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Fabio Colonnese e Marco Carpiceci. John Ruskin e la via dei colori, Colore e Colorimetria. Contributi Multidisciplinari. Vol. X A. Edito da Maurizio Rossi e Veronica Marchiafava. Atti della X Conferenza del Colore. Genova, Settembre 2014. Roma: Maggioli Editore, 2014, pp. 852-862. ISBN 9788891604378. 1 John Ruskin e la via dei colori Marco Carpiceci, Fabio Colonnese Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura Sapienza Università di Roma [email protected], [email protected] 1. Introduzione Il tema del colore, del colore come fenomeno scientifico da classificare e come tecnica da padroneggiare per la registrazione visiva dei fenomeni naturali, appassiona e accompagna John Ruskin per tutta la vita. Durante i suoi lunghi viaggi attraverso l’Europa continentale egli ha l’occasione di visitare i luoghi dipinti da altri artisti prima di lui e di sperimentare e perfezionare la tecnica dell’acquarello con soggetti architettonici e paesaggistici immortali. Proprio nel corso di questi viaggi, e in particolare durante il suo soggiorno italiano del 1841-42, egli gradualmente riorienta la sua formazione verso una funzione critica ed educativa, imparando ad utilizzare le sue doti artistiche per raccogliere una documentazione obiettiva dell’architettura e dell’arte in vista di una sua possibile divulgazione. Tale pratica lo conduce a cercare strumenti per documentare l’ambiente ben oltre il semplice disegno: si dedica a raccogliere campioni, a fare calchi, ad acquistare dagherrotipi e perfino a colorarne alcuni per catturare informazioni cromatiche su immagini formalmente irreprensibili. Il suo utilizzo pioneristico e poliedrico della neonata fotografia è sottolineato, tra gli altri, dai Fratelli Alinari che, per promuovere il loro progetto di
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John Ruskin e la via dei colori

Feb 20, 2023

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Fabio Colonnese e Marco Carpiceci. John Ruskin e la via dei colori, Colore e Colorimetria. Contributi Multidisciplinari. Vol. X A. Edito da Maurizio Rossi e Veronica Marchiafava. Atti della X Conferenza del Colore. Genova, Settembre 2014. Roma: Maggioli Editore, 2014, pp. 852-862. ISBN 9788891604378.

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John Ruskin e la via dei colori

Marco Carpiceci, Fabio Colonnese Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura

Sapienza Università di Roma [email protected], [email protected]

1. Introduzione Il tema del colore, del colore come fenomeno scientifico da classificare e come tecnica da padroneggiare per la registrazione visiva dei fenomeni naturali, appassiona e accompagna John Ruskin per tutta la vita. Durante i suoi lunghi viaggi attraverso l’Europa continentale egli ha l’occasione di visitare i luoghi dipinti da altri artisti prima di lui e di sperimentare e perfezionare la tecnica dell’acquarello con soggetti architettonici e paesaggistici immortali. Proprio nel corso di questi viaggi, e in particolare durante il suo soggiorno italiano del 1841-42, egli gradualmente riorienta la sua formazione verso una funzione critica ed educativa, imparando ad utilizzare le sue doti artistiche per raccogliere una documentazione obiettiva dell’architettura e dell’arte in vista di una sua possibile divulgazione. Tale pratica lo conduce a cercare strumenti per documentare l’ambiente ben oltre il semplice disegno: si dedica a raccogliere campioni, a fare calchi, ad acquistare dagherrotipi e perfino a colorarne alcuni per catturare informazioni cromatiche su immagini formalmente irreprensibili. Il suo utilizzo pioneristico e poliedrico della neonata fotografia è sottolineato, tra gli altri, dai Fratelli Alinari che, per promuovere il loro progetto di

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Fabio Colonnese e Marco Carpiceci. John Ruskin e la via dei colori, Colore e Colorimetria. Contributi Multidisciplinari. Vol. X A. Edito da Maurizio Rossi e Veronica Marchiafava. Atti della X Conferenza del Colore. Genova, Settembre 2014. Roma: Maggioli Editore, 2014, pp. 852-862. ISBN 9788891604378.

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documentazione del patrimonio italiano, citano l’impegno di Ruskin che “in un suo discorso intorno all'educazione artistica letto a Liverpool nell'adunanza per l'avanzamento della scienza sociale (…) proponeva appunto di far copiare ai giovani che studiano le arti del disegno alcuni di questi lavori fotografici degli Alinari esaltandone la precisione e la bellezza.”1 In questa sua continua attività di documentazione e di mediazione culturale, Ruskin non perde mai di vista la finalità pedagogica rivolta soprattutto agli strati medio-bassi della popolazione, nella convinzione che la pratica artistica possa costituire una straordinaria leva per attivare il potenziale sociale e spirituale dei suoi connazionali. È convinto che “le anime pure e riflessive sono proprio quelle che di più amano il colore”2 e che in qualche modo proprio l’educazione al colore sia una strada per l’innalzamento delle coscienze. 2. “You ought to love colour” Per comprendere l’autorità e l’influenza che John Ruskin esercitava come critico d’arte su intellettuali e artisti britannici già alla metà dell’Ottocento, è sufficiente citare l’episodio di Sunset from the Convent of Sant'Onofrio on the Janiculum, che il pittore Robert Davids aveva dipinto a partire da diversi schizzi e appunti cromatici presi durante il suo soggiorno romano tra il 1853 e il 1854. Il panorama della città di Roma venne esibito alla London Royal Academy nel 1854 e fu salutato come “la più grandiosa opera d’arte moderna dei nostri tempi” dal Principe Albert. Ciò nonostante il quadro venne criticato da Ruskin per l’incapacità del pittore di cogliere i veri colori del cielo e dei pini di Roma, che egli aveva potuto apprezzare nel suo viaggio di dodici anni prima. Non sappiamo se tale critica fosse obbiettivamente fondata o se semplicemente non si potesse ignorare l’autorità di Ruskin; sappiamo, però, che Davids, che pure era di 23 anni più vecchio del critico, ne fu impressionato tanto da ritirare il quadro dalla mostra e da lavorarci per altre tre settimane, fino ad ottenere una maggiore

1 Disegni di Raffaello e d’altri maestri esistenti nelle Gallerie di Firenze, Venezia e Vienna riprodotti in fotografia dai Fratelli Alinari e pubblicati da L. Bardi in Firenze, in “Rivista di Firenze e Bullettino delle Arti del Disegno”, a. II, vol IV, Firenze, 1858. Per una disamina complessiva del tema, cfr. M. Carpiceci, Fotografia digitale e architettura, Aracne, 2012. 2 J. Ruskin, Le Pietre di Venezia, Rizzoli, 1987, p.199.

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corrispondenza tra i suoi colori e quelli della città eterna (ed una più compiaciuta critica di Ruskin).3 D’altro canto la scuola inglese di pittura era particolarmente rinomata per la padronanza del colore e soprattutto la prima parte dell’età vittoriana è caratterizzata da un vivace interesse per la sperimentazione cromatica da parte di pittori e scienziati, tanto che John Gage sostiene che “durante la vita di J. M. W. Turner (1775-1851) lo studio del colore nella pittura subì una delle più profonde rivoluzioni nella storia dell’arte occidentale.”4 Uno dei motori dell’interesse di Ruskin nei confronti delle proprietà percettive dei colori è senza dubbio il fascino delle opere di Turner, che egli conosce a Oxford poco prima di partire per il suo primo viaggio in Italia e col quale resterà legato tutta la vita. Dalle pagine di Modern Painters (1843-60), scritto anche per difendere il talentuoso amico dalle tante voci critiche, che proprio nella tavolozza del pittore trovavano i principali motivi di contrasto col gusto comune, emerge una concezione empirista del colore; Ruskin lo considera come una “qualità secondaria”, che cambia a seconda di chi lo guardi, sulla falsariga delle posizioni espresse dal filosofo Locke. Così “l’artista che sacrifica o dimentica una verità di forma per una verità di colore, sacrifica il definito a favore dell’incerto, e l’essenziale a favore dell’accidentale.”5 A tale posizione contribuisce certo la lettura della Farbenlehre (1808-10) di Wolfgang Goethe, tradotto in inglese proprio nel 18406, che aveva avuto senz’altro il merito di spostare il baricentro della discussione dall’Optiks (1704) di Newton ai fenomeni osservabili con i propri occhi e alle associazioni semantiche che producono. Ruskin è però piuttosto critico verso le posizioni del tedesco. Oltre che alla “soggettività del colore”, egli si oppone alle proprietà intrinseche dei colori che “allontanerebbero” o “avvicinerebbero” percettivamente gli oggetti e a quelle psicologiche, pure introdotte da Goethe (anche se poi ricorrerà spesso ad associazioni e metafore per spiegare le proprie sensazioni di osservatore).

3 Cfr. V. Curzi, Roma musa degli artisti: pittori stranieri nell'Urbe tra Seicento e Ottocento, Viviani, 2008, p.166. 4 J. C. Gage, Color in Turner; Poetry and Truth, Praeger, 1969, p.11. 5 J. Ruskin, E. T. Cook e A. Wedderburn, Complete Works, vol.5, George Allen, 1903, p.162. 6 Goethe, J. W., Charles Lock Eastlake, Goethe's Theory of Colours; With Notes by Charles Lock Eastlake, J. Murray, 1840.

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È interessante notare pure che le sue descrizioni delle opere di Turner non sono obbiettive ma sono la descrizione della propria personale esperienza della natura. “Nella trattazione di Modern Painters, le immagini di Turner sono le approssimazioni visuali più vicine possibili alla effettiva percezione umana della natura, così come esperita da Ruskin stesso.” 7 Per Ruskin vedere è credere e dipingere non è semplicemente dipingere ma è un atto di determinazione delle certezze del mondo esterno.8 Anzi, “l’intera potenza tecnica della pittura dipende dal nostro recupero di quella che può essere chiamata l’innocenza dell’occhio: vale a dire, quella sorta di percezione infantile di queste piatte chiazze di colore per quello che sono, senza alcuna coscienza di ciò che significano – come le vedrebbe un cieco a cui fosse improvvisamente donata la vista.”9 Questo fatto sarebbe testimoniato dal fatto che “Cinesi e Indiani e altre nazioni semi-civilizzate riescono a colorare meglio di noi (…). È loro gloriosa ignoranza di tutte le regole che glielo consente; i puri e veri istinti hanno gioco e fanno il loro lavoro.”10 È sufficiente riportare un brano del 12 maggio 1841 estratto dai suoi diari di viaggio per illuminarci sulla importanza che il colore riveste non solo nelle sue pratiche artistiche ma nel suo sguardo e nei suoi pensieri: “che incantevole pomeriggio ho trascorso ieri a San Marco, cercando di cogliere il colore particolare della chiesa! Era un tale piacere fissare lo sguardo su quei dettagli meravigliosi e singolari con la quieta attenzione del disegnatore, riposandomi di quando in quando per dare un’occhiata alla vasta piazza ed al vivido cielo serale, al rilievo rosseggiante di San Giorgio e al mare turchino, mentre persone dallo sguardo luminoso mi passavano accanto. Mai in tutta la mia vita ho realizzato dei disegni così splendidi (…). Quando poi ho lasciato la piazza, prima del tramonto, o piuttosto al far della sera, c’era una luce quale neppure Turner nei suoi momenti più esaltati sarebbe stato in grado di rappresentare.”11 Le sue analisi veneziane ci offrono molti esempi delle sue capacità di associare ed intrecciare fenomeni naturali, artistici e sociali. Così dalla sequenza dei profili dei capitelli di una medesima “famiglia” (fig.2.a), 7 R. Teukolsky, The Literate Eye: Victorian Art Writing and Modernist Aesthetics, Oxford University Press, 2009, p. 62. 8 Ivi, p. 40. 9 R. L. Herbert, The Art Criticism of John Ruskin, Anchor Books, 1964, VIII, p. 2. 10 Ruskin, Cook e Wedderburn, Complete Works, vol. 5, p. 123. 11 J. Ruskin, Diario Italiano 1840-41, Mursia, p. 129.

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traspare l’aspirazione ad individuare delle sequenze ritmiche che permettano di ricavare leggi di crescita e variazione del tutto analoghe a quelle che Ruskin vedeva e disegnava dagli elementi vegetali o minerali. Nella sua dedizione al disegno di paesaggio Ruskin sembra quasi raccogliere l’immaginifico invito dello stesso Leonardo nei confronti dell’opera minuta della Natura. “Dovresti guardare alcuni muri macchiati di umidità o pietre di colore ineguale. Se devi inventare uno scenario, riuscirai a vedere in queste figurazioni (…) un’infinità di cose che sarai capace di ridurre alla loro forma completa e corretta.”12 Ma se il genio toscano vi cercava la fonte d’ispirazione per composizioni figurative epiche e spettacolari, il britannico vi si dedica con l’intento di scoprire le leggi meccaniche ed estetiche della geologia, quasi a confermare le potenzialità della pittura astratta ed informale intuita da Turner. Le rocce svizzere più volte schizzate (fig.2.d) costituiscono in qualche modo il riferimento visivo delle sue indagini architettoniche: così come si esalta di fronte alle variegate stratificazioni alpine e alle invisibili millenarie frizioni che ne hanno determinato la forma, allo stesso modo Ruskin addita le costruzioni bizantine e romaniche per la infinita diversità delle loro pietre e delle loro lavorazioni, che a suoi occhi sono l’indice dell’espressione artistica di un intero popolo e, allo stesso tempo, della specifica visione artistica e del lavoro del singolo individuo (fig.2.c). Analogamente la variazione, il segno incerto, l’imperfezione stessa diventano il segnale “della vita del corpo umano, cioè a dire, di uno stato di sviluppo e mutamento (…) e in tutte le creature viventi si riscontrano irregolarità e manchevolezze che non sono soltanto segno di vita ma anche di bellezza.”13 3. “On colour and composition” “Se dovessi scendere in dettaglio rispetto alla colorazione”, scrive Ruskin in Elements of Drawing (1850), “che è il principio e la fine del lavoro del pittore, avrei bisogno di un’opera in tre volumi invece che di queste tre lettere.”14 Ed effettivamente sfogliando le pagine di quello che resta il suo più celebre manuale, non solo la terza letter (On colour and composition) ma gran parte del libro ruota attorno alle questioni cromatiche: basti pensare 12 Leonardo da Vinci, Libro di pittura, f. 35 v. (Modo d'aumentare e destare l'ingegno a varie invenzioni). 13 Ruskin, Le Pietre di Venezia, p. 213. 14 J. Ruskin, The Elements of Drawing & the Elements of Perspective, Dent, 1857, p. 115.

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che la parola colore (e suoi derivati) compare ben 597 volte in 204 pagine: quasi tre volte per pagina! In Elements ritroviamo la stessa intensità usata per descrivere un’entusiasta rivelazione sui suoi diari o per descrivere i quadri di Turner: Ruskin striglia principianti e professionisti a sentire “il dovere di amare il colore, e pensare che niente può essere bello o perfetto senza di esso; e se veramente lo ami, e non sei banalmente desideroso di colorare perché pensi che la pittura sia migliore del disegno, allora c’è qualche possibilità che tu possa colorare bene. Non sperare mai di produrre qualcosa di più di un piacevole promemoria, o qualche utile e suggestivo schizzo a colori, a meno che tu non intenda divenire pienamente un artista. Puoi, nel tempo che gli altri interessi ti lasciano a disposizione, produrre disegni che siano completi, belli e ben eseguiti in chiaroscuro. Ma colorare bene, richiede un’intera vita. Non si può fare in modo più sbrigativo. La difficoltà di fare bene è aumentata – non del doppio o del triplo ma di migliaia di volte – e moltiplicata pressoché all’infinito dal fatto evidente che, mentre la forma è assoluta, così che è possibile dire nel momento stesso in cui disegni se una linea è giusta o sbagliata, il colore è completamente relativo (…) così che ogni singolo tocco deve essere disposto non guardando al suo effetto in quel momento ma all’effetto che potrà avere in futuro.”15 Il colorista è quindi atteso da una vera e propria “missione”: un compito che toccherà ogni aspetto della sua vita, essendo il colore connaturato pressoché ad ogni esperienza visiva, e in cui sarà chiamato a sperimentare e gradualmente padroneggiare la natura relativa, molteplice e complessa del colore. Così l’iniziale diffidenza che nei suoi primi scritti Ruskin mostra nei confronti del colore, si declina in una sorta di “via del colore” dalle imprevedibili venature spirituali e religiose. Il colore sembra assumere i connotati di un’apparenza affascinante e pericolosa assieme, una sorta di “tentazione” che può allontanare l’uomo dalla retta via. “Fai attenzione a non farti persuadere dall’idea che il colore possa favorire o mostrare una forma; il colore maschera sempre la forma, ed è concepito per fare ciò” 16 ossia per scomporre l’oggetto in forme e superfici. Per assicurare la supremazia della forma sul colore, Ruskin suggerisce di considerare forma e colore come elementi da studiare separatamente, realizzando prima un disegno accurato del soggetto e, a parte, un

15 Ivi, pp. 113-114. 16 Ivi, p. 137.

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memorandum colorato, che sia anche del tutto privo di forma ma fedele nelle tinte e finalizzato allo scopo. “Se vuoi la forma del soggetto, disegnalo in bianco e nero. Se vuoi il suo colore, cogli il suo colore e sii certo di possederlo.” 17 La disciplina del colore richiede quindi prontezza e decisione, un Carpe Diem che ricorda l’arte della spada. “Non c’è nessun modo o metodo di colore che ammetta alterazione o pentimento; devi coglierlo subito o mai più; avresti più possibilità di prendere al volo un proiettile di fucile per mandarlo dritto laddove vada storto che di recuperare una tinta ormai stesa.”18 4. Dei colori e della visione Nel paragrafo 156 Ruskin, forse inconsapevolmente, accenna al problema dilagante dei colori sintetici che introduce due fattori notevoli del mondo della pittura, uno positivo e uno negativo. La chimica industriale, infatti, producendo in quegli anni sempre maggiori sfumature, sta ampliando all'infinito la tavolozza dei pittori. “Chi desideri iniziare a colorare sul serio, farebbe bene a procurarsi immediatamente Chromography di Field”, segnala in nota Ruskin, “ma non badi a quanto riporta in merito a principi o armonie di colore; ma solo alle proposizioni di uso pratico sui pigmenti e le loro reciproche operazioni durante la miscelazione.” 19 Ruskin rimanda a Chromography (1841) per mere questioni pratiche, visto che George Field era riuscito a catalogare e distinguere con seducenti aggettivi ben 308 diverse tinte. Vent’anni dopo, di fronte al proliferare dei nuovi coloranti sintetici, il francese Eugène Chevreul tenterà un’ultima disperata impresa tassonomica e linguistica arrivando a contare, nel suo enciclopedico Des couleurs et de leurs applications aux arts industriels (1864) ben 14.400 tonalità cromatiche materiali 20 e contribuendo alla diffusione dei cercles chromatiques come strumenti per valutazione degli effetti di contiguità e contrasto.

17 Ivi, p. 115. 18 Ivi, p.119. 19 Ivi, p.121, nota 2. Nicolello, storico traduttore italiano di Ruskin, suggeriva invece la lettura di J. G Vibert, La science de la peinture, Societé d'éditions littéraires et artistiques, 1902. Cfr. J. Ruskin, Elementi del disegno e della pittura, traduzione italiana da l’ultima edizione inglese, con prefazioni e note di E. Nicolello, Fratelli Bocca Editori, 1924, p. 135, n. 2. 20 M. Brusatin, Storia dei colori, Einaudi, 1983, pp. 6-7.

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D'altro canto la mancata sperimentazione provocherà non pochi problemi di persistenza cromatica e di imprevisto degrado. Ruskin, imputando il problema del degrado alla purezza del colore, prescrive di macinare ogni mattina solo la quantità di ciascun colore che ti potrà occorrere: “lava piatto e tavolozza ogni sera, per poter sempre avere all'occorrenza il colore puro e pulito (...). I due migliori coloristi moderni, Turner e Rossetti non ci offrono, mi duole il dirlo, una conferma di questo precetto, con l'esempio loro. Turner e Rossetti erano, al riguardo, trascurati fino all'estremo; e l'effetto di questa loro trascuratezza fu, per quanto riguarda Turner, che i colori si alterarono in tutti i suoi quadri ed in molti dei suoi acquarelli; quanto a Rossetti, sebbene i suoi colori non siano mutati, egli si trovava costretto talvolta ad abbandonare a metà il lavoro già fatto, per ricominciare da capo.”21

Fig. 1 - William Bell Scott; John Ruskin; Dante Gabriel Rossetti. Fotografia di William Downey, per W. & D. Downey, albumen cabinet card, 29 June 1863 (93 mm x 150 mm) © National Portrait Gallery, London.

21 Ruskin, The Elements, p. 116.

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E ancora a riguardo, il critico consiglia di evitare la sovrapposizione per trasparenza tipica della tecnica dell'acquarello che egli predilige, forse per evitare eventuali stratificazioni tra tinte “buone” e tinte “cattive”. Infatti egli sconsiglia il dilavamento e promuove invece la de-saturazione del colore mediante il bianco di Cina (body-colour o guazzo). “Per attenuare i colori mescolali con del bianco cinese ben tritato, invece di aggiungervi dell'acqua. Potrai così modellare le masse più comodamente e maneggiare i colori con semplicità; essi non bagneranno troppo la carta e potrai proseguire tranquillamente il lavoro e inseguire la forma delle nuvole di passaggio e quelle altre sembianze fuggevoli e delicate, che altrimenti sarebbero impossibili da fissare se non con gran dispendio di tempo.”22 E a sottolineare questa sua predilezione, poco dopo aggiunge che, “sebbene il colore a corpo appaia alquanto terroso e ruvido, esso è, in uno schizzo, infinitamente più somigliante al colore della Natura, che non il color trasparente.”23 Nei paragrafi seguenti Ruskin continua a sostenere l'utilizzo, per quanto possibile, di colori puri, evitando in assoluto la sovrapposizione di tinte, specie per correggere una tinta considerata errata. “Se tu ritocchi o tormenti il tuo lavoro o, per qualche malaugurato accidente, mescoli insieme la tinta che è disotto con quella che è di sopra, tutto il lavoro è irreparabilmente perduto. Ricomincia lo studio da capo se ne hai voglia; o altrimenti getta quello fatto al fuoco; ma se speri di porvi rimedio sarà tempo perso.”24 Ruskin mette in guardia il principiante contro la diffusa tendenza a ridurre la palette di colori con il miraggio di poterli ricavare per miscelazioni successive dai soli primari: “avere un sufficiente numero di tinte già preparate, senza doverne cercare la combinazione, produce un gran risparmio di tempo.” 25 Egli elenca 24 tinte da disporre in una precisa sequenza lungo i lati di una matrice quadrata, allo scopo di sperimentare le combinazioni di due colori ricavabili alle intersezioni di righe e colonne e di familiarizzare con i risultati (fig.3.a). “Questa operazione ti darà un’idea generale dei caratteri delle miscele di due soli colori, ed è meglio nella

22 Ivi, pp. 116-117. 23 Ivi, p. 117. 24 Ivi, p. 121. 25 Ibidem.

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pratica limitarsi più che è possibile a queste sole ed ottenere le tinte più complicate o sovrapponendo un terzo colore sopra la tinta precedentemente ottenuta oppure passando il terzo colore negli interstizi di detta tinta.”26 Ma l’esercizio fondamentale che Ruskin suggerisce ai suoi devoti neofiti è finalizzato alla visione e all’identificazione dei colori e richiede solo un semplice supporto cartaceo. “Mettiti ad una finestra dove non batta il sole e che sia rivolta verso la campagna: abbozza rapidamente i contorni di questo paesaggio; poi prendi un cartoncino bianco e ritaglia un foro grande come un pisello; e considerando che R sia la stanza, ad la finestra e tu sia seduto in a, tieni il cartoncino appena fuori dalla finestra (…). Così tu potrai osservare il paesaggio pezzo per pezzo, attraverso il foro circolare. Poi accanto al foro cerca di riprodurre al meglio le parti più importanti del paesaggio, mescolando le tinte con del bianco. Ottenuta la tinta giusta, riportane un campione lungo il bordo del foglio scrivendoci sotto”27 a quale parte corrisponde. Il cartoncino attorno al foro potrà poi essere ripulito col pennello bagnato ed essere utilizzato per identificare una nuova tinta e così via, fino a che i principali colori del paesaggio non siano stati riportati sullo schizzo per poter essere sfumati e armonizzati a occhio. Altrimenti si potrà utilizzare una striscia di cartoncino con fori allineati da far scorrere in corrispondenza del foglio forato e sulla quale segnare i colori individuati (fig.3.b-c). Tale esperimento metterà in evidenza non solo “la brillantezza inimitabile del chiarore del cielo e delle cose illuminate dal sole”28 ma anche la relatività dei concetti stessi di chiaro e di scuro, nei quali svolge un ruolo attivo e silenzioso la nostra esperienza, visto “che giudichiamo l’oscurità di un oggetto più per come lo conosciamo che per ciò che effettivamente vediamo.”29

26 Ivi, p.122. Le 24 tinte sono: “Cobalto, Smalto, Blu Anversa, Blu di Prussia, Nero, Gommagutta, Verde Smeraldo, Verde di Hooker, Giallo limone, Giallo cadmio, Giallo ocra, Ocra romano, Siena naturale, Siena bruciato, Rosso chiaro, Rosso indiano, Arancione di Marte, Vermiglio (o Cinabro), Carminio, Carminio viola, Bruno madder, Terra d’ombra bruciata, Bruno Van Dyck, Seppia”. Ibidem. Cfr. fig.3.a. 27 Ivi, pp. 122-123. 28 Ivi, p. 123. 29 Ibidem.

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Fig. 2 – John Ruskin (da sinistra in alto): a. I quattro ordini floreali veneziani, da Stones of Venice, Works, X, 164; b. The Elements of Drawing, 1857, p.122; c. Part of the Façade of the Destroyed Church of San Michele in Lucca (part.), 1845, Ashmolean Museum, Oxford; d. Fragments of the Alps (part.) 1854-6, Harvard Art Museum, Harvard.

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Fabio Colonnese e Marco Carpiceci. John Ruskin e la via dei colori, Colore e Colorimetria. Contributi Multidisciplinari. Vol. X A. Edito da Maurizio Rossi e Veronica Marchiafava. Atti della X Conferenza del Colore. Genova, Settembre 2014. Roma: Maggioli Editore, 2014, pp. 852-862. ISBN 9788891604378.

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5. Conclusioni “Qui, allora, dato che non posso dirvi altro senza illustrazioni colorate, debbo lasciarvi seguire il soggetto da soli, col solo supporto dei disegni ad acquarello che vi sono accessibili.” 30 Nelle parole con cui Ruskin abbandona la trattazione specifica sul colore per passare alle leggi della composizione, si legge la frustrante difficoltà di insegnare il colore nella assenza di illustrazioni che accompagnino i precetti verbali. D’altro canto gli esercizi che egli suggerisce ai suoi lettori costituiscono un significativo supporto ad un apprendimento graduale e scientifico della materia. L’idea di poter affrontare la riproduzione cromatica di un paesaggio separando metodologicamente il problema della forma dal problema del colore ricorda il cinico realismo immortalato nel dividi et impera di cesariana memoria ma è probabilmente figlio proprio dell’esperienza della fotografia in bianco e nero e della sua capacità di offrire un supporto visivo morfologicamente e proporzionalmente stabile ad elaborazioni cromatiche successive. Il fatto stesso di proporre concetti e procedimenti sotto forma di diagrammi e tabelle e di utilizzare lettere per indicare tinte, spazi, oggetti e distanze (fig.2.b) conferisce un tono scientifico a tutta la trattazione, nonostante essa sia per lunghi tratti discorsiva e asistematica. Lo stesso si può dire della attenzione rivolta ai paralleli progressi della ricerca scientifica, esplicitata anche dal riferimento diretto al testo di Field. Eppure in generale Ruskin dedica molte energie a mettere in guardia contro luoghi comuni e cattivi maestri. Ai suoi occhi, i libri degli artisti servono solo “per favorire pigri dilettanti ad acquisire una abilità vistosa, e sono pieni di precetti e principi che possono, nella maggior parte dei casi, essere interpretati esattamente come il loro contrario.” 31 Egli appare critico sia verso i canoni della tradizione pittorica rinascimentale, che verso le ricerche contemporanee ispirate alle proprietà ottiche dei colori. Nella sua conferenza The General Principle of Colour (December 9th, 1854) Ruskin sostenne che certe “regole non potrebbero insegnare a nessuno a colorare e l’artista che si sottopone alla legge dei quei primari è perduto per sempre.”32 Questa sorta di anatema contro l’uso troppo restrittivo che Owen Jones e altri artisti della comunità di South Kensington facevano delle ricerche di Field è solo un esempio dell’atteggiamento critico che si ritrova in molte pagine del manuale. 30 Ruskin, The Elements, p. 141. 31 Ibidem. 32 Ruskin, Cook e Wedderburn, Complete Works, vol. 8, p. 502.

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Fabio Colonnese e Marco Carpiceci. John Ruskin e la via dei colori, Colore e Colorimetria. Contributi Multidisciplinari. Vol. X A. Edito da Maurizio Rossi e Veronica Marchiafava. Atti della X Conferenza del Colore. Genova, Settembre 2014. Roma: Maggioli Editore, 2014, pp. 852-862. ISBN 9788891604378.

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Fig. 3 – (dall’alto): a. Ricostruzione parziale della matrice cromatica proposta da Ruskin per la miscelazione dei 24 colori di base (acquarello degli autori); b. strumenti per il riconoscimento e la riproduzione cromatica; c. esempio di utilizzo della maschera di individuazione (abbiamo interpretato le indicazioni di Ruskin ritagliando una fascetta dentata che scorre lungo una guida orizzontale per inquadrare il foro di lettura, che ha la dimensione di una punta di matita, e appuntarvi la tinta e il codice corrispondente alla matrice di 276 sfumature).

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Ruskin condanna la facile teorizzazione di taluni artisti in cui riscontra l'incoerenza nella loro pratica. D’altro canto, nel suo intento didattico verso “principianti” e “dilettanti”, che distingue precisamente e volutamente, egli mostra il buon senso dello sperimentatore, che si apre alle nuove idee ma che contemporaneamente lega le affermazioni ad una preventiva serie di verifiche pratiche. In questa prassi egli sostanzia il suo comportamento obbiettivo e lucido nel trasmettere l'arte non come nebbiosa sapienza di pochi eletti ma come ricerca di un ponte tra materia e spirito. Così Ruskin è tanto attento a demolire le false verità tanto diffuse nei manuali di disegno e pittura quanto è pudico a proporne di proprie. “Si potrebbe sostenere che un colore più tenero o pallido possa esprimere più o meno distanza, e un colore più potente o scuro esprima vicinanza; ma anche questo non è sempre vero,”33 così come “è piuttosto inutile ed assurdo aspettarsi aiuto dalle leggi della prospettiva aerea. Cerca gli effetti naturali, e cerca di fissarli più pienamente che puoi, e fedelmente, e non alterare un colore perché non sembra nel posto giusto.”34 Egli preferisce affidare al lettore/allievo il messaggio di credere in ciò che vede, al di là di tutte le teorie e le mode passeggere. In pratica, non esistono regole che non siano quelle dettate dalla percezione di chi osserva e prova a riprodurre il paesaggio. E non sembra essere un problema di spazio o di tempo nel libro quanto di opportunità di lasciare libero ogni individuo di trovare il proprio spazio e tempo per “errare” (in entrambi i sensi del termine), imparare dai propri sbagli e tracciare la propria via. C’è certamente qualcosa di fortemente etico in questa invocazione al rispetto per la disposizione degli elementi naturali e al rifiuto di una ricerca spasmodica di esiti che oggi chiameremmo “fotogenici”; ma c’è soprattutto la convinzione che il risultato finale, il prodotto grafico e pittorico, sia meno importante del processo compiuto per giungervi: sia cioè, meno importante dell’atto del vedere, del riconoscere e documentare e delle sue conseguenze nella coscienza del lettore. In un tale contesto di razionale soggettivismo, è possibile vedere nelle pratiche divisive e scompositive degli esercizi proposti da Ruskin, quei significativi elementi d’influenza sulle successive

33 Ruskin, The Elements, p. 138. “C’è ad ogni modo, penso, una legge sulla distanza che ha qualche senso considerare come una costante: nominalmente, una certa ottusità e pesantezza del colore sono più o meno indicativi della vicinanza. Tutto il colore distante è colore puro”. Ivi, p. 139. 34 Ivi, p. 139.

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esperienze impressionistiche che anni dopo saranno confermati dallo stesso Claude Monet.35 Certamente John Ruskin, introducendo la personale sensibilità religiosa indirizzata alla contingente e squilibrata condizione sociale del suo paese, finisce con l’accentuare le contraddizioni che qualsiasi sistema teorico-critico che abbia l’aspirazione di accordare scienza e arte, incontra, a partire proprio dal conflittuale e indissolubile rapporto tra la definizione scientifica del fenomeno luminoso e l’esperienza quotidiana e artistica del colore. D’altro canto questo è precisamente ciò che ne ha assicurato l’enorme e duratura fortuna in tutti i settori artistici. Nell’ambito della sua ampia dottrina, l’insegnamento del colore, attraverso una connotazione religiosa dell’atto del vedere e del colorare, appare a Ruskin come un momento chiave per educare l’uomo e la donna a cogliere gli infiniti aspetti e differenze del mondo al di fuori di qualsiasi sistema di regole che non sia quello dettato dall’esperienza individuale, sia pure mediata e aiutata da alcuni strumenti ed esperimenti, allo scopo di favorire la sensibilità verso il mondo naturale e verso gli altri componenti della società.

35 Sembra che Monet abbia affermato che il “novanta per cento della Teoria dell’Impressionismo si trova (…) in Elements of Drawings”. Citato in J. Gage, Colour and Culture: Practice and Meaning from Antiquity to Abstraction, Thames and Hudson, 1993, p. 294, n. 130.