una gamma di prodotti, razionalizzazione di una gamma di prodotti. L’elemento su cui fa leva questa strategia di crescita è quindi essenzialmente il settore della R&S. Queste strategie sono in genere più costose e rischiose delle strategie di sviluppo incentrate sui mercati.

10.3.2. Le strategie di crescita integrataUna strategia di crescita integrata ha una sua ragion d’essere in un impresa che sia in grado di migliorare la propria redditività controllando diverse attività d’importanza strategica, situate nella filiera industriale a cui appartiene. Si distinguono strategie d’integrazione verticale (integrazione a monte e integrazione a valle) e strategie d’integrazione orizzontale. Una strategia d’integrazione a monte è generalmente alimentata dall’intento di consolidare, o difendere, una fonte d’approvvigionamento d’importanza strategica. Un altro obiettivo può essere quello di assicurarsi l’accesso a una tecnologia nuova ed essenziale al successo dell’attività di base. Una strategia d’integrazione a valle, dal canto suo, ha come motivazione di base quella di garantire all’impresa il controllo degli sbocchi vitali per la sua stessa esistenza. Una strategia d’integrazione orizzontale, per contro, si colloca in una prospettiva molto diversa. L’obiettivo è quello di rafforzare la posizione concorrenziale, assorbendo o controllando determinati concorrenti. Una strategia di crescita incentrata sulla diversificazione, a sua volta, appare giustificata quando la filiera industriale della quale l’impresa fa parte non presenta più alcuna opportunità di crescita o di redditività. Tale situazione si verifica perché la concorrenza occupa una posizione troppo forte o perché il mercato di riferimento è in declino. Una strategia di diversificazione comporta l’ingresso su prodotti-mercati nuovi per l’impresa. Come tale, questo tipo di strategia è più rischiosa, perché implica un salto nel buio più marcato. Si distingue tra diversificazione concentrica e diversificazione pura. In una strategia di diversificazione concentrica, l’impresa esce dalla sua filiera industriale e commerciale, e cerca di aggiungere attività nuove, complementari a quelle esistenti sul piano tecnologico e/o commerciale. L’obiettivo è quello di beneficiare degli effetti sinergici dovuti alla complementarietà dell’attività, allargando così il mercato di riferimento dell’impresa. In una strategia di diversificazione pura, l’impresa entra in attività nuove, che non hanno collegamenti con le sue attività tradizionali, tanto sul piano tecnologico quanto su quello commerciale. Le strategie di diversificazione pura sono sicuramente le più complesse e rischiose, poiché conducono l’impresa su terreni completamente nuovi, con notevole dispendio di risorse umane e finanziarie.

10.3.3. L’impatto delle innovazioni tecnologiche di rotturaSul fronte tecnologico, in parallelo con la globalizzazione, si osserva una convergenza dei mercati indotta da innovazioni tecnologiche di rottura, che sconvolgono i tradizionali confini del mercato e cambiano la definizione stessa del settore. Per innovazioni di rottura si intendono quelle che

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cambiano le regole del gioco competitivo, che sono diverse da quelle adottate dai leader di settore e in conflitto con esse. La rapida innovazione tecnologica ha inoltre influenzato fortemente le strategie d’innovazione. Si distingue spesso tra un innovazione voluta dal mercato (market-pull), che soddisfa bisogni articolati conosciuti, e un innovazione proveniente dalla tecnologia o dall’impresa (technology-push o company-push), che deriva dalla ricerca, dalla creatività, dalle opportunità tecnologiche, e che mira a soddisfare bisogni latenti. Nel primo caso l’obiettivo consiste nel trovare dei desideri e soddisfarli: la domanda primaria è latente e il compito dell’impresa è svilupparla e stimolarla attraverso il marketing operativo. In questo caso si parla di marketing strategico di risposta. Nel secondo caso, quando si parla di innovazioni company-push, i prodotti o servizi proposti spesso anticipano i bisogni espressi dal mercato. Con le innovazioni dette di rottura, i confini del mercato non sono ben definiti, i bisogni non sono articolati, lo scenario competitivo è confuso e spesso l’innovazione sconvolge le normali pratiche operative. In questa situazione, la domanda fondamentale è se esista la necessità, nel mercato di riferimento, di un innovazione spinta dall’impresa. Nei Paesi industrializzati, è in genere la seconda situazione a prevalere ed a generare la maggioranza delle opportunità di crescita. Il ruolo del marketing operativo in questo caso è più rischioso, poiché la domanda primaria va creata da zero.

10.4. Scelta delle strategie competitiveSi distinguono quattro diverse tipologie di strategie competitive, in base alla consistenza della quota di mercato detenuta: o strategia del leader;o strategia dello sfidante;o strategia del follower;o strategia dello specialista.

10.4.1. Le strategie del leader di mercatoL’impresa leader in un prodotto-mercato è quella che occupa la posizione dominante ed è riconosciuta come tale dai concorrenti. La strategia che deriva in via più immediata dalla responsabilità di leader consiste nello sviluppo della domanda primaria: sforzarsi di individuare nuovi utenti del prodotto, di promuovere nuove forme d’impiego dei prodotti esistenti. Questo tipo di strategia si osserva soprattutto nelle prime fasi del ciclo di vita del prodotto, quando la domanda primaria è espandibile e la tensione competitiva è conseguentemente bassa. Una seconda strategia tipica dell’impresa che detiene una quota di mercato elevata è di tipo difensivo: il suo obiettivo è proteggere la quota di mercato, contrastando l’attività dei concorrenti più pericolosi. Spesso questa strategia viene adottata dall’impresa innovatrice che, una volta aperto il mercato, si vede aggredita dai concorrenti che la imitano. Si possono adottare diverse strategie di difesa:

o l’innovazione e il vantaggio tecnologico, in modo da scoraggiare la concorrenza; o il consolidamento del mercato grazie a una distribuzione intensiva e ad una politica di

gamma volta a coprire tutti i segmenti; o il confronto diretto attraverso la guerra dei prezzi o la lotta pubblicitaria.

Una terza possibilità offerta all’impresa dominante risulta dall’ampliamento della propria quota di mercato mediante una strategia aggressiva. L’obiettivo, in questo caso, è trarre il massimo beneficio dall’effetto di esperienza e migliorare così la redditività. Questa strategia poggia sull’ipotesi dell’esistenza di una relazione tra la quota di mercato e la redditività. Se da un lato l’impresa ha interesse ad accrescere la sua quota di mercato, dall’altro, tuttavia, esiste un limite al di là del quale il costo di un ulteriore aumento della quota di mercato diventa proibitivo, anche a livello generale (interventi della pubblica autorità a tutela della libera concorrenza). Una quarta

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strategia che l’impresa leader è talvolta portata a considerare è quella che comporta una riduzione volontaria della sua quota di mercato, al fine di evitare le accuse di monopolio o quasi monopolio.

10.4.2. Le strategie dello sfidanteL’impresa che non domina un prodotto-mercato può scegliere o di attaccare il leader ed essere il suo sfidante oppure di adottare un comportamento da follower, allineandosi alle decisioni prese dall’impresa dominante. Lo sfidante adotta dunque strategie aggressive, con l’obiettivo dichiarato di prendere il posto del leader. I due problemi chiave che lo sfidante deve affrontare sono la scelta del campo di battaglia sul quale attaccare l’impresa leader e la valutazione della capacità di reazione di quest’ultima. Nella scelta del campo di battaglia, lo sfidante ha due possibilità: o l’attacco frontale, che però è molto rischioso e richiede un rapporto di forze nettamente a

favore dell’attaccanteo l’attacco laterale, che consiste in genere nel tentativo di colpire il leader là dove è debole o

impreparato. La strategia classica di uno sfidante consiste nell’attaccare l’impresa leader sul piano del prezzo, offrendo lo stesso prodotto, ma a un prezzo assai inferiore. Il rischio di una strategia imperniata esclusivamente su una guerra di marketing è quello di dedicare tutte le proprie risorse a sconfiggere la concorrenza, con la possibilità di perdere di vista l’obiettivo di soddisfare i bisogni dei clienti. Occorre dunque mantenere un giusto equilibrio tra queste due esigenze.

10.4.3. Le strategie del followerIl follower come detto è il concorrente che, disponendo di una quota di mercato ridotta, assume un comportamento adattivo, allineandosi alle decisioni prese dai concorrenti. Invece che attaccare il leader, queste imprese perseguono un obiettivo di coesistenza pacifica, adottando un atteggiamento conforme a quello del leader riconosciuto dal mercato. Questo tipo di comportamento si osserva principalmente nei mercati oligopolistici, in cui le possibilità di differenziazione sono scarse, al punto che nessun concorrente ha interesse ad avviare una lotta che rischia di danneggiare la totalità delle imprese presenti. La decisione di adottare un comportamento da follower non dispensa l’impresa dal possedere una strategia competitiva, anzi la rende ancora più importante, a condizione ovviamente che non provochi rappresaglie da parte del leader del mercato.

10.4.4. Le strategie delle nicchie di mercato dello specialistaQuesta è una classica strategia di concentrazione, basata sullo specializzarsi in una nicchia. Una nicchia è redditizia e durevole quando presenta cinque caratteristiche: o presenta sufficienti potenzialità di profitto; o possiede un potenziale di crescita; o è poco attraente per la concorrenza; o corrisponde alle competenze distintive dall’impresa; o dispone di barriere difendibili all’entrata. Per l’impresa che cerca di specializzarsi, il problema è quello di individuare la caratteristica su cui costruire la sua specializzazione.

10.5. Le strategie di sviluppo internazionaleVari possono essere gli obiettivi perseguiti da una strategia di sviluppo a livello internazionale. Un impresa, per cominciare, può ambire ad ampliare il proprio mercato potenziale, oppure avere necessità di prolungare il ciclo di vita del prodotto, o di diversificare il rischio commerciale. Il processo di internazionalizzazione di un impresa non è breve, ma è suddiviso in varie tappe. La

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prima e più comune tappa consiste nell’esportazione. La seconda tappa è quella contrattuale, in cui l’impresa va alla ricerca di accordi a lungo termine per stabilizzare i suoi sbocchi. La terza è lo stadio partecipativo, che sfocia nella creazione di società commerciali e nella produzione in comproprietà. Da qui si può passare e siamo così alla quarta tappa all’investimento diretto su una filiale controllata. Segue lo stadio della nascita di una filiale autonoma. L’ultima fase è quella dell’impresa globale, che è quella che gestisce il mercato internazionale come se si trattasse di un unico e solo mercato.

CAPITOLO 11Le decisioni di lancio di nuovi prodotti11.1. Il ruolo strategico dell’innovazioneLe decisioni d’innovazione sono complesse e rischiose, ma di vitale importanza per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’impresa.

11.1.1. Componenti di un innovazioneUn innovazione può essere scomposta in tre elementi: un bisogno da soddisfare o una funzione da espletare; il concetto di un oggetto o di un entità che soddisfa il bisogno; l’insieme degli input, comprendenti conoscenze esistenti, materiali e tecnologia disponibile, che danno modo al concetto di diventare operativo. Il grado di rischio associato all’innovazione dipende dunque da due fattori: o da una parte, il grado di originalità e complessità del concetto, che determinerà la ricettività

del mercato e i costi di trasferimento a carico dell’utente (rischio di mercato); o dall’altra, il grado di innovazione tecnologica legato al nuovo concetto, che determinerà la

fattibilità tecnica dell’innovazione (rischio tecnologico). A questi fattori di rischio intrinseco deve essere aggiunto il grado di familiarità dell’impresa con il mercato e la tecnologia in questione (rischio strategico). Una vera innovazione è rappresentata da un prodotto, un servizio o un concetto che fornisca una soluzione nuova ai problemi del consumatore, sia migliorando le soluzioni esistenti proposte dai concorrenti sia aggiungendo una funzione nuova o diversa.

11.1.2. Innovazioni market-pull o technology-pushCome già detto occorre distinguere tra innovazioni richieste dal mercato (market-pull), quelle cioè che rispondono direttamente ai bisogni osservati, e innovazioni spinte dalla tecnologia (technology-push), che sono il risultato dell’impegno del reparto R&S e soddisfano bisogni latenti. Si tratta di una distinzione importante, poiché tipologie d’innovazione diverse richiedono strategie di marketing diverse: la prima implica infatti un marketing strategico di risposta, mentre la seconda implica un marketing strategico proattivo. In ogni caso, è necessario un forte orientamento al mercato.

11.2. L organizzazione del processo di sviluppo dei nuovi prodottiStando a quanto scritto nel paragrafo precedente, è chiaro che il lancio di una nuova attività è un operazione ad alto rischio. Tuttavia, questo rischio può essere notevolmente ridotto dall’impresa mediante la creazione di una procedura sistematica di valutazione e sviluppo dei nuovi prodotti. In un impresa orientata al mercato, il lancio di un prodotto rappresenta la situazione tipo in cui il coordinamento interfunzionale assume la massima importanza, perché non coinvolge solo la

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funzione marketing, ma tutta l’organizzazione. Occorre dunque prevedere la creazione di una struttura organizzativa ad hoc.

11.2.1. Le strutture organizzative interfunzionaliLa formula organizzativa più semplice è quella dell’istituzione di un comitato incaricato di sviluppare un progetto specifico, dalla nascita dell’idea fino alla fase di lancio. L’obiettivo è quello di istituzionalizzare nell’impresa l’attenzione verso i nuovi prodotti, nel modo il più flessibile possibile, onde favorire al massimo un approccio imprenditoriale ai problemi. I possibili processi di sviluppo di un nuovo progetto o prodotto adottati dalle imprese innovative sono due: il processo di sviluppo sequenziale e il processo di sviluppo parallelo.

11.2.2. Il processo di sviluppo sequenzialeEsso consiste in una serie di stadi che compongono il progetto, il quale passa da uno stadio all’altro, dall‘elaborazione concettuale fino alla produzione. Si tratta tuttavia di un processo lento. In effetti, alla base del processo di sviluppo sequenziale si pone una filosofia della lentezza che non è utile per ottenere un vantaggio competitivo, mentre la velocità, per contro, lo è.

11.2.3. Il processo di sviluppo paralleloQuesto processo si propone di ovviare agli inconvenienti testé citati puntando sulle interazioni spontanee tra i vari componenti del team di sviluppo. In effetti, si tratta di un processo più interfunzionale, più rapido e maggiormente controllato.

11.3. La generazione di idee di nuovi prodottiLe idee relative a nuovi prodotti non nascono da sole, ma devono essere generate. I metodi in grado di generare idee di nuovi prodotti possono essere raggruppati in due ampie categorie: a) i metodi di analisi funzionale, che studiano i prodotti al fine di individuarne i possibili miglioramenti; b) i metodi che si rivolgono direttamente ai clienti, per scoprire bisogni insoddisfatti o mal soddisfatti dai prodotti esistenti.

11.3.1. I metodi di analisi funzionaleQuesti metodi sono utili in quanto danno agli stessi utilizzatori di un prodotto la possibilità di suggerire come cambiarlo e migliorarlo.

11.3.2. Gruppi di creatività e brainstorming I metodi che tendono a stimolare la creatività rientrano in due categorie principali: metodi strutturati e non strutturati. I primi si basano essenzialmente su immaginazione e intuizione, e sono in genere adottati sotto forma di gruppi di creatività (come quelli di brainstorming) o ricorrendo al metodo della sinettica.

11.3.3. La generazione di idee di nuovi prodotti da parte dei clientiI metodi di ricerca di idee in precedenza descritti vedono come parte attiva il produttore, ma nei mercati industriali sono spesso i clienti a sviluppare la genesi di nuove idee.

11.4. La selezione delle idee di nuovi prodottiL’obiettivo di questa seconda fase del processo di sviluppo consiste nel valutare le idee generate per eliminare quelle incompatibili con le risorse o con gli obiettivi dell’impresa, o semplicemente non interessanti. Il metodo più comunemente usato è quello della griglia di valutazione, che

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prende in considerazione tutti i più importanti fattori di valutazione, senza privilegiarne alcuno, il tutto nel rispetto degli obiettivi e vincoli propri dell’impresa.

11.5. Lo sviluppo del concetto del nuovo prodottoIl concetto di prodotto può essere definito come una descrizione scritta delle caratteristiche fisiche e percettive del prodotto stesso e del paniere di attributi (la promessa) che rappresenta per un gruppo target di consumatori potenziali. Dal punto di vista dell’impresa, la definizione del concetto descrive il posizionamento ricercato per il nuovo prodotto e precisa i mezzi da impiegare per raggiungere il posizionamento atteso. Dal punto di vista del cliente, invece, la descrizione dei vantaggi offerti all’utente rappresenta l’insieme delle specifiche tecniche per l’elaborazione delle medesime da parte dell’agenzia pubblicitaria incaricata di comunicare al mercato l’identità e le caratteristiche distintive del nuovo prodotto. Il concetto di prodotto definisce quindi il prodotto-mercato di riferimento o il segmento all’interno del quale posizionare il futuro prodotto.

11.5.1. Il test del concetto del nuovo prodottoEsso consiste nel sottoporre la descrizione del concetto del nuovo prodotto ad un gruppo di utenti target per misurarne il grado di accettazione. I risultati di un test di concetto devono tuttavia essere interpretati con cautela, soprattutto quando l’idea è molto nuova. Le valutazioni basate sulle intenzioni d’acquisto, ad esempio, devono essere interpretate con cautela, perché spesso la curiosità per qualcosa di nuovo tende a prevalere sul reale tasso di accettazione. Più significativa, per contro, è la valutazione d’acquisto sostenuta dalla tesi che il nuovo prodotto risponda ad un esigenza insoddisfatta o risolva un problema. Si possono tuttavia adottare anche approcci più elaborati al test di concetto, tra cui l analisi congiunta, che consiste nello studiare l’influenza delle caratteristiche fisiche e percettive di un concetto di prodotto nuovo sulle preferenze dei consumatori. Si ottiene così un informazione che un test tradizionale sul concetto di prodotto non fornisce.

11.6. Analisi di business e programmazione di marketingUna volta sviluppato e accettato il concetto di prodotto da parte della direzione generale, è al marketing che spetta quantificare le opportunità di mercato e lo sviluppo di programmi di marketing. Il primo problema che si pone, e che condizionerà tutto il seguito dell’analisi, è quello di stimare il volume di vendite che potrà essere realizzato nei primi tre anni dal lancio. Questa problematica può essere affrontata ricorrendo a metodi soggettivi (frutto dell’esperienza), studi di fattibilità (frutto della raccolta di informazioni) e metodi basati su test o mercati di prova. Naturalmente un metodo non esclude l’altro. L’evoluzione nel tempo della domanda di un prodotto nuovo sarà diversa a seconda che si tratti di beni strumentali che si acquistano una volta sola, di un bene durevole o di prodotti soggetti ad acquisto ripetuto. Per un bene strumentale acquistato una volta, inizialmente la curva delle vendite previste registra un aumento costante, poi raggiunge il massimo e infine decresce progressivamente, finché non vengono a mancare i clienti potenziali. La domanda di un bene durevole si suddivide in:o domanda di primo acquisto dipende dal tempo ed è determinata da variabili legate al reddito;o domanda di sostituzione. è invece determinata dall’obsolescenza (in senso tecnico, economico

o di stile) del prodotto. Infine, la domanda di prodotti ad acquisto ripetuto si può scomporre in due elementi: acquisto e riacquisto; di questi, il più importante è il riacquisto, che rivela il tasso di soddisfazione dei clienti.

11.7. Il processo di adozione da parte del cliente

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La progettazione del piano di lancio di un nuovo prodotto, per essere efficace, deve basarsi su una buona conoscenza del processo di adozione dell’innovazione seguito dal gruppo target di consumatori. In generale, il processo di adozione si compone di sei fasi: conoscenza, comprensione, atteggiamento, convinzione, prova e adozione. Nell’elaborazione del piano di lancio è dunque importante selezionare le attività di marketing in funzione di queste fasi e seguire l’evoluzione del target lungo l’intero processo di adozione. Il ritmo di diffusione dipenderà dalla natura dell’innovazione. Tale ritmo è influenzato da cinque fattori. o Il primo fattore è costituito dal vantaggio relativo, cioè della misura in cui l’innovazione è

considerata superiore alle alternative esistenti. o Il secondo fattore è costituito dalla complessità, intesa come grado di difficoltà associato

all’idea o al prodotto nuovo. o Il terzo fattore è la compatibilità, vale a dire il grado d inserimento dell’innovazione nelle

abitudini dei potenziali consumatori. Se il prodotto è compatibile con le abitudini esistenti, potrà essere adottato in tempi molto rapidi; in caso contrario, ci sarà un rallentamento nella diffusione del prodotto.

o Il quarto fattore è costituito dalla comunicabilità, intesa come la facilità con cui si riesce a trasmettere al potenziale utilizzatore l’essenza dell’innovazione. Le innovazioni visibili sono quelle più facili da comunicare, mentre le innovazioni che comportano vantaggi a lungo termine sono molto più difficili da promuovere e si diffondono più lentamente.

o Il quinto fattore è costituito dalla verificabilità, che si riferisce alla capacità dell’innovazione di essere provata su scala ridotta prima dell’acquisto.

Un fattore di disturbo, infine, è rappresentato dall’incertezza: quella sulla reale consistenza dei vantaggi annunciati dall’innovatore, specie se sono a lungo termine; quella sui costi di adozione legati all’introduzione dell’innovazione, che di fatto è una forma di resistenza al cambiamento; quella sulle evoluzioni tecnologiche future e sulla durata del ciclo di vita dell’innovazione.

11.8. Il prezzo dei nuovi prodottiTanto più un prodotto è originale e innovativo, quanto più è sensibile al prezzo. Il prezzo di lancio è allora fondamentale e condiziona il successo commerciale e finanziario dell’operazione. Dopo aver proceduto all’analisi dei costi, della domanda e della concorrenza, l’impresa deve scegliere fra due strategie nettamente contrapposte: un prezzo iniziale elevato, che scremi l’estremità superiore del mercato;un prezzo iniziale ridotto, che consenta una penetrazione rapida e vigorosa del mercato. La strategia del prezzo di scrematura consiste nel vendere il nuovo prodotto a un prezzo elevato, rivolgendosi volutamente all’estremità superiore della curva di domanda, in modo da garantirsi rapidamente, dopo il lancio, rientri finanziari consistenti. Un prezzo di lancio elevato consente di scremare i clienti poco sensibili al prezzo, mentre successive riduzioni consentono di raggiungere segmenti in cui la domanda è più elastica. Per risultare efficace, l’introduzione di un nuovo prodotto richiede grandi investimenti pubblicitari e promozionali: quando l’impresa non dispone della liquidità necessaria, applicare prezzi elevati costituisce una forma di finanziamento che permette di generare le risorse necessarie alla strategia di lancio. La strategia del prezzo di penetrazione consiste invece nel praticare prezzi bassi per occupare fin dall’inizio una quota di mercato rilevante. Tale strategia presuppone di adottare un sistema di distribuzione intensivo, di sviluppare la ricettività del mercato attraverso azioni pubblicitarie consistenti e, soprattutto, di predisporre un adeguata capacità produttiva fin dal lancio del prodotto. L’ottica, in questo caso, è più commerciale che finanziaria. Vi sono, peraltro, alcune condizioni generali da soddisfare: in primo luogo, la domanda deve essere elastica al prezzo in tutta la curva della domanda. In questo caso non esiste un segmento da privilegiare e la sola strategia da adottare consiste nel rivolgersi

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alla totalità del mercato con un prezzo sufficientemente basso da adattarsi al maggior numero di clienti. La strategia del prezzo di penetrazione è più rischiosa della strategia di scrematura. Se l’impresa prevede che occorra un lungo periodo di tempo per rendere redditizio il prodotto, è possibile che nel frattempo entrino nel mercato nuovi concorrenti, in grado di conseguire, grazie a nuove tecniche di produzione, un vantaggio competitivo di costo sull’impresa innovatrice.

11.9. La valutazione del rischio finanziarioIl lancio di un nuovo prodotto è un processo di decisione strategica che chiama in causa tutte le funzioni dell’impresa, non solo quella di marketing. Il suo successo dipende essenzialmente dalla sincronizzazione e dal coordinamento tra le attività dei diversi reparti coinvolti, nonché dal tempo. Per garantire un buon coordinamento è necessario disporre di uno strumento di analisi che permetta di seguire costantemente la realizzazione delle diverse fasi del progetto e di misurare la sua conformità agli obiettivi di redditività e tempo stabiliti. Ogni volta che si lancia un prodotto, è importante stabilire il più precisamente possibile quando sarà eliminato il rischio. Come si può vedere nella Figura 11.6 (p. 316), esistono tre livelli di rischio: o il primo livello è il punto di pareggio semplice, cioè il momento in cui la nuova attività esce

dalla fase di perdita ed entra in quella di guadagno. o Il secondo livello è il punto di equilibrio globale, cioè il momento in cui le entrate globali

attualizzate coprono le spese globali attualizzate: l’impresa ha recuperato il suo investimento. o Il terzo livello, infine, è il punto di acquisizione del capitale produttivo, cioè il momento in cui

la nuova attività genera un surplus finanziario. Per scegliere uno dei diversi progetti di nuovi prodotti si utilizza l’indice del periodo di recupero dell’investimento (payback, espresso in anni), che permette di capire quando recupererò il denaro investito

CAPITOLO 12La gestione della marca12.1. Il ruolo strategico della marcaLe marche sono da tempo considerate una risorsa strategica-chiave nel mercato dei beni di largo consumo. In base alle definizioni ufficiali, la marca è un nome, un termine, un simbolo, un design, o una combinazione di questi elementi, che ha l’obiettivo di identificare beni e servizi di un venditore o gruppo di venditori, differenziandoli da quelli dei concorrenti. Un prodotto di marca è formato da un insieme di attributi tangibili e intangibili, da un servizio di base e dai servizi supplementari, oltre a un insieme di associazioni mentali. Con quest’ultimo termine si intendono gli attributi intangibili legati alla personalità, ai valori simbolici o emozionali, tutte caratteristiche registrate dalla mente del consumatore e che formano quella che viene definita identità di marca. Le marche sono ormai ovunque ed esistono perché generano una fiducia basata sulla stretta relazione sviluppata nel corso degli anni con i consumatori.

12.2. Il prodotto di marca come paniere di attributiUna marca è percepita dal cliente potenziale come un paniere di attributi e di associazioni mentali che, insieme, formano gli elementi distintivi dell’identità di marca. I diversi elementi costitutivi del modello concettuale di una marca sono ripresi nella Tabella 12.1 (p. 329). Le caratteristiche oggettive sono quelle caratteristiche, molto spesso tecniche, che producono gli attributi o vantaggi perseguiti e che costituiscono la scheda tecnica di una marca. Di solito intervengono diverse caratteristiche oggettive nella determinazione del vantaggio ricercato. Per attributo si intende invece il vantaggio o beneficio ricercato dal cliente e utilizzato come criterio di selezione. In genere i clienti prendono in considerazione molteplici attributi per valutare una marca: attributi funzionali

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e tangibili (potenza, comfort, etc.) o anche attributi intangibili (fiducia, affidabilità, etc.). Ogni marca costituisce un paniere specifico di attributi, dato che essi sono presenti a livelli diversi in ciascun paniere. Gli attributi possono essere classificati in base all’impatto che hanno sulla soddisfazione del consumatore. Utilizzando il diagramma di Kano, riportato nella Figura 12.1(p. 330), è possibile distinguere tre tipologie di attributi: gli attributi di base, quelli di performance e quelli eccitanti/delizianti. GLI ATTRIBUTI DI BASE sono i fattori irrinunciabili che un prodotto deve avere per essere accettato dai consumatori. Se ci sono, vengono a malapena notati, ma, se mancano, possono causare problemi. Se invece si aumentano gli ATTRIBUTI DI PERFORMANCE, la soddisfazione del consumatore aumenta sempre. Questi attributi offrono grandi opportunità di differenziare il livello di valore. In genere il consumatore va alla ricerca di chi offre più attributi di performance. Infine, gli ATTRIBUTI ECCITANTI E DELIZIANTI sono benefici inaspettati e molto apprezzati: se non ci sono, aumentano l’insoddisfazione; favoriscono l’aumento della soddisfazione. Se questi attributi eccitanti sono tangibili, tendono ad avere vita breve, poiché la concorrenza li adotta in fretta. Se si tratta invece di associazioni mentali generate dal prestigio di marca o dal suo posizionamento, essi entrano a far parte dell’identità di marca e diventano assai importanti nei mercati B2C. Non tutti gli attributi assumono la stessa importanza agli occhi del cliente. Al tempo stesso, un attributo può essere ritenuto fondamentale da un potenziale cliente, ma la sua presenza in una determinata marca può anche non essere ben percepita. Le valutazioni relative all’importanza devono quindi essere completate da valutazioni relative al grado di presenza percepito degli attributi. Le persone hanno in genere idee preconcette sugli attributi di performance nelle marche. Tali idee possono anche non corrispondere alla realtà della marca, ma rappresentano le componenti dell’immagine di marca e quindi sono una realtà per l’impresa. Il valore di uno specifico attributo dipende dall’unione di due fattori: il punteggio d’importanza e il suo grado di presenza percepito. Tale valore è detto utilità parziale dell’attributo ed è rappresentato dai valori soggettivi associati a ciascuno dei livelli degli attributi. L’utilità totale di una marca, per un determinato cliente, è quindi considerata uguale alla somma, o al prodotto, delle utilità parziali. L’utilità totale rivela l’atteggiamento di un determinato individuo nei confronti della marca ed è quindi un buon indicatore previsionale delle probabilità d acquisto. Queste informazioni hanno una notevole importanza nell’elaborare una strategia di marca.

12.3. Le funzioni della marcaLa marca svolge un ruolo essenziale nelle economie di mercato, non solo per il consumatore ma anche per il produttore.

12.3.1. Le funzioni della marca per il cliente nei mercati B2Ca) funzione di orientamento delle scelte del cliente;b) funzione di praticità, facilmente memorizzabile e riconoscibile, la marca permette al cliente di adottare un comportamento d acquisto abitudinario e di ridurre così il tempo dedicato all’attività d acquisto;c) funzione di garanzia, la marca rappresenta un patto stretto tra il suo proprietario e il consumatore: più una marca è conosciuta, più tale patto è vincolante, dato che il produttore non può permettersi di deludere il suo mercato e di perdere il capitale di notorietà accumulato dalla sua marca;d) funzione di personalizzazione, le marche consentono ai clienti di esprimere le loro diversità, di far conoscere la loro personalità tramite le scelte effettuate. Vista in tale prospettiva, la marca è un mezzo di comunicazione sociale che permette ai clienti, privilegiando determinati attributi nelle loro scelte, di far sapere chi sono e qual è il loro sistema di valori;

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e) funzione ludica, nelle società opulente, dove i bisogni di base dei consumatori sono ben soddisfatti, il bisogno di novità e di stimolo diventa una necessità vitale.

12.3.2. Le funzioni della marca per il produttore nei mercati B2Ca) Funzione di posizionamento, la marca dà all’impresa la possibilità di posizionarsi rispetto ai concorrenti e di far conoscere al mercato le qualità distintive che essa rivendica per il suo prodotto;b) Funzione di comunicazione, la marca è di rilevanza strategica per i produttori, giacché consente all impresa di comunicare direttamente con i consumatori finali;c) Funzione di protezione, i diritti di proprietà (marchi registrati, brevetti e copyright) proteggono l impresa contro eventuali imitazioni e contraffazioni, il che consente all’impresa stessa di tutelarne la proprietà industriale;d) Funzione di capitalizzazione, sulla marca, e in particolare sull’immagine di marca, si sedimenta tutta la storia dell’impresa. Normale dunque che essa rappresenti, per il fabbricante, un capitale intangibile, sfrutto di svariati anni di investimenti.e) Funzione di fedeltà, l’esistenza della marca permette di creare una relazione con i clienti, che vorranno riacquistarla. Per potersi sviluppare a lungo termine, è essenziale che l azienda abbia un gruppo di consumatori fedeli.f) Funzione di barriera all’entrata, l’insieme delle funzioni elencate trasforma le marche in barriere all’ingresso di nuovi concorrenti sul mercato.

12.3.3. Le funzioni della marca nei mercati B2BNel loro insieme, le funzioni della marca per l’impresa del settore B2B sono simili a quelle descritte per le marche dei prodotti di largo consumo, ad eccezione della funzione ludica. Esistono tuttavia altre differenze, dovute in particolare a due caratteristiche proprie dei mercati industriali: l’acquistabilità e la visibilità. La marca industriale, che si rivolge agli interlocutori professionisti delle aziende clienti, non è necessariamente visibile né talvolta acquistabile dal cliente finale. Più specificatamente, l’acquistabilità può essere definita come la possibilità, per il grande pubblico, di acquistare o meno il prodotto industriale, considerandolo isolatamente e non associato al prodotto finale. La visibilità globale della marca, invece, può essere definita come la possibilità, per il grande pubblico, di conoscere la marca di un bene industriale, sia attraverso la visione diretta della marca stessa sia attraverso un azione di comunicazione. La funzione di rintracciabilità indica la possibilità di seguire le tracce del prodotto incorporato e identificare parti e componenti del prodotto finale. La rintracciabilità è dunque una risposta della marca, da parte del fornitore, all’aspettativa di rassicurazione del cliente industriale per se stesso e per i suoi clienti. La funzione di facilitazione, dal canto suo, si articola in quattro categorie diverse: o la prima riguarda la capacità della marca di migliorare il processo di produzione dell’impresa

cliente tramite una manutenzione di livello superiore o una migliore gestione della qualità; o la seconda riguarda la capacità della marca di un fornitore di migliorare la concezione del

prodotto finale dell’impresa cliente; o la terza fa riferimento alla capacità della marca del fornitore di fornire una motivazione

commerciale o un profilo distintivo grazie alla sua fama; la quarta riguarda la capacità di aumentare il grado di accettazione dei cambiamenti concernenti processi o nuovi materiali.

12.4. Concetti chiave nella gestione della marcaIl concetto di marca non riguarda solo l’immagine e la comunicazione, ma anche prodotti e servizi di qualità superiore, che fanno di tutto per rimanere al top.

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12.4.1. Il posizionamento della marcaL’azienda decide il posizionamento futuro della marca fin dalle prime fasi di elaborazione. La decisione viene presa dopo aver attentamente analizzato il mercato, i consumatori e i concorrenti.

12.4.2. L’identità di marcaIl concetto di identità di marca si avvicina a quello di posizionamento ma è più completo, perché comunica altri elementi propri della marca e strategicamente importanti per il suo sviluppo. Kapferer ha elaborato il prisma dell’identità di marca (Figura 12.2. p. 337), che definisce l’identità di marca attraverso le sei facce di questa figura:o Aspetto fisico: gli attributi tangibili della marca;o Personalità;o Cultura: l’insieme dei valori su cui la marca è costruita;o Relazione: lo stile della relazione tra la marca e i consumatori;o Riflessione: il modo con cui i consumatori che utilizzano la marca desiderano essere visti;o Immagine di sé: l’immagine che le persone hanno di sé quando utilizzano la marca.Il concetto dell’identità di una marca viene utilizzato nell’elaborazione dei messaggi pubblicitari.

12.4.3. L’immagine di marcaIl posizionamento e l’identità di marca sono concetti del produttore, sono stati creati dai venditori e non devono essere confusi con l’immagine di marca, che è la percezione dell’identità di marca nella mente dei consumatori. L’identità di marca e l’immagine di marca possono essere molto diverse. Conoscere a fondo l’immagine di marca, i suoi punti di forza e di debolezza così come vengono percepiti dal mercato, è una premessa indispensabile per qualsiasi strategia di posizionamento e comunicazione. A tale proposito, è utile stabilire una distinzione tra i tre livelli di analisi dell’immagine di marca. o Il primo livello corrisponde all’immagine percepita, cioè al modo in cui il segmento di

riferimento vede e percepisce la marca. Si tratta di una prospettiva dall’esterno verso l’interno. o Il secondo livello è una prospettiva del tutto interna e fa riferimento all’immagine reale, cioè

all’immagine della marca, con i suoi punti di forza e di debolezza. o Il terzo livello, infine, riguarda l immagine desiderata della marca. Tale immagine deriva da una

decisione di posizionamento o da una scelta di identità.

12.4.4. Il concetto di brand equityIl concetto in questione esprime la forza di una marca, che può essere molto diversa a seconda della marca considerata e che è legata alla sua notorietà, alla qualità percepita, alla posizione, al valore di Borsa. Il concetto è stato creato perché i dati tradizionali (quota di mercato o volume di vendita) non erano sufficienti a descrivere il valore di una marca e non prendevano in considerazione le associazioni presenti nella mente del consumatore. Il concetto è bipolare: da un lato è una definizione economica utile a valutare il valore finanziario della marca (brand equity finanziaria); dall’altro esso riguarda il valore della marca dal punto di vista dei consumatori (brand equity del consumatore) ed è composto dall’insieme delle associazioni che vengono fatte dai consumatori, le quali generano la forza della marca.

12.5. Costruire una marca di successoLe decisioni inerenti la marca costituiscono l’interfaccia tra il marketing operativo e quello strategico. Attribuire una marca a un prodotto significa farlo uscire dal limbo delle commodities.

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12.5.1. L’architettura della marcaCon architettura della marca si intende il modo in cui le marche che costituiscono il portafoglio di un impresa sono connesse e diversificate tra loro. Esistono tre strategie possibili per creare il nome di una marca:o Strategia della marca aziendale: Questo sistema (stesso nome per tutte le attività aziendali,

come fanno ad esempio Virgin, Sony, Adidas) permette di minimizzare i costi di comunicazione e promozione, dato che tutti i prodotti, avendo lo stesso nome, possono beneficiare della fama e dell’immagine della marca capofila, che viene utilizzata come marca ombrello. Ciò favorisce la memorizzazione; tuttavia, se i prodotti sono troppo diversi o non hanno lo stesso livello di performance, si rischia di incorrere nell’effetto di diluizione della marca.

o Strategia della famiglia di marche: All’estremo opposto, aziende come Unilever e Procter & Gamble si sono concentrate su sottomarche individuali. Questa strategia consente all’impresa di coprire lo stesso mercato con marche diverse o di rivolgersi a segmenti specifici con la marca adatta. Ognuna è indipendente e non ha alcun rapporto con la casa madre. Ciò evita il rischio di effetti associativi negativi, ma rende la promozione molto costosa.

o Strategia della marca garantita. In questo caso le marche, pur rimanendo indipendenti, sono sostenute dalla marca aziendale o dal nome dell’impresa (ad es. Polo Ralph Lauren). Un altro tipo di garanzia prevede l’utilizzo di un nome in qualche modo legato a quello della marca capofila (ad es. Nesquik con Nestlé). Le sottomarche, dal canto loro, sono marche legate alla marca ombrello con associazioni diverse o maggiori, come nel caso del Walkman Sony. Regola comune per una sottomarca è estendere la marca capostipite a un nuovo segmento.

12.5.2. Il nome della marca e la selezione del logoTrovare il nome giusto è importante, perché aiuta a comunicare i benefici e la personalità della marca. Il nome deve corrispondere all’identità, deve essere semplice e facile da memorizzare, deve essere internazionale. Il logo, dal canto suo, rappresenta per una marca una sorta di bandiera e certe marche sono così forti che vengono riconosciute solo dal logo.

12.5.3. Le caratteristiche delle marche di successoDoyle ha identificato cinque caratteristiche principali di una marca di successo: in primo luogo la qualità; poi essere al primo posto nel mercato; in terzo luogo avere un posizionamento unico; in quarto luogo disporre di un solido programma di comunicazione; infine il tempo, poiché costruire una marca di successo richiede tempo e investimenti, che permettano di adattare la marca all’evoluzione del mercato.

12.5.4. Il ciclo di vita di una marcaTale ciclo si basa su cinque fasi: lancio, conferma, consolidamento, allargamento e posizione orbitale. Deve essere chiaro, tuttavia, che il ciclo di vita di una marca è determinato principalmente da fattori che sono sotto il controllo dell’impresa, come la strategia di marketing adottata e gli sforzi compiuti.

12.5.5. L’estensione della marca e le strategie di allargamentoUtilizzare una strategia di estensione della marca significa usare il nome di una marca già ben posizionata all’interno di un segmento per penetrare un altro segmento dello stesso mercato. Al contrario, utilizzare una strategia di allargamento della marca significa trasferire il nome di una marca che ha avuto successo a mercati diversi (è la strategia adottata da Canon per spaziare dalle macchine fotografiche a fotocopiatrici, stampanti, etc.). Negli ultimi anni le aziende hanno fatto ampio ricorso a queste strategie e ciò è avvenuto principalmente per ragioni di costo, in quanto i

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costi necessari a introdurre nuove marche sul mercato ed a sostenerle sul piano pubblicitario sono altissimi. La questione fondamentale è capire quanto si possa dilatare una marca senza correre rischi (di cui il principale è quello di diluire l’immagine della marca capofila). La scelta tra un estensione di marca e l’utilizzo di marche individuali deve essere guidata da somiglianze nei vantaggi competitivi e nel segmento di mercato target. Se le marche mirano allo stesso segmento target e hanno lo stesso vantaggio competitivo, è giusto scegliere una strategia di estensione pura della marca. Se il vantaggio competitivo è il medesimo, ma i mercati target diversi, la marca può essere estesa ma va qualificata, in modo da inviare un segnale al segmento target.

12.5.6. Strategie di co-brandingIl co-branding consiste nell’associare i nomi di due marche per la commercializzazione di un solo prodotto o per una promozione. Il primo valore aggiunto di questa strategia è la possibilità data a ciascuno dei componenti della coppia di beneficiare anche della fama dell’altro, allargando il proprio target di consumatori a quelli della marca partner. In taluni casi vi è anche la possibilità di accedere a mercati nuovi, usando la rete di distribuzione dell’altra marca. Il co-branding deve essere ponderato con cura, in quanto ricco di opportunità e rischi. Esso può avere una dimensione strategica o tattica.

12.6. Strategia di marca a livello internazionaleNell’attuale economia globalizzata, le aziende tendono a concentrarsi sulla creazione di marche internazionali in quanto queste offrono cospicui vantaggi, permettendo di generare consistenti economie di scala e quindi significative riduzioni di costi in tutte le aree di attività (R&S, produzione, logistica). Di conseguenza, molte marche locali, anche eccellenti, sono state eliminate, benché spesso rispondessero meglio ai bisogni locali e si dimostrassero decisamente più flessibili delle marche globali. Tuttavia è sbagliato creare una contrapposizione radicale ed è preferibile ricercare una soluzione intermedia, capace di conciliare i due approcci: partendo dalle due posizioni estreme di marca e posizionamento a livello globale, e di marca e posizionamento a livello locale, si possono infatti trovare soluzioni intermedie basate, da un lato, sulla marca a livello globale e il posizionamento locale o, all’inverso, la marca a livello locale e il posizionamento armonizzato a livello globale.

12.6.1. La gestione del portafoglio delle marchePoiché molte aziende possiedono diverse marche, la gestione delle medesime è una questione di grande rilievo. Per gestire accuratamente un portafoglio marche, un azienda deve seguire alcune indicazioni:Ad ogni marca l azienda dovrebbe garantire lo stesso livello di risorse (economiche, di vendita, di R&S);Essa dovrebbe sapere poi, con precisione, quali marche sviluppare, quali eliminare, quali estendere e quali acquisire.

CAPITOLO 13Le decisioni di distribuzione13.1. Il ruolo economico dei canali di distribuzioneUn canale di distribuzione può essere definito come una struttura formata da partner interdipendenti che mettono beni e servizi a disposizione dei consumatori o delle imprese industriali utenti. Questi partner sono i produttori, gli intermediari e i consumatori finali. I canali di distribuzione sono strutture organizzate che assolvono le funzioni necessarie a facilitare gli scambi

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commerciali. Il loro ruolo in un economia di mercato consiste nel rendere disponibili i prodotti dove e quando ce ne sia bisogno.

13.1.1. I compiti della distribuzioneLe funzioni dei canali distributivi sono numerose e vanno a beneficio del produttore, del cliente o di entrambi. Per i produttori, i canali distributivi realizzano sette tipi di funzioni, che sono: trasporto, frazionamento, stoccaggio, assortimento, contatto, informazione e promozione.

13.1.2. I flussi di distribuzioneL’esercizio di questi compiti genera dei flussi commerciali fra partner nel processo di scambio. In un canale di distribuzione si possono identificare cinque tipi di flussi: a) il flusso del titolo di proprietà; b) il flusso fisico; c) il flusso degli ordini;d) il flusso dei pagamenti; e) il flusso delle informazioni.Alcuni flussi sono orientati a valle della rete (distribuzione fisica, titolo di proprietà, promozione), altri sono orientati a monte (ordini, pagamenti), altri ancora vanno in entrambi i sensi (informazioni). Nell’organizzare un canale, la questione fondamentale consiste nel conoscere chi eserciterà tali funzioni, tra il produttore, l intermediario e il cliente.

13.1.3. Le ragion d’essere dei canali distributiviLe funzioni distributive non possono essere eliminate, ma più semplicemente trasferite ad altri membri del canale. Ogni innovazione nei canali distributivi riflette in larga parte la scoperta di metodi più efficienti per gestire funzioni o flussi economici corrispondenti. Ci sono diverse forme di efficienza che permettono agli intermediari di espletare le funzioni di distribuzione a costi inferiori rispetto a quanto potrebbe fare il cliente o il produttore. o La prima forma di efficienza richiesta è quella dell’efficienza dei contatti; o La seconda forma di efficienza richiesta è quella delle economie di scala; o La terza forma di efficienza richiesta è quella delle disparità di funzionamento; o La quarta forma di efficienza richiesta è quella del miglior assortimento offerto; o La quinta forma di efficienza richiesta è quella del miglior servizio. La superiorità degli intermediari nel sistema di mercato, però, non è incontrastabile. Un intermediario sopravvive nel canale di distribuzione solo finché gli altri soggetti del processo di scambio ritengono che non ci sia un modo più efficiente per svolgere quella funzione.

13.2. Possibili strutture della rete di distribuzioneProgettare una rete di distribuzione significa decidere le responsabilità che i diversi partecipanti al processo di scambio dovranno assumersi. Nell’ottica dell’impresa, la prima decisione consiste nella scelta di affidare o meno la distribuzione a terzi e, in caso di risposta affermativa, in che misura farlo e a quali condizioni di scambio.

13.2.1. I vari tipi di intermediariCi sono quattro grandi categorie di intermediari che un azienda può includere nelle liste di distribuzione dei suoi prodotti: i grossisti, i dettaglianti, gli agenti e le società di servizi commerciali. o I grossisti non vendono tanto ai singoli consumatori, ma ad altri rivenditori, come dettaglianti

o clienti industriali. 54

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o I dettaglianti vendono beni e servizi direttamente ai clienti finali, che acquistano per proprio consumo e non per fini di vendita. Tuttavia, lo sviluppo dei sistemi di distribuzione integrata (dai grandi magazzini agli hard discount) ha comportato negli ultimi anni un netto calo del numero dei dettaglianti indipendenti.

o Gli agenti, dal canto loro, sono intermediari funzionali che non acquisiscono un diritto di proprietà delle merci che trattano, a differenza delle due categorie precedenti, ma gestiscono la vendita o l’acquisto di prodotti per conto di un mandante. Il loro guadagno è rappresentato da una provvigione, calcolata in base agli acquisti o alle vendite effettuate.

o Le società di servizi, infine, sono società commerciali che assistono le imprese nelle funzioni di distribuzione che esulano da quelle di acquisto, vendita e trasferimento del titolo di proprietà. Per l’impresa si tratta di subappaltatori che svolgono alcuni compiti di distribuzione in virtù della propria specializzazione ed esperienza. Tra esse troviamo le società di trasporto e stoccaggio, le agenzie di pubblicità, gli istituti di ricerche di mercato, gli intermediari finanziari, etc.

Si deve infine ricordare che, con lo sviluppo del commercio on line, sono emerse nuove tipologie di intermediari che svolgono funzioni chiave nel facilitare gli scambi, tagliare i costi delle transazioni e migliorare la reattività delle aziende ai bisogni dei consumatori.

13.2.2. La configurazione di un canale di distribuzioneSi possono distinguere sistemi di distribuzione diretti e indiretti. Nei primi non ci sono intermediari, dunque il produttore vende direttamente all’utente finale. Nei secondi, vi sono uno o più intermediari, che partecipano e avvicinano il prodotto all’acquirente finale. Un canale indiretto si dice lungo o breve a seconda della quantità di livelli intermedi che esistono fra produttore e utente finale. Nel settore dei beni di consumo, i canali di distribuzione sono generalmente lunghi e implicano la partecipazione di diversi intermediari, specialmente grossisti e dettaglianti. Nei mercati di beni industriali, invece, i canali sono più brevi. Dal punto di vista del produttore, più il canale è lungo, più sarà difficile da controllare. Fattori che determinano le strutture dei canali distributivi. La scelta di una specifica struttura del canale di distribuzione è determinata in gran parte da una serie di vincoli, propri del mercato considerato e delle abitudini di acquisto, nonché delle caratteristiche del prodotto stesso e dell’impresa.

13.4. I sistemi verticali di marketingSi dividono in due tipi di organizzazione verticale: le strutture verticali convenzionali e le strutture verticali coordinate, dette sistemi verticali di marketing. o Nella struttura verticale convenzionale, tutti i livelli del canale di distribuzione si comportano

indipendentemente l’uno dall’altro, come entità separate, e cercano di ottenere, ognuno per sé, il massimo profitto, anche se ciò dovesse incidere negativamente sulla performance globale del canale distributivo. Al contrario, . . .

o Nella struttura verticale coordinata i soggetti che prendono parte al processo di scambio si comportano come partner e coordinano le attività in maniera da realizzare economie di gestione e rafforzare il loro impatto sul mercato e la loro capacità di negoziazione. In questo tipo di organizzazione verticale uno dei partner del canale si fa carico del coordinamento.

In genere si distingue tra sistemi integrati, sistemi contrattuali e sistemi controllati. I sistemi verticali di marketing hanno assunto un importanza crescente nell’ultimo ventennio nel campo del marketing al consumatore. Si possono considerare come una nuova forma di concorrenza, la concorrenza del sistema di distribuzione, la quale contrappone interi sistemi, a differenza di quanto accadeva nella concorrenza verticale tradizionale, in cui si fronteggiavano membri dello stesso sistema a livelli diversi (dettaglianti contro grossisti, produttori contro grossisti, etc.). I

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sistemi di distribuzione verticale di questo tipo contribuiscono dunque ad eliminare, o ridurre, le fonti di conflitto esistenti nelle strutture verticali convenzionali e a migliorare la performance di mercato delle loro attività.

13.5. Le strategie di copertura del mercatoLe strategie di copertura del mercato sono tre: o distribuzione intensiva (cioè vendita ovunque possibile); o distribuzione selettiva (cioè vendita in punti vendita selezionati);o distribuzione esclusiva (cioè vendita tramite concessionari). La scelta della strategia migliore, per un dato prodotto, dipende dalle caratteristiche del prodotto stesso e dall’obiettivo perseguito dall’impresa nell’ambiente competitivo in cui si trova ad operare.

13.5.1. La classificazione dei beni di consumoNel mercato dei beni di consumo, la scelta fra queste strategie di copertura del mercato è determinata in larga misura dalle abitudini di acquisto dei clienti per diversi tipi di prodotto. Di solito si stabilisce una distinzione fra quattro sottogruppi: prodotti di acquisto corrente; prodotti di acquisto ragionato; prodotti esclusivi; prodotti non ricercati. o I prodotti di acquisto corrente (convenience goods) sono i beni che in genere il consumatore

acquista con il minimo sforzo possibile, di frequente e in piccole quantità. Questa categoria può essere ulteriormente suddivisa in: o prodotti di prima necessitào prodotti d’impulsoo prodotti d’urgenza

Per queste tipologie di prodotti l’impresa non ha alcuna possibilità di scelta: è necessaria la massima copertura del mercato perché, se il cliente non trova il prodotto o la marca desiderata nel momento e nel luogo in cui intende acquistarla, sceglierà sicuramente un altra marca.

o I prodotti di acquisto ragionato (shopping goods) sono prodotti per i quali si percepisce un elevato livello di rischio e per i quali i consumatori investono tempo e impegno per fare confronti in termini di qualità, prezzo stile, etc. Per questi prodotti la massima copertura del

o mercato non è necessaria, mentre è del tutto indispensabile la distribuzione selettiva. o I prodotti esclusivi (specialty goods) sono prodotti con caratteristiche esclusive, al cui acquisto

il consumatore è pronto a dedicare molti sforzi. Sono prodotti di lusso o con peculiarità molto specifiche. Il cliente vuole quelli e non altri. Occorre dunque fare leva su una distribuzione selettiva o esclusiva.

o I prodotti non ricercati sono quelli che i clienti non conoscono o per il cui acquisto non c è un interesse spontaneo. Venderli è dunque molto difficile e richiede notevoli sforzi.

13.5.2. La distribuzione intensivaIn un sistema di distribuzione intensiva l’impresa cerca il maggior numero possibile di punti vendita per il proprio prodotto e tende a moltiplicare i centri di stoccaggio per assicurare la massima copertura dell’area di vendita e la massima esposizione per la marca. Questa strategia di copertura si adatta ai prodotti di acquisto corrente, alle materie prime e ai servizi di facile esecuzione. Tuttavia, è una strategia incompatibile con la tutela di un immagine di marca coerente e con un posizionamento preciso di mercato. Si tende perciò ad abbandonarla non appena possibile.

13.5.3. La distribuzione selettiva

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Si parla di distribuzione selettiva quando il produttore ricorre, in una determinata area geografica, ad un numero di intermediari inferiore rispetto a quelli disponibili. Essa è adatta soprattutto per i prodotti di acquisto ragionato e deve essere l’impresa a selezionare i propri distributori in base al volume d affari di questi ultimi, alla qualità del servizio offerto, alla competenza tecnica. Optando per una distribuzione selettiva, il produttore accetta di limitare la disponibilità del prodotto, onde ridurre i costi di distribuzione e ottenere una migliore collaborazione da parte dei distributori. Il rischio maggiore che si corre è quello di una insufficiente copertura del mercato.

13.5.4. La distribuzione esclusiva e i sistemi di franchisingIn un sistema di distribuzione esclusiva in una zona predeterminata, un solo distributore ottiene il diritto esclusivo di vendere la marca e si impegna, in cambio, a non vendere marche concorrenti della stessa categoria di prodotti. La strategia di copertura esclusiva è utile quando il produttore vuole differenziare il proprio prodotto con una politica di alta qualità e prestigio. Una forma particolare di distribuzione esclusiva è il franchising. Si tratta di una forma di marketing verticale contrattuale integrato che fa riferimento ad un sistema completo di distribuzione dei beni e dei servizi. Implica una relazione contrattuale continua in cui l impresa affiliante chiamata franchisor dà ai suoi affiliati i franchisee il privilegio di vendere il proprio prodotto, offrendo loro un assistenza continua nell’organizzazione, nella formazione, nel merchandising e nella gestione, in cambio del fatto che il franchisee si impegna a versarle una quota iniziale e delle percentuali sulle vendite realizzate. Si distinguono quattro tipi di sistemi di franchising. Il primo è quello che unisce un produttore e un dettagliante, il secondo è quello tra un produttore e un grossista, il terzo è quello tra un grossista e un dettagliante, e il quarto e ultimo è quello fra una società di servizi e un distributore. Per essere di successo, un franchising deve essere collaudato, deve riguardare un prodotto di qualità e piuttosto richiesto, deve prevedere il trasferimento completo del know-how e assicurare all’affiliato una formazione pratica sulle tecniche di commercio. Deve inoltre prevedere un assistenza iniziale e continuativa all’affiliato. Il franchising rappresenta una soluzione interessante rispetto ai sistemi verticali di marketing totalmente integrati, poiché è controllato dall’affiliante, ma finanziato dagli affiliati. In tal modo è possibile evitare gli elevati costi fissi imposti dalla creazione di un sistema di distribuzione basato su negozi propri. Inoltre, il franchisor ha la possibilità di creare una nuova fonte di reddito basata sul know-how tecnico e commerciale. Per parte sua, il franchisee è motivato principalmente dal vantaggio dato dalla reputazione di qualità e dall’immagine aziendale dell’affiliante. Inoltre, può accingersi ad un impresa che altrimenti gli sarebbe preclusa, in quanto impossibile in termini di costi e anche di reputazione di mercato.

13.6. Le strategie di comunicazione nella rete distributivaLa collaborazione dei distributori nel perseguire gli scopi d’impresa è una condizione essenziale per conseguire gli obiettivi di marketing dell’impresa stessa. Per ottenere tale impegno da parte degli intermediari, l’impresa può scegliere tra due possibili strategie comunicative: una strategia push e una strategia pull, come pure una combinazione delle due. o Una strategia push consiste nel concentrare in via prioritaria gli sforzi di comunicazione e

promozione su grossisti e dettaglianti, in modo da stimolarli a collaborare con l’azienda. L’obiettivo è quello di sollecitare forme di collaborazione volontaria del distributore, sulla base di un preciso programma di incentivi. Per contro, più è elevata la forza contrattuale dei distributori, più sarà ridotta la capacità dell’impresa di ottenerne il sostegno. Solo l’impresa che adotta un sistema di marketing diretto può fare completamente a meno del sostegno della distribuzione, ma deve, di contro, farsi carico della totalità delle funzioni svolte dal distributore, che comportano un costo elevato.

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o Una strategia pull, dal canto suo, concentra gli sforzi di comunicazione sul consumatore finale, tagliando fuori gli intermediari. Se questa strategia si rivela di successo, il produttore avrà il potere di influenzare i partecipanti al canale distributivo e di indurli a prendere in carico la marca, al fine di raggiungere volumi significativi di vendita. Di fatto, una strategia pull deve essere considerata un investimento a lungo termine: l’obiettivo dell’impresa è quello di creare un capitale di reputazione, la cosiddetta brand equity, per l’impresa o la marca. Un immagine di marca forte costituisce un patrimonio per l’azienda ed è la miglior garanzia di supporto e collaborazione da parte degli intermediari.

13.7. L’analisi dei costi di distribuzioneI costi di distribuzione sono misurati dalla differenza tra il prezzo unitario di vendita pagato dal consumatore finale e il prezzo pagato al produttore dal primo acquirente. Il margine di distribuzione si identifica dunque con il concetto di valore aggiunto del canale distributivo. Il margine di distribuzione (D) è uguale al prezzo di vendita (P) meno il costo di acquisto (C) e si esprime nella formula:

D = P - CIl margine di distribuzione remunera le funzioni e i compiti della distribuzione assunti dagli intermediari. Quando un produttore decide di assumere una parte di queste funzioni, dovrà incaricarsi in prima persona dell’organizzazione e dei costi relativi.

CAPITOLO 14La battaglia delle marche nei mercati B2C14.1. I cambiamenti della distribuzione al dettaglioNei mercati B2C i distributori sono oggi protagonisti insostituibili. In questi mercati non è sufficiente essere orientati ai consumatori (consumer-driven), ma l’impresa deve diventare orientata ai distributori (distributor-driven), onde evitare il rischio di essere esclusa dagli assortimenti, e deve progettare programmi di marketing B2B per i distributori basati sulla comprensione profonda dei loro bisogni. Diversi sono i fattori che spiegano il passaggio del potere dai produttori ai dettaglianti:o Un primo fattore è costituito dall’alto tasso di concentrazione dei dettaglianti, in particolar

modo nei mercati di largo consumo. o Un secondo fattore è costituito dall’adozione, da parte dei dettaglianti stessi, di sofisticate

politiche di marca del punto vendita (store brand), orientate a segmenti in genere trascurati dai produttori (l’estremità inferiore del mercato), e la crescita delle marche dei distributori (private labels).

o Un terzo fattore è rappresentato dalle strategie d’internazionalizzazione rapida che diversi dettaglianti stanno adottando.

o Un quarto fattore è relativo all’emergere di una nuova generazione di dettaglianti, gli hard discount, che praticano prezzi molto bassi sulle marche proprie ed escludono dagli scaffali le marche dei fornitori.

Il risultato di questi cambiamenti è una trasformazione profonda dei mercati di consumo e uno spostamento dell’equilibrio di potere in favore dei dettaglianti. Negli anni Novanta sono intervenuti importanti cambiamenti nel modo in cui la grande distribuzione ha percepito il suo ruolo nel processo di scambio. Dal tradizionale e quasi passivo ruolo di intermediari tra produttore e consumatore finale, infatti, essi sono passati a un ruolo attivo e innovativo, basato su un potere d’acquisto e una capacità di contrattazione considerevoli. Al tempo stesso, sono cambiati anche i comportamenti d’acquisto dei consumatori, che sono diventati più informati, più capaci di mettere

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a confronto le diverse caratteristiche dei prodotti loro offerti, per cui un prodotto viene acquistato in genere quando viene percepito come portatore di un valore superiore.

14.2. Le strategie di differenziazione del distributoreAlla luce di questi cambiamenti, il distributore è obbligato a rivedere le sue strategie di posizionamento tradizionali e a ridefinire il concetto di punto vendita, adottando un posizionamento che offre ai consumatori un valore unico. Applicare una strategia di differenziazione a livello del punto vendita diventa quindi necessario. I concetti del marketing strategico elaborati per i prodotti e servizi marketing dimostrano quindi di essere applicabili direttamente al marketing della distribuzione.

14.2.1. Il negozio visto come un paniere di attributiDal punto di vista del consumatore, il luogo di vendita può essere considerato un paniere di attributi. A questo proposito, per elaborare il concetto di punto vendita, torna utile quello di prodotto come paniere di attributi, descritto nel Capitolo 3. Un punto vendita si descrive usando sei attributi, che rappresentano per il dettagliante altrettante variabili d’azione:o L’ubicazione;o L’assortimento, vale a dire la varietà dei prodotti offerti;o Il livello di prezzo praticato;o I servizi e l’estensione del mix di servizi (servizi pre-acquisto, servizi post-vendita e servizi

aggiuntivi);o Il tempo da dedicare allo shopping;o L’atmosfera.I consumatori utilizzano queste caratteristiche come criteri di paragone tra i vari punti vendita. Spetta pertanto al distributore definite il concetto di negozio che intende creare, che rappresenta un paniere di attributi differenziati rispetto ai concorrenti.

14.2.2. Le strategie di posizionamento del punto venditaLe strategie di posizionamento che il distributore può adottare variano a seconda del settore in cui opera. A questo proposito, si possono classificare i punti vendita in base a due dimensioni: il livello del margine lordo (alto o basso) e la natura del beneficio ricercato nel prodotto dal cliente, che può essere funzionale o simbolico. Come mostra la Figura 14.3 (p. 387), si ottiene quindi uno schema a due dimensioni, in cui è possibile distinguere quattro diverse strategie di posizionamento: due sono riferite ai prodotti funzionali e due a quelli di tipo simbolico. Si possono distinguere tre strategie di posizionamento per il dettagliante: la differenziazione dei prodotti, l’aumento del servizio e della personalizzazione, e la leadership di prezzo. o La strategia di differenziazione si basa su un assortimento di prodotti molto diversi rispetto a

quello degli altri rivenditori operanti nella stessa categoria. o Nella strategia di servizio e personalizzazione, invece, l’assortimento di prodotti non si

differenzia da quello della concorrenza, ma si distingue per la qualità e la personalizzazione del servizio offerto nel punto vendita.

o La strategia basata sul prezzo, infine, consiste nell’offrire gli stessi prodotti, ma a prezzi inferiori a quelli dei concorrenti.

Il distributore dispone quindi di diverse variabili d’azione e può prendere in esame strategie di posizionamento diverse.

14.2.3. Lo sviluppo delle marche della distribuzione (private label)

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Negli ultimi dieci anni la grande distribuzione ha adottato con successo strategie di differenziazione basate sullo sviluppo di marche proprie. Questo sviluppo coincide con la crescita del potere di mercato dei grandi dettaglianti, dovuta in primo luogo alla creazione di grandi centrali d’acquisto, poi allo sviluppo di sistemi di stoccaggio e consegna centralizzati, e infine all’introduzione delle ICT in ogni aspetto delle pratiche di vendita. I dettaglianti, avendo acquistato potere di mercato, per aumentare la redditività hanno iniziato ad elaborare proprie politiche di marca. Nel mercato europeo esistono diverse tipologie di marche del distributore, che sono: le marche-bandiera, le marche generiche, i nomi di marca inventati e i primi prezzi (il ruolo di questi ultimi è rispondere all invasione degli hard discount).

14.2.4. Gli obiettivi strategici del distributorePer il dettagliante, le marche proprie possono essere utilizzate con tre diversi obiettivi: a) servono a contrastare il potere dei produttori (riducendone il volume venduto) ed a eliminare i concorrenti minori; b) possono essere utilizzate come strumento di miglioramento dei margini nella categoria di prodotti, dato che le marche proprie generano margini superiori del 5-10% rispetto a quelli delle grandi marche; c) possono servire a forgiare uno strumento per differenziare il prodotto e consolidare l immagine del dettagliante.Come illustrato nella Figura 14.4 (p. 390), il distributore può adottare quattro diversi posizionamenti in termini di rapporto qualità/prezzo. o In primo luogo, può scegliere di mantenere la stessa qualità della marca leader, ma praticare

un prezzo più conveniente: è la strategia cui si fa ricorso più di frequente. o In secondo luogo, può scegliere di abbassare sia la qualità sia il prezzo, adottando così la

strategia della qualità inferiore a un prezzo più conveniente. o In terzo luogo, il distributore può far leva sulla qualità, offrendo prodotti migliori di quelli della

marca leader; o infine, il distributore può scegliere di migliorare la qualità e praticare un prezzo più elevato.Queste politiche di prezzo aggressive hanno determinato un aumento della pressione sui prezzi, che fa sì che le marche più deboli dei produttori siano le prime a scomparire dai supermercati.

14.3. Le opzioni strategiche per le marche dei produttorile strategie difensiva che può usare il produttore di marche nei mercati B2C di fronte allo strapotere della grande distribuzione sono quattro: o la strategia pull (che consiste nel proporre un idea di prodotto innovativo o di marca

differenziata, sostenuta da pubblicità rivolta al cliente finale, in modo da costringere il distributore a inserirle nel proprio assortimento);

o il marketing diretto (mirante a scavalcare il dettagliante); o la delega del marketing operativo a un gruppo diversificato di distributori esterni; o il trade marketing (che consiste nel trattare il distributore come un cliente intermedio e nello

sviluppare un programma di marketing orientato al distributore.

CAPITOLO 15Le decisioni di prezzo15.1. La percezione del prezzo da parte del cliente15.1.1. Definizione del prezzo da parte del mercatoSotto il profilo formale, il prezzo monetario può essere definito come un rapporto che indica l’ammontare di moneta necessaria per acquistare una quantità data di beni e servizi. In realtà, il

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concetto di prezzo è più ampio e va al di là della semplice combinazione di fattori puramente oggettivi e quantitativi. Il prezzo rappresenta il valore che assume, agli occhi del cliente, l’insieme dei vantaggi offerti da un prodotto o servizio. Come la quantità acquistata del bene misura solo parzialmente la quantità di soddisfazione ricevuta, così la quantità di denaro ceduta misura solo in parte l’entità del sacrificio sostenuto. Quindi, dal punto di vista del cliente, la nozione di prezzo va ben oltre quella di prezzo monetario e comprende tutto l’insieme dei vantaggi offerti dal prodotto, nonché l insieme dei sacrifici (monetari e non monetari) sostenuti dal cliente.

15.1.2. L’importanza delle decisioni di prezzoNell’attuale contesto di macro-marketing, le decisioni riguardanti le strategie di prezzo rivelano tutta la loro importanza alla luce di quanto segue: o in primo luogo, il prezzo influenza direttamente il livello della domanda e determina, di

conseguenza, il livello di attività, in quanto un prezzo troppo alto o troppo basso può compromettere lo sviluppo del prodotto. La misurazione della sensibilità al prezzo è pertanto un dato essenziale.

o In secondo luogo, il prezzo di vendita determina direttamente la redditività dell’attività. o In terzo luogo, il prezzo di vendita stabilito dall’impresa influenza la percezione globale del

prodotto o della marca e contribuisce quindi al posizionamento della marca tra quelle note ai potenziali clienti.

o In quarto luogo, il prezzo si presta più facilmente delle altre variabili di marketing al confronto tra prodotti e marche concorrenti.

o In quinto luogo, la strategia di prezzo deve essere compatibile con le altre componenti del marketing operativo: il prezzo deve consentire di finanziare la strategia pubblicitaria e promozionale; a un posizionamento di alta qualità e prezzo elevato deve corrispondere un packaging adeguato; la strategia di prezzo deve rispettare la strategia di distribuzione e consentire di raggiungere i margini di distribuzione necessari a centrare gli obiettivi di copertura del mercato.

L’evoluzione dell’ambiente economico e competitivo, cui si è accennato nel Cap. 2, ha contribuito ad accrescere notevolmente l importanza e complessità delle strategie di prezzo.

15.1.3. Gli obiettivi delle strategie di prezzoOgni impresa ha interesse a chiarire gli obiettivi strategici che intende raggiungere con la fissazione dei prezzi. Tali obiettivi sono classificabili in tre categorie: obiettivi orientati al profitto, al volume e alla concorrenza. o Fra gli obiettivi orientati al profitto rientrano sia la massimizzazione del profitto stesso sia la

realizzazione di un tasso di redditività sufficiente sul capitale investito. Anche se suggerito dagli economisti, nella pratica questo modello è di difficile applicazione, in quanto presuppone una stabilità dei fattori ambientali e competitivi che raramente si verifica nella realtà.

o Gli obiettivi incentrati sul volume, dal canto loro, mirano a massimizzare il volume d affari o la quota di mercato o, più semplicemente, ad assicurare un tasso di crescita sufficiente delle vendite. L’obiettivo di massimizzare la quota di mercato comporta l adozione di un prezzo di penetrazione, cioè di un prezzo relativamente basso, inferiore a quello della concorrenza, al fine di incrementare il più rapidamente possibile il volume e, quindi, la quota di mercato. Una volta raggiunta una posizione di leadership, l’obiettivo diventa quello di un tasso di redditività sufficiente.

o Gli obiettivi incentrati sulla concorrenza mirano alla stabilizzazione dei prezzi o all’allineamento con i concorrenti. L’elaborazione di una strategia di prezzo richiede di prendere in considerazione tre gruppi di fattori: i costi, la domanda e la concorrenza.

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15.2. Strategie di prezzo basate sui costiL’analisi dei costi come punto di partenza per l’elaborazione delle strategie di prezzo rappresenta certamente l’approccio più naturale e immediato per le imprese.

15.2.1. Concetti di prezzo basati sui costiSi definiscono prezzi basati sui costi i prezzi calcolati in funzione dei costi e senza riferimento esplicito ai fattori di mercato. L’analisi dei costi permette di identificare quattro tipi di prezzi basati sui costi, ciascuno dei quali corrisponde a esigenze specifiche di copertura dei costi e redditività. o Il prezzo soglia, o prezzo minimo, è il prezzo corrispondente ai costi diretti. Permette di

recuperare il solo costo di sostituzione del prodotto, con un margine lordo nullo. o Il prezzo base, detto anche prezzo marginale, è la soglia minima al di sotto della quale

l’impresa non può assolutamente scendere. o Il prezzo tecnico (o break-even-price) è il prezzo corrispondente al punto di pareggio, cioè al

prezzo che copre i costi diretti e i costi fissi per un dato volume di vendite. o Il prezzo target, o prezzo sufficiente, comprende, oltre ai costi diretti e fissi, un vincolo di

profitto, cioè un margine di profitto determinato in genere considerando un normale tasso di redditività sul capitale investito.

o Il prezzo di ricarico (o mark-up price), infine, si calcola aggiungendo un ricarico standard al prezzo tecnico.

Il metodo del prezzo target e quello del prezzo di ricarico sono molto diffusi, specialmente per via della loro semplicità e della sicurezza derivante dalla certezza (apparente) di garantirsi un margine, poiché promettono di conseguire l’obiettivo di profitto. L’inconveniente principale di questi metodi è rappresentato dalla mancata considerazione del rapporto prezzo/volume.

15.2.2. L utilità dei prezzi basati sui costiI prezzi orientati ai costi costituiscono solo un comodo punto di partenza nel processo di definizione dei prezzi di mercato: non possono essere l’unica base per la determinazione del prezzo, perché non considerano la domanda, né il valore percepito del prodotto, né la concorrenza. L’analisi dei costi è il primo passo necessario per inquadrare il problema, mettendo in evidenza le implicazioni economiche e finanziarie delle diverse strategie di prezzo possibili per l’impresa. Il ricorso a una riduzione di prezzo in un ottica di stimolazione della domanda è opportuno solo quando la domanda primaria è espandibile. In caso contrario, se l’impresa diminuisce i suoi prezzi e se tutti i concorrenti reagiscono immediatamente allineandosi, diminuiranno i profitti di tutti e le rispettive quote di mercato resteranno identiche, in un mercato in contrazione malgrado la riduzione dei prezzi. È importante comprendere che il costo di una diminuzione di prezzo è spesso molto alto, specie per un impresa in cui l’incidenza dei costi variabili è molto elevata. Per contro, l’impresa che ha i costi variabili più bassi ha interesse ad avviare una riduzione consistente di prezzo, poiché sa che le altre imprese non saranno in grado di seguirla. Anche il ricorso ad un rialzo del prezzo rappresenta una decisione difficile.

15.3. Strategie di prezzo basate sulla domandaLa determinazione del prezzo in base alla domanda avviene in una prospettiva in cui la sensibilità del cliente rispetto al prezzo occupa un ruolo centrale, superiore a quello delle sole considerazioni economico-finanziarie.

15.3.1. Il concetto di elasticità al prezzo

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La nozione di elasticità è fondamentale nell’analisi della domanda. L’elasticità misura in modo diretto la sensibilità dei clienti rispetto al prezzo e, in teoria, permette di calcolare le quantità che saranno richieste a diversi livelli di prezzo. Nonostante tutti i clienti siano sensibili al prezzo, tale sensibilità può variare notevolmente da una situazione all’altra, a seconda dell’importanza della soddisfazione offerta dal prodotto o, viceversa, in funzione dei sacrifici (diversi dal prezzo) che il suo acquisto comporta. I fattori determinanti della sensibilità al prezzo si applicano sia alla decisione di acquistare una particolare categoria di prodotti (sensibilità al prezzo della domanda primaria) sia alla decisione di scegliere una marca all’interno di una classe di prodotti.

15.3.2. Il calcolo del prezzo ottimale basato sul’elasticitàLa teoria economica sostiene che il prezzo ottimale, ovvero quello che massimizza gli utili, è inversamente proporzionale all’elasticità (in valori assoluti) della domanda di un prodotto. Se l’elasticità rispetto al prezzo è nota, il prezzo ottimale si calcola nel modo che segue:

Prezzo ottimale = costo diretto unitario x ricarico (mark-up)doveRicarico (mark-up) = elasticità al presso / (elasticità al prezzo + 1)Si constata allora che il prezzo ottimale si ottiene aumentando il costo variabile unitario (o costo marginale) per una percentuale che è funzione dell’elasticità al prezzo e non dipende dal costo. Si osserva che, quando l’elasticità al prezzo è elevata, come accade nei mercati altamente competitivi con prodotti non differenziati, il coefficiente di maggiorazione è vicino all’unità; il potere di mercato dell’impresa è perciò limitato e il prezzo accettato dal mercato si avvicinerà al costo unitario. Viceversa, quanto più l’elasticità si avvicina all’unità, tanto più elevato sarà il prezzo accettato dal mercato.

15.3.3. I metodi di misurazione dell’elasticità al prezzoI metodi che consentono di valutare la sensibilità dei clienti al prezzo possono essere raggruppati in quattro categorie principali:o La prima categoria include il metodo del giudizio degli esperti, metodo che consiste nel

chiedere ai responsabili di marketing di formulare tre previsioni sulla curva di risposta ai prezzi, cioè le vendite attese nell’ordine, al prezzo più basso; al prezzo più alto possibile; a un livello di prezzo intermedio.

o La seconda categoria comprende le indagini dirette e indirette presso i consumatori. Il metodo più usato è quello indiretto dell’analisi congiunta.

o La terza categoria include le sperimentazioni di prezzo, sul campo o in laboratorio. o La quarta categoria racchiude gli studi econometrici realizzati su dati presentati in ordine

cronologico. La nozione di elasticità, tuttavia, presenta alcune difficoltà concettuali e operative che riducono la sua utilità pratica. In primo luogo, essa è misurabile solo a posteriori. Inoltre, l’elasticità misura l’impatto del prezzo sulla quantità acquistata, ma non misura l’effetto del prezzo sulla propensione a provare il prodotto, sull’acquisto ripetuto, sulla percentuale di esclusività. Infine, nella pratica è spesso assai difficile ottenere stime di elasticità rispetto al prezzo abbastanza stabili e affidabili da consentire di calcolare un prezzo ottimale di vendita su tale base.

15.3.4. L approccio basato sul valore percepitoL’idea di base è sempre la stessa: è il valore (del prodotto o della marca) percepito dal consumatore che dovrebbe determinare il prezzo. Analizzando e misurando le percezioni dell’acquirente e le loro determinanti con un metodo detto compositivo, si ottiene un punteggio

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del valore totale percepito che può essere utilizzato per determinare i prezzi. La nozione di valore percepito è un emanazione del modello di prodotto come paniere di attributi presentato nel Cap. 4. Questo metodo, basato sull’approccio compositivo, si dimostra particolarmente adatto quando la sensibilità al prezzo è determinata della presenza di fattori qualitativi, come gli effetti d immagine. Il calcolo del prezzo massimo accettabile, dal canto suo, risulta particolarmente utile quando si tratta di determinare il prezzo di prodotti industriali, qualora il vantaggio principale per l’acquirente sia la riduzione dei costi. Per valutare quanto il cliente è disposto a pagare, la procedura prevede d’identificare tutti i vantaggi o i servizi che il prodotto fornisce e i costi (diversi dal prezzo) che comporta. Il prezzo massimo che il cliente è disposto a pagare si ottiene nel modo che segue:

vantaggi costi diversi dal prezzo = prezzo massimo accettabile (MAP)

I vantaggi da prendere in considerazione possono essere funzionali (il servizio di base), finanziari, operativi o personali. Se il mercato di riferimento è segmentato, quest’analisi deve essere condotta su diversi gruppi di clienti i cui comportamenti differiscono. Il confronto tra prezzo massimo accettabile e i prezzi dei concorrenti permette di valutare il margine di manovra di cui l impresa dispone.15.3.5. Le strategie del prezzo flessibileSi parla di prezzi flessibili quando uno stesso prodotto viene venduto a prezzi diversi a clienti diversi. La flessibilità in materia di prezzi può essere ottenuta in cinque modi diversi, che sono: a) gli sconti nei mercati secondari; b) gli sconti stagionali; c) gli sconti casuali (che consistono nell’applicazione di sconti a intervalli casuali); d) i prezzi promozionali; e) la gestione dei prezzi (che si traduce in un adattamento dei prezzi di listino alle condizioni di realizzazione della vendita).

15.4. Strategie di prezzo basate sulla concorrenzaDi fronte alla concorrenza, il grado di autonomia dell’impresa in materia di strategia di prezzo è molto influenzato da due categorie di fattori: la situazione concorrenziale del settore di riferimento, caratterizzata dal numero di imprese concorrenti, e l importanza del valore percepito del prodotto da parte dei clienti. È chiaro che, là dove l’impresa si trovi in una situazione di monopolio, essa ha una grande autonomia in fatto di prezzi, autonomia che tende a diminuire se il numero di concorrenti aumenta. Ai due estremi vi sono perciò il monopolio e la concorrenza pura, mentre l’oligopolio e il monopolio differenziato rappresentano situazioni intermedie. Per quanto concerne il valore percepito del prodotto, invece, esso deriva dagli sforzi di differenziazione realizzati dall’impresa allo scopo di ottenere un vantaggio sulla concorrenza esterna. Ove esista un elemento di differenziazione, percepito come un valore da parte del cliente, quest’ultimo è in genere disposto a pagare un prezzo superiore a quello del prodotto concorrente. L’impresa, in questo caso, dispone di una certa autonomia in materia di prezzo. L’obiettivo di un analisi della concorrenza in materia di prezzi consiste soprattutto nel valutare la capacità d’azione e l’elasticità della reazione della concorrenza in caso di aumento o diminuzione di prezzo. A sua volta, intraprendere una campagna di aumenti di prezzo è il classico ruolo di un azienda leader sul mercato. Esistono tre tipi di leadership: la leadership dell’impresa dominante, la leadership barometrica e infine quella tacita. La prima è quella tipica dell’impresa che detiene la quota di mercato maggiore. Essa stabilisce un prezzo e lascia che gli altri vendano la loro produzione a quel prezzo. La leadership barometrica consiste invece nell’avviare aumenti e diminuzioni di prezzo che si rivelino necessari, alla luce delle variazioni dei costi di produzione e dell’andamento della

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domanda. La leadership tacita, infine, è quella in cui un azienda è tacitamente riconosciuta come leader, senza che vi sia un intesa o un accordo formale, cosa che sarebbe del tutto illegale.

15.5. I prezzi di una gamma di prodottiIl marketing strategico ha condotto le imprese a praticare strategie di segmentazione e diversificazione che hanno contribuito a moltiplicare il numero di prodotti commercializzati della stessa azienda o con la stessa marca. Questa strategia di sviluppo ha determinato la comparsa di legami d’interdipendenza tra i prodotti che si traducono in un effetto di sostituzione (o di cannibalizzazione) o in un effetto di complementarietà. Nella determinazione dei prezzi è necessario tenere conto di questa interdipendenza, in quanto l’obiettivo è quello di ottimizzare il risultato di tutte le attività dell’azienda. Quanto più un azienda segmenta il proprio mercato, tanto più si espone al rischio di cannibalizzazione. L’obiettivo da perseguire è pertanto quello di posizionare le diverse marche a portafoglio non solo rispetto ai concorrenti diretti ma anche l una rispetto all’altra.

15.5.1. Le strategie di prezzo della gammaQuando un impresa vende una gamma di prodotti interdipendenti, il prezzo di vendita di ciascuno di essi deve essere fissato in modo da massimizzare il profitto dell’intera gamma e non dei singoli prodotti. La scelta della politica di prezzo sarà diversa a seconda che i prodotti siano tra loro complementari o concorrenti. Nel caso di prodotti complementari o indipendenti (ovvero prodotti tra loro collegati ma non sostituibili gli uni agli altri), l’impresa può offrire l opportunità di prezzi collegati, per cui i prodotti possono essere acquistati separatamente od oppure in blocco, ad un prezzo sensibilmente inferiore alla somma dei prodotti individuali. Questa politica di prezzo è molto allettante, perché l’impresa vende al cliente una soluzione e non solo un prodotto. La procedura dei prezzi collegati permette inoltre al fornitore di mantenere un rapporto continuativo con il cliente, acquisendo così una buona comprensione dei suoi bisogni. Il premium price, dal canto suo, è una politica di prezzo che viene applicata quando per uno stesso prodotto si offrono più versioni o modelli (un modello base o standard e un modello superiore). Una variante della strategia precedente assegna il prezzo in base all’immagine del prodotto. L’obiettivo è il medesimo: segnalare agli acquirenti poco informati la qualità del prodotto e utilizzare il guadagno ottenuto dalla versione più costosa per abbassare il prezzo della versione economica.

CAPITOLO 16Le decisioni di comunicazione di marketing16.1. La natura e il ruolo della comunicazione di marketing16.1.1. Il mix della comunicazione di marketingPer comunicazione di marketing si intende l’insieme dei segnali o dei messaggi emessi dall’impresa verso i diversi pubblici cui essa si rivolge (clienti, distributori, fornitori, azionisti, istituzioni pubbliche, e anche il proprio personale). I quattro principali strumenti della comunicazione di marketing (communication mix) comprendono la pubblicità, la forza vendita, la promozione e le relazioni pubbliche, ciascuna con le proprie peculiarità. In aggiunta a questi mezzi di comunicazione tradizionale bisogna considerare il mailing postale, la vendita per corrispondenza, le fiere ed esposizioni, il telemarketing, vale a dire tutte le attività conosciute come pubblicità diretta , cui da qualche tempo si è abbinata anche Internet. Pur essendo molto differenti, questi strumenti di comunicazione sono complementari, per cui il problema consiste nel come ripartire al meglio il budget globale di comunicazione tra questi diversi elementi.

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16.1.2. Il processo di comunicazioneOgni tipo di comunicazione prevede uno scambio di segnali tra un emittente e un ricevente, e il ricorso ad un sistema di codifica/decodifica che permette di esprimere ed interpretare i messaggi (cfr. Figura 16.2, p. 431). Le condizioni di una comunicazione efficace sono quattro: a) gli obiettivi, cioè i destinatari che si vogliono raggiungere e il tipo di risposta che si intende ottenere; b) l’esecuzione del messaggio, cioè il modo con cui il messaggio deve essere strutturato, al fine di ottenere gli obiettivi comunicativi richiesti; c) la scelta dei media, vale a dire la selezione dei media più adatti a raggiungere il più efficacemente possibile il target di riferimento e la frequenza delle campagne pubblicitarie. Tale compito è affidato in genere alle agenzie pubblicitarie; d) l’efficacia della comunicazione, cioè valutare la risposta del pubblico al messaggio e verificare in quale misura gli obiettivi della comunicazione siano stati raggiunti.

16.1.3. La comunicazione personale e impersonaleI due strumenti più importanti della comunicazione di marketing sono la comunicazione personale, realizzata dalla forza vendita, e la comunicazione impersonale, garantita tramite le diverse forme di pubblicità sui mass media. Non c’è dubbio che la forza vendita sia lo strumento di comunicazione di gran lunga più efficace. Tuttavia, essa è molto più costosa di un messaggio pubblicitario e raggiunge un numero di persone decisamente inferiore, per cui è comprensibile che le imprese le preferiscano abitualmente la pubblicità. Tuttavia, le recenti evoluzioni nel campo della pubblicità tendono a conciliare i vantaggi delle due forme di comunicazione: questo è l’obiettivo della pubblicità interattiva o di risposta.

16.2. La forza vendita, ovvero la comunicazione personaleLo sviluppo di una strategia di comunicazione personale richiede, in primo luogo, di definire quale ruolo debba svolgere il venditore nella strategia complessiva di marketing. Le mansioni abitualmente esercitate dalla forza vendita possono essere raggruppate in tre tipi di attività. o Le attività di vendita, per cominciare, comprendono la ricerca e l’avvicinamento dei potenziali

clienti, la negoziazione delle condizioni di vendita e la chiusura della transazione. o Le attività di servizio, dal canto loro, includono la consegna, l’assistenza tecnica, il servizio

post-vendita, le promozioni. o Le attività di trasmissione delle informazioni, infine, comprendono le ricerche di marketing, i

servizi di intelligence aziendali, le informazioni concernenti, l’evoluzione dei bisogni, le attività della concorrenza.

Il venditore, quindi, non è solo il braccio commerciale dell’impresa, ma anche un elemento importante del suo sistema informativo di marketing. Esistono varie tipologie di venditore: il rappresentante-distributore, l’addetto alla vendita nel luogo di vendita, il commesso viaggiatore, il promotore-merchandiser, il responsabile dello sviluppo commerciale, il venditore tecnico-commerciale, il rappresentante, l’agente di vendita. Una volta definita la mansione assegnata al venditore, il problema è sapere come organizzare il rapporto commerciale e come ripartire i compiti fra venditori, rete di distribuzione e pubblicità. La concezione del ruolo del venditore sta evolvendo da qualche tempo verso una sua maggiore partecipazione diretta al marketing strategico.

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16.2.1. Il confronto tra la vendita transazionale e la vendita relazionaleLe differenze tra la singola transazione e la vendita di relazione sono numerose. La prima dà risalto alla vendita individuale: la relazione tra acquirente e venditore termina con la conclusione della vendita. Al contrario, la seconda è orientata a costruire una relazione forte e duratura, fondata su una solida base di clienti soddisfatti. La vendita relazionale si differenzia da quella transazionale anche per altri versi, infatti la vendita transazionale si concentra solamente sul prezzo, mentre quella relazionale sposta l’attenzione sui vantaggi non economici, come i servizi, il tempo di consegna e la certezza di una fornitura continua. Tuttavia, ormai è chiaro che le tecniche di vendita transazionali (che sono anche tecniche tradizionali) devono necessariamente evolvere verso la vendita relazionale in primo luogo perché la prima è un atto di manipolazione, mentre la seconda di comunicazione; in secondo luogo perché le tecniche di vendita tradizionali incontrano sempre più lo scetticismo dei clienti; infine, perché la vendita relazionale tiene conto di un fatto fondamentale, cioè che oggi vendere significa risolvere un problema del cliente, non soltanto cedergli prodotti disponibili. La vendita relazionale, inoltre, favorisce la fidelizzazione dei clienti nel lungo periodo, la cosiddetta customer retention, che oggi è sempre più difficile. Questa nuova prospettiva coinvolge molti aspetti del processo di marketing, che favorisce lo sviluppo di un nuovo strumento gestionale, il CRM (Customer Relationship Management). Quest’ultimo costituisce un evoluzione naturale del movimento avviato dal MDM (Market-Driven Management), con un insistenza molto più esplicita sulla relazione stessa. Nella vendita relazionale, il centro di profitto è il cliente, non il prodotto o la marca. Attirare nuovi clienti è considerato un obiettivo intermedio: è il mantenimento dello stock di clienti esistenti a rappresentare l’obiettivo principale in vista della creazione di una relazione di lungo periodo reciprocamente redditizia. La vendita relazionale è particolarmente utile nei mercati B2B, in cui il legame tra venditore e acquirente è più stretto, duraturo e importante per entrambi; tuttavia, essa è entrata progressivamente nella pratica dei mercati B2C grazie alle possibilità offerte dal marketing diretto e dal marketing interattivo. Si possono identificare cinque fasi nella vendita relazionale: a) la ricerca sistematica di informazioni; b) la selezione del target;c) la conquista di buoni clienti; d) la costruzione della relazione; e) il mantenimento e consolidamento della relazione.

16.2.2. L organizzazione della forza venditaL’impresa può organizzare la sua forza vendita in diversi modi: o per settori geografici (che è la struttura più diffusa e più semplice); o per prodotti (è la soluzione preferibile quando i prodotti sono complessi e richiedono

competenze tecniche specifiche)o per clienti (è la soluzione cui si ricorre quando i bisogni dei clienti sono molto diversificati e

richiedono competenze specifiche) o anche in base a un sistema misto.

16.3. Le decisioni di comunicazione pubblicitariaLa pubblicità è un mezzo di comunicazione che permette all’impresa di trasmettere un messaggio a potenziali clienti con i quali non ha alcun contatto diretto. Ricorrendo alla pubblicità, l’impresa attua una strategia di comunicazione pull, il cui principale obiettivo è creare un immagine di marca e un capitale di notorietà.

16.3.1. Il valore dell’informazione pubblicitaria

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Partendo dal presupposto che l’informazione pubblicitaria deriva da una fonte dominata dal produttore, è chiaro che agli occhi del consumatore essa non può avere lo stesso valore di altre fonti informative. Si tratta di una sollecitazione all’acquisto, che genera quindi un informazione progettata per sottolineare gli aspetti positivi del prodotto. In ogni caso, è un informazione che svolge almeno due funzioni a favore del consumatore: da una parte, gli permette di conoscere quali sono le caratteristiche distintive rivendicate dal produttore e di verificare se le promesse corrispondono a ciò che cerca; dall’altro, lo aiuta a risparmiare tempo, dal momento che le informazioni arrivano senza doverle cercare.

16.3.2. Le varie forme di comunicazione pubblicitariaSi possono distinguere varie forme di pubblicità. Per cominciare, la pubblicità d’immagine, che mira soprattutto a modificare l’atteggiamento del cliente nei confronti della marca, inducendolo all’acquisto in una prospettiva di medio-lungo termine. La pubblicità promozionale, dal canto suo, intende influenzare il comportamento d’acquisto anziché l’atteggiamento del consumatore. L’obiettivo è di stimolare l’atto d’acquisto e la sua efficacia sarà quindi direttamente proporzionale alle vendite realizzate. Il risultato ricercato è dunque a breve termine. La pubblicità interattiva, infine, ha l’obiettivo di instaurare un dialogo tra l’inserzionista e il potenziale cliente, stimolando nel secondo una risposta in base alla quale l’impresa cercherà di costruire una relazione commerciale. La pubblicità interattiva, pertanto, tenta di conciliare le caratteristiche dei due stili precedenti.

16.3.3. I presupposti della comunicazione pubblicitaria d’immagineLa pubblicità non è che il completamento, a volte (ma non sempre) indispensabile, di un processo più fondamentale, quello del marketing strategico. Il posizionamento pubblicitario desiderato deve essere in linea con il posizionamento di marketing adottato: la pubblicità, per funzionare, deve basarsi su un ragionamento strategico coerente.

16.3.4. Gli obiettivi della comunicazione pubblicitariaL’essenza del bisogno è una condizione preliminare che determinerà l’efficacia di ogni attività di comunicazione. Ciascun prodotto risponde a una categoria di bisogni la cui percezione da parte dei potenziali clienti può essere stimolata attraverso la pubblicità, che contribuirà così a sviluppare la domanda primaria del mercato. Per quanto concerne il livello successivo, vale a dire creare la notorietà di marca, è possibile distinguere tre tipi di obiettivi pubblicitari centrati sulla notorietà: il primo obiettivo consiste nel creare o mantenere la notorietà-riconoscimento, ovvero favorire il riconoscimento della marca, per esempio sul luogo d’acquisto, e portare così il cliente a riconoscere l’esistenza della categoria di bisogni. Il secondo obiettivo consiste nel creare o mantenere la notorietà-ricordo, ovvero indurre l’acquirente a selezionare la marca nel momento in cui si manifesta il bisogno. Il terzo obiettivo, infine, consiste nel perseguire simultaneamente i due obiettivi precedenti. Il quarto obiettivo, è quello di creare un atteggiamento favorevole rispetto alla marca, consiste nel creare, migliorare, mantenere e modificare l’atteggiamento dei clienti nei confronti della marca. Interviene qui la risposta affettiva, mentre nei livelli precedenti entrava in gioco quella cognitiva. Il quinto obiettivo è quello di stimolare l’intenzione di acquisto, che si pone a metà strada tra la risposta affettiva e quella comportamentale. Il sesto obiettivo, è quello di facilitare l’acquisto. Quest’ultimo obiettivo della comunicazione pubblicitaria chiama in causa le altre leve della pressione marketing, senza le quali l’acquisto stesso non potrebbe avere luogo: un prodotto che mantenga le sue promesse; la disponibilità del

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medesimo nei punti vendita; un prezzo di vendita accettabile; la competenza e la disponibilità della forza vendita.

16.3.5. La pubblicità su InternetCresciuta esponenzialmente dal 1994 (anno della sua comparsa) ad oggi, la pubblicità sul Web ha come suo massimo vantaggio la grande disponibilità di informazioni che mette a disposizione dei potenziali acquirenti. All’inverso, essa è facilmente misurabile, almeno in parte, grazie ai sistemi di controllo dei clic ed è accessibile in ogni ora del giorno e in ogni momento dell’anno.

16.3.6. Internet e la comunicazione diretta di marketingL’adozione di Internet ha provocato profondi cambiamenti nel modo in cui le imprese si relazionano con i propri pubblici di riferimento, sia interni sia esterni. In particolare il Web 2.0 ha abilitato nuove e più coinvolgenti forme di relazione e comunicazione tra imprese e clienti. La comunicazione e la pubblicità online non possono essere intese come una versione virtuale della pubblicità tradizionale, in quanto le caratteristiche del Web sono del tutto diverse da quelle dei media tradizionali e agiscono profondamente sui contenuti e gli effetti del messaggio stesso. I principali strumenti per la comunicazione d impresa, che si avvalgono del fatto di essere veicolati su Internet, sono classificabili in due grandi categorie: o ABOVE THE WEB: tra i primi figurano gli strumenti pubblicitari (banner , pop-up, interstitial,

microsite, rich media), i motori di ricerca, i link a pagamento, le sponsorizzazioni e le public relation.

o BELOW THE WEB: tra i secondi figurano invece mailing list, newsgroup, newsletter e comunità virtuali.

Grazie all’impiego di Internet, la comunicazione tra impresa e cliente si sviluppa in un percorso a due vie: i feedback che vengono via via acquisiti rappresentano preziose risorse informative che, se utilizzate adeguatamente, permettono un rapido adeguamento dell’offerta. Gli effetti della comunicazione online possono essere inoltre amplificati tramite l’integrazione con gli strumenti di comunicazione tradizionale. L’integrazione rappresenta la chiave di volta per amplificare l’efficacia della comunicazione online e offline, dato che costituisce l essenza delle strategie di cross advertising. I due canali possono essere usati contemporaneamente per veicolare lo stesso messaggio, oppure con un timing diverso, oppure ancora possono servirsi di messaggi diversi nei diversi canali.

16.4. Le decisioni di promozione delle venditeLa promozione delle vendite comprende l’insieme degli stimoli che vengono usati dall’impresa per rafforzare l’azione della pubblicità e della forza vendita, e per stimolare acquisti più rapidi e di dimensioni maggiori di un bene o di un servizio. La promozione delle vendite si inserisce nella strategia complessiva di marketing e negli ultimi tempi ha assunto un importanza crescente, che si traduce annualmente in un aumento delle spese promozionali nel budget totale di comunicazione.

16.4.1. Gli obiettivi della promozione delle venditeGli obiettivi della promozione delle vendite dipendono dal tipo di promozione. Essa può essere considerata dal punto di vista di chi fa l’offerta (produttore o distributore) o del target designato (consumatore, distributore o forza vendita). È possibile considerare quattro tipi di promozione: la promozione al cliente, la promozione al distributore, la promozione commerciale e la promozione alla forza vendita.o la promozione al cliente consiste nel proporre al medesimo un vantaggio immediato, differito

o ipotetico per stimolare l’acquisto di un prodotto. 69

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o La promozione al distributore propone alle imprese distributrici o ai grossisti vantaggi specifici, soprattutto di carattere finanziario, per stimolarli ad: 1) adottare la marca; 2) aumentare le proprie scorte; 3) promuovere la marca esponendo pubblicità o riduzioni di prezzo; 4) promuovere il prodotto nei loro negozi.

o La promozione commerciale, dal canto suo, comprende le operazioni promozionali organizzate dai distributori a vantaggio dei propri clienti, che in parte utilizzano le risorse finanziarie messe a disposizione dai produttori.

o La promozione alla forza vendita o alla rete si propone di stimolare tutti i partner (forza vendita, grossisti, rivenditori) interessati dalla vendita del prodotto, usando incentivi individuali.

16.4.2. Le diverse tecniche promozionaliLe tecniche promozionali sono numerose e molto eterogenee, e possono essere raggruppate in quattro grandi famiglie: a) le riduzioni di prezzo; b) le vendite con premi e omaggi; c) le prove e i campioni; d) i giochi e i concorsi. La proliferazione delle tecniche e delle attività promozionali provoca effetti perversi, dato che comporta un costo elevato sia per il distributore sia per il produttore. Dal punto di vista concorrenziale, inoltre, gli effetti delle promozioni tendono a compensarsi, poiché un azione promozionale riuscita suscita immediatamente una reazione promozionale da parte del concorrente, che cercherà di compensare la perdita subita. Inoltre, se da un lato questa escalation promozionale apporta un beneficio al cliente, dall’altro rende permanenti le promozioni, compromettendone l’efficacia e generando comportamenti di attesa tra i clienti.

16.4.3. Gli effetti della promozione sulle venditeGli effetti delle promozioni sono complessi e superano il semplice risultato di vendita, anche se quello è il primo effetto ricercato. È possibile fare una distinzione tra gli effetti sui consumatori e quelli sulla distribuzione. Agli effetti immediati devono poi essere aggiunti quelli a lungo termine, che possono essere negativi per una marca. Gli effetti delle promozioni sui consumatori sono piuttosto complessi e possono manifestarsi prima e dopo la promozione: o Gli effetti di trasferimento interno: si tratta degli acquisti di consumatori abituali, i quali

approfittano dell’offerta speciale ma avrebbero acquistato la marca anche in assenza di promozione;

o Gli effetti di anticipazione: si tratta del calo delle vendite che si registra nel periodo antecedente la promozione, perché i consumatori attendono la promozione per acquistare. Maggiore è la regolarità delle promozioni, tanto più evidente sarà questo effetto;

o Gli effetti di depressione: si tratta del calo degli acquisti conseguente all’accumulo di scorte effettuato dal consumatore durante la promozione;

o Gli effetti di cannibalizzazione: si tratta dei trasferimenti di acquisti che possono essere effettuati tra diversi formati o varietà all’interno della stessa gamma in occasione di un attività promozionale;

o Gli effetti di sostituzione della marca: questo è l effetto ricercato con la promozione. Si tratta delle vendite supplementari realizzate in occasione della promozione, grazie ad un trasferimento dalla marca abituale alla marca in promozione;

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o Gli effetti di prova: la tecnica promozionale utilizzata, quale che sia, può indurre i consumatori ad usare il prodotto, per cui sono importanti specialmente per i nuovi prodotti;

o Gli effetti di rimanenza: sono gli effetti positivi che permangono dopo la promozione e che possono collocare la marca a un livello di vendita superiore a quello osservato prima della promozione.

Questi effetti variano a seconda della fase del ciclo di vita del prodotto-mercato di riferimento: nelle fasi di introduzione e crescita, le promozioni accelerano lo sviluppo della domanda primaria, favorendo la prima prova. Nella fase di maturità, i vantaggi generati da una promozione vanno necessariamente a scapito delle marche concorrenti, il che rischia di innescare una dinamica di eccesso promozionale. Per quanto concerne gli effetti delle promozioni sui distributori, se ne possono distinguere tre:o Gli effetti di posticipazione: i distributori, che esigono di conoscere il programma di marketing

operativo dei loro fornitori, tendono a differire i propri acquisti per potersi rifornire in occasione di periodi promozionali;

o Gli effetti di sovrastoccaggio: negli ordini trasmessi nei periodi di promozione, i distributori tendono a rifornirsi per una durata compatibile con le proprie capacità di stoccaggio, il che comporterà una riduzione degli ordini successivamente al periodo promozionale;

o Gli effetti degli approvvigionamenti devianti: alcuni distributori si riforniscono esclusivamente in occasione di promozioni e rifiutano di acquistare il prodotto a prezzo pieno.

Passando a trattare degli effetti negativi delle promozioni, è possibile identificarne quattro: a) la spirale promozionale, cioè la creazione di una situazione promozionale quasi permanente; b) la banalizzazione dell’immagine di marca (una marca troppo promossa si banalizza agli occhi dei clienti); c) lo sviluppo di comportamenti speculativi, poiché, se le promozioni sono troppo frequenti, i clienti possono attendere sistematicamente le offerte promozionali; d) una difficoltà di confronto tra i prezzi, resa appunto difficile dal moltiplicarsi delle offerte promozionali.

16.5. Le decisioni di relazioni pubbliche e quelle non legate ai mediaLa pubblicità istituzionale non si propone di parlare del prodotto, bensì di creare o consolidare un atteggiamento positivo nei confronti dell’impresa. Si tratta perciò di un obiettivo di creazione d’immagine dell’impresa, che fa riferimento all’atteggiamento generale del pubblico nei riguardi dell’impresa stessa. Gli strumenti utilizzati dalle relazioni pubbliche sono molteplici e possono essere raggruppati in quattro categorie: o la prima categoria comprende tutte le informazioni relative all’impresa; o la seconda categoria comprende le pubblicazioni (rapporti annuali, giornali aziendali, ecc); o la terza categoria comprende gli eventi e le manifestazioni; o la quarta categoria comprende i patrocini, ovvero la partecipazione dell’impresa a cause di

interesse generale (umanitarie, scientifiche, culturali). Gli ultimi due strumenti delle relazioni pubbliche rientrano nella comunicazione istituzionale, tramite la quale l impresa cerca di valorizzarsi nei confronti dell’opinione pubblica, presentandosi come impresa socialmente responsabile.

CAPITOLO 17Il piano di marketing strategico e operativo17.1. La pianificazione di marketing

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L’obiettivo di fondo del piano di marketing strategico è quello di esprimere in modo chiaro e sintetico le scelte strategiche effettuate dall’impresa per assicurarsi lo sviluppo a lungo termine. Queste opzioni devono poi essere trasformate in programmi d’azione.

17.1.1. La struttura generale del piano di marketing strategicoIl processo del marketing strategico deve capire o Qual è il business dell’impresa e qual è la sua missione strategica all’interno del mercato di

riferimento sceltoo All’interno di tale mercato, quali sono i vari prodotti-mercati o segmenti o Quale strategia di posizionamento potrà essere adottata all’interno di ciascun segmento o Quali sono i fattori chiave di attrattività di ciascun segmento e quali sono le opportunità e le

minacce esistenti nel loro ambienteo All’interno di ogni segmento, quali sono i fattori di successo dell’impresa, i suoi punti di forza e

di debolezza, e il tipo di vantaggio competitivo che essa detiene? o Quale strategia di sviluppo adottare per i prodotti-mercati che fanno parte del portafoglio

prodotti dell’impresa o Come tradurre gli obiettivi strategici adottati in un programma di marketing operativo definito

in termini di decisioni di prodotto, distribuzione, prezzo e comunicazione

17.1.2. L’importanza della pianificazione strategicaQualsiasi impresa deve formulare previsioni in almeno tre campi: il primo riguarda gli investimenti in capacità produttiva necessari per rispondere all’evoluzione della domanda di mercato o per accedere a nuovi prodotti-mercati; il secondo concerne il programma di produzione, che deve essere pianificato un funzione della stagionalità delle vendite e della periodicità degli ordini; il terzo è incentrato sulla liquidità necessaria a far fronte alle scadenze e richiede una previsione delle entrate e delle uscite. Oltre a questo, tuttavia, il piano chiarisce la visione e gli obiettivi di fondo dell’impresa, e si concretizza in una visione comune della direzione da prendere. Tutto ciò che accade all’impresa potrà essere valutato in relazione ad esso. Nonostante la pianificazione strategica rappresenti una prassi largamente diffusa, un certo numero di imprese preferisce non usare piani strategici formalizzati, sostenendo che non esistono informazioni utili per metterlo in pratica, oppure che in presenza di un ambiente esterno instabile qualsiasi tipo di previsione è futile, oppure ancora che esso impone rigidità, quando in realtà, proprio perché l’ambiente esterno è assai mutevole, l’impresa avrebbe bisogno di grande flessibilità.

17.2. Il contenuto di un piano di marketing strategico17.2.1. La definizione della missione strategicaTale definizione deve contenere almeno quattro elementi fondamentali: a) la storia dell’impresa; b) la definizione del campo di attività; c) gli obiettivi prioritari e i vincoli di cui occorre tenere conto per il conseguimento degli obiettivi; d) le opzioni strategiche di base.

17.2.2. L‘audit esterno: l’analisi dell’attrattività del mercatoL’audit esterno, detto anche analisi dell’opportunità e delle minacce, è la prima parte dell’analisi di situazione. Esso prende in considerazione i principali fattori esterni che esulano dal controllo dell’impresa ma possono influire in misura determinante sul piano di marketing. A tale proposito,

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è necessario prendere in considerazione i seguenti fattori: le tendenze del mercato, il comportamento dei clienti, la struttura distributiva, l’ambiente competitivo, le evoluzioni del contesto macro-marketing e il contesto internazionale.

17.2.3. L audit interno: l’analisi di competitivitàL’audit interno, definito anche analisi dei punti di forza e debolezza, si pone come obiettivo principale valutare le risorse dell’impresa e identificare il tipo di vantaggio competitivo sul quale basare la strategia di sviluppo. I punti di forza e debolezza sono fattori interni, a differenza di opportunità e minacce, che sono esterni. I punti di forza dell’impresa o della marca rappresentano potenziali vantaggi competitivi su cui basare la strategia di posizionamento e di comunicazione scelta; i punti di debolezza ne determinano il grado di vulnerabilità e suggeriscono le azioni correttive da intraprendere. Alcune debolezze, tuttavia, possono essere strutturali (magari perché legate alla dimensione dell’impresa) e dunque non correggibili. L’analisi di competitività deve partire dall’analisi della situazione dell’impresa, poi procedere all’analisi dei principali concorrenti, successivamente passare all’analisi della penetrazione nella distribuzione, continuare quindi con l analisi dei programmi di comunicazione e infine approdare all’analisi della politica di prezzo.

17.3. Obiettivi e programmiA questo punto, la direzione aziendale si trova in possesso dei principali elementi che le servono e deve prendere decisioni sugli obiettivi da perseguire, traducendoli in un programma d azione.

17.3.1. La definizione degli obiettiviGli obiettivi perseguiti da un impresa si possono raggruppare in due grandi categorie: gli obiettivi di marketing e quelli non di marketing. Questi ultimi riflettono il sistema di valori dell impresa e, in quanto tali, si applicano a tutti i segmenti target. Al contrario, gli obiettivi di marketing possono essere espressi in tre modi diversi: in termini di vendite, di profitto o in riferimento ai clienti. Gli obiettivi di vendita possono essere espressi in termini di fatturato, unità fisiche o quote di mercato.

17.3.2. Le caratteristiche dei buoni obiettiviGli obiettivi di marketing, per essere efficaci, devono essere: a) chiari e concisi;b) presentati in forma scritta per facilitare la comunicazione; c) definiti nel tempo; d) espressi in termini misurabili; e) in linea con gli obiettivi generali dell’impresa; f)raggiungibili ma sufficientemente stimolanti da fornire una motivazione; g) precisi nello specificare i risultati attesi in settori chiave, come le vendite, le quote di mercato, gli utili, l’atteggiamento e il comportamento dei consumatori, etc.. Inoltre è necessario definire chiaramente le responsabilità individuali e i tempi di realizzazione degli obiettivi.

17.4. La scelta del percorso strategicoDefinire un obiettivo è una cosa, sapere come raggiungerlo un altra. Del resto, un medesimo obiettivo può essere raggiunto in modi diversi.

17.4.1. I diversi programmi d azioneI percorsi strategici possibili sono: a) la strategia di difesa, che consiste nel difendere le posizioni di mercato acquisite;

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b) la strategia di penetrazione del mercato; c) la strategia di sviluppo dei mercati; d) la strategia di estensione della marca, che è intesa a completare, migliorare o ampliare la gamma dei prodotti; e) la strategia di sviluppo internazionale. I percorsi strategici alternativi testé citati possono avere conseguenze molto diverse sulle risorse umane e finanziarie da impiegare, pertanto devono essere ponderati con molta cura.

17.4.2. La definizione della strategiaLa formulazione della strategia richiede di decidere tra varie strategie disponibili. Essa richiederà la massima ponderazione e il rispetto di principi fondamentali, ispirati alla strategia militare, come fattibilità, forza, concentrazione delle forze, sinergie, flessibilità e uso parsimonioso delle risorse.

17.5. L elaborazione del piano di marketingLa descrizione della strategia da seguire deve costituire un orientamento generale che deve essere tradotto in azioni specifiche per ciascuna delle componenti del marketing mix, con una descrizione delle risorse disponibili, umane e finanziarie, per realizzare tali azioni, descritte nel programma d azione e nel budget. Il programma d azione dovrà comprendere la descrizione dettagliata delle azioni da avviare; oltre alle considerazioni di ordine finanziario, sarà accompagnato da uno scadenzario e dalla descrizione dei compiti e delle responsabilità di ciascuno per la sua realizzazione. Per essere efficace, un piano di marketing deve avere le seguenti caratteristiche: essere sufficientemente standardizzato da consentire una discussione e un approvazione in tempi brevi; prevedere soluzioni alternative (per fare fronte ad eventuali variazioni delle condizioni ambientali) e le azioni correttive da intraprendere; essere oggetto di un riesame sistematico o di aggiornamenti; essere concepito come uno strumento di gestione, cioè inflessibile sugli obiettivi fondamentali e sulle politiche strategiche a lungo termine e flessibile sulle previsioni a breve termine. L’orizzonte temporale del piano è in genere mobile, con un termine massimo di tre anni. Di solito il raffronto tra gli obiettivi e la loro realizzazione viene effettuato ogni tre mesi, per verificare che tutto proceda in base ai piani.

17.6. L analisi di vulnerabilità e la pianificazione dell’imprevistoLa validità della pianificazione strategica è stata fortemente messa in crisi, negli ultimi anni, dalla sua incapacità di operare bene in situazioni diverse da quelle di stabilità; di fronte alle crisi, infatti, essa ha messo in luce tutti i suoi limiti. La fragilità di un piano strategico dipende da due tipi di fattori: l importanza del rischio e il grado di controllo esercitato dall’impresa sul fattore di rischio. Quest’ultimo dipende da una combinazione tra: a) l’impatto sulla performance totale di valori estremi ma plausibili; b) la probabilità che uno di questi valori si presenti nel periodo della pianificazione. La griglia di vulnerabilità presentata dalla Figura 17.6 (p. 492) può essere utilizzata per posizionare i diversi fattori di rischio e isolare quelli più rischiosi. A ogni quadrante corrisponde un diverso grado di rischio, che richiede azioni specifiche. In particolare, nel quadrante della strategia (ossia dove il rischio e il grado di controllo sono elevati) si collocano i fattori strategici controllabili dall’impresa, che devono essere conosciuti, monitorati e posti al centro delle principali azioni strategiche. Nel quadrante della vulnerabilità (laddove il rischio è elevato ma il grado di controllo è debole o inesistente) si collocano i fattori critici, da monitorare costantemente. In questa zona andranno predisposti dei piani anti-crisi. Nel quadrante della sintonizzazione, il rischio non è rilevante e il grado di controllo elevato. I fattori di rischio, in questo caso, sono controllati e gestiti dalla direzione operativa. Infine, nel settore non strategico, il rischio è basso, così come il livello di

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controllo. I fattori di rischio inclusi in questo spazio rientreranno in uno scenario normale. La zona di vulnerabilità richiede quindi un attenzione particolare, perché è da lì che possono giungere le minacce più difficili da prevedere. L’impresa dovrebbe sviluppare una serie di strategie per essere pronta a reagire a questi fattori di rischio.

CAPITOLO 18Valori emergenti e nuove problematiche del market-drivenmanagement18.1. L affermazione del potere della società civileNel mondo industrializzato, i consumatori evoluti rappresentano una forza composita di cittadini-clienti che le aziende non possono più permettersi di ignorare. Questi consumatori sono consapevoli della loro forza, hanno comportamenti d acquisto professionali, hanno superato le esigenze di consumo primarie e sono alla ricerca di nuovi valori, sono interessati primariamente a forme di consumo etico e politicamente corretto . Tutto ciò comporta un ulteriore fattore di difficoltà per le imprese, poiché richiede una comprensione più profonda dei mercati e un analisi più approfondita delle tendenze che si manifestano al loro interno.18.2. L’integrazione delle nuove tecnologie di comunicazioneL’affermazione delle ICT ha fatto sì che, mentre nelle strutture aziendali tradizionali la vendita è considerata come una funzione succedanea alla produzione, nel commercio on line l’azienda virtuale, anziché vendere quello che produce, vende quello che può consegnare, a prescindere da chi sia il produttore. Le capacità cruciali diventano quindi il contatto con il mercato e le competenze in termini di distribuzione fisica e logistica. In particolare, l’azienda presente on line può riuscire a conciliare un concetto di mercato basato sui prodotti con quello di metamercato, che si fonda sulla logica e le percezioni del consumatore. In questo modo, il concetto di metamercato dà all’impresa virtuale l’opportunità di applicare in pieno il concetto di orientamento al cliente. Molto importante è anche la questione della riprogettazione della rete distributiva, che deve essere adattata alle nuove realtà. Il contatto diretto con il cliente è un obiettivo possibile, spesso già conseguito, ma non si può trascurare il fatto che esso impone spesso oneri logistici molto pesanti. Il problema, dunque, è essenzialmente quello di ricollocare i compiti distributivi fra i diversi attori della catena: un azienda, ad es., potrebbe trattare direttamente con il consumatore finale quando si tratta di fornire informazioni aggiornate, lasciando agli intermediari i compiti il cui assolvimento richiede una prossimità fisica. Lo sviluppo delle ICT e la globalizzazione del mercato possono inoltre dare l’impressione che le distanze non contino più, ma non è così, poiché la distanza è un concetto che racchiude in sé quattro dimensioni diverse: geografica (la distanza fisica), amministrativa (accordi commerciali), economica (differenze nello stile di vita) e culturale (difficoltà linguistiche). Le nuove tecnologie hanno eliminato solo una di queste componenti, quella relativa alla comunicazione. Le nuove tecnologie, inoltre, hanno cambiato anche gli obiettivi e il contenuto della comunicazione pubblicitaria, che ha assunto caratteristiche ormai note: è interattiva, più informativa e pratica; può essere fatta su richiesta; può avvalersi di un sistema di invio di posta elettronica personalizzata; è una comunicazione globale in qualsiasi momento e qualsiasi luogo.

18.3. L’emergere di nuovi valoriL’approccio tradizionale agli obiettivi dell’impresa ritiene che questi ultimi consistano essenzialmente nell’aumentare i profitti e dunque il valore delle azioni, in una logica puramente economica. L’approccio ai portatori di interesse (stakeholders), che è più recente, sostiene invece che l’azienda è responsabile nei confronti dei portatori d interesse , cioè su qualsiasi gruppo di persone che può influire sugli obiettivi aziendali o subirne l’influenza: dipendenti, consumatori,

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fornitori, la comunità locale e l’ambiente. Non sembra, a prima vista, che i due approcci citati possano facilmente convivere all’interno di un unico modello economico. Tuttavia, se si pensa all’importanza che ha assunto, nel giro di pochi anni, la visione socio-ecologica del consumo collegata alla crescente consapevolezza della scarsità delle risorse naturali, della crescita incontrollata dei rifiuti e del costo sociale del consumo – si comprende come in realtà i due modelli già convivano. In una prospettiva socio-ecologica del consumo, le imprese tendono a migliorare la loro eco-efficienza , aumentando il volume di produzione per unità di risorsa naturale utilizzata. Tutti gli studiosi concordano sul fatto che il potenziale di miglioramento dell’eco-efficienza è, per la maggior parte dei prodotti, enorme. Si tratta di un miglioramento che non solo sarebbe benefico per l’ambiente, ma aumenterebbe la redditività dell’impresa, creando una situazione caratterizzata da guadagni sia dal punto di vista ambientale sia da quello economico. Come ultimo aspetto, ma non minore, c è da considerare come l’immagine di un impresa che gode di una buona reputazione in termini di rispetto per l’ambiente costituisca sempre più un motivo di fedeltà per clienti, dipendenti e azionisti.

18.4. Implicazioni per il market-driven management Nell’economia globalizzata, il marketing strategico continua ad avere un ruolo importantissimo, in quanto rimane il miglior sistema per far incontrare domanda e offerta. Quali sono dunque, a livello manageriale, le implicazioni dei cambiamenti analizzati in questo capitolo? Come si è detto, il paradigma dell’orientamento al mercato è complesso e si può definire facendo riferimento alle dimensioni della cultura, dell’analisi e dell’azione. Per quanto concerne in primo luogo la cultura, la filosofia aziendale rientra nel sistema dell’economia di mercato sociale. Creando valore per il cliente, l’impresa raggiunge i suoi obiettivi di profitto e crescita, e quindi crea valore per gli azionisti. Nell’economia attuale, questo è un obiettivo assai complesso da raggiungere. Per quanto riguarda l’analisi, l’obiettivo del marketing strategico è quello di proporre a un determinato segmento del mercato un valore che sia diverso da quello offerto dalla concorrenza e che sia, al tempo stesso, sostenibile per l impresa. Nell’economia attuale, anche questo obiettivo diventa più difficile da raggiungere, poiché la complessità dei mercati mondiali è cresciuta in seguito all’entrata in gioco di nuovi soggetti (società civile, consumatori, ONG, etc.). Tale complessità richiede un rafforzamento della mente strategica dell’azienda. Per quanto si riferisce infine all’azione, il settore commerciale dell’impresa, stimolato e rafforzato dallo sviluppo delle ICT, ha raggiunto capacità impensabili, riuscendo ad allontanarsi da una strategia di prodotto per andare verso una strategia di soluzione.

18.4.1. L’ampliamento del ruolo del marketingLa crescente complessità dei mercati globali deriva da fattori sempre nuovi e diversi. Per farvi fronte, le imprese devono ridefinire il modo in cui la funzione marketing opera, ampliandone e qualificandone il ruolo, modificandone le priorità e sviluppando nuove competenze. In particolare, devono essere rispettate le seguenti priorità: a) rafforzare il marketing strategico, la cui importanza in uno scenario in continuo cambiamento cresce considerevolmente; b) porre maggiore enfasi sull’innovazione; c) rafforzare la collaborazione con le altre funzioni, poiché il market-driven management è troppo complesso per essere confinato alla sola funzione marketing; d) vedere il mercato come un ambito commerciale a doppio uso, da un lato tradizionale e dall’altro elettronico; e) non sottostimare il ruolo dei media prodotti dagli utenti (user generated media);

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f) sviluppare strategie per l offerta di soluzioni ai clienti, che sono le strategie vincenti, perché creano rapporti più duraturi con i clienti stessi e offrono margini di profitto più elevati; g) considerare il budget di marketing come investimento a lungo termine e non come una spesa; h) nei mercati B2C, trattare i grandi distributori come clienti B2B, stante la loro crescente importanza; i) essere consapevoli della propria responsabilità sociale d impresa, evitando di essere oggetto di critiche per comportamenti socialmente scorretti, che potrebbero costare molto cari; l) sviluppare nuove capacità e competenze, perché il compito delle imprese non è mai stato così difficile come oggi.

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