PUBBLICAZIONI DELL ’ISTITUTO SUOR ORSOLA BENINCASA LABORATORIO 57
Questa collana risponde all’esigenza di forniread un pubblico più vasto memoria del lavoro culturale e di ricerca
che ha luogo nell’Istituto Suor Orsola Benincasa
Università degli StudiSuor Orsola Benincasa
Giornate di studi «Ordine. Atti del secondo Colloquio internazionale
di Letteratura italiana»
Napoli, 12 - 14 ottobre 2006
ORDINE ATTI DEL SECONDOCOLLOQUIO INTERNAZIONALE
DI LETTERATURA ITALIANA
A CURA DI
SILVIA ZOPPI GARAMPI
Senti lì [in Machiavelli] il piacere di quell’esercizio intellettuale e di quella originalità, di quel dir cose
che a’ volgari sembrano paradossi. Quei pensieri sono come una schiera ben serrata,
dove non penetra niente dal di fuori, a turbarvi l’ordine. (F. De Sanctis, Machiavelli)
Sulle tracce del percorso indicato dalla filosofia della politica
‘analitica’, la cosiddetta «analisi concettuale»
1
– o dei significati
_
sembra offrire quasi una patente di liceità metodologica, in campo
filosofico ma perché no anche critico-letterario, a questo tentativo di
lettura del segno «ordine» in relazione a Machiavelli. Liberi, in que-
sta sede, dalla pretesa di ricostruire il pensiero politico machiavel-
liano, come uno dei capitoli più complessi e controversi di tutta la
letteratura e della stessa storia della cultura, ci si limiterà ad osser-
MACHIAVELLI E L’ORDINE “TRAGICO”
PAOLA VILLANI
1
Nella vasta bibliografia al riguardo si vedano LUDWIG WITTGENSTEIN,
Philosophische Untersuchungen, Oxford, Basil Blackwell, 1953 (trad. it. Ricerchefilosofiche, Torino, Einaudi, 1967, pp. 121 e sgg.); VIRGILIO MURA, Categorie dellapolitica. Elementi per una teoria generale, Torino, Giappichelli, 1997, pp. 80 e
sgg.
118 Paola Villani
vare che il Segretario è forse tra gli autori nelle cui opere il lemma
ricorre con maggiore frequenza
2
.
In fondo, Machiavelli è lo scrittore dell’ordine per eccellenza,
con un’accezione di questo ‘segno’ che sia quanto più possibile po-
lisemica e poliallusiva. D’altronde, i teorici della conoscenza inseri-
rebbero il termine ‘ordine’ tra quelli che hanno un «significato se-
mantico»
3
connotativo più che denotativo; tra quei segni cioè ‘va-
ghi’, con forte polisemicità
4
.
Nel significato «pragmatico» comune di ordine, Machiavelli
è «buon geomètra» per eccellenza, per usare un’espressione d’autore
con la quale è già stato definito e riassunto il complesso universo
machiavelliano
5
. È lo scrittore della ratio tipica cinquecentesca: in-ventio, dispositio, tutto è ordinato appunto quasi in una prospettiva
d’archi, un’architettura complessa quanto razionale, che fa sempre
trapelare una regia attenta, una mente che abbia ‘ordito’ tutte le
complesse trame del pensiero e del linguaggio stesso: in una parola,
del logos. D’altronde, sarebbe anche questo «ordine lucido»
_
fon-
dato, però, più sulla tagliente struttura sintattica che sulla puntualità
2
L’inventario lessicologico della LIZ conta 706 occorrenze, tra «ordine»
e «ordini», con un picco raggiunto dai Discorsi intorno alla prima Deca di TitoLivio, che, soli, contano 238 frequenze. La parola specifica «ordine» conta 386 oc-
correnze complessive (delle quali 95 nei Discorsi, 121 nell’Arte della guerra, 13
nel Principe, 90 nelle Istorie fiorentine). Per i diversi usi e significati della parola
si veda infra.
3
Si fa qui riferimento alla canonica tripartizione tra significato semantico,
sintattico e pragmatico messa a punto dal neo-empirismo carnapiano. Cfr. Gli or-
mai classici interventi di RUDOLF CARNAP, Testability and Meaning, in «Philosophy
of Science», 1936, III, pp. 420-471; e 1937, IV, pp. 2-40 (trad. it. Controllabilitàe significato, in ID. Analiticità, significanza e induzione, Bologna, Il Mulino, 1971,
p. 165). Si veda anche il più recente ID., Filosofia e sintassi logica, a cura di C.
Ferrari, Pisa, ETS, 1996. Cfr. anche ARTHUR PAP, An Introduction to the Philo-sophy of Science, New York, The Free Press of Glencoe, 1962 (tr. it. Introduzionealla filosofia della scienza, Bologna, Il Mulino, 1967, pp. 11-23); ALBERTO PA-
SQUINELLI, Nuovi principi di epistemologia, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 51 e sgg;
LUIGI LENTINI, Il paradigma del sapere, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 75 e sgg.
4
Cfr. IRVING M. COPI, Introduction to logic, New York, The Macmillan
Company, 1961, trad. it. Introduzione alla logica, Bologna, Il Mulino, 1991, pp.
129 e sgg. Cfr. Anche V. MURA, Categorie della politica [...], cit., pp. 29 e sgg.
5
MARIO MARTELLI, Il buon geomètra di questo mondo, Introduzione a N.
MACHIAVELLI, Tutte le opere, Firenze, Sansoni, 1972, pp. XI e sgg.
lessicale
6
– una delle principali discriminanti tra Machiavelli e l’o-
ratoria della persuasione su cui si fondava gran parte della trattati-
stica umanistica
7
. Al di là dell’innegabile complessità e anche con-
traddittorietà del pensiero e della stessa scrittura machiavelliana nel
suo sviluppo cronologico e logico
8
, sembra comunque esserci sem-
pre una geometricità dell’impianto e del tessuto in tutte le sue pa-
gine. In un difficile e delicato rapporto tra «discorso teoretico» e
«momento soggettivo»
9
, il pensiero politico machiavelliano, e il
procedere stesso delle argomentazioni, seguono una logica necessi-
tante che si fonda innanzitutto su indicazioni causali. Questa logica
non è intesa solo alla persuasione, come è già stato rilevato
10
, ma,
6
Per un’attenta analisi linguistica del Principe e degli scritti cancellere-
schi si veda la recente analisi di MARIO MARTELLI, Prosa cancelleresca, in AA.VV.,
Machiavelli senza i medici (1498-1512). Scrittura del potere / potere della scrit-tura, Roma, Salerno Editrice, 2006, pp. 15-39.
7
MANLIO PASTORE STOCCHI, Il pensiero politico degli umanisti, in AA.
VV., Storia delle idee politiche, economiche e sociali, a cura di L. Firpo, vol. III,
Torino, Einaudi, 1987, pp. 3-68, a p. 6.
8
Sulla contraddittorietà del pensiero machiavelliano, val la pena leggere
le parole di Matteucci: «[...] tutta una serie di oscillazioni e di incertezze, che è
possibile ritrovare nelle sue pagine, è dovuta proprio a questo continuo e doloroso
interrogarsi intorno alla politica, intorno alla sua miseria e alla sua grandezza, con
una nostalgia del bene che si mantiene sempre intatta, per cui il suo realismo senza
respiro, che gli è dettato dalla spietata ma vera logica della realtà, mai si converte
in cinismo. Di qui la radicale differenza del Machiavelli dal Guicciardini, e dal suo
senso distaccato della realtà, accettata con sprezzo aristocratico, come dai teorici
della ‘ragion di Stato’, tutti tesi a mediare, attraverso un procedimento casuistico,
la particolare natura della politica con i fini buoni e cristiani. Ciò che ci dice il
Machiavelli è l’esatta antitesi dell’antica, trita formula sul fine che giustifica e re-
dime i mezzi, o della moderna riduzione dell’etica alla politica» (NICOLA MAT-
TEUCCI, Alla ricerca dell’ordine politico. Da Machiavelli a Tocqueville, Bologna,
Il Mulino, 1984, p. 62).
9
Sarebbe questa dicotomia una delle basi fondanti il «tragico» del Prin-cipe. Cfr. GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI, La forma tragica del «Principe» e altrisaggi sul Machiavelli, Firenze, Olschki, 1958, p. 103.
10
Bàrberi Squarotti (ibidem, pp. 103 e sgg.) osserva come, anzi, la logica
della necessità sia «esclusivamente rivolta proprio a indicare la possibilità di uscire
dalle sequenze gnomiche e […] come difesa contro ogni possibilità autonoma de-
gli eventi, contro ogni ribellione delle cose». Cfr. anche FREDI CHIAPPELLI, Studisul linguaggio di Machiavelli, Firenze, Le Monnier, 1952, passim, il quale insiste
proprio sulla rappresentazione linguistica di tale logica, evidenziando, nel Principein particolare, l’alternarsi di un linguaggio di ricerca tecnica e uno teso alla più
alta espressività.
Machiavelli e l’ordine “tragico” 119
11
Scrive Martelli a proposito di Belfagor (M. MARTELLI, Introduzione aN. Machiavelli, Tutte le opere, cit., pp. XIV-XV).
12
N. MATTEUCCI, op. cit., p. 69.
13
Cfr. JOHN HUMPHREYS WHITFIELD, On Machiavelli’s Use of “Ordini”,
in «Italian Studies», 1955, pp. 19-39, il quale polemizza con Chiappelli (cfr. F.
CHIAPPELLI, Studi sul linguaggio del Machiavelli, cit.) per non aver prestato atten-
zione al vocabolario “costituzionale” presente nel Principe come nei Discorsi. Cfr.
anche HANS DE VRIES, Essai sur la terminologie constitutionelle chez Machiavel(“Il Principe”), Amsterdam, Excelsior, 1957, traduce «ordini» con sistema di po-
tere, regime o sistema politico, struttura normale dei rapporti di potere.
14
Il dibattito critico-storiografico è ampio. Qui basti osservarne le con-
clusioni: la pubblicistica fiorentina precedente a Machiavelli fu straordinariamente
attiva contro il tiranno e fautrice della florentina libertas. Già QUENTIN SKINNER
(The Foundations of Modern Political Thoughts, I, Cambridge, Cambridge Uni-
si aggiungerebbe, esprime forse un desiderio di ordinare eventi,
fatti, azioni e decisioni, all’interno di un preciso disegno.
Tale tendenza alla razionalizzazione del reale, che attraversa
il vastissimo corpus di scritti, è tutt’altro che serena acquisizione, e
sembra dover fare i conti con una ineludibile tendenza ad una solida
presa sul reale. Si configura, così, già in questa accezione di ordine
machiavelliano, una dimensione ‘tragica’, come duplicità irrisolta
tra due diverse tensioni. Si direbbe che «l’impulso astrattamente
geometrizzante tende e riesce ad equilibrarsi in un impulso opposto
di voluminosa corporeizzazione»
11
.
Una duplicità di impulsi, dunque, che confluisce nella medi-
tazione politica e, lì meglio che altrove, trova espressione. Il mo-
derno scienziato politico è abituato ad associare il nome del Ma-
chiavelli con l’uso del concetto di potere nell’analisi politica. La sua
riflessione, però, ampia e complessa, che non può certo ricostruirsi
per intero in questa sede, si appunta anche sul problema degli «or-
dini», intesi come «l’antitesi dei ‘modi straordinari’ – e cioè delle
procedure illegali – attraverso i quali, in epoche di corruzione e di
decadenza, il potere può manifestarsi»
12
. Nell’esigenza di istituzio-
nalizzare il potere, con Machiavelli entra da protagonista la parola
«ordine» nella sua connessione col «vivere civile», col «vivere po-
litico» e col «vivere libero»
13
, riprendendo così una tradizione che
ormai dalla recente critica è stata riconosciuta non propria inven-
zione dell’umanesimo, ma retaggio della cultura basso-medievale
14
.
L’ordine machiavelliano, inoltre, è ricondotto anche al gene-
120 Paola Villani
rale etimo che nei secoli si è venuto configurando all’interno del di-
battito e della trattatistica filosofico-politica. Ordine, cioè, come
«rapporto tra le parti del tutto»
15
, con diverse accezioni e differenti
ambiti di applicazione. Ordine come rapporto, politeuma, o anche
come norma codificata, nomos. Ma in Machiavelli è anche chiara la
distinzione tra ordo come taxis (ordinamento) e ordine spontaneo
della natura (kosmos), comunque escludente alcun atto di volontà
16
.
Ordine spontaneo, quindi, naturale e sociale, versus ordine politico.
Si direbbe quasi che, ripercorrendo le pagine storiche e politiche del
Segretario, si seguano gli sforzi deliberati per creare un ordine so-
ciale attraverso un’organizzazione, od ordinamento, che possa agire
ben cosciente dell’ordine spontaneo più esteso, kosmos, che si
muove prima e al di fuori di questo disegno.
Si tratta quindi, attraverso la guida di questo termine, di ri-
percorrere i concetti con i quali Machiavelli pensava e ordinava la
realtà politica, e anche la realtà tout court, del passato e del suo
tempo. Superata, ormai, o almeno ridotta, l’immagine del freddo
analista così come consegnataci dallo stesso De Sanctis nel notis-
simo saggio dedicato all’autore posto in apertura, è stato più volte
osservato che a guidare il Segretario era una forte passione politica.
Questa passione rimane immutata anche post res perditas17
, e si pro-
versity Press, 1978, trad. it. Le origini del pensiero politico moderno, Bologna, Il
Mulino, 1989, pp. 71 e sgg.) e con molta critica successiva, in opposizione alla tra-
dizione messa a punto, tra gli altri, da Rubinstein (NICOLAI RUBINSTEIN, Le dot-trine politiche del Rinascimento, in AA. Vv., Il Rinascimento. Interpretazioni eproblemi, Roma-Bari, Laterza, 1979, pp. 181-237), ha osservato che l’interesse per
le libertà della Roma repubblicana non sarebbe invenzione né recupero attribuibile
solo al periodo umanista, ma anzi che il cosiddetto “umanesimo civile” fiorentino
non presenta grandi novità rispetto alle stesi canoniche dell’autonomismo comu-
nale.
15
La definizione è di Maurizio Merlo, in Enciclopedia del pensiero poli-tico, a cura di R. Esposito e C. Galli, Bari-Roma, Laterza, 2000, p. 499.
16
Sulla discussa questione terminologica della politologia classica si veda
almeno la nota conferenza del teorico dello stato liberale, il nobel Hayek. Cfr.
FRIEDRICH A. HAYEK, La confusione del linguaggio nel pensiero politico, poi in ID.,
Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee, Roma, Armando,
1978, pp. 83-110.
17
Sasso, per esempio, osserva che «la passione per i problemi della poli-
tica era più forte di ogni scoramento. Il suo animo poteva essere vinto dalla sfi-
ducia […]. Ma sul serio, non per retorica, quella passione era inestinguibile: e ri-
Machiavelli e l’ordine “tragico” 121
sorgeva dalle sue stesse ceneri. Approfondiva con crudeltà la ferita, e poi, nello
stesso tempo, la risanava. […] Le analisi di Machiavelli […] potranno trasferire
sul piano della sistematica ricostruzione teorica (e questo avviene, almeno in parte,
nei Discorsi) i tormenti e le angosce dell’animo» (GENNARO SASSO, Niccolò Ma-chiavelli, I, Il pensiero politico, Bologna, Il Mulino, 1980, p. 333)
18
A rifiutare la fredda logica della coerenza sarà l’autore stesso, nella bio-
grafia come nel pensiero politico. Si veda il noto sfogo autobiografico della lettera
a Francesco Vettori (31 gennaio 1515, vol. II, p. 349). Sulla rilevanza storiografica
e critico-letteraria degli epistolari machiavelliani, proprio in relazione alla sua me-
ditazione politica, cfr. GIULIO FERRONI, Le «cose vane» nelle ‘Lettere’ di Machia-velli, in «Rassegna di Letteratura Italiana», 1972, 76, pp. 215-264; FILIPPO GRAZ-
ZINI, Spunti di un’autobiografia politica nelle lettere familiari di Machiavelli(1498-1515), in AA. VV., Niccolò Machiavelli politico storico e letterato, Roma,
Salerno Editrice, 1996.
19
La tesi nasce col Renaudet (AUGUSTIN RENAUDET, Machiavel. Ètuded’histoire des doctrines politiques [1942], Paris, Gallimard, 1956, pp. 239 e sgg.).
cfr. anche ELMORE HARRIS HARBISON, Machiavelli’s ‘Prince’ and More’s ‘Utopia’,in AA. VV., Facets of Renaissance, Los Angeles, University of Southern Califor-
nia press, 1959, p. 53); ANTONIO GRAMSCI, Note sul Machiavelli, sulla politica esullo Stato moderno, Torino, Einaudi 1949, pp. 3-4. Di «illusione» parla invece FE-
DERICO CHABOD, Del Principe di Niccolò Machiavelli, ora in ID., Scritti su Ma-chiavelli, Torino, Einaudi, 1964, pp. 72 e sgg.
20
Cfr. N. MATTEUCCI, Alla ricerca dell’ordine politico [...], cit., p. 36.
21
Tra le tante citazioni, oltre alla nota affermazione «amo la patria più
dell’anima» (N. Machiavelli, lettera a Francesco Guicciardini, in Opere, a cura di
C. Vivanti, Torino, Einaudi, 2005, vol. II, p. 459), basti l’apertura del Dialogo in-torno alla nostra lingua: «Sempre ch’io ho potuto onorare la patria mia, etiamdio
con mio carico et pericolo, l’ho fatto volentieri: perché l’uomo non ha maggior
obligo nella vita sua che con quella, dipendendo prima da essa l’essere, et dipoi
tutto quello che di buono la fortuna et la natura ci hanno conceduto; et tanto viene
a essere maggiore in coloro che hanno sortito patria più nobile» (in Opere, cit.,
vol. III, p. 261). Da ora, per una maggiore agilità, i brani d’autore saranno ripresi
da questa edizione Einaudi e riportati con la sola indicazione del volume e della
pagina.
pone come elemento centrale della sua elaborazione teorica, talvolta
chiamata a giustificarne persino qualche, sia pur sempre affasci-
nante, incoerenza
18
. Sembra quasi impossibile realizzare una media-
zione tra la passione, quella che spinge l’autore all’elaborazione di
un pensiero già da alcuni definito ‘utopico’
19
, e la concreta costru-
zione di forze che possano raggiungere quegli affascinanti e sedu-
centi fini
20
.
Sarà anche la passione patria
21
a tingere di tragico l’ordine
politico machiavelliano, costantemente rivolto da un lato alla «lunga
122 Paola Villani
esperienza delle cose moderne», dall’altro alla fredda e statica «le-
zione delle antiche»
22
.
D’altronde, le «cose moderne» erano forse le prime artefici
di quella tensione all’ordine tipica machiavelliana e cinquecentesca
in genere. L’instabilità del regime fiorentino s’inseriva all’interno
del complesso e disordinato processo di mutamento della geografia
politica italiana. Era il grande conflitto europeo per l’egemonia del-
l’Italia. L’ordine sembrava davvero infranto irreparabilmente.
Da questa drammatica situazione, dominata dall’incertezza e
dal pericolo, maturava la sua riflessione e la sua stessa esperienza
nell’agone di Palazzo Vecchio. Biografia individuale e Storia sem-
bravano avere comuni destini, in un forte parallelismo con fortunate
coincidenze anche cronologiche
23
. Lo scrittore era teso quasi a ri-
durre quella terribile crisi a dimensioni razionali, quasi a tentare di
comprendere la logica più profonda che domina la storia
24
.
22 Principe, dedica, vol. I, p. 117.
23
L’anno di nascita di Machiavelli, il 1469, è quello nel quale Lorenzo il
Magnifico assunse la signoria di Firenze. L’anno della morte, il 1527, è quello del
sacco di Roma da parte delle truppe di Carlo V. Di fatto, l’arco della vita del Se-
gretario coincide con il periodo della crisi della libertà degli Stati italiani. E anche
la fase più acuta di questo processo (tra il 1494, discesa di Carlo VIII, e il 1512,
battaglia di Ravenna) furono gli anni di maggiore partecipazione alla vita politica
da parte di Machiavelli. Si tratta di una fase storica di svolta decisiva, al punto che
Marchand, all’interno della periodizzazione di scritti comunemente usata per il
corpus machiavelliano, propone di spostare la linea di cesura, generalmente indi-
cata nel ritorno dei Medici e nel successivo esilio dell’autore (1512), alla discesa
di Carlo VIII e dunque al 1494, appunto. Cfr. JEAN JACQUES MARCHAND, Premessaa AA. VV., Machiavelli senza i Medici (1498-1512). Scrittura del potere / poteredella scrittura, a cura di J.J. Marchand, Roma, Salerno Editrice, 2006, p. 8.
24
In realtà tali considerazioni sono tutt’altro che scontate. Testimonianza
ne è la travagliata e annosa vicenda editoriale che ha coinvolto gli scritti politici
minori e gli stessi carteggi. Nella lunga e fittissima storiografia critica, è una ac-
quisizione relativamente recente il riconoscimento ufficiale dell’importanza del-
l’esperienza biografica politica (l’attività cancelleresca e diplomatica) nella for-
mazione del pensiero politico machiavelliano. Dopo un primo riconoscimento di
ORESTE TOMMASINI, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazionecol machiavellismo, Torino-Roma, Loescher, 1883 [ora Il Mulino 1989], un risul-
tato decisivo da molti viene considerato il saggio di Gennaro Sasso (GENNARO
SASSO, Niccolò Machiavelli. Storia del suo pensiero politico, Napoli, Istituto Ita-
liano per gli Studi Storici, 1958). Sul rapporto tra esperienza autobiografica ed ela-
borazione della scienza politica machiavelliana si veda anche il recente contributo
Machiavelli e l’ordine “tragico” 123
di GIULIO FERRONI, Dalla pratica quotidiana alla scena della teoria, in AA. VV.,
Machiavelli senza i Medici (1498-1512) […], cit., pp. 41-51.
25
All’interno della vastissima bibliografia, parte della quale compare nelle
note di questo scritto, si rimanda ai più recenti studi: VICKIE SULLIVAN, Machia-velli, Hobbes and the Formation of a liberal republicanism in England, Cam-
bridge, Cambridge University Press, 2004; GHEORGHE LENCAN STOICA, Machia-velli filosofo della politica, Napoli, Città del Sole, 2003; FABIO FROSINI, Contin-genza e verità della politica: due studi su Machiavelli, Roma, Kappa, 2001;
FILIPPO DEL LUCCHESE, Tumulti e indignatio: conflitto, diritto e moltitudine in Ma-chiavelli e Spinoza, Roma, Ghibli, 2004; MAURIZIO VIROLI, Machiavelli, Oxford,
Oxford University Press, 1998; ROGER D. MASTERS, Machiavelli, Leonardo andthe science of power, London, University of Notre Dame Press, 1996. Per una ras-
segna bibliografica si rimanda a DAVIDE DE CAMILLI, Machiavelli nel tempo: lacritica machiavelliana dal Cinquecento a oggi, Pisa, ETS, 2000.
26
Cfr. FRANCO GAETA, Dal comune alla corte rinascimentale, in Lettera-tura italiana, a cura di A. Asor Rosa, vol. I, Il letterato e le istituzioni, Torino, Ei-
naudi, 1982, pp. 149-255, alle pp. 161-162.
In effetti, com’è noto, il Segretario non era del tutto pioniere
in questo campo; non poteva non raccogliere l’eredità di una lunga
tradizione di scritti politici, nata prima di lui e destinata a sopravvi-
vergli a lungo. Sull’originalità del suo pensiero e del suo metodo,
come anche sulla sua eventuale appartenenza al medioevo estinto,
all’Umanesimo al tramonto o all’alba del Rinascimento, già autore-
voli studiosi si sono confrontati a lungo per decenni
25
. Certo, è in-
negabile che all’eredità culturale del pensiero antico e medievale, si
aggiungeva, a guidarlo e ispirarlo, il quadro storico-istituzionale
contemporaneo. Quello stesso scenario, per esempio, che accomu-
nava Machiavelli a molti prima e dopo di lui, nel vedersi preclusa
la strada per una ricerca sulle forme politiche che avesse come
obiettivo un panorama davvero nazionale, divergendo invece verso
la ricerca di un pluralismo statuale, che si limitasse a garantire li-
bertà ed equilibrio
26
.
Nella Firenze di quei decenni, e non per esempio nella coeva
repubblica veneziana, l’attività economica e l’impegno politico tro-
varono una loro autonomia. Sembrava quasi che il potere avesse bi-
sogno di elaborare un’ideologia che in qualche modo «giustificasse»
la loro preminenza. Emergeva, quindi, l’esigenza di una nuova scala
di valori, che legittimasse l’esercizio del potere, offrendo una giu-
124 Paola Villani
stificazione etico-politica che ne esorcizzasse il presunto carattere
demoniaco o sacrale
27
.
Questo aperto dibattito avrebbe, di lì a poco, lasciato il posto
ad una più statica trattatistica sul governo del principato, quale si
configurò nella letteratura del secondo Cinquecento, dal nicodemi-
smo cortigiano di Lucio Paolo Rosello e Alessandro Piccolomini, ai
teorici della Ragion di Stato, fino all’esaltazione del principato con-
dotta dal Guarini
28
, e l’elenco potrebbe continuare. Sembra, però,
che la sterminata messe della trattatistica politica pre e post-ma-
chiavelliana, sia essa di impronta repubblicana o monarchica, sia
dettata da un comune obiettivo: evitare i disordini e le sedizioni. È
la ricerca dell’ordine e soprattutto la teorizzazione, su basi diverse
tra loro e comunque nuove rispetto alla precedente tradizione uma-
nistica, del «buon governo». Erano in molti, infatti, a cadere in una
sorta di «intellettualismo utopistico», per la elaborazione di progetti
costituzionali mediante i quali si proponeva di trasformare i conflitti
tra cittadini in «operosa concordia»
29
. Tale esigenza si mantiene an-
che nel pensiero del secolo dell’assolutismo, che sembra deciso a
non travalicare i confini di una politica di ordine e di equilibrio
30
.
Machiavelli sembra interrompere questa secolare tradizione. Rompe
l’ordine su diversi piani: l’ordine etico (gli rimproverano gli zelanti
della Controriforma fino alla messa all’Indice; i firmatari europei,
più ancora che italiani, dell’affresco del Machiavelli satanico
31
)
27 Ibidem, pp. 163-164.
28
BATTISTA GUARINI, Trattato della politica libertà, poi Venezia, An-
dreola, 1818.
29
GIORGIO CADONI, Crisi della mediazione politica e conflitti sociali. Nic-colò Machiavelli, Francesco Guicciardini e Donato Giannotti di fronte al tra-monto della Florentina libertas, Roma, Jouvence, 1994, p. 8.
30
Cfr. MARIO ROSA, Chiesa e stati regionali nell’età dell’assolutismo, in
Letteratura italiana, a cura di A. Asor Rosa, vol. I, Il letterato e le istituzioni, cit.,
pp. 257-389, a p. 327.
31
Sulla condanna di Machiavelli, nel secolo che fu suo e nei secoli suc-
cessivi, all’interno della fitta bibliografia al riguardo, cfr. SEBASTIANO DE GRAZIA,
Machiavelli in Hell, ed. it. Machiavelli all’Inferno, Roma-Bari, Laterza, 1990;
MARIO PRAZ, Machiavelli in Inghilterra ed altri saggi, Firenze, Sansoni, 1962 (I
ed. 1942), pp. 89 e sgg.; ID., Machiavelli e gl’Inglesi dell’epoca elisabettiana, in
Machiavelli e l’ordine “tragico” 125
ID., Bellezza e bizzarria. Saggi scelti, a cura di A. Cane, Mondadori, Milano 2003,
pp. 227 e sgg.; GIULIANO PROCACCI, Machiavelli nella cultura dell’età moderna,
Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 98. Si veda anche il suggestivo scritto di Sergio
Campailla (SERGIO CAMPAILLA, Machiavelli (e Leopardi) agli Inferi, in ID., Con-trocodice, Napoli, ESI, 2001, pp. 5-15).
32
TRAIANO BOCCALINI, Ragguagli di Parnaso, centuria I, ragguaglio
LXXXIX. Cfr. MARCO STERPOS, Boccalini tacitista di fronte al Machiavelli, in
«Studi secenteschi», XII, 1971, pp. 255-283. L’interpretazione del Principe come
di opera obliqua e di Machiavelli come repubblicano e quasi rivoluzionario, si af-
fermò nel secolo successivo, dal De Nicolao Machiavello di Johann Friedrich
Chirst (Lipsia, 1734) alla Encyclopédie di Diderot. All’interno della vasta biblio-
grafia sulla fortuna di Machiavelli tra Sei e Settecento, cfr. AA. Vv., Il pensieropolitico di Machiavelli e la sua fortuna nel mondo, Atti del convegno internazio-
nale (Sancasciano-Firenze, 28-29 settembre 1969), Firenze, Istituto Nazionale di
Studi sul Rinascimento, 1972; RODOLFO DE MATTEI, Dal premachiavellismo al-l’antimachiavellismo europeo del Cinquecento, Firenze, Sansoni, 1969; GIULIANO
PROCACCI, L’erudizione seicentesca e settecentesca e il mito di Machiavelli re-pubblicano, Roma, s.n., 1964; GIORGIO CADONI, Libertà, repubblica e governo mi-sto in Machiavelli, in «Rivista internazionale di Filosofia del Diritto», a. 39, fasc.
4, luglio-agosto 1962, pp. 463-484.
come anche l’ordine politico. Per la riflessione politica del tardo
Cinquecento e Seicento, infatti, Boccalini in testa, la condanna con-
sueta di Machiavelli si capovolge; dalla classica «empietà» del Ma-
chiavelli-demone istigatore di tiranni, si giunge a vederne un sobil-
latore delle masse e dunque un sovvertitore dell’ordine del princi-
pato, come recita il notissimo «ragguaglio di Parnaso» LXXXIX:
con Machiavelli «era un voler porre tutto il mondo in combustione
il tentare di far maliziosi i semplici e far vedere lume a quelle talpe
le quali con grandissima circonspezione la madre natura aveva
create cieche»
32
.
***
Naturalmente, il tema dell’ordine politico (o della sua nega-
zione) in Machiavelli è strettamente connesso a radici più vaste, da
cercare in ambito cosmologico e antropologico: è l’ordine della na-
tura, il kosmos, quello che sembra non lasciare arbitrio o libertà,
quello che segna il cammino dell’umanità al ciclico ritmo della
eterna ripetizione della storia. In realtà, una tesi condivisibile è che
126 Paola Villani
il discorso politico di Machiavelli, il suo argomentare, si connoti
con quella che i filosofi del linguaggio chiamano «funzione pre-
scrittiva» o del «significato pragmatico»
33
; volga cioè non alla de-
scrizione, ma alla prescrizione del comportamento del principe
nuovo, del principe che abbia una vera vocazione politica
34
. E que-
sta tesi ben si accorda anche con l’afflato accorato della prosa epi-
dittica del capitolo finale del Principe, la exhortatio ai principi ita-
liani
35
. Non può negarsi, comunque, un intento più generale, che
coinvolge anche progetti più ambiziosi, moventesi su tre diversi
piani, secondo uno schema che sarebbe d’altronde tipico dei classici
politici, almeno fino alle più recenti posizioni della filosofia della
politica contemporanea
36
. I tre piani sono quello della definizione di
concetti e teorizzazioni generali; il piano dell’analisi dei fenomeni
reali; infine, il piano deontologico o prescrittivo appunto. L’autore
muove quindi innanzitutto da riflessioni teoriche di carattere antro-
pologico-filosofico, che coinvolgono l’ordine dell’esserci dell’uomo
nel mondo.
C’è un presupposto «dogmatico»
37
, che è poi la parte più ca-
duca del suo pensiero, ma che gli serve per giustificare in sede fi-
Machiavelli e l’ordine “tragico” 127
33
Sulla «funzione prescrittiva» e sul significato pragmatico del linguag-
gio politico, cfr. I. Copi, Introduzione alla logica, cit., pp. 32-36.
34
Già negli anni Trenta del secolo scorso la storiografia ha insistito nel
sottolineare addirittura la individuazione di alcuni capitoli «precettistici» del Prin-cipe. Cfr. FELIX GILBERT, The humanist Concept of the Prince and the ‘Prince’ ofMachiavelli, in «Journal of modern History», 1939, 11, pp. 449-483, alla pp. 479
e sgg.; ALLAN H. GILBERT, Machiavelli’s Prince and its Forerunners. The Princeas a typical book de regimine principum, New York, Barnes & Noble, 1968 [1938],
pp. 118 e sgg.; FRIEDRICH MEINECKE, Die Idee der Staats-räson in der neueren Ge-schichte, München, 1929, trad. it. Firenze, Sansoni, 1977, pp. 52 e sgg. Nella bi-
bliografia italiana si veda già GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI, La forma tragica del“Principe” e altri saggi sul Machiavelli, Firenze, Olschki, 1958, pp. 218 e sgg.
35
N. MATTEUCCI, op. cit., p. 64.
36
Cfr. NORBERTO BOBBIO, Dei possibili rapporti fra filosofia politica escienza politica, in AA. VV., Tradizione e novità della filosofia della politica, in«Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari», 1971, 1, pp. 7-
11. Bobbio individua alcuni temi ricorrenti nei classici politici: la migliore forma
di Stato; il fondamento del potere dello Stato; la determinazione della natura della
politica (ibidem).
37
N. MATTEUCCI, op. cit., p. 42.
38
Si tratta di un’acquisizione tutt’altro che stabile e non contraddittoria,
come ha osservato anche il Sasso (G. SASSO, Niccolò Machiavelli, I, Il pensieropolitico, cit., p. 400).
39
N. MACHIAVELLI, Discorsi, introduzione al libro I, vol. I, p. 198.
40
ID., Discorsi, I, 11, vol. I, p. 231 [il corsivo è nostro].
41
Cfr. EUGENIO GARIN, Machiavelli fra politica e storia, Torino, Einaudi,
1993, passim. Cfr. anche il capitolo Un mito abbattuto: il valore prognostico dellastoria, in FRANCESCO CAMMISA, “Theatrum mundi” e ragione. Dal relativismo giu-ridico all’omologazione sociale, Torino, Giappichelli, 2006, pp. 113-125.
losofica la sua proposta politica. La premessa dogmatica
_
la quale,
a sua volta, come ogni regola, tende anche ad essere clamorosa-
mente smentita e dunque è tutt’altro che serenamente acquisita
38
_
è la sostanziale regolarità e uniformità della storia e della stessa na-
tura umana. Se il primo libro dei Discorsi richiama l’anakyklosis di
Polibio, nel secondo libro si ribadisce il motivo di fondo, con spunti
di sapore astrologico: «E pensando io come queste cose procedino,
giudico il mondo sempre essere stato ad uno medesimo modo [...] il
mondo restava quello medesimo». Nel mondo machiavelliano «il
cielo, il sole, li elementi, li uomini [non variano] di moto, di ordinee di potenza, da quello che gli erano antiquamente»
39
; «gli uomini
[...] nacquero, vissero e morirono, sempre, con uno medesimo or-dine»
40
. È il tema dell’immutabilità della natura umana e dello
stesso cosmo, quello che i commentatori chiamano «postulato della
uniformità», lo stesso che giustifica l’attenzione alla storia fondata
sul valore nomotetico del passato che torna con frequenza quasi os-
sessiva
41
. Ancora, nel Proemio al I libro dei Discorsi, dopo essersi
affrettato a chiarire la natura dell’uomo («Ancora che, per la invida
natura degli uomini, sia sempre suto non altrimenti periculoso tro-
vare modi ed ordini nuovi, che si fusse cercare acque e terre inco-
gnite, per essere quelli più pronti a biasimare che a laudare le azioni
d’altri [...].»), l’autore condanna l’allontanamento dall’insegna-
mento della Storia: il male della attuale situazione deriva, infatti,
«dal non avere vera cognizione delle storie, per non trarne, leggen-
dole, quel senso né gustare di loro quel sapore che le hanno in sé»
42
.
Sia pure con variabili e complicazioni, torna qui il topos della hi-storia magistra, e soprattutto l’emergere delle conseguenze del «cer-
128 Paola Villani
chio» fatale caro a non poche posizioni dell’aristotelismo più o
meno radicale condannate a Parigi nel 1277
43
.
Il postulato della uniformità è strettamente legato a quello del
moto, del cambiamento, elemento altrettanto stringente quanto
quello del ritorno. Si direbbe, con Mesnard, che la politologia ma-
chiavelliana derivi direttamente dalla sua concezione del mondo e
della storia
44
. Il cosmo, e insieme anche l’umanità, sono coinvolti in
un processo di continua trasformazione. In questa sede basterà sof-
fermarsi su questo aspetto della complessa e controversa antropolo-
gia machiavelliana, quella ai più nota per la teorizzazione della mal-
vagità degli uomini, che è in realtà strettamente collegata a quella
del continuo moto:
Sendo gli appetiti umani insaziabili, perché, avendo dalla
natura di potere e desiderare ogni cosa, e dalla fortuna di potere
conseguitarne poche, ne risulta continuamente una mala conten-
tezza nelle menti umane ed uno fastidio delle cose che si posseg-
gono
45
.
Il modello è quello offerto da Polibio, a cui Machiavelli fa ri-
ferimento, con un’ampia rivisitazione, anche nel libro quinto delle
Istorie fiorentine, con chiara insistenza all’ordine:
[…] perché non essendo dalla natura conceduto nelle mondane
cose il fermarsi, come le arrivano alla loro ultima perfezione, non
avendo più da salire, conviene che scendino, e similmente, scese
che le sono e per li disordini ad ultima bassezza pervenute, di ne-
cessità non potendo più scendere conviene che salghino: e così
sempre da il bene si scende al male, e da il male si sale al bene.
Perché la virtù partorisce quiete, la quiete ozio, l’ozio disordine, il
Machiavelli e l’ordine “tragico” 129
42
N. MACHIAVELLI, Discorsi, I, Proemio, vol. I, pp. 197-198.
43
Sono le tesi condannate a Parigi il 7 marzo 1277, dal vescovo di Parigi,
e di recente presentate come Aufklärung im Mittelalter. Cfr. Aufklärung im Mitte-lalter? Die Verurteilung von 1277. Das Dokument des Bischofs von Paris übersetztund erklärt von Kurt Flasch, Dieterich, Mainz, 1989, pp. 172 e sgg.
44
PIERRE MESNARD, Il pensiero politico rinascimentale, a cura di L. Firpo,
Bari, Laterza, 1963 (I ed. 1936), vol. I, pp. 30-31.
45
N. MACHIAVELLI, Discorsi, II, Proemio, vol. I, p. 326.
46
N. MACHIAVELLI, Istorie fiorentine, V, I, vol. III, p. 518 [il corsivo è
nostro].
47
ID., Discorsi, I, 6, vol. I, p. 216 [il corsivo è nostro].
48
Rispetto al procedere della storia, la «fortuna» sarebbe proprio la ecce-
zione alla regola, quasi una «introduzione» del XXV capitolo del Principe, avulso
dal contesto dell’opera (Cfr. ERNST CASSIRER, The Myth of the State, New Haven-
London, Yale University press, 1967, pp. 157 e sgg.). Il dibattito sulla «fortuna»
in Machiavelli e nel Rinascimento è fin troppo vasto, e conta autorevoli interventi,
da Gentile (GIOVANNI GENTILE, Il concetto dell’uomo nel Rinascimento [1912], ora
in ID.,. Il pensiero italiano del Rinascimento, Firenze, Sansoni, 1955, pp. 49 e sgg.)
a Garin (EUGENIO GARIN, La crisi del pensiero medievale, e Interpretazioni del Ri-nascimento, in Medioevo e Rinascimento, Bari, Laterza, 1966 (I ed. 1954), pp. 37-
41 e pp. 90-101); un dibattito in parte anche risolto dalla recente storiografia già
degli anni Novanta. Cfr. ODED BALABAN, The human Origins of Fortuna in Ma-chiavelli’s Thought, in «History of political Thought», 1990, 11, pp. 21-36.
disordine rovina; e similmente dalla rovina nasce l’ordine, dal-
l’ordine virtù; da questa gloria e fortuna […]
46
.
Il tema è presente anche nei Discorsi:
E sanza dubbio credo che, potendosi tenere la cosa bilan-
ciata in questo modo, che e’ sarebbe il vero vivere politico e la
vera quiete d’una città. Ma sendo tutte le cose degli uomini in
moto, e non potendo stare salde, conviene che le salghino o le
scendino; e a molte cose che la ragione non t’induce, t’induce la
necessità: talmente che, avendo ordinata una republica atta a man-
tenersi non ampliando, e la necessità la conducesse ad ampliare, si
verrebbe a tor via i fondamenti suoi, ed a farla rovinare più tosto
47
.
Senza qui approfondire il ruolo della variabile per eccellenza
del divenire storico, la «fortuna»
48
, sembra quindi che, in questo
moto perpetuo e circolare, l’unico modo per mantenere l’ordine sia
quello di cambiarlo continuamente.
Questa consapevolezza è alla base della sua reinterpretazione
della teoria polibiana dell’anacyclosis, della quale si respinge il na-
turalismo ciclico stringente:
E questo è il cerchio nel quale girando tutte le republiche
si sono governate e si governano: ma rade volte ritornano ne’ go-
verni medesimi; perché quasi nessuna republica può essere di tanta
130 Paola Villani
vita che possa passare molte volte per queste mutazioni e rimanere
in piede
49
.
Sembra qui incrinarsi quell’ordine scientifico nel quale vo-
leva risolversi l’uniformità della storia così come consegnata a Ma-
chiavelli dalla dottrina classica. Uniformità o meno
50
, in Machiavelli
emerge con chiarezza il ritmo trascinante di un trans-formarsi che,
in contrasto con l’antitesi statica umanistica bene-male, buon re-
gime-tirannide, immancabilmente «converte» la forma buona in
quella «rea»; una ‘conversione’ alla quale non sempre presiede una
causa razionale, ma anche un «accidente» (o «fortuna»):
Egli è cosa verissima, come tutte le cose del mondo hanno il
termine della vita loro, ma quelle vanno tutto il corso che è loro or-dinato dal cielo generalmente, che non disordinano il corpo loro, ma
tengonlo in modo ordinato, o che non altera, o, s’egli altera, è a sa-
lute, e non a danno suo.[...] E però quelle sono meglio ordinate, ed
hanno più lunga vita, che mediante gli ordini suoi si possono spesso
rinnovare, ovvero che, per qualche accidente fuori di detto ordinevengono a detta rinnovazione. Ed è cosa più chiara che la luce, che,
non si rinnovando, questi corpi non durano
51
.
Si sente il richiamo alla teoria lucreziana-avicenniana della
purgatio naturalis. Ma nel moto perpetuo, e nel continuo salire e
scendere degli eventi, moto di sviluppo e di caduta, e poi di ritorno
49
N. MACHIAVELLI, Discorsi, I, 2, vol. I, p. 205.
50
Cfr. G. SASSO, Niccolò Machiavelli, I, Il pensiero politico, cit., p. 401
ss. Sasso insiste sulla impossibilità di interpretare la storia machiavelliana sotto
l’egida della uniformità. Sottolinea il ruolo della fortuna, che, «non è solo una lon-
tana possibilità di ‘variazione’, ricacciata sullo sfondo e ai margini della storia da
una virtù troppo potente per doverne sul serio temere i colpi e le insidie» (ivi, p.
401). Sasso continua: «All’inizio non sta, infatti, il principio dell’uniformità della
storia; sta bensì la sofferta e drammatica consapevolezza delle difficoltà e dei ri-
schi, dalla quale, nei modi che si sono indicati, balza drammatica, con il suo ac-
cento di ‘negazione’ e, su un altro piano, di costruzione, l’esigenza che detta l’e-
stremo tentativo del ‘principe nuovo’» (ivi, p. 402). Non così Cassirer (Cfr. E. CAS-
SIRER, op. cit., pp. 157 e sgg.) e neppure, in tempi più recenti, Matteucci (N.
MATTEUCCI, op. cit., pp. 42 e sgg.).
51
N. MACHIAVELLI, Discorsi, III, 1, vol. I, p. 416 [il corsivo è nostro].
Machiavelli e l’ordine “tragico” 131
52
Cfr. AA. VV., Marsilio Ficino e il ritorno di Platone: studi e documenti,a cura di G.C. Garfagnini, Firenza, Olschki, 1986.
53
Cfr. Discorsi, II, 5, vol. I, p. 343: «[…] la natura come ne’ corpi sem-
plici, quando e’ vi è ragunato assai materia superflua, muove per sé medesima
molte volte, e fa una purgazione, la quale è salute di quel corpo, così interviene in
questo corpo misto della umana generazione, che quando tutte le provincie sono
ripiene di abitatori, in modo che non possono vivervi né possono andare altrove
per essere occupati e ripieni tutti i luoghi, e quando la astuzia e la malignità umana
è venuta dove la può venire, conviene di necessità che il mondo si purghi per uno
de’ tre modi [peste, fame e diluvio]: acciocché gli uomini, sendo divenuti pochi e
battuti, vivino più comodamente e diventino migliori».
54
A. RENAUDET, Machiavel. Étude d’histoire des doctrines politiques, Pa-
ris, Gallimard, 1956 (I ed. 1942) passim. Il tema è stato molto discusso. Per i ri-
sultati del dibattito in sede internazionale cfr. G. SASSO, Machiavelli e la teoria del-l’anacyclosis, in ID., Machiavelli e gli antichi e altri saggi, Milano, Ricciardi,
1987, vol. I, pp. 3-65.
55
Cfr. E. GARIN, Polibio e Machiavelli, in «Quaderni di Storia», 1990, 31,
pp. 5-22; ID., Machiavelli fra politica e storia, cit., pp. 6 e sgg.
56
Cfr. E. GARIN, Machiavelli fra politica e storia, cit., p. 23.
ai princìpi («ritiramento verso il principio») che domina il noto ca-
pitolo primo del terzo libro dei Discorsi, traspare anche il grande
mito del Politico di Platone, che Ficino aveva tradotto con qualche
risonanza dedicandolo a Federico da Montefeltro, additato come
ideale del principe
52
. E reminiscenze platoniche, del Politico e del
Timeo, non è difficile scorgere in Machiavelli quando, nell’accosta-
mento tra corpo umano e corpo sociale, parla della «purgazione»
che riporta alla salute un corpo che si andava corrompendo
53
. Non
si vuole quindi insistere, come già hanno fatto in tanti nel Nove-
cento, Renaudet in testa, sul parallelo Machiavelli-Polibio
54
. Non si
vuol con questo appiattire il Segretario allo storico di Megalopoli.
Si vuole, anzi, sottolineare la difficoltà di fondo del confronto tra
storiografia classica e pensiero politico moderno, la problematicità
e l’ambiguità del riferimento ai classici da parte degli umanisti e
l’appartenenza del Segretario al loro mondo
55
. Sembra proprio, in-
somma, che il cerchio polibiano, in Machiavelli, si inserisca in molti
altri cerchi
56
. Gli stessi echi platonici riconducono direttamente ad
una ‘tragica’ perdita di unità e di ordine: è la tragica rottura del ko-smos che costituirebbe invece la marca distintiva dell’antropologia
132 Paola Villani
e cosmologia di Machiavelli come anche dell’età moderna in ge-
nere, lontana dall’unità indivisa dell’«individuo» appunto medie-
vale, protagonista a sua volta di un kosmos aristotelicamente e cri-
stianamente ordinato
57
.
Tali complesse e controverse elaborazioni aprono nuovi
campi di possibili all’interno della ferrea necessità meccanicistica
della natura (ϕυσεω αναγαγ η)
58
, alla luce della quale si è voluto
a lungo interpretare il pensiero machiavelliano. Una ‘necessità’ dello
sviluppo della storia e dell’uomo rotta dagli «accidenti», dalla «for-
tuna» ma anche dalla «virtù» straordinaria, che si propongono come
elementi atti al graduale allontanamento da un ‘ordine prestabilito’
che di quella Weltanschauung della necessità sarebbe frutto diretto.
La stessa inclinazione dell’uomo verso il male, è stato osservato,
non è affatto consustanziale all’uomo, non è connaturata, come poi
il comune machiavellismo ha voluto indicare. Il male non è, o al-
meno, non è sempre un elemento inscindibile, certo e necessario,
della natura dell’uomo; piuttosto è una «presupposizione» utile a chi
voglia far ‘ordine’ nello stato
59
. Costitutivo e necessario per l’uomo
sembra, invece, il tragico e irresolubile dualismo, forse anche plato-
nico, dualismo, ed un conseguente senso del limite, unito al dispe-
Machiavelli e l’ordine “tragico” 133
57
Utili, a tal proposito, le ormai datate ma sempre suggestive osservazioni
di Marcel de Corte. Cfr. MARCEL DE CORTE, Machiavelli espressione dell’uomomoderno, in Fenomenologia dell’autodistruttore, trad. it. a cura di R. Antonetto,
Torino, Borla, 1967, pp. 159-184, a p. 166: «La prospettiva aristotelica e cristiana
del medioevo è decisamente vitalistica, consonantistica, ottimistica [...]. Ora que-
sto universo è tanto più ordinato quanto più i suoi membri dipendono fino all’ul-
tima radice da un Dio cristiano».
58
Sul concetto di «necessità» (Notwendigkeit) in Machiavelli, cfr. le, sia
pur datate, ma illuminanti osservazioni di F. MEINECKE, Die Idee der Staaträson[...], cit., pp. 46 e sgg. Nella vasta bibliografia a riguardo cfr. anche BENEDETTO
CROCE, Una questione che forse non si chiuderà mai: la questione del Machia-velli, in «Quaderni della ‘Critica’», 1949, 14, pp. 1-16, poi in ID., Indagini su He-gel e schiarimenti filosofici, Bari, Laterza, 1952, pp. 164-176; cfr. anche GENNARO
SASSO, Studi su Machiavelli, Napoli, Morano, 1966, pp. 241 e sgg.
59
«[…] è necessario, a chi dispone una republica e ordina leggi in quella,
presupporre tutti gli uomini rei, e che li abbiano sempre a usare la malignità dello
animo loro, qualunque volta ne abbiano libera occasione» (N. MACHIAVELLI, Di-scorsi, I, 3, vol. I, p. 27 [il corsivo è nostro]). A contrastare con forza l’immagine
della natura maligna dell’uomo machiavelliano è stato Gennaro Sasso (G. SASSO,
Niccolò Machiavelli, I, Il pensiero politico, cit., pp. 458 e sgg.).
60
«Non ci inganniamo a partito; esaminiamo un poco, bene, e’ casi no-
stri; et cominciamo a guardarci in seno: voi vi troverete disarmati, vedrete e’ sub-
diti vostri sanza fede […] perché gli uomini non possono et non debbono essere
fedeli servi di quello signore, da el quale e’ non possono essere difesi né corretti»
(N. MACHIAVELLI, Parole da dirle sopra la provisione del danaro, vol. I, p. 13).
Sulla valenza politica dello scritto, come anche sulla ancora non piena maturità
teorico-politica del Machiavelli di questo scritto, Sasso commenta che, in questo
scritto, «il problema della politeìa non è ancora […] presente; o non trova, co-
munque, il modo di esprimervisi: talché, al di fuori del nesso che la ‘forza’ intrat-
tiene con le istituzioni, e queste con quella, l’attenzione va per intero alla forza, e
non alle istituzioni, che la elaborano e la determinano» (G. SASSO, Niccolo Ma-chiavelli, I, Il pensiero politico, cit., p. 119). Cfr. F. CHABOD, Niccolò Machiavelli,I, Il segretario fiorentino, cit., p. 139, poi in ID., Scritti su Machiavelli, cit., pp. 72
e sgg. e 324.
rato sforzo di superare quello stesso limite per assicurare sicurezza
per sé e «durata» allo stato. È in questo eterno e irresolubile stato
antropologico di conflitto e tensione che si sviluppa il complesso
pensiero machiavelliano alla ricerca di un ‘ordine’ che assume sem-
pre più la connotazione di un ‘ordine tragico’.
***
Con queste elaborazioni storiografiche e metodologiche, con
questa vasta impronta dottrinale, unita ad una decennale esperienza
sul campo, l’autore si mette a lavoro per «ragionare dello stato»,
pone mano all’elaborazione dei fondamenti del governo ‘bene ordi-
nato’. In effetti, nei suoi primi scritti, e non solo, non si tralascia il
problema dell’ordine militare, che in questa sede si trascura in fa-
vore dell’ordine politico. Basti dire, in merito a quest’ultimo, che
spesso si insiste sull’importanza della «forza» come necessaria an-
che all’ordinamento politico. L’ «ordine di forze», per esempio, è in-
vocato per Firenze negli scritti politici minori, per esempio a pro-
posito del Duca Valentino nelle Parole da dirle sopra la provisionedel danaio, nel suo accorato appello contro la debolezza della poli-
tica fiorentina e le indecisioni della classe dirigente, a meno di un
anno dalla piccola rivoluzione costituzionale fiorentina del 1502
60.E con altrettanto afflato accusa la debolezza politica e militare di Fi-
renze anche nello scritto Del modo di trattare i popoli di Valdi-
134 Paola Villani
chiana ribellati61
; e l’elenco potrebbe continuare a lungo, fino ad ar-
rivare alla più tarda, e certo più fortunata, opera Dell’Arte dellaguerra, fitta di occorrenze del lemma «ordine» e dei campi seman-
tici ad esso afferenti, politico e militare, come può ben immaginarsi.
Nel dialogo tra Cosimo e Fabrizio Colonna, a proposito dell’oppor-
tunità di una ampia «ordinanza» militare si insiste sulla necessità di
evitare i «disordini», intesi come sedizioni contro lo stesso «ordine»
militare
62
.
Non si ripercorre, qui, la polemica sul rapporto tra scritti po-
litici minori e grandi capolavori, né le tesi dei due opposti schiera-
menti, i sostenitori dell’Entwickelung contro i sostenitori della
straordinaria precocità di certe tesi e dunque della grande unità con-
cettuale dell’intero corpus di scritti politici
63
. Basterà qui osservare,
almeno in merito al tema dell’ordine politico, che le considerazioni
sull’importanza di una politica dell’ «assicurarsi» anche dal punto di
vista militare, si svolge, prima e dopo il Principe e i Discorsi, con
considerazioni che mai escludono la necessità di coordinare buone
armi e buon ordinamento. Nello stesso trattato militare dedicato al-
Machiavelli e l’ordine “tragico” 135
61
In Opere, cit., vol. I, pp. 87-93.
62
Si legga uno dei tanti periodi ‘affollato’ di queste presenze, per giunta
non sempre legate al campo propriamente militare: [a proposito della necessità di
un ampio esercito, nutrito di molti uomini] «Questi ordinati all’armi possono cau-
sare disordine in due modi: o tra loro, o contro ad altri. Alle quali cose si può fa-
cilmente ovviare, dove l’ordine per sé medesimo non ovviasse; perché, quanto agli
scandoli tra loro, questo ordine gli leva, non gli nutrisce, perché, nello ordinarli,voi date loro armi e capi. Se il paese dove voi gli ordinate è sì imbelle che non
sia, tra gli uomini di quello, armi, e sì unito che non vi sia capi, questo ordine gli
fa più feroci contro al forestiero, ma non gli fa in niun modo più disuniti, perché
gli uomini bene ordinati temono le leggi, armati come disarmati […]. Ma se il
paese dove voi gli ordinate, è armigero e disunito, questo ordine solo è cagione
d’unirgli, perché costoro hanno armi e capi per loro medesimi, ma sono l’armi inu-
tili alla guerra, e i capi nutritori di scandoli. E questo ordine dà loro armi utili alla
guerra e capi estinguitori di scandoli» (N. MACHIAVELLI, Dell’arte della guerra,
cit., vol. I, pp. 555-556).
63
Tra le testimonianze di una posizione ‘mediana’ è quella di G. SASSO,
Niccolo Machiavelli, I, Il pensiero politico, cit., contra, M. MARTELLI, Introduzionea N. Machiavelli, Opere, cit. È di recente pubblicazione, inoltre, un volume dedi-
cato proprio a questo tema, atti di un convegno svoltosi a Losanna, curati da J.J.
Marchand. Cfr. AA. VV., Machiavelli senza i Medici (1498-1512). Scrittura del po-tere / potere della scrittura, cit.
64
N. MACHIAVELLI, Dell’arte della guerra, Proemio, vol. I, p. 529.
65
ID., Provisione della ordinanza, vol. I, p. 31. Il testo sarebbe stato strut-
turato sulla base della legge votata dal Consiglio Maggiore il 5 dicembre 1506, Mi-litie Fiorentine Ordinatio. Cfr. JEAN J. MARCHAND, Niccolò Machiavelli. I primiscritti politici (1499-1512), Padova, Antenore, 1975, pp. 35 e sgg. Si veda anche
la premessa dello stesso Marchand a L’arte della guerra, (N. MACHIAVELLI, L’artedella guerra, a cura di J.J. Marchand, D. Fochard e G. Masi, Roma, Salerno Edi-
trice, 2001, pp. IX-XV.
66
N. MACHIAVELLI, Discorsi, I, 4, vol. I, p. 209.
67
Scorrendo, infatti, le due opere, si rinvengono solo poche occorrenze
per «ordini militari» o «della guerra» (ID., Discorsi, I, 11.2; I, 12.2; I, 21.1; II,
18.3; II, 18.4) una sola occorrenza si conta nel Principe (cap. 12.9).
68
«L’ordine che tengono quando una di quelle provincie si vuole sgravare
di abitatori, è dividersi in tre parti […]» (ID., Istorie fiorentine, I, 1, vol. III, p.
312);
69
«Intra queste rovine e questi nuovi popoli sursono nuove lingue, come
apparisce nel parlare che in Francia, in Ispana e in Italia si costuma; il quale me-
scolato con la lingua patria di quelli nuovi popoli e con la antica romana fanno un
nuovo ordine di parlare» (ID., Istorie fiorentine, I, 5, vol. III, p. 319); «Ma come
prima fu libera la Italia da’ goti, Iustiniano morì, e rimase suo successore Iustino
figliuolo […]. Seguitò Longino l’ordine degli altri, di abitare Ravenna [...]» (ID.,
Istorie fiorentine, I, 7, vol. III, p. 321).
l’Arte della guerra, la politica rimane la base necessaria per indicare
la necessità di un’organizzazione militare efficiente: «che e’ non sia
cosa alcuna che minore convenienza abbia con un’altra, né che sia
tanto dissimile, quanto la vita civile dalla militare»
64
. Anche nella
Provisione della ordinanza, l’autore non tralascia di osservare in
apertura che «tutte le republiche che pei tempi passati si sono man-
tenute ed accresciute, hanno sempre auto per loro principal fonda-
mento due cose, cioè: la iustitia e l’arme»
65
. Nei Discorsi e nel Prin-cipe, come anche nelle Istorie fiorentine (che è poi la terna di scritti
che contano, dopo Dell’Arte della guerra, la maggiore frequenza del
termine) l’«ordine» non sarà più quasi mai di tipo militare, il ter-
mine milizia è anzi contrapposto ad ordine, inteso quindi quest’ul-
timo in senso politico: «dove è buona milizia conviene che sia
buono ordine»
66
. Il lemma ordine quindi, a differenza che per gli
scritti precedenti, nel Principe e nei Discorsi ha quasi sempre un’ac-
cezione politico-organizzativa
67
. Quest’attenzione emerge anche
nelle Istorie fiorentine. Qui l’ordine è «regola» o «comando»
68
,
«modo» generico o «organizzazione» o «consuetudine»
69
, ma più
136 Paola Villani
spesso compare in senso politico, come «classe», o proprio come
«ordinamento» o «governo»
70
. Basti qualche esempio:
Intra gli altri grandi e meravigliosi ordini delle republiche
e principati antichi, che in questi nostri tempi sono spenti, era
quello mediante il quale di nuovo e d’ogni tempo assai terre e città
si edificavono; perché niuna cosa è tanto degna di un ottimo prin-
cipe e di una bene ordinata republica, né più utile ad una provin-
cia, che lo edificare di nuovo terre, dove gli uomini si possino per
commodità della difesa o della cultura ridurre: il che quelli pote-
vono facilmente fare, avendo in uso di mandare ne’ paesi, o vinti
o voti, nuovi abitatori i quali chiamavono colonie. Perché, oltre
allo essere cagione questo ordine che nuove terre si edificassero,
rendeva il paese vinto al vincitore più securo […]
71
.
[…] parve loro [ai fiorentini] tempo da poter pigliare forma di vi-
vere libero e ordine da potere difendersi, prima che il nuovo im-
peratore acquistasse le forze
72
.
Anche nelle Istorie si tratta di «ordini buoni» e «ordini
nuovi»
73
, necessari a «riformare le città»
74
.
Nella sua meditazione politica, l’obiettivo sembra proprio la
costituzione e il mantenimento dell’ordine politico, il quale deve
70
«[…] sarebbe al tutto la sua [scil. di Teodorico] memoria degna da ogni
parte di qualunque onore: perché, mediante la virtù e bontà sua, non solamente
Roma e Italia, ma tutte le altre parti dello occidentale imperio […] si sollevorono,
e in buono ordine e assai felice stato si ridussero» (ID., Istorie fiorentine, I, 4, vol.
III, p. 318); «E la Italia, poi che la fu in mano de’ franciosi, mutò in parte forma
e ordine, per aver preso il papa nel temporale più autorità […]» (ID., Istorie fio-rentine, I, 11, vol. III, p. 328); «Costui [il Conte Giordano], dopo la vittoria, se ne
andò con i Ghibellini a Firenze, e quella città ridusse tutta alla ubbidienza di Man-
fredi, annullando i magistrati e ogni altro ordine per il quale apparisse alcuna
forma della sua libertà» (Istorie fiorentine, II, 7, vol. III, p. 369).
71 Ibidem, II, 1, vol. III, p. 363.
72 Ibidem, II, 4, vol. III, p. 367.
73
«[…] gli assai uomini sono più atti a conservare uno ordine buono, che
a saperlo per loro medesimi trovare» (Ibidem, III, 6, vol. III, p. 432).
74 Ibidem, VII, 16: «[…] era necessario riformare la città e dare nuovo or-
dine allo stato»; Cfr. anche Istorie fiorentine, II, 32, vol. III, pp. 401-402: «[…]
con nuovi Signori e con nuovo ordine lo stato riformare».
Machiavelli e l’ordine “tragico” 137
75
N. MACHIAVELLI, Principe, XII, vol. I, p. 150.
76
Tale lo ha definito Gramsci, a supporto della tesi della sostanziale inte-
grazione del capitolo al resto dell’opera (ANTONIO GRAMSCI, Note su Machiavelli,sulla politica e sullo Stato moderno, Torino, Einaudi, 1949, p. 4).
77
Cfr. N. MACHIAVELLI, Principe, XXVI, vol. I, p. 191: «E benché la fan-
teria svizzera e spagnola sia esistimata terribile, nondimanco in ambedue è difetto
per il quale uno ordine terzo potrebbe non solamente opporsi loro, ma confidare
di superargli».
78 Ibidem, p. 190.
79
GIULIANO PROCACCI, Niccolò Machiavelli, in Storia delle idee politiche,economiche e sociali, a cura di L. Firpo, Torino, Einaudi, 1987, vol. III, pp. 253-
298, alle pp. 275-276.
80
N. MACHIAVELLI, Principe, XXVI, vol. I, p. 190.
trovare il suo fondamento; e lo trova sulle buone armi, ma prim’an-
cora, sulle buone leggi:
E’ principali fondamenti che abbino tutti li stati, così nuovi
come vecchi o misti, sono le buone legge e le buone arme. E […]
e’ non può essere buone legge dove non sono buone arme, e dove
sono buone arme conviene sieno buone legge […]
75
.
In realtà, in quella che viene indicata come ‘appendice reto-
rica’ del Principe, e cioè il discusso capitolo finale, si riprende il
tema delle milizie mercenarie: Machiavelli torna a consigliare ai
prìncipi italiani la costituzione di eserciti propri. Anche in questo
XXVI capitolo, però, parenetico e vero «manifesto politico» dell’o-
pera
76
, il termine ordine mantiene questa accezione ampia: viene uti-
lizzato in riferimento al potere «ordinato da Dio», una sola volta
come ordinamento militare
77
, altra volta come comando, non mili-
tare, altre due volte come sinonimo di ordinamento («le nuove legge
ed e’ nuovi ordini»)
78
. D’altronde, è stato osservato, il principe «non
è un demiurgo, ma un riformatore, un legislatore, e il suo avvento
al potere non è, se ci è lecito adoperare questa formula, un colpo di
Stato, ma una rivoluzione che deriva le sue ragioni dal popolo e
dalla storia. […] Machiavelli intende affermare che in Italia i tempi
sono maturi per un processo di rigenerazione totale della vita poli-
tica»
79
, processo che passa necessariamente attraverso l’introdu-
zione di «ordini nuovi». A suggellare il De principatibus è la consi-
derazione che in Italia, «gli ordini antiqui non erano buoni, e non ci
è suto alcuno che abbia saputo trovare di nuovi»
80
.
138 Paola Villani
In tutta la scrittura politica machiavelliana si ritrova con in-
sistenza il concetto di ordine come ordinamento, giustizia. È un
tema centrale, già enucleato con nettezza nel capitolo 24 del I libro
dei Discorsi, Le republiche bene ordinate costituiscono premii epene a’ loro cittadini, né compensono mai l’uno con l’altro81
. Il
mantenimento dell’ordine, quindi, fonda innanzitutto su un corretto
funzionamento della giustizia. Buone leggi e fedele applicazione di
esse. Machiavelli, a proposito dell’accordo di «buone arme» e
«buone legge», ricorda «gli antichi ordini», nei quali «non si trove-
rebbono cose più unite, più conformi e che, di necessità, tanto l’una
amasse l’altra, quanto queste»
82
. Il Segretario è sensibile innanzi-
tutto al problema dei buoni ordini, delle leggi, della giustizia, e, in
funzione di questa, pensa ad una strategia militare, della cui elabo-
razione, tra l’altro, non può neppure andar fiero
83
, quasi a confon-
dere armi mercenarie e sistema di condottieri, e comunque a cedere
al rischio di eccessiva ‘teorizzazione’, come ebbe a canzonarlo già
la sagace penna di Bandello
84
.
Proprio nel Principe _
quello che, si ricorda, egli stesso al
Vettori definisce «opuscolo», addirittura «ghiribizzo», quasi scritto
d’occasione e non trattato
_
emerge più volte una dura condanna del
81
Cfr. N. MACHIAVELLI, Discorsi, I, 24, vol. I, p. 255: «[...] nessuna re-
publica ben ordinata non mai cancellò i demeriti con gli meriti de’ suoi cittadini;
ma avendo ordinati i premii a una buona opera e le pene a una cattiva, ed avendo
premiato uno per avere bene operato, se quel medesimo opera dipoi male, lo ga-
stiga, sanza avere riguardo alcuno alle sue buone opere. E quando questi ordini
sono bene osservati, una città vive libera molto tempo: altrimenti sempre rovinerà
tosto».
82
ID., Dell’arte della guerra, Proemio, vol. I, p. 529.
83
Cfr. UGO DOTTI, Machiavelli rivoluzionario, Roma, Carocci, 2003, pp.
266 e sgg.
84
Cfr. MATTEO BANDELLO, Novelle, I, 40, in Opere, a cura di G.G. Ferrero,
Torino, UTET, 1978, p. 322. Nella nota dedica a Giovanni de’ Medici, Bandello
scrive: «Egli vi deveria sovvenir di quel giorno quando il nostro ingegnoso messer
Niccolò Machiavelli sotto Milano volle far quell’ordinanza di fanti di cui egli molto
innanzi nel suo libro de l’arte militare diffusamente aveva trattato. Si conobbe allora
quanta differenza sia da chi sa e non ha messo in opera ciò che sa, da quello che ol-
tra il sapere ha più volte messe le mani, come dir si suole, in pasta e dedutto il pen-
siero e concetto de l’animo suo in opera esteriore[…]» (ibidem). Sul giudizio nega-
tivo per il Machiavelli ‘militare’ ha pesato anche la nota sentenza di Brantôme. Cfr.
G. PROCACCI, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, cit., pp. 185 e sg.
Machiavelli e l’ordine “tragico” 139
85
Ne capitoli dal XII al XXIII Machiavelli illustra «le offese e le difese»
che un principe nuovo deve mettere in atto contro i nemici, interni ed esterni. Di-
spensa consigli al principe nuovo. Le espressioni «principe nuovo» e «principato
nuovo» si susseguono con frequenza.
86
Cfr. FEDERICO CHABOD, Alcune questioni di terminologia: Stato, na-zione, patria nel linguaggio del Cinquecento, ora in ID., L’idea di nazione, Bari-
Roma, Laterza, 2004 (I ed. 1967), pp. 139-181; GIANFRANCO MIGLIO, Genesi e tra-sformazione del termine-concetto «Stato», (I ed. 1981), ora in ID., La regolaritàdella politica, Milano, Giuffrè, 1988, pp. 799-822. Cfr. anche FRANCESCO ERCOLE,
La politica di Machiavelli, Roma, Anonima Romana editrice, 1926, pp. 65 e sgg.;
ORAZIO CONDORELLI, Per la storia del nome «stato» (il nome «stato» in Machia-velli), in «Archivio giuridico ‘Filippo Serafini’», 1923, 5, pp. 223-235, e 1924, 6,
pp. 77-112, ora in ID., Scritti sul diritto e sullo stato, Milano, Giuffrè, 1970, pp.
417-165; F. CHIAPPELLI, Studi sul linguaggio del Machiavelli, cit., pp. 59-73; JACK
H. HEXTER, ‘Il Principe’ and ‘lo stato’, in «Studies in the Renaissance», 1957, 4,
pp. 113-138; H. DE VRIES, Essai sur la terminologie constitutionelle chez Machia-vel (‘Il Principe’), cit.
regime militare, considerato il peggiore di tutti, nella misura in cui
non mira al bene comune, alla universalità, come i regni e le re-
pubbliche, ma solo alla soddisfazione della parte che è più forte solo
perché armata.
Le leggi, la giustizia, quindi gli «ordini», i buoni ordini, o se
si vuole le rette forme di governo e quelle degenerate. È questo l’og-
getto di interesse.
Nei primi capitoli del Principe, dopo la nota classificazione
dei diversi tipi di principato (ereditari, nuovi e misti), sbrigati rapi-
damente i principati ereditari nel secondo capitolo, l’autore entra su-
bito nel vivo della questione, i principati nuovi. È in questi capitoli
che si impone con maggior vigore il problema degli «ordini». Cade
quindi anche la distinzione tra principi nuovi ed ereditari: l’atten-
zione si pone sul riformatore, legislatore, colui che introduce «or-
dini nuovi» o che deve rinnovare quelli esistenti. Anche un «prin-
cipe ereditario» come Agatocle, per l’irruenza della sua azione rifor-
matrice, può considerarsi un «principe nuovo»
85
.
Nei due capolavori del pensiero politico, Principe e Discorsi,l’attenzione è rivolta all’analisi delle forme di «Stato», con un’ac-
cezione del lemma-segno ‘Stato’ che, osservano i commentatori, è
molto vicina a quella, ancora controversa, di età moderna e con-
temporanea
86
. Sarebbe, infatti, acquisizione dell’età moderna la
140 Paola Villani
prima distinzione tra polis e politikos, dunque tra Stato e politica,
termini tanto implicati da essere adoperati addirittura come sino-
nimi, secondo una linea interpretativa che da Hobbes giunge fino a
Weber
87
. Il Segretario fiorentino avrebbe avuto il merito di rompere
la tradizione aristotelico-classica sulla natura e formazione dello
Stato, la teoria evoluzionistica fondata sul presupposto antropolo-
gico della naturale socievolezza degli uomini. Anticiperebbe, in-
vece, le tesi del contrattualismo dei secoli XVI e XVII, non senza
echi della teoria lucreziana
88
, fino alla elaborazione di un «bene» di
natura pubblica, ben distinto dal bene morale, con un passaggio, evi-
denziato da Chiodi, dal Gemeinwohl al Gemeingut89
. Questo bene
87
SILVANO BELLIGNI, Paradigmi del politico. Appunti in margine alla ‘no-bile scienza’, Torino, Giappichelli, 1991, pp. 47 e sgg. Sulla distinzione tra Stato
e politica, com’è noto, ha molto insistito il fondamentale saggio di Carl Schmitt.
Cfr. CARL SCHMITT, Le categorie del ‘politico’. Saggi di teoria politica, a cura di
G. Miglio e P. Schiera, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 101 e sgg. Cfr. anche V.
MURA, op. cit., pp. 101 e sgg.
88
Trattando dei tre tipi di regimi istituzionali della Roma antica (il «prin-
cipato», il governo degli «ottimati» e quello «popolare») Machiavelli scrive: «Nac-
quono queste variazioni de’ governi a caso intra gli uomini; perché nel principio
del mondo, sendo gli abitatori radi, vissono in tempo dispersi a similitudine delle
bestie; dipoi, moltiplicando la generazione, si ragunarono insieme, e, per potersi
meglio difendere, cominciarono a riguardare infra loro quello che fusse più robu-
sto e di maggiore cuore, e fecionlo capo, e lo ubedivano» (Discorsi, I, 2, p. 204).
Cfr. NORBERTO BOBBIO, Il giusnaturalismo, in Storia delle idee politiche, econo-miche e sociali, cit., vol. IV/I, pp. 491-558.
89
Cfr. GIULIO MARIA CHIODI, Tacito dissenso, Torino, Giappichelli, 1990,
p. 34. Chiodi inoltre riprende una «nota» machiavelliana di Merleau-Ponty (MAU-
RICE MERLEAU-PONTY, Nota su Machiavelli, in Segni, a cura di A. Bonomi, Mi-
lano, Il Saggiatore, 1967). Ponty avrebbe recuperato un Machiavelli non dispre-
giatore della morale privata in favore della pubblica, piuttosto costruttore di una
morale più vasta che addirittura ingloba la sfera pubblica in una nuova morale.
Non si tratterebbe semplicemente del pensatore politico, piuttosto del rivelatore di
un mondo etico più vasto. (cfr. G.M. CHIODI, op. cit., pp. 138 e sgg.). Contra, Sasso
esclude l’idea della formazione di una nuova sfera, la pubblica, che assorba la per-
sonale, e dunque di una etica «sociale» che assorba la privata. Sasso quindi insi-
ste sulla irresolubilità del problema di conciliare sfera privata e sfera pubblica, sot-
tolineando il contrasto tra etica e politica. Vedi G. SASSO, Niccolò Machiavelli, I,Il pensiero politico, cit., pp. 464-465. Sul delicato passaggio dalla sfera privata alla
pubblica affermatosi nella cultura filosofica seicentesca, e proprio sul rapporto tra
«ordine», bene pubblico e «uomo d’ordine» sul piano politico, si vedano le inte-
ressanti proposte di F. CAMMISA, op. cit., pp. 111 e sgg.
Machiavelli e l’ordine “tragico” 141
90
Sul termine ‘stato’ in Machiavelli, cfr. ALESSANDRO PASSERIN D’EN-
TRÈVES, La dottrina dello Stato, Torino, Giappichelli, 1962, p. 54; NORBERTO BOB-
BIO, Stato, governo, società, Torino, Einaudi, 1985, pp. 56-57; V. MURA, op. cit.,pp. 264 e sgg.
91
In effetti, nel Principe il termine è adoperato 115 volte, ma per ben 110
volte nel suo significato passivo, per indicare status, ossia, secondo l’uso antico e
pre-politico del nome, come posizione o condizione di un oggetto. Cfr. JACK H.
HEXTER, The Vision of Politics on the Eve of Reformation: More, Machiavelli andSeyssel, London, Allen Lane, 1973.
92
F. CHABOD, Alcune questioni di terminologia: Stato, nazione, patria nellinguaggio del Cinquecento, cit., p. 143 [il corsivo è d’autore].
pubblico, come si vedrà, si riduce alla mediazione dei conflitti. So-
prattutto, Machiavelli avrebbe svincolato la parola dalla sua origine
latina di status, intendendolo per la prima volta, non come status-
condizione, quanto piuttosto come termine propriamente politico.
Nella storia del pensiero politico, infatti, uno dei primi e più illumi-
nanti esempi di trasformazione semantica del termine si trova con-
cordemente proprio in Machiavelli, nelle righe iniziali del Principe:
«Tutti li stati, tutti e’ dominii che hanno avuto et hanno imperio so-
pra li uomini, sono stati e sono o republiche o principati». In que-
sto contesto Machiavelli usa «stato» come sinonimo di «dominio»,
come idea astratta, che può essere riferita a diversi ordinamenti isti-
tuzionali: ‘stato’ come ‘ordinamento politico’, cioè indica il genererispetto al quale principato o repubblica sono da considerarsi come
specie, forme particolari
90
. In altri passi del Principe e nel Discorsosopra il riformare lo Stato di Firenze, ‘stato’ compare come equi-
valente di ‘regime’ oppure come sinonimo di staff di governo
91
.
Nonostante queste oscillazioni, non si può negare che Ma-
chiavelli introduca una notevole innovazione nel vocabolario poli-
tico dei moderni. La novità consiste anche nell’individuazione di un
termine specifico per indicare l’ordinamento politico della società,
per ‘pensare’ qualcosa che gli antichi, che non possedevano un vo-
cabolo ad hoc, erano in grado di pensare attraverso l’uso di catego-
rie ambigue (civitas, res publica). In altre parole, Machiavelli con-
ferirebbe al termine ‘Stato’ il significato di autorità, preminenza, po-
tere politico. È «il soggetto, nettamente staccato dall’oggetto del
comando, che rimane al di fuori e subisce»
92
. Si direbbe si tratti di
142 Paola Villani
‘genere’, o classe generale, cui appartengono le due specie o speci-
fiche sottoclassi del principato e della repubblica. Di queste, non
dello Stato, egli tratteggia le fondamentali caratteristiche strutturali.
Ancora, a premessa del percorso machiavelliano attraverso le
diverse forme di Stato, va forse precisato che, oltre a disinteressarsi
dello Stato in sé, come ‘genere’ di ordinamento, l’autore non indi-
vidua come nodo problematico quello riguardante la nascita di que-
sti diversi «ordinamenti» (che nacquero «a caso»
93
), né tanto meno
la legittimità e la fonte del potere. Ad interessare lui, e gli altri co-
siddetti politici «realisti» (da Bodin a Lutero, fino ai teorici della
‘Ragion di Stato’) sono i diversi ordinamenti, repubblica e princi-
pato, non le forme di acquisizione del potere
94
. Se si escludono le
meno note pagine dei Capitoli (in particolare Dell’Ambizione) e al-
cuni brani dei Discorsi95
, all’autore interessa partire dando il vivere
politico come punto di partenza; non importa come il potere nasca
o venga giustificato, quel che conta è la sua effettività ed efficacia
96
.
Dunque, la tipologia delle diverse forme di «Stato» e la loro
corruzione – tema come è noto caro alla trattatistica cinque e sei-
93
Cfr. N. MACHIAVELLI, Discorsi, I, 2, vol. I, p. 204.
94
Una definizione della cosiddetta «scuola realista» la offre anche Me-
snard, come scuola «che non si appaga né di parole, né di teorie astratte, né di prin-
cipi a priori, dopo aver combattuto la tradizione classica e quella cristiana oppo-
nendo gli argomenti dell’una contro quelli dell’altra, e per aver non trovato, nel
caos delle dottrine e dei governi, altro oggetto di studio che l’uomo nella sua nu-
dità e nella sua sete d’imporsi» (P. MESNARD, Il pensiero politico rinascimentale,cit., vol. I, p. 120).
95
In queste pagine infatti l’autore sembra approfondire l’origine della vita
sulla terra e la prima condizione degli uomini in quello che in seguito sarebbe stato
definito stadio presociale o prepolitico dell’umanità. Cfr. N. MACHIAVELLI, Capi-toli, in Opere, cit., vol. III, pp. 31-48; ID., Discorsi, I, 2, pp. 203-204. In partico-
lare, per un commento alla genesi e alle fonti del trattato Dell’ambizione, cfr.
GENNARO SASSO, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, vol. IV, Milano, Ricciardi,
1997, pp. 3-37.
96
Cfr. P. MESNARD, Il pensiero politico rinascimentale, cit., vol. I, pp. 54-
55: «Non occorre sapere se questa o quella procedura nella conquista del potere è
ammissibile e riconosciuta o cercare un fondamento di diritto all’autorità […]. Il
diritto gli resta indifferente; la fonte dell’autorità non è considerata che per indi-
care al principe, in ogni caso esaminato, il modo più appropriato di fondare il po-
tere personale».
Machiavelli e l’ordine “tragico” 143
97
All’interno della vasta bibliografia sul culto della storia nella trattati-
stica rinascimentale e barocca si vedano almeno: RODOLFO DE MATTEI, Il cultodella storia in Italia tra il Cinque e il Seicento, in AA. VV. Letterature comparate.Problemi e metodo. Studi in onore di Ettore Paratore, III, Bologna, Il Mulino,
1981, pp. 1413-1416; EDUARD FUETER, Storia della storiografia moderna, Milano-
Napoli, Ricciardi, 1970, pp. 75 e sgg.; GIUSEPPE TOFFANIN, Machiavelli e il “Ta-citismo”. La “Politica storica” al tempo della controriforma, Napoli, Guida, 1972.
98
Sulla nota questione in merito a questi capitoli si veda, tra gli altri, FE-
LIX GILBERT, Niccolò Machiavelli e la vita culturale del suo tempo, ed. it. Bolo-
gna, Il Mulino, 1964, pp. 179 e sgg.
99
Per il problema relativo alla lettura machiavelliana delle Storie poli-
biane (alle quali il Segretario non poteva accedere se non in traduzione latina, non
conoscendo il greco com’è noto) cfr. CARLO DIONISOTTI, Machiavellerie, Torino,
Einaudi, 1980 (I ed. 1971), pp. 138 e sgg.; ATTILIO MOMIGLIANO, Essays in An-cient and Modern Historiography, Oxford, Oxford University Press, 1977, pp. 79-
98; JACK H. HEXTER, Seyssel, Machiavelli and Polybius VI. The Mystery of theMissing Translation, in «Studies in the Renaissance», III, 1956, pp. 136-156; G.
SASSO, Intorno alla composizione dei ‘Discorsi’ di Machiavelli, cit., pp. 215-259.
centesca
97
_
è un motivo sotterraneo nei Discorsi, soprattutto nel li-
bro primo, costruito, almeno dopo il XVIII capitolo, come un diretto
commento a Livio, ed avente quindi a protagonista la repubblica ro-
mana
98
. Machiavelli, però, spazia continuamente oltre questo tema,
in un’analisi comparata con altri regimi politici. Era la tripartizione
(monarchia, aristocrazia, repubblica e le rispettive degenerazioni)
della tradizione classica, Polibio in testa, in particolare il fatidico se-
sto libro delle Storie99
, sulla teoria dell’anakyklosis, la quale, dopo
una certa letteratura medievale, era tornata alla ribalta nell’Umane-
simo e Rinascimento. La tripartizione classica delle forme di Stato,
però, viene presto abbandonata, per cedere il passo alla tipologia
portante, che ha soli due punti di riferimento: repubblica e princi-
pato (o regno).
La distinzione tra repubblica e principato non solo apre il
Principe, ma ricorre costantemente nei Discorsi. Già il primo capi-
tolo dei Discorsi affronta il problema. Sembra anzi che negli altri
capitoli del trattato, dopo il primo, la tripartizione classica gli serva
soltanto a connotare i diversi tipi di repubblica: aristocratica, demo-
cratica e «mista». Queste ultime interessano in particolare Machia-
velli.
144 Paola Villani
Anche quest’ultimo elemento segnerebbe la vera modernità
del Segretario
100
, la rottura con la tradizione classica, e quasi un’a-
pertura, si direbbe, a un’eredità medievale
101
, nella misura in cui ri-
prende la distinzione tra civitas e regnum (o provincia), entrambe
espressione della perfecta communitas102. Paradossalmente, proprio
perché il Machiavelli riempie questa distinzione di tante connota-
zioni storico-sociologiche, prese dagli antichi ma soprattutto dai mo-
derni, ci appare precursore di Montesquieu dell’Esprit de Lois, so-
prattutto nella distinzione tra monarchia e dispotismo
103
.
È ormai quasi concordemente accettato che il problema della
‘scelta’ tra repubblica e principato non costituisce una delle que-
stioni ermeneutiche di principale rilievo. Per alcuni può ritenersi ca-
duta la stessa distinzione, tanto insistita dalla storiografia anglosas-
sone, tra Il Principe e i Discorsi, almeno intendendola come oppo-
sizione tra ipotesi monarchica e ipotesi repubblicana
104
.
100
Cfr. F. ERCOLE, La politica di Machiavelli, cit., pp. 127-128; GEORG
JELLINECK, La dottrina generale del diritto e dello Stato, Milano, Giuffrè, 1949,
pp. 209 e sgg.; HANS KELSEN, Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano,
Comunità, 1952, pp. 288 e sgg.
101
Cfr. N. MATTEUCCI, op. cit., p. 71.
102
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, De regimine principum, I, 1: l’autosuffi-
cienza della vita si ha «in civitate vero, quae est perfecta communitas, quantum ad
omnia necessaria vitae; sed adhuc magis in provincia una propter necessitatem
compugnationis et mutui auxilii contra hostes. Unde qui perfectam communitatem
regit, id est civitatem vel provinciam, antonomastice rex vocatur». C’è da sottoli-
neare che Machiavelli, anche se mai in modo diretto o esplicito, identifica la re-
pubblica con lo Stato cittadino e col piccolo Stato. Contra invece F. ERCOLE, Lapolitica di Machiavelli, cit., pp. 148 e sgg., il quale afferma che Machiavelli ha su-
perato la restrizione della repubblica alla civitas. Secondo alcuni Machiavelli at-
tinge a Tacito, nell’opporre la libertas al principato (Agricola, 3), o al Rex (Anna-les, I, 1).
103
Cfr. CHARLES-LOUIS DE SECONDAT DE MONTESQUIEU, Esprit de Lois,
IX, 1-3, trad. it. Lo spirito delle leggi, pref. di G. Macchia, Milano, Rizzoli, 1989,
I, p. 53. Cfr. N. MATTEUCCI, op. cit., pp. 71 e sgg.; ANTONIO CUCCINIELLO, Il po-tere che limita il potere: un’analisi del costituzionalismo di Montesquieu, Napoli,
ESI, 2006.
104
Sarebbe impossibile ripercorrere l’ampia bibliografia a sostegno della
tesi delle divergenze tra le due opere. Qui basti ricordare che a sostenere questa
tesi è stata gran parte della storiografia inglese, spesso col proposito di rivalutare
i Discorsi e l’immagine del Machiavelli ‘repubblicano’. Cfr. FELIX GILBERT, Poli-tical Thought of the Renaissance and Reformation, in «The Huntington Library
Quarterly», 1941, 4, pp. 449 e sgg.; ID., Niccolò Machiavelli e la vita culturale del
Machiavelli e l’ordine “tragico” 145
suo tempo, cit., pp. 106 e sgg.; JAMES WILLIAM ALLEN, A History of political Thou-ght in the Sixteenth Century, London, Methuen, 1951, pp. 471 e sgg.; AUGUSTIN
RENAUDET, Machiavel. Ètude d’histoire des doctrines politiques, Paris, Gallimard,
1956 (I ed. 1942), pp. 215 e sgg.; VICKIE SULLIVAN, Machiavelli, Hobbes and theFormation of a liberal republicanism in England, Cambridge, Cambridge Univer-
sity Press, 2004. Fu tra i primi il Villari a sostenere con forza la unità organica e
concettuale delle due opere (PASQUALE VILLARI, Niccolò Machiavelli e i suoitempi, Milano, Hoepli, 1927, vol. II, 275-276). Cfr. anche G. SASSO, Niccolò Ma-chiavelli, Bologna, Il Mulino, 1980, vol. I, Il pensiero politico, cit., pp. 351 e sgg.
105
N. MACHIAVELLI, Discorsi, I, 17, vol. I, p. 246.
106
A conforto viene anche Sasso, che osserva che «comunque le compo-
sizioni del Principe e dei Discorsi si siano determinate e succedute nel tempo, il
principato non può nascere, in questa specifica indagine machiavelliana, se le re-
pubbliche non abbiano toccato il limite estremo della degenerazione, della deca-
denza […]» (G. SASSO, Niccolò Machiavelli, cit., p. 355).
Il primo criterio di interpretazione può considerarsi quello so-
ciologico. Nel suo procedere ‘prescrittivo’, cioè, l’autore si lascia
guidare da una costante preoccupazione di correlare il regime poli-
tico alla struttura sociale. Non si limita, quindi, a descrivere come
agisce il potere al livello politico delle istituzioni, ma anche spiega
questo comportamento, basandosi su concreti rapporti fra le classi
sociali. Dall’analisi dell’assetto sociale deriva la scelta della forma
di governo ideale: «E debbesi presupporre per cosa verissima, che
una città corrotta che viva sotto uno principe, come quel principe
con tutta la sua stirpe si spenga, mai non si può ridurre libera, anzi
conviene che l’un principe spenga l’altro […] tale corruzione e poca
attitudine alla vita libera, nasce da una inegualità che è in quella
città»
105
.
La soluzione del principato, dunque, è auspicata quasi a col-
mare la «inegualità» sociale dovuta alla corruzione della forma re-
pubblicana
106
. Una strada non risolutiva, cioè non senza un grado di
difficoltà che fa temere la quasi «impossibilità» di rinnovare gli «or-
dini», rigenerare uno stato dove ormai regna corruzione e degrado
di costumi:
Era necessario, pertanto, a volere che Roma nella corru-
zione si mantenesse libera, che, così come aveva nel processo del
vivere suo fatto nuove leggi, l’avesse fatto nuovi ordini: perché al-
146 Paola Villani
tri ordini e modi di vivere si debbe ordinare in uno suggetto cat-
tivo, che in uno buono; né può essere la forma simile in una ma-
teria al tutto contraria. Ma perché questi ordini, o e’ si hanno a rin-
novare tutti a un tratto, scoperti che sono non essere più buoni, o
a poco a poco, in prima che si conoschino per ciascuno, dico che
l’una e l’altra di queste due cose è quasi impossibile [...]; ma è ne-
cessario venire allo straordinario, come è alla violenza ed all’armi,
e diventare innanzi a ogni cosa principe di quella città, e poterne
disporre a suo modo
107
.
L’ipotesi del principato, quindi, si affaccia come tentativo
«necessario» per «riformare»
108
gli ordini da una generale corru-
zione sociale. Tentativo, però, che non è certo risolutivo:
da tutte le soprascritte cose nasce la difficultà, o impossibilità, che
è nelle città corrotte, a mantenervi una republica, o a crearvela di
nuovo. E quando pure la si avessi a creare o a mantenere, sarebbe
necessario ridurla più verso lo stato regio, che verso lo stato po-
polare; acciocché quegli uomini i quali dalle leggi, per la loro in-
solenza, non possono essere corretti, fussero da una podestà quasi
regia in qualche modo frenati. E a volergli fare per altre vie di-
ventare buoni, sarebbe o crudelissima impresa o al tutto impossi-
bile
109
.
La ricerca, però, ardua e quasi impossibile in alcuni casi, di
questa «equità» ed equilibrio, siano questi ottenuti attraverso la re-
pubblica o il principato poco importa, non smentisce la convinzione
iniziale: la sostanziale positività del conflitto tra i diversi ordini.
107
N. MACHIAVELLI, Discorsi, I, 18, vol. I, pp. 247-248 [il corsivo non è
d’autore].
108
Nel capitolo nono del I libro dei Discorsi (vol. I, p. 223), intitolato
Come egli è necessario essere solo a volere ordinare una republica di nuovo, o altutto fuor degli antichi suoi ordini riformarla, si legge: «E debbesi pigliare questo
per una regola generale: che mai o rado occorre che alcuna republica o regno sia
da principio ordinato bene, o al tutto di nuovo, fuora degli ordini vecchi, rifor-
mato, se non è ordinato da uno; anzi è necessario che uno solo sia quello che dia
il modo e dalla cui mente dependa qualunque simile ordinazione» [il corsivo è no-
stro].
109 Ibidem, I, 18, vol. I, p. 248.
Machiavelli e l’ordine “tragico” 147
110
Cfr. Ibidem, I, 6, vol. I, p. 216.
111
Cfr., tra gli altri, G. CADONI, Crisi della mediazione politica e conflittisociali […], cit.
112
R. ESPOSITO, op. cit., p. 142.
113
Per interessanti spunti in merito, con particolare riferimento a Tocque-
ville in parallelo a Machiavelli, si vedano le osservazioni di FRANCESCO M. DE
SANCTIS, Tempo di democrazia. Alexis de Tocqueville, Napoli, Editoriale Scienti-
fica, 2005, pp. 53-54.
La repubblica romana, pilastro, insieme al regno di Francia,
della politologia machiavelliana, offre un esemplificazione chiara
per questa tesi. Il governo misto romano conosce un instabile e pre-
cario equilibrio fra il popolo e i grandi, fra il «troppo desiderio del
popolo d’essere libero» e il «troppo desiderio de’ nobili di coman-
dare»; la rottura di questo equilibrio è proprio l’inizio della corru-
zione e della decadenza.
***
Si giunge, quindi, a un tema cardine della politologia ma-
chiavelliana, correlato direttamente al tema dell’ordine: il conflitto.
Il realista Machiavelli mostra come l’assenza di grandi conflitti po-
litici, con le tensioni morali e l’inventiva politica che essi provo-
cano, generi soltanto l’«ozio»; e l’ozio porterà, per esempio, Vene-
zia, a essere «o effeminata o divisa»
110
. La fine della tensione e del
conflitto per Machiavelli segnerebbe anche la fine della politica. Sa-
rebbe questo uno dei traguardi più considerevoli della storiografia e
della sua politologia, stando almeno alla storiografia machiavelliana
degli ultimi anni
111
. «È quello che potrebbe definirsi il principio
della ‘produttività del negativo’ all’interno di un ordine che condi-
ziona la propria capacità espansiva alla spinta convergente di poli
reciprocamente contraddittori»
112
. Con Machiavelli, quindi, entre-
rebbe da protagonista un elemento escluso dalla tradizionale tratta-
tistica politica precedente e successiva all’autore per secoli, con la
sola esclusione di pochi autori, non ultimo Alexis de Tocqueville: la
categoria del movimento
113
. Si interromperebbe innanzitutto la no-
zione di sviluppo lineare della storia, che, da Manetti a Ficino, pur
con le ovvie differenze, aveva unificato grandi settori della cultura
148 Paola Villani
umanistica. In particolare, ad insistere sulle cause della discordia
che tribolava il regnum italicum era stata la tradizione medievale, e
poi Marsilio da Padova nel Defensor pacis114
. Non ultimo, sulla pe-
ricolosità del disordine e del conflitto per lo sviluppo della storia,
era intervenuto quel Leonardo Bruni al quale, nelle Istorie fioren-tine, Machiavelli avrebbe rivolto un aspro giudizio
115
.
In realtà, anche Savonarola, quel «frate» che «cambia man-
tello» volentieri, che Machiavelli tratta con sarcasmo, talora con fe-
rocia
116
, ma che nel Principe e nei Discorsi diventa quasi il simbolo
di una situazione politica; anche Savonarola aveva insistito sulla ef-
ficacia «rinovativa» della «contradizione» o «tribolazione»
117
. Il
concetto, però, era inserito all’interno di uno schema etico, che Ma-
chiavelli avrebbe trasferito sul piano dell’ordo politico.
Più volte Machiavelli insiste sul carattere «naturale» del con-
flitto, e come tale sulla sua inevitabilità, irrisolvibilità
118
. Non si
ferma, però, a questo concetto dell’inevitabilità del conflitto; arriva
a considerare anche la sua feconda positività all’interno dell’ordinepolitico:
E benché ancora tra i cittadini così fatti non si possa per al-
cuno modo provedere che non vi siano odii grandissimi, non di
114
MARSILIO DA PADOVA, Defensor pacis, I, 19, 1 e 1, 1, 2. Sui rapporti
tra Machiavelli, Marsilio e la cultura medievale cfr. ALAN GEWIRTH, Marsilius ofPadua and medieval political Philosophy, New York, Columbia University press,
1951, passim; FRANCESCO BATTAGLIA, Marsilio da Padova e la filosofia politicadel Medio Evo, Firenze, Bologna, CLUEB, 1989 (I ed. 1928); ANTONIO TOSCANO,
Marsilio da Padova e Niccolò Machiavelli, Ravenna, Longo, 1981.
115
LEONARDO BRUNI, Historiarum Fiorentini populi libri XII, a cura di E.
Santini e C. Di Pierro, Bologna, Zanichelli, 1924, pp. 226-227.
116
Si veda la illuminante epistola di Machiavelli a Riccardo Becchi, 9
marzo 1498, vol. II, pp. 5-8. Il giudizio sarà, poi, in parte addolcito. Cfr. Decen-nale, I, vol. I, pp. 94 e sgg.; Discorsi, I, 11, vol. I, p. 231; Principe, VI, vol. I, pp.
132-133; lettera a Francesco Guicciardini, 17 maggio 1521, vol. II, p. 372-374.
Cfr. G. SASSO, Niccolo Machiavelli, cit., pp. 25 e sgg.
117
Cfr. GIROLAMO SAVONAROLA, Prediche italiane ai fiorentini, a cura di
R. Palmarocchi, Firenze, La Nuova Italia, s.d., p. 105.
118
Cfr. G. SASSO, Principato civile e tirannide, in «La Cultura», XX,
1982, 2, pp. 213-275, e «La Cultura», XXI, 1983,1, pp. 83-137, a pp. 85 e sgg.
Machiavelli e l’ordine “tragico” 149
119
N. MACHIAVELLI, Istorie fiorentine, VII, 1, vol. III, p. 629.
120
JEAN BODIN, Les six livres de la Republique, trad. it. a cura di M.
Isnardi Parente, Torino, 1964, vol. I, p. 545.
121
Cfr. J. BODIN, Methodus ad facilem historiarum cognitionem, VI, ed.
Mesnard, in ID., Oeuvres philosophiques, Paris, Presses Universitaires de France,
1950, p. 167; ID., Les six livres […], cit., pp. 543-544. Cfr. in proposito i saggi in-
clusi nel volume La ‘Republique’ di Jean Bodin, Atti del convegno di Perugia, Fi-
renze, Olschki, 1981, e le recenti osservazioni storico-politiche di IGOR MELANI, Iltribunale della storia: leggere la ‘Methodus’ di Jean Bodin, Firenze, Olschki,
2006, passim.
122
La questione non sfugge al Boccalini. Cfr. TRAIANO BOCCALINI, Rag-guagli di Parnaso e pietra del paragone politico, Bari, Laterza, 1912, Cent. II,
Ragg. VI, vol. II, p. 19: «E que’ che si sono millantati di far le republiche miste
eterne, ancor essi grandemente si son trovati ingannati; perciocché, sì come ne’
corpi umani i quattro umori, de’ quali è composto, dopo la concordia di una lunga
sanità si alterano alla fine, e quello che più agli altri prevale uccide l’uomo, così
la misura di por in una republica la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia, col
meno, non avendo partigiani che per utilità propria li seguitino,
non possono alla repubblica nuocere; anzi conviene che giovino,
perché è necessario, per vincere le loro pruove, si voltino alla esal-
tazione di quella, e particolarmente osservino l’uno l’altro, acciò
che i termini civili non si trapassino
119
.
Alla luce del conflitto come elemento fondante il vivere po-
litico, si comprende la posizione del Segretario nei confronti del
«governo misto», che riesce ad istituzionalizzare il ‘conflitto’ nelle
sue diverse accezioni. Quella di Machiavelli non è una semplice so-
luzione. In questo, egli riesce a sfuggire all’accusa rivolta da Bodin,
nel secondo libro della Republique, a lui e molti pensatori anche di-
stanti: l’accusa di ‘idealismo politico’
120
. Come era naturale atten-
dersi nel teorizzatore dello stato assoluto, la teoria dello ‘stato mi-
sto’ è riportata da Bodin ad una concezione pre-scientifica, perché
ancora eticamente fondata, della politica
121
. Bodin sostiene con
forza non più, o non solo, la irrealizzabilità, o almeno la irreperibi-
lità, della costituzione mista, quanto piuttosto la negatività di tale or-
dinamento lì dove si realizzi. In dubbio, quindi, non è più l’esi-
stenza, quanto la stabilità del Stato misto. Esso, presentato nello
schema aristotelico-polibiano e nella letteratura rinascimentale che a
questo fa capo come garanzia di massima stabilità, risulta in realtà
espressione di massima instabilità
122
. Si può concordare, quindi, con
150 Paola Villani
Esposito, nel considerare che il vero bersaglio polemico di Bodin
non è lo Stato misto, piuttosto lo stato misto solo perché connesso
a quel fattore di instabilità e di degenerazione che l’intera filosofia
politica del tempo individua nel conflitto delle parti sociali. Tutta la
filosofia politica, tranne Machiavelli
123
.
Quest’ultimo supera i luoghi comuni sullo ‘stato misto’ come
perfetta forma di stato. Non prigioniero del mito della stabilità, egli
vede nella governo misto romano una soluzione positiva per lo stato
repubblicano.
Nel quarto capitolo del I libro dei Discorsi, parlando delle
lotte fra patrizi e plebei nella Roma repubblicana (tema caro a Ma-
chiavelli), l’autore affronta l’argomento con spregiudicatezza e me-
todo. Insiste sul concetto dei «buoni effetti» dei tumulti, e sul fatto
che una buona milizia non può disgiungersi da buoni ordini, anche
in mancanza della fortuna. Concludendo il passo scrive:
Io non voglio mancare di discorrere sopra questi tumulti
che furono in Roma dalla morte de’ Tarquinii alla creazione de’ tri-
buni; e dipoi di alcune altre cose contro la opinione di molti che
dicono Roma essere stata una republica tumultuaria e piena di
tanta confusione che, se la buona fortuna e la virtù militare non
avesse sopperito a’ loro difetti, sarebbe stata inferiore a ogni altra
republica. Io non posso negare che la fortuna e la milizia non fos-
sero cagioni dell’imperio romano; ma e’ mi pare bene che costoro
non si avvegghino che, dove è buona milizia, conviene che siabuono ordine e rade volte anco occorre che non vi sia buona for-tuna. Ma vegnamo agli altri particulari di quella città. Io dico che
coloro che dannono i tumulti intra i nobili e la plebe, mi pare che
biasimino quelle cose che furono prima causa del tenere libera
tempo prevalendo uno de’ tre umori, forza è che con lunghezza di anni egli si al-
teri: il quale, mutando poi la forma del governo, toglie alla fine la vita alla libertà,
come ne’ tempi passati mille esempi abbiamo veduti». Le stesse deduzioni saranno
riprese, tra gli altri, da Hobbes. Cfr. THOMAS HOBBES, Elementi di legge naturalee politica, a cura di A. Pacchi, Firenze, La Nuova Italia, 1968, pp. 173-174. Cfr.
anche ID., De cive, a cura di T. Magri, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 146-147;
ID., Leviatano, a cura di G. Miceli, Firenze, La Nuova Italia, 1976, pp. 324-325. E
lo stato misto sarà definito «potere diviso, incompatibile con la pace», «anarchia
pura» in T. HOBBES, Behemoth, a cura di O. Nicastro, Roma-Bari, Laterza, 1979,
pp. 146 e 136.
123
Cfr. R. ESPOSITO, op. cit., pp. 114 e sgg.
Machiavelli e l’ordine “tragico” 151
124
N. MACHIAVELLI, Discorsi, I, 4, vol. I, pp. 208-209 [il corsivo non è
d’autore].
125
N. MATTEUCCI, op. cit., p. 85.
126
«Lo Stato realizza il politico nella misura in cui normativizza, ogget-
tiva, e dunque spegne, la soggettività ‘eccezionale’ del potere sovrano. Esso è l’u-
nico, inevitabile, punto di oggettivazione per il politico, il suo traguardo naturale»
(R. ESPOSITO, op. cit., p. 14).
127
G. SASSO, Niccolò Machiavelli, cit., p. 502.
128
Sul principio di ομουοια cfr. HERMANN STRASBURGER, Concordia or-dinum: eine Untersuchung zur Politik Ciceros, Leipzig, Borna, 1931; ATTILIO MO-
MIGLIANO, Secondo contributo alla storia degli studi classici, Roma, Edizioni di
storia e letteratura, 1984 (I ed. 1960), pp. 102 e sgg.; G. SASSO, Studi su Machia-velli, cit., pp. 259 e sgg.
129
Nel Defensor pacis di Marsilio da Padova (I, disc. IV, 2), «il fine della
città, che è il vivere e il ben vivere [...]».
Roma; e che considerino più a’ romori ed alle grida che di tali tu-multi nascevano che a’ buoni effetti che quelli partorivano […]
124
.
La costituzione romana offre un modello politico positivo
perché «è riuscita a istituzionalizzare il dissenso, a rendere perma-
nente, ma legale, il conflitto»
125
. Crollava il mito della metafisica
classica, che vedeva nella stabilità del governo misto la sua perfe-
zione, e al contrario, considerava ogni mutamento come sintomo di
corruzione e di decadenza.
Non si tratta solo di conflitto tra i diversi ‘ordini’, o classi o
gruppi sociali; conflitto anche tra politico e Stato, tra soggettività e
impersonalità
126
. Nelle sue pagine entra in crisi «il principio del-
l’armonica solidarietà delle realtà individuali all’interno della
legge»
127
, il principio in forza del quale la ομουοια vince
128
.
Fino a Machiavelli il fine ultimo anche del potere, era la vita,
il «vivere bene»
129
. Da Aristotele a Cicerone, fino a Egidio Colonna,
la vita era categoria di interpretazione delle cose. Non era la vita per
il potere, ma il potere per la vita; la vita è, quindi, «il fine della
città», in vista della quale, gli antagonismi, i conflitti si risolvono. I
disordini devono ricomporsi, naturalmente in modo armonico. La
trattatistica umanistica non smentirebbe questa tendenza: Palmieri,
Bruni, Salutati, Poggio Bracciolini proseguono la tradizione repub-
blicana e antitirannica di Tolomeo da Lucca, Albertino Mussato e
dello stesso Marsilio da Padova, o anche nei teorici del principato
152 Paola Villani
(Beroaldo, Maio, Pontano e gli infiniti altri che si ricollegano alla
secolare tradizione degli specula principis130
).
La rappresentazione politica del soggetto sembra non insi-
diata da fratture o conflitti. La funzione del diritto era essenzial-
mente ermeneutica, era semplicemente quella di conoscere ed inter-
pretare il bene, giungere alla interpretazione esatta contro la sba-
gliata e dunque assurge al ruolo di garante etico
131
. In effetti, ad
insidiare questa tesi sta il fatto che già nella trattatistica umanistica
possono rinvenirsi tracce di complessità. Le virtù che doveva pos-
sedere il principe erano, sì, sostanzialmente quelle cardinali cri-
stiane, ma si presentavano soprattutto come obblighi pubblici, e in
particolare negli Specula principis umanisti già si affacciava l’idea
di una scissione tra realtà ed apparenza, si insisteva sulla opinio, o
per esempio si anticipava l’idea della religio come instrumentum re-gni132. Dunque, «l’appariscente inflessione retorico-moraleggiante e
i fitti ricordi classici dissimulano, nella vasta letteratura quattrocen-
tesca sul principe, un impianto assai più disincantato e realistico di
quanto non sembri»
133
.
Superando, qui, il dibattito tra l’insistita appartenenza di Ma-
chiavelli alla tradizione e la tesi opposta di una sostanziale rottura e
innovazione, sembra certo che, fino al Principe o ai Discorsi, sia
pure con un diverso grado di complessità di riflessione politica, il
potere viveva dell’unione, non della scissione, del corpo sociale.
Non può escludersi, cioè, che il diverso rilievo posto dal Segretario
alla ‘tensione’ e al ‘conflitto’ – che potrebbe sintetizzarsi qui, con la
formula dell’‘ordine dal conflitto’ – resti una delle tematiche dav-
vero originali del pensiero machiavelliano.
130
Impossibile, e forse vano, sarebbe qui ripercorrere la fitta bibliografia
sui rapporti tra Machiavelli e la tradizione umanistica. Tra i fautori della tesi della
portata innovativa di Machiavelli è, senza dubbio, F. GILBERT, Niccolò Machiavellie la vita culturale del suo tempo, cit., pp. 109-160.
131
R. ESPOSITO, op. cit., p. 23.
132
Cfr. F. GILBERT, Niccolò Machiavelli e la vita culturale del suo tempo,
cit., pp. 106 e sgg. È questa la tesi già di Delio Cantimori, che è tra i più strenui
difensori dell’appartenenza di Machiavelli all’età che fu sua. Cfr. DELIO CANTI-
MORI, Retorica e politica nell’Umanesimo italiano, in ID., Eretici italiani del Cin-quecento, a cura di A. Prosperi, Torino, Einaudi, 1992, pp. 483-512.
133
M. PASTORE STOCCHI, Il pensiero politico degli umanisti, cit., p. 54.
Machiavelli e l’ordine “tragico” 153
134
N. MACHIAVELLI, Discorsi, I, 2, vol. I, p. 204.
135 Ibidem, I, 7, vol. I, p. 217 [il corsivo non è d’autore].
136 Ibidem, I, 58, vol. I, pp. 316-317 [il corsivo non è d’autore].
In un mondo in cui la necessità di farsi «stabili e fermi» coin-
cide, per ogni forma statale come per ogni individuo, con quella, op-
posta, di svilupparsi, ampliarsi ed espandersi, i conflitti sono non
un’anomalia, ma la norma. Si torna all’ipotesi del cambiamento
come strumento necessario allo stesso rimanere immutato, «perché
quasi nessuna republica può essere di tanta vita, che possa passare
molte volte per queste mutazioni, e rimanere in piede»
134
.
Il problema, quindi, è quello di disciplinare gli «umori», le
spinte, gli impulsi, le energie che, affidate alla loro spontaneità na-
turale, provocherebbero il loro reciproco annientamento:
E però non è cosa che faccia tanto stabile e ferma una re-
publica, quanto ordinare quella in modo che l’alterazione di que-
gli omori che l’agitano abbia una via da sfogarsi ordinata dalle
leggi
135
.
A regolare i ‘sani conflitti’, come anche ad arginare la tragica
irriducibilità dell’esistenza, è quindi la sfera politica, attraverso gli
«ordini», o anche le leggi, nella repubblica come nel principato o
monarchia.
Innanzitutto si chiarisce l’avversione radicale sia per una
moltitudine «sciolta» dalle leggi, sia per un principe legibus solutus:
[…] perché ciascuno, che non sia regolato dalle leggi, farebbe
quelli medesimi errori che la moltitudine sciolta […] uno popolo
che comandi e sia bene ordinato, sarà stabile, prudente e grato non
altrimenti che un principe, o meglio che un principe, eziandio sti-
mato savio: e dall’altra, un principe, sciolto dalle leggi, sarà in-
grato, vario e imprudente più che un popolo
136
.
Machiavelli insiste continuamente sulla necessaria suprema-
zia delle leggi, sull’attenzione al momento giudiziario e in partico-
lare ai processi politici.
Non per nulla, le due grandi istituzioni che egli coglie ed
esalta sono, per Roma, non i comizi popolari, ma i Tribuni della
154 Paola Villani
plebe; e per la Francia, non gli Stati generali ma i Parlamenti, or-
gani la cui funzione eminente era quella giudiziaria
137
. Monarchia
o principato, comunque, non sono confusi con dispotismo. Nono-
stante le critiche di Bodin
138
, la descrizione del sistema costituzio-
nale francese che si trova nel Ritratto delle cose di Francia, ripresa
nel Principe e nei Discorsi139
è assai più esatta di quanto non si
creda, centra la natura della monarchia francese, quando afferma che
essa è assoluta ma non arbitraria, ed è la forma di stato meglio «or-
dinato»
140
. Anteriore di qualche anno alla Grande monarchie deFrance di Claude de Seyssel, il «ritratto» machiavelliano «è forse il
più indicativo della spregiudicatezza intellettuale del suo autore»
141
:
non anticipa ancora il mito della ‘libera’ monarchia dei Franchi che
si affermerà nella trattatistica del secondo Cinquecento, ma com-
prende che la monarchia francese, pur essendo assoluta, non è arbi-
traria perché sottomessa alle leggi, quelle stesse che limitano il po-
tere del sovrano.
L’attenzione, dunque, si sposta dalla ricerca dell’ordinamento
politico ideale (repubblica o principato) alle modalità di applica-
zione e realizzazione storica concreta di questo ordinamento.
Machiavelli quindi si distacca dalla tradizione umanistica del
tirannicidio, da quel dibattito che spesso si risolveva nella difesa
137
Su questo punto cfr. N. MATTEUCCI, op. ct., p. 57. Non dello stesso
parere Gennaro Sasso, che invece osserva: «A Machiavelli non interessa che il
sovrano sia sottoposto al superiore controllo della legge […]. Quel che unicamente
gli interessa è che allo stato sia assicurata l’armonica funzionalità dei suoi organi
costitutivi; che la sua esistenza sia messa al riparo dagli assalti della violenza par-
ticolaristica; che l’ineliminabile conflittualità che, in ogni stato, consegue alla pre-
senza ‘naturale’ degli ‘umori’ contrapposti della nobiltà e del popolo, sia messa al
servizio della ragione e, in ultima istanza, della forza espansiva della conquista»
(G. SASSO, Niccolò Machiavelli, I, Il pensiero politico, cit., pp. 510-511).
138
JEAN BODIN, Methodus ad facilem historiarum cognitionem, VI, in ID.
Oeuvres philosophiques, Paris, Presses Universitaires de France, 1951, pp. 190 e
209.
139
Cfr. N. MACHIAVELLI, Principe, capp. III, IV, XIX; ID., Discorsi, libro
I, 16, 19, 55, 58, e libro III, 1.
140
G. SASSO, Niccolò Machiavelli, vol. I, Il pensiero politico, cit., pp. 296 e
sgg.
141
G. PROCACCI, Niccolò Machiavelli, in AA. VV., Storia delle idee poli-tiche, economiche e sociali, cit., vol. III, Umanesimo e Rinascimento, Torino,
UTET, 1987, pp. 253-297, a p. 257.
Machiavelli e l’ordine “tragico” 155
142
MARIO D’ADDIO, Il tirannicidio, in AA. VV. Storia delle idee politiche,economiche e sociali [...], cit., pp. 511-809, alle pp. 538 e sgg.
143
Cfr. ID., Considerazioni sul ‘De Principatu’ di Mario Salamonio, Mi-
lano, Giuffrè, 1959; VALERIO MAROTTA, Ulpiano e l’impero, Napoli, Loffredo,
2000.
144
Cfr. PAOLO GROSSI, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari, Laterza,
1995, pp. 130 e sgg.
145
Cfr. GIUSEPPE BISACCIA, La repubblica fiorentina di Donato Giannotti,Firenze, Olschki, 1978; GIORGIO CADONI, L’utopia repubblicana di Donato Gian-notti, Milano, Giuffrè, 1978.
della florentina libertas e che proprio nel 1513 (anno del Principe)
trovava una conclusione tematica si direbbe nella composizione del
De Principatu di Mario Salamonio degli Alberteschi, opera la quale
per certi aspetti anticipa alcuni temi machiavelliani. In Salamonio,
si enuncia in modo sistematico una concezione ‘contrattualistica’
della società e del potere politico, distinguendo nettamente tra pac-tum societatis e pactum subiectionis142
. In questo scritto, però, il
principe continuava a identificarsi col tiranno, si individuava come
«summa potestas legibus soluta», un potere quindi che trova esclu-
sivamente in se stesso il fondamento che lo legittima, secondo la
formula già avanzata dal Digesto di Ulpiano sul potere dell’impera-
tore
143
. In Machiavelli la ripresa del principato non avviene se non
sovvertendo questo aspetto della natura del potere. Come d’altronde
già insegnava la tradizione altomedievale del princeps-iudex ben di-
stinto dal conditor legum144
, cambia la natura del principato. Esso
non è di per sé potere fuori dal diritto, ma è funzionale ad una ri-
generazione degli ordini e del diritto stesso.
A comprendere i rischi della repubblica era stato forse solo
l’ultimo teorico degli ordinamenti repubblicani, che per tanti aspetti
conclude il discorso iniziato da Coluccio Salutati e Leonardo Bruni:
Donato Giannotti, con la sua Repubblica fiorentina, composta tra il
1530 e il 1537
145
. Resta chiaro, però, che il pensiero giuridico-poli-
tico italiano di ispirazione umanistica fra la seconda metà del ‘300
e il primo trentennio del ‘500, esprimeva un generale rifiuto di
quella concentrazione di potere necessaria per operare il passaggio
dagli ordinamenti cittadini al principato o allo Stato regionale. Il pa-
norama non era solo italiano, ma europeo. Al dibattito si unisce in-
fatti una delle voci più autorevoli della cultura umanistica: Erasmo
156 Paola Villani
da Rotterdam con la Institutio principis christiani (scritta intorno al
1515 e pubblicata nel 1516)
146
. Naturalmente la questione era molto
complessa. Sembrava, però, dominata da criteri ‘etici’ più che poli-
tici, che portavano per esempio alla distinzione tra principi giusti e
tiranni sulla base di un codice comportamentale ed etico
147
. Ma-
chiavelli romperebbe anche questo schema interpretativo di im-
pianto etico-eudemonistico. Rotto questo schema, alla luce di una
nuova prospettiva, si comprende la naturalezza con la quale egli
passa dal consigliare un governo repubblicano a perorare l’ipotesi
del principato o della monarchia. Basta rileggere il 58 capitolo dei
Discorsi, La moltitudine è più savia e più costante che uno principe,che è quasi la logica conclusione del I libro: il vero problema del
Machiavelli è quello dei «buoni ordini», che riescano a imbrigliare
le umane passioni, in una visione conflittuale della politica. Il vero
garante dell’ordine è la legge: «... perché ciascuno, che non sia re-
golato dalle leggi, farebbe quelli medesimi errori che la moltitudine
sciolta»
148
. Come esempio positivo di regno «moderato dalle leggi»,
è la Francia.
Ed insomma, per conchiudere questa materia, dico come
hanno durato assai gli stati de’ principi, hanno durato assai gli stati
delle repubbliche, e l’uno e l’altro ha avuto bisogno d’essere re-
golato dalle leggi: perché un principe che può fare ciò ch’ei vuole,
è pazzo; un popolo che può fare ciò che vuole, non è savio. Se,
adunque, si ragionerà d’un principe obligato alle leggi, e d’un po-
polo incatenato da quelle, si vedrà più virtù nel popolo che nel
principe: se si ragionerà dell’uno e dell’altro sciolto, si vedrà meno
errori nel popolo che nel principe; e quelli minori, ed aranno mag-
giori rimedi. Però che a un popolo licenzioso e tumultuario, gli
può da un uomo buono esser parlato, e facilmente può essere ri-
146
Anche per Erasmo la tirannide rappresenta il volto demoniaco del po-
tere: è continuamente alimentata da passioni come l’ambizione, la superbia, la
brama di ricchezze. Anche Erasmo però si rivolge al principe proprio per evitare
che il governo diventi tirannico. Cfr. MARIO PEDINI, Erasmo da Rotterdam: unaproposta politica, Milano, Martello, 1974; STEFAN ZWEIG, Erasmo da Rotterdam,
Milano, Fabbri, 2002, pp. 114 e sgg.
147
Cfr. M. PASTORE STOCCHI, Il pensiero politico degli umanisti, cit., alle
pp. 11 e sgg.
148
N. MACHIAVELLI, Discorsi, I, 58, vol. I, p. 140.
Machiavelli e l’ordine “tragico” 157
149 Ibidem, p. 139.
150
Cfr. M. PASTORE STOCCHI, Il pensiero politico degli umanisti, cit., p. 5:
«Il linguaggio degli umanisti […] tende nel suo insieme ad esprimere il senso di
una realtà contrastata e problematica, riluttante alla presa di sistemi ideologici de-
finitivi».
151
Come è noto, con il termine «controrinascimento» alcuni traducono il
concetto di «Counter Renaissance» avanzato, per primo, da Hiram Haydn nel do-
poguerra, ed identificato in un anticlassicismo per lo più legato alle arti visive. Cfr.
HIRAM HAYDN, The Counter-Renaissance, New York, 1950, pp. 15 e sgg. Eugenio
Battisti preferisce usare il termine di «antirinascimento». Cfr. EUGENIO BATTISTI,
L’antirinascimento, Milano, Feltrinelli, II ed. 1989 (I ed. 1962).
dotto nella via buona: a un principe cattivo non è alcuno che possa
parlare, né vi è altro rimedio che il ferro
149
.
La ‘forma’, nel senso di ‘ordine’, ‘legge’, ‘Stato’, esprime
l’unico modo di ‘pensabilità’ della vita del soggetto. Si apre quindi
una nuova scissione, o conflitto: tra la razionalità normativa di uno
Stato e gli impulsi contraddittori del soggetto. Diviso, spezzato tra
uomo e bestia, legge e forza, ordine e potenza, il soggetto, per po-
ter ‘consistere’ deve finire come intero, morire in quanto soggetto-
uomo, incorporare la propria differenza, il proprio altro.
Su questa strada, si giunge facilmente alla ‘tragicità’ dell’or-
dine, e si direbbe dell’intero pensiero machiavelliano. D’altronde, a
dispetto delle visioni lineari e staticamente ordinate dell’umane-
simo, è stato già osservato che un senso del tragico si affaccia in
gran parte della cultura precedente a Machiavelli
150
. Questa realtà
contrastata precederebbe il discusso «controrinascimento», fondante
sulla sostanziale convinzione della incongruenza tra idealità e realtà.
Era il filone della «cultura della contraddizione»
151
che molti ravvi-
sano in autori rinascimentali, Machiavelli in primis. Questi conflitti
dell’età umanistica mostrano un volto, più che dialettico, ‘tragico’,
che nascerebbe dalla lucidissima consapevolezza della irriducibilità
delle stesse contraddizioni. Questa dimensione tragica di molti uma-
nisti troverebbe nel ‘genere’ politico una delle migliori espressioni
e raggiungerebbe certo in Machiavelli una formulazione più accen-
tuata. Il tragico sembra anzi il genere per eccellenza politico, «vo-
tato […] alla meditazione sul cieco accanimento della sorte e sulla
natura irrimediabilmente fatale e cruenta del rapporto fra etica e po-
158 Paola Villani
litica, fra tirannide e libertà»
152
. Inutile qui ripercorrere l’ampio e
acceso dibattito sulla natura del ‘tragico’, che parte con Aristotele e
ancora non può dirsi risolto. Basti ricordare che, tra le definizioni
del tragico viene utilizzata quella, qui congeniale, di «conflitto con-
tinuamente risolto e superato nell’ordine perfetto del tutto»
153
, cioè
nell’ordine normativo della sfera pubblica e politica. Tragico,
quindi, non solo nell’accezione nietzscheana di accettazione dioni-
siaca di ciò che è terrificante ed incerto, ma anche come dimensione
del moderno strettamente connessa alla politica. La dimensione tra-
gica, dunque, entrerebbe non solo, come già evidenziato nel noto
saggio di Bàrberi Squarotti, come schema formale ed espressivo
della scrittura machiavelliana, Principe in testa, non solo come
eterno conflitto tra arte e scienza e come condizione del ‘sublime’
da contrapporre al «modo immediato e normale del referente del-
l’informatore»
154
. Piuttosto la dimensione tragica si configurerebbe
come peculiare Weltanschauung da fondare su basi filosofiche e po-
litiche.
All’interno della fitta messe di interpretazioni del Machia-
velli politico, forse Francesco Ercole (sia pure grave di una identità
politica ben diversa dall’autore rinascimentale, in un contesto come
quello dittatoriale nel quale si trovava a scrivere e ad appartenere) è
stato tra i primi a presagire l’orizzonte tragico in cui si collocano i
lemmi machiavelliani, con un’intuizione ripresa in tempi più recenti
proprio in correlazione al problema dell’ordine politico: «La moti-
vazione profonda dell’opera di Machiavelli sta nello sforzo intenso
di concepire un ordine politico, ed esistenziale allo stesso tempo, nel
momento in cui l’antico ordine, espresso e mantenuto dalla civiltà e
dall’uomo medievale, non è più nelle istituzioni politiche e nem-
meno nell’anima dell’uomo e del tempo. L’uomo del tempo di Ma-
chiavelli non è più, come nel Medioevo, un individuo nel senso
forte della parola, un essere indiviso […]. Per lui, il mondo è ora un
152
M. PASTORE STOCCHI, Il pensiero politico degli umanisti, cit., p. 5.
153
GAETANO CALABRÒ, Introduzione a GIULIANO BORGHI, La politica e latentazione tragica. La modernità in Machiavelli, Montagne e Gracian, Milano,
Franco Angeli, 1991, p. 10 [il corsivo è nostro].
154
G. BÀRBERI SQUAROTTI, La forma tragica del «Principe» e altri saggisu Machiavelli, cit., p. 2.
Machiavelli e l’ordine “tragico” 159
155
GIULIANO BORGHI, La politica e la tentazione tragica. La modernità inMachiavelli, Montaigne e Gracian, cit., pp. 111-112 [il corsivo è nostro]. Cfr. G.
BÀRBERI SQUAROTTI, La forma tragica del «Principe»e altri saggi sul Machiavelli,cit., passim.
mondo nudo, disincantato e l’incanto dell’ordine che prima teneva
il mondo, e con il mondo l’uomo stesso, cede alla vertigine di un
mondo come caos»
155
.
Di qui, da questa tragica consapevolezza della perdita del-
l’ordine, la ricerca machiavelliana di «ordini nuovi», creati, da rea-
lizzare nella sfera non più individuale, ma politica. Grazie a questi
nuovi ordini poteva sfuggirsi alla mutevolezza del tempo, dare sta-
bilità ad una natura necessariamente variabile ed in movimento
senza una meta. Un tentativo, comunque, alquanto difficile, quando
non del tutto «impossibile».
160 Paola Villani
INDICE
SILVIA ZOPPI GARAMPI, Presentazione 7
CORRADO BOLOGNA, Ordine e armonia nella letteratura 11
FRANCO SUITNER, “Ordine” e vocazioone letteraria per il poeta del medio evo 31
NICOLÒ MINEO, Ordine/disordine 47
GIULIA NATALI, Decameron: i molteplici volti dell’ordine 73
VINCENZO DE CAPRIO, Ordine ed elegantia in Lorenzo Valla 97
PAOLA VILLANI, Machiavelli e l’ordine “tragico” 117
MARINA BEER, Ordine della guerra e “ordinata istoria”nell’Orlando Furioso 161
SILVIA ZOPPI GARAMPI, Ordine fatale, ordine della naturae ordine dell’arte in Campanella 195
EMILIO RUSSO, Ordine barocco. Su alcune pagine di Bartoli e Marino 207
ENRICO NUZZO, Forme smisurate. Figure del disordine nella cultura filosofica e letteraria del Settecento 225
EMANUELA BUFACCHI, Ordine costituito e ordine nuovonegli scritti scapigliati 281
360 Indice
NINO BORSELLINO, Una forma per l’informe.Pirandello e la politica 301
LEONE PICCIONI, Soffici e il “ritorno all’ordine” 311
ANDREA BATTISTINI, “Sfida al labirinto”.L’agorafobia intellettuale di Italo Calvino 317
FRANCA ANGELINI, Ordine del potere in Pier Paolo Pasolini 337
INDICE DEI NOMI 347