Capitolo 1: Generalità. Il concetto di ordine pubblico. Il titolo V del Libro II del codice penale (artt. 414- 421) è dedicato all’esame dei delitti contro l’ordine pubblico. L’espressione ordine pubblico è stata accolta dal legislatore in quanto, tutti i reati producono in astratto un perturbamento dell’ordine pubblico generale, cioè il cd. Allarme sociale. Escluso, che ordine pubblico vada intenso nel senso di ordine pubblico generale, ed escluso, che esso possa identificarsi con l’ordine legale costituito, ossia con l’insieme dei principi e delle istituzioni posti a base dell’ordinamento e della sua sopravvivenza (cd. Ordine pubblico ideale o normativo) la migliore dottrina, sulla scia della stessa Relazione ministeriale al codice, ritiene che con l’espressione ordine pubblico, il legislatore abbia inteso indicare “il buon assetto a il regolare andamento della vita sociale”, cioè “l’armonica e pacifica coesistenza dei cittadini sotto la sovranità dello Stato e del diritto”. In questo senso esso è sinonimo di “pace pubblica” (c.d ordine pubblico nel senso materiale). A tale concetto di ordine pubblico si è rifatta, il più delle volte, anche la Corte Costituzionale, che in varie sentenze ha appunto identificato l’ordine pubblico con la pace e la sicurezza sociale, anche se non manco altre pronunce in cui l’ordine pubblico è “inteso nel senso di ordine legale su cui poggia la convivenza sociale” (c.d
Esaustiva spiegazione dei delitti contro l'ordine pubblico.
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Capitolo 1: Generalità. Il concetto di ordine pubblico.
Il titolo V del Libro II del codice penale (artt. 414-421) è dedicato all’esame dei
delitti contro l’ordine pubblico.
L’espressione ordine pubblico è stata accolta dal legislatore in quanto, tutti i reati
producono in astratto un perturbamento dell’ordine pubblico generale, cioè il cd.
Allarme sociale. Escluso, che ordine pubblico vada intenso nel senso di ordine
pubblico generale, ed escluso, che esso possa identificarsi con l’ordine legale
costituito, ossia con l’insieme dei principi e delle istituzioni posti a base
dell’ordinamento e della sua sopravvivenza (cd. Ordine pubblico ideale o
normativo) la migliore dottrina, sulla scia della stessa Relazione ministeriale al
codice, ritiene che con l’espressione ordine pubblico, il legislatore abbia inteso
indicare “il buon assetto a il regolare andamento della vita sociale”, cioè
“l’armonica e pacifica coesistenza dei cittadini sotto la sovranità dello Stato e del
diritto”. In questo senso esso è sinonimo di “pace pubblica” (c.d ordine pubblico
nel senso materiale).
A tale concetto di ordine pubblico si è rifatta, il più delle volte, anche la Corte
Costituzionale, che in varie sentenze ha appunto identificato l’ordine pubblico
con la pace e la sicurezza sociale, anche se non manco altre pronunce in cui
l’ordine pubblico è “inteso nel senso di ordine legale su cui poggia la convivenza
sociale” (c.d ordine pubblico costituzionale) e le norme che lo tutelano sono
individuate in quelle rivolte alle “preservazione delle strutture giuridiche della
convivenza sociale instaurate mediante le leggi da ogni attenuto a modificarle o a
renderle inoperanti mediante l’uso o la minaccia illegale della forza”.
Capitolo 2: Istigazione a delinquere ed a pratiche pedopornografiche (artt. 414, 1
e 2 comma e 414bis)
A. Nozione e bene tutelato
L’art. 414 punisce, per il solo fatto dell’istigazione, chiunque, pubblicamente,
istiga a commettere uno o più reati.
L’oggetto giuridico è rappresentato dall’ordine pubblico, inteso quale tranquillità
e sicurezza della collettività, nonché dall’ordinato funzionamento del sistema
democratico, esposto a pericolo da qualunque spinta alla violazione delle leggi
penali.
B. Elemento materiale e elemento soggettivo.
Trattasi di reato di pericolo presunto, onde è irrilevante che l’istigazione sia stata
o meno accolta; l’incriminazione dell’istigazione a violare le leggi, dunque,
costituisce deroga al principio stabilito dall’art. 115 (secondo cui l’istigazione, se
non è accolta, non è punibile), a causa del grave attentato che alla sicurezza
sociale può derivare dalla pubblicità delle azioni criminose.
Tanto il reato in esame quanto quello previsto dall’art. 415, devono essere
commessi pubblicamente (pubblicità ritenuta da alcuni elemento essenziale, da
altri condizione obiettiva di punibilità) e cioè, ai sensi del 4 comma dell’art. 266:
a. Col mezzo della stampa o con un altro mezzo di propaganda;
b. In luogo pubblico o aperto al pubblico in presenza di più persone;
c. In una riunione che, per il luogo in cui è tenuta, o per il numero degli
interventi, o per lo scopo od oggetto di essa, abbia carattere di riunione
non privata.
L’elemento materiale del delitto in esame è dato dall’istigazione consistente in
“un azione sulla psiche di altre persone per spronarle a compiere determinati
fatti, facendo sorgere o rafforzando motivi di impulso ovvero distruggendo o
affievolendo motivi inibitori”.
Antolisei, Dolce, Garofoli:
Non è necessario che l’istigazione sia rivolta ad una determinata persona,
bastando, come detto, che essa sia realizzata pubblicamente.
Oggetto dell’istigazione deve essere uno o più reati determinati, siano essi delitti
o contravvenzioni (la differenza, come vedremo, ha rilevanza solo ai fini della
pena); l’istigazione a commettere reati in genere, e non un determinato reato,
integra il delitto di cui all’art 415. L’azione deve essere idonea a far sorgere o
rafforzare il proposito criminoso, mentre è del tutto irrilevante che in ordine al
reato istigato non sia promossa un’azione penale o che il reato stesso non sia
punibile o sia estinto per amnistia.
Per stabilire l’idoneità di un determinato fatto a costituire istigazione a
delinquere, occorre rifarsi al complesso dell’attività che è stata posta in essere,
considerata in relazione alle peculiari circostanze nella quali si è svolta, e non già
limitarsi all’esame del mezzo adoperato. E’ opinione dominante che il fatto
istigato deve essere previsto come reato della legge italiana sia nel momento
della istigazione sia nel momento in cui si procede penalmente contro
l’istigatore. Il delitto in esame si consuma col solo fatto di istigare.
In caso di istigazione accolta, ricorrendone i presupposti, l’istigatore risponda a
titolo di concorso con l’istigato nel reato commesso. L’elemento soggettivo del
reati con la consapevolezza di agire pubblicamente.
C. Pena ed istituti processuali
Quanto alla fattispecie di cui all’art. 414bis, la pena è la reclusione da un anno e
sei mesi a cinque anni (sia per la condotta istigatoria che per quella apologetica),
l’arresto in flagranza è facoltativo, mentre il fermo non è consentito. Si procede
d’ufficio e la competenza spetta al Tribunale monocratico.
Capitolo 3: Apologia di delitti (art. 414, 3o comma)
L’art. 414, 3o comma, sanziona penalmente chiunque pubblicamente fa l’apologia
di uno o più delitti.
Fare apologia significa esprimere un giudizio positivo di valore rispetto ad un
comportamento che la legge prevede come delitto.
Tale giudizio di valore può essere manifestato in vario modo, dalla glorificazione
del delitto fino alla sua semplice approvazione.
L’apologia è definibile come una forma indiretta di istigazione; infatti, mentre
nella istigazione si agisce direttamente sulla psiche dell’istigato incitandolo alla
commissione di un reato, nell’apologia l’incitazione è diretta in quanto affidata al
solo contenuto apologetico delle affermazioni (Cass. 11-6-1986).
Oggetto dell’apologia possono essere solo uno o più delitti non anche le
contravvenzioni. Per l’art. 21 della Costituzione “tutti hanno diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro
mezzo di diffusione”; anche per il delitto in esame, che è reato di opinione, si è
posto il problema della compatibilità con il ricordato principio costituzionale.
Con la sentenza 4-5-1970 n. 65, la Corte Costituzionale ha dichiarato la
legittimità costituzionale della norma in esame.
L’ultimo comma dell’art. 414- ha sostenuto la Corte- non limita in alcun modo la
critica della legislazione o della giurisprudenza, né l’attività propagandistica di
singoli, partiti, movimenti, gruppi diretti a promuovere la deletio di qualsiasi
norma incriminatrice, anche nel momento in cui essa viene applicata in concreto.
Ne costituisce reato d’apologia l’affermare che fatti preveduti dalla legislazione
vigente come delitti hanno o possono avere, positivo contenuto morale o sociale.
L’apologia punibile ai sensi dell’art. 414, ultimo comma, non è, dunque, la
manifestazione di pensiero pura e semplice, ma quella che per le sue modalità
integri comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di
delitti.
Anche per il delitto di apologia il dolo è quello generico. La pena è della
reclusione da 1 a 5 anni.
Differenze: L’apologia di delitti costituisce titolo autonomo di reato rispetto alla
fattispecie di istigazione a delinquere.
Soggetto attivo può essere chiunque, trattandosi anche in tal caso di reato
comune.
La condotta consiste nel fare pubblicamente apologia di uno o più delitti, cioè nel
fare un’esaltazione di un attività violatrice di norme penali attraverso la
formulazione di un giudizio che implichi la convinta approvazione di un
determinato episodio e che sia idoneo a rafforzare in altri proposito di
commettere delitti della stessa specie di quello oggetto dell’apologia. La
condotta, al pari del delitto di istigazione, può essere realizzata con qualunque
mezzo.
L’apologia si distingue, tuttavia, dall’istigazione anzitutto con riferimento
all’oggetto dell’incitamento che nel primo caso può consistere solo in uno o più
delitti, con esclusione pertanto della contravvenzione.
Capitolo 4: Istigazione al crimine terroristico e sua apologia (art. 414, 4o comma)
Ai sensi del quarto comma dell’art. 414 c.p., neointrodotto dal D.L. 27 luglio 2005
n. 155, recante “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”,
“Fuori dei casi di cui all’articolo 302, se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi
precedenti riguarda delitti di terrorismo crimini contro l’umanità la pena è
aumentata della metà.
La creazione di tale fattispecie circostanziata ad effetto speciale si incardina nel
novero delle innovazioni disciplinari introdotte dal cd. Decreto Pisanu,
finalizzate a rafforzare gli strumenti di prevenzione e contrasto del terrorismo
internazionale.
Tale configurazione aggravata ha carattere sussidiario, essendo realizzabile solo
fuori dei casi di cui all’art. 302 c.p. proprio carattere sussidiario, essendo
realizzabile solo fuori dei casi di cui all’art. 302 c.p. proprio da tale inciso in
dottrina si sono dedotti i limiti di applicabilità delle due previsioni. In
particolare, si è osservato che troverà applicazione l’art. 302 in caso di
istigazione di uno o più soggetti determinati a commettere uno dei delitti non
colposi contro la personalità dello Stato di cui agli artt. 270bis, quater, quinques,
280, 280bis, 289bis del codice penale. Si applicherà, il nuovo comma 4 della
previsione in commento nel caso in cui l’istigazione alla commissione di uno di
tali delitti sia, oltre che pubblica in incertam personam, come anche nei cui la
pubblica istigazione concerna delitti finalizzati al terrorismo diversi da quelli
sopra elencati, o crimini contro l’umanità.
Slide 5: Istigazione a disobbedire alle leggi (art. 415, 1° parte)
Risponde di tale reato chiunque pubblicamente istiga alla disobbedienza delle
leggi di ordine pubblico.
La condotta dell’agente può essere definita “istigatoria” in quanto sia diretta a
spingere il soggetto (a prescindere dai mezzi impiegati, ed in modo anche
indiretto) istigato alla disobbedienza delle leggi in ordine pubblico e sia idonea a
determinare tale spinta nello stesso.
Controversa, in dottrina e in giurisprudenza, è la nozione di “legge di ordine
pubblico”. Secondo parte della dottrina e la giurisprudenza prevalente, rientrano
in tale concetto tutte quelle norme giuridiche rispetto alle quali non è
riconosciuta alle volontà dei singoli alcuna potestà dispositiva o derogatoria.
Alcuni autori, però, sottolineano che dal novero delle leggi di ordine pubblico,
anche intese in un’accezione così ampia, vanno comunque escluse quelle munite
di specifica sanzione penale, perché se la disobbedienza alle leggi è indirizzata a
commettere reati, trova applicazione, per il principio di specialità, l’art. 414 c.p.
Secondo una concezione più restrittiva, sono leggi di ordine pubblico solo quelle
norme essenziali al mantenimento degli equilibri economici e sociali del paese e
della pace sociale.
Anche il delitto in esame è delitto di pericolo concreto, da accertarsi cioè caso per
caso) ciò a seguito della sentenza n. 108 del 1974, la quale ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo tale articolo “nella parte in cui non specifica che
l’istigazione all’odio fra le classi sociali deve essere attuata in modo pericoloso
per la pubblica tranquillità”.
La pubblicità, è elemento essenziale.
Il dolo del delitto in esame è generico, e consiste nella coscienza e volontà di
istigare alle disobbedienza di una o più leggi di ordine pubblico con la
consapevolezza di agire pubblicamente.
Capitolo 6. Istigazione all’odio fra le classi sociali (art.415 2° parte)
Risponde di tale delitto chiunque pubblicamente istiga all’odio tra le classi
sociali.
La cassazione ha attribuito alla sentenza della Corte costituzionale 23-4-1974 n
108, due possibili significati:
- L’implicita abrogazione della norma
- Ovvero uno stimolo del legislatore verso un intervento di modifica.
Nel delitto in esame, oggetto dell’istigazione deve essere l’odio tra le classi
sociali.
Odio è la profonda avversione che porta a sopraffare o danneggiare con ogni
mezzo, l’oggetto odiato.
Classe sociale è la categoria sociale unificata dal vincolo di comuni interessi
economici.
Per l’elemento soggettivo e gli istituti processuali vale quanto detto nel paragrafo
precedente.
Capitolo 7. Associazione per delinquere (artt.416 e 417)
1) Nozione ed interesse tutelato
Il reato in esame si realizza quando tre o più persone si associano allo scopo di
commettere più delitti; il reato sussiste per il solo fatto di partecipare
all’associazione.
L’oggetto giuridico è il pericolo per l’ordine pubblico che è insito nel fatto stesso
di creare un’organizzazione criminosa con vincolo permanente tra gli associati,
la quale determina di per sé un allarme sociale, indipendentemente dalla
commissione dei singoli delitti.
Trattasi di reato permanente (l’attività illecita perdura fino allo scioglimento
dell’azione) e di pericolo ( inteso non come elemento costitutivo, ma come ratio
della norma).
2) Configurazione oggettiva della fattispecie ed elemento soggettivo
L’associazione non richiede una organizzazione con distribuzione specifica dei e
delle singole mansioni criminose, ma è sufficiente quel minimo di
organizzazione, che serva ad attuare la continuità del programma criminoso
avuto di miri; non è necessaria l’esistenza di capi, promotori, costitutori ed
organizzatori, che è considerata dal legislatore come una mera eventualità, né la
preventiva, distribuzione delle mansioni e l’esistenza di un luogo abituale di
riunione, la predisposizione dei mezzi e la divisione del ricavato tra gli associati.
Perché l’associazione, possa considerarsi rilevante, occorre che ad essa
partecipino almeno tre persone, ciascuna delle quali sia consapevole di far parte
di un sodalizio. Nel computo rientrano gli incapaci di intendere e di volere.
Il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la configurabilità del
reato deve essere valutato in senso oggettivo, ossia come componente umana
effettiva ed esistente nel sodalizio e non con riferimento al numero degli
imputati presenti nel processo.
La condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 416 c.p., varia a seconda del
ruolo rivestito dall’autore nell’ambito della compagine associativa, il quale, se
interno alla struttura, assume lo status di partecipe a tutti gli effetti. UN
intervento a Sezioni Unite della Suprema corte ha identificato il partecipe in colui
che, risultato inserito stabilmente ed organicamente, non solo è ma fa parte della
stessa, ricoprendo l’effettivo ruolo in cui viene immesso ed assolvendo ai compiti
assegnati affinché l’associazione raggiunga i suoi scopi ( Cass. Sez. Un., n.
33748/2005). La partecipazione si traduce nel contributo, ancorché minimo, in
qualsiasi forma e contenuto, alla vita della struttura associativa in vista dello
scopo prefissato. É quindi configurabile una forma di partecipazione anche se il
soggetto si sia limitato a prestare la propria adesione, con l’impegno di mettere a
disposizione la propria opera.
Associati sono tutti coloro che aderiscono all’associazione.
La giurisprudenza ritiene non necessario il contributo offerto dall’associato sia
indispensabile, potendo essere anche minimo di qualsiasi forma o contenuto.
Promotori sono coloro che si fanno iniziatori dell’associazione.
Costitutori sono coloro che, con la loro attività, ne determinano o concorrono a
determinarne la nascita.
Organizzatori sono coloro che coordina l’attività dei singoli soci per assicurare
la vita l’efficienza e lo sviluppo dell’associazione.
Capi, infine, sono coloro che regolano, in tutto o in parte, l’attività collettiva, con
poteri di supremazia sugli altri.
Il dolo richiesto per il delitto in esame è specifico, e consiste nella coscienza e
volontà di entrare a far parte di una associazione di almeno tre persone con il
fine di commettere più delitti
Il delitto in esame si consuma nel momento in cui è costituita l’associazione; non
è richiesto anche l’inizio dell’attività delittuosa avuta di mira. Il tentativo non è
ammissibile, trattandosi di reato di pericolo; pertanto gli atti meramente
preparatori rispetto alla costituzione del vincolo associativo sono penalmente
irrilevanti, mentre quando abbiano i caratteri dell’idoneità ed univocità
determinano direttamente la consumazione del reato. Di tutti gli eventuali reati
commessi, i singoli associati che li hanno realizzati ne rispondono
individualmente, in concorso col reato ex art.416.
La problematica relativa al discrimine tra concorso di persone nel reato ed il
delitto di associazione ne ha acquistato negli anni sempre maggior rilievo.
Elemento comune di tali fattispecie è rappresentato dall’accordo tra i
compartecipi, che tuttavia è presenta aspetti strutturali profondamente diversi.
Nel concorso di persone ex art.110 c.p., l’accordo che può avvenire anche solo tra
due persone, avviene in via incidentale ed occasionale, è circoscritto alla
commissione di uno o più reati singolarmente individuati, difetta di una struttura
organizzativa più o meno complessa ed, infine si estingue dopo che questi sono
stati commessi.
L’associazione ex art.416 c.p., invece si caratterizza per una struttura più o meno
complessa diretta all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la
commissione di una serie indeterminata di delitti, assumendo un carattere
permanente che prescinde alla effettiva realizzazione dei singoli rati
programmati.
In tale ambito assume giuridica rilevanza l’istituto di matrice giurisprudenziale
del concorso esterno nel reato associativo, che trae la propria origine dalla
distinzione tra concorso eventuale e concorso nel reato associativo, che trae la
propria origine dalla distinzione tra concorso eventuale e concorso necessario di
persone nel rato. Il concorso esterno attiene ai reati plurisoggettivi e si riferisce a
soggetti diversi dai concorrenti necessari, sempre che realizzino condotto
distinte rispetto a quelle tipiche della fattispecie plurisoggettiva. L’istituto in
esame, pertanto, rinviene la propria disciplina nelle regole generali di cui agli
artt.110 ss.cp.
Mentre il partecipe all’associazione è colui che è nella stessa inserito in maniere
organica e che ne condivide scopi e finalità, in concorrente cd. Esterno agevola la
sussistenza e l’operatività dell’associazione mediante l’instaurazione di un
rapporto non organico, ma occasionale ed episodico con cui persegue la
realizzazione di un proprio tornaconto personale. Ciò che caratterizza il
concorrente esterno è perciò la mancanza di un rapporto di sufficiente
compenetrazione nell’associazione.
In base ad una corrente interpretazione, il criterio discretivo tra gli istituti in
parola sembra ravvisabile nel differente elemento soggettivo che caratterizza il
concorrente esterno che persegue finalità sue proprie non necessariamente
coincidenti con quelle dell’associazione criminale.
Il problema relativo alla ammissibilità di un concorso cd. Esterno nei reati
associativi deriva dalla configurabilità del concorso eventuale per condotte che ai
fini dell’art.110 c.p, si devono presentare come atipiche rispetto alla condotta
tipica plurisoggettiva tipizzata dall’art.416. Tale atipicità sussiste per definizione
nel concorso morale. Il problema quindi si è posto per il concorso materiale. Il
legislatore, per quanto attiene soprattutto alla associazione di stampo mafioso,
ha disciplinato le condotte collaterali in modo altrettanto tipico ma a titolo
diverso. La giurisprudenza ha accolto la tesi della configurabilità del concorso
esterno perché è riuscita ad individuare condotte atipiche, intendendo per la
partecipazione il far parte in modo stabile di quell’organizzazione con lo stesso
dolo specifico del programma, che occorre in tutti i concorrenti. Di conseguenza,
si possono configurare condotte che, pur dando un contributo causale alla vita
dell’associazione e pur essendo tenute con la consapevolezza della idoneità
causale di tale condotta, sono tenute senza condividerne il fine e anzi senza la
volontà di far parte in modo stabile dell’associazione.
C) Circostanze aggravanti
L’art.416 prevede quattro circostanze aggravanti:
A. Il brigantaggio, che si ha quando gli associati scorrono in armi le
campagne o le pubbliche vie
B. Se il numero degli associati è di dieci o più
L’aggravante di cui all’art.112 1°comma n.1, e cioè quella consistente nell’essere
stato commesso il fatto da cinque o più persone. La dottrina è in genere per la
tesi negativa, quando apposto come nel caso di specie, la norma già prevede
come autonoma circostanza aggravante la partecipazione di un certo numero di
persone; in tal caso infatti, si dice, l’aggravante prevista dalla norma è speciale
rispetto a quella dell’art.112 e pertanto la esclude (così ZANOTTI).
C. Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli
articoli 600, 601, 602, nonché l’art.12 comma 3bis, del testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello stranire di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286.
Tale ultima aggravante consegue alle modifiche operate sull’art.416 c.p. dalla L.
11-8-2003 n.228 recante “Misure contro la tratta di persone”. Trattasi di
innovazione coerente con l’opzione politico criminale che portato il legislatore
del 2003 a predisporre numerosi correttivi al sistema penale contro i turpi
traffici di esseri umani.
Sulla lettera di tale aggravante ha, altresì, inciso la L. 15/7/2009, n.94
(cd. Pacchetto sicurezza), inserendo, fra i reato-scopo rilevanti nella sua
configurazione, l’art.12, comma 3bis del testo univo stranieri. IL citato articolo
12, anch’esso oggetto di sostanziali correttivi ad opera del cd. Pacchetto
sicurezza contiene numerose ed eterogenee disposizioni contro le immigrazioni
clandestine. Il novum disciplinare della norma, dunque, si traduce nell’aver
configurato, quale associazione per delinquere aggravata, quella costituita allo
scopo di perpetrare i delitti indicati dal comma 3bis della previsione richiamata.
D. Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli
articoli, 600bis, ter, quater, quater1., quinquies, 609bis, quando il fatto è
commesso in danno ad un minore di anni diciotto.
Ai sensi infine dell’art. 71 del D.lgs. 159/2011, le pene previste dal reato in
esame sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona
sottoposta con provvedimento definitivo ad una dal momento in cui ne è cessata
l’esecuzione.
3) Pene ed istituti processuali
Ai sensi dell’art. 417, nel caso di condanna per il delitto di associazione per
delinquere è sempre ordinata una misura di sicurezza.
Per il disposto dell’art.32 quater, introdotto dalla L.689/1981, infine, alla
condanna consegue la pena accessoria della incapacità di contrattare con la
pubblica amministrazione qualora il delitto sia stato commesso in occasione
dell’esercizio di un attività imprenditoriale.
Cap. 8: Cenni a figure speciali di associazione per delinquere
A) Associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ex art. 74, D.P.R 309/90
L’art. 74 del T.U. 309790 prevede una figura particolare di associazione per
delinquere, e cioè l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze
stupefacenti o psicotrope. Come modificato dal D.Lgs. 24-3-2011, a. associano
allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 70, comma 4,
6 e 10, escluse le operazioni relative alle sostanze di cui alla categoria III
dell’allegato I al regolamento (CE) n. 273/2004 e dell’allegato al regolamento n.
111/2005, ovvero dall’articolo 73.
B) Associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri
Ulteriore figura speciale di associazione per delinquere è quella prevista dall’art.
291 quater del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43,
introdotto dall’art. I della L. 19-3-2001, n. 92 recante modifiche alla normativa
concernente la repressione del contrabbando di tabacchi lavorati.
Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra
quelli previsti dall’articolo 291 bis del medesimo provvedimenti (il quale
sanziona) chiunque introduce, vende, trasporta, acquista o detiene nel territorio
dello Stato un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore
a dieci chilogrammi convenzionali. La norma prevede un diverso trattamento
sanzionatorio per coloro che promuovono, costituiscono, dirigono, organizzano o
finanziano l’associazione. Chi si limita a partecipare all’associazione.
Costituiscono aggravanti il numero di associati pari o superiore a dieci ed il fatto
che l’associazione sia armata.
Il reato è, altresì, aggravata quando nel commetterlo, l’autore ha utilizzato mezzi
di trasporto, che presentano alterazioni o modifiche idonee ad ostacolare
l’intervento degli organi di polizia avere a provocare pericolo per la pubblica
incolumità, ovvero ha utilizzato società di persone o di capitali ovvero si è
avvalso di disponibilità finanziarie in qualsiasi modo costituite in Stati che non
hanno ratificato la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestrato e la
confisca dei proventi di reato, fatto a Strasburgo l’8 novembre 1990, della legge 9
agosto 1993, n. 328, e che comunque non hanno stipulato e ratificato
convenzioni di assistenza giudiziaria con l’Italia aventi ad oggetto il delitto di
contrabbando.
E’, invece, prevista una circostanza attenuta per chi, dissociandosi dagli altri, si
adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze
anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella
raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione di risorse rilevanti per la
commissione dei delitti.
Slide 9. Il crimine organizzato transnazionale (L. 16 marzo 2006, n. 146)
Come acutamente osservato dal segretario generale della Nazioni Unite Kofi A.
Annan. I mezzi tecnologici che sostengono la globalizzazione e l’espansione
transnazionale della società civile si identificano con quelli che “forniscono
l’infrastruttura per l’espansione di una rete globale di “società incivile”:
criminalità organizzata, trafficanti di droga, riciclaggio di denaro e terroristi”. A
tale constatazione è conseguita l’approvazione, da parte dell’Assemblea generale,
della “dichiarazione politica di Napoli” e del “piano di azione globale contro il
crimine (UNDCP) di esplorare le possibilità di una convezione contro tale
tipologia criminosa, cui ha fatto seguito la materiale redazione di un testo di
Convezione contro la criminalità organizzata e di tre annessi protocolli,
concernenti specifici settori di attività della criminalità, la cui procedura di firma
si è tenuta a Palermo dal 12 al 15 dicembre 2000. A ratificare e dare esecuzione
alla Convenzione “T.O.C” ed ai Protocolli delle Nazioni Unite control il crimine
organizzato transnazionale si è provveduto con la L 16 marzo 2006, n. 146.
1) Viene espressamente tipizzata la nozione di reato transnazionale,
definito, ex art. 3 della L. 146/2006, quello “punito con la pena della
reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto
un gruppo criminale organizzato, nonché: a) sia commesso in più di uno
Stato; b) ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale
della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un
altro Stato; c) ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato
un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di
uno Stato; d) ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti
sostanziali in un altro Stato.
2) E’ introdotta una circostanza aggravante ed effetto speciale, ad opera
dell’art. 4 della L. 146/2006, il quale prevede un aumento di pena da un
terzo alla metà “per i reati puniti come la pena della reclusione non
inferiore nel massimo a quattro anni nella commissione dei quali abbia
dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in
attività criminali in più di uno Stato”.
3) Viene creata, da artt. 11, L. cit, una configurazione di confisca obbligatoria
“per equivalente”, disponendosi del reato non sia possibile, il giudice
ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha
la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un
valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo.
4) Ad Adeguare la lettera dell’art. 377 c.p. al disposto dell’art. 23 della citata
Convezione, per tal via estendendone la portata precettiva, dunque
l’ambito di tutela penale.
Slide 10: Associazione di tipo mafioso, camorristico e simili, anche straniere
(artt. 416bis e 416ter)
A) Nozione di associazione mafiosa; struttura oggettiva della fattispecie
Fino al 1982, per far fronte ai delitti di mafia, si faceva ricorso al reato di
associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p.; tale fattispecie è ben presto
risultata inefficace di fronte alla vastità e alla dimensioni del fenomeno mafia.
Tra le finalità perseguitate dai soggetti uniti dal vincolo associativo di stampo
mafioso ve ne erano infatti anche di lecite, e ciò ha costituito il più grande limite
all’applicazione dell’art. 416. Si consideri infatti che l’associazione di stampo
mafioso non necessariamente si pone come obiettivo la commissione di una
pluralità di delitti, ben potendo essere costituita al generico fine di acquisire
potere estendendo la propria influenza.
Il 19 settembre 1982 l’uccisione del Generale Dalla Chiesa. E la immediata
successiva reazione di sdegno da parte dell’opinione pubblica, portò lo Stato a
colmare tale lacuna normativa e formulare in pochissimi giorni, con la L., n.
646/1982. L’art. 416bis c.p., perseguendo in tal modo l’obiettivo di porre freno al
problema mafia. Fu questo il primo intervento normativo con il quale il
legislatore diede una definizione del concetto di mafia.
La nozione di associazione mafiosa dal 3° comma dell’art. 416bis, secondo quale
un sodalizio può definirsi tale quando coloro che ne fanno parte si avvalgono
della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire
in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività
economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici e per
realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire
od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in
occasione di consultazioni elettorali.
Si avvale della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo che non
ha bisogno di chiedere per ottenere, chi raggiunge i suoi scopi senza minacce
esplicite ma solo utilizzando la cattiva fama del sodalizio criminoso e la paura
che incute il vincolo associativo; tale forza non nasce dal nulla ma è il risultato di
una antica, e comunque consolidata, consuetudine di violenza.
Elementi del delitto de quo sono, dunque:
a) L’esistenza di un vincolo associativo tra tre o più persone ex art.416.
b) Lo scopo dell’associazione che può essere non solo quello di commettere
più delitti, ma anche e soprattutto, quello di acquisire in modo diretto o
indiretto, in gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di
concessioni, di autorizzazione, appalti e servizi pubblici, nonché quello di
realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero di influire
sulle competizioni elettorali
c) L’avvalersi, da parte degli associati, per raggiungere lo scopo o gli scopi
dell’associazione, della forza di intimidazione del vincolo associativo e
della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.
Occorre, dunque, che l’associazione basi la propria forza operativa sulla
intimidazione e sulla paura esercitata sia nei confronti degli estranei che
nei confronti degli stessi associati; siamo in presenza di un associazione
che effettivamente delinque, quantomeno a livello di tentata violenza
privata, e non già di una associazione a delinquere.
L’art.416ter, introdotto dallo stesso D.L. 306/92, ha, altresì reso applicabile la
pena prevista dall’art.416bnis, 1° comma, a chi ottenga la promessa di voti
prevista dal 3° comma del medesimo articolo, in cambio dell’erogazione di
denaro.
In tal caso il bene giuridico tutelato è il libero esercizio del diritto di voto,
costituzionalmente garantito dall’art.48 della Cost., che può subire indebite
pressioni ed influenza per effetto del condizionamento mafioso con conseguente
lesione del principio di legalità democratica.
Per la configurabilità del reato de quo non basta l’elargizione del denaro, in
cambio dell’appoggio elettorale, ad un soggetto aderente a un’organizzazione di
tipo mafioso, ma occorre anche che questi faccia ricorso all’intimidazione, ovvero
alla prevaricazione mafiosa, secondo le modalità specificate dall’art.416 bis co. II,
per impedire ovvero ostacolare il libero esercizio del voto e quindi per falsarne il
risultato elettorale.
Il dolo è generico e consiste nella coscienza e volontà di accettare la promessa
nella consapevolezza del contesto in cui viene prestata.
Dirigenti sono coloro che regolano, in tutto o in parte, l’attività collettiva, con
poteri di supremazia sugli altri.
Il dolo richiesto per il delitto in esame è specifico, consistendo nella coscienza e
volontà di far parte dell’associazione per il perseguimento di uno di quei fini
prima esaminati.
È dunque necessario accertare la sussistenza in capo agli associati della cd.
Affectio societatis, ovvero la consapevolezza, desumibile anche da fatti
concludenti, di aver assunto il vincolo criminale con contestuale coscienza delle
caratteristiche dell’organizzazione stessa, fra cui l’avvalimento del metodo
mafioso e degli scopi perseguiti.
Il delitto si consuma appena si costituisce il vincolo associativo tra le tre o più
persone a prescindere dalla realizzazione delle attività connesse al vincolo.
Trattasi di reato permanente, in quanto si protrae nel tempo sino allo
scioglimento dell’associazione oppure sino a quando, per l’arresto dei soci o per
loro defezione volontario il numero dei partecipanti rimasti si riduca a meno di
tre.
Il delitto è aggravato se l’associazione è armata.
B) La formale equiparazione della ‘ndrangheta alle associazioni mafiose (D.L:
4/2010)
Il disposto dell’ultimo comma dell’art.416 bis, come detto in precedenza, già
sottoposto, a correttiva ad opera del D.L. 92/2008, è stato nuovamente oggetto di
interesse da parte del legislatore attraverso il D.L. 4-2-2010, n.4 conv. In L 31-3-
2010, n.50. In particolare attraverso l’inserimento della parola “’ndrangheta”, si è
effettuata una formale estensione al citato sodalizio criminale, del novero delle
associazioni equiparate, sul piano della risposta repressivo-penale, a quelli di
tipo mafioso.
Trattasi, di correttivo inutile.
Allo scopo di argomentare la inutilità del correttivo appena segnalato è
opportuno sottolineare come autorevoli commentatori della fattispecie di cui
all’art. 416 bis, fin dal suo nascere, censurarono anche il riferimento esplicito alla
camorra, sostenendo che, se per camorra si intende l’insieme di gruppi criminali
originari della Campania che usano sistematicamente il metodo estorsivo, oltre a
perseguitare ulteriori finalità criminali, facendo leva su una acquisti forza di
intimidazione che determina una diffusa condizione di omertà, ciò significa che la
camorra, sul piano definitorio, già contiene tutti gli elementi costitutivi
richiamati nel terzo comma dell’art.416bis per definire l’associazione di tipo
mafioso, sicché le varie associazioni camorristiche si presentano come esempi
caratteristici di associazione mafiosa. Ed anche se il legislatori avesse voluto
espressamente definire la camorra avrebbe dovuto impiegare i medesimi
elementi formali impiegati per la mafia. Analoghe considerazione, dunque,
mutatis mutandis possono valere per l’associazione per delinquere denominata
‘ndrangheta, la quale, per struttura organica, scopi perseguiti e modalità
d’azione, è da sempre compresa nel novero delle associazioni assimilate a quella
mafiosa.
Parte della dottrina giunge addirittura a ritenere che l’intera formula di chiusura
dell’ultimo comma dell’art.416 bis costituisca una forma di “superfetazione
legislativa”. Secondo tale orientamento, in particolare, qualunque associazione
criminosa, ricade nella sfera di operatività dell’art.416bis, allorchè il relativo
sodalizio sia ontologicamente e finalisticamente conforme a quanto disposto
dalla lettera del terzo comma della previsione incriminatrice in esame.
Per converso, altri ritengono che la residua funzione del comma ottavo sarebbe
da individuarsi nell’esigenza di sganciare la portata precettiva della previsione
dal fenomeno mafioso in senso stretto.
Se un senso si vuol attribuire al correttivo che si esamina, esso deve individuarsi
nell’aver fornito una forma di interpretazione autentica della nozione giuridica di
associazione mafiosa che ne impedisca applicazioni riduttive.
È opinione assolutamente prevalente, in dottrina e giurisprudenza, che il
semplice inserimento del termine ‘ndrangheta nel lessico normativo antimafia
non costituisca una rivoluzione copernicana ma, semmai una ridondanza, in
quanto in questi anni l’assenza della parola ‘ndrangheta nel testo dell’art.416bis
del codice penale non ha impedito inchieste, processi e condanne a carico di
affiliati alla criminalità organizzata di origine calabrese.
Il concorso dell’«extraneus» nell’associazione mafiosa (cd.concorso esterno)
In giurisprudenza si è molto dibattuto sulla possibilità di configurare un
concorso esterno (eventuale) ex art. 110 c.p. nel reato ex art. 416 bis (e anche
nell’art. 416), che è un reato a concorso necessario.
La Giurisprudenza oggi ritiene che il concorso esterno nel reato di cui all’art. 416
bis sia configurabile. Per concorso esterno si intende il concorso di un extra-
neus, cioè di un soggetto che, a differenza del partecipe all’associazione, non vuol
fare parte di questa e che questa non chiama a far parte, ma al quale si rivolge sia
per colmare vuoti temporanei in un determinato ruolo, sia, soprattutto, nel
momento in cui la «fisiologia» dell’associazione entra in fibrillazione,
attraversando una fase patologica, che, per essere superata, richiede un
contributo temporaneo dall’esterno. L’apporto dell’estraneo deve essere
apprezzabile per concretezza, specificità e rilevanza, pur se non si ritiene
necessario che lo stato di difficoltà in cui l’associa- zione può trovarsi, sia tale
che, senza quell’aiuto esterno, il sodalizio andrebbe in- contro all’estinzione.
Nelle più recenti pronunce sul tema, la Cassazione, a sezioni Unite, ha precisato
che assume il ruolo di concorrente esterno in reato associativo il soggetto che,
non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo
dell’ «affectio societatis», fornisce un concreto, specifico, consapevole e
volontario contributo, sempre che questo esplichi una effettiva rilevanza causale
e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il
rafforzamento delle capacità operative dell’associazione e sia diretto alla
realizzazione, anche parziale, del pro- gramma criminoso della medesima.
Nella medesima occasione la Cassazione ha precisato che tale concorso si
configura an- che nell’ipotesi di «patto di scambio politico-mafioso», in forza del
quale un uomo politico, non partecipe del sodalizio criminale, si impegna, a
fronte dell’appoggio richiesto all’associa- zione mafiosa in vista di una
competizione elettorale, a favorire gli interessi del gruppo, a condizione, però,
che gli impegni assunti dal politico a favore dell’associazione presentino i
caratteri della serietà e della concretezza e che, all’esito della verifica probatoria
ex post della loro efficacia causale risulti accertato, sulla base di massime di
esperienza dotate di empirica plausibilità, che gli impegni assunti dal politico
abbiano inciso effettivamente e significativa- mente, di per sé e a prescindere da
eventuali e successive condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione e sul
rafforzamento delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o
delle sue articolazioni settoriali.
Alla luce dei correttivi operati sul trattamento sanzionatorio della fattispecie in
commento ad opera della L. 5-12-2005, n. 251 (cd. legge ex Cirielli) e del D.L.
23-5-2008, n. 92 conv. in L. 24-7-2001, n. 125 («decreto sicurezza»), la
pena, per il partecipe all’associazione, è la reclusione da 7 a 12 anni; per coloro
che promuovono, dirigono, organizzano l’associazione, la pena è la reclusione da
9 a 14 anni; per la configurazione aggravata dell’impiego di armi, la pena è della
reclusione da 9 a 15 anni, per le ipotesi di cui al primo comma dell’articolo, da 12
a 24 anni, per le ipotesi del secondo comma.
Nell’ ipotesi prevista dall’ultimo inciso del terzo comma, introdotto dalla L.
356/92, la reclusione da 7 a 12 anni si applica anche a chi ottiene la promessa di
voti in cambio di eroga- zione di voti (art. 416 ter).
Tali pene sono aumentate da un terzo alla metà se ricorre l’aggravante di cui al
sesto comma.
La condanna comporta la confisca delle cose che servirono o furono destinate a
commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il prof itto.
Si procede d’ufficio e la competenza è del Tribunale collegiale. Sono applicabili le
misure cautelari personali; l’arresto in flagranza è obbligatorio; il fermo è
sempre consentito.
Attraverso l’ultimo comma, l’art. 416 bis estende l’applicabilità delle sue
disposizioni «alla camorra e alle altre associazioni, comunque localmente
denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo
associativo per- seguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni mafiose».
L’art. 416 ter, introdotto dallo stesso D.L. 306/1992, ha altresì reso applicabile la
pena prevista dall’art. 416 bis, primo comma, a chi ottenga la promessa di voti
prevista dal terzo comma del medesimo articolo, in cambio dell’erogazione di
denaro (cd. scambio elettorale politico-mafioso).
E) Segue: circostanza aggravante e misure procedurali previste dal cd. Codice
antimafia D.Lgs. 6-9-2011 n.159
Ai seni dell’art.71 del D.Lgs 159/2011, le pene previste dal reato in esame sono
aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta
con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale durante il
periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata
l’esecuzione.
Giurisprudenza:
- La fattispecie della partecipazione alla associazione di tipo mafioso,
prevista dall’art.415bis c.p. è a forma libera perché il legislatore non
descrive in modo particolare la condotta tipica, enunciandone le note che
valgono a caratterizzarle ma si limita ad affermare che commette il reato
chiunque ne fa parte. Ne deriva che la condotta di partecipazione, che può
assumere forme e contenuto variabili consiste sul piano oggettivo nel
contributo, purché apprezzabile e concreto, sul piano criminoso e quindi
nella realizzazione dell’offesa tipica agli interessi tutelati dalla norma
incriminatrice, qualunque sia il ruolo che l’agente svolga nell’ambito
associativo.
- Un’associazione può ritenersi di tipo mafioso, distinguendosi dalla
normale e tradizionale associazione per delinquere, quando sia connotata
da quei particolari elementi indicati nell’art.416bis c.p., dei quali il
principale e imprescindibile è il metodo mafioso seguito per la
realizzazione del programma criminoso.
11. Assistenza agli associati (art.418)
Commette tale reato, a seguito delle modifiche disciplinari operate dal D.L. 18-
10-2001 n.374, convertito in L.15-12-2001 n. 438 (cd. Decreto antiterrorismo
internazionale) chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di
favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto,
strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano
all’associazione.
Il dolo è generico e consiste nella coscienza e volontà di dare rifugio, vitto, ecc.
ad una persona che si sa esser membro di una associazione per delinquere. Il
reato è aggravato se l’assistenza è prestata continuativamente.
12. Devastazione e saccheggio (art.419)
L’art.419 punisce chiunque, fuori dei casi preveduti dall’art. 285, commette fatti
di devastazione o di saccheggio.
La parola fatti sta ad indicare le diverse possibili modalità dell’azione e la parola
devastazione assunta dal legislatore nel suo significato tradizionale – il
danneggiamento complessivo, indiscriminato, vasto e profondo di una notevole
quantità di cose mobili o immobili – costituisce il risultato dell’azione, ossia
l’evento del reato. Integra il saccheggio il fatto commesso una pluralità di
persone che si impossessa indiscriminatamente dia una rilevante quantità di
oggetti con azione sorretta da spirito di assoluta prepotenza e noncuranza per
l’ordine costituito.
Il delitto ex art. 419 assorbe quelli contro il patrimonio che i singoli atti
isolatamente considerati potrebbero configurare.
Il dolo richiesto è quello generico
Il reato si consuma con la realizzazione delle condotte descritte. È ritenuto
ammissibile il tentativo quando la devastazione non giunga al danneggiamento o
il saccheggio non si perfezioni con l’impossessamento.
La pena è aumentata se il fatto è commesso su armi, munizioni o viveri, esistenti
in luogo di vendita o di deposito.
13. Attentato a impianti di pubblica utilità
A norma dell’art. 420 è punito chiunque commette un fatto diretto a danneggiare
o distruggere impianti di pubblica utilità, salvo che il fatto costituisca più grave
reato.
Trattasi di ipotesi sussidiaria di reato, che sussiste solo se nel fatto non possa
individuarsi un reato più grave.
Il bene giuridico tutelato dalla norma appare essere tanto l’ordine pubblico,
inteso come buon assetto e regolare andamento della vita sociale, quanto la
pubblica incolumità, intesa come sicurezza di tutti i cittadini in genere, non
riguardanti singolarmente, contro i danni fisici che possono derivare dallo
scatenamento, ad opera dell’uomo, delle forze naturali, dell’alterato
funzionamento di impianti.
Il fatto materiale consiste nel compiere atti diretti a danneggiare o distruggere
gli impianti sopra indicati.
Il delitto si consuma con il compimento dello o degli atti diretti a danneggiare o
distruggere.
Poiché questa è una ipotesi di delitto di attentato non è concepibile il tentativo.
Il dolo richiesto è quello generico.
14. Pubblica intimidazione (art.421)
Tale delitto consiste nel minacciare, e cioè nel prospettare, di commettere delitti
contro la pubblica incolumità, previsti dal Titolo sesto del Libro II c.p., o fatti di
devastazione o di saccheggio, in modo da incutere pubblico timore.
Il dolo del delitto in esame è generico, e consiste nella coscienza e volontà della
minaccia di commissione di uno dei delitti indicati, con la consapevolezza che da
tale minaccia derivi pubblico timore, il cui avverarsi l’agente deve
rappresentarsi, anche se solo come possibile (dolo eventuale)