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LEZIONE: “LE RESPONSABILITÀ DEL CONSULENTE” PROF. MARIO NIGRO
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LEZIONE: “LE RESPONSABILITÀ DEL CONSULENTE”

May 02, 2023

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Le responsabilità del consulente

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1  CTU E CTP RUOLI E RESPONSABILITÀ ----------------------------------------------------------------------------- 3 

2  LA RESPONSABILITÀ DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO ------------------------------------------- 6 

3  LA RESPONSABILITÀ DEL CONSULENTE TECNICO DI PARTE -------------------------------------------- 16 

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 24 

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Le responsabilità del consulente

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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1 CTU e CTP ruoli e responsabilità

Il consulente tecnico può essere considerato come “ausiliario” del giudice, soggetto

indipendente dalle parti ed esperto in una specifica materia o disciplina. Al consulente tecnico viene

affidato dal giudice il compito di assisterlo e partecipare durante tutto il processo o anche ad un solo

atto, con l’obiettivo di fornirgli le conoscenze tecniche necessarie per valutare o anche di accertare

un fatto.

Il Magistrato, peritus peritorum, quando lo ritiene opportuno, quindi, può farsi assistere da un

esperto, con particolari competenze tecniche. In sede penale il giudice nomina il perito scegliendolo

tra gli iscritti negli appositi albi o tra persone aventi particolari competenze nella specifica

disciplina (Art. 221 c.p..).

In sede civile, quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli

atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica (Art. 61.c.p.c. -

Consulente tecnico); anche in questo caso la scelta dei consulenti tecnici deve essere normalmente

fatta tra le persone iscritte in albi speciali formati a norma delle disposizioni di attuazione al

presente codice.

Il consulente tecnico deve essere scelto tra gli iscritti all’albo dei consulenti istituito presso

ogni Tribunale e tenuto dal Presidente del Tribunale e la sua nomina avviene, ai sensi dell’art. 191

c.p.c., con ordinanza del Giudice nella quale viene fissata una udienza successiva nella quale questi

deve comparire.

La competenza ad emettere l’ordinanza che ammette la Consulenza Tecnica d’Ufficio è del

giudice che procede il quale ne stabilisce “quando è necessario” la nomina. Tale ampia

discrezionalità del giudice nello scegliere se avvalersi o meno dell’ausilio di un consulente tecnico

ha l’unico limite nella motivazione della scelta ovvero il giudice deve dare conto delle ragioni

suggeriscono, sconsigliano o addirittura impediscono di ricorrere alla Consulenza Tecnica

d’Ufficio.

L’ordinanza ammissiva della CTU deve contenere almeno il nome e l’indirizzo del consulente

tecnico e l’ordine alla cancelleria di convocarlo ad una data udienza. In essa dovrebbero essere

inseriti anche i quesiti da sottoporre al CTU ma, spesso, questi sono redatti all’udienza di

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conferimento dell’incarico in quanto il giudice, di solito, preferisce avvalersi dell’opera del

consulente e delle sue specifiche competenze tecniche anche per la redazione dei quesiti.

L’ordinanza sarà notificata al consulente dalla cancelleria del giudice ed in essa sarà

contenuto l’invito a comparire all’udienza fissata dal giudice. Nella ipotesi in cui il consulente

nominato non ritenga di accettare l’incarico o intenda astenersi dovrà darne notizia al giudice che lo

ha nominato almeno tre giorni prima dell’udienza di comparizione.

All’udienza di comparizione fissata dal giudice il consulente tecnico, se ritiene di accettare

l’incarico, prima di assumerlo, presta il giuramento di bene e fedelmente adempiere le funzioni

affidategli al solo scopo di far conoscere al giudice la verità (art. 193 c.p.c.) e fissa la data di inizio

delle operazioni peritali (o si riserva di fissarla a mezzo lettera raccomandata) ed il termine entro il

quale dovrà depositare il proprio elaborato peritale.

Durante lo svolgimento delle attività di consulenza il CTU deve rispettare il principio del

contraddittorio informando obbligatoriamente le parti della data di inizio delle operazioni peritali e

redigendo un verbale delle operazioni svolte.

Le parti ed i loro consulenti possono partecipare alle operazioni peritali e possono presentare

al consulente, per iscritto o a voce, osservazioni ed istanze. Il Consulente Tecnico d’Ufficio non

potrà accettare osservazioni e scritti difensivi al di fuori di questi disciplinati dall’art. 194 c.p.c.

delle quali, in ogni caso, è tenuto a farne estrarre copia alle altre parti in causa.

Il consulente Tecnico d’Ufficio non è, viceversa, obbligato a comunicare gli eventuali incontri

successivi al primo incombendo alle parti l’onere di informarsi circa le evoluzioni delle operazioni

peritali.

Il consulente tecnico d’ufficio non dovrà trascurare di chiedere al giudice la nomina di altri

specialisti laddove ne dovesse ravvisare la necessità.

Il compito del consulente tecnico d’ufficio è quello di produrre gli elementi necessari al

giudice per formulare il proprio giudizio; infatti ai sensi dell’art. 62. c.p.c. (Attività del consulente)

il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice e fornisce, in udienza e in

camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede a norma degli articoli 194 e seguenti, e

degli articoli 441 e 463.

Il professionista che accetta l’incarico, sia se nominato da un giudice che da un privato, deve

porsi la questione etica. Oltre l’analisi dei limiti e la valutazione delle competenze specifiche

richieste dalla parte committente, un professionista deve “fare i conti” con i propri valori personali.

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Invero l’art. 63. c.p.c. (Obbligo di assumere l’incarico e ricusazione del consulente) recita: “Il

consulente scelto tra gli iscritti in un albo ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che il giudice

riconosca che ricorre un giusto motivo di astensione. Il consulente può essere ricusato dalle parti per

i motivi indicati nell’art. 51. Della ricusazione del consulente conosce il giudice che l’ha nominato”.

A differenza del consulente tecnico d’ufficio il consulente tecnico di parte non è tenuto a

prestare alcun tipo di giuramento e dovrà verificare che le operazioni peritali siano svolte con

correttezza dal CTU provvedendo alla redazione di contro deduzioni nelle quali indicherà le proprie

conclusioni e le eventuali ipotesi alternative.

Naturalmente il CTU dovrà svolgere il suo incarico quale terzo imparziale chiarendo sin

dall’inizio la propria posizione ed utilizzando un linguaggio semplice e comprensibile per gli

intervenuti anche per la necessità di tradurre in un documento tutte le attività svolte e le proprie

considerazioni e conclusioni.

Tale elaborato sarà a disposizione assumerà efficacia di atto pubblico all’esito del suo

deposito e sarà a disposizione di tutte le parti del processo.

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2 La responsabilità del Consulente Tecnico d’Ufficio

La definizione del ruolo e della responsabilità del Consulente tecnico d’ufficio (CTU)

consente di indirizzare in modo preciso il comportamento del professionista che viene a

prestare la sua opera all’interno del processo.

La consulenza tecnica è vista essenzialmente come elemento di valutazione di dati già

acquisiti al processo a seguito dell’attività delle parti, e non costituisce un mezzo di prova.

Secondo quanto afferma la giurisprudenza, si vuole intendere per responsabilità

professionale una condotta colposa da cui scaturisce un danno ad altro soggetto nella

fattispecie facente parte del processo dove si è richiesta la consulenza tecnica. Ma ciò che il

CTU determina non è vincolante per il giudice il quale disattendere le conclusioni della

consulenza nella valutazione del caso concreto in esame. Ciò detto, appaiono difficilmente

delineabili i confini della sua responsabilità professionale.

Orbene, va in primis rilevato che è possibile, anche se molto improbabile, prospettare

una responsabilità professionale del CTU qualora egli abbia, con azione spiccatamente

colposa, celato elementi essenziali, inducendo in errore il giudice che, impossibilitato da

detto comportamento all’esercizio del controllo critico, si orienterà verso una sentenza

produttrice di danno ingiusto alle parti.

Il CTU rappresenta, a tutti gli effetti, un ausiliario del giudice e, in quanto tale, fornisce

ad esso, mediante le sue valutazioni e il suo apporto tecnico, molteplici apporti che possono,

soprattutto in ambito sanitario, condizionare anche pesantemente l’evoluzione della

controversia e la sentenza correlata.

In base all’art. 64 c.p.c. si applicano al consulente tecnico le disposizioni del codice

penale relative ai periti da cui scaturisce una severa normativa sanzionatoria in caso di

comportamento erroneo del perito.

Difatti l’art. 64 c.p.c., in tema di responsabilità del consulente, recita “Si applicano al

consulente le disposizioni del codice penale relative ai periti. In ogni caso, il consulente

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tecnico che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito

con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda fino a euro 10.329. Si applica l’art. 35 del

codice penale . Egli è inoltre tenuto al risarcimento dei danni causati alle parti”.

Fatto salvo il comportamento “doloso”, la responsabilità del consulente tecnico appare

ben configurata allorquando abbia redatto una relazione peritale erronea, dovuta a imperizia,

negligenza, imprudenza, che induca in errore il giudicante arrecando danno alla parte.

In merito alla responsabilità civile del consulente tecnico d’ufficio vanno esaminati tre

aspetti problematici:

a. Quale sia il grado di colpa necessario a radicare un giudizio di responsabilità;

b. Se sia applicabile al CTU la limitazione di responsabilità di cui all’art. 2236 del

codice civile;

c. Quali siano i danni risarcibili.

Relativamente alle prime due questioni permane un contrasto giurisprudenziale.

Secondo un orientamento giurisprudenziale, il CTU dovrebbe rispondere solo in caso di

dolo o colpa grave, mentre secondo altri, sulla base dell’art. 64 c.p.c. che prevede in ogni

caso il risarcimento del danno, si ritiene che il Consulente risponda anche al di fuori delle

ipotesi di dolo o colpa grave, secondo le previsioni degli artt. 2236 e 1176, 2° comma, cc.

Il Consulente potrà essere ritenuto responsabile solo nell’ipotesi di dolo o colpa grave,

nei casi in cui la consulenza implichi la soluzione di problemi tecnici di speciali difficoltà,

nelle altre ipotesi sarà chiamato a rispondere in base all’art. 1176, 2° comma, secondo il

quale nell’adempimento delle obbligazioni, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla

natura dell’attività esercitata.

La responsabilità del CTU, quale prestatore d’opera intellettuale, è disciplinata dall’art.

1176 del codice civile che afferma non sufficiente una media diligenza del professionista ma

ritiene necessaria una diligenza modulata in base alla natura dell’attività esercitata. Le

conoscenze tecnico professionali richieste al momento dell’adempimento della prestazione

incidono sulla valutazione della diligenza da cui discende il giudizio sulla responsabilità del

professionista.

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Nell’art. 2236 del codice civile si afferma che il professionista è responsabile nei soli

casi di dolo o colpa grave, qualora sia stata necessaria una consulenza per risolvere problemi

tecnici di speciale difficoltà.

Il criterio enunciato dall’art. 1176 c.c. sulla valutazione della responsabilità

professionale del CTU, può riguardare, con diversa gradualità, la fase di adempimenti

burocratici, l’acquisizione documentale, i rilievi tecnici e la valutazione finale.

L’orientamento secondo il quale il consulente risponderebbe dei danni causati alle parti

solo se abbia agito con dolo o colpa grave essendo esonerato nelle ipotesi di colpa lieve, e ciò

indipendentemente dalla complessità dell’incarico, escludendo l’applicabilità dell’art. 2236

c.c. prende le mosse dalla considerazione che il richiamato art. 64 c.p.c. prevede la sola

ipotesi in cui il consulente incorra in ipotesi di colpa grave e, infine, dalla considerazione che

questi sarebbe per molti versi assimilabile, sotto il profilo della responsabilità, al giudice e

come tale dovrebbe incorrere negli stessi limiti incontrati dal giudice che risponde delle sole

ipotesi di dolo, frode o concussione, e colpa grave.

Secondo un altro orientamento giurisprudenziale, viceversa, come anticipato, il CTU

risponderebbe civilmente anche dei danni che avrebbe causato nei casi di colpa lieve ad

eccezione delle ipotesi in cui ricorra la fattispecie di cui all’art. 2236 c.c. ovvero un incarico

di particolare complessità.

Appare condivisibile questo secondo orientamento in quanto il primo tende a

sottovalutare il riferimento normativo proprio dell’art. 64 c.p.c. nel quale si riferisce che il

CTU è tenuto al risarcimento del danno causato alle parti “in ogni caso” limitando, di fatto, la

responsabilità dello stesso alle sole ipotesi di colpa grave o dolo laddove, viceversa, deve

ritenersi che la responsabilità del CTU può discendere da qualsiasi condotta illecita ed

indipendentemente dall’elemento soggettivo (dolo, colpa grave, colpa lieve).

Non è condivisibile, peraltro, la interpretazione secondo la quale la responsabilità del

CTU dovrebbe incontrare gli stessi limiti della responsabilità del magistrato in quanto tale

parificazione, oltre a non avere alcuna base testuale, dimentica che le limitazioni alla

responsabilità del magistrato sono dettate dalla necessità di salvaguardare l’indipendenza e

l’autonomia del giudice costituzionalmente prevista (art. 101 e 104 Cost.).

Viceversa per il consulente tecnico d’ufficio tali garanzie costituzionali non sussistono.

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Nel nostro ordinamento vige il principio generale secondo il quale qualunque fatto

colposo obbliga l’autore di esso a risarcire i danni mentre le limitazioni di responsabilità

costituiscono l’eccezione e, in quanto tali, non applicabili in via analogica e non suscettibili

di una interpretazione estensiva.

Del pari non condivisibile appare l’applicabilità dei limiti di cui all’art. 2236 c.c. alle

funzioni svolte dal consulente tecnico d’ufficio in quanto anch’essa è una norma eccezionale

ed in quanto tale, non applicabile in via analogica od estensiva.

Tale norma è dettata dalla legge nei contratti di prestazione d’opera professionale,

appare evidente, che il rapporto che lega il committente al professionista prestatore d’opera è

ben diverso da quello esistente tra il giudice, il consulente tecnico d’ufficio e le parti in causa.

Infatti, tra le parti ed il CTU non esiste alcun rapporto contrattuale in quanto il

consulente riceve l’incarico non da quest’ultime ma dal giudice ed è l’ufficio giudiziario il

destinatario dell’attività del consulente.

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 11474 del 21 ottobre 1992 ha

ribadito che “l’attività del consulente tecnico, che è svolta nell’esercizio di una pubblica

funzione nell’ambito del processo, non è in alcun modo inquadrabile negli schemi del

rapporto di lavoro, sia esso subordinato o anche autonomo, quasi che il consulente fosse

vincolato alle parti da un rapporto di prestazione d’opera” lasciando intendere, quindi, che

non sono applicabili le norme dettate per un rapporto contrattuale ad un rapporto che non è

contrattuale come quello tra le parti ed il consulente tecnico d’ufficio.

Non è applicabile, infine, alla figura del consulente tecnico d’ufficio ed al suo rapporto

con le parti in causa, il recente orientamento giurisprudenziale sulla cosiddetta responsabilità

da “contatto” che consentirebbe di applicare le normative dettate in materia negoziale anche a

rapporti che non hanno fonte contrattuale ma che ne sono assimilabili per il contenuto.

Orbene il rapporto tra CTU e parti nel giudizio non ha alcun contenuto assimilabile a

quello di un rapporto contrattuale in quanto le parti non hanno alcun diritto di pretendere dal

CTU una determinata prestazione o di porre quesiti vantando unicamente il diritto ad un

corretto adempimento dei propri doveri da parte del consulente.

Sulla base delle argomentazioni sin qui esposte si deve concludere che il CTU risponde

del danno causato quale che sia stato il suo grado di colpa.

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Relativamente al danno risarcibile questo potrà consistere sia nel ritardo con il quale è

stata accolta la propria domanda in conseguenza della necessità di rinnovare la consulenza,

sia nelle conseguenze negative dell’accoglimento dell’altrui domanda fondata su una

consulenza infedele, sia nelle spese sostenute per l’adozione di provvedimenti ritenuti

indifferibili da una consulenza erronea, sia nelle spese sostenute per dimostrare l’erroneità

della consulenza tecnica d’ufficio.

È esclusa la somma eventualmente anticipata da una delle parti al CTU in quanto

rientra nel pagamento dell’indebito e se ne potrà chiedere la restituzione in qualsiasi

momento.

Legittimato a richiedere i danni al consulente tecnico d’ufficio è la parte che ha subito

pregiudizio dall’opera del CTU volendo intendersi che potrà non esser necessariamente la

parte soccombente a lamentare pregiudizi ma che potrebbe essere la stessa parte vittoriosa a

ritenere di essere stata in qualche modo danneggiata.

Competente a decidere sulla eventuale azione risarcitoria è il giudice competente per

valore e per territorio dovendosi escludere una competenza specifica del giudice presso il

quale la consulenza è stata espletata.

Altra problematica è quella relativa alla possibilità di iniziare una azione risarcitoria

avverso un CTU prima che il giudizio nel quale è stato chiamato a svolgere le proprie

funzioni sia terminato.

Orbene, benché ci siano decisioni difformi in tal senso, sembra condivisibile

l’orientamento secondo il quale la legittimazione ad agire esista anche in corso di

procedimento in quanto sussisterebbe l’interesse ad agire della parte danneggiata anche prima

della conclusione del processo stesso.

La consulenza tecnica, nella procedura civile, viene disposta dal giudice qualora reputi

utile un tipo di assistenza scientifica e specialistica, per la comprensione degli atti

processuali, pur nella sussistenza del principio del giudice peritus peritorum, come

contemplato nell’art.61 c.p.c. che afferma: “Quando è necessario, il giudice può farsi

assistere per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di

particolare competenza tecnica. La scelta dei consulenti tecnici deve essere normalmente

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fatta tra le persone iscritte in albi speciali formati a norma delle disposizioni di attuazione al

presente codice”.

La consulenza tecnica assume, quindi, carattere di obbligatorietà per dirimere

problematiche tecnico scientifiche di complessa comprensione. Questa obbligatorietà, pur

non essendo chiaramente prevista dalla normativa, scaturisce per analogia dalle norme

penalistiche dove è esplicitamente contemplata.

La giurisprudenza penale afferma che “ai sensi dell’art. 220 c.p.p., il giudice è

obbligato a disporre la perizie quando ne ricorrano i presupposti e ne sia fatta richiesta dalle

parti.

Il codice di procedura civile, all’art. 191 descrive chiaramente le formalità necessarie

per la nomina del consulente tecnico d’ufficio. “Nei casi di cui agli articoli 61 e seguenti il

giudice istruttore, con l’ordinanza prevista nell’articolo 187, ultimo comma, o con altra

successiva, nomina un consulente tecnico e fissa l’udienza nella quale questi deve comparire.

Possono essere nominati più consulenti soltanto in caso di grave necessità o quando la legge

espressamente lo dispone”.

Imprudente va considerata la condotta di qualche giudicante che, nella convinzione di

poter risolvere giudizialmente questioni tecnico scientifiche, avvalendosi della propria

esperienza e conoscenza, ritiene ingiustificato il ricorso al consulente tecnico d’ufficio.

Nell’attuale concezione del legislatore, la perizia non costituisce una prova ma ha

valenza tecnica e risolutiva per la corretta valutazione di problematiche che necessitano di

competenze tecniche, scientifiche, artistiche (Cass. Pen. 18.2.1994, sez. IV, Martini, CED

Cassazione, 197965).

Ciò detto, va innanzitutto osservato che, dal parere formulato dal Consulente Tecnico

d’Ufficio, scaturiscono ripercussioni di carattere patrimoniale ed extrapatrimoniale nel

processo civile, per cui assume rilevante importanza che detta perizia si svolga secondo

canoni tali da garantire il contraddittorio delle parti in causa, l’obiettività nella valutazione

dei fatti, la possibilità, per le parti, attraverso i propri legali, di intervenire nell’elaborazione

peritale , collaborando o contestando l’operato del CTU nel caso lo ritengano inidoneo.

Il Codice Deontologico dell’Ordine dei Medici ammonisce: “Nell’espletamento dei

compiti e delle funzioni di natura medico legale, il medico deve essere consapevole delle

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gravi implicazioni penali civili, amministrative e assicurative che tali compiti e funzioni

possono comportare e deve procedere, sul piano tecnico, in modo da soddisfare le esigenze

giuridiche attinenti al caso in esame nel rispetto della verità scientifica, dei diritti della

persona e delle norme del presente Codice di Deontologia Medica” (art. 64).

L’inizio delle operazioni peritali deve essere comunicato dal CTU e, in assenza di detta

comunicazione, si configura un comportamento già viziato da imperizia o da negligenza.

Ai sensi dell’art. 90 c.p.c., il CTU ha l’obbligo di comunicare l’inizio delle operazioni

peritali alle parti costituite e, per esse, al legale ed ai consulenti ritualmente nominati, al fine

di garantire il diritto di difesa garantito ai sensi dell’art. 24 della Costituzione e la mancata

comunicazione rende affetta da nullità la consulenza tecnica.

Difatti l’art.90 c.p.c., in tema di indagini del consulente senza la presenza del giudice

recita “Il consulente tecnico che, a norma dell’articolo 194 del codice, è autorizzato a

compiere indagini senza che sia presente il giudice, deve dare comunicazione alle parti del

giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni, con dichiarazione inserita nel processo verbale

d’udienza o con biglietto a mezzo del cancelliere. Il consulente non può ricevere altri scritti

defensionali oltre quelli contenenti le osservazioni e le istanze di parte consentite dall’articolo

194 del codice. In ogni caso deve essere comunicata alle parti avverse copia degli scritti

defensionali”.

Tale errore procedurale comporta un danno patrimoniale da cui scaturisce un ritardato

godimento di un eventuale beneficio economico. Appare come negligenza del CTU anche la

mancata acquisizione di documenti necessari alla formulazione del giudizio.

Assume, viceversa, maggiore implicazione giuridica la colpa del CTU ascrivibile ad

errori tecnici quali: errori nell’esecuzione di tecniche autoptiche, mancato prelievo di reperti,

mancata o errata conservazione degli stessi, deficitario rilievo dei dati obiettivi, mancato o

errato accertamento del nesso causale, e via di seguito.

Qualora il CTU sia carente di competenze specifiche, e ciononostante esprima la sua

valutazione senza l’aiuto di specialisti, dovrà essere considerato imprudente.

Per quanto attiene all’aspetto sanzionatorio, la responsabilità del Consulente Tecnico è

disciplinata, come sopra accennato, dall’art. 64 c.p.c. che, al primo comma, stabilisce che al

Consulente si applichino le norme del codice penale relative ai periti.

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L’art. 366, punisce il rifiuto di uffici legalmente dovuti, e l’art. 373, punisce il perito

che dà pareri o interpretazioni mendaci o afferma fatti non conformi al vero.

L’art. 64 c.p.c. prevede, poi, che in ogni caso sia dovuto il risarcimento dei danni

causati alle parti.

Va precisato che l’azione risarcitoria conseguente al dolo subito per opera del CTU

viene intrapresa su iniziativa di parte.

Gli artt. 19, 20 e 21 disp. att. c.p.c, nonché le norme professionali sulla responsabilità

degli iscritti agli Ordini od ai Collegi Professionali, disciplinano ulteriormente la

responsabilità del CTU.

Art.19-Disciplina. La vigilanza sui consulenti tecnici è esercitata dal presidente del

tribunale, il quale, d’ufficio o su istanza del procuratore della Repubblica o del presidente

dell’associazione professionale, può promuovere procedimento disciplinare contro i

consulenti che non hanno tenuto una condotta morale specchiata e non hanno ottemperato

agli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti. Per il giudizio disciplinare è competente il

comitato indicato nell’art.14.

Art. 20. - Sanzioni disciplinari. Ai consulenti che non hanno osservato i doveri indicati

nell’articolo precedente possono essere inflitte le seguenti sanzioni disciplinari:

1) l’avvertimento;

2) la sospensione dall’albo per un tempo non superiore ad un anno;

3) la cancellazione dall’albo

Art. 21. - Procedimento disciplinare. Prima di promuovere il procedimento disciplinare,

il presidente del tribunale contesta l’addebito al consulente e ne raccoglie la risposta scritta.

Il presidente, se dopo la contestazione ritiene di dover continuare il procedimento, fa

invitare il consulente con biglietto di cancelleria, davanti al comitato disciplinare.

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Il comitato decide, sentito il consulente. Contro il provvedimento è ammesso reclamo a

norma dell’art. 15 ultimo comma.

Indipendentemente dai procedimenti disciplinari relativi alle disposizioni dei singoli

Ordini o Collegi, il codice di procedura civile prevede una responsabilità presupponente

l’iscrizione del CTU nell’albo dei consulenti tecnici presso il Tribunale ai sensi dell’art.13

disp.att. e la commissione di un illecito nell’esercizio delle funzioni di ausilio tecnico del

giudice.

I consulenti ritenuti inadempienti agli obblighi scaturenti dagli incarichi ricevuti che

hanno disatteso alle aspettative di specchiata moralità insite nel ruolo del CTU, subiscono

l’azione disciplinare prevista dagli art. 19 ss. c.p.c. esercitata dal Presidente del Tribunale, il

quale procede d’ufficio o su istanza del Procuratore della Repubblica o del Presidente

dell’Associazione professionale, i quali a loro volta potrebbero essere investiti di

problematiche attinenti lo svolgimento delle funzioni del CTU dalle parti, dai loro legali o dai

loro consulenti.

Vengono, anzitutto, sanzionati quei comportamenti che già sono perseguibili come

illeciti dalle associazioni professionali dei consulenti, garantendo in tal modo un corretto e

leale svolgimento dell’attività processuale di consulenza con la conseguente cooperazione

all’esercizio dell’azione giudiziale.

Il CTU è soggetto a sanzione qualora non ottemperi agli obblighi derivanti dagli

incarichi ricevuti quali, la mancata ingiustificata comparizione del CTU alle convocazioni del

Giudice, l’inottemperanza agli obblighi di custodia del fascicolo d’ufficio e dei fascicoli di

parte, che il CTU è stato autorizzato a ritirare, il mancato deposito della relazione.

L’incidenza del Giudice sulla determinazione di responsabilità del Consulente Tecnico

va considerata relativamente alla richiamata problematica del giudice quale peritus

peritorum. Poiché nel nostro ordinamento vige il principio iudex peritus peritorum, in virtù

del quale è consentito al giudice di merito di disattendere le argomentazioni tecniche svolte

nella propria relazione dal Consulente Tecnico d’Ufficio, con l’unico onere da parte del giu-

dice di un’adeguata motivazione esente da vizi logici ed errori di diritto (Cass. Civ., sez. III,

18 novembre 1997, n. 11440).

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Le responsabilità del consulente

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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Il giudice, che è peritus peritorum, riguardo la consulenza da lui richiesta, è libero sia di

recepirla, condividendone le conclusioni, sia di disattenderla (Cass. Pen., sez. IV, 9 dicembre

2003, n. 11516).

L’operato del Consulente tecnico d’ufficio può essere disatteso dal giudice che, oltre

che sul piano logico giuridico, può entrare nel merito della problematica squisitamente

tecnica. Orbene, a fronte di una tale intromissione la responsabilità del CTU appare di

difficile individuazione considerando, altresì, che anche le parti, attraverso i propri

consulenti, possono segnalare al giudice l’eventuale errore.

Infine, va considerata una particolare ipotesi di responsabilità, quella derivante dalla

durata irragionevole del processo.

La legge n.89 del 24.3.2001 stabilisce che chi ha subito un danno patrimoniale o non

patrimoniale per effetto della violazione dell’art.6, paragrafo 1, della Convenzione per la

salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ha diritto ad un’equa

riparazione.

Nell’accertare la violazione il giudice considera la complessità del caso e, in relazione

alla stessa, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonché quello di

ogni altra autorità (ctu compreso) chiamata a concorrervi o comunque a contribuire alla sua

definizione.

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Le responsabilità del consulente

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3 La responsabilità del consulente tecnico di parte

Ai sensi dell’art. 201 c.p.c il giudice istruttore, con l’ordinanza di nomina del

consulente, assegna alle parti un termine entro il quale possono nominare, con dichiarazione

ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico.

Il consulente della parte, oltre ad assistere a norma dell’articolo 194 alle operazioni del

consulente del giudice, partecipa all’udienza e alla camera di consiglio ogni volta che vi

interviene il consulente del giudice, per chiarire e svolgere, con l’autorizzazione del

presidente, le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche.

La consulenza infedele è punita dagli artt. 380, 381 e 383 del codice penale.

L’individuazione della responsabilità del consulente tecnico di parte, pur se complessa

nell’attuale giurisprudenza, appare fondamentale per il valore responsabilizzante che deve

avere nei confronti dell’esercizio professionale di parte, ponendosi come argine allo

straripare di sedicenti medici-legali che, in virtù di nebulose normative, prosperano

ingolfando la già complessa macchina giudiziaria.

In tal senso le loro consulenze promuovono iter processuali per fantasiose accuse di

responsabilità professionali o pesanti contraddittori in responsabilità civile (infortunistica

stradale) attraverso l’affermazione di gravi danni in realtà inesistenti o assai più contenuti di

quelli accertati. Ciò detto il richiamo alla responsabilità come valore fondante della

professione medica non può che contribuire validamente ad un esercizio serio e meditato di

tale funzione medico - legale.

Erroneamente si potrebbe pensare che la consulenza tecnica di parte vada circoscritta

alla sola attività per la parte privata ma va detto che essa si annovera anche tra quelle prestate

al Pubblico Ministero, per cui la sua responsabilità si può assimilare, sotto taluni aspetti, a

quella del Consulente Tecnico di Parte dell’Autorità Giudiziaria.

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Va distinta la figura del consulente tecnico del Pubblico Ministero, prevista dall’art.

233 c.p.p., che svolge attività di ausilio manifestando pareri e valutazioni tecniche, da quella

del consulente tecnico di parte nominato dal Pubblico Ministero a norma dell’art. 359 c.p.p.,,

che provvede ad effettuare rilievi ed accertamenti e qualsiasi operazione tecnica che necessita

di competenze specifiche.

Il primo fornisce al giudice nella fase processuale le proprie valutazioni specialistiche

per l’uso che questi vorrà farne; il secondo interviene in ausilio del Pubblico Ministero nella

fase delle indagini preliminari. Qualora le parti decidano per i cosiddetti riti alternativi

(giudizio abbreviato, patteggiamento, procedimento per decreto), il contributo di questo

ultimo assurge a dignità di prova.

Lo stesso dicasi nel caso che l’accertamento da lui compiuto sia irripetibile (poiché

riguarda persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione oppure perché gli

accertamenti tecnici determinano essi stessi, per la loro tipologia, una modificazione delle

cose, dei luoghi o delle persone).

Sono sicuramente non ripetibili indagini come quelle autoptiche, di tossicologia

forense, le tecniche d’ispezione su lesioni dei tessuti molli o su lesioni suscettibili di cure

chirurgiche.

Ciò detto, appare evidente che la norma della falsità in perizia ex art. 373 c.p., è

sicuramente riferibile anche al consulente tecnico del Pubblico Ministero poiché, come si è

dimostrato, svolge una vera e propria attività peritale che si proietta nella fase dibattimentale

assurgendo a dignità di prova.

La responsabilità professionale del consulente tecnico scaturisce perciò dalla doppia

veste assunta dalla figura dell’ operatore tecnico - scientifico che concorre al giudizio tanto

di una parte pubblica in sede giudiziaria che di una parte privata in sede giudiziaria o

extragiudiziaria, (Corte Cost., 8 giugno 1983, n. 149) nell’accertamento e nella valutazione di

fatti.

In tal senso l’addebito di responsabilità professionale può provenire dal Magistrato o

dal committente o dalla controparte e può riguardare aspetti giudiziari o deontologici.

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Infatti, la circostanza che il consulente tecnico di parte, come detto, non sia tenuto a

prestare alcun giuramento e non sia tenuto al rispetto della normativa del consulente tecnico

d’ufficio lo esonera da tutta una serie di responsabilità ad eccezione del solo consulente

tecnico del Pubblico Ministero nominato ai sensi dell’art. 359 c.p.p.

In tale ottica non è ipotizzabile la responsabilità del consulente di parte per il reato di

falsità in perizia (ad eccezione della ipotesi sopra richiamata) in quanto questo è un reato

proprio del consulente nominato dal giudice oltre che alla efficacia probatoria della perizia.

Relativamente alla affermazione di fatti non veritieri da parte del consulente di parte

questa ricorre solo nell’ipotesi in cui essa arreca detrimento alla esattezza del giudizio e non

se attiene ad aspetti ininfluenti rispetto al raggiungimento delle conclusioni.

Quindi, la non veridicità dei fatti può riguardare indagini in realtà mai eseguite,

accertamenti di fatti inesistenti, dichiarazioni mai rilasciate o ricevute, descrizioni

volutamente non veritiere di documenti, luoghi oppure oggetti.

Diversa è la posizione del consulente di parte che tenti di modificare artificiosamente le

qualità di una persona imputata in un processo nel qual caso incorre nella previsione

normativa di frode processuale di cui all’art. 374 c.p..

Tale previsione normativa individua come reato le modificazioni dello stato dei luoghi,

delle cose o delle persone al fine di trarre in inganno il giudice ed il successivo art. 374 bis

c.p. punisce le attività documentative ed i documenti destinati all’Autorità Giudiziaria e non

rispondenti al vero.

Tali attività documentative possono racchiudersi nelle dichiarazioni, attestazioni,

certificati ed atti che siano destinati alle Autorità Giudiziarie ed hanno una diversa rilevanza

giuridica a seconda che abbiano carattere valutativo o documentativo.

Il certificato ha natura documentativa in quanto in essa si dichiarano fatti e circostanze

la cui conoscenza non è personale.

Con l’atto si attestano fatti compiuti da chi attesta o avvenuti in sua presenza ovvero

dichiarazioni da lui ricevute.

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Nella parte in cui la consulenza tecnica dichiari o attesti dati, qualità, condizioni, essa

ha natura certificativa o attestativa: pertanto, ove riporti in modo difforme dal vero, detti dati,

qualità e condizioni, ricade nella previsione della norma incriminatrice di cui all’art. 374 - bis

c.p.

Le false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria sono

disciplinate dall’art. 374 bis c.p. “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la

reclusione da uno a cinque anni chiunque dichiara o attesta falsamente in certificati o atti

destinati a essere prodotti all'autorità giudiziaria condizioni, qualità personali, trattamenti

terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare, relativi all'imputato, al condannato o

alla persona sottoposta a procedimento di prevenzione. Si applica la pena della reclusione da

due a sei anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di un pubblico

servizio o da un esercente la professione sanitaria”.

Ciò detto, si palesa la necessità di un più attento e severo esercizio della potestà

certificativa per scongiurare di incorrere nell’ipotesi di cui all’art. 374 - bis; rischio concreto

che dovrebbe far desistere da certificati compiacenti e indurre ad una migliore redazione dei

documenti sanitari che siano o comunque possano essere destinati all’Autorità Giudiziaria.

La consulenza tecnica di parte che svolge valutazioni e formula pareri o giudizi, non

costituisce né un certificato né un atto e come tale non costituisce frode processuale.

Di qui l’insussistenza del delitto di cui all’art. 374 - bis c.p. del consulente tecnico che

in tema di incompatibilità dello stato di salute di un soggetto con la detenzione laddove

questi, pur condividendo la diagnosi dei periti di ufficio, sosteneva che lo stato fisico del

detenuto non fosse compatibile con la detenzione.

La dottrina medico - legale sul punto rivendica l’assoluta legittimità di interpretazione

coerente ai diritti della difesa, purché rispettosa della verità biologica e delle evidenze

oggettive.

“Il Giudice può e deve, opportunamente motivando, dissentire con le tesi del

Consulente Tecnico; è invece preoccupante che voglia e possa, come talora è occorso

penalizzare il dissenso!”.

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Del resto in caso contrario ci si domanda dove finisce dunque la potestà di

interpretazione del consulente tecnico dell’indagato o dell’imputato che peraltro merita la

sacrosanta - purché onesta - salvaguardia dei diritti di difesa?.

Esaminiamo ora quali sono le ipotesi normative che pongono sullo stesso piano i

consulenti tecnici ed i patrocinatori legali ovvero la consulenza infedele e la consulenza

contemporanea di più parti contrarie.

La consulenza infedele, prevista dall’art. 380 c.p., consiste nel venir meno, con dolo, ai

propri doveri professionali procurando nocumento alla parte assistita e determina, ove

accertata, la interdizione temporanea dai pubblici uffici e dalla professione.

Possono configurare tale ipotesi diversi comportamenti quali la violazione del segreto

professionale, la soppressione, alterazione od omessa produzione di mezzi di prova, ecc..

La responsabilità penale del consulente tecnico di parte, alla luce di quanto afferma l’ex

art.380 c.p., viene, processualmente, valutata meno severamente laddove si lasci andare ad

affermazioni, comunque censurabili, ma che trovano giustificazione nel diritto di difesa

tecnica della parte che lo ha nominato.

Il riferimento è, non solo ad eccessive critiche tecniche nei confronti dell’altrui

elaborato, ma anche a difese non conformi all’obbligo di rispetto del decoro altrui, ossia a

quelle espressioni che sconfinano nell’offesa personale del consulente tecnico o del perito (in

astratto punibili ex artt. 549 co. 2 c.p. e 368 c.p. rispettivamente per il reato di diffamazione

aggravata e calunnia).

Va detto, altresì, che le espressioni “offensive” dovranno essere riferite all’oggetto del

contenzioso, contenute in scritti difensivi indirizzati all’Autorità Giudiziaria e poste in essere

nel corso dell’iter del procedimento.

Per individuare l’esistenza del dolo nel reato di calunnia, affinchè sussista il dolo, si

dovrebbe infatti verificare che, chi incolpa, ha la certezza dell’innocenza dell’accusato.

Il consulente tecnico di parte, però, potrà essere oggetto di un procedimento civile per

danni nella ipotesi in cui abbia tenuto un comportamento antigiuridico seppur non rientrante

nelle fattispecie penalmente rilevanti sopra richiamate e ciò con riferimento al obbligo di

“rispetto reciproco” previsto dall’art. 57 del codice di Deontologia Medica.

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Le responsabilità del consulente

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Esiste, poi, la condotta contemplata dall’art. 381 c.p., del consulente tecnico di parte

che, con dolo, dinanzi l’autorità giudiziaria, assume (non è necessario che l’opera venga poi

effettivamente prestata), personalmente o per interposta persona, il patrocinio contemporaneo

o successivo di più parti pur solo formalmente contrastanti (anche se ciò non comporti alcun

nocumento per le parti).

Il codice prevede, per aver assunto contemporaneamente la consulenza di parti

contrarie, la condanna all’interdizione temporanea dai pubblici uffici (ex art. 383 c.p.) e dalla

professione (ex. art. 31 c.p.).

Alterare dati provati a favore del proprio assistito per far credere vero ciò che è falso e

falso ciò che è vero, non rappresenta fedeltà alla parte, ma le considerazioni del consulente

tecnico di parte possono trovare spazio laddove i dati risultano incerti oppure nella certezza

del dato sussistono margini per formulare valutazioni in parte divergenti.

Il consulente di parte è passato dalla assistenza alla partecipazione alla perizia come

previsto dall’art. 230 c.p.p., viene investito del dovere di collaborare alla ricerca della verità

e, quindi, di sottoporre le proprie istanze, dubbi e incertezze al perito.

In tal senso, il Codice di Deontologia medica, (art.64) non fa alcuna distinzione tra

consulenti tecnici d’ufficio, periti e consulenti tecnici di parte.

Il Codice di Deontologia medica, a tal proposito, prescrive la consapevolezza delle

proprie responsabilità peritali; l’obbligo di soddisfare le esigenze di giustizia attinenti al caso

specifico; il rigore della verità scientifica; il rispetto dei diritti della persona; l’osservanza del

codice deontologico; l’obbligo di astenersi nei casi inerenti una persona assistita.

Ciò nondimeno, uno stesso fenomeno biologico potrà trovare interpretazioni e valenze

giuridiche diverse, pur rimanendo i consulenti fedeli agli interessi delle parti.

Il consulente tecnico di parte quando assume l’incarico professionale si impegna ed

obbliga a tenere un comportamento diligente ma non può assicurare anche il raggiungimento

di un risultato; in altre parole questi assume una obbligazione di mezzi e non di risultati e tale

obbligazione gli dà diritto al compenso anche nella ipotesi in cui il risultato per cui era stata

predisposta la consulenza non sia raggiunto.

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I Giudici di legittimità hanno sancito, difatti, che “poiché l’obbligazione del consulente

tecnico di parte è di mezzi e non di risultato, il compenso gli è dovuto anche in caso di esito

negativo della lite: né è giustificato il rifiuto del compenso se egli abbia formulato

conclusioni contrarie all’interesse del cliente per non aver voluto trasgredire norme di legge,

dell’etica in generale e dell’etica professionale” (Cass. Sez. II, 21 agosto 1985, n. 4460).

L’attività del consulente di parte, risulta, comunque, subordinata alle decisioni del terzo

giudicante, non potendo, perciò garantire un risultato positivo nell’interesse del proprio

assistito.

Non a caso più di 2000 anni fa veniva saggiamente affermato: “habent sua sidera lites”!

(ogni controversia segue il suo fato!)

Il consulente tecnico di parte, non potendo garantire il risultato preteso dalla parte, non

potrà essere considerato inadempiente nel caso di mancata realizzazione dello stesso.

Allorché l’interesse dell’assistito, nel conferire l’incarico, sia “quello d’ottenere dal

tecnico gli elementi di valutazione necessari ed i suggerimenti opportuni onde poter adottare

consapevoli decisioni a seguito d’un apprezzamento ponderato di rischi e vantaggi” (Cass.,

14 novembre 2002, n. 16023), ci si domanda se l’attività del consulente tecnico possa, in tal

senso, equipararsi a quella del procuratore legale per quanto attiene all’obbligo di ottenere un

risultato positivo.

In tale ottica il consulente tecnico di parte deve fornire una valutazione in linea con le

conoscenze scientifiche e le leggi assicurando al proprio cliente un elaborato peritale ben

impostato e, almeno in linea di principio, condivisibile dal magistrato.

Tipico esempio è costituito dal caso in cui un soggetto abbia fatto affidamento su un

elaborato peritale di parte, e sulle conclusioni in esso riportate, ed abbia intentato una causa

di responsabilità professionale medica per poi vedersi rigettare la domanda in quanto

l’elaborato peritale era del tutto sfornito di supporti tecnico scientifici tali da supportare la

domanda stessa oppure il caso in cui, in materia di Responsabilità Civile Automobilistica,

sulla scorta di una specifica previsione di gravità del danno da parte del consulente il

danneggiato proponga (ex artt. 139 e 149 del Codice delle Assicurazioni) domanda di

risarcimento ad assicuratore diverso da quello tenuto vedendosi rigettata integralmente nel

merito la propria domanda.

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La presunzione di scarsa affidabilità da cui, purtroppo soventemente, consegue una

valutazione negativa della consulenza di parte, non trova riscontro nei codici deontologici e

nei giuramenti di rito che, al contrario, ne accrescono in misura consistente l’attendibilità,

proprio attraverso la spontanea assunzione da parte del Consulente Tecnico di Parte di livelli

di responsabilità prossimi a quelli del perito/consulente tecnico d’ufficio.

In proposito, tra le altre, Cass. Sez. II, 19 maggio 1997, n. 4437: “La perizia giurata

depositata da una parte non è dotata di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il

consulente asserisce di aver accertato. Non essendo prevista dall’ordinamento la

precostituzione fuori del giudizio di un siffatto mezzo di prova, ad essa si può solo

riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui

apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, ma della quale

non è obbligato in nessun caso a tenere conto” e Cass. Sez. II, 29 agosto 1997, n. 8240:

“Poiché la consulenza stragiudiziale è una semplice allegazione difensiva, di carattere

tecnico, il giudice di merito può disattendere le conclusioni in essa contenute senza obbligo

di analizzarle e confutarle, e senza perciò incorrere in vizio di motivazione, non trattandosi di

circostanze acquisite alla causa attraverso prove orali o documentali”.

Il consulente tecnico di parte, in definitiva, deve impegnarsi a svolgere la sua funzione

applicando con esattezza quanto previsto dalle tecniche di medicina legale e ciò con la

massima professionalità al solo fine di produrre strumenti di assistenza tecnico –

professionali di alta qualità e finalizzati alla ricerca ed accertamento della verità.

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Bibliografia

• Gennaro Brescia, Manuale del perito e del consulente tecnico nel processo civile e penale,

Maggioli Editore, Rimini 2007.

• Ruggero Giannini, Francesco Terranova, Il consulente tecnico d’ufficio e di parte, Ed.

Legislazione Tecnica, Roma 2006.