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ISBN 978-88-14-18015-6 6 5 1 0 8 1 4 1 8 8 8 7 9 26,00 IVA inclusa 3436-20 GIANLUCA NAVONE INSTRUMENTUM DIGITALE TEORIA E DISCIPLINA DEL DOCUMENTO INFORMATICO Q U A D E R N I D I «S T U D I S E N E S Raccolti da PAOLO NARDI 127 GIANLUCA NAVONE INSTRUMENTUM DIGITALE TEORIA E DISCIPLINA DEL DOCUMENTO INFORMATICO MILANO - DOTT. A. GIUFFRÈ EDITORE - 2012
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Instrumentum digitale. Teoria e disciplina del documento informatico

Mar 28, 2023

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Page 1: Instrumentum digitale. Teoria e disciplina del documento informatico

ISBN 978-88-14-18015-6

6510814188879

€ 26,00 IVA inclusa3436-20

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Q U A D E R N I D I «S T U D I S E N E S I»

Raccolti da PAOLO NARDI

127

GIANLUCA NAVONE

INSTRUMENTUM DIGITALETEORIA E DISCIPLINA

DEL DOCUMENTO INFORMATICO

M I L A N O - D O T T . A . G I U F F R È E D I T O R E - 2 0 1 2

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Q U A D E R N I D I «S T U D I S E N E S I»

Raccolti da PAOLO NARDI

127

GIANLUCA NAVONE

INSTRUMENTUM DIGITALETEORIA E DISCIPLINA

DEL DOCUMENTO INFORMATICO

M I L A N O - D O T T . A . G I U F F R È E D I T O R E - 2 0 1 2

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[ISBN 88-14-18015-6]

© Dott. A. Giuffrè Editore, S.P.A. MilanoLa traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (compresi i microfi lm, i fi lm, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i Paesi.

(2012) Tipografi a «PISTOLESI Editrice IL LECCIO srl»53035 Monteriggioni, loc. Badesse (Siena) - Via della Resistenza, 117

COMITATO SCIENTIFICOALBERTO BACCINI - ANDREW ASHWORTH - EMANUELE CASTRUCCI

GIULIO CIANFEROTTI - FLORIANA COLAO - GIANDOMENICO COMPORTIGIOVANNI COSI - PETER DENLEY - ENRICO DICIOTTI - LORENZO GAETA

DENIS GALLIGAN - BERNARDO GIORGIO MATTARELLA - LEONARDO MAZZASTEFANIA PACCHI - VALERIA PIERGIGLI - FRANCESCO PISTOLESI

VITTORIO SANTORO - GIULIANO SCARSELLIEMANUELE STOLFI - MARCO VENTURA

DIRETTOREPAOLO NARDI

VICE-DIRETTORESTEFANO PAGLIANTINI

COMITATO DI REDAZIONEROBERTO GUERRINI - PAOLO NARDI - MARIA LUISA PADELLETTI

ANDREA PISANESCHI - EVA ROOK

Il volume è stato sottoposto a referaggio

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A mio padre Alessandro,al papà di Antonellae alle nostre famiglie

«Noi sappiamo ancora pochissimo delle macchine elettroniche; ma quando rifl ettiamo (sono veramente cose, le quali pongono problemi che van-no molto al di là del diritto) che ad esse senza metafora si attribuisce sen-sibilità e memoria, davvero l’avvenire della documentazione può riservarci incredibili sorprese».

(FRANCESCO CARNELUTTI, La fi gura giuridica del notaro,in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, p. 925)

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INDICE SOMMARIO

CAPITOLO PRIMO

INFORMATICA E TEORIA GIURIDICADEL DOCUMENTO

SEZIONE PRIMA

IL DOCUMENTO NEL SISTEMA DELLA PROVA CIVILE

1. Premessa. La lezione, insuperata, di Francesco Carnelutti .......... pag. 001

2. Segue. Il concetto di prova in generale. La distinzione tra prova diretta e prova indiretta ........................... » 005

3. Segue. La distinzione tra prova critica e prova storica. Il concetto di rappresentazione (mezzi di rappresen- tazione personale e mezzi di rappresentazione reale). La prova documentale (in particolare, la nozione di documento come cosa rappresentativa di un fatto) ....... » 009

4. La capacità rappresentativa del documento. L’alterna- tiva tra due differenti nozioni di rappresentazione, nella specie, come elemento statico racchiuso all’interno del documento e come processo dinamico che si svolge nella mente di chi percepisce il documento ........................ » 015

5. Segue. Documenti iconici e simbolici. La rappresenta- zione come organizzazione complessiva di tutti gli elementi presenti sulla superfi cie signifi cante del documento, me- diante la quale il fatto rappresentato viene iconica- mente o simbolicamente “messo in scena” ................... » 021

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VIII SOMMARIO

6. Segue. Documenti (informatici) iconici e forma scritta .. » 028

7. Il documento in senso giuridico. La nozione di docu- mento come cosa rappresentativa di un fatto giuri- dicamente rilevante. Critica ................................... » 036

8. Segue. Il documento come cosa rappresentativa di un fatto rilevante in concreto, ai fini della risoluzione del singolo processo. Confutazione ......................... » 043

SEZIONE SECONDA IL DOCUMENTO INFORMATICO IN CONFRONTO

AI DOCUMENTI ANALOGICI

1. Il corpo del documento. La varietà dei mezzi della rap- presentazione documentale. Fisicità del supporto conte- nente e funzione di perpetuazione del contenuto. La nozione di “supporto durevole” nelle discipline di matrice comunitaria ............................................. » 049

2. Trattamento informatico dell’informazione e fenomeno della “smaterializzazione” del documento. Il quid novi del documento informatico. Tesi che ne individua il tratto specifi co nel difetto del requisito della “leggibi- lità ad occhio nudo”. Critica .................................. » 060

3. Segue. Tesi che individua la nota caratteristica del docu- mento informatico nell’intrinseca delebilità del supporto. Confutazione ...................................................... » 067

4. Segue. Perfetta replicabilità dei contenuti in formato digitale e perdita di corrispondenza tra documento e singolo supporto contenente. Il documento informatico quale bene immateriale ......................................... » 072

5. Ricadute operative dell’immaterialità del documento informatico ........................................................ » 082

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SOMMARIO IX

CAPITOLO SECONDO

LA DISCIPLINA SUL DOCUMENTO INFORMATICOE LE FIRME ELETTRONICHE

SEZIONE PRIMA IL QUADRO NORMATIVO

1. Evoluzione della disciplina nazionale e unionale. Dalla legge “Bassanini I” alla proposta di regolamento euro- peo «in materia di identifi cazione elettronica e servizi fi duciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno».. .......................................................... » 085

2. Sulla (dubbia) conformità del d. lgs. n. 235 del 2010 alla legge di delegazione. ....................................... » 093

SEZIONE SECONDA LE FIRME ELETTRONICHE

1. Premessa. La fi rma elettronica come genere compren- sivo di specie e sottospecie ..................................... » 099

2. Le due specie di fi rma elettronica: avanzata e non avan- zata ................................................................. » 103

3. La fi rma qualifi cata quale sottospecie di fi rma elettronica avanzata ............................................................ » 111

4. La fi rma digitale quale sottospecie (tecnologicamente orientata) di fi rma elettronica qualifi cata................... » 116

5. Segue. I prestatori di servizi di certifi cazione. Tipologie di certifi catori: semplici, qualifi cati ed accreditati ........ » 122

6. Segue. Il sistema di certifi cazione quale nuovo stru- mento di pubblicità legale. ..................................... » 128

SEZIONE TERZA

IL VALORE GIURIDICO DEI DOCUMENTI INFORMATICI

1. Premessa ........................................................... » 139

2. Il documento privo di fi rma elettronica ..................... » 140

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X SOMMARIO

3. Il documento sottoscritto con fi rma elettronica non avanzata ........................................................... » 153

4. Il documento sottoscritto con fi rma elettronica avanzata, ma non qualifi cata ............................................... » 156

5. Il documento sottoscritto con una fi rma digitale o altro tipo di fi rma elettronica qualifi cata ........................... » 168

6. Il documento con fi rma elettronica autenticata ............ » 171

7. L’atto pubblico informatico .................................... » 185

SEZIONE QUARTA IL DOCUMENTO INFORMATICO NEL TEMPO

1. La data del documento informatico.. ........................ » 195

2. Segue. La procedura di validazione temporale.. .......... » 197

3. L’effi cacia probatoria del documento informatico nel tempo ............................................................... » 201

Indice degli Autori .................................................... » 209

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CAPITOLO PRIMO

INFORMATICA E TEORIA GIURIDICADEL DOCUMENTO

SEZIONE PRIMA

IL DOCUMENTO NEL SISTEMADELLA PROVA CIVILE

SOMMARIO. 1. Premessa. La lezione, insuperata, di Francesco Carnelut-ti. – 2. . Segue. Il concetto di prova in generale. La distinzione tra prova diretta e prova indiretta. – 3. Segue. La distinzione tra prova critica e prova storica. Il concetto di rappresentazione (mezzi di rappresentazione personale e mezzi di rappresentazio-ne reale). La prova documentale (in particolare, la nozione di do-cumento come cosa rappresentativa di un fatto). – 4. La capacità rappresentativa del documento. L’alternativa tra due differenti nozioni di rappresentazione, nella specie, come elemento statico racchiuso all’interno del documento e come processo dinamico che si svolge nella mente di chi percepisce il documento. – 5. Se-gue. Documenti iconici e simbolici. La rappresentazione come organizzazione complessiva di tutti gli elementi presenti sulla superfi cie signifi cante del documento, mediante la quale il fatto rappresentato viene iconicamente o simbolicamente “messo in scena”. – 6. Segue. Documenti (informatici) iconici e forma scrit-ta. – 7. Il documento in senso giuridico. La nozione di documento come cosa rappresentativa di un fatto giuridicamente rilevante. Critica. – 8. Segue. Il documento come cosa rappresentativa di un fatto rilevante in concreto, ai fi ni della risoluzione del singolo processo. Confutazione.

1. Premessa. La lezione, insuperata, di Francesco Carne-lutti

1. L’opera di costruzione dogmatica della teoria giuri-dica del documento è segnata dall’impulso che ad essa dette

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2 CAPITOLO I - SEZIONE I

1 G. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli 1913.2 Sul punto, ampiamente, V. DENTI, Prefazione, in F. CARNELUTTI, La

prova civile, rist., Milano 1992, p. VII ss.3 F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 2.4 F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 1.A dire il vero, il panorama degli studi italiani dedicati al tema delle pro-

ve era meno desolato di quanto la sola lettura de La prova civile può indurre a

la possente personalità di Francesco Carnelutti alla cui fi -nissima analisi, più in generale, viene quasi unanimemen-te riconosciuto il merito di aver posto le fondamenta sulle quali poggia l’imponente edifi cio concettuale del sistema della prova civile.

Prima che il giureconsulto vi dedicasse le proprie attenzioni la nostra dottrina non mostrò di avere alcuna predilezione per l’argomento, tant’è che non solo il docu-mento, ma l’intera materia delle prove parve sfuggire alla rifl essione dei giuristi italiani. Così, quando Carnelutti pubblicò nel 1915 la Prova civile, il panorama di studi sul tema non era affatto rigoglioso. È suffi ciente scorrerne le note (a piè di pagina) per rendersi conto di come le fonti processualistiche italiane si riducessero, sostanzialmente, ai Principi di Giuseppe Chiovenda1, l’unico ad aver resisti-to alla tentazione di unirsi al coro greco degli indifferenti2.

Non si fatica dunque a comprendere le ragioni che indussero Carnelutti a guardare altrove, avvalendosi cri-ticamente dei risultati raggiunti dalla dottrina straniera, soprattutto quella tedesca, alla quale egli stesso riconobbe «una perfezione scientifi ca veramente notevole»3. Né si può dire che a Carnelutti difettasse la consapevolezza dello sta-to della ricerca nel nostro paese allorquando scriveva che «forse non ci sono altre plaghe del diritto le quali aspettino, come questa, dall’opera sistematica lo stimolo per giungere a piena fecondità», sollecitando la scienza a reagire contro questa, davvero deplorevole, “pigrizia del pensiero”4.

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IL DOCUMENTO NEL SISTEMA DELLA PROVA CIVILE 3

pensare. Al riguardo, infatti, è stato autorevolmente osservato che Carnelutti ha quasi del tutto trascurato «l’opera che nel 1914 era giunta alla terza edizio-ne, il Trattato delle prove di Lessona, che pure dominava dal 1894 il panorama dottrinale della materia, mentre la stessa sorte tocca al Trattato della prova per testimoni di Cesareo Consolo, la cui seconda edizione era stata pubblicata postuma nel 1909. Qualche maggiore attenzione viene invece dedicata ad opere che si pongono a cavallo tra il diritto sostanziale e il diritto processuale, come Il contributo alla dottrina della confessione di Giuseppe Messina» (V. DENTI, Prefazione, cit., p. VIII).

5 Una rassegna dettagliatissima delle norme del diritto positivo italiano nelle quali compare la parola “documento” (o altre ad essa equipollenti) è in M. E. LA TORRE, Contributo alla teoria giuridica del documento, Milano 2004, spec. p. 5 ss.

Ai nostri fi ni, la ricostruzione della sistematica car-neluttiana non risponde soltanto all’esigenza di ottempe-rare ad un debito di riconoscenza, ma costituisce un pun-to di partenza quasi obbligato, almeno per due ordini di motivi. In primo luogo, perché su di essa s’è appoggiata tutta la dottrina posteriore che vi ha trovato molti spun-ti adatti a germinare nel proprio terreno concettuale (ba-sti pensare che anche quando non si è limitata alla pro-posizione di semplici varianti sul tema carneluttiano, ha signifi cativamente sentito il bisogno di argomentare come se stesse intrattenendo con Lui un dialogo ideale). In se-condo luogo, perché, prescindendo da essa, non sarebbe possibile lumeggiare il panorama culturale che s’intravede sullo sfondo di alcune defi nizioni legislative di documento (più o meno universali o settoriali), disseminate tra i vari rami dell’ordinamento nazionale5. Ci riferiamo, in partico-lare, a quella sottintesa dall’art. 234 cod. proc. pen., che consente l’acquisizione «di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografi a, la cinematografi a, la fonografi a o qualsiasi altro mezzo», nonché dall’art. 2712 cod. civ., in base al quale apparten-gono alla categoria delle riproduzioni meccaniche «le ri-

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4 CAPITOLO I - SEZIONE I

6 L’aggettivo “informatiche” è stato aggiunto al testo originario dell’art. 2712 cod. civ., ad opera dell’art. 23-quater (già art. 23) del d. lgs. 7 marzo 2005 (Codice dell’amministrazione digitale).

7 La medesima defi nizione si rinviene nell’art. 1, lett. b, del d.P.R. 28 di-cembre 2000, n. 445 (Testo unico in materia di documentazione amministrativa).

Ulteriormente, una qualche attenzione merita la defi nizione di cui all’art. 22 della l. 7 agosto 1990, n. 241 (come riformulato dalla l. 11 febbra-io 2005, n. 15), a mente del quale per “documento amministrativo” s’inten-de «ogni rappresentazione grafi ca, fotocinematografi ca, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifi co procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e con-cernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubbli-cistica o privatistica della loro disciplina sostanziale».

8 Tale defi nizione è stata aggiunta dall’art. 1, comma 1, lett. d, del d. lgs. 30 dicembre 2010, n. 235.

9 Proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea al Parlamento ed al Consiglio 4 giugno 2012.

produzioni fotografi che, informatiche6 o cinematografi che e, in generale, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose». E, soprattutto, alla defi nizioni presenti nel Codice dell’amministrazione digitale, dove per documento informatico s’intende «la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti»7 (art. 1, lett. p), e, specularmente, per documento analogico «la rappresen-tazione non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti» (art. 1, lett. p-bis)8.

In defi nitiva, sembra di poter dire che la lezione car-neluttiana è stata sia per il legislatore domestico, sia gli stu-diosi italiani una sorta di “miniera a cielo aperto”. Una miniera scintillante di spunti che, lungi dall’essersi esauri-ta, potrebbe giovare – se solo fosse più conosciuta oltralpe – ad elevare il livello della legislazione unionale (anche) in fi eri. Al riguardo, basti qui constatare che la defi nizione di “documento elettronico” contenuta nella recente proposta di regolamento europeo «in materia di identifi cazione elet-tronica e servizi fi duciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno»9 è non solo scadente, ma un chiaro esem-

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IL DOCUMENTO NEL SISTEMA DELLA PROVA CIVILE 5

10 Alla parola “prova”, nel lessico giuridico, vengono attribuite almeno tre diverse accezioni di signifi cato. In primo luogo, è “prova” ciò che può servire a confermare un’ipotesi sul modo di essere di un fatto e, quindi, i mezzi per il giudizio (cose, persone etc.). In secondo luogo, “prova” indica il risultato che si consegue una volta che la prova sia stata assunta e che il giudice ne abbia valutati i risultati in sede di decisione. In terzo luogo, con il termine “prova” o, più esattamente, con il verbo “provare”, si allude all’in-sieme delle attività che, nel corso del processo, le parti e il giudice pongono in essere per giungere all’acquisizione delle prove. In questo caso la prova, identifi candosi nell’attività spiegata dalle parti e dal giudice, è qualifi cabile in termini di procedimento.

Sulla pluralità di signifi cati del vocabolo «prova» nella terminologia giu-ridica si veda M. TARUFFO, Fatti e prove, in AA. VV., La prova nel processo civile, a cura di M. Taruffo, Milano 2012, p. 3 ss., spec. 55 ss.; ID., voce Prova (in generale), in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., XVI, Torino 1997, p. 3 ss., spec. 7 s.; C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, 21ª ed., Torino 2011, p. 173 ss.; L. P. COMOGLIO, Le prove civili, 3ª ed., Torino 2010, spec. p. 3 ss.; G. BALENA, Elementi di diritto processuale civile, vol. II, Bari 2007, spec. p. 84; A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli 2006, p. 444; G. VERDE, Profi li del processo civile, II, 3ª ed., Napoli 2005, p. 71 ss.; ID., La prova nel processo civile (profi li di teoria generale), in Riv. dir. proc., 1998, p. 2 ss. ed ID., voce Prova (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXVII, Milano 1988, p. 579 ss., spec. 588 s.

pio di tautologia: «si intende per […] “documento elettro-nico”», recita l’art. 1 «un documento in formato elettroni-co»; parole sonore e vuote, senza nessun concetto dietro, vien fatto di commentare.

2. Segue. Il concetto di prova in generale. La distinzione tra prova diretta e prova indiretta

La ricostruzione del pensiero di Francesco Carnelutti deve prendere le mosse, sia pure sinteticamente, dalla deli-mitazione del concetto di prova, privilegiando, tra i tanti, uno dei signifi cati che si è soliti ascrivere al termine «pro-va» non solo nel linguaggio comune, ma anche nel linguag-gio giuridico10, e cioè quello di “prova” quale strumento che serve al giudice per il controllo delle domande e delle

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6 CAPITOLO I - SEZIONE I

11 Così, F. CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, II, rist., Pa-dova 1986, p. 423 ss.; ID., La prova civile, cit., p. 44 ss.

12 L’idea di prova quale “mezzo per la verifi cazione di una tesi” è assai remota: già Cicerone, nel primo secolo a. C., ebbe ad affarmarla nel De inven-tione, I, 46. In argomento, amplius, O. CALABRESE, Breve storia della semioti-ca, Milano 2001, p. 40 s.

13 Sul concetto di percezione Carnelutti si sofferma precisando che «stromento della percezione sono tutti i sensi: principale, ma non esclusivo, la vista, onde non è giusto restringere il concetto della percezione alla ispezione oculare; la percezione […] può avvenire non solo mediante la vista, ma me-diante il tatto, l’udito, il gusto, l’olfatto» (La prova civile, cit., p. 69).

14 F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 54 s.

affermazioni rese dalle parti nel corso del processo11, mez-zo del controllo razionale di un’ipotesi sul modo di essere di un fatto e quindi trait d’union fra il noto e l’ignoto, fra ciò che le parti dichiarano essere avvenuto e ciò che il giu-dice stabilisce essere avvenuto12.

Il controllo sull’esistenza o l’inesistenza dei fatti sto-rici affermati dalle parti, a sua volta, non può avvenire senza che il giudice percepisca qualcosa con i propri sensi, atteso che un riscontro di carattere sensoriale è essenziale per metterlo in relazione con la realtà sulla quale deve giu-dicare13.

Il quid oggetto di percezione da parte del giudice può essere il fatto stesso da provare (factum probandum) o un fatto diverso da quello14.

Nel primo caso si parla di prova diretta o immediata, perché il fatto che si assume costitutivo del diritto ricade immediatamente sotto i sensi del giudice e, di conseguenza, l’oggetto della percezione coincide con quello della prova. Si pensi a tutte le ipotesi di ispezione giudiziale nelle quali l’oggetto del thema probandum si concreta nell’esistenza attuale o in un particolare stato di una persona o di una cosa (quali sono, ad esempio, il corpo deformato dall’in-fortunio, l’albero di alto fusto piantato sul confi ne, la clo-aca che emana esalazioni a tal punto fetide da superare la

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IL DOCUMENTO NEL SISTEMA DELLA PROVA CIVILE 7

15 F. CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 451. Sul punto si veda, altresì, le osservazioni critiche di V. ANDRIOLI, voce Prova (di-ritto processuale civile), in Noviss. dig. it., XV, Torino 1957, p. 261 ss., spec. 270, per il quale l’ispezione giudiziale non può essere ridotta a mera attività sensoriale del giudice, né questi può essere considerato alla stregua di una mac-china fotografi ca o di un nastro magnetico.

16 Così, se allegata al giudizio è l’esistenza di una fi nestra in un muro, nulla osta a che il giudice possa verifi care personalmente se la fi nestra esiste oppure no. L’ispezione giudiziale, invece, non può essere utilizzata se rilevante non è l’attuale esistenza della fi nestra, ma la sua esistenza in loco, venti anni prima, ai fi ni dell’usucapione di una servitù di veduta (cfr. F. P. LUISO, Diritto processuale civile, II, Milano, 2011, p. 74; A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 416 s.; L. BIGLIAZZI GERI, U. BRECCIA, F. D. BUSNELLI, U. NATOLI, Diritto civile, I, tomo II, Torino 1987, p. 922, sub nota n. 19).

17 Nell’ambito delle prove indirette, Carnelutti pone un’ulteriore distin-zione tra prove indirette di primo grado e prove indirette di secondo grado e così via, a seconda che servano alla deduzione immediata del fatto da provare (fatto principale), oppure alla deduzione di un altro fatto (fatto secondario) il quale, a sua volta, consente la deduzione del fatto da provare (F. CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 452 ss.).

soglia della normale tollerabilità)15. E dal modo in cui la prova diretta opera, risultano altresì manifeste le limitate possibilità di utilizzazione della stessa nell’ambito del pro-cesso: di essa ci si potrà servire solo in relazione a fatti per-manenti (che siano rilevanti nella loro attuale esistenza16) o a fatti transeunti che si svolgono alla presenza del giudice.

Di prova indiretta o mediata, invece, si discorre in caso di divergenza tra fatto da provare (oggetto di prova) e fatto percepito dal giudice (oggetto della percezione), o meglio, quando l’esistenza o l’inesistenza del factum pro-bandum è dedotta da un fatto intermedio che è mezzo per la conoscenza di esso (il che è evidente qualora il giudice, chiamato a conoscere del perfezionamento di un contratto, dalla visione del documento o dall’audizione del testimone tragga argomenti ai fi ni della decisione)17. Il campo operati-vo della prova indiretta è estremamente vasto, potendosene avvalere per il controllo delle affermazioni concernenti sia i fatti attuali al processo, sia quelli passati che, in quanto

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8 CAPITOLO I - SEZIONE I

18 F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 55 s.; ID., Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 449 s.

19 F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 59 ss.; ID., Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 451 s.

Tra le distinzioni che riguardano le prove, quella che si pone tra prova diretta e prova indiretta è probabilmente una delle più ricorrenti e risalenti nel tempo (basti pensare che di essa vi è traccia già nella classica trattazione di J. BENTHAM, Traité des preuves judiciares, Bruxelles 1829). Ciò nonostante, non si può dire che il suo signifi cato si sia nei secoli sedimentato al punto tale da diventare univoco. Al contrario, una parte consistente della dottrina appoggia la distinzione su cardini diversi da quelli sui quali fa leva la nozione enunciata nel testo. In particolare, si è affermato che ricorre la prova diretta quando essa verte sul fatto principale oggetto del thema probandum; si ha, invece, prova indiretta quando essa verte su un fatto secondario dal quale possono trarsi in-ferenze sul fatto principale. La distanza che intercorre tra questa e la nozione proposta dal Carnelutti è meno sottile di quanto prima face potrebbe sembra-re. Così intesa, infatti, la distinzione non concerne la struttura intrinseca della prova, per cui nessuna prova è in linea di principio, a priori e in ogni caso, diretta o indiretta. Al contrario, stando a questa terminologia, ogni prova può essere sia diretta che indiretta (ad es., è diretta la testimonianza di chi dichiara di aver visto Tizio uccidere Caio; è indiretta la testimonianza di chi dichiara di aver visto poco prima dell’omicidio Tizio litigare con Caio, fatto dal quale si potrebbe desumere che Tizio aveva un movente per l’atto delittuoso). In questo senso cfr.: M. TARUFFO, Fatti e prove, cit. p. 57 s.; ID., voce Prova (in generale), cit., p. 19; E. T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, 7ª ed., a cura di V. Colesanti, E. Merlin, E. F. Ricci, Milano 2007, p. 318 s.; S. SATTA e C. PUNZI, Diritto processuale civile, Padova 1996; V. GREVI, Prove, in AA. VV., Profi li del nuovo codice di procedura penale, a cura di G. Conso e V. Grevi, Padova 1997, spec. p. 238; I. CALAMANDREI, La prova documentale, Padova 1995, p. 12 s. (spec. sub nota n. 18).

già accaduti, esulano dall’orizzonte della percezione diret-ta del giudice.18

La differenza tra prova diretta e prova indiretta at-tiene non tanto alla funzione, dal momento che entrambe tendono alla persuasione del giudice circa l’esistenza o l’i-nesistenza del fatto affermato, quanto piuttosto alla strut-tura delle stesse. La prova indiretta, infatti, si caratteriz-za per la maggiore complessità dell’attività probatoria che consta non di uno, ma di due elementi: la percezione del fatto diverso dal fatto da provare e la deduzione del fatto da provare dal fatto percepito.19

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IL DOCUMENTO NEL SISTEMA DELLA PROVA CIVILE 9

20 Trattandosi di una classifi cazione molto diffusa nella dottrina italia-na, non è possibile rendere conto della pluralità dei luoghi in cui essa ricorre. In questa sede, quindi, ci limitiamo a segnalare, per tutti, E. BETTI, Diritto processuale civile italiano, Roma 1936, p. 349 ss.; ID., Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile diretto da F. Vassalli, 2ª ed., Torino 1950, p. 132.

21 F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 84 ss.; ID., Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 459 ss.

22 La denominazione “prova critica” potrebbe rivelarsi fuorviante ove si ritenesse che soltanto essa opera attraverso la deduzione di chi se ne serve. Invero, anche chi vede la fotografi a che ritrae il bacio fraterno scambiato tra Tizio e Caio non assiste direttamente alla scena, e la sua convinzione circa l’esistenza del fatto rappresentato non è il frutto esclusivo della percezione, ma anche della deduzione. In altri termini, colui che guarda la fotografi a ma-turerà la propria convinzione in virtù di una massima d’esperienza la quale gli insegna che (in linea di massima) quell’immagine non vi sarebbe stata se Tizio e Caio non si fossero effettivamente baciati.

3. Segue. La distinzione tra prova critica e prova storica. Il concetto di rappresentazione (mezzi di rappresenta-zione personale e mezzi di rappresentazione reale). La prova documentale (in particolare, la nozione di docu-mento come cosa rappresentativa di un fatto)

Sottospecie della prova indiretta sono: la prova sto-rica (o rappresentativa) e la prova critica (o presuntiva), termini contrapposti di una delle classifi cazioni più diffuse e discusse, tra le molte enucleate dalla dottrina allo scopo di sistematizzare il fenomeno probatorio20.

La dicotomia si basa, rispettivamente, sulla presenza o sul difetto di effi cacia rappresentativa del factum pro-bans che serve alla deduzione del factum probandum sot-tratto alla percezione diretta dal giudice. In particolare, la prova si dice storica quando si avvale di un fatto costituito per rappresentare un altro fatto (e quindi allo scopo di su-scitarne immediatamente l’idea)21. La prova si dice criti-ca22, invece, quando coincide con un fatto che è idoneo ad assolvere ad una funzione conoscitiva del fatto da provare,

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23 Tale esempio richiama alla mente quello, assai più raffi nato, conte-nuto nelle prime pagine de Il nome della rosa. Laddove si narra la vicenda di Frate Guglielmo da Braskerville che, arrivato ai piedi dell’Abbazia, dette su-bito prova di grande acume descrivendo ai monaci un cavallo quantunque non l’avesse mai visto: «“Suvvia” disse Guglielmo, “è evidente che state cercando Brunello, il cavallo preferito dall’Abate, il miglior galoppatore della vostra scuderia, nero di pelo, alto cinque piedi, dalla coda sontuosa, dallo zoccolo piccolo e rotondo ma dal galoppo assai regolare». Ed al discepolo che gli chiese spiegazioni: «“Mio buon Adso”, disse il maestro. “È tutto il viaggio che ti inse-gno a riconoscere le tracce con cui il mondo ci parla come un grande libro […] Al trivio, sulla neve ancora fresca, si disegnano con molta chiarezza le impron-te degli zoccoli di un cavallo, che puntano verso il sentiero alla nostra sinistra. A bella e uguale distanza l’uno dall’altro, quei segni dicevano che lo zoccolo era piccolo e rotondo, e il galoppo di grande regolarità […] Là dove i pini for-mavano come una tettoia naturale, alcuni rami erano spezzati di fresco giusto all’altezza di cinque piedi. Uno dei cespugli di more, là dove l’animale deve aver girato […] tratteneva ancora tra gli spini dei lunghi crini nerissimi …”».

24 Questo criterio di distinzione tra prova storica e prova critica venne successivamente bollato come troppo «grezzo e impreciso» dallo stesso Carne-lutti che, al suo posto, ne propose un altro invero non più perspicuo. Più pre-cisamente egli, innovando radicalmente il proprio pensiero sul punto, propose di considerare storica la prova che porta al giudice l’ausilio di un altro uomo che giudica (homo iudicans), com’è nell’ipotesi della testimonianza; critica la prova che porta al giudice un altro fatto da giudicare la cui conoscenza giova alla conoscenza della res iudicanda (Diritto e processo, in Trattato del proces-so civile diretto da F. Carnelutti, Napoli 1958, p. 128 ss.).

pur non essendo stato creato per la rappresentazione di esso, nel senso che, in via d’induzione e con l’ausilio di una massima d’esperienza, può essere utilizzato quale indizio per argomentare l’esistenza o l’inesistenza del fatto igno-to da provare (per esempio, dalla lunghezza della striscia lasciata dalla frenata sull’asfalto, è possibile risalire alla velocità del veicolo al momento del sinistro23)24.

La posizione di assoluto rilievo rivestita dalle prove rappresentative all’interno del sistema probatorio impone un approfondimento del concetto di rappresentazione che, stando alla ben nota defi nizione carneluttiana, è «un sur-rogato della percezione» diretta del fatto rappresentato, in quanto essa è idonea a suscitarne l’idea «mediante la

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25 F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 94 s.; ID., Sistema del diritto processuale civile, I, Padova 1936, p. 681 s.

La funzione rappresentativa va tenuta distinta dalla funzione puramen-te indicativa svolta da quelle cose che, nel linguaggio del codice civile, sono indicate con il nome di taglie o tacche di contrassegno (art. 2713 cod. civ.): queste, a differenza dei fatti rappresentativi, non hanno la capacità di suscita-re direttamente l’idea di un fatto, ma servono a richiamare quel fatto, perché ad esso collegati da regole d’esperienza. Così, F. CARNELUTTI, Teoria del falso, Padova 1935, p. 10 ss.; ID., Teoria generale del diritto, Roma 1940, p. 450; In senso conforme: L. CARRARO, Il diritto sul documento, Padova 1941, p. 6 s.; P. GUIDI, Teoria giuridica del documento, Milano 1950, p. 50 ss.

A margine della distinzione in esame, è facile osservare come essa si ispiri (sia pur liberamente) all’insegnamento del fi losofo americano Charles Sanders Peirce - padre fondatore della moderna scienza dei segni, insieme al grande linguista europeo Ferdinand de Saussure – il quale per primo parlò di «indici» (o segni indicali), quali segni che si riferiscono all’oggetto denotato in virtù di una contiguità fi sica con lo stesso. Amplius, in argomento, C. S. PEIRCE, Semiotica. I fondamenti della semiotica cognitiva (edizione italiana a cura di M. A. Bonfantini, L. Grassi e R. Grazia), Torino 1980, spec. p. 139 s.; R. FABBRICHESI LEO, Introduzione a Peirce, Bari 1993; U. ECO, Trattato di semiotica generale, XVII ed., Milano 1999, spec. p. 239 ss.; U. VOLLI, Manuale di semiotica, Bari 2000, spec. p. 34 ss.

26 F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 96.27 Ceci n’est pas une pipe, scrisse il pittore belga René Magritte a margi-

ne della fi gura di una pipa.28 F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 143.

percezione di un altro fatto, il quale appunto ne costitui-sce l’equivalente sensibile»25. L’operatività del meccanismo della rappresentazione risulta quindi condizionata dalla presenza di un indefettibile presupposto: la diversità tra «il fatto rappresentativo, che è il fatto surrogante, e il fatto rappresentato, che è il fatto surrogato»26 (si pensi al qua-dro che raffi gura un fi ore che è cosa senz’altro diversa dal fi ore27). Non v’è rappresentazione, invece, ove il fatto per-cepito si limiti a determinare l’idea di sé stesso: «probare se ipsum […] vuol dir non provar nulla» altrimenti, tutto ciò che è suscettibile di essere percepito sarebbe, in quanto capace di provare almeno la propria esistenza, una prova rappresentativa28.

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29 È questo un ulteriore elemento di differenziazione fra la prova storica e la prova critica. Per quest’ultima, infatti, la funzione probatoria non è essen-ziale, ma accidentale; nel senso che un fatto non è di per sé stesso un indizio, ma tale diventa solo ove una regola di esperienza lo ponga in relazione con il fatto da provare (F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 169 ss.). Il che, tutta-via, forse non vale per gli indizi cosiddetti ‘artifi ciali’: si pensi al sistema delle banderuole poste sui tetti allo scopo di mostrare la direzione dei venti (cfr. D. GAMBARARA, Dai segni alle lingue. La semiosi tra natura e cultura, in Manuale della comunicazione a cura di S. Gensini, Roma 2002, p. 91 ss., spec. 99 s.), oppure alla stessa sottoscrizione manuale. A tale riguardo può osservarsi che i segni alfabetici formanti il nome del sottoscrittore e da questi di pugno tracciati sono precostituiti ad arte per consentire la formulazione della prova critica: essi lasciano inferire l’identità del loro autore grazie alla regola (non giuridica ma di comune esperienza), dell’esclusività della fi rma autografa, giusta la qua-le non esistono due grafi e perfettamente coincidenti.

30 F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 101; ID., voce Documento (te-oria moderna), in Nuov. Dig. It., V, Torino 1938, p. 105 ss., spec. 106; N. IRTI, Sul concetto giuridico di documento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, p. 484 ss., ora anche in Studi sul formalismo negoziale, Padova 1997, p. 159 ss., spec. p. 173.

I fatti capaci di eccitare l’idea corrispondente ad un altro fatto, inoltre, non esistono in rerum natura, ma sono sempre il frutto di un’attività dell’uomo, e cioè di un’atti-vità fi nalisticamente orientata alla creazione di fatti idonei a rappresentare altri fatti29.

L’attività attraverso la quale l’uomo conferisce ad un fatto la proprietà di rappresentare può, a sua volta, essere di due tipi a seconda della natura, soggettiva od oggettiva, del mezzo che serve alla rappresentazione. Più precisa-mente, l’uomo può agire sia come testimone che come docu-mentatore: nel primo caso, strumento della prova storica è l’uomo che narra, nel secondo, una cosa che rappresenta. Al primo corrisponde una forma di rappresentazione per-sonale, mentre al secondo fa riscontro una forma di rap-presentazione reale30.

La diversità tra testimonianza e documento, entrambi prodotto dell’umano agire, emerge, quindi, confrontando la struttura dei rispettivi procedimenti di formazione, ca-

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31 L’immaginifi co Carnelutti espresse questo concetto per metafora scri-vendo che: «il documentatore imbottiglia il fatto e il testimonio lo estrae dal recipiente» (Documento e testimonianza, in Riv. dir. proc. civ., I, 1930, p. 343). Sul punto, si vedano le osservazioni critiche di G. LASERRA, La scrittura privata, Milano 1959, p. 39 s.; S. TONDO, Formalismo negoziale tra vecchie e nuove tecniche, in AA. VV, Le scuole di specializzazione per le professioni legali, Roma 2000, p. 225 ss., spec. 236 s. e S. PATTI, Della prova testimoniale. Delle presunzioni (artt. 2721 – 2729), in Commentario del Codice Civile Scia-loja – Branca a cura di F. Galgano, Bologna – Roma 2001, spec. p. 35.

32 La memoria più forte è più debole dell’inchiostro più pallido, recita un antico proverbio cinese.

33 Sul parallelismo tra testimonianza e documento si veda, ancora una volta, F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 108 ss.; ID., Lezioni di diritto pro-cessuale civile, cit., p. 466 ss. Sul carattere permanente della rappresentazione documentale, invece, si veda N. IRTI, La ripetizione del negozio giuridico, Mi-lano 1970, p. 84 s.: «Il documento è una cosa, un oggetto tra innumerevoli altri del mondo esterno. I nostri sensi ne hanno immediata percezione: esso provie-ne da lontano, ma sta e sopravvive nell’oggi. Qui emerge una prima nota, che è la durata: il suono vocale ed il gesto sono labili, e, subito che siano emessi, tramontano dal nostro orizzonte; lo scritto o il disco fonografi co trascendono, invece, il momento della creazione, e permangono nel tempo»; A. FALZEA, L’at-to negoziale nel sistema dei comportamenti giuridici, in Riv. dir. civ., 1996, I, p. 9: «i documenti sono, se così è lecito dire, pezzi di vita spirituale cristallizza-

ratterizzati l’uno dall’assenza, l’altro dalla presenza del fatto rappresentato nel momento della formazione del fatto rappresentativo. In particolare, il testimone narra in as-senza del fatto rappresentato e si proietta nel passato; il documentatore crea una cosa in presenza del fatto da rap-presentare e si proietta nel futuro (si pensi al notaio che raccoglie le dichiarazioni rese dalle parti contraenti dando contezza, altresì, degli «altri fatti che il pubblico uffi cia-le attesta essere venuti in sua presenza» ex art. 2700 cod. civ.)31. Donde un ulteriore elemento di differenziazione, ravvisabile nel contrasto tra il carattere transitorio della rappresentazione testimoniale ed il carattere permanente della rappresentazione documentale32, sicché soltanto la res documentalis viene caricata di un signifi cato che essa restituisce, in un qualsiasi momento, non appena riconsul-tata33.

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ta e solidifi cata, congiunti ad una materia stabile, e così meno esposti alla sorte di involuzione nel tempo di quanto non siano le persone e gli atti spirituali». Sul tema, di recente A. RONCO, Introduzione, in AA. VV., Il documento nel pro-cesso civile, opera diretta da A. Ronco, Bologna 2011, p. XIII ss., spec. XIV s.

34 Pur rifl ettendo l’immagine dell’oggetto che gli sta di fronte non sono documenti, quindi, gli “specchi” i quali, osserva U. ECO, Sugli specchi, Mila-no,1995, p. 19 s.: «hanno una curiosa caratteristica. Sino a che li osservo, mi restituiscono i tratti del mio volto: ma se inviassi per posta alla persona amata uno specchio in cui mi sono lungamente specchiato, perché si ricordasse delle mie parvenze, essa non potrebbe vedermi (e vedrebbe se stessa)». Sono docu-menti, invece, le fotografi e che, a mo’ di “specchi congelanti”, godono della proprietà di trattenere l’immagine anche dopo la scomparsa dell’oggetto rap-presentato. Con espressione degna di nota, la fotografi a è stata infatti defi nita come “specchio della memoria” (I. ZANNIER, La fotografi a: verosimile inganno dal dagherrotipo all’immagine virtuale, in Telèma, n. 20, 2000).

35 F. CARNELUTTI, voce Documento, cit., p. 105. L’ampliamento della no-zione di documento, fi no a comprendere ogni cosa capace di rappresentare un fatto, costituisce un notevole progresso rispetto all’orientamento precedente-mente espresso dalla dottrina. Quest’ultima, infatti, ponendo l’accento sull’e-lemento della manifestazione del pensiero, ne restringeva la nozione defi nendo il documento in termini di «rappresentazione materiale destinata ed idonea a riprodurre una data manifestazione del pensiero» (G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli 1936). L’idea di documento stricto sensu, come scritto che rappresenta dichiarazioni di volontà, sopravvive, oggi, in al-cune trattazioni di carattere manualistico qual è quella di A. LUGO, Manuale di diritto processuale civile, 17ª ed., aggiornata da C. De Angelis, Milano 2009, p. 196.

36 Cfr. lemma “documento” in Lessico universale italiano Treccani, VI, Roma, 1970, p. 479 ed in N. TOMMASEO, Dizionario della lingua italiana, rist., Milano 1977, p. 298 s.

Il termine “documento”, nella accezione originaria di ‘insegnamento’, ‘ammaestramento’ (oggi chiaramente in disuso), ricorre in passi di opere che appartengono alla nostra migliore tradizione letteraria. Così, a titolo di esem-pio, ci permettiamo di rammentare le parole che il mercante siciliano Don Florindo Aretusi rivolge all’indirizzo del suo collega veneziano, Pantalone de’ Bisognosi, allorquando gli dice: «Caro il mio amatissimo signor Pantalone; voi

In conclusione, il documento è una cosa formata in presenza del fatto storico rappresentato allo scopo di for-nirne una rappresentazione permanente34. È una «cosa che fa conoscere un fatto»35, nel senso conforme all’etimo lati-no del sostantivo “documento” da documentum, derivato di docere: “insegnare”, “ammaestrare”36.

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siete pieno di bontà per me, vi ringrazio de’ salutevoli documenti, e vi prometto di porli in pratica» (C. Goldoni, Le femmine puntigliose, atto 1°, scena 3°).

Sull’impiego della parola documentum tra gli autori latini rinviamo alle eleganti pagine di P. GUIDI, Teoria giuridica del documento, cit., p. 11 s.

37 Si veda supra § 3.

4. La capacità rappresentativa del documento. L’alterna-tiva tra due differenti nozioni di rappresentazione, nel-la specie, come elemento statico racchiuso all’interno del documento e come processo dinamico che si svolge nella mente di chi percepisce il documento

Alla stregua delle cose dette fi no a questo momento, sembra di poter affermare che la «rappresentazione» co-stituisce il nucleo essenziale ed insieme l’aspetto più pro-blematico della vicenda documentale, giacché non è faci-le spiegare in che cosa esattamente consiste la funzione o la capacità rappresentativa della prova. E se necessità di ogni ricerca è quella di passare in rassegna prima di tutto i punti nei quali è inevitabile che ci si trovi in diffi coltà, non sorprende che proprio sul nodo gordiano della rappresen-tazione si siano incentrati gli sforzi di quanti hanno tentato di far luce su ciò che è alla base della specifi ca attitudine del documento a suscitare l’evocazione di una realtà “al-tra” nella mente di chi lo percepisce.

Più di una sono state le strade percorse.Seguendo la prima – già in parte esplorata quando

si è parlato di surrogato della percezione diretta del fat-to37 – la rappresentazione e la capacità rappresentativa si presentano, rispettivamente, come un elemento intrinseco ed una proprietà statica della res documentale. Donde la rappresentazione è il veicolo di qualcos’altro, un quid che si offre ai sensi del percettore, stimolando l’idea di un fatto già presente.

Procedendo per altra via, la rappresentazione si so-stanzia nell’atto dinamico del pronunciare un giudizio

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38 Così, nell’ambito di una più generale critica alla nozione di documento come cosa rappresentativa di un fatto, V. DENTI, La verifi cazione delle prove documentali, Torino 1957, spec. p. 26 ss.; ID, voce Prova documentale in dirit-to processuale civile, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., XVI, Torino 1997, p. 35 ss., spec. p. 36; N. IRTI, Sul concetto giuridico di documento, in Studi sul formali-smo negoziale, cit., spec. p. 192 ss. ove - con la consueta fi nezza - si sottolinea che: «i segni, capaci di suscitare l’evocazione del fatto, sono nel documento; l’evocazione del fatto è fuori del documento. I segni non rappresentano il fat-to, ma ne sollecitano e agevolano la rappresentazione in mente alterius […] la rappresentazione non è nei segni, ma in chi intende il signifi cato dei segni. Mentre i segni vivono nella sfera del percepibile, la rappresentazione si svolge e determina nella sfera dello spirituale, ed esige un soggetto che torni a conoscere e rievochi in sé le parole del passato. La rappresentazione non è un dato obiet-tivo, racchiuso nel documento, ma è questo ulteriore rivivere, che accoglie e consuma l’opaca impermeabilità dei segni fi sici».

In argomento cfr., altresì, M. E. LA TORRE, Contributo alla teoria giu-ridica del documento, cit., spec. p. 32 ss.; F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», Napoli 2004, p. 31 ss., spec. 38 ss.; F. GUARRACINO, Titolo di credito elettronico e documento informatico, in AA. VV., Il contratto telematico a cura di V. Ricciuto e N. Zorzi, Padova 2002, p. 327; D. DI SABATO, Il documento contrattuale, Milano 1997, p. 35 s.; S. PATTI, Prova documentale (artt. 2699 – 2720), in Commentario del Codice Civile Scialoja – Branca a cura di F. Galgano, Bologna – Roma 1996, p. 6; C. ANGELICI, voce Documentazione e documento (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, XI, Roma 1989, p. 1 ss., spec. 1; R. CLARIZIA, Informatica e conclusione del contratto, Milano 1985, p. 107 ss. e V. ANDRIOLI, voce Prova (diritto processuale civile), cit., p. 270 (al quale va riconosciuto il merito di aver anticipato, in parte, la dottrina in esame lì dove scrive: «Sul piano gnoseologico la nozione di rappresentazione non vale molto: a stretto rigore, non è l’oggetto che suscita sensazioni, ma è il soggetto, che, di fronte ad un oggetto, concepisce idee e prova sensazioni»).

Signifi cative affi nità si ritrovano nelle trattazioni degli studiosi di altre discipline dai cui contributi, possono derivare indicazioni molto utili anche per i giuristi. In particolare, cfr. T. DE MAURO, Introduzione alla semantica, 3ª ed., Bari 1998, p. 31 s.: «le formule linguistiche non hanno alcuna intrinse-ca capacità semantica: esse sono strumenti, espedienti, più o meno ingegnosi, senza vita e valore fuori delle mani dell’uomo, delle comunità storiche che ne

sull’esistenza e/o sul modo di essere di un fatto storico. Una operazione mentale di “riempimento”, quindi, attra-verso la quale si giunge ad attribuire un senso all’oggetto della percezione: rappresentare non è qualcosa che il do-cumento fa, ma qualcosa che qualcuno può fare usando il documento38.

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facciano uso. In altri termini, l’errore sta nell’affermare e nel credere che le parole o le frasi signifi chino qualche cosa: solo gli uomini, invece, mediante le frasi e le parole, signifi cano». E, soprattutto, il matematico, logico e fi losofo tedesco G. FREGE, Senso e denotazione, in AA. VV., La struttura logica del linguaggio, a cura di A. Bonomi, Milano 1973, p. 25 ss., il quale, dopo aver posto la distinzione tra senso dell’espressione linguistica e la rappresentazio-ne connessa all’espressione, ha identifi cato quest’ultima nell’ente mentale che l’espressione può richiamare alla nostra mente: «un’immagine interna che si è costituita sulla base dei ricordi di impressioni sensibili da me provate e di attività, sia interne che esterne, da me esercitate». Conseguentemente, le rap-presentazioni sono inevitabilmente soggettive: ciascuno di noi associa a una stessa espressione una rappresentazione diversa, perché la rappresentazione dipende dall’esperienza, e l’esperienza di ciascuno di noi è differente da quella di ogni altro uomo. «Se fosse possibile proiettare su uno schermo le rappresen-tazioni evocate dalla parola ‘cavallo’ in persone diverse, apparirebbero imma-gini completamente diverse l’una dall’altra».

39 E ciò, in applicazione del cosiddetto principio d’uso – elaborato dal fi losofo austriaco Ludwig Wittgenstein – in base al quale: il signifi cato di una parola è il suo uso nella lingua.

40 Per uno studio approfondito sull’origine etimologica del termine “rap-presentazione” e sulle relative implicazioni di carattere fi losofi co si veda V. MELCHIORRE, Sul concetto di rappresentazione, in AA. VV., Essere e parola. Vita e pensiero, Milano 1984, il quale, risalendo alla base latina “repraesenta-re” (sintesi dei suffi ssi re, ad e del verbo praesum), afferma che la rappresen-tazione «implica l’idea di un movimento all’indietro, di un ripristino». Per cui essa sarebbe, essenzialmente, il movimento del riportare qualcosa alla presen-za di qualcuno.

Delineato così il quadro delle opinioni espresse in me-rito alla questione, una domanda s’impone con forza alla nostra considerazione: la rappresentazione sta dentro o fuori il documento, risiede in re o in mente, è un elemen-to intrinseco al documento o un giudizio fondato sul docu-mento?

Per rispondere, proviamo anzitutto a muovere dalle defi nizioni correnti39, avvalendoci dell’ausilio di un qual-siasi buon dizionario. Ad esempio, dell’ottimo Vocabolario della lingua italiana Treccani per il quale la parola rap-presentazione raccoglie in sé signifi cati diversi40. In parti-colare, il termine vale ad indicare «l’attività e l’operazione

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41 In psicologia, secondo i redattori linguistici del Dizionario Garzanti della lingua italiana, il termine in esame può essere defi nito come: «il ripresen-tarsi alla mente di una percezione o di una sensazione in assenza dell’oggetto che le ha originate; immagine mentale».

42 A dimostrazione delle persistenti incertezze che hanno accompagnato l’uso del termine in esame è il fatto che esso, anche dagli autori di alcune tra le indagini più meditate, sia stato impiegato senza troppa consapevolezza con signifi cati diversi. All’uopo, esemplari si rivelano le parole di Luigi Carraro

di rappresentare con fi gure, segni e simboli sensibili, o con processi vari, anche non materiali, oggetti o aspetti della realtà, fatti e valori astratti, e quanto viene così rappresen-tato»; in fi losofi a, la rappresentazione è «il processo me-diante il quale un contenuto di percezioni, immaginazioni, giudizi e concetti, si presenta alla coscienza», mentre, in psicologia, con signifi cato analogo, è «ciò che la mente pre-senta a sé in sostituzione di qualcosa (oggetto, persona o evento) percepito in precedenza, e che costituisce il risul-tato di un processo percettivo e cognitivo caratterizzato da una relazione più o meno diretta o elaborata con lo stimolo percepito»41; infi ne, essa designa anche la «realizzazione di uno spettacolo teatrale, e lo spettacolo stesso realizzato con la sua presentazione al pubblico».

Preso atto della ricchezza di signifi cati propria del termine, sembra di poter ricavare argomento per una pri-ma considerazione: è vana la pretesa di individuare, tra quelle prospettate, la sola defi nizione corretta del sostanti-vo rappresentazione. E su quest’ultimo assunto poggia un ulteriore e, ai nostri fi ni, decisivo rilievo: il supposto aut aut – tra rappresentazione come elemento statico racchiu-so all’interno del documento e rappresentazione come pro-cesso dinamico che si svolge nella mente di chi percepisce il documento – deve essere sostituito da un più appropriato et et. Nel senso che l’una e l’altra accezione, pur coprendo i versanti più diversi della rappresentazione, hanno entram-be diritto di cittadinanza nel suo universo semantico.42

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che – nella stessa frase – identifi ca la rappresentazione di un fatto, alterna-tivamente, nel contenuto del documento e nell’idea che i segni contenuti nel documento fanno sorgere in chi li interpreta (Il diritto sul documento, cit., p. 11). Ora è evidente che l’idea suscitata dalla percezione dei segni non può essere, essa stessa, contenuto del documento.

43 Sulla correlazione tra rappresentazione ed interpretazione cfr. SALV. ROMANO, Sul concetto giuridico di documento, in Scritti minori, tomo III, Mi-lano 1980, p. 1527ss., spec. 1537: «l’interpretazione presuppone e contiene in sè un momento rappresentativo».

44 Contra, N. IRTI, Sul concetto giuridico di documento, in Studi sul formalismo negoziale, cit., p. 187: «isolato dallo spirito che lo legge ed indaga, il documento è un muto insieme di segni: un oggetto che ha l’opaca impenetra-bilità della materia […] cosa tra le altre cose».

45 In particolare, il documento può essere considerato come l’oggetto conclusivo di un’attività fi nalizzata alla produzione di senso.

Tuttavia, se non è dato bollare come giusto o sbaglia-to questo o quel signifi cato, non è neanche escluso che vi possano essere ragioni tali da indurci a preferirne uno, in quanto reputato più adatto ad affi nare la comprensione del fenomeno che si sta analizzando.

Così, alla rappresentazione, quale idea o immagine mentale di un fatto, può senz’altro riconoscersi il pregio di evidenziare un profi lo altrimenti destinato a rimanere in ombra: il rapporto tra il documento e coloro che ne fanno uso e, di conseguenza, la vitalità che ogni documento re-cupera nello scambio comunicativo al quale dà origine nel momento in cui viene interpretato43. Alla stessa non le si può riconoscere, invece, il merito di lumeggiare il proget-to di comunicazione che è immanente al documento, ossia quella sorta di vis signifi cativa in virtù della quale esso si distingue dalle altre cose, presentandosi come un oggetto funzionale alla riuscita di un passaggio di informazioni, pur in assenza di uno spirito che lo legge ed indaga44.

A tal proposito, si osserva che la superfi cie signifi can-te del documento, vera e propria griglia distributiva di un sapere, ha in sé una specifi ca attitudine alla produzione di senso45; ed ancora, che l’idea suscitata dalla percezione dei

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46 Il che, ovviamente, non equivale a dire che il destinatario del docu-mento è, di fronte all’oggetto della percezione, un recettore passivo dell’istan-za comunicativa che vi è contenuta. Al contrario, al lavoro svolto a monte dal documentatore per produrre ed articolare i signifi canti del documento, si ag-giunge, a valle, il lavoro di comprensione semantica svolto dal destinatario per interpretarli.

Sul tema cfr.: G. BETTETINI, Produzione del senso e messa in scena, Mi-lano 1975, p. 148 («la lettura è un lavoro, che opera trasformando i materiali offerti dal testo, che non li accetta come dati scontati e che ne mette in discus-sione le stesse strutture organizzative, producendo un ‘nuovo’ oggetto cultu-rale disponibile a nuovi usi e a nuove trasformazioni semiotiche»); U. ECO, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano 1979, spec. p. 24 s. (il testo è «una macchina pigra che esige dal lettore un fi ero lavoro cooperativo per riempire spazi di non-detto o di già-detto rimasti per così dire in bianco»); U. VOLLI, Manuale di semiotica, cit., p. 73 s. («ci si trova di fronte a processi che sono stati concepiti e preparati per essere considerati come testi. Vi è un progetto dell’emittente che mira a determinare le modalità di lettura del destinatario. In questo caso dunque il testo è un luogo di confl it-to, o almeno il frutto di un negoziato, che mette a confronto le intenzioni di chi lo prepara con quelle di chi lo riceve»); nonché, in luogo di molti altri giuristi, P. SCHLESINGER, Interpretazione della legge civile e prassi delle corti, in Riv. dir. civ., 2002, p. 531 ss., spec. 534 («il signifi cato di un testo non è un’entità di carattere concettuale o mentale, che in qualche modo preesiste all’inter-pretazione di quel testo: il signifi cato è il risultato, e non la premessa, di un complesso processo di “lettura” di un messaggio, che si svolge lavorando sui diversi versanti di questo, da quello dell’emissione (dove conta l’intentio auc-toris, cfr. art. 12 delle nostre preleggi), a quello relativo al contenuto proprio dello stesso messaggio (in cui rileva quindi l’intentio operis), fi no, soprattutto, a quello dell’interprete, che necessariamente vi porta l’intero bagaglio della sua formazione, mentalità, preferenze, ecc. (intentio lectoris)»).

segni non nasce per suo conto come accade nei sogni, ma è il frutto di una stimolazione (in larga misura) programmata.

Il documento, in altri termini, mira a sollecitare una risposta comportamentale nel destinatario; più precisa-mente, una risposta interpretativa, ampiamente condizio-nata dal documento stesso.

Non è un caso, quindi, se il documentatore ha un’idea abbastanza chiara del tipo di reazioni che saranno suscita-te negli (ipotetici) percettori della res documentalis, essen-do egli lo “stratega” dei percorsi di senso che sono destinati ad essere innescati.46

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47 La prospettata distinzione si ispira – sia pure liberamente e nei limiti in cui ci appare utile ai fi ni dell’analisi giuridica – alla più tradizionale e nota (anche se assai discussa nella storia della semiotica) tra le classifi cazioni dei tipi di segni: quella tra icone, indici e simboli, elaborata nella seconda metà del se-colo decimonono dall’americano Charles Sanders Peirce. Ed infatti, se è vero che il documento è una res signata, una sorta di “contenitore di segni”, non ci sembra affatto improprio distinguere i documenti in relazione alla natura dei segni adoperati.

Sulla tripartizione dei segni in icone, indici e simboli, defi nita dallo stes-so C. S. PEIRCE, Semiotica. I fondamenti della semiotica cognitiva, cit., spec. p. 155, come «la più fondamentale distinzione dei segni», si veda, altresì, M. BONFANTINI, La semiotica cognitiva di Peirce, Torino 1980; R. SIMONE, Fonda-menti di linguistica, Bari 1990, p. 41 ss.; R. FABBRICHESI LEO, Introduzione a Peirce, cit., spec. p. 79 ss.; U. ECO, Trattato di semiotica generale, cit., spec. p. 239 ss.; U. VOLLI, Manuale di semiotica, cit., p. 31 ss.

A scanso di fraintendimenti, inoltre, si avverte che la distinzione tra documenti iconici e simbolici non coincide, ma aspira a porsi in alternativa a quella – ben nota – tra documenti diretti ed indiretti distinti, a loro volta, a seconda che la rappresentazione avvenga o non avvenga per il tramite della

5. Segue. Documenti iconici e simbolici. La rappresenta-zione come organizzazione complessiva di tutti gli ele-menti presenti sulla superfi cie signifi cante del documen-to, mediante la quale il fatto rappresentato viene iconi-camente o simbolicamente “messo in scena”

I rilievi appena svolti conducono alla ricerca di una diversa nozione di rappresentazione che, senza occultare i condizionamenti esercitati dal documento sui destinatari e l’istanza programmatica che ivi è contenuta, consenta di il-lustrare convenientemente il modo in cui certe cose stanno per qualcosa di altro agli occhi di qualcuno (o alla porta-ta degli altri organi di senso), esercitando una funzione di supplenza.

All’uopo, in ragione del tipo di legame che si instaura tra il “veicolo segnico” e l’oggetto cui si riferisce, cioè il fat-to in luogo del quale sta, sembra di poter distinguere due classi di documenti: iconici (simili al proprio oggetto) e sim-bolici (convenzionalmente connessi al proprio oggetto)47.

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mente umana. Amplius, F. CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 478 s.; ID., Teoria del falso, cit., p. 139.

48 Che anche all’uso dei segni iconici si accompagni o no un certo mar-gine di convenzionalità, è oggetto di serissima discussione tra i cultori della semiotica, ma non è di particolare rilievo in funzione della nostra indagine. In argomento, per tutti, cfr., U. ECO, Trattato di semiotica generale, cit., spec. p. 256 ss.

49 Cfr. C. S. PEIRCE, Semiotica. I fondamenti della semiotica cognitiva, cit., p. 140: «Una cosa qualsiasi […] è un’Icona di qualcosa, nella misura in cui è simile a quella cosa ed è usata come segno di essa».

50 In merito all’interpretazione di contenuti digitali iconici si è osservato che «l’aprirsi di una serie di icone o di immagini […] crea nuovi insospetta-ti spazi ad un’indagine che si proponga di valorizzare le “circostanze” nelle quali è stato concluso il contratto, al fi ne di individuare l’assetto di interessi, di rischi e di costi che con esso le parti hanno inteso realizzare» (così, C. SCO-GNAMIGLIO, L’adempimento dell’operazione economica telematica tra “realtà virtuale” ed “interessi dei contraenti”, in AA. VV., Il contratto telematico, in AA. VV., Il contratto telematico, a cura di V. Ricciuto e N. Zorzi, Padova 2002, p. 153 ss., spec. 161; ID., La conclusione e l’esecuzione del contratto telematico, in AA. VV., Commercio elettronico e categorie civilistiche, a cura di S. Sica e P. Stanzione, Milano 2002, p. 73 ss., spec. 85 ss.).

51 A riguardo di pitture (id est icone) che paiono “vere” cade acconcio il ricordo di quella singolar tenzone, così come descritta da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia: «si racconta che Parrasio venne a gara con Zeusi;

Cominciamo dai primi. Sono iconici (o imitativi) i do-cumenti che stanno a qualcuno per qualcos’altro soprat-tutto per via di similarità,48 nel senso che carattere tipico di ogni documento iconico è quello di essere correlato ai suoi denotata (eventi reali, cose, stati del mondo etc.) in virtù della particolare “forma” dei segni adoperati che sono simi-li a o analoghi a il fatto rappresentato49. In altra prospet-tiva, il documento è iconico nella misura in cui è idoneo a sollecitare nei destinatari reazioni percettive molto simili a quelle che sarebbero state stimolate dalla presenza dell’og-getto imitato50. Basti por mente all’abilità di certi grandi artisti del passato nella rappresentazione fi gurativa delle cose come esse appaiono all’occhio umano, spinta fi no alle estreme conseguenze della mimesi che induce lo spettatore a confondere il vero con il suo simulacro51.

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mentre questi presentò dell’uva dipinta così bene che gli uccelli si misero a svolazzare sul quadro, quello espose una tenda dipinta con tanto verismo che Zeusi, pieno d’orgoglio per il giudizio degli uccelli, chiese che, tolta la ten-da, fi nalmente fosse mostrato il quadro; dopo essersi accorto dell’errore, gli concesse la vittoria con nobile modestia: se egli aveva ingannato gli uccelli, Parrasio aveva ingannato lui stesso, un pittore» (Storia naturale, V, Mine-ralogia e storia dell’arte, Torino 1988, p. 361 ss.). Ma lungo tutto il percorso della storia dell’arte si rinvengono numerosi episodi di questo genere: il pittore tedesco Hans Holbein, in procinto di partire alla volta della corte inglese di Enrico VIII, volle lasciare in Svizzera un segno eloquente della sua abilità e su un ritratto appena ultimato dipinse una mosca. In seguito fu quindi felice di sapere che il committente, prima di accorgersi dell’inganno, aveva tentato di scacciare l’insetto dalla tela.

52 Anche se da tempo gli artisti hanno imparato a creare su una super-fi cie piatta l’illusione della profondità (id est una rappresentazione della pro-fondità), mediante il chiaroscuro, lo scorcio e l’applicazione delle altre “leggi” sulla prospettiva.

53 In altre parole, la rappresentazione iconica è sempre parziale: sta per l’oggetto non sotto ogni aspetto possibile, ma solo a partire da una determinata scelta di pertinenza. Rectius, sotto qualche aspetto o capacità.

54 Cfr. F. ROTA, Gli altri documenti, in AA. VV., La prova nel processo civile, a cura di M. Taruffo, Milano 2012, p. 687 ss., spec. 706 ss.; M. ORLANDI,

Naturalmente, affi nché si realizzi l’impressione di re-altà di cui si parla, non è necessario che l’imitans ripro-duca fedelmente tutte le qualità che si possono ascrivere all’imitatum: la rappresentazione del fatto contenuta nel documento iconico è sempre una radicale semplifi cazione rispetto alla complessità del reale, il risultato di un proces-so di selezione di alcune tra le molte (infi nite) caratteristi-che dell’oggetto rappresentato (com’è palmare nel ritratto che rappresenta iconicamente il volto di cui è pittura, pur trascurandone certe proprietà, quali la tridimensionali-tà52, la morbidezza della pelle, il profumo dei capelli e così via)53.

Se ciò che è scritto in queste pagine ha qualche atten-dibilità, è allora fondato anche l’assunto secondo il quale rientrano nella categoria dei documenti iconici molte delle cosiddette riproduzioni meccaniche54, ivi comprese quelle

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La paternità delle scritture, Milano 1997, p. 395 ss.; F. LUCIFERO, voce Ri-produzioni meccaniche, copie ed esperimenti, in Enc. dir., XL, Milano 1989, p. 1081 ss.; F. DE SANTIS, Il documento non scritto come prova civile, Napoli 1988, spec. p. 45 ss.; A. MASSARI, Riproduzioni meccaniche, copie ed esperi-menti (in materia civile), in Noviss. dig. it., XV, Torino 1968, p. 1244 ss.; F. CARNELUTTI, Prova fotografi ca e fonografi ca, in Riv. dir. proc. civ., 1942, I, p. 233.

55 Se mai qualche diffi coltà può sorgere in ordine alla qualifi cazione delle copie fotografi che di scritture di cui all’art. 2719 cod. civ. . A nostro avviso, esse sono comunque da ricomprendersi tra i documenti iconici in quanto rap-presentano per via di similarità – attraverso la riproduzione dei segni grafi ci nel loro aspetto esteriore – un documento scritto. Esse sono, in altri termini, “immagini di” altri documenti scritti.

56 Sulla capacità imitativa dell’immagine cinematografi ca, si vedano i rilievi di P. C. RIVOLTELLA, Dal segno al simbolo. Un’indagine nel campo semi-otico, Roma 1991, p. 86: «Grazie alla forte impressione di realtà comunicata dalle immagini in movimento, sembrerebbe infatti inevitabile che la percezione fi lmica sia assunta non come segno, ma come specchio della realtà: quasi come la realtà stessa» e G. BETTETINI, L’occhio in vendita, Venezia 1985, p. 38 s., secondo il quale il cinema ha «sempre inteso evocare una pienezza appena scal-fi ta dal ritardo e dalla distanza in cui la rappresentazione si costituisce come signifi cante». Più in generale, sul modo in cui le immagini si riferiscono all’og-getto rappresentato, si rinvia alle rifl essioni di R. EUGENEI, Analisi semiotica dell’immagine, 9ª ed., Milano 1999.

Sul documento cinematografi co, invece, si veda la lungimirante nota di F. CARNELUTTI, Prova cinematografi ca, in Riv. dir. proc. civ., 1924, I, p. 204 s.: «Quando io mi sono azzardato, in una scuola, a prevedere che, per esem-pio, il fonografo potrà avere nell’avvenire una larga parte nella documentazio-ne notarile, ho visto perfi no sui volti dei discepoli molti sorrisi d’incredulità. Ma ecco un fatto di cronaca, che merita di essere fermato anche sulle pagine di questa Rivista. A Roma, nel teatro di posa della Palatino Film, mentre si cinematografavano alcune scene del “Quo vadis”, una leonessa, balzata dal-la gabbia, ghermì e sbranò un povero uomo, che fi gurava da comparsa. Si istruisce, naturalmente, contro i direttori dello spettacolo processo penale per omicidio colposo. Ora sul Corriere della Sera del 7 febbraio scorso ho letto che “l’operatore, il quale girava il fi lm protetto da una robusta armatura di legno, ha colto in gran parte la tragica scena. La pellicola è stata ….. sequestrata dall’autorità giudiziaria”. Ecco che i miei scolari non sorrideranno più».

57 Del tutto superata appare, oggi, quella dottrina che non riconosceva alla prova cinematografi ca e fonografi ca la qualità di documento. In questo

fotografi che55, cinematografi che56 e fonografi che57, espres-samente menzionate nell’art. 2712 cod. civ. . Ed infatti, l’immagine (sia essa statica o in movimento) ed il suono re-

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senso, per tutti, C. LESSONA, Trattato delle prove in materia civile, vol. III, 3ª ed., Firenze 1922, p. 559: «il fonografo ed il cinematografo […] non hanno il carattere di prove documentali, ma solo di semplici presunzioni».

58 L’immagine e il suono registrato, in altri termini, sono sempre dispo-nibili ad essere “aggrediti” dal punto di vista conoscitivo. Sul punto cfr. A. MALINVERNI, voce Documento (dir. pen.), in Enc. dir., XIII, Milano 1964, p. 622 ss., spec. 629: «il motto “verba volant scripta manent” ha perso di validità perché oggi anche le fuggevoli parole dette possono venire fedelmente fi ssate e conservate a lungo come quelle scritte»; F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 143 s., sub nota 205: «mediante il fonografo si ottiene una riproduzione, più o meno precisa, del discorso, dalla quale è lecito arguire l’avvenimento di questo nel passato. Ma la riproduzione di un fatto è proprio la forma eccellente della sua rappresentazione; e d’altra parte il discorso parlato dal fonografo non è punto il discorso parlato dalla persona, ma una sua riproduzione rappresenta-tiva. Il fonogramma non è dunque né un indizio, né il fatto da provare, ma un fatto che rappresenta quest’ultimo; e poiché, altronde, non è un atto ma una cosa, non è possibile se non classifi carlo tra i documenti».

59 È signifi cativo, a questo proposito, il fatto che il codice civile del 1865 non disciplinasse altra forma di documento al di fuori «Della prova per iscrit-to» (art. 1313 ss.).

Sulla nozione di documento dichiarativo cfr. A. GRAZIOSI, Premesse ad una teoria probatoria del documento informatico, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, p. 441 ss., spec. 499 s.: «potrà essere considerato come documento dichiarativo quello che oltre a rappresentare la dichiarazione, rappresenta an-che il soggetto da cui proviene. Ossia il documento che contiene anche la prova della sua provenienza soggettiva, la quale coincide, com’è ovvio, con la prova della sua formazione».

gistrato sono proposti e vissuti come testimonianze, pronte in ogni momento a presentifi care il loro referente, facendo-lo rispettivamente vedere e sentire anche a coloro che, al tempo dell’accadere, erano assenti e lontani58.

Ciò detto, si precisa che il documento non è tale sol-tanto quando rappresenta iconicamente il fatto cui si rife-risce. Anzi, in considerazione dell’id quod plerumque fi t, le prove documentali storicamente più importanti, ossia gli scritti contenenti una dichiarazione59, non rassomigliano affatto all’oggetto denotato, ma stanno in luogo di qual-cos’altro in virtù di una correlazione di carattere squisita-mente culturale.

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60 Al pari delle note musicali che corrispondono ad un determinato even-to sonoro, i singoli segni della scrittura alfabetica corrispondono ad un deter-minato suono della lingua orale.

61 Al rapporto tra la realtà e la sua rappresentazione iconica e simbolica è dedicata l’opera – manifesto dell’arte concettuale: “Una e tre sedie” (1965), di Joseph Kosuth. Trattasi di un’installazione che consiste nell’esposizione di una sedia (oggetto signifi cato), di un’immagine fotografi ca di una sedia (rap-presentazione iconica) e nella defi nizione scritta della parola “sedia” (rappre-sentazione simbolica) estrapolata da un dizionario. Ma il tema è ricorre in ope-re di altri artisti. Così, in un quadro di René Magritte, appaiono raffi gurate due tele incorniciate: una è soltanto una macchia blù, sull’altra c’è scritto ciel.

Questa breve osservazione offre lo spunto per intro-durre la descrizione della seconda classe di documenti, già qualifi cati come simbolici ed in questa sede più ampiamen-te defi niti come quei documenti che sono in rapporto con il fatto rappresentato per ragioni storiche e contingenti: essi signifi cano un determinato contenuto solo in quanto esi-ste una convenzione segnica (socialmente prestabilita) che consente loro di essere interpretati come signifi canti quel contenuto. Così, ad esempio, le note musicali tracciate su un pentagramma denotano un particolare evento sonoro pur se non sono l’immagine o, fuor di sinestesia, una rap-presentazione iconica della musica. A ben rifl ettere, infat-ti, nulla avrebbero in comune i segni grafi ci delle note con le entità acustiche corrispondenti se non vi fosse una regola convenzionale a metterli in relazione.

Ad analogo meccanismo rappresentativo ricorrono i documenti scritti. I testi contengono un gran numero di grafemi variamente articolati tra loro, sono cioè composti da sequenze di segni alfabetici60 formanti le singole paro-le della lingua scritta (i sostantivi che denotano «sostanze, cose o persone», gli aggettivi che denotano «la qualità dei sostantivi o la loro situazione nell’ambiente», i verbi che denotano «l’azione», i complementi oggetto che denotano chi la subisce etc.)61. Orbene, le formule linguistiche, come

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La prima, è un segno iconico, perché ha qualcosa in comune con il suo signi-fi cato o denotazione, il colore blù. La parola ciel è un segno simbolico; il suo signifi cato è puramente convenzionale, così come lo sono le quattro lettere di cui è composta.

62 Cfr. R. SACCO, in S. SACCO e G. DE NOVA, Il contratto, 3ª ed., in Trat-tato di diritto civile diretto da R. Sacco, I, Torino 2004, spec. p. 722: «l’auto-suffi cienza assoluta della dichiarazione (la situazione, cioè, per cui una dichia-razione contenga in sé tutto ciò che occorre per intenderla) è un non senso. La dichiarazione è sempre resa in codice: codice linguistico, codice alfabetico, co-dice legale, codice cronologico. La scrittura redatta in lingua italiana, alfabeto latino, la quale menzioni una data e un articolo del codice civile non è assolu-tamente “autosuffi ciente”. Ha bisogno, per essere intesa, dell’integrazione che viene dal dizionario, dal sillabario, dal calendario, e dalla Gazzetta Uffi ciale. Quando noi parliamo, agli effetti giuridici, di dichiarazione autosuffi ciente, vogliamo riferirci, in realtà, alla dichiarazione che può essere intesa da un giudice il quale conosca per lo meno la lingua italiana (compreso l’alfabeto latino), il sistema metrico decimale, il calendario e il contenuto della Gazzetta Uffi ciale».

63 La comprensione del testo scritto da parte del singolo lettore presup-pone, quindi, la conoscenza del codice linguistico adoperato (ovvero, di una particolare lista di accoppiamenti socialmente stabiliti fra tipi di signifi canti e tipi di signifi cati) senza che da ciò si possa legittimamente dedurre, come pure è stato sostenuto, che «una res assume il signifi cato di documento soltanto in quanto il soggetto che intende avvalersene in tal senso sia fornito (o comun-que predisponga nell’occasione) di un codice intellettuale per la sua lettura» (C. ANGELICI, voce Documentazione e documento (diritto civile), cit., p. 1). A nostro giudizio, infatti, quello che conta ai fi ni della qualifi cazione di una cosa come documento (simbolico), è che il codice impiegato per signifi care rientri nell’enciclopedia (id est, nel patrimonio culturale) di un certo gruppo di uo-mini. Semmai, problematica risulta la qualifi cazione di quelle cose che recano secum tracce di un codice di cui, con il passare del tempo, non il singolo lettore, ma ogni uomo ha smarrito la chiave di lettura. Viene così da chiedersi: erano documenti o “misteri” le iscrizioni geroglifi che egizie prima che Champollion ne decifrasse il senso?

Assai brillanti, in proposito, le notazioni di F. GERBO, Documento, in Riv. notar., 2009, p. 777 e s.: «la costruzione, diciamo così shakespeariana, secondo cui il documento raggiungerebbe pienezza di sé solo in quanto si sa-

appaiono stampate su un foglio di carta, non sono portatri-ci di senso in sé62 e sarebbero destinate a rimanere “lettera morta” se, anche in questo caso, non vi fosse una previa convenzione (il cosiddetto contratto linguistico) ad anco-rarle ai loro denotata63. Legittimamente, quindi, si può af-

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rebbe in condizione di decifrarlo (un po’ come la bellezza di Shakespeare che starebbe soltanto negli occhi di chi la guardia) non dà ragione del signifi cato oggettivo del documento che invece è tale in quanto tale, a prescindere dalla circostanza che taluno possa apprezzarlo per quello che è».

Infi ne, per l’approfondimento del concetto di codice linguistico si veda M. ORLANDI, La paternità delle scritture, cit., p. 28 ss., ove ulteriori riferimen-ti bibliografi ci.

64 Del resto, se non si potesse dire che il documento contiene la rappresen-tazione di un fatto, come si potrebbe parlare di falso documentale ideologico?

65 Cfr. G. BETTETINI, Produzione del senso e messa in scena, cit., spec. p. 67 ss.

fermare che i testi scritti sono la rappresentazione simboli-ca di un fatto trascorso, nella specie, di una enunciazione enunciata.

A questo punto, pensiamo di aver raccolto materiale suffi ciente per rispondere, con maggiore consapevolezza, al primitivo interrogativo della nostra ricerca, e cioè se la rappresentazione è un elemento intrinseco al documento oppure un giudizio che sul documento si fonda.

La prima delle due alternative sembra preferibile. Il documento è lo spazio dove si svolge la rappresentazione64, intesa come l’organizzazione complessiva di tutti gli ele-menti presenti sulla sua superfi cie signifi cante, mediante la quale il fatto rappresentato viene iconicamente o simbo-licamente “messo in scena”65.

6. Segue. Documenti (informatici) iconici e forma scritta

In appendice al paragrafo che precede, vi è un aspetto sul quale conviene fermare l’attenzione.

Nel tentativo d’inquadrare sinteticamente i termi-ni della questione, sia consentito prendere l’avvio da una considerazione – a vero dire un poco frettolosa – che lo scrivente fi ssò sulla carta alcuni anni fa. Ad litteram: «La categoria dei documenti iconici appare oggi valorizzata dalla nuova disciplina sul documento informatico e le fi r-

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66 G. NAVONE, La teoria giuridica del documento nel sistema della prova civile, in AA. VV., Studi in onore di Ugo Majello, a cura di M. Comporti e S. Monticelli, vol. II, Napoli, 2005, p. 313, sub nota 44. Ma, ancor prima, la tesi sopra accennata fu avanzata da F. DELFINI, Il D.P.R. 513/1997 e il contratto te-lematico, in Contratti, 1998, p. 293 ss., spec. 295 s.: «La riconosciuta rilevan-za della documentazione digitale […] potrà aprire nuovi spazi alla documen-tazione contrattuale: si pensi alla documentazione digitale della conclusione di un contratto, laddove la riproduzione delle immagini dei soggetti fi sici che emettono le dichiarazioni costituenti l’accordo contrattuale potrà semplifi care l’attività interpretativa del contratto. Se poi il documento che riproduce in modo digitale tale conclusione verrà corredato della fi rma digitale delle parti sarà rispettato anche il requisito della forma scritta previsto per alcuni tipi contrattuali e ciò avverrà con un documento che non necessariamente dovrà contenere un testo. Le implicazioni, a livello sistematico, mi paiono notevoli. […] Si possono ipotizzare contrattazioni verbali che, tramite la loro documen-tazione in tempo reale – direi atecnicamente, la loro ripresa “cinematografi ca”, seppur in modo digitale – divengono contrattazioni scritte, agli effetti della for-ma vincolata». In questa stessa corrente, altresì, M. ORLANDI, Il falso digitale, Milano 2003, p. 32 ss., spec. 34: «Il “farsi per scrittura privata” dell’art. 1350 cod. civ. non esige più, a rigore, un tracciare simboli alfabetici, giacché il fi le è sempre suscettibile di fi rma digitale – e così d’integrare la fattispecie dell’art. 2702 cod. civ. – anche quando rappresenti immagini e suoni di parole dette».

me elettroniche. […] Di fatti, se si considera che la fi rma elettronica può essere apposta ad una qualunque sequenza di simboli binari indipendentemente dal loro signifi cato (si-ano essi fi le di testo, audio o video), ne discende che per la prima volta il requisito della forma scritta ad substantiam actus può essere assolto attraverso la redazione di un do-cumento non scritto (come, ad esempio, un documento fo-nografi co, fotografi co o cinematografi co); in altri termini, attraverso la formazione di un documento iconico»66. Tra parentesi, purché il fatto rappresentato iconicamente sia una dichiarazione negoziale di volontà.

Col che, quindi, s’intravide la possibilità di aprire un inedito sipario sul modo di essere della forma vincolata, fi no a dilatare il signifi cato di “scritto” ben oltre i confi ni (tradizionali) del testo recante i segni della scrittura alfa-betica.

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67 Art. 1, lett. p.68 Art. 21, comma 2-bis.69 La parola “testo”, dal latino textum, participio passato del verbo texe-

re, contiene in sé i concetti di tessuto, trama, ordito, intreccio. Muovendo da ciò, in ambito semiotico, si ricava motivo per accreditare una nozione latissima di testo come tessuto in cui i contenuti comunicativi si “tengono” legati da un vincolo di coerenza. È però doveroso segnalare che anche nelle pagine di un giurista importante si rinvengono passaggi che presuppongono un’idea molto ampia di testo laddove, per esempio, si afferma che «La raffi gurazione grafi ca degli oggetti sarà in numerosi casi (piante planimetriche, ecc.) più effi cace di una descrizione fatta per vocaboli, e sarà elemento della dichiarazione alla pari con i vocaboli» (R. SACCO, in R. SACCO e G. DE NOVA, Obbligazioni e con-tratti, 3ª ed., in Tratt. Rescigno, vol. X, tomo II, Torino 2004, p. 299 s.).

Nel tempo presente, in base alla legge vigente, questa stessa conclusione potrebbe trovare negli artt. 1 e 21 del Codice dell’amministrazione digitale i suoi principali pun-telli normativi. In particolare, nella defi nizione generica ed onnicomprensiva di documento informatico quale «rap-presentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamen-te rilevanti»67; e, ancora, nella disposizione secondo cui «le scritture private di cui all’articolo 1350, primo comma, numeri da 1 a 12, del codice civile, se fatte con documento informatico, sono sottoscritte, a pena di nullità, con fi rma elettronica qualifi cata o con fi rma digitale»68.

Agli occhi di chi scrive, si tratta di una prospetti-va affascinante. Rispetto alla quale i giuristi potrebbero giovarsi, e non poco, degli apporti offerti da studiosi di altre discipline. Da quelli di semiotica, in particolare, in-clini ad estendere la nozione di “testo” in modo tale da ricomprendervi l’universo mondo dei testi visivi, audio e multimediali69.

Nondimeno, poiché parole poco pensate possono pro-vocare pentimento, occorrerà procedere con prudenza. Per dirla riecheggiando Manzoni: adelante, Pedro, ma con juicio.

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70 Contra, G. DI BENEDETTO, Scrittura privata e documento informati-co. Riconoscimento disconoscimento verifi cazione, Milano 2009, p. 19: «Nulla vieta […] che la dichiarazione, orale e documentata per via informatica, possa valere, se munita di fi rma elettronica, come scrittura privata e ciò anche se per la rappresentazione della dichiarazione non viene utilizzato a rigore lo stru-mento della scrittura».

71 In questo senso, già nella vigenza del codice civile abrogato, P. COPPA ZUCCARI, I telegrammi in rapporto alle scritture private, Roma 1900, spec. p. 12 s.: «Quando la forma scritta è richiesta ad solemnitatem, conseguenza dell’inosservanza è l’assoluta nullità dell’atto. Nessuna conferma o rettifi ca od esecuzione volontaria può sanare vizi di un atto nullo in modo assoluto per difetto di forma. Non varrebbe che le parti, dopo essersi intese sulle condi-zioni contrattuali, si obbligassero a redigere in seguito l’atto scritto od a re-golarizzarlo». Invece, tra gli scritti meno lontani negli anni, cfr.: V. ROPPO, Il contratto, 2ª ed. in Trattato di dir. privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano 2011, p. 232 («Quando la forma è richiesta per la validità, essa deve rivestire le dichiarazioni contrattuali costitutive del contratto; non è suffi cien-te che quella forma rivesta altre dichiarazioni pur riferite al contratto (ad es. dichiarazioni ricognitive o confessorie). Così, una quietanza scritta in cui si dà atto del pagamento del prezzo della rivendita immobiliare, di cui si riportano gli estremi, non soddisfa il requisito della forma scritta imposto per la validità del contratto»); L. P. COMOGLIO, Le prove civili, cit., spec. p. 424 s.; E. MOSCA-TI, La forma del contratto, in AA. VV., Obbligazioni. Il contratto in generale,

Si assuma, a mo’ di banco di prova, un’ipotesi con-creta: Tizio e Caio dichiarano oralmente di volere, rispet-tivamente, vendere ed acquistare un bene immobile per la somma di un milione di euro. Con una webcam essi ripren-dono la scena e, poco dopo, appongono sul fi le audiovisivo che la rappresenta la propria fi rma digitale o altra fi rma elettronica qualifi cata.

Naturale domandarsi: così facendo, e in forza del combinato disposto dell’art. 1 e dell’art. 21 del Codice dell’amministrazione digitale, hanno Tizio e Caio concluso un contratto che soddisfa il requisito della forma scritta ad substantiam ai sensi dell’art. 1350, numero 1, cod. civ.?

Melius re perpensa, no.70

Decisivo, ai fi ni del mutamento di rotta, è la conside-razione di uno dei “fondamentali” del diritto contrattuale.

In base alle migliori acquisizioni della dottrina71 e del-

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in Diritto civile diretto da N. Lipari e P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, vol. I, tomo II, Milano 2009, p. 376 e s. (la «forma ad substantiam […] si con-fi gura come modalità necessaria di manifestazione del consenso contrattuale […]. Ne consegue che la forma prescritta deve sussistere fi n dal momento in cui l’atto è posto in essere, per cui una sua eventuale mancanza in quel momento non può essere successivamente surrogata attraverso posteriori dichiarazioni ricognitive, sia pure aventi la forma prescritta»); L. MODICA, Vincoli di forma e disciplina del contratto, Milano 2008, p. 55 («il requisito di forma si ritie-ne soddisfatto solo se il documento costituisce l’estrinsecazione diretta della volontà negoziale senza possibilità di atti ripetitivi o ricognitivi»); S. LANDINI, Formalità e procedimento contrattuale, Milano 2008, spec. p. 25 ss. In questa stessa direzione, si spinge la chiara enunciazione dell’34, comma 1, del Codice Gandolfi (progetto di Codice europeo dei contratti, elaborato dall’Accademia dei giusprivatisti europei di Pavia): «Quando per la conclusione di un con-tratto è richiesta una forma speciale a pena di nullità, tale forma deve essere adottata dalle parti nel momento in cui esse manifestano […] la loro volontà di accordarsi su tutti gli elementi del contratto».

In senso contrario si veda U. SALVESTRONI, «Progetto» di testamento, «minuta» di contratto e interpretazione dell’intento negoziale, in Problemi at-tuali di diritto civile. Atti e rapporti, Rimini 2001, p. 57 ss., spec. 66, secondo il quale: «il requisito formale potrebbe venire integrato anche successivamente nell’arco dello svolgimento “procedimentale” che va dalla conclusione all’ese-cuzione del contratto ed anche in fase contenziosa, attraverso la produzione in giudizio in giudizio della dichiarazione non sottoscritta ma ancora non revoca-ta della controparte».

Della questione, inoltre, si è ampiamente occupata la dottrina che ha approfondito il tema degli atti ricognitivi dei diritti reali; in particolare, C. A. GRAZIANI, Il riconoscimento dei diritti reali, Padova 1979 e C. GRANELLI, La dichiarazione ricognitiva di diritti reali, Milano 1983.

72 Ex plurimis, Cass. 30 marzo 2012, n. 5158; Cass. 6 aprile 2009, n. 8234; Cass. 7 aprile 2005, n. 7274; Cass., 18 giugno 2003, n. 9867; Cass., 28 maggio 1997, n. 4709; Cass., 13 dicembre 1982, n. 6822: «i contratti che tra-sferiscono la proprietà di beni immobili richiedono la stipulazione in forma scritta quoad substantiam, e perché ricorra un siffatto requisito non è suffi -ciente un qualsiasi documento da cui possa indirettamente risultare la prova di un contratto altrimenti già concluso o da concludere, ma è necessario che la manifestazione di volontà negoziale sia direttamente contenuta nell’atto scrit-to, nel senso che questo deve costituire l’estrinsecazione formale diretta della volontà contrattuale delle parti e posto in essere al fi ne specifi co di manifestare tale volontà; tale contenuto non può pertanto riconoscersi ad una dichiarazio-ne di quietanza».

la giurisprudenza72, si ritiene che quando una determinata forma è richiesta dalla legge sotto pena di nullità, tale for-ma deve rivestire le dichiarazioni costitutive del contrat-

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73 Al riguardo, cfr. U. BRECCIA, La forma, in AA. VV., Formazione, a cura di C. Granelli, in Trattato del contratto diretto da V. Roppo, vol. I, Mila-no 2006, p. 488: il «documento, la cui formazione […] può rivestire l’accordo contrattuale ma può anche semplicemente attestare una pregressa perfezione dell’accordo senza modalità formali».

74 Vien semmai da chiedersi, quid iuris se il fatto rappresentato iconi-camente è una dichiarazione confessoria avente ad oggetto il compimento di un negozio solenne con l’osservanza della forma prescritta ad validitatem? Dottrina e giurisprudenza, per antico orientamento (ma spesso senza neppure una parola di spiegazione), tendono a negare che l’esistenza di un contratto a forma vincolata possa essere provata a mezzo di una confessione. Tra i nostri studiosi, tuttavia, non manca qualche voce autorevole diversamente orienta-ta, incline a ritenere che «l’affermazione secondo cui gli atti solenni possono

to. Talché, si aggiunge, l’eventuale mancanza della forma prescritta a fi ni costitutivi nel momento in cui le parti ma-nifestano la volontà di accordarsi, non può essere successi-vamente surrogata dalla redazione scritta di una dichiara-zione ricognitiva, di accertamento o confessoria.

Al lume di questa premessa, torniamo all’esempio so-pra delineato. Tizio e Caio concludono “verbis” una compra-vendita immobiliare e poi formano un documento che rap-presenta iconicamente lo scambio orale dei consensi; o, se si vuole, creano un documento audiovisivo dal quale si evince la pregressa formazione amorfa dell’accordo73. Ne segue, sul piano della disciplina, che, così facendo, Tizio e Caio non hanno soddisfatto il requisito di cui all’art. 1350 cod. civ.; ma, a tutto concedere, si sono precostituiti la prova della conclusione di un contratto nullo per difetto di forma74.

Volendo esprimersi con linguaggio fi gurato, si potreb-be sul punto concludere questo: la fi rma digitale apposta su un documento informatico che dà veste d’immagine ad una dichiarazione resa originariamente a voce, non è una spe-cie di “tocco del re Mida”, capace di trasformare la parola parlata in (un quid equivalente alla) parola scritta.

Sempre nel caso considerato, la separatezza tra l’atto del dichiarare e quello del documentare non legittimano un diverso epilogo75.

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essere provati solo con il documento originale sia uno di quegli assiomi che la tradizione […] ha conservato pur essendo privi di fondamento nel diritto positivo» (C.A. GRAZIANI, Il riconoscimento dei diritti reali, cit., p. 230. L’Au-tore or ora citato ha successivamente ripreso e sviluppato l’argomento in un saggio icasticamente intitolato: Il dogma dell’inammissibilità della confessione nei contratti solenni, in La forma degli atti nel diritto privato: studi in onore di Michele Giorgianni, Napoli 1988, p. 439 ss.).

75 Illuminanti, al riguardo, le seguenti parole di N. IRTI, La ripetizione del negozio giuridico, cit., p. 88: «la singolarità dello scritto si coglie […] nel rapporto tra genesi del documento e genesi del fatto documentato. Il docu-mento grafi co si compie con il compiersi del fatto documentato […] Gli altri documenti (fonografi co, fotografi co, cinematografi co) si riferiscono a fatti, che già appartennero al mondo esterno». In argomento, altresì, spunti preziosi si ricavano dalla lettura di P. GUIDI, Teoria giuridica del documento, cit., p. 85 s.: «la dichiarazione fatta per iscritto non ha altra forma di manifestazione diversa da quella rivelata dallo scritto e quindi, nel momento in cui avviene la dichiara-zione, questa consiste nello scrivere: scrivere e dichiarare sono una cosa sola».

76 Sul possibile impiego di documenti audiovisivi ai fi ni dell’osservanza di prescrizioni di forma scritta ad informationem, s’interroga S. PAGLIANTINI, voce Neoformalismo contrattuale, in Enc. Dir. – Annali, vol. IV, Milano 2011, p. 772 ss., spec. 790 s.

77 Ma, come si vedrà nella parte dedicata al valore giuridico dei docu-menti informatici (capitolo II, sezione terza), lo stesso è a dirsi per il docu-mento informatico munito di fi rma elettronica avanzata, ma non qualifi cata; mentre qualche dubbio circa l’idoneità ad integrare la forma ad probationem sussiste per il documento sottoscritto con fi rma elettronica non avanzata.

78 L’enunciazione di questa regola è molto schietta nell’art. 36, comma 1, del progetto di Codice europeo dei contratti che, rubricato, «Forma speciale

Diverso è il discorso, e diverse le conclusioni, per le ipotesi in cui l’osservanza della forma scritta è imposta dalla legge unicamente ad probationem76. Per esse, infatti, il documento informatico sottoscritto con fi rma digitale77 che rappresenta iconicamente lo scambio orale dei consensi può ben considerarsi un mezzo di prova idoneo ad attesta-re l’esistenza e/o il contenuto del contratto.

A questo esito non osta lo stacco tra l’atto del dichia-rare e quello del documentare; giacché, per unanime con-senso, suffi ciente ad integrare gli estremi della forma ri-chiesta a fi ni probatori è (anche) un documento meramente ricognitivo che sia stato redatto in un momento successivo a quello della stipulazione78.

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richiesta per la prova del contratto», così recita: «Se una forma speciale è ri-chiesta per la prova del contratto, l’avvenuta conclusione di esso deve risultare da un atto che ha tale forma, anche se tale atto non è posto in essere nel mo-mento in cui le parti hanno manifestato la volontà di concludere il contratto».

79 Interrogandosi sul futuro della documentazione, nel 1950 Francesco CARNELUTTI già prefi gurava il possibile impiego di ‘documenti iconici’ in ambito testamentario: «Le meraviglie della registrazione fonografi ca, congiunte con la registrazione cinematografi ca, a mio avviso, potranno, nell’avvenire, garantire contro qualsiasi possibilità d’inganno l’autenticità della dichiarazione. Così, mentre fi no ad oggi il testamento olografo non può essere fatto da chi non sa scrivere, non mi sembra escluso che in avvenire il testamento che non si chiamerà più olografo perché non sarà più scritto, ma per la esattezza equivarrà all’olografo, possa esser fatto combinando la rappresentazione fonografi ca con la rappresentazione cinematografi ca del testatore nell’atto del testare» (La fi gura giuridica del notaro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, p. 925). Ma addirittura alla fi ne del diciannovesimo secolo – a pochi anni dall’invenzione del fonografo (apparecchio atto a registrare e a riprodurre i suoni, progettato da Thomas Edison) – che risale una curiosa monografi a scritta da P. HEREDIA Y LARRE, intitolata El testamento fonografi co, Madrid, 1895.

80 Incidentalmente, si può osservare che – in considerazione dei muta-menti tecnologici intervenuti negli ultimi otto lustri – la disposizione sopra ri-portata si presta ad essere interpretata in chiave evolutiva. Non sembra perciò arrischiato sostenere che il giudice possa oggi autorizzare la sostituzione del verbale redatto con simboli alfabetici con la registrazione audio o audiovisi-

In chiusura di paragrafo, un’ultima notazione. È per-suasivo ritenere che il terreno giuridico più fertile al futuro impiego massivo dei documenti iconici (audio, video o mul-timediali)79 sia quello molto vario delle verbalizzazioni: si pensi per antonomasia alla documentazione delle dichiara-zioni espresse all’interno degli organi collegiali o, ancora, a quella degli atti del processo.

A quest’ultimo riguardo, anzi, può osservarsi che il “futuro” è iniziato circa quaranta anni fa; da quando, a far data dal 1973, nei penetrali del codice di rito si rinviene una disposizione che, rubricata «Registrazione su nastro», consente al giudice del lavoro di «autorizzare la sostituzio-ne della verbalizzazione da parte del cancelliere con la regi-strazione su nastro delle deposizioni di testi e delle audizioni delle parti o di consulenti» (art. 422 c.p.c.)80. Tanto vale a

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va su fi le informatico (in luogo, s’intende, dell’obsoleto nastro magnetico). L’autenticità e la genuinità di tale fi le, peraltro, potrebbero essere facilmente assicurati dall’apposizione della fi rma digitale da parte del cancelliere. Una simile interpretazione – a mio credere – non tradisce l’intenzione originaria del legislatore che, com’è stato autorevolmente rilevato, fu quella di «rendere più spedita l’udienza e più “immediata” – perché non interrotta dalle pause della verbalizzazione – l’assunzione dei mezzi istruttori indicati dalla norma» (L. MONTESANO e R. VACCARELLA, Manuale di diritto processuale del lavoro, 3ª ed., Napoli 1996, p. 199).

81 Al riguardo, cfr. R. FOGLIA, Il processo del lavoro di primo grado, Milano 1995, p. 247 s.

82 Così, ad litteram, L. CARRARO, Il diritto sul documento, cit., p. 7.Sul valore decisivo che, ai fi ni della distinzione tra documento in sen-

so giuridico e documento tout court, assumerebbe il collegamento con il fatto giuridicamente rilevante si vedano, altresì, i contributi di A. CANDIAN, voce Documentazione e documento, in Enc. dir., XIII, Milano 1964, p. 579 ss. (che defi nisce il documento come una cosa corporale idonea a ricevere, conservare, trasmette, la rappresentazione descrittiva o emblematica di un dato ente, giu-ridicamente rilevante. Lo stesso A., tuttavia, tiene a precisare che tale rilevan-za giuridica può sussistere nel momento stesso della formazione del documento – nel qual caso si può parlare giuridicità originaria - oppure sopravvenire nel corso del tempo); C. ANGELICI, voce Documentazione e documento (diritto ci-

dire: contempla la possibilità di confezionare un documento iconico avente, perfi no, l’effi cacia di atto pubblico81.

7. Il documento in senso giuridico. La nozione di documen-to come cosa rappresentativa di un fatto giuridicamen-te rilevante. Critica

Il termine “documento”, inteso nella sua più lata ac-cezione di cosa rappresentativa di un fatto esterno alla res documentale, e, quindi, in modo corrispondente al si-gnifi cato suo proprio nel linguaggio comune, è stato talora ritenuto non suffi cientemente specifi co poiché non consen-tirebbe di individuare la caratteristica fondamentale del documento in senso giuridico.

Nel tentativo di rimediare a tale difetto, un’autorevo-le dottrina ha proposto un uso tecnicizzato del termine in esame che, nell’ambito della scienza giuridica, andrebbe inteso nel senso più ristretto di «cosa rappresentativa di un fatto giuridicamente rilevante»82, capace di per sé stesso

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vile), cit., spec. p. 1, (il quale, a sostegno della propria opinione, afferma che al giurista non interessano i dati della vita reale in quanto tali se questi non sono considerati o non sono suscettibili di essere considerati sub specie iuris); L. BOVE, voce Documento (storia del diritto), in Dig. disc. Priv., Sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 13 ss., spec. 14 e C. M. BIANCA, sub art. 2, in AA. VV., Forma-zione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici (d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), cit., spec. p. 675: «Il documen-to informatico, va ribadito, è un documento in quanto cosa che reca messaggi. Esso è documento giuridico se reca messaggi giuridicamente rilevanti». Con-tra: P. GUIDI, Teoria giuridica del documento, cit., spec. p. 44 s.; G. LASERRA, La scrittura privata, cit., p. 42 ss.; S. PATTI, Prova documentale, cit., p. 4 s. (secondo cui la defi nizione proposta da Luigi Carraro fi nirebbe per confondere «la struttura del documento come tale, e quindi le caratteristiche che la cosa deve possedere per essere così defi nita, con la rilevanza del documento a fi ni giuridici»); M. E. LA TORRE, Contributo alla teoria giuridica del documento, cit., spec. p. 27 e ss.

La distinzione tra vocaboli (o espressioni) del linguaggio comune, tecnico e tecnicizzato, invece, è delineata limpidamente da G. TARELLO, L’interpretazio-ne della legge, in Trattato di dir. civile e commerciale Cicu – Messineo continua-to da L. Mengoni, I, tomo 2, Milano 1980, p. 108 ss. Secondo l’impostazione di questo Autore, sono comuni quei vocaboli (o quelle espressioni) che ricorrono nel discorrere abituale dei parlanti una determinata lingua; tecnici quei voca-boli (o quelle espressioni) che non ricorrono nell’uso comune (o ordinario) del linguaggio ma solo nel linguaggio specialistico di chi pratica una determinata scienza o tecnica (per es. il vocabolo “coseno” è proprio della trigonometria e soltanto di questa); tecnicizzati quei vocaboli (o quelle espressioni) del linguag-gio comune che, tuttavia, nell’ambito di una determinata scienza o tecnica si specializzano acquisendo un signifi cato più ristretto o meglio precisato di quello che hanno nell’uso ordinario. In argomento cfr.: G. LAZZARO, Argomenti dei giudici: il linguaggio comune, Torino 1979, p. 13 ss.; R. GUASTINI, Le fonti del diritto e l’interpretazione, in Trattato di dir. privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano 1993, p. 361 s.; A. BELVEDERE, voce Linguaggio giuridico, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., XI, Torino 1994, p. 21 ss., spec. 22.; M. JORI e A. PINTORE, Manuale di teoria generale del diritto, Torino 1995, spec. p. 321 ss.

83 Sulla giuridicità come proprietà intrinseca del fatto a produrre effetti giuridici, F. C. SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, trad. italiana di A. Scialoja, vol. III, Torino 1900, pag. 3: «Io do agli avvenimenti, per i quali si produce la nascita e la estinzione dei rapporti di diritto dei rapporti di diritto, il nome di fatti giuridici».

Diversamente, l’orientamento dottrinale di gran lunga prevalente tende oggi a ricollegare il carattere della giuridicità del fatto alla previsione normati-va dello stesso. In questo senso, per tutti, L. BIGLIAZZI GERI, U. BRECCIA, F. D.

di produrre immediati effetti nel mondo del diritto83. Ed in particolare, si precisa che vi sono cose rappresentative alle quali non può essere attribuita la qualità di documen-

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BUSNELLI, U. NATOLI, Diritto civile, I, tomo II, cit., p. 437 ss., spec. 439 s.: «la realtà empirica non è provvista di una, più o meno mitica, “giuridicità intrinse-ca”: l’espressione ex facto oritur jus ha pertanto il mero valore di un’immagine con la quale si descrive sinteticamente un processo storico di progressiva giu-ridicizzazione di certi fatti; ma nell’esperienza contemporanea tale processo presuppone anche un momento valutativo di tipo politico (e quindi, almeno potenzialmente, esterno ai fatti stessi)».

84 Il che dovrebbe apparire ictu oculi evidente prendendo in esame l’e-sempio della fotografi a: «ogni fotografi a è una cosa rappresentativa, rappre-senta il soggetto rappresentato; ma non ogni fotografi a è documento» (L. CAR-RARO, Il diritto sul documento, cit., p. 7).

85 Formula già contenuta nell’art. 1, let. a, del d. P. R., 10 novembre 1997, n. 513, oggi integralmente trasfusa nell’art. 1, lett. p, del Codice dell’am-ministrazione digitale, emanato con d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82.

Sul punto, cfr. U. MINNECI e A. SCIARRONE ALIBRANDI, voce Documento elettronico e contratto telematico, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., vol. aggior-namento, Torino 2000, p. 355: «la disposizione proietta altresì un fascio di luce sulla tormentata questione relativa all’individuazione dei contorni della fi gura generale. Il predicato della rilevanza giuridica, di cui all’inciso fi nale della norma esaminata, ha verosimilmente segnato il defi nitivo superamento della defi nizione di Carnelutti secondo cui il documento consisterebbe nella res rappresentativa di un (semplice) fatto».

to, almeno se vogliamo intendere questa parola come viene comunemente intesa nel linguaggio giuridico84. Conseguen-temente, ponendo l’accento sulla natura del fatto rappre-sentato (a seconda che sia o no giuridicamente rilevante), l’area del documento viene ad essere limitata a quelle cose rappresentative che integrano uno speciale contenuto.

Il legame tra documento e fatto giuridicamente rilevan-te, peraltro, sembra oggi trovare un referente nella legisla-zione vigente, in virtù della già menzionata defi nizione nor-mativa di documento informatico quale «rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti»85.

A nostro avviso questa nozione di documento richiede un adeguato approfondimento sul terreno dell’analisi criti-ca, allo scopo di verifi carne la fondatezza. E, nel prendere in esame la concezione riferita, sembra opportuno muove-re dalla ricerca del criterio per il quale un fatto assume

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86 Si avverte, in limine, che il quadro riassuntivo qui di seguito esposto – per quanto corretto – non dà contezza del variegato panorama delle opi-nioni espresse dagli scrittori e, inevitabilmente, sfi ora soltanto l’epidermide di un processo di elaborazione dogmatica che ha visto direttamente coinvolti alcuni tra i grandi Maestri del secolo appena trascorso. Per ulteriori approfon-dimenti, quindi, non si può far altro che rinviare ai fondamentali contributi di F. CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, cit., spec. p. 58 ss.; D. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano 1939; E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 3 ss.; A. E. CAMMARATA, Il signifi cato e la funzione del fatto nell’esperienza giuridica, in Formalismo e sapere giuridico, Milano 1963, p. 271 ss.; R. SCOGNAMIGLIO, Fatto giuridico e fattispecie complessa (considerazioni critiche intorno alla dinamica del di-ritto), in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1954, p. 331 ss.; C. MAIORCA, voce Fatto giuridico – fattispecie, in Noviss. dig. it., VII, Torino, 1961, p. 120 ss.; A. CATAUDELLA, Note sul concetto di fattispecie giuridica, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1962, p. 457 ss.; ID., voce Fattispecie, in Enc. dir., XVI, Milano 1967, p. 926 ss.; A. FALZEA, voce Effi cacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Milano 1965, p. 432 ss.; ID., voce fatto giuridico, in Enc. dir., XVI, Milano 1967, p. 941 ss.; N. IRTI, voce Rilevanza giuridica, in Noviss. dig. it., XV, Torino 1968, p. 1094 ss.; F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, 9ª ed. rist., Napoli 1986, p. 103 ss.; S. PUGLIATTI, I fatti giuridici, edizione rivista ed aggiornata da A. Falzea, Milano 1996; R. SACCO, Il fatto, l’atto, il negozio, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino 2005, spec. p. 13 ss.; P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 3ª ed., tomo secondo, Napoli 2006, p. 597 ss.

87 In tal senso, per tutti, F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 103.

A nostro avviso questa tesi va in ogni caso precisata tenendo in debita considerazione la circostanza che vi sono fatti i quali, alla stregua dell’ordina-

rilevanza giuridica mentre, innumerevoli altri, restano confi nati nell’area dell’irrilevanza.

Per tal guisa, posti come equivalenti i sintagmi “fat-to giuridico” e “fatto giuridicamente rilevante”, l’indagine conduce all’individuazione di due principali orientamenti86.

Secondo il primo di questi indirizzi, la giuridicità del fatto è una nota a posteriori che viene desunta dalla sua ef-fi cacia. Per cui è rilevante ogni accadimento temporale, na-turale o umano, al verifi carsi del quale una norma giuridica (una qualunque norma del sistema positivo di riferimento) ricollega determinati effetti giuridici; mentre, è del tutto irri-levante rispetto al mondo del diritto il mero fatto materiale, inidoneo a determinare qualsiasi effetto giuridico87.

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mento giuridico, non producono ma concorrono a produrre (insieme ad altri) effetti giuridici. Al riguardo, cfr. R. SACCO, Il fatto, l’atto, il negozio, cit., p. 34: «Quando diciamo che un fatto è rilevante, vogliamo dire che esso è ne-cessario perché si verifi chi un certo effetto. Non vogliamo dire che esso sia suffi ciente a quel fi ne. La morte di Caio è necessaria perché la cosa passi nella proprietà di suo fi glio Tizio. Ma la morte non determinerebbe il trasferimento della proprietà a Tizio se non intervenisse l’accettazione».

88 N. IRTI, voce Rilevanza giuridica, cit., p. 1110 e s.Cfr., in proposito R. SCOGNAMIGLIO, Fatto giuridico e fattispecie com-

plessa (considerazioni critiche intorno alla dinamica del diritto), cit., spec. p. 351 e s.; F. CORDERO, Le situazioni soggettive nel processo penale, Torino 1956, spec. p. 74; A. FALZEA, voce Effi cacia giuridica, cit., spec. p. 462 e ss.

89 Il problema del signifi cato da attribuire al connotato della rilevanza giuridica (tema fondamentale della teoria generale del diritto), non potrebbe essere convenientemente trattato nell’ambito di uno studio dedicato al docu-mento ed esula, quindi, dall’oggetto della presente indagine.

Il secondo orientamento, invece, porta il concetto di rilevanza a più rigorosa autonomia, svincolando la giuridi-cità del fatto dal legame con gli effetti. Pertanto, seguendo la traiettoria cui questa linea di pensiero coerentemente conduce, si considera rilevante ogni accadimento tempo-rale che sia sussumibile in uno schema normativo, e quindi il fatto tipico; irrilevante, a contrario, il fatto che «non si palesa omogeneo con il contenuto di una descrizione nor-mativa […] e non rientra nel suo ambito»88.

In questa sede, più che prendere partito in favore dell’una o dell’altra concezione89, preme sottolineare che entrambe consentono di considerare come ingiustifi cata, in quanto contrastante con la stessa realtà giuridica, la restri-zione della nozione di documento solamente a quelle cose che rappresentano fatti giuridicamente rilevanti.

Così, ove si conduca il discorso nella prospettiva della realizzazione degli effetti e si ritenga valida l’equazione fat-to giuridicamente rilevante = fatto effi cace, è facile osser-vare che anche i documenti contenenti la rappresentazione di meri fatti materiali, di per sé privi di qualsivoglia attitu-dine a produrre uno stato giuridico nuovo, possono giocare un importante ruolo all’interno del processo ed al di fuori

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90 Sul rapporto tra prove storiche e prove critiche si veda F. CARNELUT-TI, Diritto e processo, cit., p. 132 s.: «prova storica e prova critica […] nella realtà non tanto si confondono quanto si incrociano, così da formare spesso un vero groviglio. Invero la prova storica può servire alla prova critica […] vice-versa la prova critica si usa abbondantemente per la valutazione della prova storica». Al riguardo, particolarmente calzanti paiono taluni esempi citati da M. E. LA TORRE, Contributo alla teoria giuridica del documento, cit., p. 30: «una lettera d’amore o una fotografi a che ritraggono un uomo e una donna in atteggiamento di confi denziale intimità, o ancora una affettuosa corrispon-denza epistolare inviata a un bambino da una persona adulta che si qualifi ca “papà”. Queste cose [...] sono pur sempre “rappresentative di fatti” e come tali “documenti” che possono rivelarsi di importanza decisiva sul piano giuri-dico. Infatti la lettera e la fotografi a [...] possono essere addotte come prova di adulterio ai fi ni dell’addebito nel giudizio di separazione [...]; la corrisponden-za epistolare del sedicente papà può essere utilizzata dalla persona interessata, sia come fatto costitutivo del possesso di stato di fi glio legittimo [...], sia come prova ai fi ni della dichiarazione giudiziale di paternità».

91 La dottrina, per il tramite di una delle sue voci più alte, ha effi cace-mente evidenziato che i tipi dell’effi cacia costitutiva, modifi cativa ed estintiva, non esauriscono il novero delle fi gure di effi cacia giuridica (A. FALZEA, voce Effi cacia giuridica, cit., p. 492 ss.).

92 In senso contrario, S. PATTI, voce Documento, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., VII, Torino 1991, p. 1 ss., spec. 3 (il quale identifi ca il documento

di esso. In concreto, infatti, nulla osta a che la rappresen-tazione di un qualsiasi fatto della realtà sociale (pure il più semplice ed apparentemente insignifi cante) possa servire da strumento di cognizione mediata di fatti rilevanti dal momento che la prova critica può anche fondarsi su una prova storica che ne costituisce il presupposto90. Il docu-mento, cioè, può contenere la rappresentazione di un fatto che consente di inferire la esistenza di un altro fatto, di per sé idoneo a determinare l’acquisto, la perdita, la modifi ca di situazioni giuridiche soggettive, ovvero un altro muta-mento della realtà giuridica91.

Parimenti, ove si reputi che la rilevanza risieda nell’a-deguazione del fatto concreto ad uno schema normativo, appare infondata l’affermazione secondo la quale la qua-lità di documento spetta unicamente a quelle cose rappre-sentative di fatti sussumibili nell’ambito di una fattispecie tipica92. Anche in questo caso, infatti, non è diffi cile rileva-

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42 CAPITOLO I - SEZIONE I

in senso giuridico nella cosa rappresentativa di un fatto sussumibile in un tipo normativo) e N. IRTI, Sul concetto giuridico di documento, in Studi sul forma-lismo negoziale, cit.,. p. 183 ss., spec. 185 e 196, ove si sottolinea che «i fatti, ai quali si volge il giurista, sono fatti confi gurabili con tipi normativi: rilevanti, appunto, per il diritto […] ma indifferenti e muti per altre indagini. La nozio-ne di documento (preso, il termine, nell’accezione giuridica) permette di rievo-care, non un qualsiasi fatto del passato, ma un fatto rilevante per il diritto» ed ancora, «il documento è una res signata (un oggetto percepibile recante segni), onde è dato pronunciare il giudizio di esistenza di un fatto, che sia sussumibile sotto un tipo normativo».

93 Sul ragionamento presuntivo, in generale, si veda V. ANDRIOLI, voce Presunzioni (diritto civ. e diritto proc. civ.), in Noviss. dig. it., XIII, 1966 Torino, p. 771 ss.; A. D’ANGELO, Il controllo della Cassazione sui requisiti delle presunzioni semplici, in Foro It., 1973, I, c. 149 ss.; R. REGGI, voce Presunzio-ne (dir. romano), in Enc. dir., XXXV, Milano 1986, p 256 ss.; A. CAMPITELLI, voce Presunzione (dir. intermedio), in Enc. del dir., XXXV, Milano 1986, p 260 ss; C. M. BIANCA, Diritto civile. La responsabilità, V, Milano 1994, p. 581 ss.; G. FABBRINI, voce Presunzioni, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., XVI, Torino 1996, p. 279 ss. e, più di recente, gli importanti contributi di S. PATTI, Della prova testimoniale. Delle presunzioni, cit., spec. p. 77 ss. e M. COMPORTI, Fat-ti illeciti: le presunzioni di responsabilità (artt. 2044-2048), in Commentario Schlesinger diretto da F. D. Busnelli, Milano 2002, spec. p. 134 ss.; M. TARUF-FO, Le prove per induzione, in AA. VV., La prova nel processo civile, a cura di M. Taruffo, Milano 2012, p. 1101 ss.

94 Il testo della disposizione in esame che, quasi ad litteram, riprende quello corrispondente dell’art. 1349 cod. civ. del 1865, è il seguente: «Le pre-sunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato».

95 A nostro giudizio, infatti, se la categoria dei fatti giuridici si estendesse al punto tale da ricomprendere al suo interno ogni fatto della realtà sociale, la

re che il fatto concreto, non concettualizzato né tipizzato (e, quindi, estraneo al piano della giuridicità), può servire da factum probans “noto” che consente al giudice di risa-lire al factum probandum “ignorato” per il tramite di una massima d’esperienza93.

A questo proposito si potrebbe a sua volta obiettare che ogni fatto che consente di risalire ad un fatto ignoto è, in quanto sussumibile nell’astratta previsione normati-va dell’art. 2727 cod. civ.94, giuridicamente rilevante. Così ragionando, tuttavia, si correrebbe il rischio di allargare all’infi nito la categoria dei fatti giuridici sino ad azzerarne il signifi cato95, dal momento che non esiste in linea di princi-

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IL DOCUMENTO NEL SISTEMA DELLA PROVA CIVILE 43

nozione stessa di fatto giuridicamente rilevante non avrebbe più ragion d’esse-re. Il concetto di rilevanza, in altri termini, non può prescindere da quello di irrilevanza (e viceversa).

96 A questo proposito, bisogna tuttavia considerare che un fatto non è di per sé stesso un indizio, ma tale diventa solo ove una regola di esperienza lo ponga accidentalmente in relazione al fatto da provare; mentre la res docu-mentale è sempre tale, né può esserlo soltanto in circostanze e momenti deter-minati per assolvere ad una particolare e transitoria funzione (cfr. P. GUIDI, Teoria giuridica del documento, cit., p. 45).

97 L’opinione secondo la quale ogni fatto concreto, anche quello appa-rentemente indifferente per il diritto sarebbe, in realtà, sempre giuridicamente rilevante è stata sostenuta da P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costi-tuzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, cit., spec. p. 600 ss.

98 Di fatti, chi muove dalla premessa secondo la quale non esistono fat-ti giuridicamente irrilevanti giunge, coerentemente, alla seguente conclusio-ne: «Il documento è [...] per defi nizione un ente ontologicamente giuridico: la sua funzione è quella di conservare un fatto, che, in quanto tale, è sempre giuridicamente rilevante» (F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», cit., p. 53).

pio un accadimento temporale inidoneo a fungere da “fatto noto”96. Ed ancora, se anche ogni fatto fosse qualifi cabile sub specie iuris97, la proposta restrizione della nozione di documento alle sole cose rappresentative di fatti giuridi-camente rilevanti si rivelerebbe priva di valore alcuno, in quanto le due defi nizioni di documento, quella ampia di cosa rappresentativa di un fatto qualsiasi e quella ristretta di cosa rappresentativa di un fatto giuridicamente rilevan-te, fi nirebbero per essere sostanzialmente equipollenti98.

8. Segue. Il documento come cosa rappresentativa di un fatto rilevante in concreto, ai fi ni della risoluzione del singolo processo. Confutazione

Un’altra tesi prospettata in dottrina individua nel col-legamento con i fatti di causa la nota caratteristica o, se si preferisce, la differentia specifi ca del documento in senso giuridico rispetto al genus proximus del documento tout court. Per cui si è affermato che la cosa rappresentativa di un fatto non è di per sé stessa un documento, ma tale di-

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99 Così V. DENTI, voce Prova documentale in diritto processuale civile, cit., spec. p. 36 e L. ALBERTINI, Sul documento informatico e sulla fi rma digita-le (novità legislative), in Giust. civ., 1998, II, p. 267 ss., spec. 269.

100 Cfr. S. PATTI, Prova documentale, cit., p. 5 s.; ID., voce Documento, cit., p. 2 s.; F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», cit., p. 36 e s.

101 Più in generale, si considera rilevante nel singolo giudizio la prova (o, rectius, il mezzo di prova) che riguarda fatti rilevanti ai fi ni della ricostruzione della fattispecie concreta. In argomento, per tutti, M. TARUFFO, Studi sulla rilevanza della prova, Padova 1970.

102 Si veda supra § 3.

venta soltanto in determinate ipotesi per assolvere ad una transitoria funzione e, in particolare, nel momento in cui la res, posta in relazione con il thema probandum, si fa ri-levante per la formazione del convincimento del giudice99.

In questo caso, quindi, l’aggettivo «rilevante» non si riferisce al fatto astrattamente rilevante nel mondo del di-ritto, ma al fatto storico che tale si rivela in concreto, con riferimento alla singola controversia100, in quanto integra un elemento della fattispecie del diritto oggetto del proces-so oppure serve alla sua deduzione per il tramite di un ra-gionamento di carattere presuntivo101.

A nostro giudizio, l’erroneità di questo modo di vede-re diventa palese non appena si mettono in chiaro le ragioni per le quali il difetto di collegamento con il tema di prova non può costituire, per le cose rappresentative di un fatto, un impedimento all’acquisto della qualità di documento.

All’uopo, si rileva anzitutto che la dibattuta conce-zione secondo la quale le cose solo una tantum possono assumere la natura di documento, tanto quanto basta per assolvere ad una particolare e transitoria funzione, inevi-tabilmente fi nisce per contrastare con quei caratteri di per-manenza (o durevolezza) che abbiamo visto essere propri della rappresentazione documentale102.

Di poi, in considerazione delle modalità attraverso le quali si attua l’ingresso del documento nel processo, è

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IL DOCUMENTO NEL SISTEMA DELLA PROVA CIVILE 45

103 L’unica ipotesi in cui la prova documentale è soggetta ad una preven-tiva valutazione di rilevanza da parte del giudice, è quella prevista dall’art. 222 cod. proc. civ. per quanto concerne la proposizione della querela di falso in corso di causa (o in via incidentale).

104 Il documento, infatti, nella sua qualità di prova precostituita per ec-cellenza, si forma fuori, prima ed indipendentemente dal processo (eccezion fatta per i cosiddetti documenti processuali come i verbali di udienza).

105 In questo senso si veda G. LASERRA, La scrittura privata, cit., spec. p. 48: «la irrilevanza in un singolo caso specifi co non esclude affatto la qualità e la dignità del documento».

106 Sulla non esclusiva appartenenza del documento all’ambito del pro-cesso cfr. A. CANDIAN, voce Documentazione e documento, cit., p. 579, ove – prendendo ad esempio i titoli di credito e gli altri documenti eccezionalmente muniti di effi cacia esecutiva - si rileva che talvolta il documento si crea a scopo di rafforzamento dell’obbligazione.

107 Sul punto, cfr.: S. PAGLIANTINI, La forma del contratto: appunti per una voce, in Studi senesi, 2004, p. 105 ss., spec. 115 s.

agevole osservare che la sua acquisizione prescinde da una preventiva valutazione di rilevanza da parte del giudice103 e che, a differenza di quanto avviene per le prove costi-tuende, un semplice atto di esibizione o di produzione è suffi ciente a garantirgli l’accesso al giudizio (art. 87 disp. att. cod. proc. civ.)104. Per cui ben si può dire che la cosa rappresentativa di un fatto entra nel processo come un do-cumento non già in potenza ma in atto anche se poi, al pari di ogni altro mezzo di prova, è suscettibile di essere apprez-zato come rilevante o irrilevante ai fi ni della risoluzione della singola controversia105.

Infi ne, non è superfl uo costatare che il documento, quantunque rilevante soprattutto nel e per il processo, non giova soltanto all’accertamento della res litigiosa, ma assol-ve anche ad altre funzioni106. Così, a modo di esempio, l’e-sistenza attuale di un titolo idoneo (id est, di un particolare tipo di documento), è condizione necessaria all’esecuzione della trascrizione nei pubblici registri immobiliari107, giac-ché la parte che la richiede al conservatore ha l’onere di allegare alla domanda una copia autentica della sentenza o dell’atto pubblico, oppure, se si tratta di trascrivere un

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46 CAPITOLO I - SEZIONE I

108 Conseguentemente, deve ritenersi nulla la trascrizione eseguita sulla base di un documento a ciò non idoneo.

Allo specifi co interesse a disporre di un documento idoneo per la pubbli-cità fa riferimento M. GIORGIANNI, voce La forma degli atti (dir. priv.), in Enc. dir., XVII, Milano 1968, p. 988 ss., spec. 1002 e 1006, ove, in considerazione della tendenziale coincidenza fra gli atti soggetti a forma scritta ex art. 1350 cod. civ. e quelli soggetti a trascrizione ex art. 2643 cod. civ., si afferma che: «il moderno formalismo è imposto esclusivamente nell’interesse dei terzi, affi nché costoro ‘conoscano’ il negozio, e comunque affi nché questo abbia effi cacia nei loro confronti. Non senza ragione la forma ‘vincolata’ […] trova il terreno più fertile nel campo della pubblicità, al fi ne di predisporre un documento idoneo a portare il negozio a conoscenza dei terzi. Cosicché, a mano a mano che la pubblicità si estende, il campo della forma ‘vincolata’ si amplia […] In conclu-sione, quindi, il formalismo moderno si è sviluppato attraverso l’allargamento dell’esigenza che gli atti e le situazioni concernenti i privati vengano resi ‘pub-blici’. Il che spiega, ad esempio, che il formalismo si presenta meno accentuato in quegli ordinamenti in cui il sistema di pubblicità manca o è embrionale (ad es. negli ordinamenti anglosassoni)».

109 In questo senso, argomentando in modo assai convincente, G. GIAM-PICCOLO, Sulla rettifi ca dell’atto solenne viziato da falsità ideologica, in Giur. compl. cass. civ., 1949, III, p. 215 ss., spec. 219 s.; contra L. DE SARLO, Il do-cumento oggetto di rapporti giuridici privati. Studio di diritto romano, Firenze 1935, spec. p. 109 ss. (che identifi ca il documento costitutivo in quello che ha la funzione di perfezionare oltre che di provare un negozio o un atto giuridico) e A. CANDIAN, voce Documentazione e documento, cit., spec. p. 590.

110 Sul punto è d’obbligo il rinvio a N. IRTI, Strutture forti e struttu-re deboli (del falso principio di libertà delle forme), in Studi in onore di Mi-

atto risultante da una scrittura privata autenticata, il do-cumento in originale. Ed ancora, quando la trascrizione ha ad oggetto una domanda giudiziale, diviene indispensabile l’esibizione di una «copia autentica del documento che la contiene» (art. 2658 cod. civ.)108.

In nessun caso, invece, la validità di un atto giuridico può dirsi subordinata alla persistente esistenza ed all’at-tuale disponibilità di un documento. Il documento, in altri termini, non ha mai di per sé stesso effi cacia costitutiva, neanche nelle ipotesi in cui l’ordinamento esige l’osservan-za del requisito della forma scritta ad substantiam actus109.

A tal proposito la dottrina, da tempo sensibile all’esi-genza di non confondere la forma scritta (elemento strut-turale di alcuni negozi)110 con la prova documentale, ha

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IL DOCUMENTO NEL SISTEMA DELLA PROVA CIVILE 47

chele Giorgianni, Napoli 1988, p. 452 ss., ora anche in Studi sul formalismo negoziale, cit., p. 137 ss., che, assumendo il termine “forma” nell’accezione restrittiva di “forma vincolata”, distingue tra “contratti a struttura forte” (na-scenti dalla combinazione di quattro elementi: accordo, causa, oggetto, forma) e “contratti a struttura debole” (nascenti dalla combinazione di tre elementi: accordo, causa, oggetto) a seconda che la forma sia o no prescritta dalla legge ad substantiam, come elemento di struttura della fattispecie contrattuale.

111 Così, F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 104 s.; ID., Documento e negozio giuridico, in Riv. dir. proc. civ., 1926, I, p. 181; ID., La fi gura giu-ridica del notaro, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1950, p. 921 ss., spec. 923.

112 In argomento si vedano: L. CARRARO, Il diritto sul documento, cit., spec. p. 19 ss.; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. I, Milano 1957, p. 508; L. FERRI, Della trascrizione immobiliare (artt. 2643 – 2696), in Commentario del codice civile Scialoja – Branca, Bologna – Roma 1960, spec. p. 285; F. CORDERO, Nozione e specie delle prove, in Tre studi sulle prove penali, Milano 1963, spec. p. 9 s.; N. IRTI, Idola libertatis, cit., spec. p. 164 s.; F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 299 s.; L. BOVE, voce Documento (storia del diritto), cit., spec. p. 15; C. ANGELICI, voce Documentazione e documento (diritto civile), cit., spec. p. 3; A. BELVE-DERE, Documento, in A. BELVEDERE, R. GUASTINI, P. ZATTI, V. ZENO ZENCOVICH, Glossario, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1994 p. 114 ss., spec. 118; M. ORLANDI, L’imputazione dei testi informatici, in Riv. notar., 1998, p. 868; F. TOMMASEO, L’atto pubblico nel sistema delle prove documentali, in Riv. notar., 1998, p. 593 ss., spec. 598; A. LISERRE, La forma, in G. ALPA, U. BRECCIA, A. LISERRE, Il contratto in generale, III, in Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, Torino 1999, p. 365 ss., spec. 444 ss., ove si segnala che ai sensi dell’art. 1350 cod. civ., i contratti formali «devono

chiarito che «il requisito formale della dichiarazione non è punto il documento, ma la formazione del documento» al momento del perfezionamento del negozio111. Dunque, ciò che importa ai fi ni del soddisfacimento dell’onere formale prescritto a fi ni di validità è il farsi dell’atto e, quindi, l’at-tività di documentazione necessaria per la originaria ere-zione del documento secondo le modalità prescritte dalla legge112.

Si comprende così la ragione per la quale il difetto di forma ad substantiam – come si è già accennato – non può essere posteriormente surrogato dalla redazione scritta di un negozio di mero accertamento o da una dichiarazione di

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48 CAPITOLO I - SEZIONE I

farsi per iscritto», con ciò ponendo in luce che il requisito della forma, in quan-to tale, riguarda il momento formativo del negozio e non lo “scritto” formatosi conseguentemente al perfezionamento del negozio solenne. Più di recente, il tema “classico” della distinzione tra documento e forma ad substantiam è stato esaminato da F. ROTA, Il documento in generale, in AA. VV., La prova nel pro-cesso civile, a cura di M. Taruffo, Milano 2012, p. 575 ss., spec. 583 ss. (cui si rinvia per ulteriori riferimenti bibliografi ci).

113 A sostegno di ciò un sicuro argomento è fornito dall’art. 2724 n. 3 che dichiara ammissibile la prova per testimoni del contratto «quando il contraen-te ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova».

In argomento, cfr. M. ORLANDI, Documenti virtuali e certezza del dirit-to, in Studi e materiali – Suppl. 1/2008, p. 3 ss., spec. 10; ID., La paternità delle scritture, cit., p. 58 e ss., spec. 63 («la separatezza tra forma e prova tre origine da ciò: che la fattispecie formale del contratto giunge a perfezione con il compimento dell’azione grafi ca; e che, sul piano logico, ogni successiva vicenda fi sica del documento (l’alterazione, lo smarrimento, la distruzione) non tocca il fatto, ormai esaurito della formazione»); F. TOMMASEO, L’atto pubblico nel sistema delle prove documentali, cit., p. 599 («la perdita o la distruzione del documento è irrilevante ai fi ni della validità del negozio documentato, perché la distruzione del documento che riguarda il presente non implica minimamen-te la distruzione della forma, evento irrevocabilmente collocato in un irrag-giungibile passato»). E, ancor più recentemente, M. NUZZO, Nullità speciali e responsabilità del notaio, in Studi e Materiali CNN, 2009, fasc. 1, p. 102 ss., spec. 110 s.: «nei contratti solenni si ritiene sussistente l’accordo nego-ziale – che perciò può formare oggetto di prova – soltanto nella ipotesi in cui la volontà contrattuale sia trasfusa in scrittura», con la conseguenza che non può prescindersi «dalla documentazione del contratto, ma piuttosto [...] dalla attuale esistenza del documento».

Sugli effetti della perdita della perdita del corpus del documento e, se-gnatamente, di quello della scrittura privata, si veda G. LASERRA, La scrittura privata, cit., p. 171 ss.

Infi ne, sulla possibilità di ricostruire giudizialmente un testamento di-strutto o smarrito si rinvia all’ampia trattazione di A. LISERRE, formalismo negoziale e testamento, Milano 1966, spec. p. 189 ss.

natura confessoria ed ancora, di converso, perché la perdi-ta o la successiva distruzione del documento non comporta il venir meno del negozio perfezionatosi in modo da soddi-sfar l’onere formale113.

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1 Cfr. A. CANDIAN, voce Documentazione e documento, in Enc. dir., XIII, Milano 1964, p. 579 ss, spec. 580: «sulla descrizione della struttura del documento infl uisce con particolare intensità lo sviluppo della tecnica, ai gior-ni nostri sorprendente. La continuità e varietà delle scoperte, i cui risultati si susseguono con ritmo inarrestabile e si sovrappongono e soverchiano ed elimi-

SEZIONE SECONDA

IL DOCUMENTO INFORMATICOIN CONFRONTO

AI DOCUMENTI ANALOGICI

SOMMARIO: 1. Il corpo del documento. La varietà dei mezzi della rap-presentazione documentale. Fisicità del supporto contenente e funzione di perpetuazione del contenuto. La nozione di “sup-porto durevole” nelle discipline di matrice comunitaria. – 2. Trattamento informatico dell’informazione e fenomeno della “smaterializzazione” del documento. Il quid novi del documento informatico. Tesi che ne individua il tratto specifi co nel difet-to del requisito della “leggibilità ad occhio nudo”. Critica.– 3. Segue. Tesi che individua la nota caratteristica del documento informatico nell’intrinseca delebilità del supporto. Confutazio-ne. – 4. Segue. Perfetta replicabilità dei contenuti in formato digitale e perdita di corrispondenza tra documento e singolo sup-porto contenente. Il documento informatico quale bene immate-riale. – 5. Ricadute operative dell’immaterialità del documento informatico.

1. Il corpo del documento. La varietà dei mezzi della rap-presentazione documentale. Fisicità del supporto con-tenente e funzione di perpetuazione del contenuto. La nozione di “supporto durevole” nelle discipline di ma-trice comunitaria

Sotto il profi lo strutturale, le forme del documentare si sono sempre evolute in stretta simbiosi con i progressi della tecnica1 ed il documento che oggi si tende a qualifi ca-

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50 CAPITOLO I - SEZIONE II

nano, moltiplicando così i corpi suscettibili di assicurare una impressione come i modi dell’impressione medesima».

2 Cfr.: D. DIRINGER, L’alfabeto nella storia della civiltà, Firenze 1937; G. R. DRIVER, Semitic writing. From pictograph to alphabet, Londra 1948; M. COHEN, La grande invention de l’écriture et son évolution, Parigi 1958; G. FÉVRIER, Histoire de l’écriture, 2ª ed., Parigi 1959; G. R. CARDONA, Antropolo-gia della scrittura, Torino 1981; ID., Storia universale della scrittura, Milano 1986; AA. VV., Dalla selce al silicio a cura di G. Giovannini, Torino 1991; I. J. GELB, Teoria generale e storia della scrittura, Milano 1993; R. HARRIS, L’o-rigine della scrittura, Roma 1998; AA. VV., Storia della scrittua. Strumenti, segni, reperti dall’età della pietra ad Internet, Prato 2000; C PASTENA, Storia dei materiali scrittori. Dalle origini della scrittura alla nascita e diffusione della carta, Acireale-Roma 2009; A GUSMANO, Gli inchiostri nella storia della scrittura e della stampa, Milano 2011.

re con l’impiego dell’aggettivo “tradizionale”, ossia quello cartaceo recante i segni della scrittura alfabetica, è esso stesso il punto di arrivo di un lungo e fascinoso cammino.

Opere affascinanti e molto ben documentate sugli aspetti antropologici e sociologici dell’uso dei sistemi grafi ci per fi ni comunicativi ne ripercorrono con estremo rigore lo sviluppo e la diffusione nei luoghi e nel tempo2, dando con-tezza, altresì, della straordinaria varietà dei supporti im-piegati per dare forma all’operazione dello scrivere e, più in generale, per conservare una certa organizzazione di se-gni signifi canti. Al riguardo è stato rilevato che: «i materia-li usati per scrivere sono i più diversi: si possono incidere materiali molli come l’argilla o una superfi cie cerata, graf-fi re o scolpire materiali duri come la pietra, l’osso, il me-tallo, il legno; se si usano pigmenti colorati ci si può servire di qualsiasi superfi cie adatta: papiro, pergamena, pelle, stoffa, terracotta, carta, foglie, stucco ecc.» ed ancora, che «le scoperte archeologiche ci hanno permesso di recupera-re materiali scrittorii prima sconosciuti e che solo il caso e particolari circostanze ambientali avevano protetto dalla disgregazione: tavolette cerate, lamine di piombo, papiri in gran quantità (i primi, soprattutto greci, ad Ercolano

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IL DOCUMENTO INFORMATICO E I DOCUMENTI ANALOGICI 51

3 Così, G. R. CARDONA, Antropologia della scrittura, cit., p. 53 s. Dello stesso Autore, sui materiali della scrittura, si veda: Storia universale della scrittura, cit., spec. p. 76 ss.

4 Il che, tuttavia, non signifi ca che non vi siano state normative apposita-mente dedicate alla qualità dei supporti da utilizzare per la redazione di deter-minati documenti. Così, ad esempio, il r.d.l. 19 dicembre 1936, n. 2380 recante «norme per garantire la conservazione della carta e della scrittura di determi-nati documenti» che analiticamente prevedeva il tipo di carta da impiegare per la erezione di documenti contenenti il testo di leggi, decreti, atti pubblici etc. In argomento, amplius, A. MALINVERNI, voce Documento (dir. pen.), in Enc. dir., XIII, Milano 1964, p. 622 ss., spec. 631; L. A. PAGNOTTA, sub art. 6, in AA. VV., Formazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumen-ti informatici e telematici (d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), commentario a cura di C. M. Bianca, R. Clarizia, V. Franceschelli, F. Gallo, L. V. Moscarini, A. Pace e S. Patti, in Nuove leggi civ. comm., 2000, p. 699 ss.

5 F. CARNELUTTI, La prova civile, rist., Milano 1992, p. 166.6 Sulla irrilevanza della materia nella quale il documento, di volta in

volta, si sostanzia, cfr.: G. PAVONI, La scrittura privata in diritto commerciale, Roma 1914; A. MALINVERNI, Teoria del falso documentale, Milano 1958; ID., voce Documento (dir. pen.), cit., spec. p. 630; G. LASERRA, La scrittura priva-ta, Milano 1959, p. 164 s.; F. CARNELUTTI, voce Documento (Teoria moderna), in Noviss. dig. it., VI, 1960, p. 86; R. CLARIZIA, Informatica e conclusione del

[…], e poi altri in greco, latino, aramaico, demotico, cop-to soprattutto in Egitto), tavolette di argilla in cuneiformi in Mesopotamia, rotoli di carta in lingue d’Asia centrale, documenti su corteccia di betulla a Novgorod» mentre di altri tipi «conosciamo soltanto l’esistenza: così non abbia-mo scritture iraniche su pelle, benché ce ne parlino le fonti antiche, ed Erotodo (V, 58) ricordi che gli Ioni usavano per scrivere pelli conciate».3

Ai nostri fi ni, invece, è opportuno rammentare che la natura della materia che accoglie i segni non ha mai condi-zionato il dibattito sorto intorno alla determinazione della nozione di documento4; i mezzi della rappresentazione do-cumentale, si è da tempo osservato, «sono così varii e in ogni modo così indifferenti al concetto essenziale di docu-mento»5, potendo, quest’ultimo, prendere corpo in qualsi-asi materia che l’esperienza dimostra idonea a fornire una rappresentazione permanente di fatti6. Ferma restando,

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contratto, Milano 1985, p. 100 ss.; F. PARISI, Il contratto concluso mediante computer, Padova 1987, p. 65; R. BORRUSO, Computer e diritto. Problemi giu-ridici dell’informatica, tomo II, Milano 1988, p. 218 s.; N. IRTI, La memoria dell’impresa (dai quadernacci di Francesco Datini ai nastri magnetici), in Riv. dir. proc. civ., 1991 p. 52 ss.; M. ORLANDI, La paternità delle scritture, Milano 1997, p. 494 s.; V. DELPECH, Dematerialisation et securite des tran-sactions, Bordeaux 1996; S. PATTI, Prova documentale (artt. 2699 – 2720), in Commentario del Codice Civile Scialoja – Branca a cura di F. Galgano, Bologna–Roma, 1996, p. 129 s.; A. LISERRE , L’avvento del documento elet-tronico, in Studi in onore di Pietro Rescigno, vol. III, Milano 1998, p. 457 ss., spec. 462; G. CIACCI, La fi rma digitale, Milano 1999, p. 2; E. FLORINDI, Il contratto digitale, in Dir. informaz. e informatica, 1999, p. 673 ss., spec. 675; P. PICCOLI e G. ZANOLINI, Il documento elettronico e la «fi rma digitale», in AA. VV., I problemi giuridici di Internet a cura di E. Tosi, Milano 1999, p. 56 ss., spec. 64 s.; C. M. BIANCA, sub art. 2, in AA. VV., Formazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici (d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), cit., p. 675.

Con specifi co riferimento ai titoli di credito si veda F. GUARRACINO, Ti-tolo di credito elettronico e documento informatico, in AA. VV., Il contratto telematico a cura di V. Ricciuto e N. Zorzi, Padova 2002, p. 311 ss., spec. 314.

7 F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 167. Ma in questo senso, tra gli altri, E. REDENTI, Diritto processuale civile, II, Milano 1952, p. 65; F. MESSI-NEO, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. I, Milano 1957, p. 507 s.; G. LASERRA, La scrittura privata, cit., spec. p. 8 ss.; N. IRTI, Forma del contratto e prova, in AA. VV., Le prove nel diritto civile amministrativo e tributario a cura di C. Glendi, S. Patti ed E. Piccozza, Torino 1986, p. 33: «i segni grafi ci s’incorporano sempre, per fi sica necessità, in una cosa rappresentativa».

8 Sulla distinzione gaiana fra res corporales e res incorporales, ed il ruolo che essa svolge nella sistematica delle Institutiones, si veda lo studio di E. STOLFI, Rifl essioni attorno al problema dei “diritti soggettivi” fra esperienza antica ed elaborazione moderna, in Studi senesi, 2006, p. 120 ss., spec. p. 138 ss.

9 Aspetto, quest’ultimo, valorizzato in studi fondamentali, benché risa-lenti, specifi camente dedicati ai diritti sul documento, inteso quale res oggetto di diritti e suscettibile di appropriazione da parte dell’uomo (L. DE SARLO, Il documento oggetto di rapporti giuridici privati. Studio di diritto romano, Fi-

tuttavia, l’idea secondo la quale il documento è giocoforza un «obbietto esteriore»7, una porzione della realtà mate-riale che occupa uno spazio e agisce sui sensi o, secondo una più antica qualifi cazione, una delle res corporales quae cerni ac tangi possunt8; ed ancora, una cosa alla qua-le è possibile riconoscere la qualità di bene in senso tecnico – giuridico, stante la sua idoneità a soddisfare un bisogno umano ed a formare oggetto di diritti9.

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IL DOCUMENTO INFORMATICO E I DOCUMENTI ANALOGICI 53

renze 1935; L. CARRARO, Il diritto sul documento, cit.). Al documento informa-tico quale possibile oggetto di diritti reali fanno riferimento, sia pur inciden-talmente, R. BORRUSO, Computer e diritto, I, Milano 1988, spec. p. 281 ss. e F. MACARIO, sub art. 13, in AA. VV., Formazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici (d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), cit., p. 786 ss., spec. 792 s.

Sul concetto giuridico di bene, invece, si rinvia a S. PUGLIATTI, voce Beni (teoria generale), in Enc. dir., V, Milano 1959, p. 164 ss.; ID., Beni e cose in senso giuridico, Milano 1962; ID., Beni immobili e beni mobili, Milano 1967; D. MESSINETTI, Oggettività giuridica delle cose incorporali, Milano 1970; U. NATOLI, La proprietà, Milano, 1976, spec. p. 70 ss.; M. COMPORTI, Contribu-to allo studio del diritto reale, Milano 1977, spec. p. 200 s.; M. COSTANTINO, I beni in generale, in AA. VV., Proprietà, in Tratt. Rescigno,, vol. 7, 1982, p. 5 ss.; O. T. SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano 1982, spec. p. 1 ss.; ID., Dei beni (artt. 810-821), in Commentario Schlesinger, Milano 1999, spec. p. 3 ss.; L. BIGLIAZZI GERI, U. BRECCIA, F. D. BUSNELLI, U. NATOLI, Diritto civile, II, Torino 1988, spec. p. 1 ss.; G DE NOVA, I nuovi beni come categorie giuridiche, in AA.VV., Dalle res alle new properties a cura di G. De Nova, B. Inzitari, G. Tremonti, G. Visentini, Milano 1991, p. 15 ss.; A. JANNARELLI, Beni, interessi e valori, in Diritto privato europeo, I, a cura di N. Lipari, Napoli 1997, p. 337 ss.; C. M. BIANCA, La proprietà, Milano 1999; A. GAMBARO, I beni, in Trattato di dir. civile e commerciale già diretto da A Cicu, F. Messineo e L. Mengoni e continuato da P. Schlesinger, Milano 2012, spec. 7 ss.

10 Cfr. L. DE SARLO, Il documento oggetto di rapporti giuridici privati. Studio di diritto romano, cit., spec. p. 107: «il documento è essenzialmente cosa rappresentativa, la sua funzione pratica è di sostituire il quid rappresen-tato: la dichiarazione di volontà, l’attestazione di fatti. Colla sua consistenza materiale supplisce alla inafferrabilità e instabilità del quid rappresentato; su-pera in una parola gli ostacoli dello spazio e del tempo»; G. R. CARDONA, Cultu-re dell’oralità e culture della scrittura, in AA. VV., Letteratura italiana diret-ta da A. Asor Rosa, vol. II, Torino 1983, p. 26: «il più vivace scambio verbale, la più memorabile o appassionata orazione svaniscono senza lasciare traccia; il

Che il contenuto del documento dovesse essere con-giunto ad una materia stabile, poi, è sembrato del tutto na-turale al fi ne di assicurarne la conservazione. Né, in passa-to, vi è stata ragione alcuna per dubitare che il carattere di permanenza, esclusivo della rappresentazione documenta-le, fosse una conseguenza necessaria e diretta della fi sicità del supporto; in altri termini, che la rappresentazione del fatto fornita dal documento fosse permanente, in quanto è data da un oggetto atto, in certo qual senso, a fermare la fuga del tempo10. Tant’è che ancor oggi, quando si vuole in-

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più occasionale degli atti grafi ci – un nome inciso su un oggetto, una minuta di conti può conservarsi nei secoli, nei millenni perfi no, ed essere consegnata de-fi nitivamente alla nostra memoria storica» e A. CANDIAN, voce Documentazione e documento, cit., p. 589: «Quanto al più specifi co tema dei possibili scopi della documentazione, a me pare che il praticamente più frequente sia quello della conservazione. Culmina in codesta attività la lotta che l’uomo conduce di ora in ora contro la fatale labilità della traccia sensibile degli enti, la lotta contro l’azione erosiva o abolitiva del tempo».

11 A riguardo di documenti volutamente effi meri (per via della labilità del pigmento impiegato per segnare il supporto), viene alla mente l’atmosfera poetica e surreale in cui è immersa la storia del pittore Plasson, il quale – in-tento a dipingere il “mare con il mare” - «di tanto in tanto intinge il pennello in una tazza di rame e abbozza sulla tela pochi tratti leggeri. Le setole del pennello lasciano dietro di sé l’ombra di una pallidissima oscurità che il vento immediatamente asciuga riportando a galla il bianco di prima. Acqua. Nella tazza di rame c’è solo acqua. E sulla tela, niente. Niente che si possa vedere» (A. BARICCO, Oceano mare, Milano 1993).

12 A detta di M. E. LA TORRE, Il documento digitale, in AA. VV. Temi di diritto dell’informatica, a cura di A. Chiantia, Milano 2010, p. 111 ss., spec. 125 ss., la dizione “documento digitale” è da preferirsi a quella, più comune, di “documento informatico”.

dicare una forma di documentazione volutamente effi mera, in cui è fi n dall’inizio, nella scelta stessa dei materiali usa-ti quale supporto, esclusa la volontà di lasciare una trac-cia men che momentanea, è ricorrente l’evocazione delle metafore antiche dello scrivere sull’acqua o nel vento (cfr. Sofocle, frammento 624: «i giuramenti di donna li scrivo sull’acqua»; Catullo, LXX, 3-4: «sed mulier cupido quod dicit amanti, in vento et rapida scribere oportet aqua», e l’epigrafe sulla tomba del poeta John Keats: «Here lies a man whose name is writ in the water»)11.

Ma al di là di questi rilievi, si vuole segnalare come l’idea secondo la quale il carattere di permanenza della rappresentazione documentale costituisce un effetto rifl es-so della durevolezza della materia che accoglie i segni è così radicata da essere meccanicamente estesa – per inerzia, come se si trattasse di un concetto di assiomatica verità – ai nuovi documenti in formato digitale12.

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13 Può trattarsi di un periodo di tempo più o meno lungo, in ogni caso apprezzabile, quantunque sia diffi cile – se non impossibile – quantifi care il tempo minimo del documento. Così, ad esempio, sono documenti le iscrizioni che le popolazioni Tuareg usano tuttora lasciarsi sulla sabbia, soprattutto in corrispondenza di punti di passaggio obbligati?

Cfr. G. BENEDETTI, Parola scritta e parola telematica nella conclusione dei contratti, in AA. VV., Scrittura e diritto, Milano 2000, p. 75 ss., spec. 83: «è indispensabile che con l’impiego di una determinata tecnologia la documen-tazione produca un risultato destinato a conservarsi per un arco temporale che il legislatore possa ritenere signifi cativamente apprezzabile in relazione al dispiegamento cronologico degli interessi umani»; D. DI SABATO, Scrittura e documento scritto, in AA. VV., Scrittura e diritto, cit., p. 222: «la creazione di una res signata, ossia di un documento deriva sempre da una precisa scelta e non può essere considerata un effetto automatico e necessario della comuni-cazione attraverso segni grafi ci. Scrivendo un messaggio sulla sabbia, ad esem-pio, si utilizza la grafi a per comunicare, ma non si può dire che si realizzi una perdurante trasformazione del mondo esterno e, sicuramente, non si dà luogo alla creazione di un documento».

L’idea secondo cui il documento è un “oggetto” funzionale alla conser-vazione di un determinato contenuto rappresentativo nel tempo, è ben presen-te nella defi nizione contenuta in un regolamento ministeriale, concernente le modalità di assolvimento degli obblighi fi scali relativi ai documenti informatici (d. m. 23 gennaio 2004 in Gazz. Uff., 3 febbraio 2004, n. 27). Ivi, signifi cati-vamente, il documento è descritto in termini di «rappresentazione analogica o digitale di atti, fatti e dati, intelligibili direttamente o attraverso un processo di

Risentono di questo retaggio persino alcuni passaggi del formante normativo europeo. Qui se ne ingrandisce uno, tratto dal tredicesimo “considerando” della diretti-va n. 97/7/CE in materia di contratti a distanza. Il passo è questo: «l’informazione diffusa da talune tecnologie elet-troniche ha spesso un carattere effi mero in quanto essa non è ricevuta su un supporto durevole».

Come si può constatare, ivi si dà per scontato che la labilità di certi contenuti digitali sia da imputarsi alla mancanza di qualità intrinseche al supporto di memoriz-zazione. Ma un siffatto modo di vedere, si chiosa, è forse ancora troppo legato al modo di essere del documento in “carta e inchiostro”. Talché, ove fosse accertata la pos-sibilità di garantire la conservazione nel tempo di un de-terminato contenuto rappresentativo13 (c.d. funzione di

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elaborazione elettronica, che ne consenta la presa di conoscenza a distanza di tempo» (art. 1, lett. a).

14 Si potrebbe dire che funzione tipica ed indefettibile del documento è quella di perpetuare un determinato contenuto rappresentativo oltre i limiti temporali propri di ciò che è affi dato alla sola voce la quale, per sua natura, si spegne non appena cessa di risuonare. Richiamando le elaborazioni della dottrina tedesca, alla funzione di perpetuazione quale elemento costitutivo del concetto giuridico di documento fa riferimento L. PICOTTI, sub art. 3, in AA. VV., Commento L. 23/12/1993 n. 547 (Modifi cazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità infor-matica), in Legislazione penale, 1996, p. 62 ss., spec. 89. Sul punto si veda, al-tresì, A. MALINVERNI, voce Documento (dir. pen.), cit., p. 631: «Il documento, per essere tale, deve “perpetuare” il contenuto di pensiero in esso raccolto. La rappresentazione del pensiero e del suo autore, cioè, deve poter essere traman-dato nel tempo»; nonché M. C. ANDRINI, Dal tabellione al sigillo elettronico, in Vita not., 1998, p. 1787 ss., spec. 1790: «Quello che ogni documento deve invece avere, quale requisito naturale sostanziale, indipendentemente dal ma-teriale con cui sia formato, è la durata, nel senso che esso deve conservare la rappresentazione incorporata, garantendone la durata nel tempo».

In argomento, inoltre, spunti preziosi si ricavano dalla lettura del saggio di un autorevole studioso di linguistica, R. SIMONE, Testo scritto, testo parlato, testo digitale, in AA. VV., Scrittura e diritto, cit., p. 3 ss., spec. 13: «Il testo scritto […] non è ancorato al momento in cui viene prodotto, ma deve poter portare il suo messaggio anche in altri momenti e luoghi. È quindi, almeno nelle sue forme più accurate, pan - topico e pan – cronico, per tendenza e vocazione».

15 Cfr. G. LASERRA, La scrittura privata, cit., p. 166 s.: «la materia di cui è fatta il corpo della scrittura privata, può essere assolutamente qualsiasi materia. Essa quindi potrebbe in tesi essere anche una di quelle quae tangi non possunt, come l’aria, gli altri gas o l’elettricità, e che tuttavia sono pure esse cose corporali, se e nei limiti in cui siffatte materie non impedissero, come allo stato attuale della tecnica impediscono, la realizzazione o quantomeno la permanenza, che è indispensabile».

La mancanza di un collegamento necessario tra funzione di memorizza-zione e documento cartaceo è stata sottolineata da M. C. CARDARELLI, L’azione dematerializzata, Milano 2001, spec. p. 62.

16 La comunicazione, intesa come il passaggio dell’informazione da un mittente ad uno o più destinatari, può essere sincrona o asincrona. Quando

perpetuazione)14 a prescindere dalle caratteristiche fi siche di un determinato supporto contenente, non vi sarebbero ostacoli di ordine concettuale per continuare a parlare di documento quale strumento (non necessariamente mate-riale)15 funzionale alla riuscita di uno scambio comunicati-vo secondo modalità asincrone16.

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IL DOCUMENTO INFORMATICO E I DOCUMENTI ANALOGICI 57

l’unica forma di comunicazione era quella orale inter praesentes, la trasmis-sione delle informazioni poteva essere soltanto sincrona: chi ascoltava doveva essere alla presenza di chi parlava, perché altrimenti non avrebbe ricevuto il messaggio. Con la formazione del primo documento, invece, divenne possibile la conservazione di un contenuto rappresentativo oltre i limiti temporali di ciò che è affi dato alla sola voce. L’invenzione del documento, in altri termini, coin-cise con la scoperta dell’asincronicità e con essa della possibilità di trasmettere informazioni anche a grandissima distanza di tempo (non essendo più condi-zionata, la riuscita del processo di comunicazione, alla contestuale presenza di mittente e destinatario). Incidentalmente, vale la pena di ricordare che in una pagina molto celebre di Galileo Galilei la padronanza di queste concetti emerge (già) con sorprendente nitore: «Ma sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza di mente fu quella di colui che s’immaginò di trovar modo di comunicare i suoi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo» (Dialogo sopra i due massimi siste-mi del mondo, Tolemaico, e Copernicano, Firenze 1632).

17 L’espressione «in forma scritta o mediante altro supporto durevole» contenuta (tra l’altro) nell’art. 118 del testo unico bancario è stata bollata, e a ragione, come “non felicissima” da P. SIRENA, Il ius variandi della banca dopo il c.d. Decreto legge sulla competitività (n. 223/2006), in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 279.

18 Per esteso: «Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Con-siglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifi ca della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio» (pubblicata in Gazz. Uff. U. E. 22 novembre 2011, n. L 304). In argomento, per tutti: S. MAZZAMUTO, La nuova direttiva sui diritti del consumatore, in Europa dir. priv., 2011, 861 ss.; G. DE CRISTOFARO, La direttiva 2011/83/UE sui «diritti dei consumatori»: ambito di applicazione e disciplina degli obblighi informa-

C’è ora da sgombrare il cammino da un possibile fraintendimento.

È ricorrente nel linguaggio delle direttive e, per conse-guenza, in quello delle discipline domestiche di recepimen-to, l’impiego di locuzioni nient’affatto scevre da ambiguità quali «supporto durevole», «supporto duraturo» o altre equivalenti17.

Così, per citare uno dei frutti più recenti dell’atti-vismo del legislatore dell’Unione, la direttiva 2011/83/UE sui «diritti dei consumatori»18 contempla – inter alia

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tivi precontrattuali, in Annuario del contratto 2011, a cura di V. Roppo e A. D’Angelo, Torino 2012, 30 ss.; S. PAGLIANTINI, Il neoformalismo contrattuale dopo i d. lgs. n. 141/10, n. 79/11 e la dir. 2011/83/UE: una nozione (già) vieille renouvelée, in Nuove leggi civ. comm., 2012, II, p. 325 ss., spec. 331 ss.; M. LEHMANN – A. DE FRANCESCHI, Il commercio elettronico nell’Unione europea e la nuova direttiva sui diritti dei consumatori, in Rass. dir. civ., 2012, 435 ss.

19 Sul problema dell’equipollenza tra documento cartaceo scritto ed al-tro durable medium, si veda S. PAGLIANTINI, Forma e formalismo nel diritto europeo dei contratti, Pisa 2009, spec. p. 72 ss.; ID, voce Neoformalismo con-trattuale, in Enc. Dir. – Annali, vol. IV, Milano 2011, p. 772 ss., spec. 787 ss.

– una nuova disciplina degli obblighi informativi gravanti sui professionisti che concludono contratti negoziati fuori dai locali commerciali. In particolare, nei limiti di quanto qui interessa, l’art. 7 impone al professionista di fornire al consumatore un cospicuo numero di informazioni (per l’esattezza: «quelle di cui all’articolo 6, paragrafo 1»). E ciò, si noti, «su supporto cartaceo o […] su un altro mezzo durevole»19.

Per quanto concerne il riferimento al supporto dure-vole “altro” dal foglio di carta – non essendo verosimile che il conditor europeo abbia avvertito l’esigenza di precisare che l’obbligo informativo può essere adempiuto anche con la pergamena, il papiro o la tavoletta d’argilla – resta dif-fi cile dubitare che esso si riferisca ad un’informativa re-datta in formato digitale. Nondimeno, occorre avvertirlo, la circonlocuzione «altro mezzo durevole» è in sé equivo-ca: poiché potrebbe indurre erroneamente a pensare che il professionista debba, in alternativa alla consegna del documento informativo sub specie chartae, provvedere co-munque alla dazione di un oggetto materiale – si pensi, ad esempio, ad un CD o a un DVD – che funga da “supporto durevole” di memorizzazione del fi le informatico recante le informazioni da fornire al consumatore.

Ma non è così. O meglio, non è necessariamente così.E infatti, nella direttiva prima citata (come in altre) si

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IL DOCUMENTO INFORMATICO E I DOCUMENTI ANALOGICI 59

20 Sentenza Content Servicies, causa C-49/11, del 5 luglio 2012. La deci-sione è stata commentata da S. PAGLIANTINI, Neoformalismo e trasparenza se-

rinviene una defi nizione di “supporto durevole” che appa-re quasi liberata dal peso del riferimento ad una qualche materia corporale. Tant’è che il fuoco della formula legale converge tutto sulla funzione, riconoscendosi la qualità di supporto durevole, appunto, a «qualsiasi strumento che permetta al consumatore […] di conservare le informazioni che gli sono state personalmente indirizzate in modo da po-tervi accedere in futuro per un periodo di tempo adeguato alle fi nalità cui esse sono destinate e che permetta la riprodu-zione identica delle informazioni autenticate» (art. 2, n. 10).

Insomma, quel che qui conta garantire al consuma-tore è la perdurante disponibilità – sotto la di lui sfera di controllo – delle informazioni necessarie alla corretta ese-cuzione del contratto e, ove occorra, all’esercizio dei suoi diritti. Primo fra tutti, s’intende, quello di recesso.

La ratio iuris sottesa alla formula «il professionista fornisce le informazioni […] su supporto cartaceo o […] su un altro mezzo durevole» conduce ad una sua interpre-tazione estensiva. Di modo che, possono considerarsi for-nite su sopporto durevole “altro” tutte le informazioni po-ste sotto il governo del consumatore con soluzioni tecniche funzionalmente equivalenti alla consegna di un’informati-va redatta su un foglio di carta.

In quest’ottica di “equipollenza teleologica”, quindi, il documento informativo, se informatico, potrà essere im-messo nel dominio del consumatore mediante traditio del supporto materiale su cui è memorizzato (quale un CD o DVD), ma anche, e soprattutto, attraverso l’invio telemati-co di un messaggio di posta elettronica.

A suffragio di tale soluzione, si richiama un recente arresto della Corte di giustizia dell’Unione europea20 dal quale agevolmente si ricava il seguente principio di diritto:

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condo il canone della Corte di giustizia: note sparse sui casi Content services e Ebookers.com. alla luce della direttiva 2011/83/UE, in corso di pubblicazione (consultato in bozze per la cortesia dell’Autore).

21 In linea di coerenza con quanto sopra enunciato, la Corte di Lus-semburgo ha quindi stabilito che quando le informazioni pubblicate sul sito Internet del venditore sono rese accessibili solamente attraverso un link comu-nicato al consumatore, tali informazioni non possono considerarsi né fornite al consumatore né (tantomeno) ricevute su un supporto durevole.

22 Specularmente, si può dire che la legislazione di matrice comunitaria utilizza il supporto cartaceo come pietra di paragone, non per quanto è duro, ma per ciò che esso consente di realizzare.

«può essere considerato idoneo a rispondere ai requisiti di protezione del consumatore nel contesto delle nuove tecno-logie» qualsiasi metodologia «purché adempia le medesime funzioni del supporto cartaceo». Più nel dettaglio, nella misura in cui una tecnica consente «al consumatore di con-servare […] informazioni indirizzate a lui personalmente, garantisce l’assenza di alterazione del loro contenuto non-ché la loro accessibilità per un congruo periodo ed offre ai consumatori la possibilità di riprodurle identiche» essa (tecnica) deve essere considerata alla stregua di un “sup-porto duraturo” assimilabile a quello cartaceo21.

A ben rifl ettere, questa nozione di supporto durevole “altro” nulla ha a che vedere con le caratteristiche fi siche e meccaniche della materia che accoglie i segni digitali e tutto con le funzioni tradizionalmente assolte dal supporto cartaceo22.

2. Trattamento informatico dell’informazione e fenome-no della “smaterializzazione” del documento. Il quid novi del documento informatico. Tesi che ne individua il tratto specifi co nel difetto del requisito della”leggibilità ad occhio nudo”. Critica

Se funzione tipica ed indefettibile del documento è quella di assicurare la conservazione di un determinato

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IL DOCUMENTO INFORMATICO E I DOCUMENTI ANALOGICI 61

23 In questo senso, P. TONALINI, La sottoscrizione elettronica dei docu-menti, in Studium iuris, 1997, p. 442 ss., spec. 442; G. ROGNETTA, La fi rma di-gitale e il documento informatico, Napoli 1999, p. 165 ss.; G. CIACCI, La fi rma digitale, cit., p. 77.; A. MASUCCI, Il documento informatico. Profi li ricostruttivi della nozione e della disciplina, in Riv. dir. civ., 2004, p. 749 ss., spec. 755 ss.; ID., Teoria del documento e documento informatico (su alcuni aspetti innova-tivi della defi nizione di documento informatico), in Studi in onore di Giorgio Berti, II, Napoli 2005, p. 1564 ss., spec. 1571 ss.

24 Su questa bivalenza strutturale del documento si veda L. DE SARLO, Il documento oggetto di rapporti giuridici privati, cit., spec. p. 121: «il do-cumento risulta sempre dal complesso formato da due ordini di cose. L’una sono le chartae membranaeque su cui le parole sono scritte, l’altra le litterae, i caratteri»; F. CARNELUTTI, voce Documento, cit., p. 86; P. SCHLESINGER, La scrittura privata, in Jus, 1961, p. 447 ss.; A. CANDIAN, voce Documentazione e documento, cit. p. 579; A. MORELLO, voce Sottoscrizione, in Noviss. dig. it., XVII, 1970, p. 1003 ss., spec. 1005; S. PATTI, La prova documentale, cit., p. 8; D. DI SABATO, Il documento contrattuale, Milano 1997, p. 2.

contenuto rappresentativo oltre i limiti temporali di ciò che è affi dato alla sola voce, ad alcuni è sembrato di poter dire oggi quel che non era possibile dire ieri, e cioè che, in segui-to all’introduzione del documento informatico, l’essenziale funzione di perpetuazione può essere assolta da un docu-mento privo di dimensione tattile, senza massa né peso, del tutto svincolato dall’esistenza di un supporto materiale.

Sotto questa luce, l’essenza del documento informati-co risiederebbe nella sua virtualità, ossia nell’essere con-tenuto senza contenente, null’altro che la pura rappresen-tazione del fatto23, risultando in tal modo superata l’idea secondo la quale il documento consta necessariamente di due elementi, uno corporale (la res) e l’altro spirituale o intellettuale (il contenuto)24.

In realtà, su una pluralità di questioni mette oggi con-to di meditare. In particolare, occorre appurare se il fe-nomeno della «smaterializzazione» sia propriamente tale o debba essere inteso restrittivamente, come semplice «de-cartolarizzazione» del documento informatico, il quale, in quanto res, si inscriverebbe nel dominio della materialità,

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25 Così, R. BORRUSO, Computer e diritto. Problemi giuridici dell’infor-matica, cit., spec. p. 218 (ivi l’autore scrive che «le memorie elettriche o elet-troniche […] non sono altro che la nuova carta, cioè il nuovo supporto su cui l’uomo scrive»); M. MESSINA, “Libertà di forma” e nuove forme negoziali, Torino 2004, spec. p. 218 s.; D. DI SABATO, Il documento contrattuale, cit., p. 30 ss.; C. M. BIANCA, sub art. 2, in AA. VV., Formazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici (d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), cit., p. 675 («Del documento informatico è stato detto che esso ha la caratteristica di essere indipendente dal supporto materiale. In contrario va rilevato che gli impulsi elettronici sono pur sempre una real-tà fi sica che si imprime su una realtà materiale. La corrente espressione che vede nell’impiego dell’informatica un fenomeno di “dematerializzazione” del documento, deve quindi propriamente intendersi nel senso della sua “decarti-fi cazione”. Il documento informatico, va ribadito, è un documento in quanto cosa recante messaggi»); ID., Documento digitale e atto notarile, in Vita not., 2009, p. 447 s., spec. 447; A. PIZZOFERRATO, La «nuova» fi rma digitale nell’e-sperienza giuridica italiana, in Contratto e impresa/Europa, 2002, p. 78 ss., spec. 82: «in fondo, anche per il documento informatico possiamo individuare un contenitore, supporto magnetico in cui sono riversati i bit, e un contenuto, informazioni, sul quale agisce la fi rma digitale, autenticandone l’imputazio-ne soggettiva (paternità) e garantendone la mancata alterazione (genuinità)»; nonché; R. SACCO, in R. SACCO e G. DE NOVA, Obbligazioni e contratti, 3ª ed., in Tratt. Rescigno, vol. X, tomo II, Torino 2004, p. 83; S. SICA, Atti che devo-no farsi per iscritto (art. 1350), in Commentario Schlesinger diretto da F. D. Busnelli, Milano 2003, spec. p. 129; F. RICCI, Scritture private e fi rme elettro-niche, Milano 2003, spec. p. 89 ss.; ID., voce Documento informatico, in Il Di-ritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, diretta da S. Patti, Milano 2007, vol. V., pp. 547 ss.; spec. 458 s. («In realtà, il documento informatico non è mai né un’entità immateriale, né una realtà meramente virtuale, né un’insieme di impulsi elettrici riconducibili solo per convenzione alla categoria dei beni mobili (cfr. art. 814 c.c.), ma è sempre necessariamente una cosa materiale»); L. P. COMOGLIO, Le prove civili, 3ª ed., Torino 2010, spec. p. 530 («Il documen-to si identifi ca, anzitutto, con il supporto informatico o magnetico, nel quale i simboli rappresentativi […] vengono scomposti […] in altrettanti segnali da incorporarsi nella memoria elettronica del calcolatore».

continuando a partecipare della bivalenza strutturale co-mune ad ogni altra species di documento25; ed ancora, se la fi sicità del documento informatico sia da inquadrarsi nel supporto (in linea con la tradizione) oppure debba essere ricercata altrove, sull’assunto dell’ontologica diversità del nuovo strumento; infi ne, se sia venuta meno la necessità di ancorare l’elemento spirituale ad un’unica base materiale che lo incorpori per tutto il tempo della sua esistenza.

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26 Nel Codice dell’amministrazione digitale, di recente, alla defi nizio-ne di documento informatico si affi anca quella – invero non particolarmente istruttiva – di “documento analogico” quale «rappresentazione non informa-tica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti» (art. 1, lett. p-bis; lettera aggiunta a seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. 30 dicembre 2010, n. 235).

27 Cfr.: G. FINOCCHIARO, La fi rma digitale (artt. 2699 – 2720, supple-mento d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), in Commentario del codice civile Scialoja – Branca a cura di F. Galgano, Bologna – Roma 2000, spec. p. 30 ss.; F. ALCARO, L’impatto della legge delega (n. 110/2010) sull’ordinamento del Notariato, in Quaderni della Fondazione del notariato, 2011, p. 164 ss.: «Il documento informatico - defi nibile, in generale, come rappresentazione di atti, fatti, dati […] – non ha qui un supporto fi sico, cartaceo, ma virtuale. Esso non è reifi cato, non è una res» (consultabile anche su Internet all’indirizzo: http://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=31/3112&mn=3 ).

28 M. MICCOLI, sub art. 1, in AA. VV., Formazione, archiviazione e tra-smissione di documenti con strumenti informatici e telematici (d. P. R. 10 no-vembre 1997, n. 513), cit., p. 646.

All’uopo, è opportuno che l’analisi muova dalla defi -nizione normativa di documento informatico quale «rap-presentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamen-te rilevanti» (art. 1, lett. p, del Codice dell’amministrazio-ne digitale) che, all’evidenza, riposa sul comodo giaciglio concettuale preparatole dalla dottrina nella prima metà del secolo scorso. Una minima rifl essione, infatti, è suffi ciente ad acclarare la diretta discendenza della defi nizione legale dalla nota nozione giuridica di documento, nella versione coniata da Luigi Carraro, in termini di «cosa rappresenta-tiva di un fatto giuridicamente rilevante»26.

In questa sede, tuttavia, preme sottolineare la man-canza di qualsivoglia riferimento all’elemento materiale. Stando alla lettera della defi nizione in discorso, il docu-mento informatico s’identifi ca nella rappresentazione, non nella cosa che la rappresentazione contiene27. Il che, se da solo non può bastare ad avvalorare l’opinione secondo la quale il conditor iuris avrebbe assunto una posizione net-ta in favore del documento come puro contenuto, «opera dell’ingegno umano tendente a conservare e fornire ad altri la conoscenza»28 di un fatto, vale invece a testimoniare la

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29 Su tale defi nizione si appuntarono, copiose, le critiche della dottrina. Cfr.: R. BORRUSO, G. BUONOMO, G. CORASANNITI e G. D’AIETTI, Profi li penali dell’informatica, Milano 1994; M. PETRONE, Le recenti modifi che del codice penale in tema di documento informatico: problemi e prospettive, in Dir. in-formaz. e informatica, 1995, p. 259 ss.; L. PICOTTI, sub art. 3, in AA. VV., Commento L. 23/12/1993 n. 547 (Modifi cazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informa-tica), cit., p. 62 ss.; C. PARODI, Il documento informatico nel sistema normati-vo penale, in Dir. pen. e processo, 1998, p. 369 ss.; G. PICA, Diritto penale delle tecnologie informatiche, Torino 1999, spec. p. 115 ss.; C. PECORELLA, Il diritto penale dell’informatica, Padova 2000, spec. p. 140 ss. (ove ampi riferimenti di diritto comparato); R. BORGOGNO, Documento tradizionale e documento infor-matico, in AA. VV., Le falsità documentali a cura di F. Ramacci, Padova 2001, p. 51 ss., spec. 77 ss.; A. MASI, Falso in fi rma elettronica, in Studi senesi, 2001, p. 136 ss.; nonché, M. CAMMARATA ed E. MACCARONE, La fi rma digitale sicura, Milano 2003, spec. p. 55, i quali additano l’art. 491-bis a esempio «della diffi -coltà di intuire la natura immateriale del documento informatico».

maturata consapevolezza di non poter considerare il docu-mento informatico semplicemente alla stregua di un nuovo oggetto materiale, contraddistinto esclusivamente per la peculiare natura fi sica del supporto contenente.

Il che, del resto, emerge in modo ancor più eviden-te dalla vicenda – o, si potrebbe dire, dal “ravvedimento operoso” – che ha interessato la defi nizione di documento informatico già contenuta nel codice penale.

L’art. 491-bis cod. pen., aggiunto dall’art. 3 della l. 23 dicembre 1993, n. 547, presentava (nell’originaria stesura e ai soli fi ni dell’applicazione delle disposizioni sulla falsità in atti) una defi nizione di documento informatico secon-do cui, per esso, si sarebbe dovuto intendere: «qualunque supporto informatico contenente dati o informazioni aven-ti effi cacia probatoria o programmi specifi camente destina-ti ad elaborarli»29.

Balza evidente, sin da una prima lettura, che il fuoco della surriferita defi nizione s’incentrava tutto sulla natura del supporto: informatica, anziché cartacea.

Ora, questa defi nizione (concettualmente molto acer-

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30 Ex art. 33, l. 18 marzo 2008, n. 48, che ha ratifi cato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica.

31 In argomento, per tutti, L. PICOTTI, La ratifi ca della Convenzione Cybercrime del Consiglio d’Europa. Profi li di diritto penale sostanziale, in Dir. pen. e proc., 2008, p. 696 ss., spec. 701 s.

32 E. GIANNANTONIO, Il valore giuridico del documento elettronico, in La forma degli atti nel diritto privato. Studi in onore di Michele Giorgianni, Na-poli 1988, p. 383. Sul punto cfr., altresì, V. FRANCESCHELLI, Computer e diritto, Rimini 1989, spec. p. 228 e A. GRAZIOSI, Parola detta, parola scritta e parola telematica, questioni in tema di prova e provenienza, in AA. VV., Scrittura e diritto, Milano 2000, spec. p. 168; ID., voce Documento informatico (dir. proc. civ.), in Enc. Dir. – Annali, vol. II, tomo II, Milano 2008, p. 491 ss., spec. 494: «non v’è dubbio che il documento informatico rientri nella categoria dei docu-menti non direttamente rappresentativi. Ciò poiché l’effetto rappresentativo del documento è sempre necessariamente mediato dall’azione di un elabora-tore. Anzi, si può affermare che la differenza rispetto alla parola scritta sta proprio nel fatto che la rappresentazione della parola telematica, agli occhi del lettore-destinatario, non avviene immediatamente, ma necessita sempre e

ba) è stata signifi cativamente espunta dal testo dell’art. 491-bis30, essendosene riconosciuta – così si legge nella re-lazione d’accompagnamento al disegno di legge di modifi ca – la “sopravvenuta inadeguatezza”31.

Dunque, se anche tra le pieghe del dato normativo emergono elementi che cospirano in favore del riconosci-mento di una qualche specifi cità al documento informatico, rimane pur sempre a determinare ove essa risieda; e, nel far ciò, si spera di poter cogliere buon frutto dall’analitica ricognizione dei tratti più signifi cativi di questa nuova spe-cie di “res” documentalis.

Al riguardo, una parte della dottrina ha da tempo osservato che il documento informatico, in quanto frut-to dell’elaborazione di un computer, non è direttamente percepibile con gli occhi (o un altro organo di senso), ma unicamente attraverso la mediazione di «apposite macchi-ne traduttrici che rendono percepibili e comprensibili i se-gnali digitali (in genere magnetici) dai quali essi sono costi-tuiti»32. Di talché, i risultati del processo di elaborazione

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comunque dell’intermediazione di una macchina, che è appunto l’elaboratore elettronico».

33 Cfr. P. LÉVY, Il virtuale, trad. italiana di M Colò e M. Di Sopra, Mi-lano, 1997, p. 29 s.: «Il supporto digitale (dischetto, disco fi sso magnetico, di-sco ottico) non contiene testo che possa essere letto dall’uomo ma una serie di codici informatici che potranno eventualmente essere tradotti da un computer in segni alfabetici e visualizzati su un display. Lo schermo si presenta, quindi, come una fi nestra dalla quale il lettore parte all’esplorazione di una riserva potenziale».

34 Sul punto cfr. F. PARISI, Il contratto concluso mediante computer, cit., p. 69 s.; V. PANUCCIO, Il documento elettronico. Considerazioni sulla forma e sulla prova, in La civilistica italiana dagli anni 50 ad oggi tra crisi dogmatica e riforme legislative, Padova 1991, p. 879 ss; S. TONDO, Funzioni notarili e tecniche informatiche, in AA. VV., Scrittura e diritto, cit., p. 107 ss., spec. 138 s.; F. VIGLIONE, L’imputazione dei documenti tra crisi della sottoscrizione e innovazioni tecnologiche, in Riv. dir. civ., 2003, II, p. 243 ss., spec. 246.

ed il contenuto dei documenti archiviati nei dispositivi di memoria di massa sono resi conoscibili all’esterno per il tramite necessario di unità periferiche di output (schermo, stampante, casse acustiche etc.) che costituiscono la super-fi cie fi sica di contatto tra i sensi dell’uomo e la macchina33.

Questo rilievo, pur se incontrovertibile, si rivela in-capace di dar base ad una soddisfacente distinzione tra documento informatico e documento tout court, in quanto non isola la specifi ca differentia del primo in confronto al secondo. Ed invero, il difetto del requisito della «leggibilità ad occhio nudo» non è esclusivo del documento informati-co, giacché anche quelli fonografi co e cinematografi co in-terpongono una barriera di carattere tecnologico tra i per-cettori ed il loro contenuto: essi possono essere, rispettiva-mente, uditi o visti solo se si utilizzano “apposite macchine traduttrici” (ad esempio, un lettore di nastri magnetici, un giradischi, un proiettore di immagini, un videoregistratore e così via dicendo)34.

A tirar le somme, dunque, è possibile sostenere che il criterio dell’indiretta percepibilità – quale mezzo di di-stinzione da qualcos’altro che quel carattere non ha – non

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35 Il “dato” può essere defi nito come l’unità minima d’informazione sulla quale poggia ogni processo comunicativo. In termini sostanzialmente analoghi è formulata la nozione proposta da G. FINOCCHIARO, La fi rma digitale (artt. 2699 – 2720, supplemento d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), cit., p. 39, per la quale il “dato” si identifi ca nello «elemento minimo, idoneo a dar luogo, anche se isolatamente considerato, alla rappresentazione di un fatto»; in argomento, cfr. A. MASUCCI, Il documento informatico. Profi li ricostruttivi della nozione e della disciplina, cit., spec. p. 753 s.

36 Cfr. F. PARISI, Il contratto concluso mediante computer, cit., p. 70 ss.; M. ORLANDI, La paternità delle scritture, cit., p. 97 ss.; ID., sub art. 10, in AA. VV., Formazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti in-formatici e telematici (d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), cit., spec. p. 749 s.

contribuisce allo scopo al quale pretende di servire, poiché non discrimina, né identifi ca nulla.

3. Segue. Tesi che individua la nota caratteristica del do-cumento informatico nell’intrinseca delebilità del sup-porto. Confutazione

Altri autori individuano la nota caratteristica del do-cumento informatico nell’intrinseca delebilità del suppor-to, strutturalmente incapace di conservare e restituire al percettore tracce della propria storia grafi ca, in quanto i dati35 archiviati nelle memorie informatiche possono essere alterati (cancellati, sostituiti, aggiunti o variamente combi-nati con altri dati) senza che il contenente subisca modifi -cazioni fi siche in qualche modo riconoscibili all’esterno36.

Anche al di fuori del campo del diritto, analoghe consi-derazioni sorreggono le preoccupazioni avanzate da alcune categorie di studiosi. Ed in particolare dai fi lologi, i quali, interessati a ricostruire il labor limae operato dall’autore su un documento letterario, sono soliti trarre importanti indicazioni dall’analisi dei testi originali e delle bozze pre-paratorie, mentre la videoscrittura non consente loro di ripercorrere i détours del pensiero, le incertezze dell’orto-grafi a, le stratifi cazioni, gli sbalzi incontrollati della parola

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37 Cfr. F. CARNELUTTI, Teoria del falso, Padova 1935, spec. p. 152 s.38 Si pensi ai cosiddetti CD-ROM (acronimo di Compact Disk – Read

Only Memory) e ai DVD-ROM (acronimo di Digital Versatile Disk – Read Only Memory), ovvero supporti ottici che – a differenza di quelli magnetici – si ca-ratterizzano per il fatto di non poter essere soprascritti con altri dati.

e della penna che contribuiscono a rendere affascinante un manoscritto. Ad ogni manipolazione, infatti, il testo digita-le si rigenera apparendo sempre miracolosamente intatto, senza che rimanga alcun segno di tutte le fasi che lo hanno preceduto.

In un’ottica strettamente giuridica, queste osserva-zioni convergono nel mettere in evidenza un solo aspetto: l’assoluta inidoneità del supporto informatico ad assicura-re la riconoscibilità esterna di alcune forme di falsità ma-teriale. E, segnatamente, della falsità per alterazione che consiste nella illegittima modifi cazione di un documento già defi nitivamente formato, in modo da farne apparire diver-sa la provenienza, la data o il contenuto (specie di falsità, quest’ultima, che un foglio di carta rivela a chi lo esamina attraverso le cicatrici che ne segnano la superfi cie, ossia le raschiature, le cancellature, le aggiunte e così via) 37.

Conseguentemente, è agevole rilevare che il supporto informatico costituisce un equivalente soltanto parziale di quello cartaceo, in quanto è atto ad assicurare la conser-vazione per un certo tempo di un determinato contenuto rappresentativo, non anche la verifi ca dell’integrità dello stesso. Del resto, l’inidoneità del supporto informatico ad assicurare la genuinità del documento non soffre di ec-cezioni e va ribadita anche per quelli che, subendo una trasformazione fi sica irreversibile nel corso della prima utilizzazione, non sono riscrivibili una seconda volta38; e l’assunto risulta giustifi cato se si considera che la condot-ta di falsifi cazione del documento informatico non impli-ca la necessaria manomissione del supporto, atteso che il

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39 Cfr. R. ZAGAMI, Firma digitale e sicurezza giuridica, Padova 2000 p. 255 e F. RIZZO, Valore giuridico ed effi cacia probatoria del documento infor-matico, in Dir. informaz. e informatica, 2000, p. 213 ss., spec. 219.

40 Il bit (acronimo di binary digit) «è il più piccolo elemento atomico del DNA dell’informazione. È un modo di essere: sì o no, vero o falso, su o giù, dentro o fuori, nero o bianco. Per praticità noi diciamo che un bit è 1 o 0» (N. NEGROPONTE, Essere digitali, Milano, 1995).

41 Cfr. R. BORRUSO, Il documento informatico, la fi rma elettronica e la fi rma digitale alla luce delle ultime norme (d. lgs. 23 gennaio 2002 n. 10, d. P. R. 7 aprile 2003 n. 137 e l. 29 luglio 2003 n. 229), in Giust. civ., 2004, II, p 144 ss., spec. 149; A. GRAZIOSI, Premesse ad una teoria probatoria del documento informatico, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, p. 441 ss., spec. 509 e G. RO-GNETTA, La fi rma digitale e il documento informatico, cit., p. 11.

falsifi catore può operare direttamente sui dati, elaboran-doli al computer ed archiviandoli in un diverso supporto materiale.

Alla stregua delle considerazioni svolte, vengono ad essere così acclarate le ragioni che non consentono di basare la sicurezza del documento informatico sulle in-trinseche qualità dei supporti di memorizzazione. Donde la necessità di reperire equipollenti dell’immodifi cabili-tà occulta del foglio di carta attraverso la individuazione di soluzioni tecniche specifi che per la gestione elettronica dei documenti.

Siffatta ricerca conduce a sostenere che l’esigenza di garantire l’integrità del documento informatico può oggi essere adeguatamente soddisfatta mediante l’impiego della metodologia criptografi ca della quale le fi rme elettroniche costituiscono (spesso) una moderna e sofi sticata applicazio-ne39. In particolare, la fi rma digitale – come meglio si vedrà in seguito – che utilizza algoritmi crittografi ci a chiavi asim-metriche si presenta allo stato dell’arte tecnologica come il sistema di gran lunga più effi ciente: la benché minima alterazione del documento (l’aggiunta, la sostituzione o la cancellazione di un solo bit40) verrebbe ad essere evidenzia-ta dall’esito negativo del processo di verifi ca41.

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42 Dubbi sulla reale equivalenza tra la fi rma digitale e la sottoscrizione autografa sono stati sollevati da A. GENTILI, Documento informatico e tutela dell’affi damento, in Riv. dir. civ., 1998, II, p. 163 ss., spec. 176; ID., Ineffi ca-cia e vizi della volontà della contrattazione telematica, in AA. VV., Il contrat-to telematico, cit., p. 133 ss., spec. 137.

43 Il che si può dire per tutte le fi rme elettroniche “avanzate” e, a più forte ragione, per quelle “qualifi cate”.

44 Così, F. CARNELUTTI, Studi sulla sottoscrizione, in Riv. dir. comm., 1929, p. 509 ss., spec. 513 s.

In questa sede, è doveroso sottolineare che il saggio carneluttiano resta, a più di ottant’anni dalla sua pubblicazione, il principale contributo dottrinale in tema di sottoscrizione (una sintesi rigorosissima degli Studi è in S. PATTI, L’effi cacia probatoria del documento informatico, in Riv. dir. proc., 2000, p. 60 ss., spec. 62 ss.).

45 M. ORLANDI, sub art. 10, in AA. VV., Formazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici (d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), cit., p 749 s.; ID., La paternità delle scritture, cit., p. 95 ss., spec. 104.

Da ciò si ricava motivo per avvalorare un ulteriore passaggio logico: dal punto di vista funzionale, la fi rma digitale a chiavi asimmetriche è l’equivalente informatico della sottoscrizione autografa42 ed insieme dell’intrinseca immodifi cabilità del supporto cartaceo43.

Di fatti, al pari dei segni alfabetici formanti il nome del sottoscrittore e da questi di pugno tracciati, la fi rma digitale assolve ad una duplice funzione. Prima di tutto ad una funzione indicativa, dal momento che consente di «discernere dagli altri l’autore del documento»; in secondo luogo ad una funzione dichiarativa, in quanto essa «signifi -ca […] assunzione della paternità del documento»44.

Alla stregua del foglio di carta, la fi rma digitale rende riconoscibili ex post eventuali manipolazioni che il docu-mento ha subito.

Quest’ultimo rilievo, in particolare, ha indotto una delle voci più autorevoli della dottrina specialistica ad asse-gnare alla fi rma digitale valenza costitutiva, sicché in difet-to di essa la rappresentazione informatica sarebbe incapa-ce di integrare gli estremi di una fattispecie documentale45.

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46 M. ORLANDI, sub art. 10, in AA. VV., Formazione, archiviazione e tra-smissione di documenti con strumenti informatici e telematici (d. P. R. 10 no-vembre 1997, n. 513), cit., p. 749 s.; ID., Il falso digitale, Milano, 2003, spec. p. 15 ss. Al medesimo ordine di idee pare orientato A. M. GAMBINO, voce Firma digitale (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, Roma 1999, vol. XIV, spec. p. 5.

47 Sul punto, cfr. F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», Napoli 2004, spec. p. 279; R ZAGAMI, Documento informatico e fi rma digitale, in AA. VV., Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet a cura di G. Cassano, Milano 2002, p. 636 ss., spec. 636; G. FINOCCHIARO, Lex mercatoria e commercio elettronico. Il diritto applicabile ai contratti conclusi su Internet, in AA. VV., Il contratto telematico, cit., p. 15 ss., spec. 47; ID., La fi rma digitale (artt. 2699 – 2720, supplemento d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), cit., p. 150 ss.; G. ROGNETTA, La fi rma digitale e il documento infor-matico, cit. p. 103 e L. V. MOSCARINI, sub art. 4, in AA. VV., Formazione, ar-chiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici (d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), cit., p. 677 ss., spec. 678: «documento

A monte di questa conclusione è l’idea secondo la quale la dignità di documento debba essere riconosciuta soltanto a quelle cose che, oltre a recare un insieme signifi cante di segni, siano suscettibili di costituire ‘avanzi’ o ‘tracce’ del loro passato, cioè «di conservare una memoria corporale della propria genesi»; in altri termini, «di lasciare segno di eventuali successive alterazioni»46.

A nostro giudizio, la restrizione che questa dottrina pone si palesa ingiustifi cata non appena si mette in chiaro che il documento, perché sia tale, non deve necessariamente essere anche sicuro, consentendo la verifi ca della sua inte-grità. Condizione necessaria e suffi ciente ai fi ni della con-cessione della qualità di documento, invece, è l’esistenza di una specifi ca attitudine al soddisfacimento dell’essenziale funzione di perpetuazione di un determinato contenuto rap-presentativo oltre i limiti temporali di ciò che è affi dato alla sola voce. Di conseguenza, non si vede motivo per escludere dalla categoria dei documenti quello informatico non elet-tronicamente fi rmato, ove questo si riveli comunque idoneo a fornire la rappresentazione permanente di un fatto47. Tan-to più adesso che l’art. 2712 cod. civ. – parzialmente novel-

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informatico e fi rma digitale sono due concetti distinti, che possono coesistere come possono non coesistere. In altri termini, che il documento informatico […] ben può esistere ed assumere autonoma valenza giuridica anche senza l’aggiunta della fi rma digitale. Laddove quest’ultimo dato aggiunge alla fi gura del documento informatico un quid pluris che si traduce nell’attribuzione di una valenza […] equivalente a quella della scrittura privata».

48 Sull’estensione dell’effi cacia probatoria prevista dall’art. 2712 cod. civ. ai documenti informatici privi di fi rma elettronica si vedano i rilievi critici di M. ORLANDI, Il falso digitale, cit., spec. p. 26.

lato dall’art. 23-quater (già art. 23) del Codice dell’ammini-strazione digitale – lo menziona includendolo nella variegata categoria delle “riproduzioni meccaniche”48.

Recuperando l’interrogativo da cui si sono prese origi-nariamente le mosse, infi ne, sembra di poter dire che dalle considerazioni fi n qui condotte emergono chiavi suffi cienti per respingere quell’indirizzo che individua la nota carat-teristica del documento informatico nell’intrinseca dele-bilità del supporto dalla quale discenderebbe il pendant della modifi cabilità occulta dello stesso. Ed infatti, tanto l’assunto quanto il corollario che se ne dovrebbe trarre sono contraddetti dalla realtà delle cose e prestano il fi anco ad una duplice obiezione: non è vero che tutti i supporti informatici siano delebili, in quanto ve ne sono alcuni che, al pari del foglio di carta, subiscono una trasformazione fi sica irreversibile; e soprattutto, dalla natura delebile o indelebile del singolo supporto contenente non dipende la possibilità di verifi care se il contenuto di un documento in-formatico – già defi nitivamente formato – abbia o no subito successive alterazioni.

4. Segue. Perfetta replicabilità dei contenuti in for-mato digitale e perdita di corrispondenza tra documento e singolo supporto contenente. Il documento informatico quale bene immateriale

Denominatore comune ad ogni specie di documento

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49 Cfr. artt. 1, 22, 23 e 23-ter del Codice dell’amministrazione digitale (così come modifi cato ed integrato dal d. lgs., 30 dicembre 2010, n. 235).

50 P. TONINI, Il documento informatico: problematiche civilistiche e pe-nalistiche a confronto, in Corriere giur., 2012, p. 432 ss., spec. 434: «L’incor-poramento analogico è defi nito “materiale” perché la rappresentazione esiste soltanto se è incorporata su quella determinata base materiale».

51 In questo senso, L. PICOTTI, La ratifi ca della Convenzione Cybercrime del Consiglio d’Europa. Profi li di diritto penale sostanziale, cit., spec. p. 701 ss.; ID., sub art. 3, in AA. VV., Commento L. 23/12/1993 n. 547 (Modifi cazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura pena-le in tema di criminalità informatica), cit., p. 90: «fuorviante resta la mera trasposizione del paradigma concettuale dell’incorporazione, elaborato per i tradizionali documenti cartacei provenienti dall’uomo, nel campo di quelli informatici, in cui non solo non è signifi cativo, ma talora non è neppure tec-nicamente individuabile il singolo supporto, quale “unitaria” entità materiale stabilmente corrispondente ad un unico documento»; F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», cit. , spec. p. 267; R. BORRUSO, Il do-cumento informatico, la fi rma elettronica e la fi rma digitale alla luce delle ultime norme (d. lgs. 23 gennaio 2002 n. 10, d. P. R. 7 aprile 2003 n. 137 e l. 29 luglio 2003 n. 229), cit., spec. p. 147; R. ZAGAMI, Documento informati-co e fi rma digitale, in AA. VV., Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet, cit., spec. p. 649; nonché, G. PICA, Diritto penale delle tecnolo-gie informatiche, cit., p. 136: «il supporto informatico è null’altro che un mero contenitore (così come un armadio lo è per i documenti cartacei), liberamente intercambiabile con altri supporti, sui quali i dati possono essere trasferiti»; ed in ultimo M. CAMMARATA e E. MACCARONE, La fi rma digitale sicura, cit. , spec. p. 56: «il documento informatico esiste a prescindere dal supporto, e può

cosiddetto “tradizionale” – o, per qualifi carlo con l’ag-gettivo recentemente adottato della legge, “analogico”49 – è la inscindibilità del contenuto con il singolo supporto contenente, nel senso che una determinata combinazione di segni risulta congiunta ad un corpus materiale al quale rimane fedele per tutto il tempo della sua esistenza: l’una e l’altro non possono essere separati se non a prezzo della distruzione del documento stesso50.

Diversamente, i dati archiviati in un supporto infor-matico possono esserne disgiunti con pochissimo dispendio di energia e facilmente trasferiti in altro contenitore idoneo a riceverli, senza che un simile “travaso” comprometta la loro capacità di signifi care51.

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74 CAPITOLO I - SEZIONE II

passare da supporto a un altro senza perdere alcuna delle sue caratteristiche, in particolare la sua rilevanza giuridica».

52 Cfr. F. ZUMERLE, Introduzione alla fi rma digitale ed al documento informatico, in AA. VV., Trattato breve di diritto della rete. Le regole di In-ternet, Rimini 2001, p. 244 ss., spec. 249.

53 Art. 62, n. 4, cod. pen.

E questa “ambulatorietà”, caratteristica delle in-formazioni in formato digitale – tanto vale a dire: il loro essere perfettamente replicabili su supporti informatici interscambiabili – trova un primo riscontro empirico già nel linguaggio corrente che (a mio credere) ben rifl ette l’istintiva diffi coltà di pensare al documento informatico come ad un oggetto, o, se si preferisce, ad una res corpo-rales tangibile.

Nel discorrere abituale dei parlanti, infatti, l’espres-sione “documento informatico” tende a non coincidere con il singolo supporto contenente: di due dispositivi di memo-ria di massa (CD, DVD, USB fl ash drive, hard disk, e simi-li) archivianti identici contenuti digitali (il medesimo fi le) si dice che essi contengono lo stesso documento, pur essendo incontrovertibilmente differenti porzioni della realtà ma-teriale52.

Trascorrendo dal linguaggio comune a quello profes-sionale delle sentenze, poi, la sopra accennata tendenza trova un’ulteriore preziosa conferma.

Può testimoniarlo un esempio. Una Corte di merito – giudicando applicabile l’attenuante del danno di speciale tenuità53 all’ipotesi di sottrazione di CD-ROM contenente un progetto di architettura – ha molto ben rilevato che: «il valore del lavoro progettuale quale opera intellettuale […] non incide sulla valutazione della gravità/tenuità del danno patrimoniale subito a seguito del furto di singole repliche del progetto, dovendovene essere copia facilmente ripro-ducibile sull’hard-disk del personal computer della perso-

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IL DOCUMENTO INFORMATICO E I DOCUMENTI ANALOGICI 75

54 Tribunale di Bologna, 17 settembre 2002, imp. Fichera (inedita). Spunti utili, sempre nella stessa direzione, potrebbero trarsi da una decisione più recente della Corte di Cassazione, secondo cui: «È da escludere la confi gu-rabilità del reato di furto nel caso di semplice copiatura non autorizzata di “fi -les” contenuti in un supporto informatico altrui, non comportando tale attività la perdita del possesso della “res” da parte del legittimo detentore» (Cass. pen. 26 ottobre 2010, n. 44840).

55 Cfr. S. PAGLIANTINI, La forma del contratto: appunti per una voce, in Studi senesi, 2004, p. 105 ss., spec. 157.

56 Nel linguaggio degli informatici, l’espressione “copia di backup” è correntemente usata per indicare la copia di sicurezza che permette il recupe-ro dei dati nei casi – invero molto frequenti - di perdita, distruzione o avaria di uno dei supporti di archiviazione.

na offesa»54. La considerazione che è alla base dell’insegna-mento giurisprudenziale è di evidenza palmare: la perdita della singola replica non comporta il venir meno dell’entità in essa rappresentata se quest’ultima è fruibile aliunde, per il tramite di una diversa base materiale55.

Sottotraccia, l’iter argomentativo si svolge lungo due direttrici. Da un lato, infatti, si assume che non esiste un rapporto d’identità fra la rappresentazione informatica (id est, il documento) e ciascuna delle occorrenze concrete nel-le quali essa si esteriorizza. Dall’altro lato, si riconosce che l’accesso alla sostanza incorporea della rappresentazione documentale passa pur sempre attraverso la mediazione di un qualche oggetto corporale (nel caso di specie, la “copia” di backup56 presente nel computer della persona offesa).

Ma, guardando oltre, la segnalata caratteristica dell’ambulatorietà dei contenuti in formato digitale emerge in modo ancor più netto nell’ipotesi di trasmissione telema-tica del fi le contenente il documento: all’inizio, esso si trova materialmente nella memoria del computer sorgente; du-rante la trasmissione, viaggia sotto forma di energia elettri-ca o elettromagnetica lungo un canale (ad esempio, un cavo a fi bre ottiche o lo spazio attraverso il quale si propagano

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76 CAPITOLO I - SEZIONE II

57 Cfr. G. PICA, Diritto penale delle tecnologie informatiche, cit., p. 130.58 Sul carattere sui generis del “trasporto” per via telematica sia consen-

tito rinviare a G. NAVONE, Sull’applicabilità dell’art. 1327 cod. civ. ai contratti conclusi mediante l’uso di strumenti telematici, in Diritto & Diritti, Rivista giuridica elettronica pubblicata su internet all’indirizzo www.diritto.it, 2000, p. http://www.diritto.it/articoli/informatica/navone.htm, spec. sub nota n. 13. Sul punto, rilievi sostanzialmente analoghi si rinvengono in F. GUARRACINO, Titolo di credito elettronico e documento informatico, in AA. VV., Il contrat-to telematico, cit., spec. p. 328 s.; nonché, R. BORRUSO, in R. BORRUSO e G. CIACCI, Diritto civile e informatica, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato diretto da P. Perlingieri, Napoli 2004, p. 104 ss.; F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», cit., spec. p. 275; A. MASUCCI, Il documento informatico. Profi li ricostruttivi della nozione e della disciplina, cit., p. 781.

59 Nel linguaggio dell’informatica il lemma “fi le” sta ad indicare il con-tenitore logico di informazioni che vengono memorizzate e trattate come un’u-nica entità.

60 In questo contesto, l’uso del termine “copia”, nell’accezione comune-mente accolta di documento che rappresenta un altro documento, si è voluta-mente evitato in quanto reputato improprio. Ed infatti, poiché una cosa non ne rappresenta un’altra se non a patto di esserne diversa, esemplari perfetta-mente identici dello stesso documento informatico non sono l’uno il surrogato della percezione diretta dell’altro; così come, lo ha osservato Umberto Eco con acuminata esattezza, «due Fiat 124 dello stesso colore […] non sono la recipro-ca rappresentazione ‘iconica’», ma piuttosto “repliche assolutamente duplica-

le onde radio); alla fi ne, giunge al computer di destinazione nel cui hard disk è nuovamente memorizzato57.

Notiamo però di passata che il “trasferimento” di contenuti digitali da un contenente ad un altro può esse-re paragonato solo in senso fi gurato all’asportazione del-la pellicola pittorica di un quadro dalla tela originaria ad una diversa base corporale58. Così, avendo l’accortezza di schivare il fascino di inutili suggestioni circa l’equivalen-za fra materia ed energia, qui bisogna tener presente che il processo in esame non implica un effettivo spostamento fi sico di piccole porzioni del mondo esterno, giacché il fi le59 contenente il documento non cessa di esistere nel luogo di partenza, ma ne viene creata una “replica assolutamente duplicativa”60 nel luogo di destinazione. Avviene, cioè, che

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IL DOCUMENTO INFORMATICO E I DOCUMENTI ANALOGICI 77

tive” (o doppi esatti). Per “replica assolutamente duplicativa” intendendosi «una occorrenza che possiede tutte le proprietà fi siche di un’altra occorrenza» (U. ECO, Trattato di semiotica generale, XVII ed., Milano 1999, p. 242).

61 L’intelligenza di questo aspetto da parte del legislatore italiano sembra emergere dalla nozione – recentemente introdotta dal d. lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 – di “duplicato informatico” (per incidens, contrapposta a quella di “co-pia informatica di documento informatico”) quale: «documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario» (art. 1, lett. i-quinquies, del Codice dell’amministrazione digitale). Altrettanta consapevolezza, invece, non traspare dal linguaggio della direttiva 2011/83/UE sui «diritti dei consumatori». Là dove, in particolare, il legislatore europeo ricorre ad un evidente ossimoro come «supporto non materiale» (art. 16, lett. m), per riferirsi alla fornitura per via telematica di contenuti digitali. Non oc-corre molto, infatti, a sottolineare che il supporto o è materiale o non è.

62 Cfr. F. GUARRACINO, Titolo di credito elettronico e documento informa-tico, in AA. VV., Il contratto telematico, cit., p. 329: «il documento elettronico non è altro che il supporto fi sico sul quale sono presenti le tracce destinate ad essere lette dall’eleboratore»; F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», cit., p. 269 s.: «Senza il supporto la sequenza di bit diventa eva-nescente e non costituisce un documento. Il documento informatico, pertanto, necessitando di un supporto per conservare la sequenza dei bit non è immate-riale»; M. E. LA TORRE, Contributo alla teoria giuridica del documento, cit., p. 267 s.: «Il documento informatico consiste [...] nel supporto che contiene i dati in grado di riprodurre una realtà (fatto, atto, dichiarazione) che per suo tramite viene rappresentata, così come è documento la scheda testamentaria che contiene le ultime volontà e non queste avulse da quelle. Solo il supporto è idoneo a garantire la conservazione dei dati nel tempo e ad attribuirvi la per-durabilità necessaria, l’utilizzo e il riutilizzo».

la medesima sequenza di valori binari (composta di 0 e di 1) risulta essere archiviata in due diversi dispositivi di me-morizzazione appartenenti, rispettivamente, al mittente e al destinatario61.

Ne segue, sul piano naturalistico e in termini di con-gruità fi sica, che a ciascuna di queste repliche (o “duplica-ti informatici”) senz’altro si addice la comune nozione di documento quale cosa corporale (res signata) che occupa una porzione geografi camente defi nita dello spazio e che è al contempo idonea a rappresentare permanentemente un dato ente62.

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78 CAPITOLO I - SEZIONE II

63 In semiotica riveste un ruolo fondamentale una distinzione per molti versi affi ne a quella, dianzi richiamata, tra corpus mysticum e corpus mecha-nicum. Il riferimento è ai concetti di token e type. Il primo «è la singola occor-renza concreta di qualunque fenomeno: la singola moneta è […], la singola pronuncia di una certa parola, la sua stampa in una certa pagina di un certo libro fra le mie mani, il gesto che faccio in un certo momento. Type è il tipo astratto di cui queste occorrenze concrete sono esempi: la forma della moneta progettata dalla Zecca, la confi gurazione sonora di quella parola, la sua for-ma grafi ca secondo il sistema delle convenzioni in uso» (U. VOLLI, Manuale di semiotica, Bari 2000, p. 76).

64 Tale conclusione è, forse, più intuita che spiegata fi nanche da alcuni tra i più attenti indagatori di questa materia i quali – facendo appello alla suggestione di noti concetti di matrice aristotelica – sottolineano come «il do-cumento informatico “esiste” a prescindere dal supporto, ma questo non signi-fi ca che il supporto sia irrilevante o che possa mancare del tutto: da qualche parte i bit devono pur essere! Questa sembra una contraddizione con […] la “immaterialità del documento informatico”, ma la contraddizione sparisce se

Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe allora da con-cludere. Eppure, in una diversa prospettiva che tenga con-to delle specifi che modalità di funzionamento del nuovo strumento e, in particolare, della possibilità offerta dalle tecnologie informatiche di replicare all’infi nito e senza sca-dimento di qualità il medesimo contenuto rappresentativo (in modo tale che ciascun esemplare sia perfettamente in-terscambiabile con un altro), l’idea summenzionata – che fi nisce per identifi care il documento nella singola res signa-ta – si rivela non del tutto appagante.

Differentemente, i dati sparsi nelle pagine che prece-dono portano a ritenere che sia più consono pensare al do-cumento informatico come ad una particolare sequenza di numeri in codice binario che – al pari della successione di note musicali che compone una partitura – costituisce un bene immateriale (corpus mysticum secondo il linguaggio della tradizione), da non confondersi con il bene – tutto-ra necessariamente materiale – che dà forma tangibile alle singole repliche (corpus mechanicum)63.

Tanto più, si osserva, che una simile conclusione64 non

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consideriamo il documento come “sostanza” e il supporto come “accidente”, ma indispensabile per la sostanza» (M. CAMMARATA e E. MACCARONE, La fi rma digitale sicura, cit. , p. 58).

65 A ciò si aggiunga che nel Codice dell’amministrazione digitale (così come modifi cato ed integrato dal d. lgs., 30 dicembre 2010, n. 235), la dizione «sequenza di valori binari» ricorre nell’art. 1, lett. i-quater e i-quinquies.

66 Cfr. L. NIVARRA, in L. NIVARRA, V. RICCIUTO e C. SCOGNAMIGLIO, Diritto privato, Torino 2011, p. 233 s.

67 Di “immaterialità relativa” o di “pseudo-immaterialità”, invece, pre-ferisce discorrere F. ROTA, Il documento informatico, in AA. VV., La prova nel processo civile, a cura di M. Taruffo, Milano 2012, p. 728 ss., spec. 733: «con ciò alludendo alla circostanza che il segno digitale è separabile ed indipendente dal suo supporto materiale». Ad avviso di chi scrive, se proprio si vuol dire che il documento informatico è un’entità “diversamente immateriale”, bisognereb-be allora rimarcare che la sua inserzione nel novero dei beni immateriali non è strumentale al riconoscimento di un diritto di sfruttamento economico esclusi-vo, ma alla necessità di rispondere alla domanda quid est?

forza il dettato legislativo ed appare, anzi, perfettamente in linea con la più volte menzionata defi nizione normativa di documento informatico quale «rappresentazione infor-matica di atti, fatti o dati», non a caso priva del riferimento ad uno specifi co elemento corporale65.

Il punto merita di essere approfondito.A tal uopo conviene muovere dalla constatazione che

quella dei beni immateriali è, per antonomasia, una ca-tegoria “aperta”. Come altri ha utilmente osservato, essa «segue il corso dell’evoluzione della tecnica e delle nuove tecnologie, sicché questa categoria, proprio perché espres-sione di fenomeni dell’era post-industriale, è […] suscetti-bile di continuo adeguamento»66.

Ciò posto, e ai fi ni del discorso che si va conducendo, preme evidenziare che il riferimento al concetto di “imma-terialità” non vuole essere improprio e/o atecnico67. All’in-contro è da rilevare nel documento informatico, inteso quale astratta sequenza di valori binari, si possono riscon-trare tutti i requisiti che – secondo l’indirizzo della dottri-

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80 CAPITOLO I - SEZIONE II

68 Sull’intellettualità e la riproducibilità, quali elementi distintivi dei beni immateriali, cfr. per tutti: F. VOLTAGGIO LUCCHESI, I beni immateriali, Mi-lano, 1962, spec. p. 91 ss.; D. MESSINETTI, Oggettività giuridica delle cose in-corporali, cit., spec. p. 126 ss.; O. T. SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, cit., spec. p. 462 s.

69 Cfr. F. ALCARO, Rifl essioni ‘vecchie’ e ‘nuove’ in tema di beni imma-teriali. Il diritto d’autore nell’era digitale, in Rass. dir. civ., 2006, p. 899 ss., spec. 911: «nei beni immateriali, il contenuto di pensiero si esprime e vive sí attraverso la ‘forma’ che lo manifesta, ma questa non si pone concettual-mente quale entità di perfezionamento della creazione, assorbente rispetto a quella […]; nei beni immateriali la res materiale ha […] valore strumentale e di estrinsecazione dell’idea e della creazione che sta a monte (bene imma-teriale)».

na corrente – connotano l’essenza dei beni immateriali, e segnatamente l’intellettualità e la riproducibilità68.

Sullo sfondo di ogni rappresentazione informatica, infatti, è sempre rinvenibile l’impronta creativa dell’uo-mo: in altri termini, essa è costantemente il frutto di un lavoro intellettuale. Inoltre, grazie alla sua naturale alle-anza con la moltitudine, il documento informatico si presta ad essere riprodotto in un numero indefi nito di esemplari “concreti”, ciascuno dei quali costituisce soltanto il mezzo fungibile per la conoscenza e la fruizione sociale dell’entità immateriale che il singolo medium trascende69.

Al quale risultato non contraddice la circostanza che la possibilità di adempiere l’essenziale funzione di perpe-tuazione (connaturata al concetto stesso di documento), non sia ancora del tutto svincolata dall’esistenza fi sica di qualche supporto contenente: essa è soddisfatta solo se e fi no a che il documento prende forma in almeno un corpo esteriore. A tal proposito giova infatti ricordare, che tut-ti i beni immateriali – indi pure i documenti informatici – «hanno una caratteristica che l[i] distingue e contrap-pone ai beni materiali: ess[i] possono essere riprodott[i] e quindi utilizzat[i] anche senza disporre del bene nel quale

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70 Ad litteram, G. SENA, voce Opere dell’ingegno, in Dig. Disc. Priv., Sez. comm., X, Torino 1994, p. 356.

Con generico riferimento alla discussa categoria dei beni immateriali, si è altresì lucidamente osservato che: «il godimento del bene immateriale com-porta un “esteriorizzare” l’oggetto, perché il soddisfacimento degli interessi […] del creatore si attua con la diffusione della creazione» (M. COMPORTI, Con-tributo allo studio del diritto reale, cit., p. 193). Ai fi ni della nostra particolare indagine, sembra allora trovare conferma quanto dianzi rilevato; ossia, che la fruizione sociale del documento informatico (proprio come quella di ogni bene immateriale), si realizza per il tramite necessario di un’esteriorizzazione ma-teriale. Pur essendo altro, il documento informatico così inteso, rispetto alla singola esteriorizzazione.

71 Così U. RUFFOLO, Nuove tecnologie: questioni antiche e nuove tutele, in AA. VV., La tutela del navigatore in Internet a cura di A. Palazzo e U. Ruffo-lo, Milano 2002, p. 283 ss., spec. 284. In argomento, ancora, suggerimenti pre-ziosi si ricavano dalla lettura dello studio di C. SCOGNAMIGLIO, La conclusione e l’esecuzione del contratto telematico, in AA. VV., Commercio elettronico e ca-tegorie civilistiche a cura di S. Sica e P. Stanzione, Milano 2002, p. 73 ss., spec. 88, laddove – in relazione ai problemi di qualifi cazione giuridica scaturenti dal fenomeno della “digitalizzazione” – si evidenzia l’emersione di «questioni attinenti essenzialmente alla teoria del bene giuridico e, in particolare, dei di-ritti sui beni immateriali». Contra, F. ALCARO, Rifl essioni ‘vecchie’ e ‘nuove’ in tema di beni immateriali. Il diritto d’autore nell’era digitale, cit., spec. p. 950 s.: «la dematerializzazione dello strumento non integra per ciò stesso un quid

sono originariamente incorporat[i]; pur essendo necessa-riamente legat[i] ad un elemento materiale»70.

Si può dire, in altri termini, che sebbene gli siano in-dispensabili dei supporti fi sici dotati di materialità per sus-sistere ed attualizzarsi, il documento informatico non ha luogo.

In questo modo si spera di aver contribuito alla qua-dratura del cerchio, spiegando l’apparente paradosso di un documento che, pur non identifi candosi nella singola res signata, abbisogna della forma palpabile e solida di qualche oggetto.

Sospinti dall’insieme delle osservazioni sviluppate in queste pagine, si può allora convenire nella lata afferma-zione di chi è incline a rinvenire nel «virtuale» un «peculia-re modo d’essere immateriale»71.

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che sia ascrivibile alla sfera dell’immateriale, ma solo un modo diverso della materialità tradizionale. La dematerializzazione o la digitalizzazione riguarda e investe direttamente il versante degli strumenti di estrinsecazione dell’opera creativa, ma ciò non implica l’identifi cazione o la confusione con l’ ‘immateria-le’, inteso fi n qui quale contenuto d’idee (di carattere creativo) ‘trascendente’ la forma espressiva. […] In defi nitiva non è inutile osservare che la demate-rialità del veicolo non conduce direttamente e necessariamente a una sorta di doppia immaterialità, ‘aggiungendosi’ a quella propria dell’idea creativa […]: ciò signifi ca che in quanto riferita allo strumento espressivo, quella supposta e apparente immaterialità non può mai confondersi con il quid ideale cui si rin-via per la identifi cazione dell’opera dell’ingegno». Ma tali rilievi, per quanto suggestivi, non possono essere condivisi, perché si fondano sull’assunto che la dematerializzazione (o, se si preferisce, la digitalizzazione) del documento «investe direttamente il versante degli strumenti di estrinsecazione dell’opera creativa», ossia il corpus mechanicum. Mentre, a ben rifl ettere, non è così. L’accesso alla sostanza immateriale della rappresentazione informatica – s’è visto – passa pur sempre attraverso la mediazione di una qualche entità mate-riale di estrinsecazione: vale a dire, il singolo duplicato informatico archiviato su un dispositivo di memoria di massa (CD, DVD, penna USB, hard disk, e via enumerando); un oggetto corporale, quindi, che occupa uno spazio fi sico, pur se minuscolo.

5. Ricadute operative dell’immaterialità del documento informatico

A questo punto, naturale domandarsi: quali sono i ri-fl essi operativi dell’immaterialità del documento informa-tico?

Ebbene, dalla constatata irriducibilità del documento informatico ad un oggetto determinato, unico ed irripetibi-le, discendono notevoli conseguenze pratiche. Alle quali, o almeno a quelle di più macroscopica rilevanza, qui convie-ne sommariamente accennare.

Così, per cominciare, si segnala la sostanziale inappli-cabilità delle disposizioni che prevedono la restituzione del “titolo originale”, ove quest’ultimo sia costituito da un do-cumento in formato digitale. Si pensi, ad esempio, alla re-gola contemplata dall’ art. 1237 cod. civ. in materia di re-missione del debito. O ancora, a quanto prescritto dall’art.

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72 Cfr. M. COSSU e P. SPADA, Dalla ricchezza assente alla ricchezza ine-sistente – divagazioni del giurista sul mercato fi nanziario, in Banca borsa tit. cred., parte I, 2010, p. 401 ss., spec. p. 404: «Essendo il documento un bene mobile, la regola applicabile alla circolazione delle cose mobili è stata estesa alla circolazione dei diritti risultanti dal documento. Una vera e propria meto-nomia giuridica (alla quale si allude parlando di autonomia [dell’acquisto] del titolo». Ancor più di recente, sul signifi cato e la portata del fenomeno dell’in-corporazione del diritto di credito su un documento, M. COMPORTI, Diritti reali in generale, 2ª ed., in Trattato di dir. civile e commerciale già diretto da A Cicu, F. Messineo e L. Mengoni e continuato da P. Schlesinger, Milano 2011; spec. p. 114 s. (cui si rinvia anche per ulteriori indicazioni bibliografi che).

73 Così, M. CAMMARATA ed E. MACCARONE, La fi rma digitale sicura, cit., p. 58. Sul punto cfr., altresì, F. GUARRACINO, Titolo di credito elettronico e documento informatico, in AA. VV., Il contratto telematico, cit., p. 311 ss.; B. IZZI, La fi rma elettronica negli strumenti di circolazione della ricchezza, in Riv. notar., 2004, I, p. 867 ss., spec. 891 ss.

74 Si veda infra cap. II, sez. III, § 6.

1397 cod. civ. che, al fi ne di prevenire l’insorgere di affi -damenti rispetto ad una procura ormai estinta, impone al rappresentante il dovere di restituire al rappresentato il documento da cui risultano i suoi poteri.

Inoltre, e similmente, al carattere d’immaterialità del documento informatico è imputabile l’inidoneità dello stes-so a soddisfare le esigenze sottese al meccanismo giuridi-co dell’incorporazione reale del diritto di credito72. Della cambiale, in particolare, si è scritto che essa è «un titolo redatto obbligatoriamente su carta, che il creditore restitu-isce al debitore nel momento in cui il credito è soddisfatto. Ma non è pensabile una cambiale che abbia la natura di do-cumento informatico, perché la sua duplicabilità consenti-rebbe al creditore di presentarla per l’incasso un numero infi nito di volte!»73.

L’immaterialità e, quindi, l’irriducibilità dell’istru-mento digitale alla singola res signata è anche alla base dell’assoluta incompatibilità tra il documento informatico e la sottoscrizione autografa. Sul punto si tornerà nel pro-sieguo con maggior cura74; qui basti segnalare che il conge-

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84 CAPITOLO I - SEZIONE II

75 Art. 25, comma 3, del Codice dell’amministrazione digitale (così come novellato dal d. lgs., 30 dicembre 2010, n. 235).

76 Art. 24, comma 2, del Codice dell’amministrazione digitale.77 Amplius, cap. II, sez. III, § 7.

gno della fi rma manuale per poter funzionare come mezzo d’imputazione della paternità del documento presuppone che i segni alfabetici formanti il nome del sottoscrittore sia-no indelebilmente impressi su un unico supporto materiale e che, da esso, non possano essere separati. Riguardo ai documenti informatici, invece, tale presupposto non si re-alizza: l’immagine digitale di una sottoscrizione autografa può essere “copiata” ed “incollata” ai piedi di un numero (potenzialmente) infi nito di documenti. E ciò, si noti, anche all’insaputa o contro la volontà di colui che ha effettiva-mente tracciato il segno grafi co della fi rma.

Per analoghe considerazioni, al documento informa-tico non si addicono «sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere». Tanto, sia aggiunto, che non a caso il Codice dell’amministrazione digitale stabilisce che gli stessi – ivi compreso il sigillo notarile75 – sono sostituiti dalla fi rma digitale «ad ogni fi ne previsto dalla normativa vigente»76.

Infi ne, come ultima (ma non trascurabile) ricaduta dell’immaterialità del documento informatico, si segnala l’inconciliabilità tra quest’ultimo ed il requisito formale dell’olografi a che, quando prescritto, richiede che la trac-cia lasciata dalla mano che scrive sia (anche) stabilmente ancorata ad un determinato corpus materiale77.

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1 Pubblicato in Gazz. Uff., 10 gennaio 2011, n. 6 – Suppl. ord. n. 8.

CAPITOLO SECONDO

LA DISCIPLINA SUL DOCUMENTO INFORMATICO

E LE FIRME ELETTRONICHE

SEZIONE PRIMA

IL QUADRO NORMATIVO

SOMMARIO: 1. Evoluzione della disciplina nazionale e unionale. Dalla legge “Bassanini I” alla proposta di regolamento europeo «in materia di identifi cazione elettronica e servizi fi duciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno» – 2. Sulla (dubbia) conformità del d. lgs. n. 235 del 2010 alla legge di delegazione.

1. Evoluzione della disciplina nazionale e unionale. Dalla legge “Bassanini I” alla proposta di regolamento euro-peo «in materia di identifi cazione elettronica e servizi fi duciari per le transazioni elettroniche nel mercato in-terno».

Chi si soffermi ad esaminare il panorama offerto dalla nostra legislazione in materia di documento informatico e di fi rme elettroniche, ne ricava l’impressione di un cantiere convulso, nel quale nuovi materiali normativi affl uiscono incessantemente per alimentare lo sforzo di costruzione di un edifi cio, che, a dispetto dell’anelito degli architetti, con-tinua a suscitare un senso d’attesa e d’incompiuto.

Ragion per cui non sembra arrischiato prevedere che anche il frutto più recente dell’attivismo legislativo in ma-teria – il d. lgs. 30 dicembre 2010, n. 2351 (emanato sotto la dizione: «Modifi che ed integrazioni al decreto legislativo

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2 Si tratta della c.d. legge “Bassanini I”, recante «Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplifi cazione amministrativa» (in Gazz. Uff., 17 marzo 1997, n. 63 – Suppl. ord. n. 56/L).

3 Regolamento recante criteri e modalità per la formazione, l’archivia-zione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici, a norma dell’articolo 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (in Gazz. Uff., 13 marzo 1998, n. 60).

7 marzo 2005, n. 82, recante Codice dell’amministrazio-ne digitale, a norma dell’articolo 33 della legge 18 giugno 2009, n. 69») – non sarà un “punto e basta”, ma l’ennesimo “punto e a capo” all’interno di un discorso destinato a se-guitare una riga più in basso.

Volendo allineare le tappe salienti di questo fl usso di produzione normativa si possono contare tredici momenti, più o meno essenziali.

In rapido e sintetico excursus, va ricordato (a mo’ di bandolo della matassa) l’art. 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997 n. 592, dov’è sancita una regola d’ampio respi-ro e tuttora vigente, secondo la quale «Gli atti, dati e docu-menti formati […] con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme […] sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge».

In attuazione della disposizione appena riportata, fu emanato il d.P.R. 10 novembre 1997, n. 5133, contenen-te una sistemazione organica e a suo modo quasi esaustiva della materia in discorso. Questa disciplina (di rango re-golamentare) era connotata da due tratti caratterizzanti. Anzitutto si presentava come “tecnologicamente orienta-ta”: dal momento che essa elevava una peculiare modalità d’identifi cazione dell’autore dei contenuti di un documen-to informatico, quella della fi rma digitale basata sul siste-ma della crittografi a a doppia chiave asimmetrica, a solo ed unico equivalente elettronico della sottoscrizione manuale.

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IL QUADRO NORMATIVO 87

4 Pubblicato in Gazz. Uff., 15 aprile 1999, n. 87 – Suppl. ord. n. 30/L.5 Ex art. 77, comma 2, del d. P. R. 28 dicembre 2000, n. 445.6 In Gazz. Uff., 20 febbraio 2001, n. 42 - Suppl. ord. n. 30/L. 7 Ex art. 13, comma 1, della direttiva1999/93/CE: «Gli Stati membri

mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva anteriormente al 19 luglio 2001».

8 In Gazz. Uff. dell’Unione europea, 19 gennaio 2000, L. 13.

In secondo luogo, essa limitava in maniera considerevole l’accesso al mercato dei servizi di certifi cazione, riservan-dolo a soggetti che, se privati, avrebbero dovuto soddisfare requisiti (organizzativi e fi nanziari) analoghi a quelli ri-chiesti per l’esercizio dell’attività bancaria.

L’art. 3 del d.P.R. n. 513/1997 prevedeva un ulteriore rinvio per la fi ssazione di «regole tecniche per la forma-zione, la trasmissione, la conservazione, la duplicazione, la riproduzione e la validazione, anche temporale, dei do-cumenti informatici». L’approvazione di tali regole tecni-che (che a soli fi ni espositivi si possono qualifi care come “vecchissime” per distinguerle dalle “vecchie” e da quelle “nuove” adesso in vigore) ebbe luogo con l’emanazione del d.P.C.M. 8 febbraio 19994.

Successivamente, il d.P.R. n. 513/1997 è stato espres-samente abrogato5; e, in pari tempo, la disciplina in esso contenuta è transitata (con sporadiche modifi cazioni) nel d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, recante il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa»6.

Ma, è da dire, il Testo unico sulla documentazione am-ministrativa è nato già vecchio. E infatti, già entro il 19 luglio 20017, le sue disposizioni avrebbero dovuto essere modifi cate al fi ne di conformarle ai dettami della direttiva europea n. 93 del 13 dicembre 1999, «relativa ad un qua-dro comunitario per le fi rme elettroniche»8.

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9 Tra parentesi, idea antitetica rispetto a quella che aveva ispirato la legislazione italiana preesistente.

10 E si fa presto a constatarlo comparando la formulazione dell’art. 5 della direttiva (sopra riportata) con quella di cui all’art. 1, comma 1, lettera r, del d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82, secondo la quale per “fi rma elettronica qua-

La messa in opera del disegno comunitario compor-tava, come in effetti poi è accaduto, la necessità di una ra-dicale rivisitazione della legislazione domestica. Il che, del resto, si comprende agevolmente, sol che si focalizzi l’at-tenzione sulle linee portanti della disciplina sovranaziona-le. Basti qui segnalare che leitmotiv della direttiva è l’idea di dar vita ad una legislazione tecnologicamente neutrale9, espressamente declamata nell’ottavo “considerando” se-condo cui: «la rapida evoluzione tecnologica e il carattere globale di Internet rendono necessario un approccio aperto alle varie tecnologie e servizi che consentono di autenticare i dati in modo elettronico». Non è un caso, infatti, se nelle parole della direttiva la “fi rma digitale” (generata median-te l’impiego di chiavi crittografi che asimmetriche) neppure compare; mentre, al suo posto campeggia la fi gura, ben più ampia, ma soprattutto diversa, della “fi rma elettronica” (art. 2, n. 1). Diversa, perché essa non è defi nita sulla base della tecnica informatica utilizzata per la sua apposizione, sibbene avendo riguardo alla funzione cui deve svolgere e ai risultati che deve permettere di conseguire. Specifi can-do ulteriormente, si può dire che nel sistema della diretti-va “la fi rma elettronica” è il genere identitario nel quale si inscrivono – alla guisa di cerchi concentrici di diametro decrescente – la specie della “fi rma elettronica avanzata” (art. 2, n. 2) e la sottospecie delle «fi rme elettroniche avan-zate basate su un certifi cato qualifi cato e create mediante un dispositivo per la creazione di una fi rma sicura» (art. 5, comma 1) che, nella normativa italiana di recepimento, assumerà il nome di “fi rma elettronica qualifi cata”10.

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IL QUADRO NORMATIVO 89

lifi cata” si deve intendere «un particolare tipo di fi rma elettronica avanzata che sia basata su un certifi cato qualifi cato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della fi rma».

11 Anch’esso – si noti – antitetico rispetto alla linea seguita dalla discipli-na italiana contenuta dapprima nel d.P.R. n. 513/1997 e poi confl uita (come già sopra si è detto) nel d.P.R. n. 445/2000.

12 Nel decimo “considerando”, in particolare, si evidenzia che «al fi ne di stimolare la prestazione su scala comunitaria di servizi di certifi cazione sulle reti aperte, i prestatori di servizi di certifi cazione dovrebbero essere liberi di fornire i rispettivi servizi senza preventiva autorizzazione».

13 Non senza sottolineare – nel dodicesimo “considerando” della diret-tiva – che ove gli Stati membri si avvalgano della suddetta possibilità gli stessi «non dovrebbero vietare ai prestatori di servizi di certifi cazione di operare al di fuori dei sistemi di accreditamento facoltativo» e che «si dovrebbe garantire che tali sistemi di accreditamento non riducano la concorrenza nel settore dei servizi di certifi cazione».

14 «Attuazione della direttiva 1999/93/CE relativa ad un quadro co-munitario per le fi rme elettroniche» (in Gazz. Uff., 15 febbraio 2002, n. 39). Incidentalmente, si rammenta la normativa contenuta in tale decreto è stata interamente ed espressamente abrogata ex art. 75, lett. a, del d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82.

15 «Regolamento recante disposizioni di coordinamento in materia di fi rme elettroniche a norma dell’art. 13 del d. lgs. 23 gennaio 2002, n. 10» (in Gazz. Uff., 17 giugno 2003)

Ma vi è ancora un profi lo da considerare11. Tra i ca-pisaldi della direttiva v’è lo scopo di garantire la libertà di accesso al mercato dei servizi di certifi cazione12. Ferma restando, per gli Stati membri, la possibilità di «introdurre o conservare sistemi di accreditamento facoltativi volti a fornire servizi di certifi cazione di livello più elevato» (art. 3, comma 2)13.

Al di là di questi rilievi, qui preme segnalare un fatto; che, cioè, la storia susseguente della nostra legislazione in-terna è costellata dalla presenza di ripetuti aggiustamenti nel tentativo, ai limiti del funambolico, di dare precisa at-tuazione alla direttiva europea e di salvare il salvabile della normativa preesistente.

In questa chiave possono leggersi, in particolare, le disposizioni contenute nel d. lgs. 23 gennaio 2002, n. 1014 e nel d.P.R. 7 aprile 2003, n. 13715 con cui fu profondamente

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16 «Regole tecniche per la formazione, la trasmissione, la conservazione, la duplicazione, la riproduzione e la validazione, anche temporale, dei docu-menti informatici» (in Gazz. Uff., 27 aprile 2004, n. 98).

17 Il provvedimento, pubblicato in Suppl. ord. n. 93 alla Gazz. Uff., 16 maggio 2005, n. 112, è entrato in vigore il 1° gennaio 2006.

18 Pubblicato in Suppl. ord. n. 105 alla Gazz. Uff. del 29 aprile 2006. Il decreto «recante disposizioni correttive e integrative al Codice dell’ammini-strazione digitale», accoglie alcuni dei rilievi formulati dalla sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, nel parere n. 31/06 del 30 gennaio 2006, in Foro it., 2006, III, c. 237 e ss., con nota di PALMIERI.

19 Pubblicato in Gazz. Uff., 6 giugno 2009, n. 129.20 Pubblicato in Gazz. Uff., 19 luglio 2010, n. 166.

innovata l’originaria stesura del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.

In seguito, con d.P.C.M. 13 gennaio 2004, fu inaugu-rata – in sostituzione delle “vecchissime” – la seconda ver-sione delle “Regole tecniche”16.

E ancora, fondamentale: con l’emanazione del d. lgs. 7 marzo 2005, n. 8217, venne alla luce il «Codice dell’ammi-nistrazione digitale». Al suo interno confl uì, non senza mo-difi cazioni, gran parte della disciplina racchiusa nel Testo unico sulla documentazione amministrativa. A tutt’oggi, esso è il principale “contenitore” della regolamentazione giuridica del documento informatico e delle fi rme elettro-niche.

Dopo appena un anno dalla sua nascita, il Codice dell’amministrazione digitale subì un primo rimaneggia-mento ad opera del d. lgs. 4 aprile 2006, n. 15918.

Con d.P.C.M. 30 marzo 200919 – in sostituzione delle “vecchie” – furono approvate le vigenti «Regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifi ca delle fi r-me digitali e validazione temporale dei documenti infor-matici».

Nel 2010 il puzzle si è arricchito di due nuovi tasselli. Il primo è costituito dal d. lgs. 2 luglio 2010, n. 11020, recan-te «Disposizioni in materia di atto pubblico informatico re-

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IL QUADRO NORMATIVO 91

21 Ci riferiamo, ovviamente, alla legge 16 febbraio 1913, n. 89.22 È da aggiungere, per completezza, che il 4 luglio 2011 – sul sito

dell’Ente Nazionale per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione (DigitPA) – è stata pubblicata la bozza di quelle che sono destinate a diventare le “nuovissime” regole tecniche sulle fi rme elettroniche. Un commento “a pri-ma lettura” sui contenuti di tale bozza è in A. MASTROMATTEO e B. SANTACROCE, Nuove regole tecniche di DigitPA: manuale di conservazione e responsabile della conservazione, in Pratica fi sc. e professionale, 2011, n. 47, p. 10 ss.

datto dal notaio»; pel suo tramite, in particolare, numerosi articoli sono stati aggiunti al corpus della legge notarile21. Il secondo è rappresentato dal d. lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 con il quale sono state apportare (a distanza di quattro anni dal precedente restyling) ulteriori modifi cazioni ed in-tegrazioni al Codice dell’amministrazione digitale.

In sintesi, allo stato dell’arte legislativa la normativa sul documento informatico e le fi rme elettroniche si presen-ta come una disciplina multilivello, composta da una plura-lità di fonti di natura diversa che convergono a coprire lo stesso oggetto di regolamentazione. Più precisamente, essa si articola in un livello comunitario su cui si colloca la di-rettiva n. 93 del 13 dicembre 1999, ed un livello nazionale che si compone a sua volta in un livello primario, costitui-to essenzialmente dal Codice dell’amministrazione digitale e dalla legge notarile, e quindi, a scendere, in un livello secondario, che si sostanzia nelle “nuove” regole tecniche approvate con d.P.C.M. 30 marzo 200922.

Sin qui la ricognizione delle principali tappe evolutive della disciplina positiva. Si dirà: sono tappe di un cammino non tutto percorso o defi nitive colonne d’Ercole? La rispo-sta è prevedibile. Perfi no scontata dopo che 4 giugno 2012 la Commissione europea ha presentato al Parlamento ed al Consiglio una proposta di regolamento recante nuove nor-me «in materia di identifi cazione elettronica e servizi fi du-ciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno». Tale proposta, se approvata, avrà effetti dirompenti sul re-

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23 Art. 41, comma 1.24 Nel descrivere l’atteggiamento del legislatore italiano, un’autorevole

dottrina ha effi cacemente parlato di «insolita ansia di solitaria anticipazione rispetto ai vicini ordinamenti europei» (U. BRECCIA, La forma, in AA. VV., Formazione, a cura di C. Granelli, in Trattato del contratto diretto da Roppo, vol. I, Milano, 2006, p. 575).

25 Ancorché di armonizzazione massima, o, ciò che è lo stesso, “piena”.26 Tanto più signifi cativa se si considera che non si tratta di un caso

isolato. Al contrario, pare potersi affermare che il più largo impiego dello stru-mento giuridico del regolamento rappresenta una delle note qualifi canti della nuova strategia di armonizzazione del diritto contrattuale di fonte europea. Per averne una riprova vistosa, si faccia mente alla proposta di regolamento per un «Diritto comune europeo della vendita» presentata dalla Commissione dell’Unione europea l’11 ottobre 2011. A quest’ultimo riguardo si veda, per tutti, G. D’AMICO, Direttiva sui diritti dei consumatori e Regolamento sul Di-ritto comune europeo della vendita: quale strategia dell’Unione europea in materia di armonizzazione?, in Contratti, 2012, p. 611 ss.

gime vigente nei diversi paesi dell’Unione. Basti qui segna-lare che l’eventuale adozione del regolamento comporterà l’abrogazione della direttiva 1999/93/CE23 e, soprattutto, la simultanea e diretta istituzione in tutti gli Stati membri del medesimo «quadro giuridico per le fi rme elettroniche, i sigilli elettronici, la validazione temporale elettronica, i do-cumenti elettronici, i servizi elettronici di recapito e l’au-tenticazione dei siti web» (art. 1, comma 3).

L’excursus fi nora tratteggiato offre lo spunto per due considerazioni di fondo. La prima è che, in una materia come questa, anche la migliore delle legislazioni possibili – per incidens: quella dettata dal d.P.R. n. 513/1997 era (in sé e per sé) ottima, tanto da aver lasciato un diffuso rimpianto tra i suoi esegeti –, ispirata però alla “logica de-gli spazi piccoli”, quali sono divenuti quelli contornati dai confi ni nazionali, appare inevitabilmente destinata allo scacco24. E non v’è dubbio, in questa prospettiva, che la preferenza recentemente manifestata dalla Commissione europea per l’impiego dello strumento giuridico del regola-mento (in luogo di quello della direttiva)25, è, di per sé sola, circostanza altamente signifi cativa26.

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IL QUADRO NORMATIVO 93

27 Cfr.: A. GENTILI, voce Documento informatico (diritto civile), in Enc. Dir.- Annali, vol. V, Milano 2012, p. 629 ss.; ID., Documento elettronico: va-lidità ed effi cacia probatoria, in AA. VV., I contratti informatici, a cura di Clarizia, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, vol. 6, Torino 2007, p. 119 ss.; ID., Le tipologie di documento informatico dopo il d. p. r. n. 137/03: effetti sostanziali ed effetti probatori, in Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, tomo III, Milano 2006, p. 331 ss.

Seconda ed ultima notazione. L’eccezionale frequenza con cui la disciplina in discorso è stata modifi cata in meno di tre lustri è segno più che eloquente della resistenza op-posta da questa materia a farsi ingabbiare nelle maglie del diritto27 e, più in generale, dell’oggettiva diffi coltà del dirit-to a governare la tecnica.

2. Sulla (dubbia) conformità del d. lgs. n. 235 del 2010 alla legge di delegazione

Prima di attendere all’esame della disciplina positiva del documento informatico dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 235 del 2010, in questo paragrafo preme di soffer-marsi sulla legge di delegazione da cui il summenzionato decreto trae legittimità. Qui, in particolare, ci si studierà di verifi care: a) se il legislatore delegante abbia ottemperato alle prescrizioni costituzionali concernenti la delegazione; b) quale sia l’oggetto specifi camente determinato dalla de-lega (id est: “cosa” il Parlamento ha delegato al Governo); c) se il legislatore delegato abbia o no esorbitato dall’ogget-to, così come defi nito nella legge di delega.

Per tentare di rispondere a questa serie di quesiti può essere utile muovere dalla lettera della legge di delegazio-ne che, per quanto qui interessa, così recita «Il Governo è delegato ad adottare […] entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge […] uno o più decreti legislativi volti a modifi care il codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82,

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28 Art. 33 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (in Gazz. Uff., 19 giugno 2009, n. 140).

nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi specifi ci: […] e) modifi care la normativa in materia di fi rma digita-le al fi ne di semplifi carne l’adozione e l’uso da parte della pubblica amministrazione, dei cittadini e delle imprese, garantendo livelli di sicurezza non inferiori agli attuali»28.

Dunque il fuoco della previsione legale ricade (ed è per questo che s’è usato il corsivo per i due incisi) sulle espressioni “normativa in materia di fi rma digitale” e “di semplifi carne l’adozione e l’uso”: l’una circoscrive l’ogget-to entro il quale contenere l’attuazione della delega; l’altra enuncia il limite dei principi e criteri direttivi cui l’esecuti-vo è tenuto a conformarsi nell’esercizio della funzione de-legata.

Tutto ciò detto, occorre anzitutto appurare se (nel caso di specie) la legge di delega rispetta le condizioni di validità dettate dall’art. 76 Cost.; e, più nel dettaglio, se in essa vi sia l’indicazione di principi e criteri direttivi idonei a limitare, pur senza escluderla, la discrezionalità del legi-slatore delegato.

Ora, per lo meno in linea teorica, se ne può dubitare. Infatti, è anche troppo facile osservare che la mera enun-ciazione di generiche fi nalità – qual è, appunto, quella di semplifi care l’adozione e l’uso della fi rma digitale – non appare suffi cientemente adeguata al conseguimento del-lo scopo cui pretende di servire: e cioè orientare l’attività normativa del Governo; e, quindi, a cascata, incidere sui contenuti della disciplina delegata.

D’altro canto, però, non ci si può esimere dal rilevare che è assai remota, in concreto, la possibilità che una legge di delega sia censurata sotto questo aspetto. Ed è altamente signifi cativo, al riguardo, il fatto che a tutt’oggi la Consul-

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IL QUADRO NORMATIVO 95

29 Cfr.: R. ZACCARIA e E. ALBANESI, La delega legislativa tra teoria e prassi, in AA. VV., La delega legislativa, Milano 2009, p. 333 SS., spec. 342 s.; S. M. CICCONETTI, Le fonti del diritto italiano, 2ª ed., Torino 2007, spec. p. 282 ss.; S. STAINO, voce Legge di delega e decreto legislativo delegato, in Il Diritto. Enc. giur. Sole 24 Ore, diretta da S. Patti, Milano 2007, VIII, p. 756 ss., spec. 766 ss.; F. ROSELLI, La delega legislativa, in Giurisprudenza costitu-zionale e fonti del diritto, a cura di N. Lipari, Napoli 2006, 423 ss., spec. 448; L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna 1996, spec. 214 («In linea di principio, la Corte ha bensì sostenuto l’incostituzionalità delle leggi di delega, qualora esse trascurino […] di fi ssare disposizioni di principio […]. Ma questi assunti non sono stati fi nora condotti ad alcuna concreta conseguenza, nella forma delle decisioni di accoglimento […]: con il pratico effetto di tradurre l’osservanza dell’art. 76 in una political question, affi data alla libera valuta-zione delle Camere, non diversamente da ciò che si riscontra nell’ordinamento statunitense»).

ta (anche di fronte a deleghe sostanzialmente “in bianco”) non è mai pervenuta ad una dichiarazione d’illegittimità costituzionale per insuffi ciente determinazione del limite dei principi e criteri direttivi29. Né, nello scenario attuale, vi è nulla che autorizzi a preconizzare un’imminente de-viazione della Corte dal “consolidato” della sua giurispru-denza sul punto. Tanto più, poi, che nel caso in esame – se non direttamente dalla legge di delegazione – limiti impliciti alla discrezionalità dell’esecutivo sono comunque ricavabili dai contenuti della direttiva comunitaria sulle fi rme elettro-niche.

Seguendo la direttiva tracciata all’inizio del seguente paragrafo, occorre adesso accertare quale sia l’oggetto spe-cifi camente determinato dalla legge di delega; e, all’uopo, interrogarsi in merito al signifi cato da ascrivere alla locu-zione «disciplina in materia di fi rma digitale» che segna il perimetro dei confi ni (legittimi) del successivo decreto legi-slativo.

Di primo acchito la risposta al quesito dianzi formula-to pare del tutto agevole. Risolutivo, al riguardo, dovreb-be essere il Codice dell’amministrazione digitale che nel

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30 Cfr. art. 1, lett. s, del d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (tanto nell’originaria quanto nell’attuale formulazione).

dettare le “condizioni d’uso” del sintagma «fi rma digitale» stabilisce che esso vale a denotare una peculiare tipologia di fi rme elettroniche30, le quali ultime sono caratterizzate – ne abbiamo accennato prima e ne tratteremo distesamente più avanti – dal fatto di essere generate mediante l’impiego di chiavi crittografi che asimmetriche. Sennonché, a voler prendere sul serio la defi nizione adesso riferita, si appro-derebbe recta via all’illegittimità costituzionale del d. lgs. n. 235 del 2010 (che concerne, si noti, l’intera disciplina sul documento informatico e le fi rme elettroniche), per palese esorbitanza dall’oggetto indicato nella legge di delega. Ma una conclusione siffatta non è, ad avviso di chi scrive, “a rime obbligate”. Ed anzi, una valutazione solo un poco più approfondita della ratio delegationis invita a discostarsi dalla lettera della disposizione in esame e a ritenere che nella specie il legislatore delegante minus dixit quam voluit. In altre parole, una più attenta analisi delle ragioni e delle fi nalità che hanno ispirato il conditor juris rivela che que-sti, forse inconsapevolmente, è ricorso ad una sineddoche, e, citando una parte per il tutto, pur parlando di «fi rma di-gitale» ha inteso invece riferirsi a tutte le fi rme elettroniche e (ancor più in generale) all’intera materia del documento informatico.

Va da sé, pertanto, che in un ipotetico giudizio volto a sindacare l’eventuale eccesso di delega del d. lgs. n. 235 del 2010, quest’ultimo ne uscirebbe probabilmente “assolto”.

Ma c’è un “ma”. L’uso atecnico (e quindi improprio) dell’espressione «fi rma digitale» è, per così dire, la “spia lampeggiante” che denuncia la scarsa consapevolezza del legislatore delegante in ordine al signifi cato delle parole che usa. Tale ignoranza, si chiosa, è al tempo stesso inescusa-

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31 R. CHIEPPA, Il controllo di legittimità costituzionale. A proposito della delega legislativa, in Scienza e tecnica della legislazione. Lezioni, a cura di Traversa, Napoli 2006, p. 19 ss., spec. 44: «per formulare una delega legisla-tiva ottimale, specie per riforme di istituti complessi o per interventi in settori intricati di norme stratifi cate nel tempo, occorre prima avere idee chiare sulle linee essenziali delle riforme, delle innovazioni o dei riordinamenti o delle re-visioni, che si vogliono introdurre. Queste rifl essioni preliminari devono avere un carattere sistematico, con una visione completa del complesso della norma-tiva esistente nella materia o nel settore; non possono limitarsi a indicazioni talmente generiche da riferirsi indistintamente a materie o settori eterogenei o peggio ancora ad oggetti o aspetti indefi niti».

bile e pericolosa. Inescusabile, perché, s’è visto, è stato lo stesso legislatore a fi ssare stipulativamente le regole d’uso del sintagma «fi rma digitale». Pericolosa, poiché questo lapsus calami espone la legislazione delegata a possibili ec-cezioni d’incostituzionalità fondate su argomenti che – pur essendo, a mio credere, superabili – non sarebbero affatto disprezzabili.

Un’ultima osservazione. Se (come certi incidenti lin-guistici lasciano intendere) non si ha suffi ciente contezza del quadro normativo esistente ne consegue, a mo’ di co-rollario, l’impossibilità di confezionare una delega legisla-tiva che contenga l’indicazione di principi e criteri direttivi davvero atti ad orientare i contenuti della legislazione dele-gata31. In breve: non può dire “verso dove” chi non sa “da dove”.

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1 Cfr. G. FINOCCHIARO, Ancora novità legislative in materia di documen-to informatico: le recenti modifi che al Codice dell’amministrazione digitale, in Contr. impresa, 2011, p. 495 ss., spec. 497.

SEZIONE SECONDA

LE FIRME ELETTRONICHE

SOMMARIO: 1. Premessa. La fi rma elettronica come genere comprensivo di specie e sottospecie. – 2. Le due specie di fi rma elettronica: avanzata e non avanzata. – 3. La fi rma qualifi cata quale sotto-specie di fi rma elettronica avanzata. – 4. La fi rma digitale qua-le sottospecie (tecnologicamente orientata) di fi rma elettronica qualifi cata. – 5. Segue. I prestatori di servizi di certifi cazione. Tipologie di certifi catori: semplici, qualifi cati ed accreditati. – 6. Segue. Il sistema di certifi cazione quale nuovo strumento di pubblicità legale.

1. Premessa. La fi rma elettronica come genere comprensi-vo di specie e sottospecie

Come si è detto nella sezione precedente, molti dei nu-merosi interventi del legislatore italiano in materia di do-cumento informatico si possono leggere come il tentativo (spesso goffo e sempre faticoso) di dare fedele attuazione alla direttiva europea sulle fi rme elettroniche, pur senza rinnegare la fi gura della fi rma digitale attorno alla quale – si vuol ripetere – ruotava tutta la disciplina patria degli al-bori. Ebbene, lungo questa direttrice si posa anche il d. lgs. 30 dicembre 2010, n. 235. E si tratta, è giusto riconoscerlo, del tentativo (sino ad ora) meglio riuscito in tal senso.

La più vistosa novità introdotta dal d. lgs. n. 235 del 2010 al Codice dell’amministrazione digitale è costituita dalla previsione di un’ulteriore tipologia di fi rma elettroni-ca: la «fi rma elettronica avanzata»1. Ma, a ben guardare, si tratta di un déjà vu. Di fatti, la fi rma elettronica avanzata

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2 In particolare, l’art. 75 (oggi art. 91) del Codice dell’amministrazione digitale – entrato in vigore il 1° gennaio 2006 – ha espressamente abrogato sia il d. lgs. 23 gennaio 2002, n. 10, sia l’art. 1, comma 1, lett. dd, del d.P.R. 28 dicembre 2000 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, così come modifi cato in seguito all’emanazione del d. P. R. 7 aprile 2003, n. 137) recante, appunto, la defi ni-zione legale di fi rma elettronica avanzata.

3 Cfr. art. 2 della direttiva 1999/93/CE, relativa ad un quadro comunita-rio per le fi rme elettroniche. Ma, è da dire, che la defi nizione di fi rma elettroni-ca è riportata senza variazioni anche nell’art. 3, comma 1, n. 6, della proposta di regolamento europeo recante nuove norme «in materia di identifi cazione elettronica e servizi fi duciari per le transazioni elettroniche nel mercato inter-no».

aveva già fatto la sua comparsa nell’ordinamento giuridico italiano in seguito all’entrata in vigore dell’art. 2, comma 1, lett. g, del d. lgs. 23 gennaio 2002, n. 10, anche se pochi anni più tardi era stata inspiegabilmente “messa alla por-ta” dal Codice dell’amministrazione digitale2 per poi rien-trarvi (quasi con squilli di fanfara) ex art. 1, comma 1, lett. e, del d. lgs. n. 235 del 2010.

Fatte queste notazioni liminali, giova all’intelligenza della trattazione che segue premettere che l’espressione “fi rma elettronica” designa un ampio genere all’interno del quale ricadono una pluralità di specie e di sottospecie. Più precisamente, nel quadro attuale, possono isolarsi due spe-cie di fi rma elettronica: la “fi rma elettronica avanzata” e la “fi rma elettronica non avanzata” (detta anche “semplice” o “leggera”). Nell’ambito della fi rma elettronica avanzata si iscrive la sottospecie della “fi rma elettronica qualifi cata”, mentre sottospecie di quest’ultima è la “fi rma digitale”.

È ora il caso di addentrarsi in questa analisi muoven-do via via dal generale al particolare.

In accordo con la legislazione comunitaria3, l’art. 1, lett. q, del Codice dell’amministrazione digitale scolpisce i tratti essenziali della nozione di fi rma elettronica, defi nen-do quest’ultima come «l’insieme dei dati in forma elettro-

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4 Originariamente, sino all’entrata in vigore del d. lgs. 4 aprile 2006, n. 159, in luogo della parola «identifi cazione» compariva il sostantivo «autentica-zione». Il mutamento terminologico, tuttavia, non merita di essere enfatizza-to: e ciò in quanto nel linguaggio tecnico–informatico, “autenticare” signifi ca “identifi care”. In particolare, il servizio di autenticazione è il principale fra quelli dedicati alla sicurezza dei sistemi informatici e la sua concreta funzione sta proprio nel rendere possibile a qualcuno la verifi ca dell’identità di qual-cun altro. Semmai, è opportuno sottolineare fi n d’ora che di autenticazione si parla non solo quando v’è la necessità di appurare la corrispondenza al vero dell’identità dichiarata di chi fi gura come l’autore dei dati contenuti in un documento informatico (c. d. data origin authentication), ma anche quando si tratta di accertare l’identità di chi partecipa ad una comunicazione inter absentes valendosi di strumenti telematici oppure di chi accede ad una deter-minata risorsa di rete qual è, ad esempio, una casella di posta elettronica (c. d. entity authentication). In questa prospettiva, un segno della consapevolezza legislativa della distinzione tra data origin authentication ed entity authen-tication può cogliersi nel dettato del d. lgs. n. 235 del 2010 che ha innestato, nel tronco del Codice dell’amministrazione digitale, sia la defi nizione di “au-tenticazione del documento informatico” (corrispondente alla nozione di data origin authentication) sia quella, più ampia, di “identifi cazione informatica” (comprensiva anche della entity authentication). Difatti, ex art. 1, lett. b, del Codice dell’amministrazione digitale, per “autenticazione del documento in-formatico” si deve intendere «la validazione del documento informatico attra-verso l’associazione di dati informatici relativi all’autore o alle circostanze, anche temporali, della redazione»; là dove, ex art. 1, lett. u-ter, la locuzione “identifi cazione informatica” vale a designare «la validazione dell’insieme di dati attribuiti in modo esclusivo ed univoco ad un soggetto, che ne consentono l’individuazione nei sistemi informativi, effettuata attraverso opportune tec-nologie anche al fi ne di garantire la sicurezza dell’accesso». Infi ne, nell’art. 3, comma 1, n. 4, della proposta di regolamento europeo recante nuove norme «in materia di identifi cazione elettronica e servizi fi duciari per le transazio-ni elettroniche nel mercato interno», si offre una defi nizione comprendente sia l’una che l’altra accezione: «s’intende per “autenticazione”, un processo elettronico che consente di convalidare l’identifi cazione elettronica di una persona fi sica o giuridica; oppure l’origine e l’integrità di dati elettronici». Sulla nozione di autenticazione informatica cfr. W. STALLINGS, Crittografi a e sicurezza delle reti, edizione italiana a cura di Salgarelli, Milano 2007, spec. p. 267 ss.; R. MANNO, Le fi rme elettroniche in Europa, in AA. VV., I contratti di Internet, a cura di A. Lisi, Torino 2006, p. 15 ss.; M. CAMMARATA, Firme elettroniche. Problemi normativi del documento informatico, Pescara 2005,

nica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identifi -cazione informatica»4.

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spec. p. 28 s.; C. GIUSTOZZI, Giuristi e informatici divisi da una lingua co-mune: autenticazione?, in Interlex (Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet all’indirizzo <http://www.interlex.it>), 2005, p. http://www.interlex.it/forum10/relazioni/24giustozzi.htm .

5 Ottavo “considerando” della direttiva 1999/93/CE.6 Sul principio di neutralità tecnologica cfr.: U. BECHINI, Firma digitale,

documento elettronico e lex attestationis: un nuovo (circoscritto) caso di de-péçage?, in Dir. comm. intern., 2011, p. 767 ss., spec. 769; A. GRAZIOSI, voce Documento informatico (dir. proc. civ.), in Enc. Dir. – Annali, vol. II, tomo II, Milano 2008, p. 491 ss., spec. 497 s.; F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», Napoli 2004, spec. p. 284; S. SICA, Atti che devo-no farsi per iscritto (art. 1350), in Commentario Schlesinger diretto da F. D. Busnelli, Milano 2003, spec. p. 133; M. CAMMARATA e E. MACCARONE, La fi rma digitale sicura, Milano 2003, spec. p. 46 e s.; F. VIGLIONE, L’imputazione dei documenti tra crisi della sottoscrizione e innovazioni tecnologiche, in Riv. dir. civ., II, 2003, p. 243 ss., spec. 249; F. SARZANA DI SANT’IPPOLITO, Il legislatore italiano e le fi rme elettroniche: la crisi del principio di unitarietà della sotto-scrizione, in Corriere giur., 2003, p. 1375 ss.; spec. 1376; F. DELFINI, Contratto telematico e commercio elettronico, Milano 2002, spec. p. 65; S. CASABONA, Il documento in forma elettronica nell’esperienza italiana e anglo americana, in Riv. critica del dir. priv., 2002, p. 565 ss., spec. 568; E. SANTANGELO e M. NASTRI, Firme elettroniche e sigilli informatici, in Vita not., 2002, p. 1118 ss., spec. 1122; G. COMANDÉ e S. SICA, Il commercio elettronico. Profi li giuridici, Torino 2001, spec. p. 102; U. DRAETTA, Internet e commercio elettronico, Mi-lano, 2001, spec. p. 114 s.; G. FINOCCHIARO, La direttiva relativa a un quadro comunitario per le fi rme elettroniche, in AA. VV., Formazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici (d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), commentario a cura di C. M. Bianca, R. Clarizia, V. Franceschelli, F. Gallo, L. V. Moscarini, A. Pace e S. Patti, in Nuove leggi civ. comm., 2000, p. 635 ss., spec. 637; R. ZAGAMI, Firma digitale e sicurezza giuridica, Padova 2000, spec. p. 33.

Il conditor, consapevole che «la rapida evoluzione tecnologica e il carattere globale di Internet rendono ne-cessario un approccio aperto alle varie tecnologie e servizi che consentono di autenticare i dati»5, ha improntato aper-tamente le proprie scelte di politica legislativa al principio della technology neutrality6. Per cui, in linea con tale op-zione, la categoria delle fi rme elettroniche si estende sino ad abbracciare qualsiasi metodologia che consenta la verifi ca dell’identità dell’autore dei dati contenuti in un documen-

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7 M. ORLANDI, Iposcritture e iperscritture, in AA. VV., I contratti infor-matici, a cura di Clarizia, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, vol. 6, Torino, 2007, p. 169 ss., spec. 171: «Più che una defi nizione, sembra imbattersi in una formula aperta, tale da comprendere qualsiasi di-spositivo idoneo ad identifi care l’autore […]. Ancora, si direbbe, una pseudo-defi nizione, la quale non contiene la descrizione di una struttura, ossia di un modo di essere della “procedura informatica”, ma di un fi ne che la procedura deve “garantire”».

8 F. CARNELUTTI, Studi sulla sottoscrizione, in Riv. dir. comm., 1929, p. 509 ss., spec. 513 s.

Sulle caratteristiche e sulle funzioni della sottoscrizione, si vedano gli studi di S. LANDINI, Formalità e procedimento contrattuale, Milano 2008, spec. p. 57 ss. e M. ORLANDI, Il falso digitale, Milano 2003, spec. p. 50 ss. (studi ai quali si rinvia, tra l’altro, per ulteriori riferimenti bibliografi ci).

to informatico, pur non individuandone nominativamente e tassativamente alcuna7.

Talché, applicando al nuovo il risalente insegnamento carneluttiano, emerge che l’attitudine a soddisfare la “fun-zione indicativa”, di «discernere dagli altri l’autore del do-cumento»8, è ciò che conferisce ad una tecnica il titolo di fi rma elettronica e, con esso, il non lieve uffi cio di criterio legale d’imputazione della paternità di un documento in-formatico.

2. Le due specie di fi rma elettronica: avanzata e non avan-zata

Come si è già accennato, il genere della fi rma elettro-nica al suo interno si articola nella summa divisio tra fi rma elettronica avanzata e fi rma elettronica non avanzata.

La fi rma elettronica avanzata – ex art. 1, comma 1, lett. q-bis, del Codice dell’amministrazione digitale, così come modifi cato ed integrato dal d. lgs. n. 235 del 2010 – è defi nita stipulativamente come la fi rma elettronica ottenuta attraverso una procedura informatica che soddisfi ognuna delle seguenti caratteristiche: a) essere idonea a consenti-

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9 Tali requisiti ricorrono anche nell’art. 3, comma 1, n. 7, della proposta di regolamento europeo recante nuove norme «in materia di identifi cazione elettronica e servizi fi duciari per le transazioni elettroniche nel mercato in-terno». Riguardo alle singole caratteristiche della fi rma elettronica avanzata si veda F. RICCI, Scritture private e fi rme elettroniche, Milano 2003, spec. p. 96 ss.

10 In altri termini, di un documento che abbia raggiunto quello stato che i fi lologi chiamano ne varietur, cioè defi nitivo, permanente e stabile (cfr. R. SIMONE, Testo scritto, testo parlato, testo digitale, in AA. VV., Scrittura e diritto, Milano 2000, p. 3 ss., spec. 18).

11 Sotto questa luce, la fi rma elettronica avanzata adempie anche alla funzione propria della fi rma (o sigla) apposta a margine di ogni singolo foglio

re l’identifi cazione del fi rmatario del documento; b) essere tale da garantire la connessione univoca tra il documento ed il suo fi rmatario; c) essere creata con mezzi sui quali il fi rmatario può conservare un controllo esclusivo; d) essere collegata ai dati ai quali detta fi rma si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successiva-mente modifi cati9.

Rassegnandosi ad una certa misura d’ineliminabile approssimazione, sembra di poter dire che la fi rma elettro-nica avanzata è stata concepita come l’equivalente funzio-nale della sottoscrizione autografa ed insieme dell’immodi-fi cabilità occulta del foglio di carta. Di fatti, al pari dei se-gni alfabetici formanti il nome del sottoscrittore e da questi di pugno tracciati, deve consentire la verifi ca dell’identità dell’autore (sia pure in senso giuridico) del documento; in secondo luogo, alla stregua del foglio di carta, essa deve as-sicurare la riconoscibilità esterna di alcune forme di falsità materiale. E, segnatamente, della falsità per alterazione che consiste nella illegittima modifi cazione di un documen-to già defi nitivamente formato10, in modo da farne apparire diverso il contenuto (specie di falsità, quest’ultima, che il foglio di carta rivela a chi lo esamina attraverso le cicatrici che ne segnano la superfi cie, ossia le raschiature, le cancel-lature, le interpolazioni e così via)11.

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formante il documento. Il che ben si comprende se si rammenta che la fi rma a margine costituisce una diffusa cautela impiegata, specifi camente, allo scopo di impedire la sostituzione occulta di uno o più fogli che compongo il documento.

A questo esito perviene agevolmente chi si soffermi ad esaminare i requisiti legali della fi rma elettronica avanzata. Precisamente, all’esigenza di assicurare – con elevato gra-do di sicurezza – l’adempimento della funzione indicativa, di «discernere dagli altri l’autore del documento», paiono chiaramente ascrivibili quelli sopraelencati alle lettere a, b e c. Là dove, ancillare all’esigenza di garantire l’integrità del documento – rendendo possibile l’accertamento ex post di eventuali manipolazioni – è il requisito indicato alla let-tera d.

Ed è qui, proprio su quest’ultimo punto, che sta il vero valore aggiunto, il signum individuationis della fi rma elettronica avanzata.

La categoria delle fi rme elettroniche non avanzate (“semplici” o “leggere” che dir si voglia) non trova il con-forto di una defi nizione legale, ma si ricostruisce solo in via d’interpretazione, come risultante della differenza fra due termini: il genere delle fi rme elettroniche (minuendo) e la specie delle fi rme elettroniche avanzate (sottraendo); o, ciò che è lo stesso, si ottiene espungendo dal genere delle fi rme elettroniche quanto rientra nella specie delle fi rme avanza-te, con la conseguenza che tutto quel che resta – la differen-za, appunto – è sempre e di necessità una fi rma elettronica non avanzata. O ancora, per dirla in forma positiva: sono fi rme elettroniche non avanzate tutte quelle metodologie che consentono la verifi ca dell’identità dell’autore dei dati contenuti in un documento informatico, pur non essendo – giusta la mancanza di (almeno) uno dei requisiti di cui all’art. 1, comma 1, lett. q-bis, del Codice dell’amministra-zione digitale – delle fi rme elettroniche avanzate.

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12 Cfr.: F. ROTA, Il documento informatico, in AA. VV., La prova nel processo civile, a cura di M. Taruffo, Milano 2012, p. 728 ss., spec.741; A. MASTROMATTEO e B. SANTACROCE, Validità della fi rma elettronica: la fi rma bio-metrica come modello operativo avanzato, in Corr. trib., 2012, p. 183 ss., spec. 185; A. VILLECCO BETTELLI, Il processo civile telematico, Torino 2011, p. 25 s.; ID., L’effi cacia delle prove informatiche, Milano 2004, spec. p. 76; M. MARTONI, Documento informatico e fi rme elettroniche, in AA. VV., Temi di diritto dell’informatica a cura di C. Di Cocco e G. Sartor, Torino 2011, p. 27 ss., spec. 52; C. SGOBBO, Il valore probatorio dell’e-mail, in Corr. merito, 2011, p. 802 ss., spec. 804 s.; V. ROPPO, Il contratto, 2ª ed., Milano 2011, p. 228; G. FINOCCHIARO, Ancora novità legislative in materia di documento in-formatico: le recenti modifi che al Codice dell’amministrazione digitale, cit., p. 497 s.; ID., Firma digitale e fi rme elettroniche, Milano 2003, spec. p. 53 s.; ID., Documento informatico, fi rma digitale e fi rme elettroniche, in AA. VV., Commercio elettronico, documento informatico e fi rma digitale. La nuova di-sciplina a cura di C. C. Rossello, G. Finocchiaro e E. Tosi, Torino 2003, p. 531 ss., spec. 537; M. ASPRONE e S. GAUDINI, Il valore giuridico del documento informatico, in Nuova rass. legis. dott. giur., 2010, p. 2079, ss., spec. 2079; M. MELICA, Gli strumenti di comunicazione telematica in Europa e in Italia: dalla direttiva comunitatia 1999/93/CE al regolamento sulla posta elettronica certifi cata, il regime giuridico dei documenti teletrasmessi, in AA. VV., Lezioni di diritto privato europeo, raccolte da Alpa e Capilli, Padova 2007, p. 1076 ss., spec. p. 1091 ss.; M. ORLANDI, Iposcritture e iperscritture, cit., p. 171; M. PANI, Il valore di prova scritta di una e-mail: la giustizia inizia a porsi al passo coi tempi, in Giur. di merito, 2005, I, p. 560 ss.; A. LISI, L’e. mail dal commercio elettronico alle aule di giustizia, in Diritto & Diritti – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet all’indirizzo http://www.diritto.it, 2004, p. http://www.diritto.it/materiali/tecnologie/lisi1.html ; R. BORRUSO, Il documento informatico, la fi rma elettronica e la fi rma digitale alla luce delle ultime norme (d. lgs. 23 gennaio 2002 n. 10, d. P. R. 7 aprile 2003 n. 137 e l. 29 luglio 2003 n. 229), in Giust. civ., 2004, II, spec. p. 155; G. VANGONE, Firme elettroniche, genus e species, in Nuova giur. civ. comm., 2003, II, p. 351 e ss.,

Ora, secondo un modo di vedere, la qualità di fi rma elettronica (ancorché non avanzata) andrebbe riconosciu-ta ad alcune tecniche di autenticazione molto diffuse nella pratica e, segnatamente, a quelle che consistono nell’utiliz-zazione congiunta di username e password o di un perso-nal identifi cation number; ed invero, proprio questa con-clusione, si è via via accreditata nella letteratura giuridica – per lo più senza discuterla e spesso senza spiegarla – fi no a diventare, per inerzia, communis opinio12.

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spec. 353; A. GRAZIOSI, Il documento informatico e la sua effi cacia probatoria nel processo civile, in AA. VV., Commercio elettronico, documento informatico e fi rma digitale. La nuova disciplina, cit., 549 e ss., spec. 561; E. SANTANGELO e M. NASTRI, Firme elettroniche e sigilli informatici, cit., p. 1127; S. SICA, Atti che devono farsi per iscritto (art. 1350), cit., spec. p. 133; F. DELFINI, Contrat-to telematico e commercio elettronico, cit., spec. p. 67.

13 Allo stesso modo, quanto si sta per dire vale per i personal identifi -cation numbers, le chiavi biometriche ed i meccanismi d’identifi cazione basati sul possesso di un oggetto autenticante.

14 Le tecniche di entity authentication possono essere suddivise in tre categorie, in funzione di come viene garantita l’identifi cazione di chi accede ad una risorsa informatica e/o di rete: 1) SYK (something you know), se il mecca-nismo identifi cativo si impernia sulla conoscenza di un’informazione riservata qual è, ad esempio, una password, un PIN (personal identifi cation number) o una chiave segreta di cifratura; 2) SYH (something you have), se il sistema d’identifi cazione si basa sulla disponibilità materiale di un oggetto, come una tessera magnetica o una smart card; 3) SYA (something you are), se l’auten-

Gli argomenti solitamente addotti a sua sponda sono così sintetizzabili: a) è “fi rma elettronica”, qualsiasi tecni-ca utilizzabile come metodo di autenticazione informatica; b) i meccanismi d’identifi cazione basati sulla conoscenza di username e password o di un personal identifi cation num-ber sono metodi di autenticazione informatica; c) i mec-canismi d’identifi cazione basati sulla conoscenza di user-name e password o di un personal identifi cation number consentono di apporre fi rme elettroniche (non avanzate) ai dati contenuti in un documento informatico.

Ma è proprio questa spiegazione, apparentemente ti-rata a fi l di logica, che presta il fi anco ad alcuni signifi cativi rilievi.

Deve evidenziarsi anzitutto una confusione nella quale manifestamente si cade affermando che username e password sono fi rme elettroniche leggere13; ed invero, così opinando, si fi nisce col far coincidere – indebitamente – due piani diversi di autenticazione: quello volto alla verifi -ca dell’identità di chi accede ad una risorsa informatica o di rete (entity authentication)14 e quello diretto all’accer-

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ticazione si fonda sul peculiare modo di essere di alcuni connotati fi sici. Rien-trano a pieno titolo in questa categoria tutte le tecniche di biometria, ossia la scansione della retina, la rilevazione delle impronte digitali, il riconoscimento del timbro vocale ed il controllo simultaneo dei tratti del volto e della distribu-zione del calore sullo stesso. Non di rado, per garantire un più elevato grado di sicurezza, tecniche diverse di entity authentication sono combinate tra loro.

15 Cfr., al riguardo, M. FUGINI, F. MAIO e P. PLEBANI, Sicurezza dei siste-mi informatici, Milano 2001, p. 126: «il primo problema rilevante che si pone in termini di sicurezza è verifi care che chi accede a determinate risorse, messe a disposizione sulla rete, sia veramente chi dice di essere. Infatti, visto che l’utente si trova a operare a distanza, l’unico modo di farsi riconoscere e pre-sentare le proprie credenziali. In altre parole, l’utente […] deve autenticarsi»; W. STALLINGS, Sicurezza delle reti. Applicazioni e standard (edizione italiana a cura S. Castano e E. Ferrari), Milano 2001, spec. p. 11 e 316: «nell’ambito della sicurezza di rete, il controllo dell’accesso è la capacità di limitare e con-trollare l’accesso a sistemi host e applicazioni attraverso canali di comunica-zione. Per ottenere questo controllo, ogni entità che tenta di acquisire accesso deve prima di tutto essere identifi cata e autenticata […]. In pratica, tutti i sistemi multiutente richiedono che ciascun utente fornisca non solo un nome o identifi catore (ID) ma anche una password. Questa serve ad autenticare l’ID dell’individuo che si sta collegando al sistema».

16 Art. 1, lett. b, del Codice dell’amministrazione digitale (così come ri-formulato dall’art. 1, comma 1, lett. a, del d. lgs. n. 235 del 2010).

17 Sul punto, cfr. F. GERBO, Documento, in Riv. not., 2009, p. 777 ss., spec. 782: «Per quanto riguarda […] l’esame delle questioni legate alla c.d.

tamento della provenienza del documento informatico da colui il quale appare come mittente (data origin authenti-cation).

Ed infatti, l’uso congiunto di un nome e di una pa-rola chiave è sì un metodo di autenticazione informatica dell’identità dell’utente che accede ad una determinata risorsa di rete (nella specie, una casella di posta elettro-nica)15, ma non è una tecnica di “autenticazione del docu-mento informatico” ottenuta «attraverso l’associazione di dati informatici relativi all’autore»16.

Ergo, a siffatta tecnica, che non consente di appurare ex post la corrispondenza al vero dell’identità dichiarata da chi appare come l’autore di un documento in formato digitale, non è possibile riconoscere la qualità di fi rma elet-tronica17.

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“posta elettronica”, va subito detto che essa non è ovviamente fi rmata in origi-nale, ma è latamente riferibile all’emittente attraverso l’indirizzo web di usci-ta, cosa che evidentemente non può valere come sottoscrizione del documento, se non altro perché non è certo l’autore dell’invio e quindi non è certa la rife-ribilità dell’invio stesso al titolare dell’indirizzo web».

18 Art. 1, lett. q, del Codice dell’amministrazione digitale.19 La distinzione tra “fi rma allegata” e “fi rma connessa” fa implicito ri-

ferimento alle due modalità di generazione della fi rma digitale a doppia chiave asimmetrica. Difatti quest’ultima – come meglio si vedrà fra breve – si ottiene applicando l’algoritmo di cifratura direttamente al fi le contenente il documen-to o, in alternativa, ad un piccolo blocco di bit (l’impronta ricavata con la funzione di hash), connesso al documento con separata evidenza informatica. Qui importa considerare, tuttavia, che tanto l’una quanto l’altra metodologia assicurano ciò che è essenziale: la tracciabilità della fonte dei dati oggetto di autenticazione.

Il punto esige qualche parola di chiarimento.Una fi rma elettronica, perché sia tale, deve essere co-

munque strumentalmente idonea ad assicurare la traccia-bilità della fonte dei dati che compongono una “evidenza informatica” con riferimento a ciascuna delle occorrenze concrete (potenzialmente infi nite) nelle quali la medesima – irriducibile alla singola res signata – di fatto si esterio-rizza. Donde la necessità di selezionare, tra le tecniche di autenticazione disponibili, quelle che realizzano la piena “inerenza” della fi rma ai dati da autenticare; di modo che la prima sia sempre riconducibile ai secondi, anche ove questi ultimi siano riversati (rectius, replicati) in un diver-so supporto di memorizzazione.

A favore di questa interpretazione cospirano precisi indici di diritto positivo. Un immediato riscontro norma-tivo si rinviene nella stessa defi nizione di “fi rma elettroni-ca”18; specifi camente, nella parte in cui si pone bene in ri-lievo la necessità che la fi rma sia allegata oppure connessa tramite associazione logica ai dati oggetto di autenticazio-ne19. In altri termini, là dove si chiarisce che i dati autenti-canti (la fi rma elettronica) debbono essere allegati oppure

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20 Diversamente opinando, infatti, la qualità di documento informati-co munito di fi rma elettronica non avanzata dovrebbe essere riconosciuta an-che agli SMS (i brevi messaggi di testo inviati con telefono cellulare), giacché l’accesso alla rete telefonica (prima) e l’invio del messaggio (dopo), presup-pongono la materiale disponibilità di un oggetto autenticante (la scheda SIM inserita all’interno del telefono) e la conoscenza di un personal identifi cation number. Al riguardo, sia consentito di rinviare a G. NAVONE, Username e password, sono fi rme elettroniche leggere?”, in Diritto & Diritti – Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet all’indirizzo http://www.diritto.it, 2004, p. http://www.diritto.it/articoli/dir_tecnologie/navone.html, spec. sub nota n. 9; nonché alle osservazioni, analoghe e successive, di L. GIA-COPUZZI, Il valore probatorio di una e – mail, in Diritto & Diritti - Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet all’indirizzo http://www.diritto.it, 2004, p. http://www.diritto.it/materiali/tecnologie/giacopuzzi12.html e di M. G. JORI, L’effi cacia probatoria dell’ e – mail, in Giur. it., 2005, p. 1028 ss., spec. 1030.

21 In questo senso si sono espressi M. SCARPA, Rifl essioni sull’e-mail come possibile prova scritta ai fi ni dell’emissione del decreto ingiuntivo, in Nuove leggi civ. comm., 2011, p. 3 ss., spec. 10 ss.; M. LUPANO L’informatica e le nuove frontiere della prova documentale, in AA. VV., Il documento nel processo civile, a cura di A. Ronco, Bologna 2011, p. 249 ss., spec. 258 s.; A. CONTALDO e M. GORGA, Le comunicazioni e le notifi che di cancelleria per via telematica alla luce delle più recenti novità normative, in Ciberspazio e diritto, 2009, fasc. 1, p. 59 ss., spec. 72 ss.; G. DI BENEDETTO, Scrittura pri-vata e documento informatico, Milano 2009, p. 328 s.; A. PELOSI, Il Codice dell’amministrazione digitale modifi ca il valore giuridico della posta elettro-nica certifi cata, in Contratti, 2007, p. 255 ss., spec. 261; R. MANNO, Le fi rme elettroniche in Europa, cit., spec. p. 150; M. FARINA, Rifl essioni sul valore legale dell’e – mail a seguito della pronuncia di alcuni decreti ingiuntivi basati esclusivamente sulla produzione di una e-mail, in Rass. dir. civ., 2005, p. 615 ss.; G. ROGNETTA, Decreti ingiuntivi basati su e – mail: la confi gurabilità della

connessi tramite associazione logica ai dati autenticati (la sequenza di valori binari di cui il documento informatico si compone).

A seguito delle considerazioni fi n qui svolte, si può quindi ribadire che l’uso congiunto di username e pas-sword per autenticare l’utente che accede ad una risorsa di rete non vale, altresì, come metodo di autenticazione dell’origine dei dati contenuti in un documento informa-tico20. Ragion per cui l’impiego di tale metodologia non as-surge al rango di fi rma elettronica.21

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fi rma elettronica ai fi ni della prova scritta, in Dir. Internet, 2005, p. 33 ss., spec. 36 s.; F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», cit., p. 287 e s., spec. sub nota n. 364; G. BUONOMO, Il magistrato: scritto e trascrit-to, ma non sottoscritto, in Interlex – Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet all’indirizzo http://www.interlex.it, 2004, p. http://www.interlex.it/docdigit/buonomo10.htm; M. CAMMARATA e E. MACCARONE, Un messaggio e-mail non è “prova scritta”, in Interlex – Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet all’indirizzo http://www.interlex.it, 2004, p. http://www.interlex.it/docdigit/provascritta.htm: «L’immissione di dati quali userid e password nella fase iniziale di accesso al server non comporta alcuna associazione logica tra questi dati e gli altri dati elettronici che costituiscono il messaggio e-mail. Sa-rebbe come affermare che quando si deve inserire una password per accedere a un PC, tutti i documenti contenuti in quella macchina hanno la fi rma elettro-nica».

Questo indirizzo dottrinale ha trovato puntuale riscontro in una recente pronuncia del Tribunale capitolino, secondo cui «La semplice mail non costi-tuisce documento informatico sottoscritto con fi rma elettronica, seppure leg-gera, poiché non sussiste alcun collegamento logico tra l’immissione di userid e password nella fase iniziale di accesso al server e gli altri dati elettronici che costituiscono il messaggio mail» (Trib. Roma, 27 maggio 2010). Anche in giurisprudenza, tuttavia, la questione non è affatto pacifi ca. Così, ancor più recentemente, il Tribunale di Prato ha avuto modo di affermare che la mail non certifi cata «è comunque dotata di una fi rma elettronica semplice, dato che l’username e la password usati per l’accesso alla casella di posta elettronica in-tegrano comunque un insieme di dati utilizzati come metodo di identifi cazione informatica ai sensi dell’art. 1, lett. q), d.leg. 82/05, seppure non provvisti dei caratteri propri della c.d. fi rma digitale, che consente invece di verifi care la provenienza e l’integrità di un documento informatico» (Trib. Prato, 15 aprile 2011; la sentenza è stata annotata da A. F. ESPOSITO, in Foro it., 2011, I, c. 3198). Va però anche soggiunto che il passaggio appena riportato – indebi-tamente sintetizzato nella massima come se attorno ad esso ruotasse tutta la ratio decidendi – non ha alcun collegamento con la regola di giudizio applicata al caso di specie. A leggere attentamente la motivazione, infatti, emerge che

3. La fi rma qualifi cata quale sottospecie di fi rma elettro-nica avanzata

In seno alla specie delle fi rme elettroniche avanzate si posa la sottospecie delle “fi rme elettroniche qualifi cate”. Val quanto dire: ci sono fi rme avanzate e fi rme avanzate, ma la fi rma elettronica qualifi cata è una fi rma elettronica avanzata con qualcosa di più.

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determinante ai fi ni della decisione era stabilire se il venditore avesse ricevuto una mail (circostanza contestata dal venditore) contenente tempestiva denun-cia dei vizi della cosa venduta. Mentre, indipendentemente dalla sua qualifi ca-zione giuridica (in termini di documento informatico privo di fi rma elettronica o di documento informatico munito di fi rma elettronica “semplice”), non si dubita che un messaggio di posta elettronica sia un mezzo comunicativo idoneo a portare a conoscenza del venditore i vizi riscontrati dall’acquirente. A tale riguardo, basti qui constatare che ai sensi dell’art. 1495 cod. civ. la denunzia dei vizi al venditore non è un atto a forma vincolata. Tant’è che per costante orientamento giurisprudenziale essa può essere fatta anche oralmente, me-diante una comunicazione telefonica (ex plurimis: Trib. Bassano 10 ottobre 2010; Trib. Potenza, 1 settembre 2010; Cass. 3 aprile 2003, n. 5142; Cass. sez. un., 15 gennaio 1991, n. 328).

22 Usando una terminologia leggermente diversa, l’art. 3, comma 1, n. 8, della proposta di regolamento europeo recante nuove norme «in materia di identifi cazione elettronica e servizi fi duciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno», defi nisce la “fi rma elettronica qualifi cata” come «una fi rma elettronica avanzata creata da un dispositivo per la creazione di una fi rma elet-tronica qualifi cata e basa su un certifi cato qualifi cato per fi rme elettroniche».

Il testo dell’art. 1, lett. r, del Codice dell’amministra-zione digitale (che ne detta la defi nizione legale riprenden-dola quasi ad litteram dal periodare dell’art. 5, comma 1, della direttiva europea sulle fi rme elettroniche)22, consente la ricognizione dei due elementi che valgono a differenziare le fi rme elettroniche qualifi cate rispetto a quelle solamente avanzate, e cioè il fatto di essere: 1) realizzate mediante un dispositivo sicuro per la creazione della fi rma; 2) basate su un certifi cato qualifi cato.

Per linee generalissime, si può dire che “dispositivo per la creazione della fi rma” è sia il programma informa-tico (il software) sia l’apparato strumentale (l’hardware: si pensi, ad esempio, alla smart card o alla pennetta USB contenente la chiave privata di cifratura) impiegati per la generazione della fi rma elettronica. Ex positivo iure, inol-tre, si considera “sicuro” quel dispositivo per la creazione della fi rma che risponde ai (numerosi) requisiti di sicurez-

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LE FIRME ELETTRONICHE 113

23 L’art. 35 del Codice dell’amministrazione digitale, rubricato “Dispo-sitivi sicuri e procedure per la generazione della fi rma”, così recita: «1. I di-spositivi sicuri e le procedure utilizzate per la generazione delle fi rme devono presentare requisiti di sicurezza tali da garantire che la chiave privata: a) sia riservata; b) non possa essere derivata e che la relativa fi rma sia protetta da contraffazioni; c) possa essere suffi cientemente protetta dal titolare dall’uso da parte di terzi.

2. I dispositivi sicuri e le procedure di cui al comma 1 devono garantire l’integrità dei documenti informatici a cui la fi rma si riferisce. I documenti informatici devono essere presentati al titolare, prima dell’apposizione della fi rma, chiaramente e senza ambiguità, e si deve richiedere conferma della vo-lontà di generare la fi rma secondo quanto previsto dalle regole tecniche di cui all’articolo 71.

3. Il secondo periodo del comma 2 non si applica alle fi rme apposte con procedura automatica. La fi rma con procedura automatica è valida se apposta previo consenso del titolare all’adozione della procedura medesima.

4. I dispositivi sicuri di fi rma devono essere dotati di certifi cazione di sicurezza ai sensi dello schema nazionale di cui al comma 5.

5. La conformità dei requisiti di sicurezza dei dispositivi per la creazio-ne di una fi rma qualifi cata prescritti dall’allegato III della direttiva 1999/93/CE è accertata, in Italia, dall’Organismo di certifi cazione della sicurezza in-formatica in base allo schema nazionale per la valutazione e certifi cazione di sicurezza nel settore della tecnologia dell’informazione, fi ssato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o, per sua delega, del Ministro per l’in-novazione e le tecnologie, di concerto con i Ministri delle comunicazioni, delle attività produttive e dell’economia e delle fi nanze. L’attuazione dello schema nazionale non deve determinare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. Lo schema nazionale può prevedere altresì la valutazione e la certifi -cazione relativamente ad ulteriori criteri europei ed internazionali, anche ri-guardanti altri sistemi e prodotti afferenti al settore suddetto.

6. La conformità di cui al comma 5 è inoltre riconosciuta se accertata da un organismo all’uopo designato da un altro Stato membro e notifi cato ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 1999/93/CE».

24 L’art. 9 del d.P.C.M. 30 marzo 2009 (c.d. “nuove” regole tecniche), parimenti rubricato sotto la dizione “Dispositivi sicuri e procedure per la ge-nerazione della fi rma”, così dispone: «1. In aggiunta a quanto previsto all’art. 35 del codice, la generazione della fi rma avviene all’interno di un dispositivo sicuro per la generazione delle fi rme, così che non sia possibile l’intercettazio-ne della chiave privata utilizzata.

2. Il dispositivo sicuro per la generazione delle fi rme deve poter essere attivato esclusivamente dal titolare mediante codici personali prima di proce-dere alla generazione della fi rma.

za di cui agli artt. 35 del Codice dell’amministrazione digi-tale23 e 9 delle vigenti regole tecniche24.

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3. Il CNIPA, nell’ambito dell’attività di cui agli articoli 29 e 31 del codi-ce, valuta l’adeguatezza tecnologica della modalità di gestione dei codici perso-nali anche in relazione al dispositivo di fi rma utilizzato.

4. La certifi cazione di sicurezza dei dispositivi sicuri per la creazione di una fi rma prevista dall’art. 35 del codice è effettuata secondo criteri non inferiori a quelli previsti: a) dal livello EAL 4+ in conformità ai Profi li di Pro-tezione indicati nella decisione della Commissione europea 14 luglio 2003 e successive modifi cazioni; b) dal livello EAL 4+ della norma ISO/IEC 15408, in conformità ai Profi li di Protezione o traguardi di sicurezza giudicati adeguati ai sensi dell’art. 35, commi 5 e 6 del codice, e successive modifi cazioni.

5. La certifi cazione di sicurezza di cui al comma 4 può inoltre essere effettuata secondo i criteri previsti dal livello di valutazione E3 e robustezza HIGH dell’ITSEC, o superiori, con un traguardo di sicurezza giudicato ade-guato dal CNIPA nell’ambito dell’attività di cui agli articoli 29 e 31 del codice.

6. La personalizzazione del dispositivo sicuro di fi rma garantisce alme-no: a) l’acquisizione da parte del certifi catore dei dati identifi cativi del dispo-sitivo sicuro per la generazione delle fi rme utilizzato e la loro associazione al titolare; b) la registrazione nel dispositivo sicuro per la generazione delle fi rme del certifi cato qualifi cato, relativo alle chiavi di sottoscrizione del titolare.

7. La personalizzazione del dispositivo sicuro per la generazione delle fi rme può prevedere, per l’utilizzo nelle procedure di fi rma, la registrazione, nel dispositivo sicuro per la generazione delle fi rme, del certifi cato elettronico relativo alla chiave pubblica del certifi catore la cui corrispondente privata è stata utilizzata per sottoscrivere il certifi cato qualifi cato relativo alle chiavi di sottoscrizione del titolare.

8. La personalizzazione del dispositivo sicuro per la generazione delle fi rme è registrata nel giornale di controllo.

9. Il certifi catore adotta, nel processo di personalizzazione del dispo-sitivo sicuro per la generazione delle fi rme, procedure atte ad identifi care il titolare di un dispositivo sicuro per la generazione delle fi rme e dei certifi cati in esso contenuti.

10. I certifi catori che rilasciano certifi cati qualifi cati forniscono almeno un sistema che consenta la generazione delle fi rme digitali».

Senza indugiare nell’analisi minuta di ciascuno dei re-quisiti di sicurezza legislativamente prescritti, è però utile segnalare che essi, nel loro insieme, tendono ad assicurare il controllo esclusivo del titolare della chiave privata sui mezzi (hardware e software) necessari per la creazione di una fi rma elettronica qualifi cata.

Dipoi, riguardo alla necessità che la fi rma elettronica qualifi cata sia “basata su un certifi cato elettronico qualifi -

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25 Tant’è che in dottrina è stata autorevolmente accreditata la tesi se-condo la quale «in Italia, l’unica forma di fi rma qualifi cata tecnicamente vali-da è la fi rma digitale» (A. GENTILI, I documenti informatici: validità ed effi ca-cia probatoria, in Dir. Internet, 2006, p. 297 ss., spec. 300).

26 Questo aspetto è stato lucidamente colto da G. PASCUZZI, Il diritto dell’era digitale, 3ª ed., Bologna 2010, spec. p. 11 e 261 s.; ID., La globaliz-zazione del pensiero giuridico, in AA. VV., Global law v. local law. Problemi della globalizzazione giuridica a cura di C. Amato e G. Ponzanelli, Torino 2006, p. 512 ss., spec. 523 e ss.

27 Al riguardo, è d’obbligo il rinvio a N. IRTI e E. SEVERINO, Dialogo su diritto e tecnica, Roma – Bari, 2001.

cato”, ciò sta a signifi care – come meglio si vedrà tra breve – che il collegamento tra la chiave pubblica (corrisponden-te alla chiave privata impiegata per la generazione della fi rma) ed il titolare della stessa deve essere attestato da un certifi cato elettronico il quale, oltre ad avere un determi-nato contenuto, deve essere stato altresì rilasciato da un certifi catore connotato da particolari indici di affi dabilità.

Ciò detto, non è possibile esimersi dal constatare che la defi nizione legislativa di fi rma elettronica qualifi cata (nel momento stesso in cui accenna ad un sistema di autentica-zione informatica tramite certifi cati e presuppone l’utilizzo di chiavi di cifratura), è, alla guisa di un abito sartoriale, foggiata in funzione delle caratteristiche tecniche proprie della fi rma digitale a doppia chiave asimmetrica25. Cosa che, a ben rifl ettere, denota una certa tensione interna, in quanto urta contro il proposito – largamente sbandierato – di dar vita ad una legislazione tecnologicamente neutrale.

Va però anche soggiunto che le regole fi glie della tec-nologia digitale, pur quando aspirano alla neutralità, fi ni-scono – come se vi avessero gettato sopra un incantesimo – per modellarsi sulle tecniche concretamente disponibili nel momento in cui sono state create26, a conferma, più in generale, della tendenza della tecnica a farsi essa stessa re-gola (piuttosto che oggetto di regolamentazione)27.

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116 CAPITOLO II - SEZIONE II

28 Art. 1, comma 1, lett. s del Codice dell’amministrazione digitale.29 La disposizione de qua, recante la defi nizione di “fi rma digitale”, è

stata riformulata dall’art. 1, comma 1, lett. g del d. lgs. n. 235 del 2010. 30 Sarebbe a dire: indipendentemente dal fatto di essere basate su un

certifi cato qualifi cato e generate mediante un dispositivo sicuro per la creazio-ne della fi rma.

31 Va da sé, in questo caso, che ove la fi rma digitale presentasse tutti i requisiti di cui all’art. 1, comma 1, lett. r, del Codice dell’amministrazione di-

4. La fi rma digitale quale sottospecie (tecnologicamente orientata) di fi rma elettronica qualifi cata

Dichiaratamente orientata sotto il profi lo tecnologico è, invece, la nozione di “fi rma digitale”. Ex lege, infatti, essa ruota intorno all’impiego di una specifi ca tecnica di identifi cazione dell’autore dei dati contenuti in un docu-mento informatico basata «su un sistema di chiavi critto-grafi che, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al desti-natario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di ren-dere manifesta e di verifi care la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici»28.

È tuttavia dubbio – stante il disorientamento suscitato dall’attuale stesura dell’art. 1, comma 1, lett. s, del Codice dell’amministrazione digitale29 – se si tratti di una specie di fi rma elettronica avanzata (in linea con la lettera della defi nizione legale) o di una sottospecie di fi rma elettronica qualifi cata (come, a mio avviso, cospira l’interpretazione sistematica della disciplina).

Entrambe le soluzioni, in astratto, sarebbero state co-erentemente praticabili. In particolare, il legislatore avreb-be potuto convenientemente stabilire che ogni fi rma elettro-nica che utilizzi algoritmi crittografi ci a chiavi asimmetri-che è, perciò stesso30, una fi rma digitale e che quest’ultima, in considerazione delle sue caratteristiche tecniche, è una fi rma elettronica avanzata31 (prima ipotesi); oppure, op-

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gitale (essere basata su un certifi cato qualifi cato e generata mediante un dispo-sitivo sicuro) questa, oltre che avanzata, sarebbe anche una fi rma elettronica qualifi cata.

32 Cfr. G. ROGNETTA, La fi rma digitale nel nuovo codice dell’ammini-strazione digitale, in Altalex - Rivista giuridica elettronica pubblicata su Inter-net all’indirizzo http://www.altalex.it, 2011, p. http://www.altalex.com/index.php?idstr=24&idnot=12822 : «Nella nuova defi nizione di fi rma digitale cambia l’inquadramento di genere: la fi rma digitale non è più un particolare tipo di fi rma elettronica qualifi cata, ma di fi rma elettronica avanzata. Nell’incrocio delle tre defi nizioni si perde, a livello defi nitorio, il riferimento della fi rma digitale al di-spositivo sicuro, contenuto solo nella defi nizione di fi rma elettronica qualifi cata».

33 Cfr. G. FINOCCHIARO, Ancora novità legislative in materia di docu-mento informatico: le recenti modifi che al Codice dell’amministrazione digita-

tando per una soluzione maggiormente restrittiva, avrebbe potuto riservare la qualità di fi rma digitale alle sole fi rme elettroniche che, oltre ad essere generate mediante l’uso della crittografi a asimmetrica, integrino entrambi i requi-siti distintivi della fi rma elettronica qualifi cata (seconda ipotesi): e cioè siano sia basate su un certifi cato qualifi cato sia realizzate attraverso l’impiego di un dispositivo sicuro per la creazione della fi rma.

Curiosamente, invece, il Codice dell’amministrazione digitale sembra aver imboccato un’eccentrica “terza via”, là dove defi nisce la fi rma digitale a doppia chiave asimme-trica come «un particolare tipo di fi rma elettronica avanza-ta basata su un certifi cato qualifi cato». Come a dire – stan-do alla “prima lettura” della legge – che la fi rma digitale è un po’ di più di una fi rma elettronica avanzata (tenuto conto del riferimento al “certifi cato qualifi cato”) e un po’ di meno di una fi rma elettronica qualifi cata (in considera-zione dell’omesso riferimento al “dispositivo sicuro per la creazione della fi rma”)32.

Ora, non ci vuol molto a constatare che la defi nizione in esame è “zoppa”, proprio perché priva del richiamo ad uno dei due elementi caratteristici della fi rma elettronica qualifi cata33. Zoppia curabile, a mio credere, con un’ope-razione di ortopedia interpretativa.

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le, cit., p. 498 s.: «La nuova defi nizione di “fi rma digitale”, tuttavia, basata su quella di fi rma elettronica avanzata, invece che, come nel Codice previgente, su quella di fi rma elettronica qualifi cata, è ora incompleta, dal momento che è priva del riferimento al dispositivo sicuro. Indubbiamente si tratta di un erro-re che si spera il legislatore correggerà al più presto».

34 Precisamente, negli artt.: 21, comma 3; 22, comma 1; 22-ter, comma 3 e 47, comma 2, lett. a.

35 La crittografi a è la tecnica che consente la trasformazione di un mes-saggio in chiaro in un messaggio cifrato, ovvero in una forma incomprensibile ed illeggibile per tutti coloro che non possiedono la chiave segreta per effet-tuare l’operazione inversa di decifrazione. Di fatti, il termine “crittografi a” o “criptografi a” deriva del greco kruptÒj, ossia “nascosto”, e grafein, nel senso di “scrivere, tracciare segni”. La più antica testimonianza letteraria di una primitiva forma di crittografi a è già nelle Vite parallele di Plutarco ove lo stori-co racconta di una skut®lh inviata dagli efori, i magistrati di Sparta, a Lisan-dro con l’ordine di tornare in patria. La scitala, in particolare, altro non era che uno xÚlon stroggÚlon, e cioè un pezzo di legno rotondo, lungo la cui su-perfi cie si avvolgeva strettamente ad elica, in modo tale da non lasciare spazio alcuno, una striscia di papiro sulla quale veniva ad essere scritto per colonne parallele alla lunghezza del bastone (e lettera per lettera) il testo del messaggio

Sul piano sistematico, infatti, sembra più consona una lettura che porti a ritenere quanto segue: la fi rma digitale è – sub specie iuris – una fi rma elettronica qualifi cata la quale, oltre ad essere generata mediante l’uso della crit-tografi a asimmetrica, è (al pari di tutte le altre fi rme elet-troniche qualifi cate) basata su un certifi cato qualifi cato e realizzata attraverso l’impiego di un dispositivo sicuro per la creazione della fi rma. Questa conclusione, del resto, tro-va testuale e reiterato riscontro nella disciplina positiva e, segnatamente, nel fatto (assai signifi cativo) che la locuzione «fi rma digitale o altra fi rma elettronica qualifi cata» com-pare non una, ma quattro volte, alla maniera di un ostinato musicale, nel Codice dell’amministrazione digitale34.

Senza attardarsi troppo nei marginalia, è adesso op-portuno passare alla descrizione dei profi li (soprattutto) tecnologici che attengono all’impiego della fi rma digitale.

Orbene, il congegno della fi rma digitale è contrasse-gnato dall’utilizzazione di due chiavi crittografi che35: una

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segreto da inviare; una volta tolta la striscia di papiro, il testo del messaggio risultava trasposto ed illeggibile se non con l’utilizzo di un altro pezzo di le-gno delle medesime dimensioni del primo (al riguardo, cfr. P. RIDOLFI, Dalla “scitala” di Plutarco alla fi rma digitale, in Media duemila, ottobre 1998, p. 9 ss. e G. R. CARDONA, Storia universale della scrittura, Milano, 1986, p. 107 ss.). Nondimeno, tale sistema di scrittura criptografi ca pare essere sconosciuto a Tucidide (’Istorˆai, I, § 131, 1), a Senofonte (’Ell»nika, III.3, 8; V.2, 34 e 37), Aristofane (Lusistr®tos, § 991) e Diodoro (XIII, § 106, 9), i quali usano il termine skut®lh nel signifi cato di messaggio non in codice; ed inoltre, proprio i casi in cui, secondo Plutarco, gli spartani si sarebbero serviti della scitala per inviare notizie criptate a Lisandro non trovano testimonianza alcuna nei corri-spondenti passi di Tucidide (’Istorˆai, VIII, § 45, 1) e di Senofonte (’Ell»nika, III.4, 27). E sulla base di queste ultime argomentazioni, i recenti studi fi lologici hanno portato alla conclusione che Plutarco cadde in un equivoco: «l’erro-nea credenza, che faceva della scitala un sistema di scrittura criptografi ca, si originò probabilmente tra la fi ne del quarto secolo a. C. e la metà di quello successivo. Responsabile fu certamente Apollonio Rodio (Ateneo, X 451 d, cfr. III 85 e =Archiloco, 15 T 16 e 16 T 24 Tarditi), il quale a torto ritenne che i termini skut®lh e skÚtoj (“striscia di cuoio”) fossero connessi con il verbo xÚw (“raschio”)» (così, L. PICCIRILLI, Commento alla “Vita di Lisandro”, in PLUTARCO, Le vite di Lisandro e di Silla, a cura di M. G. Angeli Bertinelli, M. Manfredini, L. Piccirilli e G. Pisani, Milano 1997, sub nota n. 19, p. 267). In questo senso, altresì, T. KELLY, in AA. VV., The Craft of the Ancient Historian. Essays in Honor of C. G. Starr, a cura di J. W. Eadie e J. Ober, Lanham–New York–London 1985, p. 141 ss., spec. p. 146 s.; N. DUNBAR, Introduction, in ARISTOPHANES, Birds, Oxford 1995. Sulla storia della crittografi a, in generale, si veda l’ampio studio di C. CIANFRONE, L’evoluzione storica della crittografi a, in Ciberspazio e diritto, 2005, fasc. 2, p. 95 ss.

36 Ai sensi dell’art. 1, lett. aa del Codice dell’amministrazione digitale, per “titolare” s’intende: «la persona fi sica cui è attribuita la fi rma elettronica e che ha accesso ai dispositivi per la creazione della fi rma elettronica» Inoltre, a tenore dell’art. 7, 3° co., del d. P. C. M. 30 marzo 2009, il titolare della coppia di chiavi deve: «a) assicurare la custodia del dispositivo di fi rma in conformità all’art. 32, comma 1, del codice, in ottemperanza alle indicazioni fornite dal certifi catore; b) conserva le informazioni di abilitazione all’uso della chiave privata separatamente dal dispositivo contenente la chiave; c) richiedere im-mediatamente la revoca dei certifi cati qualifi cati relativi alle chiavi contenute in dispositivi di fi rma difettosi o di cui abbia perduto il possesso, o qualora abbia il ragionevole dubbio che essi siano stati usati abusivamente da persone non autorizzate».

chiave privata, destinata ad essere conosciuta soltanto dal soggetto titolare36; ed una chiave pubblica, conoscibile, in-

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37 Ex art. 1, lett. i, del Codice dell’amministrazione digitale, per “chia-ve pubblica” s’intende: «l’elemento della coppia di chiavi asimmetriche desti-nato ad essere reso pubblico, con il quale si verifi ca la fi rma digitale apposta sul documento informatico dal titolare delle chiavi asimmetriche».

38 Cfr. E. EMILIOZZI, Le fi rme elettroniche, Napoli 2007, p. 148 ss.; U. BRECCIA, La forma, cit., spec. p. 608 s.; G. BUONOMO, Processo telematico e fi rma digitale, Milano 2004, spec. p. 134 ss.

39 In questo caso, l’intero documento cifrato funge da fi rma digitale.40 In pratica, si è soliti inviare una versione in chiaro del documento

insieme ad una versione cifrata con la chiave privata del mittente. Il destinata-rio decifra il documento con la chiave pubblica del mittente e, se il contenuto dei due documenti risulterà identico, l’esito del processo di verifi cazione potrà considerarsi positivo (così, M. CAMMARATA e E. MACCARONE, La fi rma digitale sicura, cit., p. 29).

41 Ex art. 1, let. g, del d. P. C. M. 30 marzo 2009, per funzione di hash deve intendersi «una funzione matematica che genera, a partire da una evi-denza informatica, una impronta in modo tale che risulti di fatto impossibile, a partire da questa, ricostruire l’evidenza informatica originaria e generare impronte uguali a partire da evidenze informatiche differenti».

vece, da chiunque vi abbia interesse37. Le due chiavi sono correlate, nel senso che il documento cifrato con la chiave privata può essere decifrato unicamente con la corrispon-dente chiave pubblica; ed altresì indipendenti, giacché la conoscenza della chiave pubblica non consente di risalire a quella privata38.

Il processo di generazione della fi rma può avvenire se-condo due distinte modalità.

Una prima via consiste nel cifrare, con la chiave pri-vata, il documento da autenticare39. La fi rma, così apposta, potrà essere verifi cata eseguendo sic et simpliciter l’opera-zione inversa: decifrando cioè il documento con la chiave pubblica correlata40.

L’altra strada, assai più praticata, consta di una se-quenza scomponibile in due fasi: a) con l’ausilio di una funzione matematica (nota come “funzione di hash”)41, dal documento che s’intende autenticare si estrae un piccolo blocco di bit di lunghezza costante (l’impronta, o fi nger-

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LE FIRME ELETTRONICHE 121

42 Ex art. 1, let. h, del d. P. C. M. 30 marzo 2009, la “impronta” di una sequenza di simboli binari (bit) è defi nita come «la sequenza di simboli binari (bit) di lunghezza predefi nita generata mediante l’applicazione alla prima di una opportuna funzione di hash». Si segnala, inoltre, che nel linguaggio tec-nico – informatico l’impronta è altresì denominata “codice hash” e “message digest”.

43 Posto quanto precede, è agevole intendere il senso dell’espressione normativa giusta la quale la fi rma elettronica, oltre che allegata, può essere «conness[a] tramite associazione logica» ai dati oggetto di autenticazione (art. 1, lett. q, del Codice dell’amministrazione digitale). Di fatti, palesemente logico e non fi sico è il legame che unisce – per il tramite dell’impronta – la fi rma digi-tale al documento giacché la fi rma, per un verso, attraverso la chiave privata usata per la generazione, si collega al fi rmatario; per altro verso, mediante l’impronta, si collega al documento autenticato (cfr.: W. STALLINGS, Crittogra-fi a e sicurezza delle reti, cit. spec. p. 332 ss.; ID., Sicurezza delle reti. Applica-zioni e standard, Milano 2001, spec. p. 77 ss.; M. FUGINI, F. MAIO, P. PLEBANI, Sicurezza dei sistemi informatici, cit., p. 50 ss.; G. ROGNETTA, La fi rma digita-le e il documento informatico, Napoli 1999, spec. p. 104 ss).

44 Cfr. P. CORSINI e E. O. MICHELUCCI, Sostituire il documento cartaceo con il documento informatico, fi rmarlo e trasmetterlo via rete, in Dir. Internet, 2006, p. 311 ss., spec. 314, ove, tra l’altro, si osserva che l’uso dell’impronta «consente l’autenticazione, da parte di una terza persona, della sottoscrizione del documento, senza che questa venga necessariamente a conoscenza del suo contenuto».

print)42, caratterizzato dal fatto di essere unico per ciascun documento, nel senso che da documenti anche minimamen-te diversi si ottengono impronte alquanto differenti; b) cre-ata l’impronta, si provvede a cifrarla mediante la chiave privata. In questo caso, la fi rma (id est, l’impronta crit-tografata) sarà verifi cata se si realizza la seguente condi-zione: il fi ngerprint decifrato con la chiave pubblica di chi appare come autore deve essere identico al fi ngerprint che si ricava applicando la funzione di hash al documento in chiaro.43

L’utilità dell’uso dell’impronta è duplice. In primo luogo, essa consente di evitare la cifratura dell’intero do-cumento che può richiedere grandi capacità di calcolo e di memorizzazione44. In secondo luogo, essa permette la gene-razione di fi rme digitali separate (in quanto contenute in

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122 CAPITOLO II - SEZIONE II

45 In questo caso, ognuna delle parti potrà “sottoscrivere” il documento contrattuale limitandosi a cifrare, con la propria chiave privata, l’impronta da esso estratta.

46 Ed infatti, la benché minima alterazione del documento (l’aggiunta, la sostituzione o la cancellazione di un solo bit) verrebbe ad essere evidenziata dall’esito negativo del processo di verifi ca.

47 Cfr. A. M. GAMBINO, voce Firma digitale (dir. civ.), in Enc. giur. Trec-cani, Roma 1999, vol. XIV, spec. p. 4: «indispensabili per il corretto funziona-mento del sistema realizzato per le sottoscrizioni digitali sono le c. d. Autorità di certifi cazione. Per poter affermare che, attraverso la procedura a chiavi asimmetriche, il documento informatico è stato effettivamente sottoscritto con chiave privata intitolata all’apparente dichiarante, il destinatario deve, infat-ti, considerare affi dabile la chiave pubblica, necessaria per la verifi ca della fi rma digitale».

autonomi fi les), ma pur sempre connesse tramite associa-zione logica ai dati oggetto di autenticazione. Cosa che, tra l’altro, facilita la possibilità di collegare al medesimo testo una pluralità di fi rme come avviene (di regola) nell’ipotesi di elaborazione comune di un documento contrattuale45.

Comunque sia, qui preme precisare che la fi rma digi-tale, in un modo o nell’altro apposta, adempie ugualmente il suo uffi cio assicurando tanto la provenienza quanto l’in-tegrità dei dati cui si riferisce46.

5. Segue. I prestatori di servizi di certifi cazione. Tipologie di certifi catori: semplici, qualifi cati ed accreditati

L’esito positivo del processo di verifi ca – come risul-ta dall’illustrazione sin qui esposta – garantisce soltanto che una fi rma digitale è stata generata con la chiave pri-vata corrispondente ad una determinata chiave pubblica, non anche (di per sé) il collegamento fra quest’ultima ed il soggetto che appare come autore del documento. Talché, il discorso va ora completato introducendo una fi gura es-senziale al funzionamento del sistema in esame, quella del prestatore dei servizi di certifi cazione47.

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LE FIRME ELETTRONICHE 123

48 Giusta la formulazione dell’art. 1, lett. e, del Codice dell’ammini-strazione digitale, per “certifi cati elettronici” devono intendersi «gli attestati elettronici che collegano all’identità del titolare i dati utilizzati per verifi care le fi rme elettroniche ai titolari e confermano l’identità informatica dei titolari stessi».

49 Ex art. 32, comma 3, lett. a, del Codice dell’amministrazione digitale il certifi catore (in particolare, quello che rilascia certifi cati qualifi cati) deve «provvedere con certezza alla identifi cazione della persona che fa richiesta della certifi cazione». La differenza principale tra imputazione manuale e im-putazione digitale è, dunque, da riporre nella diversa natura del collegamento tra il soggetto e la fi rma. Al riguardo è stato rilevato che «nei testi manuali, il nesso si stabilisce volta per volta, attraverso la materiale apposizione della sottoscrizione, secondo una immediata e diretta eziologia tra gesto del segnante ed effetto del segnare: ogni volta che scrivo la mia fi rma, il testo mi è giuridica-mente imputato […]. Nel testo digitale questo materiale nesso tra sottoscrizio-ne e sottoscrittore viene meno […] risolvendosi in un’estrinseca associazione tra soggetto e chiave pubblica […]. L’associazione ha carattere artifi ciale ed esige l’intervento di un terzo, al quale sia attribuito l’uffi cio di congiungere ab externo persona e chiave» (M. ORLANDI, Il falso digitale, cit., p. 61 e ss.). In argomento si vedano, altresì, le notazioni critiche di F. RICCI, Scritture private e fi rme elettroniche, cit., spec. p. 139 s., secondo cui il collegamento soggettivo tra fi rma ed autore non verrebbe meno con riferimento al meccanismo della fi rma digitale giacché essa – al pari della sottoscrizione autografa – è preco-stituita ad arte per consentire la formulazione di una prova critica, cioè una presunzione «basata sull’applicazione di una regola d’inferenza che esprime relazioni d’ordine non necessario, ma probabilistico, che, partendo dalla con-statazione dell’avvenuto impiego dei dati e del dispositivo per la creazione del-la fi rma attribuita ad un soggetto […], consente di inferire la scelta personale del titolare in ordine all’apposizione di quella fi rma e, quindi, la sua adesione al testo fi rmato». Infi ne, altri hanno prospettato la possibilità di ristabilire un legame soggettivo “forte” fra il documento informatico ed il suo autore abbi-nando alla fi rma digitale un sistema biometrico d’identifi cazione; ad esempio, il riconoscimento della conformazione retinica del titolare potrebbe essere reso necessario per dare accesso alla chiave privata memorizzata su una smart card (cfr. P. GIACALONE, Il riconoscimento biometrico e l’utilizzo della fi rma digitale, in Riv. giur. sarda, 2001, p. 307 s.).

A tal fi ne, occorre in limine segnalare che al certifi -catore (o certifi cation authority) sono affi dati due compiti fondamentali: a) innanzitutto, quello di emettere i certifi -cati48, ossia i documenti elettronici attestanti (tra l’altro) che di una certa chiave pubblica è titolare un determinato soggetto, preventivamente identifi cato49; b) in più, quello

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124 CAPITOLO II - SEZIONE II

50 Ex art. 32, comma 3, lett. b, del Codice dell’amministrazione digi-tale il certifi catore (ed in particolare, quello che rilascia certifi cati qualifi cati) deve «rendere pubblico il certifi cato nei modi o nei casi stabiliti dalle regole tecniche». Al riguardo, cfr. G. PASCUZZI, Il diritto dell’era digitale, cit., spec. p. 111 ss.; G. CIACCI, in R. BORRUSO e G. CIACCI, Diritto civile e informatica, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2004, p. 418 ss.; M. ORLANDI, Il falso digitale, cit., p. 63: al «certifi catore spetta d’identifi care il richiedente, e di associare a lui solo il codice alfanumerico della chiave. Il certifi cato di titolarità, dal quale l’intito-lazione è attestata, diviene opponibile ai terzi attraverso la pubblicazione nel registro all’uopo istituito, e consultabile on line […] . Il congegno della fi rma digitale muove dalla certezza giuridica della titolarità, attestata dal certifi cato; e si serve della doppia chiave: l’una pubblica, oggetto della certifi cazione; l’al-tra privata, affi data alla custodia del titolare».

51 Cfr. N. FABIANO, Ruolo del certifi catore europeo e fi rme elettroniche. Certifi cati qualifi cati tra contesto nazionale e mercato interno comunitario: interoperabilità e globalizzazione, in Dir. Internet, 2008, p. 621 ss.; A. CEC-CARINI, La prova documentale nel processo civile, Milano 2006, spec. p. 369 ss.; A. VILLECCO BETTELLI, L’effi cacia delle prove informatiche, cit., spec. p. 98 ss.; L. NEIROTTI, Aspetti giuridici della fi rma elettronica e delle smart cards, in Ciberspazio e diritto, 2003, p. 305 ss.; F. SORRENTINO, La disciplina sulle fi rme elettroniche: ultimo tassello?, in Nuove leggi civ. comm., 2003, p. 801 ss., spec. 810 ss.; G. FINOCCHIARO, Firma digitale e fi rme elettroniche, cit., p. 70 ss.

52 Art. 1, lett. g, del Codice dell’amministrazione digitale.53 Art. 26, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale. Sulla

scelta legislativa di non riservare l’attività di “certifi cazione” a pubblici uf-fi ciali, si segnalano le perplessità adombrate da S. SICA, Atti che devono farsi

di tenere un elenco aggiornato delle chiavi pubbliche certi-fi cate, accessibile anche per via telematica (ossia da termi-nali remoti)50.

Alla stregua della legislazione vigente, inoltre, si rica-va la necessità di distinguere tre specie di certifi catori: non qualifi cati (o “semplici”), qualifi cati e accreditati51.

Certifi catori tout court (senza ulteriori qualifi cazio-ni), sono i soggetti che prestano «servizi di certifi cazione delle fi rme elettroniche o che forniscono altri servizi con-nessi con queste ultime»52. L’esercizio di tale attività «in Italia o in un altro Stato membro dell’Unione europea è libera e non necessità di autorizzazione preventiva»53.

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LE FIRME ELETTRONICHE 125

per iscritto (art. 1350), cit., p. 151: «in una valutazione di costi e benefi ci, è legittimo domandarsi se una siffatta impostazione […] non si risolva, di fatto, in un freno alla crescita dell’economia “digitale”, incidendo negativamente sul-la security e sulla fi ducia complessiva nelle transazioni telematiche».

54 Analiticamente, trattasi delle seguenti informazioni: «a) indicazione che il certifi cato elettronico rilasciato è un certifi cato qualifi cato; b) numero di serie o altro codice identifi cativo del certifi cato; c) nome, ragione o denomina-zione sociale del certifi catore e lo Stato nel quale è stabilito; d) nome, cogno-me o uno pseudonimo chiaramente identifi cato come tale e codice fi scale del titolare del certifi cato; e) dati per la verifi ca della fi rma, cioè i dati peculiari, come codici o chiavi crittografi che pubbliche, utilizzati per verifi care la fi rma elettronica corrispondenti ai dati per la creazione della stessa in possesso del titolare; f) indicazione del termine iniziale e fi nale del periodo di validità del certifi cato; g) fi rma elettronica avanzata del certifi catore che ha rilasciato il certifi cato».

55 Ex art. 35, comma 5, del Codice dell’amministrazione digitale (così come modifi cato dall’art. 24 del d. lgs. n. 235 del 2010): «la conformità dei requisiti di sicurezza dei dispositivi per la creazione di una fi rma qualifi ca-ta prescritti dall’allegato III della direttiva 1999/93/CE è accertata, in Italia dall’Organismo di certifi cazione della sicurezza informatica, in base allo sche-ma nazionale per la valutazione e certifi cazione di sicurezza nel settore della tecnologia dell’informazione, fi ssato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o, per sua delega, del Ministro per l’innovazione e le tecnologie, di

Sono “qualifi cati”, i certifi catori che rilasciano certi-fi cati qualifi cati (ossia i certifi cati che contengono per lo meno le informazioni di cui all’art. 28, comma 1, del Co-dice dell’amministrazione digitale54) e che offrono garanzie di affi dabilità (organizzativa, tecnica e fi nanziaria) ade-guate alla natura dell’attività esercitata. A tal fi ne, si ri-chiede espressamente di «impiegare personale dotato delle conoscenze specifi che, dell’esperienza e delle competenze necessarie per i servizi forniti», di «applicare procedure e metodi amministrativi e di gestione adeguati e conformi a tecniche consolidate», di «utilizzare sistemi affi dabili e prodotti di fi rma […] che garantiscano la sicurezza tecnica e crittografi ca dei procedimenti, in conformità a criteri di sicurezza riconosciuti in ambito europeo e internazionale e certifi cati ai sensi dello schema nazionale» per la valuta-zione e certifi cazione nel settore della tecnologia dell’infor-

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126 CAPITOLO II - SEZIONE II

concerto con i Ministri delle comunicazioni, delle attività produttive e dell’eco-nomia e delle fi nanze».

56 Art. 27, comma 2, del Codice dell’amministrazione digitale.57 Di cui all’art. 26 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e

creditizia, approvato con d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385, in forza del quale: «i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche devono possedere i requisiti di professionalità e di onorabilità stabiliti con regolamento del Ministro del tesoro adottato, sentita la Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Il difetto dei requisiti determina la decadenza dall’uffi cio. Essa è dichiarata dal consiglio di amministrazione entro trenta giorni dalla nomina o dalla conoscenza del di-fetto sopravvenuto. In caso di inerzia la decadenza è pronunciata dalla Banca d’Italia. Il regolamento previsto dal comma 1 stabilisce le cause che compor-tano la sospensione temporanea dalla carica e la sua durata. La sospensione è dichiarata con le modalità indicate nel comma 2».

58 Art. 26, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale (così come modifi cato dall’art. 18 del d. lgs. n. 235 del 2010). Si osservi, per inciso, che nella previgente formulazione della disposizione in questione siffatto requisito di “onorabilità” era prescritto per tutti i certifi catori. Non solo, quindi, per quelli che emettono certifi cati qualifi cati.

59 L’Ente Nazionale per la digitalizzazione della Pubblica Amministra-zione (DigitPA) ha sostituito il Centro Nazionale per l’informatica nella Pub-blica Amministrazione (CNIPA).

60 Art. 27, comma 3, del Codice dell’amministrazione digitale (così come modifi cato dall’art. 57, comma 18, del d. lgs. 2010, n. 235).

mazione55 ed ancora, di «adottare adeguate misure contro la contraffazione dei certifi cati»56. Merita inoltre rimarca-re che i certifi catori che emettono certifi cati qualifi cati «o, se persone giuridiche i loro legali rappresentanti e i sog-getti preposti all’amministrazione […]devono possedere i requisiti di onorabilità richiesti ai soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso le banche57»58.

L’esercizio dell’attività di certifi care qualifi cato – pur non necessitando di alcuna autorizzazione – deve es-sere preceduta da una dichiarazione di inizio dell’attività all’Ente Nazionale per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione (DigitPA)59, «attestante l’esistenza dei presupposti e dei requisiti» prescritti dal Codice dell’am-ministrazione digitale60. Mentre l’accertamento successi-

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LE FIRME ELETTRONICHE 127

61 Art. 26, comma 2, del Codice dell’amministrazione digitale. È oppor-tuno leggere tale disposizione assieme a quella di cui all’art. 27, comma 4 (così come modifi cato dall’art. 57, comma 18, del d. lgs. 2010, n. 235): «Il DigitPA procede, d’uffi cio o su segnalazione motivata di soggetti pubblici o privati, a controlli volti ad accertare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti previ-sti dal presente codice e dispone, se del caso, con provvedimento motivato da notifi care all’interessato, il divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a con-formare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine prefi ssatogli dall’amministrazione stessa».

62 Art. 29, comma 6, del Codice dell’amministrazione digitale (così come modifi cato dall’art. 57, comma 18, del d. lgs. 2010, n. 235). Allo stato, l’elenco dei certifi catori accreditati in attività è consultabile per via telematica all’indirizzo: www.digitpa.gov.it/certifi catori_fi rma_digitale .

63 Art. 29, comma 3, del Codice dell’amministrazione digitale.

vo dell’assenza o del venir meno di siffatti requisiti sog-gettivi «comporta il divieto di prosecuzione dell’attività intrapresa»61.

Sono “accreditati”, infi ne, i certifi catori che hanno ottenuto «il riconoscimento del possesso dei requisiti del li-vello più elevato in termini di qualità e sicurezza» ai sensi dell’art. 29 del Codice dell’amministrazione digitale. Tale riconoscimento è concesso, su richiesta del certifi catore, dal DigitPA che, a seguito dell’accoglimento della doman-da, «dispone l’iscrizione del richiedente in un apposito elenco pubblico, tenuto dal DigitPA stesso e consultabile anche in via telematica»62.

Se a richiedere l’accreditamento è un soggetto priva-to, questi, in aggiunta a quanto prescritto per i certifi catori qualifi cati, deve: a) avere la forma della società di capitali e un capitale sociale non inferiore a quello necessario ai fi ni dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria; b) garantire il possesso, oltre che da parte dei rappresentanti legali, anche da parte dei soggetti preposti alla amministra-zione e dei componenti il collegio sindacale, dei requisiti di onorabilità richiesti ai soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso le banche.63

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128 CAPITOLO II - SEZIONE II

64 Cfr. M. FRANCESCA, Pubblicità e nuovi strumenti di conoscenza, Na-poli, 2003, spec. p. 166 e ss.

65 Art. 32, comma 3, lett. j, del Codice dell’amministrazione digitale; in più, nell’art. 36 del medesimo Codice, è prescritto che il certifi catore qualifi ca-to o accreditato che intenda cessare l’attività sia tenuto (tra l’altro) ad indicare altro depositario del registro dei certifi cati e della relativa documentazione. E che, qualora ciò non faccia, debba comunque «provvedere al deposito presso DigitPA che ne garantisce la conservazione e la disponibilità» (comma 4-bis).

66 Art. 32, comma 3, lett. b, del Codice dell’amministrazione digitale. In proposito, va segnalato che la prassi corrente di allegare il certifi cato (conte-nente la chiave pubblica) al documento fi rmato (con la corrispondente chiave privata), non può considerarsi sostitutiva della pubblicazione del medesimo nel registro dei certifi cati. Per averne riprova, basti notare che i contenuti del certifi cato ben possono variare nel tempo e che, proprio per questo, sol-tanto accedendo al registro dei certifi cati (tenuto costantemente aggiornato a cura del certifi catore), il processo di verifi ca della fi rma digitale può effettuar-si in modo sicuro. Ma c’è di più. Oltre al destinatario del documento, sono soggetti potenzialmente interessati alla verifi ca della fi rma digitale tutta una serie di terzi – non determinabili a priori: aventi causa, creditori, titolari di

6. Segue. Il sistema di certifi cazione quale nuovo strumen-to di pubblicità legale

Tanto chiarito, si può allora fondatamente ritenere che l’intero sistema di certifi cazione, in quanto meccani-smo formalmente deputato ad assicurare la perdurante co-noscibilità a terzi di determinati fatti, dà luogo ad un inedi-to strumento di pubblicità legale64 organizzato secondo un modello diffuso (anziché accentrato), siccome affi dato alla pluralità dei prestatori di servizi di certifi cazione.

Ogni certifi catore, infatti, ed in particolare quello che rilascia certifi cati qualifi cati ai sensi dell’art. 29 del Codi-ce dell’amministrazione digitale, deve sia «tenere registra-zione, anche elettronica, di tutte le informazioni relative al certifi cato qualifi cato dal momento della sua emissione almeno per venti anni anche al fi ne di fornire prova della certifi cazione in eventuali procedimenti giudiziari»65, sia «rendere pubblico il certifi cato elettronico nei modi o nei casi stabiliti dalle regole tecniche»66. Indi (per usare altre

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LE FIRME ELETTRONICHE 129

diritti incompatibili – ai quali parimenti deve essere assicurata la possibilità di procurarsi la conoscenza delle informazioni necessarie per il compimento della verifi ca in discorso. Dal che, la chiara insuffi cienza di una comunicazione (ossia, di un’attività sostanzialmente notifi cativa), indirizzata ad una persona determinata.

67 A miglior chiarimento della presente trattazione, si rendono neces-sarie (a margine) alcune puntualizzazioni. Condizione indefettibile per il fun-zionamento di un sistema di crittografi a a chiave pubblica è che questa, come dice il nome, sia resa pubblica: pertanto, almeno i dati identifi cativi del titolare del certifi cato ed il codice alfanumerico della chiave pubblica – ossia quelli strettamente necessari alla verifi ca della fi rma digitale apposta sul documento –, debbono essere resi conoscibili a chiunque possano interessare. In questo senso, d’altra parte, depone limpidamente la normativa (di rango primario) di cui al Codice dell’amministrazione digitale; in particolare, l’art. 1, lett. i, che defi nisce la “chiave pubblica” come «l’elemento della coppia di chiavi asim-metriche destinato ad essere reso pubblico», ed ancora, il sopra citato art. 32, comma 3, lett. b, a mente del quale il certifi catore deve «rendere pubblico il certifi cato elettronico» secondo le modalità stabilite dalle “regole tecniche”. A fronte di ciò, nella normativa regolamentare recante le cosiddette “regole tec-niche”, compare una disposizione idonea (prima facie) a provocare lo stallo di tutto meccanismo in esame, là dove si stabilisce che «i certifi cati qualifi cati, su richiesta del titolare, possono essere accessibili alla consultazione del pubblico nonché comunicati a terzi, al fi ne di verifi care le fi rme digitali, esclusivamente nei casi consentiti dal titolare del certifi cato» (art. 30, comma 2, del d. P. C. M., 30 gennaio 2009). Come a dire che il titolare della coppia di chiavi può impedire – per esempio, quando gli conviene – che altri possano verifi care la provenienza e l’integrità di un documento informatico cui è apposta la propria fi rma digitale, semplicemente “nascondendo” le informazioni necessarie al compimento di tale verifi ca. Ma si tratta – occorre sottolinearlo – di un eviden-te non sequitur al quale non abboccare. Di fatti, se si afferma che la disposizio-ne regolamentare tam dixit quam voluit, ne viene allora che essa è illegittima per contrasto con la sopracitata disciplina avente forza di legge; diversamente, se si sostiene che la disposizione regolamentare plus dixit quam voluit, è allora persuasivo concludere che essa non si riferisce a tutte le informazioni che ac-cedono al contenuto del certifi cato, ma solo a quelle “facoltative”, cioè – come meglio si vedrà fra breve – non necessarie alla verifi ca della fi rma. A suffragio di tale conclusione è peraltro sopravvenuto il comma 3-bis dell’art. 28 del Co-dice dell’amministrazione digitale (comma aggiunto dall’art. 19, comma 1, del d. lgs. 30 dicembre 2010, n. 235), secondo il quale le informazioni cd. “facolta-

parole), a mezzo dell’intrinseca stabilità delle scritturazio-ni contenute nel certifi cato e della loro costante accessibili-tà ad opera del quivis de populo cui possano interessare, si attua un’ipotesi di vera pubblicità67 poiché si utilizza l’or-

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130 CAPITOLO II - SEZIONE II

tive” «possono essere contenute in un separato certifi cato elettronico e possono essere rese disponibili anche in rete». Può ricordarsi, infi ne, quanto prescritto nelle stesse “regole tecniche”: e cioè che «i certifi catori che rilasciano certifi -cati qualifi cati forniscono ovvero indicano almeno un sistema che consenta di effettuare la verifi ca delle fi rme digitali» (art. 10); val quanto dire: i prestatori di servizi di certifi cazione devono rendere conoscibili i dati necessari al compi-mento del processo di verifi cazione della fi rma digitale.

68 Così, S. PUGLIATTI, La trascrizione. La pubblicità in generale, vol. I, tomo 1, in Tratt. di dir. civ. e comm. diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1957, p. 229. Sulla struttura dei sistemi di pubblicità legale e la loro diffe-renziazione rispetto ad altri strumenti di conoscenza (in specie, rispetto alle notifi cazioni ed alle pubblicazioni) cfr., altresì, D. RUBINO, La pubblicità come fatto permanente, in Riv. dir. comm., 1957, p. 10 e ss.; S. PUGLIATTI , voce Conoscenza, in Enc. del dir., IX, 1961, p. 45 e ss., spec. 128 e ss.; G. GIAMPIC-COLO, La dichiarazione recettizia, Milano, 1957, spec. 153 e ss.; R. CORRADO, voce Pubblicità degli atti giuridici, in Noviss. dig. it., XIV, Torino, 1967, p. 518 e ss., spec. 521 e ss.; G. GIACOBBE, voce Pubblicità (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, XXV, Roma, 1991, p. 1 e ss., spec. 10; M. FRANCESCA, Pubblicità e nuovi strumenti di conoscenza, cit., spec. p. 102 e ss.

69 Ex art. 36, comma 3, lett. o, delle regole tecniche (d. P. C. M., 30 marzo 2009), il manuale operativo (ove si defi niscono le procedure applicate dal certifi catore che rilascia certifi cati qualifi cati), deve contenere informazio-ni in ordine alle «modalità di accesso al registro dei certifi cati».

70 Sulla possibilità di qualifi care il certifi catore qualifi cato come privato esercente potestà pubbliche, s’interroga A. MALTONI, Il conferimento di potestà pubbliche ai privati, Torino, 2005, spec. p. 395 e ss.

ganizzazione permanente di un meccanismo predisposto al fi ne di conseguire un risultato «che non è già la conoscenza effettiva, da parte di uno o più soggetti determinati, bensì soltanto la possibilità di conoscenza, con mezzi legittimi, da parte di qualsiasi soggetto»68, e in concreto da parte di ogni soggetto che prenda l’iniziativa d’informarsi, consul-tando il “registro dei certifi cati”69.

A tale conclusione, inoltre, non osta il fatto che la pre-stazione di servizi di certifi cazione possa essere svolta per-sino da privati70. Difatti, se è vero che il compito di provve-dere all’attuazione della pubblicità è di solito commesso in via esclusiva a pubblici uffi ci, è pur vero che al legislatore non può impedirsi di disporre diversamente. Stabilendo

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71 Su questa linea, M. FRANCESCA, Pubblicità e nuovi strumenti di co-noscenza, cit., spec. p. 101, la quale non esclude la possibilità che «l’attuale funzione segnalativa» sia «realizzata anche da strutture non pubbliche».

72 L’art. 31 del Codice dell’amministrazione digitale, rubricato «Vigi-lanza sull’attività dei certifi catori e dei gestori di posta elettronica certifi ca-ta», dispone che il «DigitPA svolge funzioni di vigilanza e controllo sull’attività dei certifi catori qualifi cati e dei gestori di posta elettronica certifi cata». Si fa inoltre notare che la proposta di regolamento europeo recante nuove norme «in materia di identifi cazione elettronica e servizi fi duciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno», dedica ampio spazio (artt. 13 – 19) alla re-golamentazione dell’attività di viglilanza sull’operato dei “prestatori di servizi fi duciari” (nozione più ampia di quella di certifi catore).

73 Al fi ne di informare in merito alle modalità di svolgimento di tale im-portante funzione, il CNIPA (oggi DigitPA), nel luglio del 2006, ha pubblicato il primo bollettino dedicato alla vigilanza ed al controllo sull’attività dei certi-fi catori qualifi cati ed accreditati (consultabile, per via telematica, al seguente indirizzo: www.interlex.it/testi/pdf/cnipa_vig_1.pdf ).

74 Art. 27, comma 4, del Codice dell’amministrazione digitale.In argomento, cfr. L. PICOTTI, La ratifi ca della Convenzione Cybercri-

me del Consiglio d’Europa. Profi li di diritto penale sostanziale, in Dir. pen. e proc., 2008, p. 296 ss., spec. 706: «l’attività dei certifi catori presenta chiare fi nalità di interesse pubblico, con connotazioni e contenuti pubblicistici, spe-cie se si tratta di quella dei certifi catori qualifi cati ed accreditati […] poiché richiede, oltre a requisiti soggettivi per l’esercizio, condizioni organizzative e modalità predeterminate di svolgimento dell’attività, nonché controlli pene-tranti da parte della pubblica autorità, cui competono specifi che funzioni di vigilanza».

(come nel caso di specie) che la predisposizione di un’orga-nizzazione stabile volta a rendere possibile l’acquisizione della conoscenza di determinati fatti ai terzi, possa essere affi data anche a soggetti privati71.

D’altro canto, qui val bene considerare che il modo di essere e di operare del certifi catore – pubblico o privato che sia – deve modellarsi seguendo contorni marcatamen-te segnati dalle norme dell’ordinamento; ed ancora, che al DigitPA72 è comunque demandato il compito di procedere a controlli diretti ad accertare la presenza dei presupposti e dei requisiti previsti dalla legge73 e di disporre, «se del caso [...], il divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti»74. Così da garantire, quantomeno nelle in-

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132 CAPITOLO II - SEZIONE II

75 S. PUGLIATTI, La trascrizione. La pubblicità in generale, cit., p. 352.76 In questa stessa corrente di pensiero si colloca, tra gli altri, P. RE-

SCIGNO, Manuale di diritto privato, edizione a cura di G. P. Cirillo, Milano, 2000, p. 297 e s.: «La pubblicità, nelle varie forme in cui si realizza, serve agli interessi privati, interessi che si collegano alla vita civile della persona, alle attività economiche, alla circolazione dei beni. Ma essa è posta, altresì, al ser-vizio di interessi generali [...]. L’interesse generale pubblico alla conoscenza delle situazioni, giuridicamente rilevanti, delle persone e delle cose è un inte-resse a sua volta strumentale rispetto ad una fi nalità più ampia, la certezza dei rapporti»; nonché, da ultimo, N. CORBO, La tutela dei diritti, Torino, 2006, p. 27, il quale evidenzia che alla base dei vari meccanismi pubblicitari si pone una funzione tendenzialmente unitaria, e precisamente la seguente: «assicurare la conoscenza o la conoscibilità alla generalità di taluni eventi per rafforzare la sicurezza dei traffi ci» giuridici.

77 Sulla natura degli effetti esplicati dalle varie forme di pubblicità, in luogo di molti, cfr. M. COMPORTI, in AA. VV., Istituzioni di diritto privato, a cura di M. Bessone, 18ª ed., Torino 2011, p. 1126 ss.

78 Sono tali, si rammenta, quelli al cui rilascio sono abilitati sia i certifi -catori qualifi cati sia i certifi catori accreditati.

tenzioni del conditor iuris, il soddisfacimento dell’interesse mediato sotteso ad ogni strumento di pubblicità legale, e cioè: l’interesse pubblico generico «alla tutela e alla com-posizione dei molteplici interessi privati, che confl uiscono nelle situazioni o si collegano agli eventi»75 oggetto di vul-gatio76.

Le notazioni che precedono, lasciano emergere un nuovo interrogativo circa la natura della pubblicità77 at-tuata offrendo alla generalità la possibilità di procurarsi la conoscenza delle informazioni comprese nei certifi cati elettronici.

Ed al riguardo, giova all’intelligenza della trattazione che segue, constatare che il Codice dell’amministrazione digitale detta un’articolata disciplina in merito al conte-nuto dei soli certifi cati qualifi cati78 e che, per tale ragione, soltanto per essi si può fare (o almeno si spera) un discorso suffi cientemente ancorato al piano del diritto positivo.

Tornando al quesito poc’anzi sollevato, allora, un –

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79 Precisamente, l’art. 28, comma 1, lett. d, del Codice dell’amministra-zione digitale dispone che i certifi cati qualifi cati devono contenere il «nome, cognome o uno pseudonimo chiaramente identifi cato come tale e codice fi scale del titolare del certifi cato».

80 Cfr. art. 28, comma 1, lett. e, del Codice dell’amministrazione digi-tale.

81 Cfr. M. ORLANDI, Il falso digitale, cit., spec. p. 62; ID., Iposcritture e iperscritture, in AA. VV., I contratti informatici, a cura di R. Clarizia, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, vol. 6, Torino, 2007, p. 169 e ss., spec. p. 182 e s.

82 Si può allora dubitare (e a ragione), che l’attività di “certifi cazione” della titolarità della chiave pubblica costituisca una certifi cazione in senso pro-prio. Al riguardo, qui basti segnalare che il “certifi catore” non si limita ad at-testare e a rendere noto un dato già esistente, ma immette nel mondo giuridico una realtà (il nesso tra chiave e soggetto), del tutto nuova.

In generale, sulla distinzione tra certifi cazioni ed altri atti affi ni (in spe-cie: rispetto alle certazioni), si veda A. STOPPANI , voce Certifi cazione, in Enc. del dir., VI, 1960, p. 793 e ss.

sia pur sottile – fi lo d’Arianna ce lo fornisce l’art. 28, a mente del quale i certifi cati qualifi cati “devono” riportare talune informazioni mentre altre, essendo rimesse alla libe-ra determinazione del titolare o del terzo interessato, sono facoltative.

Bene, nell’ambito delle informazioni obbligatorie spiccano – per importanza – i dati identifi cativi del titolare del certifi cato79, unitamente a quelli necessari per la veri-fi ca della fi rma digitale, ossia il codice alfanumerico del-la chiave pubblica80. Indi, mediante la certifi cazione della titolarità, la chiave pubblica è “intitolata”: vale a dire, a qualcuno formalmente associata81. Di tal che, l’adempi-mento della pubblicità di cui è parola «genera», «determi-na» il nesso tra chiave e soggetto esplicando (limitatamente a questo aspetto) funzione di natura costitutiva.82

Ed ancor più quest’assunto risulta fondato ove si con-sideri che un nesso siffatto, pur non essendo suffi ciente ad attuare l’articolato meccanismo dell’imputazione digitale, è a tal fi ne necessario ponendosi, insieme ad altri, alla stre-

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134 CAPITOLO II - SEZIONE II

83 Cfr. M. ORLANDI, Il falso digitale, cit., p. 65: «Il circuito logico dell’imputazione digitale passa attraverso la biunivoca corrispondenza infor-matica tra le due chiavi e la certifi cazione della titolarità, che stabilisce il nesso stipulativo tra soggetto e chiave pubblica».

84 Art. 21, comma 2, del Codice dell’amministrazione digitale.85 S’intende, con gli stessi effetti.86 Art. 28, comma 3, del Codice dell’amministrazione digitale.

gua di un ingranaggio indispensabile al funzionamento del-lo stesso. 83

Sul piano strettamente giuridico, ciò equivale a dire che si è innanzi all’elemento costitutivo di una fattispecie complessa. In sua assenza, difatti, non sarebbe possibile fi rmare elettronicamente un documento avente «l’effi cacia prevista dall’art. 2702 del codice civile»84; e, parimenti, la sua mancanza non ammette equipollenti. In altri termi-ni, non potrebbe essere surrogata85 dalla prova della co-noscenza (tratta aliunde) di qualsivoglia collegamento tra chiave e soggetto.

Sin qui si è trattato del contenuto obbligatorio del certifi cato qualifi cato. In appresso, pertanto, il discorso va completato facendosi carico di considerare quale sia la va-lenza di quello facoltativo, di cui all’art. 28, comma 3, del Codice dell’amministrazione digitale.

Al riguardo, vale allora osservare che il «certifi cato qualifi cato può contenere, ove richiesto dal titolare [...], se pertinenti allo scopo per il quale il certifi cato è richie-sto», un primo gruppo d’informazioni riguardanti le quali-fi che specifi che del titolare, «quali l’appartenenza ad ordi-ni o collegi professionali, la qualifi ca di pubblico uffi ciale, l’iscrizione ad albi o il possesso di altre abilitazioni profes-sionali»86.

Ora, sin da una prima lettura, è del tutto evidente che nei casi da ultimo indicati la realizzazione della pubblicità non condiziona né l’esistenza né l’opponibilità dei fatti che

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87 Alla stregua dell’art. 1, del r. d. l. 27 novembre 1933, n. 1578 (co-siddetta legge professionale forense): «nessuno può assumere il titolo, né eser-citare le funzioni di avvocato se non è iscritto nell’albo professionale». Ed a riguardo, la dottrina ha ulteriormente precisato che «il provvedimento di iscrizione all’albo è un atto amministrativo di accertamento costitutivo dello status del professionista [...]; ha quindi natura costitutiva [...] gli effetti del provvedimento si producono dalla data del deposito e della pubblicazione del provvedimento del consiglio dell’ordine, e non dalla data della deliberazione, che è atto meramente interno» (R. DANOVI, Corso di ordinamento forense e deontologia, Milano, 2003, p. 48).

88 A tutta prima, questa esplicita menzione della categoria del negozio giuridico potrebbe sembrare un poco incauta: quasi un affronto agli artefi ci del codice civile italiano del 1942 che, com’é noto, deliberarono di non acco-glierla (quantomeno testualmente). Se non che un osservatore pignolo - pren-dendosi la briga di scrutare negli interstizi delle più svariate normative di set-tore – ha puntualmente dimostrato come, «in spregio a tutte le aspettative, la categoria negozio giuridico “esiste”, “c’è”, si “materializza” non poche volte in singole leggi speciali, prima e dopo il codice del 1942» (E. FERRERO, Sul negozio giuridico, in Scritti in memoria di Giovanni Cattaneo, tomo II, Milano, 2002, p. 1005 e ss., spec. 1007). Ed ecco, allora, che al lume di questa rivelazione, l’iniziale sussulto del lettore si placa ed il battito del suo cuore diventa, d’im-provviso, normale.

ne formano l’oggetto svolgendo, bensì, una funzione pura-mente informativa: attraverso l’indicazione delle qualifi -che del titolare si propugna, cioè, l’unico scopo di renderle conoscibili ai terzi. In defi nitiva, si dà corpo ad un’ipotesi di pubblicità notizia.

Empiricamente, e solo in via esemplifi cativa, basti qui riscontrare che la costituzione dello «status» di avvocato e la sua rilevanza erga omnes, sono l’effetto dell’iscrizione all’albo professionale forense87, di certo, non della relativa menzione all’interno del certifi cato.

Ciò posto, il discorso deve adesso fermarsi a conside-rare, con speciale approfondimento, un secondo gruppo d’informazioni che possono accedere al contenuto del cer-tifi cato qualifi cato su istanza (a seconda dei casi) del titola-re o del terzo interessato.

Su istanza del titolare, il «certifi cato qualifi cato può contenere limiti d’uso ovvero un valore limite per i negozi88

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89 Art. 30, comma 3, del Codice dell’amministrazione digitale. Ma a ri-guardo si veda, altresì, l’art. 28, comma 3, lett. b e c, ove si ribadisce che il certifi cato qualifi cato può contenere, ove lo richieda il titolare, informazioni relative ai «limiti d’uso del certifi cato» ed ai «limiti del valore degli atti unilate-rali e dei contratti per i quali il certifi cato può essere usato». E ancora, sempre nella stessa direzione, l’art. 41 del d. P. C. M., 30 marzo 2009.

90 L’esempio non è fi glio del caso; infatti, alla stregua dell’art. 31, comma 2, della legge 24 novembre 2000, n. 340, tutte le società hanno l’obbligo di in-viare domande, denunce, atti e documenti al registro delle imprese, esclusiva-mente per via telematica ovvero su supporto informatico, facendo uso della fi r-ma digitale. Tale incombenza, tuttavia, a seguito dell’introduzione dei commi 2 – quater e 2 – quinquies, può essere delegata (su incarico dei legali rappresen-tanti della società) a professionisti iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali. In argomento, cfr. G. CIACCI, Atti societari e fi rme elettroniche: il registro delle imprese telematico, in Dir. e prat. soc., 2002, f. 6, p. 21 e ss.; G. CECCACCI, Viaggia “on line” l’invio degli atti societari al registro delle imprese, in Dir. e prat. soc., 2002, f. 23, p. 50 e ss.

91 A tale proposito, osserva A. GENTILI, Documento elettronico: validità ed effi cacia probatoria, in AA. VV., I contratti informatici, a cura di R. Cla-rizia, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, vol. 6, Torino, 2007, p. 119 e ss., spec. 151: «il certifi cato [...] può contenere tanto limiti di uso quanto limiti di valore. Entrambi i tipi di limitazioni debbono essere riconoscibili da parte dei terzi e rendersi evidenti nel processo di veri-fi ca della fi rma. Con i limiti di uso il certifi cato sottrae alla fi rma il valore di sottoscrizione giuridicamente impegnativa [...]. Con i limiti di valore invece il

per i quali può essere usato [...], purché i limiti d’uso o il valore limite siano riconoscibili da parte dei terzi e sia-no chiaramente evidenziati nel certifi cato»89. Ne consegue, allora, che in presenza di queste limitazioni – debitamen-te pubblicizzate – la chiave privata, correlata alla chiave pubblica certifi cata, possa essere utilmente impiegata: a) per fi rmare soltanto determinati tipi di atti (ad esempio: il bilancio d’esercizio, l’elenco dei soci e i verbali di nomina delle cariche che – a cura degli amministratori della società cui si riferiscono – devono essere trasmessi per via telema-tica o presentati su supporto informatico al registro delle imprese)90; oppure, b) per stipulare contratti il cui valore non ecceda un dato ammontare (in ipotesi, solo acquisti di beni o servizi per un importo non superiore a 250 euro)91.

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certifi cato imprime le stesse restrizioni in relazione al valore economico degli atti unilaterali o dei contratti sottoscritti con quella fi rma digitale».

92 Cioè, “non autorizzata dal titolare del certifi cato”. A tal proposi-to, giova infatti ricordare che - ai sensi dell’art. 32, commi 1 e 2, del Codice dell’amministrazione digitale – il «titolare del certifi cato di fi rma è tenuto ad assicurare la custodia del dispositivo di fi rma e ad adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno ad altri; è altresì tenuto ad utilizzare personalmente il dispositivo di fi rma»; nonché, «ad adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno a terzi».

93 Cfr. artt. 21 e 25, delle regole tecniche (d. P. C. M., 30 marzo 2009), ove il “terzo interessato” è testualmente qualifi cato come il soggetto «da cuiderivano i poteri di fi rma del titolare».

94 Cfr. art. 28, commi 3 e 4, del Codice dell’amministrazione digitale.95 Art. 30, comma 3, del Codice dell’amministrazione digitale.

Ma nell’uno e nell’altro caso il risultato è commensurabi-le dacché, delimitando le possibilità d’impiego (utile) della chiave privata si riducono, nello stesso torno di tempo, i rischi connessi alla sua abusiva92 utilizzazione.

Ancora – considerato che il titolare potrebbe essere abilitato a fi rmare digitalmente atti in nome e per conto di altri – il certifi cato qualifi cato può, su istanza del terzo interessato (ossia del dominus da cui promana la legittima-zione al compimento dell’attività sostitutiva)93, contenere informazioni relative alle vicende che concernono l’esisten-za, le limitazioni, le modifi cazioni e l’estinzione del potere di rappresentanza94.

Ma all’esito della ricognizione che precede, rimane pur sempre da chiarire quale sia l’effetto della segnalazio-ne pubblicitaria di questi fatti; ovvero, a che pro si richie-de che essi siano resi «riconoscibili da parte dei terzi» e «chiaramente evidenziati nel certifi cato»95.

Al riguardo, sembra persuasivo ritenere che la pub-blicazione delle informazioni sopra cennate, in quanto pro-duttiva della diffusa conoscibilità, le renda opponibili ai terzi (che entrano in relazione con il titolare delle chiavi di sottoscrizione e sui quali grava l’onere di consultare il

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138 CAPITOLO II - SEZIONE II

96 Lo stesso è a dirsi per le informazioni contenute nella “lista dei certifi -cati revocati e sospesi” che – al pari del registro dei certifi cati – il certifi catore qualifi cato ha l’obbligo di tenere aggiornato. Infatti, giusta la lettera dell’art. 21, comma 3, del Codice dell’amministrazione digitale, l’apposizione «ad un documento informatico di una fi rma digitale o di un altro tipo di fi rma elettro-nica qualifi cata basata su un certifi cato elettronico revocato, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscrizione. La revoca o la sospensione, comunque mo-tivate, hanno effetto dal momento della pubblicazione, salvo che il revocante, o chi richiede la sospensione, non dimostri che essa era già a conoscenza di tutte le parti interessate».

registro dei certifi cati), senza che costoro possano eccepire di averle ignorate. Là dove, per contro, l’omessa segnala-zione non esclude la possibilità di provare che il terzo, cui i fatti si vogliono opporre, ebbe a conseguirne per altra via la conoscenza effettiva. 96

Onde, se le proposizioni che si è appena fi nito di fi s-sare sulla carta sono fondate, è giocoforza concludere che in relazione ai casi da ultimo considerati l’osservanza della pubblicità dispiega effetti di natura dichiarativa.

Possono ora trarsi alcune considerazioni d’insieme. L’analisi della disciplina positiva evidenzia l’esistenza di un puzzle complesso, che impedisce la formulazione di una soluzione unitaria, monistica, al quesito sulla natura degli effetti dalla segnalazione pubblicitaria delle informazioni contenute nei certifi cati elettronici. Tanto che – come si è avuto modo di appurare –, la loro pubblicazione dà corpo (a seconda dei casi) ad ipotesi di pubblicità, notizia, dichia-rativa o costitutiva.

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1 In apicibus, val bene segnalare che l’eventuale approvazione della pro-posta di regolamento europeo «in materia di identifi cazione elettronica e servi-zi fi duciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno» non dovrebbe (il condizionale è d’uopo) avere rifl essi sugli argomenti trattatti nella presente sezione; infatti, l’art. 2, comma 3, così recita: «Il presente regolamento non si applica agli aspetti legati alla conclusione e alla validità di contratti o di altri vincoli giuridici per i quali la normativa nazionale o unionale prevedano ob-blighi formali».

SEZIONE TERZA

IL VALORE GIURIDICODEI DOCUMENTI INFORMATICI

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il documento privo di fi rma elettronica. – 3. Il documento sottoscritto con fi rma elettronica non avanza-ta. – 4. Il documento sottoscritto con fi rma elettronica avanzata, ma non qualifi cata. – 5. Il documento sottoscritto con una fi rma digitale o altro tipo di fi rma elettronica qualifi cata. – 6. Il do-cumento con fi rma elettronica autenticata. – 7. L’atto pubblico informatico.

1. Premessa

Data la complessità del tema e dei suoi svolgimenti sembra utile anteporre una sorta di quadro sinottico capa-ce di suggerire il percorso di lettura della trattazione che seguirà.

Il valore giuridico del documento informatico è modu-lato sulla tipologia delle fi rme che, eventualmente, vi sono apposte. Così, alla pluralità dei tipi di fi rme elettroniche – ognuno dei quali caratterizzato da un peculiare grado di sicurezza (più o meno elevato) – corrisponde una gradua-zione dell’effi cacia sostanziale e probatoria del documento informatico1.

Più nello specifi co, in base alla legge vigente, posso-

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2 Così A. GENTILI, voce Documento informatico (diritto civile), in Enc. Dir. – Annali, vol. V, Milano 2012, p. 629 ss., spec. 639; ID., Negoziare on line dopo la riforma del codice dell’amministrazione digitale, in Corr. merito, 2011, p. 353 ss., spec. 354.

3 Ossia la funzione – tipica ed indefettibile per ciascun tipo di docu-mento – di assicurare la conservazione per un certo tempo di una determinata organizzazione di segni signifi canti; o, in altri termini, di perpetuare un deter-minato contenuto rappresentativo oltre i limiti temporali propri di ciò che è affi dato alla sola voce.

no isolarsi sei specie di documento informatico2: a) il do-cumento privo di fi rma elettronica; b) il documento sotto-scritto con fi rma elettronica non avanzata; c) il documento sottoscritto con fi rma elettronica avanzata, ma non quali-fi cata; d) il documento sottoscritto con una fi rma digitale o altro tipo di fi rma elettronica qualifi cata; e) il documento sottoscritto con fi rma elettronica autenticata dal notaio o da altro pubblico uffi ciale a ciò autorizzato; f) l’atto pub-blico informatico ricevuto dal notaio.

Su ciascuna di esse occorre adesso fermare l’atten-zione.

2. Il documento privo di fi rma elettronica

Il documento informatico privo di qualsiasi fi rma elettronica – pur realizzando l’essenziale funzione di per-petuazione3 – è un documento strutturalmente insicuro in quanto: da un lato, non consente (ex post, nel caso in cui sorgano contestazioni) la verifi ca dell’identità del suo auto-re e, dall’altro lato, non permette di appurare se i dati in esso contenuti siano stati successivamente modifi cati (can-cellati, sostituiti o variamente combinati con altri dati). E infatti, proprio come la pelle di certi eroi mitologici, il testo digitale privo di fi rma elettronica si rigenera apparendo sempre, ad ogni manipolazione, miracolosamente intatto, senza che rimanga traccia di tutte le fasi che lo hanno pre-ceduto.

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IL VALORE GIURIDICO DEI DOCUMENTI INFORMATICI 141

4 Per quanto, si osserva, che questa etichetta “riproduzioni meccani-che” (corrispondente alla rubrica dell’art. 2712 cod. civ.), è col tempo divenu-ta una sineddoche: si menziona una parte, per riferirsi ad un insieme ampio e variegato di documenti realizzati mediante procedimenti tecnici, siano essi di natura meccanica, chimica o elettronica. Al riguardo, cfr. G. F. RICCI, Le prove atipiche, Milano 1999, p. 3777: «La qualifi ca di “meccanica” attribuita alla rappresentazione in oggetto è stata infatti utilizzata solo in quanto la tec-nologia dell’epoca non conosceva altri tipi di rappresentazione che avvenissero con mezzi tecnici».

5 Come oggi risulta dalla testuale dizione dell’art. 23-quater (già art. 23) del Codice dell’amministrazione digitale (introdotto dall’art. 16, comma 6, del d. lgs. n. 235 del 2010), a norma del quale «All’articolo 2712 del codice civile dopo le parole: “riproduzioni fotografi che” è inserita la seguente: “, informa-tiche”».

A fronte di questa corretta constatazione, non stupi-sce allora la prudenza mostrata dal nostro legislatore che ha ragguagliato il documento in esame alle riproduzioni fo-tografi che, cinematografi che, fonografi che; attribuendogli, in defi nitiva, la limitata effi cacia probatoria accordata ge-neraliter alle riproduzioni meccaniche4.

A tale risultato si è pervenuti operando una interpo-lazione legislativa sul periodare dell’art. 2712 cod. civ.; e, precisamente, aggiungendo, accanto alle parole «riprodu-zioni fotografi che», la menzione delle riproduzioni infor-matiche5.

Di talché, nell’attuale stesura, l’art. 2712 cod. civ. così recita: «Le riproduzioni fotografi che, informatiche o cinematografi che, le registrazioni fonografi che e, in gene-re, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime».

Come si può constatare, il novellato testo dell’art. 2712 cod. civ. non contiene alcun esplicito riferimento alla mancanza di fi rma elettronica; ciononostante, è diffi cile du-bitare del fatto che esso, là dove menziona le “riproduzio-

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142 CAPITOLO II - SEZIONE III

6 Questo aspetto è stato opportunamente evidenziato da G. FINOCCHIARO, Firma digitale e fi rme elettroniche, Milano 2003, p. 119.

7 Così, tra gli altri, F. P. LUISO, Diritto processuale civile, II, 5ª ed., Milano 2009, p. 116 s.; M. E. LA TORRE, Contributo alla teoria giuridica del documento, Milano 2004, p. 234; F. SARZANA DI SANT’IPPOLITO, Il legislatore ita-liano e le fi rme elettroniche: la crisi del principio di unitarietà della sottoscri-zione, in Corriere giur., 2003, p. 1375 ss., spec. 1377; S. SICA, Atti che devono farsi per iscritto (art. 1350), cit., p. 13; S. PATTI, Prova documentale (artt. 2699 – 2720), in Commentario del Codice Civile Scialoja – Branca a cura di F. Galgano, Bologna – Roma 1996, p. 127 s.; F. TOMMASEO, Delle prove, in Com-

ni informatiche”, si riferisca specifi camente ai documenti informatici non sottoscritti. In favore di tale conclusione, in particolare, milita l’interpretazione congiunta del “nuo-vo” art. 2712 cod. civ. con i commi 1, 2 e 2 bis dell’art. 21 del Codice dell’amministrazione digitale dedicati, invece (e rispettivamente), alla disciplina del documento informati-co munito di fi rma elettronica non avanzata, a quella del documento sottoscritto con fi rma elettronica avanzata (ma non qualifi cata) e, infi ne, alla regolamentazione del docu-mento provvisto di fi rma digitale o altro tipo di fi rma elet-tronica qualifi cata.

Ciò premesso, torniamo al punto. Pendant immedia-to dell’inserimento delle “riproduzioni informatiche” nella cornice dell’art. 2712 cod. civ. è allora il seguente: sul do-cumento informatico non sottoscritto si rifl ettono oggi tutti i dubbi interpretativi già elevati rispetto alla portata della disposizione codicistica testé richiamata.

Il discorso merita di essere approfondito in conside-razione della straordinaria rilevanza (soprattutto) pratica della questione; al riguardo basti qui segnalare che, nel tempo presente, la maggior parte dei documenti informati-ci è privo di fi rma elettronica6.

Orbene, secondo il comune pensiero dei giuristi le ri-produzioni meccaniche appartengono alla famiglia delle prove legali7; a quell’insieme di prove, cioè, il cui esito è a

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IL VALORE GIURIDICO DEI DOCUMENTI INFORMATICI 143

mentario al codice civile diretto da P. Cendon, Torino 1991, vol. VI, p. 157 ss., spec. 192; F. LUCIFERO, voce Riproduzioni meccaniche, copie ed esperimenti, in Enc. dir., XL, Milano 1989, p. 1081 ss., spec. 1082. In dottrina, tuttavia, non mancano voci autorevoli diversamente orientate, inclini cioè a ritenere che le riproduzioni meccaniche siano prove semplici, soggette al «principio genera-le della libera valutazione da parte del giudice, eventualmente in concorso ed in confl itto con ogni altra prova»; per cui, ciò che la legge intenderebbe signi-fi care «con la sua formulazione un poco incauta, è soltanto che, in mancanza di disconoscimento, la prova fornita dalle riproduzioni meccaniche può, anche da sola, essere suffi ciente a formare il convincimento del giudice» (ad litteram, E. T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, 7ª ed., Milano, 2007, p. 338 s.; nonché, lungo questa stessa linea di pensiero, L. P. COMOGLIO, Le prove civili, 3ª ed., Torino 2010, spec. p. 504; ID., in L. P. COMOGLIO, C. FERRI e M. TARUFFO, Lezioni sul processo civile. Lezioni sul processo civile. Il processo ordinario di cognizione, Bologna 2006, p. 479).

8 Così, F. TOMMASEO, Delle prove, cit., p. 168.9 Al riguardo, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che i docu-

menti di cui all’art. 2712 cod. civ., se non sono espressamente disconosciuti, hanno la stessa effi cacia probatoria degli originali e ciò anche nell’ipotesi di contumacia della parte contro la quale sono prodotti (Cass. 22, giugno 2006, n. 14438 e Trib. Roma, 10 luglio 2009).

10 A tale proposito, è stato posto bene in rilievo che «il comportamento processuale del soggetto, contro il quale è diretto lo strumento de quo, munisce quest’ultimo di un’effi cacia probatoria la cui portata il legislatore ha prede-terminato e reso vincolante per il giudice» (F. LUCIFERO, voce Riproduzioni meccaniche, copie ed esperimenti, cit., p. 1083).

priori determinato dalla legge. Questa tesi, che ha dalla sua molti elementi di sostegno, trova la sua primaria base d’ap-poggio nella lettera dell’articolo 2712 cod. civ., a tenore della quale tali rappresentazioni «formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate». In più, dal dato normati-vo, si ricava che trattasi di prove legali relative8; pertanto, solo se non disconosciute (da colui contro il quale sono pro-dotte)9, esse precludono al giudice la possibilità di apprez-zarne liberamente l’effi cacia persuasiva. In altre parole: il valore di prova legale della riproduzioni meccaniche (ed elettroniche) è condizionato alla condotta processuale della parte nei cui confronti sono fatte valere10.

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11 Conviene rammentare al lettore che, secondo un recente arresto giu-risprudenziale – per incidens, assai ben argomentato e del tutto persuasivo –, «La semplice mail non costituisce documento informatico sottoscritto con fi rma elettronica, seppure leggera, poiché non sussiste alcun collegamento logico tra l’immissione di userid e password nella fase iniziale di accesso al server e gli altri dati elettronici che costituiscono il messaggio mail. La fattispecie rientra, piuttosto, nella previsione normativa dell’art. 2712 c.c., che regola le riprodu-zioni meccaniche di fatti o cose» (Trib. Roma, 27 maggio 2010; la decisione è stata commentata da F. BARBARO, Un decreto ingiuntivo fondato sulla produ-zione di una mail: la posta elettronica non certifi cata non supera il vaglio del Tribunale di Roma, in Dir. informaz. e informatica, 2011, p. 518 ss.).

12 In argomento, si veda l’ampia trattazione di M. IOZZO, Orientamenti (e disorientamenti) in tema di disconoscimento delle riproduzioni meccaniche, in Foro it., 2002, I, c. 2793 ss.

13 Sia pure con una certa varietà d’accenti, tendono ad assimilare la situazione della riproduzione meccanica disconosciuta a quella della scrittura privata disconosciuta, notoriamente priva (in mancanza di richiesta di verifi -cazione o di esito positivo di questa) di ogni effi cacia probatoria: G. F. RICCI, Valore probatorio del documento informatico ed errori duri a morire, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, p. 1423 ss., spec. 1427; ID., Le prove atipiche, cit., p. 379, spec. sub nota n. 113; A. VALLEBONA, Prova del lavoro straordinario e dischi cronotachigrafi , in Riv. it. dir. lav., 1995, II, p. 447 ss.; B. CARPINO, voce Scrittura privata, in Enc. dir., XLI, Milano 1989, p. 805 ss., spec. 818; L. MONTESANO, Sul documento informatico come rappresentazione meccanica nella prova civile e nella forma negoziale, in Riv. dir. proc., 1987, p. 1 ss., spec. p. 8.

Ma se così è, vien qui fatto di chiedersi: quale de-stino incombe sulla riproduzione meccanica – e con essa sul documento informatico non fi rmato – laddove ne sia stata contestata la corrispondenza al vero della “realtà” così come rappresentata? Meditiamo, a modo d’esempio, sull’ipotesi in cui la parte contro la quale è stata prodot-ta una mail11 dica che il messaggio da lui inviato aveva un contenuto diverso o, addirittura, sostenga di non aver mai scritto la mail depositata dalla controparte.

Al riguardo, silente la lettera della legge, due distinti orientamenti si contendono il campo12. Secondo il primo13, il disconoscimento di cui all’art. 2712 cod. civ. priverebbe la riproduzione di qualsiasi effi cacia probatoria renden-

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14 A rigore, tuttavia, la parola inutilizzabilità designa una forma d’inva-lidità dell’atto processuale che concerne esclusivamente le prove penali. Tale invalidità –introdotta ex novo dal codice del 1988 – è allo stato contemplata nella disposizione giusta la quale: «le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate» (art. 191 cod. proc. pen.).

15 In tal senso, si veda A. GENTILI, voce Documento informatico (diritto civile), cit., p. 641; ID, Negoziare on line dopo la riforma del codice dell’am-ministrazione digitale, cit., p. 354; ID., I documenti informatici: validità ed effi cacia probatoria, cit., p. 297 ss., spec. 302; ID., Le tipologie di documento informatico dopo il d. p. R. n. 137: effetti sostanziali ed effetti probatori, cit., p. 331 ss., spec. 341 (in particolare, ivi si rileva che «il disconoscimento previsto dall’art. 2712 c. c., concernendo fatti e non regole non preclude al giudice di utilizzare liberamente il documento, apprezzandone l’attendibilità, per formare il proprio convincimento»); L. P. COMOGLIO, , Le prove civili, cit., spec. p. 506; G. BERTOLINO, Documento e rappresentazione della realtà, in AA. VV., Il documento nel processo civile, a cura di A. Ronco, Bologna 2011, p. 12; E. FAZIO, Dalla forma alle forme. Struttura e funzione del neofor-malismo negoziale, Milano 2011, p. 192 s., sub nota n. 50; A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 5ª ed., Napoli 2010, p. 430; E. TOSI, Con-tratti informatici, telematici e virtuali. Nuove forme e procedimenti formati-vi, Milano 2010, p. 137 s.; G. BALENA, Elementi di diritto processuale civile, vol. II, Bari 2007, p. 143; M. E. LA TORRE, Contributo alla teoria giuridica del documento, cit., p. 237; A. A. ROMANO, Il disconoscimento della prova do-cumentale, in Judicium, Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet all’indirizzo http://www.judicium.it , 2003; F. DELFINI, , Contratto telematico e commercio elettronico, cit., p. 62; S. PATTI, Prova documentale, cit., p. 129 s.; ID., L’effi cacia probatoria dei «nuovi» documenti informatici, in Riv. dir. proc., 2000, p. 60 ss., spec., p. 63; V. ANDRIOLI, Diritto processuale civile, Napoli 1979, spec. p. 695 (per il quale, invero, non il disconoscimento ma il mancato riconoscimento inserirebbe «la riproduzione meccanica nella folla delle prove, soggette al prudente apprezzamento del giudice»); R. FERRUCCI, in U. NATOLI e R. FERRUCCI, Della tutela dei diritti. Trascrizione – Prove, 2ª ed., Torino 1971, p. 368.

16 In questa direzione, indicazioni si rinvengono in: Cass. 8 maggio 2007, n. 10430; Cass., 11 maggio 2005, n. 9884; Cass., 4 marzo 2004, n. 4395; Cass., 28 gennaio 2003, n.1236; Cass., 8 luglio 1994, n. 6437; Cass. 22 dicembre 1993; Trib. Roma, 22 aprile 2008; Trib. Torino, 12 febbraio 2008; Trib. Bari, 11 luglio 2007.

dola inutilizzabile14 ai fi ni della decisione. Secondo l’altro, prevalente in dottrina15 e in giurisprudenza16, il discono-scimento determinerebbe solo una capitis deminutio della riproduzione meccanica che da prova legale degraderebbe

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17 In giurisprudenza, peraltro, si è opportunamente specifi cato che «a fronte di un documento informatico privo di fi rma digitale, costituente comun-que una rappresentazione meccanica (elettronica) di fatti o di cose, il discono-scimento, volto a rimuovere l’effi cacia probatoria [privilegiata] di detto docu-mento, deve pertanto essere circostanziato e deve concernere la sua capacità rappresentativa della realtà e quindi la sua genuinità ed attendibilità» (Trib. Roma, 22 aprile 2008).

18 Secondo un’illustre dottrina, «tanto si desume dalla circostanza che l’art. 2712 c. c. parla di piena prova, ma non di prova fi no a querela di falso» (A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 430).

19 Ad avviso di chi scrive, tale opzione interpretativa trova manforte nell’attuale sistema di legge, quale può evincersi, in particolare, dal combinato disposto di due disposizioni del Codice dell’amministrazione digitale (entram-be forgiate dal d. lgs. n. 235 del 2010): l’art. 23–quater, che annovera il docu-mento informatico privo di fi rma elettronica tra le “riproduzioni meccaniche”; e l’art. 20, comma 1-bis, secondo cui il valore probatorio del documento infor-matico (sottinteso, privo di fi rma elettronica) è «liberamente valutabil[e] in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodifi cabilità». Ora, ad una lettura prima facie, queste due disposizioni parrebbero esprimere norme antitetiche. Delle due una, viene istintivamente da dire: o il documento informatico privo di fi rma elettronica ha l’effi cacia probatoria delle riproduzioni meccaniche, e allora esso fa piena prova dei fatti e delle cose rappresentate sino a quando non è disconosciuto da colui contro il quale è stato prodotto; o è una prova semplice, e allora esso è soggetto al principio generale della libera valutazione da parte del giudice. Sennonché, prima d’invocare come unica soluzione l’ennesimo intervento correttivo del legislatore (così, G. FINOCCHIARO, Ancora novità legislative in materia di documento informatico: le recenti modifi che al Codice dell’ammi-nistrazione digitale, in Contr. impresa, 2011, p. 500), occorre verifi care se l’antinomia possa essere prevenuta per mezzo di opportuni accorgimenti er-meneutici (cfr. R. GUASTINI, Interpretare e argomentare, Milano 2011, p. 105 ss., spec. 111). E, a ben vedere, questo impasse si può superare se si ritiene che gli artt. 23-quater e 20, comma 1-bis, custodiscono due frammenti di un’unica disposizione normativa che, una volta ricomposta, potrebbe così risuonare: «le riproduzioni informatiche (id est: i documenti informatici privi di fi rma elet-tronica), al pari delle altre riproduzioni meccaniche, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. Mentre, se colui contro il quale sono prodotte ne disconosce la conformità, il loro valore probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle loro caratteristiche ogget-tive di qualità, sicurezza, integrità ed immodifi cabilità».

a prova semplice17, soggetta al principio generale del libero convincimento (o prudente apprezzamento)18 da parte del giudice19.

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20 Cass. 6 settembre 2001, n. 11445. In merito alla sentenza de qua si veda: G. VERDE, Prove nuove, in AA. VV., Le prove nel processo civile, Milano 2007, p. 1 ss., spec. 11; F. SARZANA DI SANT’IPPOLITO, Il documento informatico alla prova della Suprema Corte, in Corriere giur., 2002, p. 338 ss.; F. DEL-FINI, Contratto telematico e commercio elettronico, cit., p. 58 ss.; G. F. RICCI, Valore probatorio del documento informatico ed errori duri a morire, cit., p. 1423 ss.; G. FINOCCHIARO, Firma digitale e fi rme elettroniche, cit., p. 117 ss.

21 L’ambiguità, insita in alcuni passaggi dell’iter argomentativo seguito dalla Corte (indipendentemente dalla bontà della soluzione accolta), è stata po-sta in conveniente rilievo da F. SARZANA DI SANT’IPPOLITO, Il documento informa-tico alla prova della Suprema Corte, cit., p. 340: «la Corte ha ritenuto che i fatti risultanti dal documento informatico non potessero essere da soli suffi cienti a determinare il convincimento del giudice, ma potessero concorrere ad integrare altre fonti di prova, dovendo il giudice ricostruire il fatto anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni. Questa ricostruzione ha il pregio della sintesi, ma elude il vero punctum dolens della questione, cioè la quaestio se il documento informatico sia effettivamente in grado di provare i fatti di causa da solo senza che sia necessario ricorre alla somma delle prove indiziarie che fanno da corollario». A mio avviso, inoltre, merita rimarcare che risulta fuorviante l’insistente riferimento alla conformità del documento informatico ad un “origi-nale” che – il più delle volte – non c’è. Ed infatti, di conformità del documento informatico ad un altro documento originale si può parlare soltanto nelle ipotesi contemplate dall’art. 1, comma 1, lett. i-bis, ter e quater del Codice dell’ammini-strazione digitale: e, dunque, per i casi di copia informatica di documento ana-logico, di copia per immagine su supporto informatico di documento analogico e, infi ne, di copia informatica di documento informatico (da non confondersi con il duplicato informatico di cui alla lett. i-quinques).

22 Si veda, in senso conforme, Trib. Roma, 22 aprile 2008.

Quest’ultimo persuasivo indirizzo ha trovato imme-diata eco nella prima decisione del Supremo Collegio in ma-teria di documento informatico non sottoscritto20, là dove – sia pure con una certa dose di ambiguità21– si rileva che «il disconoscimento della conformità di una delle riproduzioni menzionate nell’art. 2712 c. c. ai fatti rappresentati non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’art. 215, comma 2, c. p. c., della scrittura privata, perché, mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verifi cazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrit-tura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova»22.

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23 P. SPADA, La fase costitutiva dell’impresa, in Impresa e tecniche di documentazione giuridica, vol. IV, Milano, 1991, p. 14.

Tutto ciò detto riguardo all’effi cacia probatoria del documento informatico privo di fi rma elettronica, rimane da verifi care se, a quali condizioni ed in relazione a quali profi li di rilevanza giuridica la formazione di un documen-to di questo tipo integra gli estremi della forma scritta.

A tale proposito, conviene assumere come punto di partenza l’art. 20, comma 1-bis, del Codice dell’ammini-strazione digitale, secondo cui «L’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta [… è] liberamente valutabil[e] in giudizio, tenuto conto del-le sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, inte-grità ed immodifi cabilità, fermo restando quanto disposto dall’articolo 21».

L’inciso fi nale («fermo restando quanto disposto dall’articolo 21») porta a restringe il perimetro di appli-cazione della disposizione dianzi riportata al documento informatico non sottoscritto; e infatti, rilevato che l’art. 21 – come meglio si vedrà fra breve – si riferisce alle diverse tipologie di documento informatico munito di fi rma elettro-nica, l’autonoma rilevanza dell’art. 20, comma 1-bis, si ri-taglia per esclusione, o, ciò che è lo stesso, al netto dei casi contemplati dall’art. 21.

Tanto precisato, occorrere riprendere i termini dell’interrogativo che si prospettava qualche rigo più so-pra: se cioè la redazione di documento informatico privo di qualsiasi fi rma elettronica – in considerazione delle carat-teristiche di qualità e (in)sicurezza di quest’ultimo – possa essere giudicata idonea ad assecondare il requisito legale della forma scritta.

Ora, posto che la forma scritta «è, non una ma più ‘cose’ e serve a molte differenti ‘cose’»23, la risposta non

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24 Al riguardo, vale la pena ricordare che il documento informatico ap-partenente alla specie di cui si tratta è un documento strutturalmente insicuro in quanto: da un lato, non consente (ex post, nel caso in cui sorgano contesta-zioni in ordine alla corrispondenza tra l’autore apparente e quello reale) la verifi ca della paternità del documento e, dall’altro lato, non offre particolari garanzie d’integrità ed immodifi cabilità.

25 Per quanto, della validità di questa conclusione si possa dubitare ri-guardo alla disciplina concernente la subfornitura nelle attività produttive. Ex art. 2 della l. n. 192 del 1998, infatti, il contratto di subfornitura «deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità»; ma il requisito formale, prosegue la stessa disposizione, è altresì soddisfatto mediante «atti di consen-so alla conclusione o alla modifi cazione dei contratti effettuate per telefax o altra via telematica»; e quindi, senza esigere – almeno testualmente – alcun tipo di fi rma elettronica. Tuttavia, poiché l’art. 2 della legge n. 192 del 1998 non è una “monade”, ma va calato (è ovvio) nel sistema, appare persuasivo ritenere che esso debba essere letto congiuntamente alle previsioni del Codice dell’amministrazione digitale che, in via generale, disciplinano la materia del documento informatico. Da ciò la conclusione che il contratto di subfornitura – al pari degli altri contratti a forma vincolata rientranti nell’arco di applica-zione dell’art. 1350, n. 13, cod. civ. –, se stipulato mediante la redazione di un documento informatico, non si sottrae alla necessità di una fi rma elettronica (quantomeno) avanzata. Per l’approfondimento della controversa questione, cfr.: S. PAGLIANTINI, Forma e formalismo nel diritto europeo dei contratti, Pisa 2009, spec. p. 123 ss.; ID., La forma del contratto: appunti per una voce, in

può che essere articolata in relazione, appunto, al varie-gato ventaglio di fi nalità sottese ai diversi vincoli formali. E se così è, un primo orientamento, una sorta di bussola rudimentale, discende dalla constatazione empirica che tra i documenti fatti di carta ed inchiostro ciò che più si avvi-cina al documento informatico in discorso è quello intera-mente dattiloscritto o (come si sarebbe detto prima dell’av-vento dei computer) “scritto a macchina” e non asseverato da sottoscrizione manuale.

Talché – proprio come il documento cartaceo scritto, ma non sottoscritto in modo autografo – la formazione di un documento informatico sprovvisto di fi rma elettronica24 non vale a soddisfare il requisito legale della forma scritta in tutte le ipotesi in cui sia prescritta quale elemento strut-turale del negozio (o ad validitatem actus iuridici)25.

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Studi senesi, 2004, p. 105 ss., spec. 152; L. MODICA, Vincoli di forma e disci-plina del contratto, Milano 2008, spec. 203 ss.; U. BRECCIA, La forma, in AA. VV., Formazione, a cura di C. Granelli, in Trattato del contratto diretto da V. Roppo, vol. I, Milano, 2006, spec. p. 551 s. e 586 ss.; M. DELL’UTRI, La con-clusione del contratto, in AA. VV., La subfornitura nelle attività produttive, a cura di V. Cuffaro, Napoli 1998, p. 52 ss., spec. 60 ss.

26 In dottrina si è da tempo ed autorevolmente segnalato che «l’alterna-tiva tradizionale (ad substantiam o ad probationem) deve oggi considerarsi del tutto superata […] le funzioni della forma ‘vincolata’ sono molteplici» (M. GIORGIANNI, voce Forma degli atti (diritto privato), in Enc. Dir, vol. XVII, Milano 1968, p. 999). E ancora: «Il formalismo rinasce ma rinnovato nelle tec-niche e ancor più nelle funzioni. Sí che decadente apparirebbe quel formalismo che non sapesse realizzare questo rinnovamento e decadente potrebbe altresí apparire quell’interpretazione delle norme sulle forme legali che non tentasse di realizzarne l’adeguamento» (P. PERLINGIERI, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli 1987, p. 133 s.).

27 Tra i contributi più recenti in materia di forma dell’informazione (di-versa sia dalla forma del contratto sia da quella della prova di esso in giudi-zio), si vedano le voci enciclopediche di S. PAGLIANTINI, voce Neoformalismo contrattuale, in Enc. Dir. – Annali, vol. IV, Milano 2011, p. 772 ss. e B. PASA,

Inoltre, e analogamente, al pari del documento carta-ceo senza fi rma o con fi rma non di pugno tracciata, l’esi-bizione in giudizio di un documento informatico privo di fi rma elettronica non sarebbe suffi ciente ad attestare l’esi-stenza e/o il contenuto di un contratto (o di un singolo pat-to) che, per legge, «deve essere provato per iscritto» (c.d. forma ad probationem tantum).

D’altro canto, poiché l’ambito della forma vincola-ta non si esaurisce nel dualismo tra forma per la validità dell’atto e forma per la prova di esso in giudizio26, non può affatto escludersi che un documento informatico (anche se privo di fi rma elettronica) possa essere istrumento idoneo ad assecondare prescrizioni formali di altra natura.

In particolare, e per quanto qui più direttamente inte-ressa, il pensiero s’instrada verso quei casi in cui il legisla-tore individua nella parola scritta il mezzo esclusivo (id est, la sola tecnica di comunicazione sociale) per adempiere ad un obbligo d’informazione pre o post contrattuale27.

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voce Forma informativa, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., Aggiornamento, Torino 2010, p. 651 ss.

28 D. lgs. 23 maggio 2011, n. 79 («Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relati-va ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio»).

29 Al riguardo, è d’obbligo il rinvio a V. ROPPO, Il contratto del duemila, 2ª ed., Milano 2005, spec. p. 25 ss. Sul tema, di recente, A. M. BENEDETTI, voce Contratto asimmetrico, in Enc. Dir. – Annali, vol. V, Milano 2012, p. 370 ss.

Ne diamo solo due esempi fra i tanti possibili: uno at-tinto dal neonato “Codice del turismo”28, l’altro dal più at-tempato d. lgs. n. 152 del 1997 («concernente l’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro»). Entram-bi, non a caso, si iscrivono nell’orbita lata del «contratto con asimmetria di potere contrattuale»29.

Alla stregua dell’art. 37, comma 1, del Codice del tu-rismo, «Nel corso delle trattative e comunque prima della conclusione del contratto, l’intermediario o l’organizzatore forniscono per iscritto informazioni di carattere generale concernenti le condizioni applicabili ai cittadini dello Sta-to membro dell’Unione europea in materia di passaporto e visto con l’indicazione dei termini per il rilascio, nonché gli obblighi sanitari e le relative formalità per l’effettuazione del viaggio e del soggiorno».

L’art. 1 del d. lgs. n. 152 del 1997 stabilisce che il da-tore di lavoro è tenuto a fornire al lavoratore, entro 30 giorni dalla data dell’assunzione, informazioni sui seguenti oggetti: «a) l’identità delle parti; b) il luogo di lavoro[…]; c) la data di inizio del rapporto di lavoro; d) la durata del rapporto di lavoro, precisando se si tratta di rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato; e) la durata del periodo di prova se previsto; f) l’inquadramento, il li-vello e la qualifi ca attribuiti al lavoratore, oppure le carat-

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30 Così, S. PAGLIANTINI, Forma e formalismo nel diritto europeo dei con-tratti, cit., p. 54. Al riguardo, si esprime in termini di deperimento del nesso tra forma scritta e sottoscrizione L. MODICA, Vincoli di forma e disciplina del contratto, cit., p. 123.

31 G. DE CRISTOFARO, Contratto di timesharing: attuata la direttiva co-munitaria, in Studium iuris, 1999, p. 609: «Il requisito della “redazione per iscritto” […] costituisce un minus rispetto a quello della “forma scritta” (scrit-tura privata o atto pubblico)». In tal modo, quindi, l’autore prefi gura l’idea di una forma vincolata diversa dalla forma scritta, fi glia – passi l’immagine – “di un dio minore”.

teristiche o la descrizione sommaria del lavoro; g) l’impor-to iniziale della retribuzione e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo di pagamento; h) la durata delle ferie retribuite cui ha diritto il lavoratore o le modali-tà di determinazione e di fruizione delle ferie; i) l’orario di lavoro; l) i termini del preavviso in caso di recesso» (primo comma). Tale obbligo informativo può essere assolto: «nel contratto di lavoro scritto ovvero nella lettera di assun-zione o in ogni altro documento scritto, da consegnarsi al lavoratore entro trenta giorni dalla data dell’assunzione» (secondo comma).

Ora, se questo formalismo dell’informazione (ri-spettivamente, pre e post contrattuale) si giustifi ca uni-camente in una dimensione teleologicamente orientata a garantire che una parte, ad iniziativa dell’altra, sia resa edotta in ordine a determinate circostanze riguardanti l’affare, ne segue che «la sottoscrizione autografa, come quid che rende una scrittura imputabile al soggetto dal quale promana e che tale paternità assevera, nulla ag-giunge e nulla toglie (perché inconferente rispetto alla ratio della norma)»30.

Insomma, ciò che importa ai fi ni dell’adempimento de-gli obblighi informativi è che la parte avente diritto riceva le informazioni indicate dalla legge mediante la consegna di un documento cartaceo scritto31, pur se non corredato dal-

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32 S. PAGLIANTINI, voce Neoformalismo contrattuale, cit., p. 776: «Altro-ve questo insieme, variamente denominato, di forme modulo ha un nomen iuris specifi co: Textform, secondo la rubrica del § 126b BGB. Corredo documentale, degli obblighi informativi standard facenti da corona all’atto di consumo o ad un contratto asimmetrico, può altrettanto effi cacemente sintetizzare i casi nei quali un supporto cartaceo (o elettronico) diviene lo strumento atto a compen-sare un’asimmetria cognitiva». Si aggiunga, sempre con riferimento al codice civile tedesco, che dal 2001 la Textform si posa umilmente accanto alla blaso-nata Schriftform di cui al § 126 BGB.

33 In argomento, cfr.: E. TOSI, Contratti informatici, telematici e virtua-li. Nuove forme e procedimenti formativi, cit., p. 308 ss.; G. FINOCCHIARO, Tec-niche di imputazione della volontà negoziale: le fi rme elettroniche e la fi rma digitale, in AA. VV., I contratti informatici, a cura di R. Clarizia, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, vol. 6, Torino 2007, p. 201 ss., spec. 217 s.; F. RICCI, Scritture private e fi rme elettroniche, Milano 2003, spec. p. 2 ss. e p. 193 s.; F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», Napoli 2004, p. 70 ss.; L. V.. MOSCARINI, sub art. 4, in AA. VV., For-mazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici (d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), commentario a cura di C. M. Bianca, R. Clarizia, V. Franceschelli, F. Gallo, L. V. Moscarini, A. Pace e S. Patti, in Nuove leggi civ. comm., 2000, p. 677 ss., spec. 678.

la sottoscrizione chirografa della controparte32. Null’altro. Ma se così è, può ben accreditarsi un passaggio successivo: e cioè che anche il documento informatico privo di fi rma elettronica (al pari del suo “gemello” cartaceo) può essere utilmente impiegato per osservare le prescrizioni di forma scritta ad informationem33.

Per concludere sul punto, e più in generale, si può allora affermare che col documento informatico sprovvisto di fi rma elettronica si può fare tutto quello (e soltanto quel-lo) che può essere compiuto con la formazione di un docu-mento “a stampa” non munito di sottoscrizione manuale.

3. Il documento sottoscritto con fi rma elettronica non avanzata

Seguendo la via tracciata all’inizio di questa sezione, occorre adesso passare all’analisi dei documenti informati-

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34 Tradizionalmente si fa appello al concetto di “genuinità”, «che signi-fi ca la coincidenza tra il testo attuale ed il testo legittimo del documento» (P. SCHLESINGER, La scrittura privata, in Jus, 1961, p. 447).

ci fi rmati; e, nel farlo, si procederà speditamente: eviden-ziando la quiddità delle singole fi gure forgiate dal nostro diritto positivo.

Come si è ricordato a suo luogo, il documento infor-matico sottoscritto con fi rma elettronica non avanzata (o “semplice”, o “leggera”) consente – con grado di attendibi-lità variabile, a seconda della metodologia d’identifi cazione concretamente impiegata – la verifi ca della corrispondenza tra l’autore apparente e quello reale; mentre il medesimo documento non offre particolari garanzie in ordine alla sua integrità34, in quanto non permette di appurare se i dati in esso contenuti siano stati successivamente manipolati.

All’anzidetta tipologia è dedicato l’art. 21, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale, a mente del quale «Il documento informatico, cui è apposta una fi rma elettronica [leggi: non avanzata], sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodifi cabilità».

L’interpretazione di questa disposizione è meno age-vole di quanto non sembri a tutta prima.

Di primo acchito, infatti, viene da pensare che il do-cumento informatico munito di fi rma elettronica non avan-zata sia una prova semplice, soggetta, in quanto tale, al prudente apprezzamento del giudicante. Ma, così opinan-do, si approderebbe ad una soluzione palesemente irragio-nevole sul piano delle conseguenze applicative: atteso che al documento sottoscritto con fi rma elettronica (ancorché “leggera”) si fi nirebbe per attribuire un’effi cacia proba-toria inferiore rispetto a quella riconosciuta al documento

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35 Al riguardo, cfr. A. GENTILI, Documento elettronico: validità ed effi -cacia probatoria, in AA. VV., I contratti informatici, a cura di R. Clarizia, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, vol. 6, Torino, 2007, p. 148 («l’effi cacia probatoria del documento informatico sottoscritto con fi rma elettronica non qualifi cata […] è minore di quella del documento informatico senza sottoscrizione. Questo infatti secondo la previsione dell’art. 2712 c.c. forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosce la conformità ai fatti o le cose medesi-me, altrimenti è liberamente valutabile. Mentre il documento fi rmato […] non forma piena prova nemmeno se non disconosciuto»); M. ORLANDI, Iposcritture e iperscritture, in AA. VV., I contratti informatici, cit., p. 169 ss., spec. 176 («Appare ben strano che, privo di fi rma, il documento riesca nella piena prova della verità dei fatti o delle cose rappresentati; mentre, munito di fi rma, esso non raggiunga questa effi cacia, e rimanga esposto ad una libera valutazione»); S. CAPORUSSO, Commento sub art. 170 c.p.c., in AA. VV., La riforma del pro-cesso civile, a cura di F. Cipriani e G. Monteleone, Padova 2007, p. 66 («Il paradosso […] sta nella circostanza che un documento informatico privo di fi rma elettronica fi nisce con l’avere un’effi cacia probatoria maggiore di quella riservata a un documento recante questa sottoscrizione […]. Logica vorrebbe, argomentando a fortiori, che il documento con fi rma elettronica […] vantasse per lo meno il medesimo grado di effi cacia probatoria attribuito al documento privo di sottoscrizione»).

36 In proposito, cade acconcia la seguente constatazione di P. SIRENA, La forma del documento informatico: atto pubblico e scrittura privata, in Studi e materiali – Suppl. 1/2008, p. 144: «è vero che il legislatore, in un certo senso, può fare quello che vuole, de albo nigrum, ma non può poi non muoversi in coerenza con quella stessa razionalità sistematica che esso stesso ha ritenuto di adottare».

informatico non sottoscritto35. Come a dire (per usare altre parole) che il legislatore qui avrebbe peccato contro la lo-gica stimando di meno quello che, «tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità», è sicuramente qualco-sa di più36.

Ma v’è forse un modo per risparmiare al conditor iu-ris l’umiliazione di questo «j’accuse», assumendo – come a noi pare debba farsi – che soggetta alla libera valutazione da parte del giudice è (soltanto) l’attitudine del documento in discorso a soddisfare il requisito legale della forma scrit-ta ad probationem.

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37 Può anticiparsi fi n d’ora che la disposizione sopra riportata equipara – si badi: unicamente sotto il profi lo dell’effi cacia probatoria – il documento sottoscritto con fi rma elettronica avanzata (ma non qualifi cata) a quello muni-to di fi rma digitale o altro tipo di fi rma elettronica qualifi cata.

38 Incidentalmente, si può osservare che la previsione di questa pre-sunzione di riconducibilità è da imputarsi esclusivamente ad una scelta del

4. Il documento sottoscritto con fi rma elettronica avanza-ta, ma non qualifi cata

È adesso il turno del documento sottoscritto con fi r-ma elettronica avanzata, ma non qualifi cata. Tale docu-mento – giova rammentarlo – oltre a consentire la verifi ca dell’identità del suo autore, permette di appurare se i suoi contenuti siano genuini o, al contrario, siano stati altera-ti; anche se, va aggiunto, la sottoscrizione che vi è appo-sta non è stata creata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della fi rma e/o non è basata su un certifi cato qualifi cato (com’è a dirsi, per esemplifi care, nell’ipotesi di fi rma elettronica generata con l’impiego di chiavi crittogra-fi che asimmetriche il cui collegamento con la persona del titolare sia attestato da un certifi cato elettronico rilasciato da un certifi catore “semplice”).

Ciò premesso, per quanto attiene al valore probato-rio dell’istrumento in esame, l’art. 21, comma 2, del Codice dell’amministrazione digitale stabilisce che il «documento in-formatico sottoscritto con fi rma elettronica avanzata37 […] ha l’effi cacia prevista dall’articolo 2702 del codice civile» ri-guardo alla scrittura privata, per poi ulteriormente disporre che «L’utilizzo del dispositivo di fi rma si presume riconduci-bile al titolare, salvo che questi dia prova contraria».

Orbene, la previsione di una presunzione iuris tantum di riconducibilità della fi rma elettronica avanzata in capo a chi risulta titolare dei mezzi necessari per crearla38 ha in-

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legislatore italiano: ciò in quanto di una presunzione siffatta non v’è traccia nella direttiva comunitaria sulle fi rme elettroniche (sulla genesi ed il signifi cato della disposizione in parola si possono leggere, con molto profi tto, le pagine del suo principale ispiratore: C. M. BIANCA, Documento digitale e atto notarile, in Studi e materiali – Suppl. 1/2008, p. 123 ss.; al riguardo, si vedano anche F. ROTA, Il documento informatico, in AA. VV., La prova nel processo civile, a cura di M. Taruffo, Milano 2012, p. 728 ss., spec. 755 ss.; F. DELFINI, Docu-mento informatico, fi rme elettroniche e funzione notarile, in AA. VV., L’atto pubblico informatico, Torino 2011, p. XVII ss., spec. XXVIII s. e S. PATTI, La sottoscrizione del documento informatico: la fi rma digitale, in Studi e mate-riali – Suppl. 1/2008, p. 127 ss., spec. 137 s.).

39 Così, F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», cit., p. 301. In questo senso, altresì, A. GENTILI, Negoziare on line dopo la riforma del codice dell’amministrazione digitale, cit., p. 354; A. CECCARINI, La prova documentale nel processo civile, Milano 2006, p. 385.

dotto a ritenere che il documento informatico in parola di-spiega un’effi cacia probatoria maggiore di quella riservata alla scrittura privata munita di sottoscrizione autografa. Di fatti: quest’ultima vale come prova privilegiata soltanto alle condizioni di cui all’art. 2702 cod. civ., e cioè se rico-nosciuta, verifi cata giudizialmente o autenticata; là dove – secondo una tesi diffusamente accreditata in dottrina – il documento con fi rma elettronica avanzata «ha di per sé va-lore di prova legale a prescindere dal riconoscimento, dalla verifi cazione o dall’autenticazione»39.

Posto quanto precede, resta da chiedersi: in che modo la sopra descritta presunzione (relativa) di riconducibilità può essere vinta?; o, in diverse parole, qual è l’oggetto del-la prova contraria che il titolare del dispositivo di fi rma ha l’onere di fornire?

Per la soluzione del quesito, la nostra dottrina muove generalmente dalla constatazione che la fi rma elettronica avanzata (e, a più forte ragione, quella qualifi cata) non può mai essere falsa, ma solo abusiva; nel senso che – in tale visuale – non è possibile disconoscerne l’autenticità (essendo il nesso tra il dispositivo di fi rma ed il suo titola-

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40 Cfr.: A. GENTILI, Negoziare on line dopo la riforma del codice dell’am-ministrazione digitale, cit., p. 354; ID., La forma, in AA. VV., Lezioni sul con-tratto raccolte da A. Orestano, Torino 2009, p. 88; G. FINOCCHIARO, Ancora novità legislative in materia di documento informatico: le recenti modifi che al Codice dell’amministrazione digitale, cit., p. 501 s.; A. GRAZIOSI, voce Do-cumento informatico (dir. proc. civ.), in Enc. Dir. – Annali, vol. II, tomo II, Milano 2008, p. 491 ss., spec. 501.

41 A. GENTILI, Negoziare on line dopo la riforma del codice dell’ammi-nistrazione digitale, cit., p. 355: «Il Codice dell’amministrazione digitale […] addossa al titolare del dispositivo di fi rma che genera la fi rma digitale (ma altrettanto vale in via analogica e secondo i principi per il dispositivo e i codi-ci che caratterizzano la fi rma avanzata) il dovere di assicurarne la custodia, utilizzarlo personalmente, adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno ad altri. Ne segue la responsabilità per i pregiudizi a terzi che il titolare con l’ordinaria diligenza avrebbe potuto evitare. E quindi il risarcimento del danno».

re inoppugnabilmente attestato dal prestatore di servizi di certifi cazione), ma solo contestarne l’abusiva apposizione ad opera di un terzo che abbia indebitamente usato il di-spositivo di fi rma.

Al lume di questa premessa, quindi, si è inclini a rite-nere che oggetto della prova contraria sia la dimostrazione del fatto che il dispositivo di fi rma è stato utilizzato – invito domino – da persona diversa dal titolare40.

E tanto basta, secondo questo modo di vedere, affi n-ché al titolare non siano imputati gli effetti dell’atto; men-tre non è suffi ciente (soggiunge uno dei più coscienti cultori di questa materia) a porre il titolare al riparo da eventuali responsabilità.

Più precisamente, considerando che «Il titolare del certifi cato di fi rma è tenuto ad assicurare la custodia del dispositivo di fi rma», ad utilizzarlo personalmente «e ad adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno ad altri» (art. 32, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale), se ne deduce l’obbligo dello stesso titolare di risarcire i pregiudizi sofferti dal terzo che abbia fatto legittimo affi damento nell’effi cacia dell’atto41.

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42 Diversamente opinando al certifi catore si attribuirebbe un credito che, a ben vedere, il nostro ordinamento non accorda neppure al notaio.

43 Tanto più, poi, se si considera che l’accesso al mercato dei servizi di certifi cazione è libero e non necessita di preventiva autorizzazione.

44 Quanto possa essere insidiosa, in concreto, l’operazione diretta ad identifi care qualcuno con certezza è comprovato dalla frequenza (sorprenden-te agli occhi del profano) con cui i notai sono stati chiamati a rispondere in sede giudiziale – sia civile sia penale – dell’errato e/o infedele accertamento dell’identità del comparente costituito in atto.

Sull’esattezza di queste conclusioni è, però, possibile avanzare più di un dubbio.

Il primo investe la premessa maggiore del ragiona-mento appena riferito: e cioè che la fi rma elettronica avan-zata (ed il pensiero quasi meccanicamente s’orienta verso quella generata e verifi cata con l’impiego di chiavi critto-grafi che asimmetriche) non può mai essere falsa, in quanto l’associazione biunivoca tra i mezzi necessari per apporla (il dispositivo di fi rma) e la persona del titolare risulta – ab externo – garantita dall’attestazione di un prestatore di servizi di certifi cazione.

Ma un’affermazione siffatta, si chiosa, poggia su un duplice presupposto: una presunzione assoluta d’infalli-bilità ed un’altra, del pari assoluta, di onestà del certifi -catore42.

Entrambi i postulati, però, non reggono al confronto con la realtà43, soprattutto con la realtà degli uomini i qua-li – come l’esperienza insegna – sono sempre fallibili e non sempre onesti.

Ed infatti, non può escludersi a priori che il certifi -catore “intitoli” una chiave pubblica ad un soggetto erro-neamente identifi cato sulla base di un documento d’iden-tità falso44. Come pure, non può scartarsi l’evenienza che un certifi catore disonesto crei “con coscienza e volontà” un’intitolazione non veritiera.

Tant’è che il legislatore penale si è già attrezzato per

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45 Per l’analisi della fattispecie incriminatrice si rinvia allo studio di L. PICOTTI, La ratifi ca della Convenzione Cybercrime del Consiglio d’Europa. Profi li di diritto penale sostanziale, in Dir. pen. e proc., 2008, p. 696 ss., spec. 705: «si tratta […] di un reato comune, realizzabile da chiunque rilasci al cer-tifi catore una “dichiarazione” od “attestazione” falsa ideologicamente (perché non veridica) o materialmente (perché non genuina) sull’identità o lo stato o altre qualità personali». In argomento, altresì: A. D’ANDREA, Falsa dichiara-zione o attestazione al certifi catore di fi rma elettronica sull’identità o sulle qualità personali proprie o di altri (art. 495 bis), in AA. VV., I delitti contro la fede pubblica e l’economia pubblica, Torino 2010, p. 589 ss.; M. SCOLETTA, Il nuovo regime penale delle falsità informatiche, in AA. VV., Sistema pena-le e criminalità informatica, a cura di Lupária, Milano 2009, p. 3 ss., spec. 23 («Nonostante il diverso valore probatorio legalmente attribuito alle diverse tipologie di fi rma elettronica, sono indiscriminatamente e analogamente tute-late dalla nuova fattispecie penale le dichiarazioni rivolte a tutti i certifi catori, siano essi semplici, qualifi cati o accreditati»); C. VALIA, La Convenzione d’Eu-ropa sulla criminalità informatica fi rmata a Budapest il 23 novembre 2001, in Studi e materiali – Suppl. 1/2008, p. 159 ss.

46 M. SCOLETTA, Il nuovo regime penale delle falsità informatiche, cit., p. 28 s.: «questo precetto è rivolto direttamente ed esclusivamente ai soggetti certifi catori, secondo lo schema dei reati ‘propri’, con l’ulteriore limitazione soggettiva ai certifi catori abilitati al “rilascio di un certifi cato qualifi cato”, cioè i certifi catori “qualifi cati” […] e quelli “accreditati” […]. Rimangono pertan-to sguarnite di tutela le condotte illecite dei certifi catori ‘comuni’, a meno che – ricorrendone gli elementi tipici – non siano sussumibili nei reati di falsità dei privati o […] nei reati comuni contro il patrimonio». Cfr. anche M. GROTTO, Reati informatici e Convenzione Cybercrime. Oltre la truffa e la frode infor-matica: la «frode del certifi catore», in Dir. inf., 2009, p. 139 ss.

fronteggiare ipotesi di questo tipo con la previsione di due nuove fi gure delittuose: la prima colpisce la condotta di co-lui che «dichiara o attesta falsamente al soggetto che presta servizi di certifi cazione delle fi rme elettroniche l’identità o lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona» (art. 495-bis cod. pen.)45; la seconda, diversamente dalla prima, si confi gura come un reato proprio del fornitore di «servizi di certifi cazione di fi rma elettronica, il quale, al fi ne di procurare a sé o ad altri un ingiusto profi tto ov-vero di arrecare ad altri danno, viola gli obblighi previsti dalla legge per il rilascio di un certifi cato qualifi cato» (art. 640-quinquies cod. pen.)46.

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47 Ma lo stesso è a dirsi per la fi rma elettronica qualifi cata e per quella digitale che – come si è detto a suo luogo – costituiscono delle sottospecie di fi rma elettronica avanzata.

48 In altre parole si può dire che la falsità della fi rma elettronica avanza-ta è la conseguenza rifl essa (a valle) di una falsa intitolazione (a monte).

49 Sulla diffi coltà di applicare d’emblée le norme dettate in materia di disconoscimento e di verifi cazione della scrittura privata alla documentazione elettronica, «soprattutto in ragione della diversa modalità attraverso la quale si determina la paternità del documento» informatico, cfr. F. ROTA, Il docu-mento informatico, cit., p. 757.

Ce n’è abbastanza per poter sensatamente sostenere che la fi rma elettronica avanzata47 non è sempre vera, e, conseguentemente, che possa essere disconosciuta dall’ap-parente sottoscrittore contestando – senza necessità di esperire la querela di falso – la corrispondenza tra il certi-fi cato ed il soggetto cui fa riferimento.

Come si vede, si tratta di un disconoscimento sui gene-ris che ha ad oggetto immediato e diretto l’intitolazione; ov-vero (quasi sempre), la formale associazione tra una chiave pubblica ed il suo titolare ad opera del certifi catore48.

Sennonché, occorre avvertirlo, il Codice dell’ammini-strazione digitale mostra di sottovalutare un’eventualità di tal genere e non detta – come invece sarebbe stato opportu-no – una disciplina ad hoc che regoli le modalità e le forme di questa peculiare tipologia di disconoscimento della pa-ternità del documento informatico sottoscritto.

Naturale domandarsi, allora, se questa lacuna possa essere colmata (per analogia e nei limiti della compatibili-tà) facendo appello alle disposizioni regolanti il disconosci-mento e la verifi cazione della scrittura privata49.

A tal uopo conviene procedere per gradi. Interrogan-dosi, anzitutto, sulla sorte del documento informatico mu-nito di fi rma elettronica avanzata allorché la parte contro la quale è stato prodotto eccepisca la falsità dell’intitola-zione.

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50 In giurisprudenza è frequente l’affermazione a tenore della quale «nel procedimento di verifi cazione della scrittura privata, il giudice di merito […] ha il potere - dovere di formare il proprio convincimento sulla base di ogni […] elemento di prova obiettivamente conferente […] senza essere vincolato ad alcuna graduatoria fra le varie fonti di accertamento della verità» (così, Cass. 20 aprile 2007, n. 9523; Cass. 20 maggio 2004, n. 9631; Cass. 1 marzo 2002, n. 3009; Cass. 17 dicembre 1999, n. 14227).

51 In concreto, tuttavia, potrebbe risultare problematico formulare l’istanza di esibizione in modo tale da soddisfare il requisito della «specifi ca indicazione» della res exhibenda così come richiesto dall’art. 94 disp. att. c.p.c. . Tra i contributi più recenti in materia di esibizione documentale cfr.: D. VOLPINO, L’acquisizione dei documenti, in AA. VV., La prova nel processo civile, a cura di Taruffo, Milano 2012, p. 777 ss., spec. 809 ss.; B. FICCARELLI, Esibizione di documenti e discovery, Torino 2004, spec. 233 ss.; A. GRAZIOSI, L’esibizione istruttoria nel processo civile, Milano 2003.

Orbene – similmente a quanto avviene per la scrit-tura privata disconosciuta – non è azzardato ritenere che nell’ipotesi ivi considerata il documento perde qualsiasi at-titudine probatoria divenendo, per conseguenza, inutiliz-zabile ai fi ni della decisione. Ragion per cui, se la parte che lo ha prodotto intende comunque avvalersene, su di essa incomberà l’onere di provare la veridicità dell’associazio-ne tra il certifi cato ed il soggetto cui fa riferimento.

Si dirà: ma come?Argomentando dall’art. 216 c. p. c. (in cui è detto che

«La parte che intende valersi della scrittura disconosciu-ta deve chiederne la verifi cazione proponendo i mezzi di prova che ritiene utili»)50, è lecito arguire che anche nel caso in esame possano essere proposti tutti i mezzi istrutto-ri considerati idonei allo scopo di dimostrare l’autenticità dell’intitolazione. Per quanto, in considerazione del quid proprium dell’imputazione digitale, non avrebbe alcuna utilità avvalersi di una consulenza calligrafi ca; mentre, sicuramente più appropriato sarebbe chiedere al giudice di ordinare al certifi catore (terzo estraneo alla controver-sia) l’esibizione in giudizio dei documenti comprovanti la corretta identifi cazione della persona che ha fatto richiesta della certifi cazione51.

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52 La questione non è di poco conto se si considera che, in generale, l’or-dinamento (quantomeno testualmente) non contempla alcuna conseguenza per l’ipotesi in cui a non ottemperare all’ordine di esibizione disposto dal giudice sia il terzo. Al riguardo, cfr. D. VOLPINO, L’acquisizione dei documenti, p. 855 ss., spec. 867; F. P. COMOGLIO, Le prove civili, p. 781 ss., spec. 784; B. FICCA-RELLI, Esibizione di documenti e discovery, p. 279 ss.

53 Sulle fattispecie di responsabilità presunta si veda, per tutti, M. COMPORTI, Fatti illeciti: le presunzioni di responsabilità (artt. 2044-2048), in Commentario Schlesinger diretto da F. D. Busnelli, Milano 2002, spec. p. 140 ss.

54 Dunque – e stando alla “prima lettura” della legge – l’enunciato nor-mativo sembrerebbe confi gurare un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale nella quale può incorrere il certifi catore verso i terzi danneggiati. Ma se così fosse, si tratterebbe di un’ipotesi eccezionale nella quale – per esplicita previ-sione legislativa – assumerebbe rilevanza ex lege Aquilia un danno meramente patrimoniale (id est: una perdita economica “secca”, non mediata dalla lesio-

A ciò si aggiunga, per completezza, che l’eventuale inottemperanza all’ordine di esibizione o, del pari, l’esi-bizione di documenti rivelatisi inadatti all’accertamento della veridicità dell’intitolazione, non resterebbe priva di conseguenze (negative, s’intende) per il certifi catore52. E infatti, la parte che abbia visto frustrato il proprio affi da-mento sull’autenticità del documento informatico prodotto in giudizio e che, per questo, subisca un pregiudizio, potrà in seguito far valere la responsabilità civile del prestatore di servizi di certifi cazione. In ciò peraltro facilitata, sul piano processuale, dalla previsione di un’apposita fattispecie di responsabilità presunta53. Il riferimento è, precisamente, a quanto stabilisce l’art. 30, comma 2, del Codice dell’ammi-nistrazione digitale, che così recita: «Il certifi catore che ri-lascia al pubblico un certifi cato qualifi cato o che garantisce al pubblico l’affi dabilità del certifi cato è responsabile, se non prova d’aver agito senza colpa o dolo, del danno cagio-nato a chi abbia fatto ragionevole affi damento: a) sull’esat-tezza e sulla completezza delle informazioni necessarie alla verifi ca della fi rma in esso contenute […]; d) sull’adempi-mento degli obblighi a suo carico previsti dall’articolo 32»54

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ne di una situazione giuridica soggettiva); a prescindere, quindi, dal requisito della “ingiustizia” del danno. Non può escludersi, tuttavia, una diversa chia-ve di lettura: e cioè che la fattispecie possa essere ricondotta nell’alveo della responsabilità contrattuale da violazione di obblighi di protezione connessi alla titolarità di uno status professionale (nella specie: quello di “prestatore di servizi di certifi cazione”). Riguardo ad un’ipotesi per molti versi affi ne, e precisamente in materia di «responsabilità del notaio nei confronti del terzo subacquirente che, a causa della nullità dell’atto pubblico rogato, abbia subito dei danni», cfr. S. BRANDANI, L’indagine della volontà delle parti ex art. 47, ultimo comma, legge notarile e la scrittura privata autenticata, in Riv. not., 2012, p. 587.

55 È facile osservare che la formulazione della disposizione sopra ripor-tata (art. 32, comma 3, lett. a del Codice dell’amministrazione digitale) rie-cheggia il costrutto dell’art. 49 l. not., a tenore del quale «Il notaio deve essere certo dell’identità personale delle parti […]». In questa sede vale inoltre ri-cordare quanto disposto dall’art. 9, comma 9, delle vigenti “Regole tecniche”, secondo cui: «Il certifi catore adotta, nel processo di personalizzazione del di-spositivo sicuro per la generazione delle fi rme, procedure atte ad identifi care il titolare di un dispositivo sicuro per la generazione delle fi rme e dei certifi cati in esso contenuti».

56 A tale conclusione si perviene arg. ex art. 32, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale, secondo cui: «Il titolare del certifi cato di fi rma è tenuto ad assicurare la custodia del dispositivo di fi rma e ad adottare tutte le

(e tra i quali, per importanza, si staglia quello di «provve-dere con certezza alla identifi cazione della persona che fa richiesta della certifi cazione»)55.

Ma al di là di queste ipotesi “estreme” (in cui si pone in discussione nientemeno che la veridicità dell’intitolazio-ne), si vuole segnalare come la dimostrazione del fatto che il dispositivo di fi rma è stato utilizzato – invito domino – da persona diversa dal titolare non è di per sé suffi ciente a sottrarsi agli effetti dell’atto; mentre, ove il titolare intenda evitare che tali effetti gli siano imputati, questi avrà l’onere di provare: a) che l’abuso del terzo è avvenuto nonostante l’impiego della dovuta diligenza nella custodia del disposi-tivo di fi rma; e inoltre, b) che nella specie erano stati im-piegati accorgimenti tecnici ed organizzativi ritenuti idonei – alla stregua di una valutazione ex ante – ad evitare l’ap-posizione non autorizzata della fi rma56.

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IL VALORE GIURIDICO DEI DOCUMENTI INFORMATICI 165

misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno ad altri; è altresì te-nuto ad utilizzare personalmente il dispositivo di fi rma». Ma non solo. Diverse disposizioni (sia del Codice sia delle vigenti “Regole tecniche”) impongono al titolare l’onere di richiedere tempestivamente la revoca dei certifi cati relativi a dispositivi di cui abbia perduto il possesso, o di cui abbia il ragionevole dubbio che siano stati usati abusivamente da persone non autorizzate; e che – precisa l’art. 21, comma 3, del Codice dell’amministrazione digitale – soltanto l’appo-sizione di una fi rma elettronica «basata su un certifi cato elettronico revocato» non ha effetto ed «equivale a mancata sottoscrizione».

57 Comma aggiunto dalla lett. b, comma 1, dell’art. 14 del d. lgs. n. 235 del 2010.

Va da sé, pertanto, che la «prova contraria» richiesta dall’art. 21, comma 2, del Codice dell’amministrazione di-gitale è particolarmente rigorosa: essa si approssima, pur senza raggiungerla, a quella del fortuito.

Tutto ciò detto circa il valore probatorio del docu-mento informatico sottoscritto con fi rma elettronica avan-zata (ma non qualifi cata), resta da chiarire quale sia la sua effi cacia sostanziale.

Il che è possibile con (relativo) agio rendendo esplicita una norma implicita nel dettato dell’art. 21, comma 2-bis, del Codice dell’amministrazione digitale57.

Più nel dettaglio, secondo quanto previsto dal comma 2-bis: «le scritture private di cui all’articolo 1350, primo comma, numeri da 1 a 12, del codice civile, se fatte con do-cumento informatico, sono sottoscritte, a pena di nullità, con fi rma elettronica qualifi cata o con fi rma digitale». Del-la disposizione riportata, e per quel che interessa in questo frangente, fa spicco un dato: e cioè il mancato riferimento al numero 13 dell’art. 1350 cod. civ.; ovvero a «gli altri atti» a forma vincolata (id est: diversi ed ulteriori rispetto a quelli contemplati nei primi dodici numeri dell’art. 1350) «specialmente indicati dalla legge».

La circostanza ora descritta è altamente signifi cativa ed autorizza ad inferire la regola secondo cui la redazione di un documento informatico munito di fi rma elettronica

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58 In questo senso: A. GENTILI, Negoziare on line dopo la riforma del co-dice dell’amministrazione digitale, cit., p. 354; G. FINOCCHIARO, Ancora novità legislative in materia di documento informatico: le recenti modifi che al Codice dell’amministrazione digitale, cit., p. 503; G. LA MARCA, Il requisito della for-ma scritta “informatica” dopo il D. Lgs. n. 235/2010, in www.iureproprio.org, 2011, p. http://www.iureproprio.org/it/archives/1910#comment-1007.

59 In questo senso, S. PAGLIANTINI, La modifi cazione unilaterale del con-tratto asimmetrico secondo la Cassazione (aspettando la Corte di giustizia), in Contratti, 2012, p. 165 ss., spec. 173.

Sul punto, con ordinanza del 18-30 aprile 2012, si è altresì pronunciato il Tribunale di Catanzaro. L’interesse maggiore della decisione sta nell’affer-mazione secondo cui ai fi ni della specifi ca approvazione scritta di una clausola

avanzata (ma non qualifi cata), soddisfa il requisito della forma scritta ad substantiam nei soli casi rientranti nel perimetro di applicazione dell’art. 1350, numero 13, del codice civile58.

Ciò signifi ca, in pratica e in breve, che la formazione di un documento di questo tipo non vale a perfezionare va-lidamente: a) atti che incidono su diritti reali immobiliari costituendoli, trasferendoli, modifi candoli o estinguendoli (art. 1350, nn. 1-6); b) contratti di anticresi (art. 1350, n. 7); c) contratti di locazione di beni immobili aventi durata ultranovennale (art. 1350, n. 8); d) contratti di società o di associazione che conferiscono il godimento di immobi-li per durata ultranovennale o indeterminata (art. 1350, n. 9); e) atti che costituiscono rendite perpetue o vitalizie (art. 1350, n. 10); f) contratti di divisione immobiliare (art. 1350, n. 11); g) transazioni che hanno ad oggetto contro-versie relative a rapporti giuridici menzionati nei nn. 1-11 (art. 1350, n. 12).

Diversamente (senza pretendere di stenderne un elen-co completo) il documento in questione può essere utilmen-te impiegato per la pattuizione di interessi superiori al tas-so legale (art. 1284, comma 3, cod. civ.); per la specifi ca ap-provazione di clausole vessatorie (art. 1341, comma 2, cod. civ.)59; per la stipulazione di un patto di non concorrenza

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IL VALORE GIURIDICO DEI DOCUMENTI INFORMATICI 167

vessatoria contenuta in un modulo contrattuale on line occorre (stando alla “prima lettura” della motivazione) l’utilizzazione della fi rma digitale da parte dell’aderente. Più nel dettaglio, l’argomentazione – detersa da alcuni obiter ed integrata con qualche sottinteso – si snoda lungo i seguenti passaggi angolari. Primo. La «clausola intitolata “Abuso di eBay” contenuta nell’Accordo per gli utenti (documento disciplinante le condizioni generali di contratto) […], in base alla quale: “se ebay ritiene che un utente abbia compiuto azioni che possa-no comportare problemi, responsabilità legali o che tali azioni siano contrarie alle proprie regole, potrà, a mero titolo esemplifi cativo, limitare sospendere o interrompere i servizi e l’account dell’utente, vietare l’accesso al sito, ritar-dare o eliminare i contenuti salvati e prendere provvedimenti tecnici e legali per impedire a tale utente di accedere al sito”» va qualifi cata «come clausola attributiva di un potere di recesso» a tutto vantaggio del predisponente. Se-condo. Le clausole che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, la facoltà di recedere dal contratto rientrano nell’arco d’applicazione dell’art. 1341, comma 2 cod. civ. e, pertanto, non hanno effetto nei confronti dell’ade-rente se non sono specifi camente approvate per iscritto. Terzo. La specifi ca approvazione scritta di una clausola vessatoria contenuta in un modulo on line richiede l’uso della fi rma digitale. Quarto. Nel caso particolare, la mancata specifi ca approvazione della clausola vessatoria contenuta nel modulo on line trae seco la conseguenza della sua ineffi cacia nei confronti della parte aderen-te e/o non predisponente. Quinto. Ad litteram: «Mancando il requisito della specifi ca sottoscrizione, appare superfl uo addentrarsi nella problematica […] della suffi cienza della fi rma digitale debole a soddisfare il requisito della forma scritta». Sul quinto ed ultimo punto conviene brevemente fermare l’attenzio-ne. L’impiego dell’equivoca dizione “fi rma digitale debole” (?), a rifl etterci, costituisce il classico lapsus linguae che rivela come l’estensore dell’ordinanza in esame non abbia impiegato l’espressione “fi rma digitale” in senso tecnico (ossia come peculiare tipologia di fi rma elettronica “forte” – ed anzi, “fortis-sima” – generata mediante l’uso di chiavi crittografi che asimmetriche, basata su un certifi cato qualifi cato e caratterizzata da ulteriori specifi che tecniche), sibbene come sinonimo di “fi rma elettronica” la quale, questa sì, può essere sia “debole” sia “forte” (rectius: non avanzata, avanzata o qualifi cata). A tirar le somme, dunque, si dovrebbe concludere questo: il Tribunale di Catanzaro, dopo aver ribadito la necessità della specifi ca sottoscrizione della clausola ves-satoria contenuta in un modulo on line, non ha (scientemente) preso posizione in ordine alla tipologia di fi rma elettronica necessaria ai fi ni dell’assolvimento dell’onere formale. Va semmai soggiunto – a mo’ di chiosa – che proprio la scarsa diffusione dei mezzi necessari per la generazione delle fi rme elettroniche (soprattutto di quelle avanzate e qualifi cate), ha fi nito per rivitalizzare l’asfi t-

che limita l’attività del dipendente per il periodo successivo alla fi ne del rapporto di lavoro (art. 2125, comma 1, cod. civ.); per la conclusione di locazioni abitative infranoven-

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tico meccanismo di tutela disegnato dall’art. 1341, comma 2, cod: civ.: vale a dire, la diffi coltà tecnica di soddisfare il requisito di forma in parola è oggi di tale ostacolo alla negoziazione on line da indurre, in concreto, il predisponen-te a rinunciare d’imporlo all’aderente. Circostanza tanto più signifi cativa per i contratti stipulati tra professionisti in un contesto di asimmetria di potere contrattuale – qual era quello da cui la controversia ha tratto scaturigine - ai quali non si applica la disciplina di protezione dettata (prevalentemente) dal codice del consumo.

Della possibilità di provvedere alla specifi ca sottoscrizione di clausole vessatorie on line attraverso il metodo del c.d. “point and clik” dubitano, e a ragione, I. P. CIMINO, Sospensione ingiustifi cata dell’account di vendita ed inadempimento di eBay, in Contratti, 2011, p. 351 ss., spec. 357; E. BATTELLI, Contrattazione e condizioni generali di contratto nell’e-commerce, in Contrat-ti, 2010, p. 191 ss.; G. CASSANO, Le condizioni generali di contratto, in AA. VV., I contratti informatici, cit., p. 281 ss., spec. 304 ss.; D. MINUSSI, Ripro-duzione di un documento informatico e clausole vessatorie, in Dir. Internet, 2006, p. 445 ss.

60 Cosicché, per concludere validamente un contratto di locazione abi-tativa infranovennale (art. 1350, n. 13, cod. civ.) è suffi ciente – come si già è accennato – un documento informatico sottoscritto con fi rma elettronica avan-

nali (art. 1, comma 4, della l. n. 431 del 1998); per la reda-zione di contratti relativi alla prestazione dei servizi d’in-vestimento (art. 23, comma 1, t.u.f.); per la formazione di un contratto di affi liazione commerciale (art. 3, comma 1, della l. n. 129 del 2004); e via dicendo.

5. Il documento sottoscritto con una fi rma digitale o altro tipo di fi rma elettronica qualifi cata

Per quanto già esposto nel precedente paragrafo, po-che proposizioni bastano ad esaurire il discorso riguardo al documento sottoscritto con una fi rma digitale o altro tipo di fi rma elettronica qualifi cata. Ed infatti, esso ha la medesima effi cacia probatoria del documento munito di fi rma avanzata, ma non qualifi cata; mentre, trascorrendo sul piano degli effetti sostanziali, esso soddisfa il requisito della forma scritta ad validitatem anche nelle ipotesi con-template ai numeri 1-12 dell’art. 1350 cod. civ.60.

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IL VALORE GIURIDICO DEI DOCUMENTI INFORMATICI 169

zata, ma non qualifi cata; invece, per stipulare in forma elettronica un contrat-to di locazione ultranovennale (art. 1350, n. 8, cod. civ.) è necessaria – quan-tomeno – la redazione di un documento informatico munito di fi rma digitale o altro tipo di fi rma elettronica qualifi cata.

61 Sotto questa “etichetta” si è soliti ricomprendere tutti quei casi nei quali l’adozione di una forma determinata è prescritta dalla legge per un fi ne diverso dalla forma o dalla prova. Come bene altri ha osservato, «non siamo di fronte ad atti che se non hanno rispettato una certa forma non vincolano, o che non valgano a dimostrare ciò che il loro contenuto attesta, ma ad atti che, non risultando regolari, non integrano perfettamente la fattispecie legale e quindi non ne determinano tutte le conseguenze» (A. GENTILI, La forma, cit., p. 82 s.). Al tema hanno dato contributi fondamentali, ancorché risalenti: M. GIORGIANNI, voce Forma degli atti (diritto privato), cit., p. 988 ss., spec. 997 ss.; A. GENOVESE, Le forme integrative e le società commerciali irregolari, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1948, p. 119 ss.; F. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, 2ª ed., Roma 1946, spec. p. 311 ss.

Da notare, però, che vi è un caso – rientrante nell’uni-verso spurio delle forme ad regularitatem61 – in cui si as-siste ad un’incrinatura del parallelismo tra documento informatico munito di fi rma digitale (o altro tipo di fi rma elettronica qualifi cata) e scrittura privata non autenticata, a tutto vantaggio del primo sulla seconda. Espresso in ter-mini diversi, un po’ rozzi, ciò signifi ca che esiste un’ipotesi nella quale con il documento informatico provvisto di fi rma digitale “si può fare” quello che al suo omologo cartaceo è invece precluso.

Il discorso così sollecitato può muovere dalla semplice osservazione del dato normativo. Per cominciare, dall’art. 2470, comma 2, cod. civ. . Da tale disposizione emerge che (solo) ai fi ni del deposito presso l’uffi cio del registro delle imprese dell’atto di trasferimento delle quote di partecipa-zione di società a responsabilità limitata è richiesta la “for-ma minima” della scrittura privata autenticata. A siffatta previsione, si è poi affi ancato l’art. 36, comma 1-bis, del d. l. 25 giugno 2008, n. 112, secondo cui: «L’atto di trasferi-mento di cui al secondo comma dell’articolo 2470 del codice

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62 Ai sensi dell’art. 31, comma 2-quater, della l. 24 novembre 2000, n. 340, sono intermediari abilitati gli iscritti all’albo dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali.

63 La l. 28 gennaio 2009, n. 2, di conversione del d. l. 29 novembre 2008, n. 185, ha aggiunto all’art. 16 del suddetto decreto i commi 12-quater e se-guenti, per effetto dei quali è stato soppresso il libro dei soci delle società a responsabilità limitata. Oggi, pertanto, la funzione di attestare la qualità di so-cio e quella di consentire l’opponibilità dei trasferimenti è svolta, unicamente, dal registro delle imprese. Su questo punto si veda la chiara trattazione di G. PETRELLI, La soppressione del libro soci delle s.r.l., in Società, 2009, p. 425 ss.

64 Questo sistema, apparentemente bizzarro, corrisponde ad una precisa volontà politica: quella di consentire il coinvolgimento di fi gure professionali diverse dal notaio nell’esecuzione delle formalità pubblicitarie presso il regi-stro delle imprese.

civile può essere sottoscritto con fi rma digitale, […] ed è depositato, entro trenta giorni, presso l’uffi cio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede so-ciale, a cura di un intermediario abilitato»62.

Il combinato disposto delle due disposizioni delinea un quadro di certo singolare. E così, posto che il deposito costi-tuisce un onere per rendere opponibile il trasferimento nei confronti della società63, ne esce che esso può essere assolto secondo due distinte modalità. La prima, quella tradizio-nale, consiste nel deposito (come minimo) di una scrittura privata autenticata a cura del notaio autenticante. La se-conda, introdotta nel 2008 in un’ottica di semplifi cazione, consiste nel deposito – per il tramite di un commercialista abilitato – di un documento informatico sottoscritto con la fi rma digitale delle parti.

Al che si giunge a questo esito: titolo idoneo al deposi-to è sia il documento analogico sia quello informatico; se è analogico, deve trattarsi di una scrittura privata autentica-ta da notaio; se è informatico, è suffi ciente un documento munito di fi rma digitale. L’asimmetria è evidente.64

La conclusione testé formulata, trova fra l’altro, vi-gorosa conferma in una norma di interpretazione autenti-

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65 La disposizione richiamata trova sponda nell’art. 47 bis, comma 2, l. not. (aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. c, del d. lgs. 2 luglio 2010, n. 110), a mente del quale: «L’autenticazione di cui all’articolo 2703, secondo com-ma, del codice civile, è regolata, in caso di utilizzo di modalità informatiche, dall’articolo 25 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82».

ca: quella contenuta nell’art. 14, comma 8, della legge 12 novembre 2011, n. 183, che così dispone: «Il comma 1-bis dell’articolo 36 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modifi cazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, deve intendersi nel senso che l’atto di trasferimen-to delle partecipazioni di società a responsabilità limitata ivi disciplinato è in deroga al secondo comma dell’articolo 2470 del codice civile ed è sottoscritto con la fi rma digitale di cui all’articolo 24 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82».

6. Il documento con fi rma elettronica autenticata

Quinta specie di documento informatico – prevista dalla legislazione domestica, pur se ignorata dalla direttiva comunitaria – è quella del documento munito di fi rma elet-tronica autenticata dal notaio o da altro pubblico uffi ciale autorizzato dalla legge ad attribuirgli pubblica fede.

E così, nel dichiarare che «Si ha per riconosciuta, ai sensi dell’art. 2703 del codice civile, la fi rma elettronica […] autenticata», l’art. 25 del Codice dell’amministrazio-ne digitale equipara (in tutto, e per tutto) l’istrumento in discorso al tipo cartaceo corrispondente65.

Dall’enunciata equiparazione discendono numerose conseguenze, che non è inutile enumerare.

Anzitutto, è perfi no troppo ovvio rilevare che la re-dazione di un documento informatico con fi rma elettronica autenticata vale a perfezionare validamente (anche) quei negozi per il quali la legge richiede la “forma minima” della

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66 Cfr. S. PAGLIANTINI, Atti che devono farsi per iscritto (sub art. 1350 c.c.), in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Dei contratti in generale, a cura di E. Navarretta e A. Orestano, vol. II (artt. 1350 – 1386), Torino 2011, p. 111.

67 Sul punto si tornerà nel prossimo paragrafo, ma può anticiparsi fi n d’ora che in attesa dell’emanazione dei decreti attuativi che dovranno defi nire le regole tecniche per l’organizzazione della struttura centralizzata deputata all’archiviazione dei documenti notarili informatici, è al momento inibita la possibilità di ricevere o autenticare atti in forma elettronica che siano soggetti a conservazione obbligatoria nella raccolta del notaio; mentre, sin d’ora, posso-no essere redatti documenti notarili informatici suscettibili di essere rilasciati alle parti in originale. Più nello specifi co, per quanto attiene al documento informatico con fi rma elettronica autenticata, è bene segnalare che allo stato non possono essere autenticate – appunto perché soggette a raccolta – scritture digitali idonee ad essere riportate nei registri immobiliari o nel registro delle imprese (arg. ex art. 72, comma 3, l. not.). Di tal che, volendo scendere al con-creto, non sono autenticabili documenti informatici concernenti beni immobili e suscettibili di trascrizione, iscrizione ipotecaria o annotazione; e, del pari, non possono esserlo quelli relativi ad atti costitutivi di società di persone o alla loro modifi cazione. Sul punto cfr. B. BOVE, Appunti sull’autenticazione delle sottoscrizioni, in Vita not., 2011, p. 1737 ss., spec. 1766.

«scrittura privata autenticata». Si pensi, a modo di esem-pio, alla procura rilasciata da un coniuge a favore dell’al-tro al fi ne di consentirgli – in caso di lontananza o di altro impedimento – il compimento disgiunto di atti di straordi-naria amministrazione sui beni della comunione legale (art. 182, comma 1, cod. civ.); o, ancora, all’atto di designazione anticipata dell’amministratore di sostegno fatto ad opera dello stesso benefi ciario «in previsione della propria even-tuale futura incapacità» (art. 408, comma 1, cod. civ.).

Inoltre, e sempre in virtù dell’equivalenza con il suo omologo di carta, il documento informatico in esame co-stituisce titolo formale idoneo ad attivare i meccanismi pubblicitari66. Infatti: alla stregua dell’art. 2657 cod. civ. la trascrizione si può eseguire anche in forza di «scrittura privata con sottoscrizione autenticata»67.

E ancora, sulla base offerta dal combinato dispo-sto dell’art. 25 del Codice dell’amministrazione digitale e

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68 Riguardo all’effi cacia esecutiva della scrittura privata autenticata cfr.: G. PETRELLI, Atto pubblico, scrittura privata autenticata e titolo esecuti-vo, in Notariato, 2005, p. 542 ss.; A. SALETTI, Le (ultime?) novità in materia di esecuzione forzata, in Riv. dir. proc., 2006, p. 193 ss.; E. ASTUNI, Studio n. 236-2006/C e Studio n. 236-2006/C, Novità in materia di titolo esecutivo, in www.notariato.it .

69 E non quella, eventualmente diversa, indicata dalle parti.70 Al riguardo, è appena il caso di rammentare che l’art. 72, comma 1, l.

not. stabilisce che «L’autenticazione delle fi rme apposte in fi ne delle scritture private [...] deve contenere», tra le altre cose, l’indicazione della data e del luogo in cui le fi rme medesime furono apposte.

71 Così A. GENTILI, voce Documento informatico (diritto civile), cit., p. 655; ID., Documento elettronico: validità ed effi cacia probatoria, cit., p. 158.

dell’art. 474 c. p. c., alla scrittura informatica munita di fi rma elettronica autenticata deve riconoscersi la valenza di titolo esecutivo di natura stragiudiziale, sia pure limita-tamente alle obbligazioni pecuniarie in essa documentate68; mentre, contrariamente a quanto previsto per l’atto pub-blico, la sua effi cacia esecutiva non si estende agli obblighi di consegna o rilascio di cose determinate.

Ulteriormente, argomentando a contrariis dall’art. 2704 cod. civ. si ricava (per unanime interpretazione) che la data indicata dal pubblico uffi ciale nell’atto di autenti-cazione69 fa piena prova tra le parti e nei confronti dei terzi fi no a querela di falso70. Ne segue, allora, che il documen-to informatico autenticato ha data certa computabile ultra partes71; e ciò, si noti, indipendentemente dall’associazione di una marca temporale.

Infi ne, fondamentale: il documento informatico sotto-scritto con fi rma elettronica autenticata – al pari del suo corrispondente tradizionale – è coperto da fede privilegiata riguardo alla provenienza dello stesso da chi ne fi gura come autore. Ond’è, l’unico strumento giuridico idoneo a mette-re in discussione la veridicità di tale risultanza è la querela di falso rivolta contro l’attestazione resa dal notaio (o da altro pubblico uffi ciale autorizzato) nel corso dell’autenti-cazione.

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174 CAPITOLO II - SEZIONE III

72 La disposizione de qua è stata interamente riscritta dall’art. 17, com-ma 2, del d. lgs. n. 235 del 2010.

73 F. ROTA, Il documento informatico, cit., p. 761. In questo senso, al-tresì, A. VILLECCO BETTELLI, Il processo civile telematico, Torino 2011, p. 131; G. FINOCCHIARO, Ancora novità legislative in materia di documento informa-tico: le recenti modifi che al Codice dell’amministrazione digitale, cit., p. 503: «Possono ora essere autenticate, dal notaio o dal pubblico uffi ciale autorizza-to, anche la fi rma elettronica avanzata o addirittura la fi rma elettronica, non più soltanto la fi rma digitale o la fi rma elettronica qualifi cata. In sostanza, il notaio o il pubblico uffi ciale autorizzato potranno autenticare qualsiasi tipo di fi rma elettronica, ma solo con la loro fi rma digitale». A fronte di tale avviso si contrappone chi, rilevando che possono formare oggetto di autenticazione le sole fi rme elettroniche avanzate e la fi rma autografa acquisita digitalmente, sostiene che «solo le qualifi cate (o autografe acquisite in via digitale) potranno essere autenticate per sottoscrivere gli atti di cui ai n. 1 – 12 dell’art. 1350 c.c.» (A. GENTILI, voce Documento informatico (diritto civile), cit., p. 655).

74 I sistemi hardware e software più avanzati oltre a consentire l’acqui-sizione dell’immagine della sottoscrizione autografa permettono di registrare anche altre informazioni che valgono a contraddistinguere il gesto di ogni sin-golo sottoscrittore come, ad esempio, l’indice pressorio, il ritmo, la velocità e

Ma al di là di ogni rassegna, non devono sfuggire alla nostra attenzione alcune importanti novità insite nell’at-tuale formulazione dell’art. 25 del Codice dell’amministra-zione digitale72.

La prima è che oggetto di autenticazione non è più la sola fi rma digitale o altro tipo di fi rma elettronica qualifi -cata, ma «ogni specie di fi rma elettronica, da quella c.d. semplice a quella avanzata (quest’ultima inglobando sia la fi rma qualifi cata, sia la fi rma digitale)»73.

La seconda novità (prima per importanza) è che può formare oggetto di autentica notarile anche l’immagine di-gitale di una sottoscrizione autografa. Tale immagine po-trebbe essere tratta da una fi rma in precedenza vergata su un supporto cartaceo e poi acquisita digitalmente mediante uno scansionatore ottico (comunemente denominato scan-ner), oppure nascere direttamente in formato digitale se apposta – ad imitazione di un foglio o di altro materiale scrittorio – sullo schermo tattile di un tablet74. Ed è oppor-

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l’accelerazione impressa al tratto grafi co. Al riguardo, nel linguaggio tecnico informatico si va progressivamente accreditando l’uso dell’espressione “fi rma grafometrica”; mentre, tra coloro che scrivono di diritto, v’è chi ha ritenuto di potersi sbilanciare – incautamente a mio avviso – assumendo che una fi rma siffatta potrebbe rientrare «a pieno titolo tra le soluzioni di fi rma elettronica avanzata» (A. MASTROMATTEO e B. SANTACROCE, Validità della fi rma elettronica: la fi rma biometrica come modello operativo avanzato, in Corr. trib., 2012, p. 183 ss., spec. 187).

75 Disposizione aggiunta al corpus della legge notarile dall’art. 1, comma 1, lett. d del d. lgs. 2 luglio 2010, n. 110.

76 Conclusione che sembra essere data per scontata da G. FINOCCHIA-RO, Ancora novità legislative in materia di documento informatico: le recenti modifi che al Codice dell’amministrazione digitale, cit., p. 498: «La fi rma elet-tronica può essere una password, una fi rma autografa digitalizzata tramite scanner, così come una fi rma biometrica».

tuno anticipare, incidentalmente, che una previsione ana-loga è stata dettata anche in materia di atto pubblico infor-matico; e, precisamente, dall’art. 52-bis della legge notarile a termini del quale: «Le parti, i fi defacenti, l’interprete e i testimoni sottoscrivono personalmente l’atto […] in pre-senza del notaio con fi rma digitale o con fi rma elettronica, consistente anche nell’acquisizione digitale della sottoscri-zione autografa»75.

Orbene, la soluzione escogitata dal legislatore italiano ha dalla sua la forza della semplicità, ma talvolta la sem-plicità inganna: e, nel caso particolare, potrebbe indurre erroneamente a pensare che l’immagine digitale di una sot-toscrizione manuale sia di per sé sola – ovvero indipenden-temente dalla presenza e dall’intervento del notaio – una fi rma elettronica76.

Il tentativo di fare chiarezza sul punto implica la ne-cessità d’innalzarsi verso i cieli della “teoria giuridica del documento”; e, quindi, d’interrogarsi sulla ragione per la quale la sottoscrizione autografa – il più tradizionale tra i mezzi d’imputazione di un testo scritto alla persona del suo autore – non si addice al documento informatico.

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77 F. CARNELUTTI, Studi sulla sottoscrizione, in Riv. dir. comm., 1929, p. 509 ss., spec. 513 s.

78 Ovverosia quello che la sottoscrizione “indica” come tale.79 F. CARNELUTTI, Studi sulla sottoscrizione, cit., spec. p. 512: «al pro-

blema della indicazione dell’autore si sovrappone il problema della sua ve-rità». A tale riguardo, merita, tuttavia, rilevare che a detta di molti i due profi li dovrebbero essere tenuti distinti; e, in linea di coerenza con tale as-sunto, si è inclini a riconoscere alla sottoscrizione un’ulteriore funzione: quella probatoria.

80 F. CARNELUTTI, Studi sulla sottoscrizione, cit., spec. p. 513: «certo è […] che la sottoscrizione moderna rappresenta il residuo di una formula più complessa, la quale consisteva in una proposizione, di cui il nome dell’autore era il soggetto, e conteneva una vera attribuzione di paternità del documento: “ego N. N. subscripsi, vel feci, vel fi eri rogavi”».

A tal uopo conviene muovere da una premessa am-piamente consolidata. La seguente: il sottoscrivere, il gesto di scrivere sotto, ai piedi del documento, i segni alfabetici formanti il nome del sottoscrittore è un atto giuridicamente rilevante che adempie – stando all’insegnamento risalente, ma insuperato di Francesco Carnelutti – ad una duplice funzione: una indicativa, l’altra dichiarativa77.

Per quanto riguarda la prima, la funzione indicativa, essa sta ad evidenziare che la sottoscrizione è lo strumen-to tecnico-giuridico che consente, in caso di contestazione, di verifi care la corrispondenza tra l’autore apparente del documento78 ed il soggetto che ha apposto manualmente il segno della fi rma79.

Quanto alla seconda, la funzione dichiarativa, essa vale a porre l’accento sulla circostanza che la sottoscrizio-ne, in virtù di una convenzione semantica, signifi ca assun-zione di paternità del contenuto della scrittura sulla quale è indelebilmente impressa80.

Ma occorre aggiungere anche un’altra considerazio-ne. Il meccanismo della sottoscrizione autografa per fun-zionare, ossia per poter svolgere la funzione indicativa e quella dichiarativa, presuppone che i segni alfabetici for-

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IL VALORE GIURIDICO DEI DOCUMENTI INFORMATICI 177

81 Cfr. L. P. COMOGLIO, Le prove civili, cit., p. 453: «la sottoscrizione – nel rappresentare il trait d’union fra il documento come cosa (foglio di carta, sul quale sono incisi ad inchiostro i segni grafi ci) ed il suo autore – si incorpo-ra materialmente nel documento stesso, facendovi altresì incorporare il segno stabile di identifi cazione del sottoscrivente che se ne assume la paternità».

82 Sull’ontologica diversità tra il documento informatico e quelli più tra-dizionali sia consentito di rinviare a G. NAVONE, Il documento informatico in confronto alle altre res documentales, in Studi senesi, 2005, p. 227 ss.; in ar-gomento, da ultimo, cfr. P. TONINI, Il documento informatico: problematiche civilistiche e penalistiche a confronto, in Corriere giur., 2012, p. 432 ss.

83 Nel gergo informatico, l’espressione «copia e incolla» (copy & paste in inglese) indica la possibilità di replicare all’infi nito e senza scadimento di qualità un testo o un’immagine digitale all’interno dello stesso documento o di documenti diversi da quello sorgente.

84 Signifi cative, al riguardo, le osservazioni di F. DELFINI, Documento informatico, fi rme elettroniche e funzione notarile, cit., p. XXXII: «È noto […] che il meccanismo di fi rma digitale o elettronica qualifi cata non replica in alcun modo la sottoscrizione tradizionale: non è in alcun modo una acquisizio-ne informatica, una scansione, dei grafemi che compongono il nome e cognome vergati in modo autografo della parte. Mentre la sottoscrizione tradizionale viene apposta dalla parte sul documento, una scansione della fi rma potrebbe infatti essere apposta al documento da chiunque».

manti il nome del sottoscrittore siano fi sicamente ed inscin-dibilmente congiunti ad un unico supporto materiale e che, da esso, non possano essere separati se non a prezzo della distruzione del documento81.

Ora, ed ai fi ni della nostra particolare indagine, pre-me evidenziare che il presupposto appena descritto – im-prescindibile, si vuol ripetere, al funzionamento della fi r-ma manuale come mezzo d’imputazione – non si realizza con riguardo al documento informatico82. Tant’è che l’im-magine di una sottoscrizione autografa, una volta acquisita digitalmente, può ben essere “copiata” ed “incollata”83 in calce, in principio, o a margine di un numero (potenzial-mente) infi nito di documenti. E ciò, va detto per incidens, anche all’insaputa o addirittura contro la volontà del sog-getto che ha effettivamente tracciato il segno grafi co della fi rma84.

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85 In altri termini, essa non è una fi rma elettronica (neppure “semplice”, “leggera” o, ciò che è lo stesso, “non avanzata”). D’altro canto, se il problema dell’imputazione digitale fosse stato risolvibile apponendo sic et simpliciter ai piedi del documento l’immagine di una sottoscrizione autografa, non solo non vi sarebbe stato motivo di parlare di “crisi della sottoscrizione”, ma, con ogni probabilità, neppure si sarebbe sentito il bisogno di dettare una disciplina ad hoc in materia di documento informatico e di fi rme elettroniche.

86 Più in generale, da questo genere di percezioni distorte mette in guar-dia M. ORLANDI, Documenti virtuali e certezza del diritto, in Studi e materiali – Suppl. 1/2008, p. 3 s.: «E così si cade in quella che potremmo defi nire “trappo-la della metafora”: ossia nella semplicistica assimilazione tra rappresentazione virtuale e rappresentazione fi sica (metavirtuale). In altre parole: l’immagine (per es. fotografi ca) su una pagina cartacea è naturalmente assimilata all’iden-tica immagine restituita dallo schermo di un PC. E così siamo portati a credere che la rilevanza giuridica del fenomeno sia analoga».

87 Tra parentesi, un ordine di considerazioni analoghe vale in relazione a quanto previsto dall’art. 52-bis l. not. per l’atto pubblico informatico.

Donde il rilievo che la semplice immagine digitale di una sottoscrizione autografa – a dispetto dell’apparente so-miglianza con quella incorporata ad un determinato pezzo di carta – non offre alcuna sicurezza e, soprattutto, appare del tutto inidonea a fungere da criterio d’imputazione della paternità di un documento informatico85.

Tanto chiarito, asseverato quindi come assimilare l’immagine digitale di una fi rma alla fi rma equivale a cade-re vittima di una sorta di illusione ottica86, resta comunque da spiegare e (per quanto possibile) giustifi care l’esistenza della regola – enunciata dall’art. 25, comma 287 – secondo la quale può formare oggetto di autenticazione anche la sot-toscrizione autografa acquisita digitalmente.

Il compito non è disagevole. La ratio della norma si rende chiara se si considera che con essa il legislatore ita-liano ha inteso consentire la redazione di documenti in-formatici aventi la valenza di scritture private autenticate anche a coloro che non dispongono di una coppia di chiavi asimmetriche necessaria, come si è visto, per la generazio-

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88 Così: F. DELFINI, Documento informatico, fi rme elettroniche e fun-zione notarile, cit., p. XXXII; B. BOVE, Appunti sull’autenticazione delle sot-toscrizioni, in Vita not., 2011, p. 1737 ss., spec. 1765; F. ROTA, Il documento informatico, cit., p. 762.

89 Da notare che il notaio nell’esercizio delle sue funzioni può avvalersi unicamente della fi rma digitale (con esclusione, quindi, di ogni altra tipologia di fi rma elettronica). Di più: ai fi ni della generazione della fi rma digitale de qua possono essere utilizzate chiavi crittografi che corrispondenti ad un certifi cato elettronico qualifi cato rilasciato – in via esclusiva – dal Consiglio nazionale del notariato nella sua qualità di “certifi catore accreditato” (l’art. 23-bis l. not., con dubbia proprietà di linguaggio, impiega l’espressione «fi rma digitale […] rilasciata dal Consiglio nazionale del notariato»). Merita inoltre rimarcare che il certifi cato elettronico qualifi cato rilasciato dal Consiglio nazionale del nota-riato, oltre ai dati identifi cativi del titolare dello stesso, deve obbligatoriamente contenere informazioni relative all’iscrizione nel ruolo del notaio (art. 23-ter, comma 1, l. not.). Sul punto, cfr.: G. PETRELLI, Atto notarile informatico, cit., p. 363; C. SANDEI, L’atto pubblico elettronico, in Studium iuris, 2011, p. 459 ss., spec. 467 s.

90 Al riguardo, nella dottrina recente, cfr.: S. CHIBBARO, La formazione e sottoscrizione dell’originale informatico: norme compatibili e innovazione del D. Lgs. 110/2010, in Quaderni della Fondazione italiana per il notariato, 2011, p. 25 ss., consultabile in formato elettronico sul sito http://www.chib-baro.net («La norma si giustifi ca alla luce del fatto che, essendo tale fi rma elettronica inserita nel contesto dell’atto pubblico, è proprio l’intervento del notaio a rendere attendibile il documento come tale e non lo strumento tecnico dato dal sistema crittografi co a doppia chiave, tipico solo della fi rma digitale»); M. SALA, L’atto notarile informatico, in Immobili & proprietà, 2011, p. 40 ss. spec. 42 («Il distratto lettore che lamentasse una svista del legislatore cadrebbe

ne e la verifi ca di fi rme digitali88. Ma un punto, a scanso di possibili fraintendimenti, va sottolineato intensamen-te: l’attendibilità di questa singolare metodologia d’iden-tifi cazione dell’autore dei dati contenuti in un documento informatico poggia, esclusivamente, sulla straordinaria fi -ducia che l’ordinamento ripone nella persona del notaio; quest’ultima, infatti, apponendo la propria fi rma digitale89 ad una determinata evidenza informatica (il fi le contenente sia il testo della scrittura da autenticare sia l’immagine del-la sottoscrizione autografa) la “chiude”, o, se si preferisce, la “sigilla” e, così facendo, crea ab estrinseco il collegamen-to tra il sottoscrittore ed il documento90.

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in errore se non rilevasse che l’art. 52-bis impone che […] fi rma semplice ed acquisizione digitale di fi rma autografa debbono intervenire alla presenza del notaio che tale fatto attesta apponendo la propria fi rma digitale (e solo questo tipo di fi rma) dopo quella dei soggetti intervenuti all’atto. È la presenza del notaio, nell’assolvimento delle sue funzioni, che legittima – anzi, più corretta-mente, formalizza – l’atto»).

91 Art. 1, lett. f, del d.P.C.M. 30 marzo 2009 (c.d. “nuove” regole tec-niche).

Ne segue, allora, che la relazione tra il documento e il suo autore non è più desumibile dall’autenticità della grafi a (l’immagine digitale di una sottoscrizione autogra-fa vera potrebbe essere “incollata” ai piedi di una o più scritture elettroniche false), ma soltanto dal credito di cui il notaio gode: cosicché si può ben dire che con la pro-pria attestazione (e precisamente: «che la fi rma è stata apposta in sua presenza» previo accertamento dell’iden-tità personale del sottoscrittore), suggellata dall’uso della fi rma digitale, il notaio crea dall’esterno una correlazione univoca tra una particolare sequenza di numeri in codice binario (quella di cui il documento informatico – tradot-to in essenza – si compone) ed il soggetto che l’immagine digitalizzata della sottoscrizione autografa indica come autore del documento.

Qui, a rifl etterci, il notaio svolge una funzione per certi versi analoga a quella del certifi catore: egli “intitola”, associa formalmente il documento a qualcuno; e tuttavia la predetta somiglianza non deve indurci ad oscurare una differenza.

La differenza, ma grande, è data dal fatto che mentre il notaio determina il nesso tra soggetto e singolo documento (riguardato non come oggetto corporale, unico ed irripeti-bile, ma come “evidenza informatica”: id est, «una sequen-za di simboli binari (bit) che può essere elaborata da una procedura informatica»91), il certifi catore, invece, forgia il

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92 A ciò si aggiunga il rilievo che mentre per contestare la formale asso-ciazione tra una chiave pubblica ed il suo titolare ad opera del certifi catore non occorre esperire la querela di falso, l’attestazione del notaio circa la pro-venienza del documento da chi ne fi gura quale autore è, come si sa, coperta da fede privilegiata.

93 Ma non diversamente è a dirsi, mutatis mutandis, per l’atto pubblico informatico.

94 Ex art. 221, comma 2, c.p.c.: «la querela deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità».

nesso (ben diverso) tra soggetto e gli strumenti necessari per la generazione e la verifi ca delle fi rme elettroniche92.

Ma al di là di questo, ciò che colpisce – come si è già accennato – è la straordinaria fi ducia che l’ordinamento (qua, più che altrove) accorda alla persona del notaio.

Per rendersene conto basti por mente alla combina-zione di due circostanze. La prima è costituita dall’estre-ma facilità con la quale un pubblico uffi ciale disonesto po-trebbe, dopo essersi procurato l’immagine digitale di una sottoscrizione autografa autentica, confezionare documen-ti informatici interamente contraffatti aventi la peculiare effi cacia probatoria privilegiata che compete alle scrittu-re private autenticate93. La seconda, speculare alla prima come l’altra faccia della medaglia, è data dalla grandissi-ma diffi coltà di smascherare contraffazioni di questo tipo; ed invero, se in astratto l’interessato potrebbe spezzare il collegamento tra l’apparente autore ed il contenuto del documento esperendo vittoriosamente la querela di falso, va invece constatato come, in concreto, tale risultato sia quasi irrealizzabile: al suo raggiungimento vi ostano le no-stre regole processuali che fanno gravare sul querelante l’onere di indicare i mezzi di prova di cui intende valersi per dimostrar la falsità94 ed il fatto, evidente posto quanto si è detto, che al fi ne di accertare il difetto d’autenticità del documento non si potrà fare assegnamento sulla dimostra-

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95 Più precisamente, occorre che il notaio o altro pubblico uffi ciale a ciò autorizzato appuri che il certifi cato elettronico collegato alla chiave (even-tualmente) utilizzata per la generazione della fi rma non sia scaduto, sospeso o revocato.

96 Dell’accertamento della validità del certifi cato elettronico è espressa-mente prescritta la menzione ad opera del pubblico uffi ciale autenticante. Tan-

zione dell’apocrifi a del tratto grafi co della fi rma acquisita digitalmente.

Tra parentesi, forte è il sospetto che il legislatore do-mestico nel dettare la disciplina in commento poco o punto abbia meditato su questo aspetto.

Il discorso intrapreso sul documento informatico munito di fi rma elettronica autenticata va ora completa-to per quanto concerne le modalità di tale autenticazione. E, a questo riguardo, ancora una volta conviene prendere le mosse dal periodare dell’art. 25, comma 2, del Codice dell’amministrazione digitale e, precisamente, dalla parte in cui si prevede che «L’autenticazione della fi rma elettro-nica […] consiste nell’attestazione, da parte del pubblico uffi ciale, che la fi rma è stata apposta in sua presenza dal titolare, previo accertamento della sua identità personale, della validità dell’eventuale certifi cato elettronico utilizza-to e del fatto che il documento sottoscritto non è in contra-sto con l’ordinamento giuridico».

Rispetto alla formulazione normativa dell’art. 2703 cod. civ. (riguardante l’autenticazione, per così dire, di “diritto comune”), fanno spicco due dati: 1) la necessità – qualora oggetto di autenticazione sia una fi rma elettronica basata su un certifi cato elettronico – che il pubblico uffi cia-le accerti la persistente “validità”95 del certifi cato nel mo-mento in cui la fi rma viene generata e, quindi, apposta alla scrittura; 2) l’esplicito riferimento al sindacato di legalità sui contenuti dell’atto da autenticare.

Ora, l’obbligo di accertare la validità del certifi cato elettronico96 si colora di senso se posto in relazione all’au-

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to si evince, in particolare, non dall’art. 25 del Codice dell’amministrazione digitale, ma dal chiaro dettato dell’art. 47-ter, comma 3, l. not., secondo cui: «Il notaio nell’atto pubblico e nell’autenticazione delle fi rme deve attestare anche la validità dei certifi cati di fi rma eventualmente utilizzati dalle parti». È stato però scritto, al riguardo, che si tratta di una norma imperfetta in quanto essa «non ricollega […] alcuna conseguenza della omessa menzione dell’accer-tamento della validità dei certifi cati di fi rma delle parti, né in termini di vali-dità dell’atto […], né in termini di conseguenze disciplinari per il notaio» (G. PETRELLI, Atto notarile informatico, cit., p. 365). Secondo un’altra opinione, invece, «la mancata indicazione in atto dell’avvenuta verifi ca di validità dei certifi cati di fi rma eventualmente utilizzati dalle parti, sia la mancata verifi ca in sé della loro validità, comporterebbero a carico del notaio solo e soltanto la responsabilità disciplinare de residuo di cui all’art. 136 L.N. (avvertimento o censura)» (G. LA MARCA, La sicurezza dell’atto notarile informatico, in corso di pubblicazione sulla collana de I Quaderni della Fondazione italiana per il notariato e consultato in bozze per la cortesia dell’autore, p. 32 del dattilo-scritto). A sostegno della prima tesi si richiama un recente arresto della Corte di Cassazione che, pronunziandosi con sentenza n. 12995 del 24 luglio 2012, ha affermato che «per effetto della riforma del 2006 il legislatore ha inteso tipiz-zare i comportamenti sanzionabili disciplinarmente […]. Pertanto deve escu-dersi che le sanzioni dell’avvertimento e della censura possano essere applicate in via residuale a qualsiasi violazione di legge, senza che ne sia espressamente prevista la rilevanza disciplinare».

97 Art. 21, comma 3, del Codice dell’amministrazione digitale. V’è da osservare, al riguardo, che una norma analoga non è stata espressamente det-tata per le fi rme elettroniche avanzate, ma non qualifi cate (si pensi per anto-nomasia alla fi rma elettronica generata con l’impiego di chiavi crittografi che asimmetriche il cui collegamento con la persona del titolare sia attestato da un certifi cato elettronico rilasciato da un certifi catore “semplice”). È dubbio, pertanto, se la si possa estendere per analogia.

98 A. CECCARINI, La prova documentale nel processo civile, cit., p. 390. In questa stessa corrente, è anche G. FINOCCHIARO, Firma digitale e fi rme elet-

tenticazione di una fi rma digitale o un altro tipo di fi rma elettronica qualifi cata; la ratio di questo adempimento, in-fatti, rimarrebbe oscura se non si tenesse conto della regola secondo la quale «L’apposizione ad un documento informa-tico di una fi rma digitale o di un altro tipo di fi rma elettro-nica qualifi cata basata su un certifi cato elettronico revoca-to, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscrizione»97. E così, in proposito, altri ha utilmente osservato che «il pubblico uffi ciale non potrebbe autenticare una fi rma che il legislatore considera come non apposta»98.

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troniche, cit., p. 126: «L’accertamento circa la validità della chiave è inerente alla tecnica della fi rma digitale: se la chiave con cui è stata apposta la fi rma digitale non fosse valida, non si avrebbe neanche fi rma digitale, giacché […] l’uso della fi rma digitale apposta o associata mediante una chiave revocata, scaduta o sospesa equivale a mancata sottoscrizione». Al riguardo si è altresì rilevato che «verifi care materialmente la validità dei certifi cati di fi rma utiliz-zati dalle parti signifi ca, in qualche modo, accertare l’identità personale delle parti stesse, ai sensi di quanto disposto dall’art. 49 L.N. In altri termini, la ve-rifi ca di cui si tratta sarebbe da ricondurre (anche) all’obbligo per il notaio di accertare l’identità personale delle parti» (G. LA MARCA, La sicurezza dell’atto notarile informatico, cit., p. 33 del dattiloscritto).

99 Non era ridondante, invece, quanto stabiliva l’art. 24, comma 2, del d. P. R. 28 dicembre 2000, n. 445 (e, prima ancora, l’art. 16, comma 2, del d.. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), in merito all’obbligo gravante sul pubblico uf-fi ciale autenticante di verifi care la corrispondenza del contenuto dell’atto alla effettiva volontà delle parti. Senonché, occorre rilevare che l’inciso «previo accertamento […] del fatto che il documento sottoscritto risponde alla volontà della parte» non è stato riprodotto nel testo dell’art. 25 del Codice dell’ammi-nistrazione digitale. E ciò, si noti, potrebbe leggersi come uno spalleggiamento in favore della comune opinione secondo cui l’art. 47, ult. comma, l. not. non si applica alla scrittura privata autenticata. Nella dottrina più recente, tutta-via, si staglia una voce diversamente orientata, incline a ritenere – all’esito di un’articolata rifl essione sulla funzione notarile – che l’obbligo di indagare la volontà delle parti assuma anche con riferimento alla scrittura privata autenti-cata «natura inderogabile, e che la violazione di tale obbligo può essere punita, come per l’atto pubblico, con la sanzione disciplinare della sospensione ex art. art. 138, 2° comma, anziché con la censura o l’avvertimento» (S. BRANDANI, L’indagine della volontà delle parti ex art. 47, ultimo comma, legge notarile e la scrittura privata autenticata, cit., p. 592).

Sarebbe da chiedersi, se mai, perché un analogo ri-gor iuris non sia stato adottato quando il legislatore si è mostrato propenso a trattar l’ombre (l’immagine digitale di una sottoscrizione manuale) come cosa salda (la sottoscri-zione autografa vergata su un determinato foglio di carta). Ma, d’altro canto, vuolsi così colà.

Quanto all’espresso richiamo alla necessità che il pub-blico uffi ciale accerti la legalità del contenuto della scrittu-ra, va detto che esso non merita di essere sopravvalutato. Sotto quest’ultimo aspetto, infatti, la disposizione normati-va si rivela ridondante99 in quanto nulla aggiunge alla rego-

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100 Le parole «o autenticare» sono state aggiunte – subito dopo il verbo «ricevere» – dall’art. 12, comma 1, lett. a, della legge 28 novembre 2005, n. 246 (legge di semplifi cazione e riassetto normativo per l’anno 2005). Sulla por-tata dell’interpolazione legislativa operata sul testo dell’art. 28 l. not., e, in particolare, in merito al fatto se tale interpolazione si sia limitata ad esplicitare una norma implicita o abbia comportato un’effettiva innovazione del quadro giuridico preesistente, mi sia permesso di rinviare a G. NAVONE, Scrittura pri-vata autenticata e controllo notarile di legalità, in AA. VV., Il diritto vivente nell’età dell’incertezza, a cura di S. Pagliantini, Torino 2011, p. 129 ss., spec. 134 ss.

101 E, più in generale, della funzione notarile tout court: «È nell’esigenza di tale controllo il futuro dell’essenza notarile, la legittimazione sociale e giu-ridica della sua permanenza» (P. PERLINGIERI, Funzione notarile ed effi cienza dei mercati, in Notariato, 2011, p. 628).

la generale enunziata dall’art. 28, comma 1, n. 1 legge not. che (nell’attuale stesura) così recita: «Il notaro non può ricevere o autenticare atti […] se essi sono espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon co-stume o all’ordine pubblico»100.

In diverse parole, si può concludere che allo stato della legislazione vigente l’accertamento della legalità del contenuto negoziale non costituisce un tratto peculiare dell’attività di autenticazione delle fi rme elettroniche, ma il denominatore comune in cui si esprime la quintessenza di tutta la funzione notarile di autenticazione101.

7. L’atto pubblico informatico

Con l’entrata in vigore del d. lgs. 2 luglio 2010, n. 110 (recante «Disposizioni in materia di atto pubblico in-formatico redatto dal notaio»), il documento in formato digitale ha fatto il suo atteso ingresso nel sancta sancto-rum dell’atto pubblico notarile. Anche se, come meglio si vedrà nel prosieguo, la piena operatività del nuovo istru-mento è tutt’ora subordinata al varo di alcuni decreti mi-nisteriali di attuazione che dovranno defi nire – inter alia – le regole tecniche per l’organizzazione della struttura

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102 Cfr. A. GENTILI, voce Documento informatico (diritto civile), cit., p. 636: il documento informatico «per natura esula dal fenomeno dell’autografi a, che per le sue caratteristiche materiali non può riguardarlo».

103 Vero è che il codice civile (art. 602) non menziona espressamente tale ultimo connotato, ma esso può ritenersi implicitamente compreso – per-ché consustanziale – nella stessa nozione di olografi a. Né sembra conferente, per contrastare l’opinione qui espressa, l’affermazione secondo cui il requisito dell’olografi a risulterebbe comunque integrato quando lo schermo tattile di un computer (comunemente denominato touchscreen) viene utilizzato – alla stregua di un foglio di carta – per captare il tratto autografo della scrittura trattandosi, sempre secondo questo modo di vedere, soltanto dell’utilizzazione di «una diversa superfi cie» scrittoria (A. AMBANELLI, Il testamento olografo, in AA.VV., La successione testamentaria, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni diretto da G. Bonilini, vol. II, Milano 2009, p. 1282). Tale conside-razione, infatti, tralascia di valutare un aspetto di diversità non marginale: e cioè che quando si scrive “a mano libera” sullo schermo tattile di un computer, in realtà, non si traccia alcun segno grafi co permanente direttamente sulla sua superfi cie (a ben vedere non lo si graffi sce, scolpisce o intinge con un pigmento colorato), ma si fornisce al sistema informatico l’input che consente la digita-lizzazione dell’immagine del tratto chirografo; o, in altri termini, si procede alla traduzione del segno autografo in una sequenza numerica espressa in co-dice binario. Di conseguenza, ad essere conservata su uno o più dispositivi di memoria di massa non è direttamente il ductus dell’autore, la traccia lasciata dalla mano di chi scrive, o, ancora, la scritturazione per intero di pugno del

centralizzata deputata all’archiviazione dei documenti no-tarili informatici.

Tra breve, quindi, più nulla dovrebbe ostare all’im-piego del documento informatico per la stipulazione (persi-no) di quei negozi che devono farsi per atto pubblico sotto pena di nullità: è il caso, com’è risaputo, delle donazioni, dei patti di famiglia, delle convenzioni matrimoniali, degli atti costitutivi di società di capitali, e via seguitando. Po-trebbe semmai osservarsi, di scorcio, che allo stato l’unico serio ostacolo all’utilizzazione del documento informati-co nell’attività giuridica continua ad essere costituito dal requisito formale dell’olografi a102 che, quando prescritto, richiede non solo che i segni alfabetici formanti le singole parole della lingua scritta (ossia i grafemi) siano tracciati di pugno dall’autore, ma anche che essi siano manualmente vergati su un determinato corpus materiale103.

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testatore, ma una sequenza fatta di 0 e di 1; sequenza che potrebbe essere suc-cessivamente assoggettata ad un processo di elaborazione volto a modifi carla e/o manipolarla. Ne viene, allora, che l’immagine digitale di una scrittura ma-nuale – di per sé sola (indipendentemente dal ricorso ad ulteriori accorgimenti tecnologici) – non offre quelle garanzie di autenticità del contenuto dell’intera dichiarazione che sono la ragion d’essere del requisito formale dell’olografi a. Ciononostante, in una prospettiva de iure condendo, pare auspicabile l’intro-duzione di una nuova tipologia di testamento informatico che – non necessi-tando dell’intervento del notaio – sia assimilabile sotto il profi lo funzionale al testamento olografo (Cfr. A. LISERRE, Il formalismo testamentario, in AA. VV., Tradizione e modernità nel diritto successorio, a cura di S. Delle Monache, Padova 2007, p. 181 ss., spec. 187: «Peraltro, e ove mai si ritenesse opportu-no mantenere nel nostro ordinamento una forma testamentaria libera da ogni interferenza, intermediazione o assistenza qualifi cata nella defi nizione della volontà del testatore, non si vedrebbero ragioni per non consentirgli allora anche il ricorso alla scrittura informatica[…]. In sostanza, […] è forse maturo il tempo anche nella materia in esame per procedere ad una modernizzazio-ne degli istituti consegnando al ricco deposito dell’archeologia giuridica quelli non più consoni alle sempre più pressanti esigenze di certezza ed economicità delle relazioni, senza, perciò, pregiudicare l’accentuato carattere personale del testamento, carattere che deve rimanere affi dato non al segno, ma al con-tenuto volitivo dell’atto»). Detto questo, però, bisogna aggiungere che già in base al diritto vigente non si frappongono soverchie diffi coltà ad ammettere un testamento informatico per atto pubblico redatto da notaio o un testamento informatico segreto per il quale, com’è noto, la legge non richiede l’autografi a.

104 Articolo aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera c del d. lgs. 2 luglio 2010, n. 110.

Fatte queste notazioni liminali, occorre, ora, passare all’esame dei punti nodali della disciplina in parola che ha inciso – integrandola e modifi candola – sui contenuti della legge notarile.

Per agevolazione espositiva, è utile distinguere due gruppi di disposizioni: dal primo si possono attingere le norme sul come redigere un atto pubblico informati-co; dal secondo quelle sul come conservarlo nel tempo. Là dove, punto di sutura tra l’uno e l’altro gruppo è la regola secondo cui «Le disposizioni per la formazione e la conservazione degli atti pubblici […] si applicano, in quanto compatibili, anche» all’atto pubblico redatto con procedure informatiche (art. 47-ter, comma 1, l. not.)104.

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105 Questa regola si evince, anche, dal chiaro dettato dell’art. 52-bis del-la legge notarile. Tale disposizione stabilisce, al primo comma, che «Le par-ti, i fi defacenti, l’interprete e i testimoni sottoscrivono personalmente l’atto pubblico informatico in presenza del notaio», e, al comma successivo, precisa che «Il notaio appone personalmente la propria fi rma digitale dopo le parti, l’interprete e i testimoni e in loro presenza».

106 Cfr. G. LA MARCA, La sicurezza dell’atto notarile informatico, cit., p. 37 del dattiloscritto: «la delega di cui all’art. 65 L. 69/2009 si riferiva testual-mente alle “procedure informatiche e telematiche per la redazione dell’atto pubblico”, cosicché […] il Legislatore delegato avrebbe potuto disciplinare lo strumento dell’atto notarile telematico. […] In realtà, si percepisce che ciò ch’è mancato all’attuazione della delega in parte qua è soltanto la volontà poli-tica di ammettere e disciplinare l’atto notarile telematico, vuoi per prerogative squisitamente reazionarie, ad esempio con riguardo proprio alla competenza territoriale dei singoli notai, vuoi per più condivisibili ragioni di opportunità, dipendenti sia dall’attuale modello organizzativo del Notariato italiano sia dal-le solite istanze di sicurezza giuridica».

Insomma, sembra di prima che il legislatore abbia voluto collocarsi lungo una linea di continuità; che, cioè, abbia in-teso aggiornare l’ordinamento del notariato senza tuttavia rivoluzionarlo.

Questa prima impressione è rafforzata dalla dizio-ne del secondo comma dell’art. 47-ter, a termini del qua-le «L’atto pubblico informatico è ricevuto in conformità a quanto previsto dall’articolo 47» della legge notarile. E così, per via del richiamo all’art. 47, si ribadisce la neces-sità che il notaio: a) indaghi la volontà delle parti; b) diriga personalmente la compilazione integrale dell’atto; c) prov-veda – ed è quel che più interessa segnalare – a confeziona-re il rogito digitale alla presenza delle parti (e, ove occorra, dei testimoni, dei fi defacenti e del traduttore)105.

Di qui, allora, un’immediata constatazione. Col porre l’accento sulla circostanza che il notaio riceva (anche) l’at-to pubblico informatico alla compresenza delle parti, il le-gislatore delegato106 ha voluto tagliar corto – escludendola per il momento – sulla possibilità di sopperire alla mancan-

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107 Ciò nonostante, come è stato osservato, «lo scambio di scritture pri-vate autenticate può, in molti casi, esplicare i medesimi effetti dell’atto pub-blico» telematico (G. FINOCCHIARO, Ancora novità legislative in materia di documento informatico: le recenti modifi che al Codice dell’amministrazione digitale, cit., p. 504).

108 Può parlarsi, al riguardo, di comunicazione audiovisiva pluridirezio-nale sincrona mediata dall’uso di strumenti telematici.

109 Basata sulla condivisione dello stesso luogo fi sico da parte dei soggetti che partecipano alla comunicazione.

110 La comunicazione mediata dal computer, come è stato scritto da un acuto studioso dei nuovi media, «non avviene in un luogo o tra luoghi diversi, ma si propone essa stessa come luogo del suo accadere». Un nuovo tipo di luo-go. Un «luogo sociale», per la precisione, che fa da scenario all’azione comuni-cativa pur essendo privo del carattere della fi sicità (P. C. RIVOLTELLA, Costrut-tivismo e pragmatica della comunicazione on line, Trento 2003, spec. p. 142).

za di unità di luogo fra il notaio e i comparenti con sistemi di telepresenza (o, se si preferisce, di tecno-presenza)107.

Non è diffi cile scorgere dietro questa scelta di politica legislativa più un defi cit di coraggio che di tecnologia. Ed infatti, quest’ultima (ormai da tempo) offre strumenti di videocomunicazione molto effi cienti, idonei a consentire a persone geografi camente lontane di vedersi e di dialogare come se fossero vis à vis108. In altre parole, si può dire che i nuovi media hanno affi ancato alla presenza109 la telepre-senza: e cioè una diversa modalità di esser presente, di av-vertire la sensazione di trovarsi in un ambiente condiviso, mediata – e qui sta la nota caratteristica di questo peculia-re modo di esserci – dall’uso di strumenti telematici110.

Allo stato dell’arte tecnologica, quindi, anche la co-municazione «mediata dai media» consente di raggiungere livelli di interazione “forte”, ricca di segnali paralinguistici (come il tono ed il ritmo della voce) o mimico-gestuali (la postura, la mimica facciale, il movimento delle mani), alla stessa stregua della comunicazione in presenza. Più nello specifi co, per quanto attiene alla nostra particolare rifl es-sione, va segnalato che si tratta di una forma di comuni-

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111 Rileva G. LA MARCA che «il problema fondamentale è quello di garan-tire l’accertamento sicuro dell’identità dei comparenti ed un’indagine effettiva della volontà delle parti, sebbene i protagonisti di tali attività non siano pre-senti fi sicamente fra di loro» (La sicurezza dell’atto notarile informatico, cit., p. 38 del dattiloscritto).

112 Nei casi in cui la partecipazione a distanza è ammessa, è previsto che un ausiliario abilitato ad assistere il giudice in udienza sia presente nel luogo dove si trova l’imputato per attestarne l’identità (art. 146-bis, comma 6, disp. att. c.p.p.). Mutatis mutandis, sempre in una prospettiva de iure condendo, l’accertamento dell’identità delle parti potrebbe essere assicurata – ma è solo una (forse: la più tuzioristica) tra le soluzioni possibili – dalla presenza di un notaio “ausiliario” nel luogo in cui si trova la parte.

cazione “multicodice” capace – sia pure de iure condendo – di fornire al notaio informazioni preziose sullo stato e sul pensiero dei sui suoi interlocutori; ben al di là e, talvolta, persino in contrasto con quel che essi dicono a parole.

In defi nitiva, può concludersi sul punto nel senso che non esistono istanze di sicurezza giuridica dell’atto pubblico telematico111 che non possano essere soddisfatte in virtù del “coordinato disposto” fra tecnologia e buona legislazione. A suffragio di tale conclusione, del resto, si pone la fruttuosa esperienza maturata nell’ambito (come nessun altro delicato) del processo penale dove – da più di un decennio – la partecipazione dell’imputato detenuto al dibattimento può avvenire “a distanza”, avvalendosi di un «collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il luogo della custodia, con modalità tali da assicurare la contestua-le, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto» (art. 146-bis, comma 3, disp. att. c.p.p.)112.

Ciò posto, e tornando all’esame del ius conditum, ven-gono ora in rilievo due disposizioni dedicate ad altrettanti momenti essenziali nella redazione degli atti pubblici (non solo) informatici: il momento della lettura e quello della sottoscrizione.

In relazione al primo, l’art. 47-ter, comma 2 della leg-

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113 Sul punto, in luogo di molti, si vedano G. PETRELLI, Atto notarile informatico, cit., p. 365 e C. SANDEI, L’atto pubblico elettronico, cit., p. 470; M. NASTRI, Le opportunità dell’atto pubblico informatico, in Notariato, 2010, p. 566 ss., spec. 568.

114 Sono unità periferiche di output (o “di uscita”) tutti quei dispositivi hardware che consentono di palesare i risultati dell’elaborazione del compu-ter. Oltre al monitor, si pensi, a mo’ di esempio, ad un videoproiettore, ad una lavagna multimediale o ad una stampante.

115 Si noti, non anche necessariamente alla presenza dei fi defacienti che, dopo aver svolto la loro funzione, possono allontanarsi secondo quanto previ-sto dall’art. 51, comma 2, n. 10 della legge notarile.

ge notarile stabilisce che «L’atto pubblico informatico […] è letto dal notaio mediante l’uso e il controllo personale degli strumenti informatici». Ed è opinione generalmente condivisa che con tale enunciazione si sia inteso avvallare la possibilità che il notaio dia lettura della scrittura diretta-mente dallo schermo del computer113 e/o valendosi di altre unità periferiche di output114.

Per quanto riguarda il momento dell’apposizione del-la fi rma, l’art. 52-bis prescrive che «Le parti, i fi defacenti, l’interprete e i testimoni sottoscrivono personalmente l’at-to pubblico informatico in presenza del notaio con fi rma digitale» o con altro tipo di fi rma elettronica (anche non avanzata) e, perfi no, con l’immagine digitale di una sot-toscrizione manuale. Per converso, nell’esercizio delle sue funzioni il notaio può avvalersi unicamente della fi rma di-gitale. Ma più ancora, ai fi ni della generazione di una fi rma siffatta egli è tenuto ad utilizzate chiavi crittografi che cor-rispondenti ad un certifi cato elettronico rilasciato – in via esclusiva – dal Consiglio nazionale del notariato nella sua qualità di “certifi catore accreditato”. Il notaio, si precisa ulteriormente, dovrà apporla per ultimo: e cioè dopo tutti i comparenti e alla presenza «delle parti, l’interprete e i testimoni»115.

Infi ne, vale la pena di rilevare che la fi rma digitale del

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116 Il comma 3 dell’art. 25 del Codice dell’amministrazione digitale di-spone che «L’apposizione della fi rma digitale da parte del pubblico uffi ciale ha l’effi cacia di cui all’art. 24, comma 2», ossia «integra e sostituisce l’apposizione di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere ad ogni fi ne previsto dalla legge». Di qui segue che l’apposizione della fi rma digitale del notaio integra e sostituisce (anche) il sigillo notarile.

notaio integra e sostituisce l’impronta del sigillo notarile116. Ed è facilmente comprensibile il perché. Il sigillo, al pari di ogni timbro, esige di essere fi sicamente impresso su un determinato supporto materiale. Ordinariamente, su un foglio di carta. Esso, pertanto, non si addice documento informatico che – come si disse a suo luogo – è irriducibile alla singola res signata.

È di palmare evidenza, a questo punto, l’uniformità delle soluzioni tecniche adottate dalla legge notarile e dal Codice dell’amministrazione digitale per la sottoscrizione, rispettivamente, dell’atto pubblico informatico e del docu-mento informatico con fi rma autenticata. Ma se così è, allo-ra, debbono qui intendersi come integralmente richiamati i dubbi e le perplessità elevati nel paragrafo che precede.

Tanto considerato in merito alla redazione dell’atto pubblico informatico, resta adesso da far cenno alla sua conservazione nel tempo. E, appunto a questo proposito, viene in primo piano la disposizione dell’art. 62-bis l. not., secondo la quale il notaio per la conservazione dei docu-menti notarili in formato digitale – atti pubblici e scritture private autenticate – deve avvalesi della struttura predi-sposta e gestita dal Consiglio nazionale del notariato.

La scelta di realizzare un sistema centralizzato di ar-chiviazione è parsa quasi obbligata. Comunque sia, essa risponde ad apprezzabili esigenze di sicurezza giuridica, interoperatività tecnica e contenimento dei costi. Tutte esi-genze che, com’è facile intuire, non potrebbero essere sod-disfatte in modo altrettanto appagante da una costellazione di strutture decentrate affi date alla cura dei singoli notai.

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117 Cfr.: E. SMANIOTTO e M. PORFIRI, L’atto pubblico informatico, in Im-mobili & proprietà, 2011, p. 177 ss., spec. 183; C. SANDEI, L’atto pubblico elettronico, cit., p. 475; M. SALA, L’atto notarile informatico, cit., p. 45; M. NASTRI, Le opportunità dell’atto pubblico informatico, cit., p. 567.

118 Tale struttura sarà gestita a spese e a cura del Consiglio nazionale del notariato. Sul punto, cfr. C. SANDEI, L’atto pubblico elettronico, cit., p. 475 s.

119 Ex art. 61 l. not. «Il notaro deve custodire con esattezza ed in luogo sicuro […] gli atti da lui ricevuti[…] salvo le eccezioni stabilite dalla legge» e, in particolare, dall’art. 70 l. not. (procure alle liti, procure per un solo affare, ricorsi di volontaria giurisdizione, certifi cati di vita, etc.).

120 Dall’attuale formulazione dell’art. 72, comma 3 l. not., si ricava che è vietato il rilascio delle scritture private autenticate in originale qualora le stes-se siano idonee ad essere riportate nei registri immobiliari o nel registro delle imprese. Di tal che, volendo scendere al concreto, debbono essere conservate nella raccolta del notaio tutte le scritture private autenticate concernenti beni immobili e suscettibili di trascrizione, iscrizione ipotecaria o annotazione. E,

Occorre fare, tuttavia, una precisazione: la centraliz-zazione della struttura di archiviazione non vale a recidere (se si ammette il paragone) il «cordone ombelicale» che lega il notaio agli atti da lui rogati o autenticati117. Dal novellato art. 67 l. not., infatti, si trae che a ciascun notaio – fi no alla cessazione dal servizio o al trasferimento in altro distretto territoriale – è dato il diritto di accedere in via riservata, o meglio, esclusiva alla porzione di archivio a lui dedicata. Egli solo, recita la disposizione da ultimo richiamata, può «permettere l’ispezione e la lettura, […] rilasciare le copie, gli estratti e i certifi cati degli atti da lui ricevuti, o presso di lui depositati, ivi compresi quelli conservati presso la struttura di cui all’articolo 62-bis».

Ma, come si è accennato, la disciplina in esame non può ancora dirsi compiuta. Talché, in attesa dell’emana-zione dei decreti attuativi che dovranno defi nire le regole tecniche per l’organizzazione della struttura centralizza-ta118 deputata all’archiviazione dei documenti notarili in-formatici (artt. 62-bis e 68-bis, comma 1, lett. b, l. not.), è al momento inibita la possibilità di ricevere119 o autentica-re120 atti in forma elettronica che siano soggetti a conser-

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del pari, sono assoggettate a raccolta le scritture private autenticate relative ad atti costitutivi di società di persone o alla loro modifi cazione (cfr. CASU, Studio n. 65-2006/C, Conservazione delle scritture autenticate destinate a pubblicità immobiliare o commerciale, in www.notariato.it , p. 6).

121 Sull’attuale ammissibilità dell’atto notarile informatico si veda G. LA MARCA, La sicurezza dell’atto notarile informatico, p. 11 s. del dattiloscritto: «la problematicità attuale di ricevere un atto notarile informatico è legata es-senzialmente all’impossibilità giuridica di eseguire le […] attività di conserva-zione e annotazione, allora la forma dell’atto pubblico informatico dovrebbe dirsi già utilizzabile dal notaio “in piena legittimità” con riguardo a quegli atti che sono rilasciati in originale e per i quali non è previsto alcun obbligo di annotazione notarile: si pensi, tra i più signifi cativi, alle procure alle liti, alle procure speciali e agli atti di notorietà (cfr. art. 70 L.N.); agli atti di protesto di cambiali ed assegni (cfr., rispettivamente, art. 73 l. camb. e art. 65 l. ass.); ai verbali di asseverazione con giuramento di perizie stragiudiziali e di tradu-zioni di atti o di scritti in lingua straniera (cfr. art. 1, comma 3, ultimo inciso, R.D.L. 14 luglio 1937, n. 1666); nonché alle attestazioni di conformità di copie ed estratti di qualsiasi tipo di documento, analogico o informatico, originale o in copia (cfr. il nuovo art. 73 L.N., che ha completato e generalizzato quanto già previsto nel numero 5) dell’art. 1, comma 1, R.D.L. 1666/1937)». Sul pun-to, cfr. altresì: M. CEOLIN e F. CRIVELLARI, L’atto pubblico informatico: note a margine del d. lgs. 2 luglio 2010, n. 110, in Studium iuris, 2011, p. 903 ss., spec. 905; M. NASTRI e C. VALIA, Conservazione del rogito informatico affi data al Cnn, in Guida al dir., n. 35, 2010, p. 34 ss., spec. 35; M. MIRRIONE, L’atto notarile informatico, in Contratti, 2011, p. 731 ss., spec. p. 737; G. PETRELLI, Atto notarile informatico, in Notariato, 2011, p. 363 ss., spec. 364.

vazione obbligatoria nella raccolta del notaio; mentre, sin d’ora, possono essere redatti documenti notarili informa-tici (atti pubblici e scritture private autenticate) suscetti-bili di essere rilasciati alle parti in originale. Non molti, in concreto121.

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1 Al riguardo, cfr., per tutti, F. CARNELUTTI, voce Documento (Teoria moderna), in Noviss. dig. it., VI, 1960, p. 85 ss., spec. 87: «la formazione del documento è un atto che, come ogni altro atto, si colloca nel tempo e nello spazio; anche questa sua collocazione ha la sua importanza; basta pensare, per es., alla diversità delle norme giuridiche secondo il tempo e lo spazio» e G. VERDE, voce Prova documentale (diritto processuale civile), in Enc. giur. Treccani, XXV, Roma 1991, p. 1 ss., spec. 9: «a causa dei fenomeni di inter-ferenza, collegamento e derivazione tra le situazioni o tra i rapporti giuridici, spesso diviene decisivo, ai fi ni della risoluzione di un confl itto, stabilire in qua-le momento è venuto in vita o è stato modifi cato o si è estinto un rapporto o una situazione».

SEZIONE QUARTA

IL DOCUMENTO INFORMATICO NEL TEMPO

SOMMARIO: 1. La data del documento informatico. – 2. Segue. La pro-cedura di validazione temporale. – 3. L’effi cacia probatoria del documento informatico nel tempo.

1. La data del documento informatico

La determinazione del momento di formazione del documento, ossia del compimento dell’attività di documen-tazione si rivela – in generale – cruciale ai fi ni della riso-luzione di una pluralità di questioni1. Ma in relazione al documento informatico – in particolare – la collocazione temporale ha maggior peso che per le altre res documenta-les, essendo altresì risolutiva per la defi nizione di quei casi in cui vi è la necessità d’appurare se la fi rma digitale (o un altro tipo fi rma elettronica qualifi cata) è stata generata in un periodo in cui il certifi cato, ad essa associato, non era scaduto, sospeso o revocato. Posto che – val ben segnalarlo –, alla stregua dell’art. 21, comma 3, del Codice dell’am-ministrazione digitale, «l’apposizione ad un documento in-formatico di una fi rma digitale o di un altro tipo di fi rma

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196 CAPITOLO II - SEZIONE IV

2 Cfr. G. GIACOBBE, voce Data, in Enc. dir., XI, Milano 1962, p. 662 ss.3 Per incidens, di scienza (avendo ad oggetto la descrizione di un fatto

storico, e cioè il momento di compimento dell’attività di documentazione).4 Al riguardo, cfr. F. ROTA, Il documento informatico, in AA. VV., La

prova nel processo civile. A cura di M. Taruffo, Milano 2012, p. 766: «Come in una normale scrittura privata, l’indicazione del giorno e del luogo di formazio-ne del documento informatico contenuta all’interno del suo testo, appartenen-do al c.d. intrinseco, non è mai assistita da un’effi cacia probatoria privilegia-ta, anche quando il documento sia munito di fi rma digitale; tale indicazione è quindi sempre liberamente contestabile tra le parti».

5 Cfr. F. TOMMASEO, Delle prove, in Commentario al codice civile diretto da P. Cendon, Torino 1991, vol. VI, p. 157 ss., spec. 178; A. CECCARINI, La prova documentale nel processo civile, Milano 2006, p. 206 ss., spec. 209.

6 Tra i quali – stante il divieto, in via generale, di provare per testi cir-costanze contrarie al contenuto del documento (art. 2722 cod. civ.) –, non

elettronica qualifi cata basata su un certifi cato elettronico revocato, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscri-zione».

Al riguardo – analogamente alla scrittura privata in “carta e inchiostro” –, anche per il documento informati-co torna necessario distinguere fra rilevanza della data nei confronti delle parti che lo hanno elettronicamente fi rma-to, da un lato, e, nei confronti dei terzi, dall’altro lato.

Poche proposizioni bastano sul primo punto. La data, eventualmente apposta in capo, nel corpo o in calce al do-cumento, entra a far parte del suo contenuto e vale a deno-tare il tempo di compimento dell’attività di documentazio-ne2. Sulla base di una convenzione semantica, essa sta in luogo di una formula più complessa; di modo che, indican-dola, è come se gli autori dicessero: «il presente documento è stato redatto nel tal momento storico». Inter partes, allo-ra, questa dichiarazione3 fa prova (al pari e coi limiti delle altre dichiarazioni documentate)4, sulla circostanza che i sottoscrittori hanno indicato una determinata data; ferma restando, s’intende, la possibilità di contestare la presun-ta veridicità intrinseca di tale enunciazione5 avvalendosi di tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge6.

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IL DOCUMENTO INFORMATICO NEL TEMPO 197

dovrebbe esservi la prova testimoniale. Il punto è tuttavia controverso. Al ri-guardo, cfr. V. RIZZO, voce Data, data certa, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., V, Torino 1989, p. 107 ss., spec. 113.

7 Non sempre, tuttavia, la disposizione or ora menzionata appare ap-plicabile al documento informatico. Il punto merita qualche parola di chia-rimento. L’art. 2704, comma 1, cod. civ., annovera la morte e la sopravve-nuta impossibilità fi sica del sottoscrittore tra i fatti il cui verifi carsi fa pre-sumere la preesistenza del documento rispetto alla data del loro avverarsi. Il che, all’evidenza, appare giustifi cato in relazione alle modalità e alla natura dell’imputazione manuale caratterizzata – come bene altri ha osservato – da «una immediata e diretta eziologia tra gesto del segnante ed effetto del segnare» (M. ORLANDI, Il falso digitale, Milano 2003, p. 61). Mentre non altrettanto si può dire per l’imputazione digitale. Perlomeno, là dove non si sia fatto ricor-so all’adozione di accorgimenti tecnici tali da escludere che il dispositivo per la generazione della fi rma elettronica possa essere stato utilizzato da persona diversa da quella del titolare (come sarebbe, ad esempio, nel caso in cui l’im-piego del dispositivo di fi rma fosse subordinato al previo riconoscimento della conformazione retinica del titolare della chiave privata in esso memorizzata). Sul punto e, più in generale, sulla possibilità di desumere la certezza della data del documento informatico secondo i criteri dettati dall’art. 2704 cod. civ., si veda R. ZAGAMI, Il fattore tempo: la marcatura temporale, in AA. VV., Firme elettroniche. Questioni ed esperienze di diritto privato, Milano 2003, p. 153 ss., spec. 155 s.; nonché, A. MARRA, Validità temporale della documentazione elettronica, in Dir. informaz. e informatica, 2005, p. 7 ss., spec. 12.

8 Per altro, non unica, posto che l’art. 37 del d. P. C. M., 30 marzo 2009 individua tutta una serie di riferimenti temporali opponibili ai terzi. Tra i qua-li fa spicco, per importanza, quello ottenuto attraverso l’utilizzo della posta elettronica certifi cata ai sensi dell’art. 48, comma 3, del Codice dell’ammini-strazione digitale (ivi, infatti, si stabilisce che la «data e l’ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso» mediante la posta elettro-nica certifi cata «sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, ed alle relati-ve regole tecniche»). Ma al dì là di quanto prescritto dall’art. 37 delle “regole

2. Segue. La procedura di validazione temporale

Necessariamente più articolata è invece la trattazione da riservare al secondo punto: concernete, cioè, la rilevan-za della data verso i terzi.

A tale proposito, può osservarsi che il Codice dell’am-ministrazione digitale – in aggiunta a quanto previsto nell’art. 2704 cod. civ.7 –, contempla una specifi ca pro-cedura8, la “validazione temporale”, idonea ad attribuire

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198 CAPITOLO II - SEZIONE IV

tecniche”, deve ricordarsi come, per effetto dell’autenticazione, opponibile ai terzi è anche la data del documento informatico munito di fi rma elettronica autenticata dal notaio o da altro pubblico uffi ciale. E se così è (a più forte ra-gione), altrettanto è a dirsi per la data indicata nell’atto pubblico informatico.

9 Art. 1, lett. bb.10 Ex art. 20, comma 3, del Codice dell’amministrazione digitale: «Le

regole tecniche per la [...] validazione temporale dei documenti informatici sono stabilite ai sensi dell’articolo 71. La data e l’ora di formazione del docu-mento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle regole tecniche sulla validazione temporale». In argomento, cfr. A. GENTILI, voce Do-cumento informatico (diritto civile), in Enc. Dir.- Annali, vol. V, Milano 2012, p. 629 ss., spec. 660 s.

11 Si rammenta che allo stato le “nuovissime” Regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifi ca delle fi rme digitali e validazione tem-porale dei documenti informatici, sono contenute nel d. P. C. M., 30 marzo 2009 (emanato in sostituzione delle “nuove” regole tecniche del 2004 che, a loro volta, avevano rimpiazzato le “vecchie” regole tecniche del 1999).

12 La proposta di regolamento europeo del 4 giugno 2012 (recante nuove norme «in materia di identifi cazione elettronica e servizi fi duciari per le tran-sazioni elettroniche nel mercato interno») dedica alla “Validazione temporale elettronica” gli artt. 32 e 33. Ivi, ta l’altro, s’introduce una ulteriore distin-zione tra validazione temporale elettronica tout court e validazione temporale elettronica qualifi cata.

13 Alla stregua dell’art. 2, comma 4, del d. P. C. M., 30 marzo 2009, i «certifi catori accreditati rendono disponibile ai propri titolari un sistema di validazione temporale conforme alle disposizioni di cui al titolo IV». Ne viene, allora, che la predisposizione e l’offerta di tale servizio è obbligatoria per i cer-tifi catori che hanno ottenuto l’accreditamento ai sensi dell’art. 29 del Codice dell’amministrazione digitale; mentre, per tutti gli altri – giusta l’assenza di ulteriori riferimenti normativi –, deve considerarsi facoltativa.

14 Ex art. 1, lett. i , del d. P. C. M., 30 marzo 2009, per “marca tempora-le”, s’intende «il riferimento temporale che consente la validazione temporale».

«ad uno o più documenti informatici, una data ed un ora-rio opponibili ai terzi»9 rinviandone, altresì, la disciplina minuta alle “regole tecniche”10. Di talché, queste ultime11 riservano alla procedura de qua l’intero titolo IV, ossia gli artt. 43 – 50.12

Orbene, sulla base offerta dal disposto dell’art. 43, la validazione temporale consiste nella generazione e applica-zione – ad opera di una terza parte fi data: il prestatore di servizi di certifi cazione (in funzione, questa volta, di time stamping authority)13 –, di una “marca temporale”14 cor-

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IL DOCUMENTO INFORMATICO NEL TEMPO 199

15 Ex art. 1, lett. f , del d. P. C. M., 30 marzo 2009, per “evidenza infor-matica”, s’intende una «sequenza di simboli binari (bit) che può essere elabo-rata da una procedura informatica». Pertanto, qualsiasi fi le – indipendente-mente dal suo contenuto (di testo, audio, video etc.) –, è tale.

16 Sul procedimento tecnico per la generazione e la verifi ca delle marche temporali, cfr. R. ZAGAMI, Firma digitale e sicurezza giuridica, Padova 2000, p. 126 ss.; ID., Il fattore tempo: la marcatura temporale, cit., spec. 159 ss.; G. BUONOMO, sub art. 13, in AA. VV., Formazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici (d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), commentario a cura di C. M. Bianca, R. Clarizia, V. Franceschelli, F. Gallo, L. V. Moscarini, A. Pace e S. Patti, in Nuove leggi civ. comm., 2000, p. 652 ss.; ID., Processo telematico e fi rma digitale, Milano 2004, p. 147 ss.; M. FUGINI, F. MAIO, P. PLEBANI, Sicurezza dei sistemi informatici, Milano 2001, p. 54; M. CAMMARATA ed E. MACCARONE, La fi rma digitale sicura, Milano 2003, p. 138 ss.; A. GRAZIOSI, La nuova effi cacia probatoria del documento informati-co, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, p. 53 ss., spec. 74 s.; A. VILLECCO BET-TELLI, L’effi cacia delle prove informatiche, Milano 2004, p. 108 ss.; F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», Napoli 2004, spec. p. 330; A. MARRA, Validità temporale della documentazione elettronica, cit., p. 11 s.

17 Art. 50, commi 1, 2 e 3, del d. P. C. M., 30 gennaio 2009.18 Incidentalmente, merita rilevare che l’applicazione della marca tem-

porale all’impronta del documento (piuttosto che a tutto il documento), com-porta indubbi vantaggi in termini di riservatezza. Così operando, infatti, il terzo che appone la marca temporale non viene a conoscenza del contenuto del documento oggetto di validazione. Il punto è stato ben evidenziato da G. FINOC-

relata in modo univoco all’evidenza informatica15 da vali-dare.

Tradotta in termini operativi, la procedura per la cre-azione di una marca temporale16 si lascia cogliere nella se-guente sintesi.

Innanzitutto, occorre che l’utente inoltri – per via telematica – al certifi catore (abilitato a fornire il relativo servizio) una “richiesta di validazione temporale”. Tale ri-chiesta, di necessità, deve contenere il fi le del documento al quale «applicare la marca temporale» o, in alternativa, la sua impronta calcolata con l’impiego di una funzione matematica di hash17. Dopo aver ricevuto la richiesta, il certifi catore “applica” al fi le contenente il documento (o la relativa impronta)18 la marca temporale: cioè a dire una

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CHIARO, La fi rma digitale (artt. 2699 – 2720, supplemento d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), in Commentario del codice civile Scialoja – Branca a cura di F. Galgano, Bologna – Roma 2000, p. 172.

19 Più precisamente, l’art. 44, comma 1, del d. P. C. M., 30 marzo 2009 prescrive che «una marca temporale deve contenere almeno le seguenti informazioni: a) identifi cativo dell’emittente; b) numero di serie della marca temporale; c) algoritmo di sottoscrizione della marca temporale; d) identifi -cativo del certifi cato relativo alla chiave di verifi ca della marca temporale; e) data ed ora di generazione della marca temporale; f) identifi catore della funzione di hash utilizzata per generare l’impronta dell’evidenza informati-ca sottoposta a validazione temporale; g) valore dell’impronta dell’evidenza informatica».

20 L’art. 4, comma 4, lett. c, del d. P. C. M. 30 marzo 2009, defi nisce le “chiavi di marcatura temporale” come quelle che sono «destinate alla genera-zione e verifi ca delle marche temporali».

21 Ex art. 50, comma 4, del d. P. C. M., 30 marzo 2009, la «genera-zione delle marche temporali garantisce un tempo dirisposta, misurato come differenza tra il momento della ricezione della richiesta e l’ora riportata nella marca temporale, non superiore al minuto primo».

22 Si è osservato, in proposito, che il procedimento seguito per la valida-zione temporale del documento «non si distingue – sotto il profi lo tecnologico – dalla sottoscrizione digitale del documento. L’apposizione della marca tem-porale è una vera e propria fi rma digitale del documento, già fi rmato dal suo autore» (G. BUONOMO, sub art. 13, cit., p. 655).

serie di informazioni aggiuntive concernenti, da un lato, la data e l’ora di generazione della marca; e dall’altro, quel che necessita sapere per effettuare la (successiva ed even-tuale) verifi ca della sua autenticità19. Ed infi ne, a completa-re il processo in discorso, il certifi catore fi rma digitalmente il fi le marcato servendosi di un’apposita chiave privata di marcatura temporale20 e lo invia (così fi rmato ed entro un minuto dalla ricezione della richiesta)21, al richiedente che lo conserverà insieme al documento cui la marca si riferi-sce. Di guisa che, sarà possibile appurare l’autenticità del-la marca temporale avvalendosi della chiave pubblica cor-relata a quella privata già utilizzata dal certifi catore per la fi rma del fi le marcato. 22

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IL DOCUMENTO INFORMATICO NEL TEMPO 201

23 Ulteriormente, va ricordato che con l’introduzione dell’art. 2215 bis cod. civ. (disposizione inserita a seguito dell’entrata in vigore della l. 28 genna-io 2009, n. 2, di conversione del d. l. 29 novembre 2008, n. 185, che ha aggiun-to all’art. 16 del suddetto decreto il comma 12 bis), l’apposizione della marca temporale rileva anche ai fi ni della regolare tenuta delle scritture contabili e dei libri sociali in forma elettronica. Più precisamente, il terzo comma della nuova disposizione codicistica stabilisce, con dubbia proprietà di linguaggio, che gli: «obblighi di numerazione progressiva, vidimazione e gli altri obblighi previsti dalle disposizioni di legge o di regolamento per la tenuta dei libri, re-pertori e scritture, ivi compreso quello di regolare tenuta dei medesimi, sono assolti, in caso di tenuta con strumenti informatici, mediante apposizione, ogni tre mesi a far data dalla messa in opera, della marcatura temporale e della fi rma digitale dell’imprenditore, o di altro soggetto dal medesimo delegato, ine-renti al documento contenente le registrazioni relative ai tre mesi precedenti».

24 Anche in questo caso, quindi, può affermarsi che il «concetto di cer-tezza della data [...] non va inteso nell’accezione comune, di certezza del mo-mento di formazione del documento, perché la prova richiesta [...], ai fi ni della computabilità della scrittura nei confronti dei terzi, non riguarda la formazio-ne del documento, ma la sua preesistenza ad un determinato avvenimento di cui sia indubbia la collocazione nel tempo» (A. CECCARINI, La prova documen-tale nel processo civile, cit., p. 211). In argomento si veda, altresì, S. PAT-TI, Prova documentale (artt. 2699 – 2720), in Commentario del Codice Civile Scialoja – Branca a cura di F. Galgano, Bologna – Roma 1996, spec. p. 103.

25 Mentre, ai sensi dell’art. 50 delle regole tecniche del 2004, il periodo minimo di conservazione era di appena cinque anni.

3. L’effi cacia probatoria del documento informatico nel tempo

Funzione specifi ca della procedura di validazione temporale, s’è accennato, è quella di attestare – anche nei confronti dei terzi –, l’esistenza di un documento informa-tico in un momento storico determinato23; e, precisamente, quello corrispondente alla data ed ora di generazione del-la marca24. Detto questo, però, va soggiunto che gli effetti di tale attestazione non si protraggono indefi nitamente nel tempo. Indi, giusta la lettera dell’art. 49 delle “regole tec-niche”, secondo cui «tutte le marche temporali emesse da un sistema di validazione sono conservate in un apposito archivio digitale non modifi cabile per un periodo non in-feriore a venti anni25 ovvero, su richiesta dell’interessato,

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202 CAPITOLO II - SEZIONE IV

26 A prescindere, quindi, dalla scadenza del certifi cato elettronico cor-rispondente alla chiave di marcatura utilizzata per la generazione della marca temporale (come invece sostenuto – quando erano ancora vigenti le “vecchissi-me” regole tecniche del 1999 –, da A. GRAZIOSI, La nuova effi cacia probatoria del documento informatico, cit., p. 75 s.) .

27 In proposito, è particolarmente signifi cativo il disposto di cui all’art. 15, comma 5, del d. P. C. M., 30 settembre 2009, a mente del quale il «certifi ca-

per un periodo maggiore, alle condizioni previste dal cer-tifi catore» (primo comma), mentre la «marca temporale è valida per il periodo di conservazione stabilito o concor-dato con in certifi catore» (così il secondo comma), è lecito arguire che qui la data si considera certa riguardo ai terzi solo se e fi no a che il fi le marcato risulta essere nel con-tempo memorizzato in un registro digitale creato ad hoc da colui che esercita la funzione di time stamping authority.26

A questo punto, però, un ulteriore profi lo merita at-tenzione. In particolare, è opportuno interrogarsi sul senso della disposizione di cui all’art. 51 delle “regole tecniche” che, rubricata «valore della fi rma digitale nel tempo», enuncia quanto segue, e cioè che la «fi rma digitale, ancor-ché sia scaduto, revocato o sospeso il relativo certifi cato qualifi cato del sottoscrittore, è valida se alla stessa è as-sociabile un riferimento temporale opponibile ai terzi che colloca la generazione di detta fi rma digitale in un momento precedente alla sospensione, scadenza o revoca del suddet-to certifi cato».

Nel tentativo di lumeggiare il signifi cato e la funzione di questa disposizione, conviene muovere da una consta-tazione d’ordine tecnico: la sicurezza del congegno della fi rma digitale poggia, in larga misura, sulla maggiore o mi-nore diffi coltà di risalire al codice alfanumerico della chia-ve privata a partire dalla conoscenza della chiave pubbli-ca ad esso correlata. Ed al riguardo, può osservarsi che le probabilità di riuscirvi sono inversamente proporzionali alla lunghezza (o “robustezza”)27 della coppia di chiavi im-

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IL DOCUMENTO INFORMATICO NEL TEMPO 203

tore determina il periodo di validità dei certifi cati qualifi cati anche in funzione della robustezza crittografi ca delle chiavi impiegate ».

28 Cfr.: G. FINOCCHIARO, La fi rma digitale (artt. 2699 – 2720, supplemen-to d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), cit., spec. p. 173 s.; F. RIZZO, Il docu-mento informatico. «Paternità» e «falsità», cit., p. 327; F. DELFINI, Documen-to informatico e fi rme elettroniche, in Manuale di diritto dell’informatica a cura di D. Valentino, Napoli 2004, p. 161 ss., spec. 168.

29 Enunciata nel 1965 da Gordon Moore (ingegnere elettronico e fonda-tore, insieme a Robert Noyce, di Intel), la cosiddetta “legge di Moore” somiglia più ad un vaticinio che ad un principio scientifi co o ad una proiezione confer-mata, nel tempo, da puntuali riscontri statistici. In altri termini, più che di una legge si tratterebbe di una sorta di leggenda. Ciò detto, però, va ugualmente riconosciuto che essa pone all’attenzione dell’interprete un dato di sicura per-cezione empirica, ossia il costante ed enorme aumento della capacità di calcolo degli elaboratori elettronici nel corso di questi ultimi decenni.

30 Ancor più infelice ed ambigua, del resto, appariva la formuzione della disposizione di cui all’art. 52 delle previgenti regole tecniche (corri-spondente all’art. 51 di quelle in vigore), che, rubricata «estensione della validità del documento informatico», impiegava il sostantivo “invalidità”

piegata per la generazione e la verifi ca della fi rma, da un lato; e, dall’altro, direttamente proporzionali alla capacità di calcolo degli elaboratori elettronici esistenti in un dato momento storico. 28

Ora, posto che secondo una rinomata previsione – co-nosciuta dai più come “legge di Moore” –, la velocità dei processori raddoppia ogni diciotto mesi29, si capisce perché una fi rma digitale sicurissima nel momento in cui viene ap-posta, potrebbe non esserlo anche in futuro, per effetto della graduale obsolescenza della chiave crittografi ca ado-perata per generarla. Ed è qui, nella speciale considerazio-ne che il conditor iuris ha avuto di questo tallone d’Achille tecnologico, la bussola per orientare la lettura della dispo-sizione regolamentare in commento.

Così va innanzitutto segnalato che la formulazione dell’art. 51 apre l’adito ad un possibile fraintendimento. In particolare, l’uso atecnico (e quindi improprio) dell’ag-gettivo “valida”, riferito al sintagma “fi rma digitale”30, po-

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204 CAPITOLO II - SEZIONE IV

riferendolo in modo palesemente incongruo al “documento informatico”. Al riguardo, sia consentito il rinvio a G. NAVONE, La data del documento infor-matico: osservazioni in materia di validazione temporale, in Obbl. e Contr., 2009, p. 367.

31 A riguardo, si veda G. FINOCCHIARO, La fi rma digitale (artt. 2699 – 2720, supplemento d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), cit., spec. p. 174; R. ZAGAMI, Il fattore tempo: la marcatura temporale, cit., spec. p. 167 e s.; A. MARRA, Validità temporale della documentazione elettronica, cit., spec. p. 36 e ss.; A. GRAZIOSI, La nuova effi cacia probatoria del documento informatico, cit., spec. p. 76 e s.; F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «fal-sità», cit., spec. p. 328.

In tutt’altro campo, e precisamente in materia di revoca del testamento olografo mediante distruzione, lacerazione o cancellazione, analoghe conside-razioni sono state svolte da S. PAGLIANTINI, Il potere del testatore sull’ologra-fo: per una rivisitazione dell’art. 684 c.c., in Rass. dir. civ., 2007, p. 1007 e ss., spec. 1009 e s., per confutare quella dottrina che – innalzando l’integrità permanente del documento a conditio sine qua non per la validità della dichia-razione mortis causa – è giunta a sostenere che l’ineffi cacia del testamento di-scende non già dall’esser questo revocato, quanto dal fatto che è venuto meno, per volontà del suo autore, il requisito formale (della dichiarazione scritta ed autografa).

trebbe indurre a pensare che allo scadere del certifi cato collegato alla chiave di sottoscrizione ed in mancanza di una marca temporale «che colloca la generazione di detta fi rma digitale in un momento precedente alla […] scadenza […] del suddetto certifi cato», verrebbero ad essere infi cia-ti nientemeno che gli effetti sostanziali dell’atto documen-tato. Ma si tratta, notiamo di passata, di un evidente depi-staggio al quale non abboccare. Diversamente opinando, infatti, verrebbe ad ammettersi un’improbabile ipotesi di invalidità sopravvenuta rispetto alla quale sarebbe specu-lare uno stravagante onere formale (si badi bene: posterio-re alla formazione dell’atto), consistente nell’apposizione di una marca temporale. In breve: verrebbe a confondersi grossolanamente la forma con il documento (sino a rendere la prima sensibile a vicende relative al secondo e successive alla sua redazione).31

A più matura rifl essione, invece, appare chiaro che

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IL DOCUMENTO INFORMATICO NEL TEMPO 205

32 In proposito, è opportuno segnalare che l’art. 28, comma 1, lett. f, del Codice dell’amministrazione digitale, annovera tra le informazioni che i certifi cati qualifi cati devono obbligatoriamente contenere la «indicazione del termine iniziale e fi nale del periodo di validità del certifi cato».

33 S’intende: in mancanza di una marca temporale (apposta prima della scadenza del certifi cato), che consenta di mantenere costante nel tempo – pre-cisamente, per tutto il tempo in cui il fi le marcato è conservato nell’archivio digitale di cui all’art. 49 delle vigenti “regole tecniche” – l’originaria effi cacia probatoria del documento.

34 Art. 21, comma 2, del Codice dell’amministrazione digitale (modifi ca-to dall’art. 16 del d. lgs. 30 dicembre 2010, n. 235).

35 Così come modifi cato dall’art. 23 (ora dall’art. 23-quater, a seguito delle modifi che disposte dall’art. 16 del d. lgs. 30 dicembre 2010, n. 235), del Codice dell’amministrazione digitale.

36 Cfr.: G. FINOCCHIARO, La fi rma digitale (artt. 2699 – 2720, supplemen-to d. P. R. 10 novembre 1997, n. 513), cit., spec. p. 175; R. ZAGAMI, Il fattore tempo: la marcatura temporale, cit., spec. p. 167 e s.; A. GRAZIOSI, La nuova effi cacia probatoria del documento informatico, cit., spec. p. 78 e s.; A. VIL-LECCO BETTELLI, L’effi cacia delle prove informatiche, cit., p. 111; F. RIZZO, Il documento informatico. «Paternità» e «falsità», cit., spec. p. 328; A. GENTILI, Documento elettronico: validità ed effi cacia probatoria, cit., spec. p. 164; M. SCARPA, Le nuove frontiere dell’effi cacia probatoria del documento informati-co, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2008, p. 251 ss., spec. 264 s.

lo scadere del certifi cato32 collegato alla chiave di sotto-scrizione33 non incide sulla validità sostanziale dell’at-to documentato, ma sull’effi cacia probatoria privilegia-ta propria del documento informatico munito di fi rma digitale (o altro tipo di fi rma elettronica qualifi cata). Nel senso che, quest’ultimo, cessa d’avere «l’effi cacia [probatoria] prevista dall’art. 2702 del codice civile»34

riguardo alla scrittura privata, per assumere quella – assai più limitata – che l’art. 2712 cod. civ.35 riserva ai documen-ti informatici privi di sottoscrizione36.

In senso fi gurato, si può quindi dire che la marca tem-porale costituisce l’antidoto alla progressiva diminuzione della forza probatoria del documento informatico.

Ma se così è, se cioè è vero che sul piano sostanziale la mancanza di una marca e lo scadere del certifi cato non determinano l’invalidità sopravvenuta dell’atto rappre-

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206 CAPITOLO II - SEZIONE IV

37 Giacché – si è visto – tra le parti la data non indicata (o falsamente in-dicata) nel documento, può essere provata con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge.

38 Al riguardo, è opportuno rammentare che 21, comma 3, del Codice dell’amministrazione digitale, dispone che «l’apposizione ad un documento informatico di una fi rma digitale o di un altro tipo di fi rma elettronica qualifi -cata basata su un certifi cato elettronico revocato, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscrizione».

sentato, è pur vero che ne possono derivare seri problemi sul piano processuale. Precisamente, soprattutto nei con-fronti dei terzi37, potrebbe divenire arduo dimostrare che la fi rma è stata generata durante un periodo di “validità” del certifi cato38; e quindi, in ultima analisi, fornire la prova dell’integrazione del requisito formale in tutti i casi in cui la legge esige che l’atto debba «farsi per iscritto» sotto pena di nullità.

Alla stregua delle considerazioni svolte, allora, si pro-fi la una chiara distinzione tra il documento informatico munito di fi rma digitale (o altro tipo di fi rma elettronica qualifi cata), e il documento cartaceo provvisto di sottoscri-zione autografa: il primo, dopo la scadenza del certifi cato, vede ridotta la propria forza probatoria; il secondo, la con-serva inalterata senza limiti di tempo.

Si tratta, è giusto riconoscerlo, di un elemento di dif-ferenziazione non marginale. Incredibilmente relegato, pe-raltro, in una norma di fonte regolamentare. Detto questo, però, il predetto differenziamento neppure merita di essere enfatizzato, e ciò per più ragioni.

Due su tutte.La paventata diminuzione dell’attitudine probatoria

del documento informatico – si è visto – può essere facil-mente scongiurata o, quantomeno, lungamente procra-stinata mediante l’apposizione di una marca temporale. Mentre, all’incontro, anche il documento “in carta e in-

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IL DOCUMENTO INFORMATICO NEL TEMPO 207

39 Ex multis, cfr. Cass., 29 gennaio 2003, n. 1282: «qualora venga pro-posta istanza di verifi cazione di scrittura privata dalla parte che ha interesse ad utilizzare la scrittura privata disconosciuta in giudizio, quest’ultima dovrà produrre scritture di comparazione di cui sia certa la provenienza dal sog-getto a cui detto documento si intende attribuire»; Trib. Marsala, 11 marzo 2008: «considerato che anche in caso di disconoscimento del testamento olo-grafo operano le disposizioni di cui agli artt. 214 c.p.c. ss., in ordine al profi lo probatorio va precisato che, una volta negata da parte degli eredi legittimi la conoscenza della scrittura del testamento e della sottoscrizione ivi apposta, grava sui soggetti benefi ciati dal testamento l’onere di chiedere la verifi cazione e proporre i mezzi di prova che si ritengano utili, anche mediante indicazione delle scritture di comparazione; e ciò a prescindere dai ruoli (di attori o conve-nuti) concretamente assunti nell’ambito del processo».

40 Ai sensi dell’art. 216 e ss. del cod. proc. civ.

chiostro” (pur non scadendo), è in concreto più vulnerabi-le col passare del tempo: basti qui constatare come, dopo la morte del sottoscrittore, di giorno in giorno aumenta la diffi coltà di reperire idonee scritture di comparazione (id est: di sicura attribuzione)39, necessarie per la proposizio-ne dell’istanza di verifi cazione della scrittura privata di-sconosciuta in giudizio. 40

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ALBANESI E., 95 (29) ALBERTINI L., 44 (99)ALCARO F., 63 (27), 80 (69), 81 (71)AMBANELLI A., 186 (103)ANDRINI M. C., 56 (14)ANDRIOLI V., 7 (15), 16 (38), 42 (93),

145 (15)ANGELICI C., 16 (38), 27 (63), 36

(82), 47 (112)ASPRONE M., 106 (12)ASTUNI E., 173 (68)

BALENA G., 5 (10), 145 (15)BARICCO A., 54 (11)BATTELLI E., 168 (59)BECHINI U., 102 (6)BELVEDERE A., 37 (82), 47 (112)BENEDETTI A. M., 151 (29)BENEDETTI G., 55 (13)BENTHAM J., 8 (19)BERTOLINO G., 145 (15)BETTETINI G., 20 (46), 24 (56), 28

(65)BETTI E., 9 (20), 39 (86)BIANCA C. M., 37 (82), 42 (93), 52

(6), 53 (9), 62 (25), 157 (38)BIGLIAZZI GERI L., 7 (16), 37 (83),

53 (9)BONFANTINI M., 21 (47)BORGOGNO R., 64 (29)BORRUSO R., 52 (6), 53 (9), 62 (25),

64 (29), 69 (41), 73 (51), 76 (58), 106 (12)

BOVE B., 172 (67), 179 (88)BOVE L., 37 (82), 47 (112)BRANDANI S., 164 (54), 184 (99)BRECCIA U., 7 (16), 33 (73), 37 (83),

53 (9), 92 (24), 120 (38), 150 (25)BUONOMO G., 64 (29), 111 (21), 120

(38), 199 (16), 200 (22)

BUSNELLI F. D., 7 (16), 38 (83), 53 (9)

CALABRESE O., 6 (12)CALAMANDREI I., 8 (19)CAMMARATA A. E., 39 (86)CAMMARATA M., 64 (29), 73 (51), 79

(64), 83 (73), 101 (4), 102 (6), 111 (21), 120 (40), 199 (16)

CAMPITELLI A., 42 (93)CANDIAN A., 36 (82), 45 (106), 46

(109), 49 (1), 54 (10), 61 (24)CAPORUSSO S., 155 (35)CARDARELLI M. C., 56 (15)CARDONA G. R., 50 (2), 51 (3), 53

(10), 119 (35)CARNELUTTI F., 2 (3) (4), 6 (11) (13)

(14), 7 (15) (17), 8 (18) (19), 9 (21), 10 (24), 11 (25) (26) (28), 12 (29) (30), 13 (31) (33), 14 (35), 22 (47), 24 (54) (56), 25 (58), 39 (86), 41 (90), 47 (111), 51 (5) (6), 52 (7), 61 (24), 68 (37), 70 (44), 103 (8), 169 (61), 176 (77) (79) (80), 195 (1)

CARPINO B., 144 (13)CARRARO L., 11 (25), 18 (42), 36

(82), 37 (82), 38 (84), 47 (112), 53 (9),

CASABONA S., 102 (6)CASSANO G., 168 (59)CATAUDELLA A., 39 (86)CECCACCI G., 136 (90)CECCARINI A., 124 (51), 157 (39),

183 (98), 196 (5), 201 (24)CEOLIN M., 194 (121)CHIBBARO S., 179 (90)CHIEPPA R., 97 (31)CHIOVENDA G., 2 (1), 14 (35)CIACCI G., 52 (6), 61 (23), 76 (58),

124 (50), 136 (90)

INDICE DEGLI AUTORI(I numeri rinviano alla pagina, quelli tra parentesi alla nota)

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210 INDICE DEGLI AUTORI

CIANFRONE C., 119 (35)CICCONETTI S. M., 95 (29)CIMINO I. P., 168 (59)CLARIZIA R., 16 (38), 51 (6)COHEN M., 50 (2)COMANDÉ G., 102 (6)COMOGLIO L. P., 5 (10), 31 (71), 62

(25), 143 (7), 145 (15), 163 (52), 177 (81)

COMPORTI M., 42 (93), 53 (9), 81 (70), 83 (72), 132 (77), 163 (53)

CONTALDO A., 110 (21)COPPA ZUCCARI P., 31 (71)CORASANNITI G., 64 (29)CORBO N., 132 (76)CORDERO F., 40 (88), 47 (112)CORRADO R., 130 (68)CORSINI P., 121 (44)COSSU M., 83 (72)COSTANTINO M., 53 (9)CRIVELLARI F., 194 (121)

D’AIETTI G., 64 (29)D’AMICO G., 92 (26)D’ANDREA A., 160 (45)D’ANGELO A., 42 (93)DANOVI R., 135 (87)DE CRISTOFARO G., 57 (18), 152 (31)DE FRANCESCHI A., 58 (18)DE MAURO T., 16 (38)DE NOVA G., 53 (9)DE SANTIS F., 24 (54)DE SARLO L., 46 (109), 52 (9), 53

(10), 61 (24)DELFINI F., 29 (66), 102 (6), 107

(12), 145 (15), 147 (20), 157 (38), 177 (84), 179 (88), 203 (28)

DELL’UTRI M., 150 (25)DELPECH V., 52 (6)DENTI V., 2 (2), 3 (4), 16 (38), 44

(99)DI BENEDETTO G., 31 (70), 110 (21)

DI SABATO D., 16 (38), 55 (13), 61 (24), 62 (25)

DIRINGER D., 50 (2)DRAETTA U., 102 (6)DRIVER G. R., 50 (2)DUNBAR N., 119 (35)

ECO U., 11 (25), 14 (34), 20 (46), 21 (47), 22 (48), 77 (60)

EMILIOZZI E., 120 (38)EUGENEI R., 24 (56)

FABBRICHESI LEO R., 11 (25), 21 (47)FABBRINI G., 42 (93)FALZEA A., 13 (33), 39 (86), 40 (88),

41 (91)FARINA M., 110 (21)FAZIO E., 145 (15)FERRERO E., 135 (88)FERRI L., 47 (112)FERRUCCI R., 145 (15)FÉVRIER G., 50 (2)FICCARELLI B., 162 (51), 163 (52)FINOCCHIARO G., 63 (27), 67 (35), 71

(47), 99 (1), 102 (6), 106 (12), 117 (33), 124 (51), 142 (6), 146 (19), 147 (20), 153 (33), 158 (40), 166 (58), 174 (73), 175 (76), 183 (98), 189 (107), 203 (28), 204 (31), 205 (36)

FLORINDI E., 52 (6)FOGLIA R., 36 (81)FRANCESCA M., 128 (64), 130 (68),

131 (71)FRANCESCHELLI V., 65 (32)FREGE G., 17 (38)FUGINI M., 108 (15), 121 (43), 199

(16GAMBARARA D., 12 (29)GAMBARO A., 53 (9)GAMBINO A. M., 71 (46), 122 (47)GAUDINI S., 106 (12)GELB I. J., 50 (2)GENOVESE A., 169 (61)

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INDICE DEGLI AUTORI 211

GENTILI A., 70 (42), 93 (27), 115 (25), 136 (91), 140 (2), 145 (15), 155 (35), 157 (39), 158 (40) (41), 166 (58), 169 (61), 173 (71), 174 (73), 186 (102), 198 (10), 205 (36)

GERBO F., 27 (63), 108 (17)GIACALONE P., 123 (49)GIACOBBE G., 130 (68), 196 (2)GIACOPUZZI L., 110 (20)GIAMPICCOLO G., 46 (109), 130 (68) GIANNANTONIO E., 65 (32)GIORGIANNI M., 46 (108), 150 (26),

169 (61)GIUSTOZZI C., 102 (4)GOLDONI C., 15 (36)GORGA M., 110 (21)GRANELLI C., 32 (71)GRAZIANI C. A., 32 (71), 34 (74)GRAZIOSI A., 25 (59), 65 (32), 69

(41), 102 (6), 107 (12), 158 (40), 162 (51), 199 (16), 202 (26), 204 (31), 205 (36)

GREVI V., 8 (19)GROTTO M., 160 (46)GUARRACINO F., 16 (38), 52 (6), 76

(58), 77 (62), 83 (73)GUASTINI R., 37 (82), 146 (19)GUIDI P., 11 (25), 15 (36), 34 (75),

37 (82), 43 (96)GUSMANO A., 50 (2)

HARRIS R., 50 (2)HEREDIA y LARRE P., 35 (79) IOZZO M., 144 (12)IRTI N., 12 (30), 13 (33), 16 (38), 19

(44), 34 (75), 39 (86), 40 (88), 42 (92), 46 (110), 47 (112), 52 (6) (7), 115 (27)

IZZI B., 83 (73) JANNARELLI A., 53 (9)JORI M., 37 (82)

JORI M. G., 110 (20)

KELLY T., 119 (35)

LA MARCA G., 166 (58), 183 (96), 184 (98), 188 (106), 190 (111), 194 (121)

LA TORRE M. E., 3 (5), 16 (38), 37 (82), 41 (90), 54 (11), 77 (62), 142 (7), 145 (15)

LANDINI S., 32 (71), 103 (8)LASERRA G., 13 (31), 37 (82), 45

(105), 48 (113)LAZZARO G., 37 (82)LEHMANN M., 58 (18)LESSONA C., 25 (57)LÉVY P., 66 (33)LIEBMAN E. T., 8 (19), 143 (7)LISERRE A., 47 (112), 48 (113), 52

(6), 187 (103)LUCIFERO F., 24 (54), 143 (7) (10) LUGO A., 14 (35)LUISO F. P., 7 (16), 142 (7)LUPANO M., 110 (21)

MACARIO F., 53 (9)MACCARONE E., 64 (29), 73 (51), 79

(64), 83 (73), 102 (6), 111 (21), 120 (40), 199 (16)

MAIO F., 108 (15), 121 (43), 199 (16)

MALINVERNI A., 25 (58), 51 (4) (6), 56 (14)

MALTONI A., 130 (70)MANDRIOLI M., 5 (10)MANNO R., 101 (4), 110 (21)MARRA A., 197 (7), 199 (16), 204

(31)MARTONI M., 106 (12)MASI A., 64 (29)MASSARI A., 24 (54)MASTROMATTEO A., 91 (22), 106

(12), 175 (74)

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212 INDICE DEGLI AUTORI

MASUCCI A., 61 (23), 67 (35), 76 (58)MAZZAMUTO S., 57 (18)MELCHIORRE V., 17 (40)MELICA M., 106 (12)MESSINA M., 62 (25)MESSINEO F., 47 (112), 52 (7)MESSINETTI D., 53 (9), 80 (68)MICCOLI M., 63 (28)MICHELUCCI E. O., 121 (44)MINNECI U., 38 (85)MINUSSI D., 168 (59)MIRRIONE M., 194 (121)MODICA L., 32 (71), 150 (25), 152

(30)MONTESANO L., 36 (80), 144 (13)MORELLO A., 61 (24)MOSCARINI L. V., 71 (47), 153 (33)MOSCATI E., 31 (71)

NASTRI M., 102 (6), 107 (12), 191 (113), 193 (117), 194 (121)

NATOLI U., 7 (16), 38 (83), 53 (9), 145 (15)

NAVONE G., 29 (66), 76 (58), 110 (20), 177 (82), 185 (100), 204 (30)

NEGROPONTE N., 69 (40)NEIROTTI L., 124 (51)NIVARRA L., 79 (66)NUZZO M., 48 (113)

ORLANDI M., 23 (54), 28 (63), 29 (66), 47 (112), 48 (113), 52 (6), 67 (36), 70 (45), 71 (46), 72 (48), 103 (7) (8), 106 (12), 123 (49), 124 (50), 133 (81), 134 (83), 155 (35), 178 (86), 197 (7)

PAGLIANTINI S., 34 (76), 45 (107), 58 (18) (19), 59 (20), 75 (55), 149 (25), 150 (27), 152 (30), 153 (32), 166 (59), 172 (66), 204 (31)

PAGNOTTA L. A., 51 (4)PALADIN L., 95 (29)PALMIERI A., 90 (18)PANUCCIO V., 66 (34)PARISI F., 52 (6), 66 (34), 67 (36)PARODI C., 64 (29) PASA B., 150 (27)PASCUZZI G., 115 (26), 124 (50)PASTENA C., 50 (2)PATTI S., 13 (31), 16 (38), 37 (82),

41 (92), 42 (93), 44 (100), 52 (6), 61 (24), 70 (44), 142 (7), 145 (15), 157 (38)

PECORELLA C., 64 (29)PEIRCE C. S., 11 (25), 21 (47), 22

(49)PELOSI A., 110 (21)PERLINGIERI P., 39 (86), 43 (97), 150

(26), 185 (101)PETRELLI G., 170 (63), 173 (68),

179 (89), 183 (96), 191 (113), 194 (121)

PETRONE M., 64 (29)PICA G., 64 (29), 73 (51), 76 (57)PICCIRILLI L., 119 (35)PICCOLI P., 52 (6)PICOTTI L., 56 (14), 64 (29), 65

(31), 73 (51), 131 (74), 160 (45)PINTORE A., 37 (82)PIZZOFERRATO A., 62 (25)PLEBANI P., 108 (15), 121 (43), 199

(16)PORFIRI M., 193 (117)PROTO PISANI A., 5 (10), 7 (16), 145

(15), 146 (18)PUGLIATTI S., 39 (86), 53 (9), 130

(68), 132 (75)PUNZI C., 8 (19) REDENTI E., 52 (7)REGGI R., 42 (93)RESCIGNO P., 132 (76)RICCI F., 62 (25), 104 (9), 123 (49),

153 (33)

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INDICE DEGLI AUTORI 213

RICCI G. F., 141 (4), 144 (13), 147 (20)

RIVOLTELLA P. C., 24 (56), 189 (110)RIZZO F., 16 (38), 43 (98), 44 (100),

69 (39), 71 (47), 73 (51), 76 (58), 77 (62), 102 (6), 111 (21), 153 (33), 157 (39), 199 (16), 203 (28), 204 (31), 205 (36),

RIZZO V., 197 (6)ROGNETTA G., 61 (23), 69 (41), 71

(47), 110 (21), 117 (32), 121 (43)

ROMANO A. A., 145 (15)ROMANO SALV., 19 (43)RONCO A., 14 (33)ROPPO V., 31 (71), 106 (12), 151

(29)ROSELLI F., 95 (29)ROTA F., 23 (54), 48 (112), 79 (67),

106 (12), 157 (38), 161 (49), 174 (73), 179 (88), 196 (4)

RUBINO D., 39 (86), 130 (68)RUFFOLO U., 81 (71)

SACCO R., 27 (62), 30 (69), 39 (86), 40 (87), 62 (25)

SALA M., 179 (90), 193 (117)SALETTI A., 173 (68)SALVESTRONI U., 32 (71)SANDEI C., 179 (89), 191 (113), 193

(117) (118)SANTACROCE B., 91 (22), 106 (12),

175 (74)SANTANGELO E., 102 (6), 107 (12)SANTORO PASSARELLI F., 39 (86)

(87), 47 (112)SARZANA DI SANT’IPPOLITO F., 102

(6), 142 (7), 147 (20) (21)SATTA S., 8 (19)SAVIGNY F. C., 37 (83)SCARPA M., 110 (21), 205 (36)SCHLESINGER P., 20 (46), 61 (24),

154 (34)

SCIARRONE ALIBRANDI A., 38 (85)SCOGNAMIGLIO C., 22 (50), 81 (71)SCOGNAMIGLIO R., 39 (86), 40 (88)SCOLETTA M., 160 (45) (46)SCOZZAFAVA O. T., 53 (9), 80 (68)SENA G., 81 (70)SEVERINO E., 115 (27)SGOBBO C., 106 (12)SICA S., 62 (25), 102 (6), 107 (12),

124 (53), 142 (7)SIMONE R., 21 (47), 56 (14), 104

(10)SIRENA P., 57 (17), 155 (36)SMANIOTTO E., 193 (117)SORRENTINO F., 124 (51)SPADA P., 83 (72), 148 (23)STAINO S., 95 (29)STALLINGS W., 101 (4), 108 (15), 121

(43)STOLFI E., 52 (8)STOPPANI A., 133 (82)

TARELLO G., 37 (82)TARUFFO M., 5 (10), 8 (19), 42 (93),

44 (101) TOMMASEO F., 47 (112), 48 (113),

142 (7), 143 (8), 196 (5)TOMMASEO N., 14 (36)TONALINI P., 61 (23)TONDO S., 13 (31), 66 (34)TONINI P., 73 (50), 177 (82)TOSI E., 145 (15), 153 (33)

VACCARELLA R., 36 (80), VALIA C., 160 (45), 194 (121)VALLEBONA A., 144 (13)VANGONE G., 106 (12)VERDE G., 5 (10), 147 (20), 195 (1)VIGLIONE F., 66 (34), 102 (6)VILLECCO BETTELLI A., 106 (12),

124 (51), 174 (73), 199 (16), 205 (36)

VOLLI U., 11 (25), 20 (46), 21 (47), 78 (63)

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VOLPINO D., 162 (51), 163 (52)VOLTAGGIO LUCCHESI F., 80 (68)

ZACCARIA R., 95 (29)ZAGAMI R., 69 (39), 71 (47), 73 (51),

102 (6), 197 (7), 199 (16), 204 (31), 205 (36)

ZANNIER I., 14 (34)ZANOLINI G., 52 (6)ZUMERLE F., 74 (52)

214 INDICE DEGLI AUTORI

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QUADERNI Dl «STUDI SENESI»

1. REMO MARTINI, «Mercennarius». Contributo allo studio dei rapporti di lavoro in diritto romano (1958), 8°, pag. 90, L. 5.000.

2. PIETRO MESCHINI, Sulla natura giuridica degli enti pubblici economici (1958), 8°, pag. 81 (esaurito).

3. LUISA LEPRI, Sui rapporti di parentela in diritto attico. Saggi terminologici (1959), 8°, pag. 103, L. 5.000.

4. GIUSEPPE MARCHELLO, La crisi del concetto fi losofi co della libertà (1959), 8°, pag. 104, L. 5.000.

5. ENZO BALOCCHI, La buona condotta (1960), 8°, pag. 150, L. 5.000.

6. ANTONELLO BRACCI, Le norme di attuazione degli statuti per le regioni ad autonomia speciale (1961), 8°, pag. 105, L. 8.000.

7. MARCO COMPORTI, Gli effetti del fallimento sui contratti di lavoro (1961), 8°, pag. 144, L. 5.000.

8. UGO ENRICO PAOLI, Comici latini e diritto attico (1962), 8°, pag. 80, L. 8.000.

9. BRUNA TALLURI, Pierre Bayle (1963), 8°, pag. 180, L. 4.000.

10. DOMENICO MAFFEI, La «Lectura super Digesto Veteri», di Cino da Pistoia. Studio sui MSS Savigny 22 e Urb. Iat. 172 (1963), 8°, pag. Vlll-76, L. 6.000.

11. PIERO BRANCOLI BUSDRACHI, La formazione storica del feudo lombardo come diritto reale (1965), 8°, pag. X-200, L. 8.000.

12. GIUSEPPE MARCHELLO, La teoria dello Stato come libertà (1965), 8°, pag. X-160, L. 6.000.

13. ANTONELLO BRACCI, Problemi concernenti il sequestro conservativo dell’universitas (1966), 8°, pag. X-158, L. 8.000.

14. LUIGI CAPOGROSSI COLOGNESI, Ricerche sulla struttura delle servitù d’acqua in diritto romano (1966), 8°, pag. Vlll-204, L. 10.000.

15. ENZO BALOCCHI, La qualifi cazione di povertà nel diritto amministrativo (1967), 8°, pag. Vlll-140, L. 4.000.

16. CESARE MARIA MOSCHETTI, Gubernare navem - Gubernare rem publicam. Contributo alla storia del diritto marittimo e del diritto pubblico romano (1966), 8°, pag. Vlll-272, L. 10.000.

17. LUIGI BERLINGUER, Domenico Alberto Azuni giurista e politico (1749-1827) (1966), 8°, pag. XIV-292, L. 10.000.

18. MARIA TERESA CIOCCHETTI, Lo sciopero. Rassegna di giurisprudenza (1948-1965) (1967), 8°, pag. XVIII-166, L. 5.000.

19. PIER GIORGIO PONTICELLI, Intorno ai rapporti fra tutela del possesso e interesse pubblico (1968), 8°, pag. 80, L. 2.500.

20. GUIDO ZANGARI, Il recesso dal rapporto di lavoro in prova (1970), 8°, pag. Xll-340, L. 7.000.

21. FABRIZIO RAMACCI, Introduzione all’analisi del linguaggio legislativo penale (1970), 8°, pag. Xll-200, L. 8.000.

22. MARIO ASCHERI, Un maestro del ‘mos italicus’: Gianfracesco Sannazari della Ripa (1480c.-1535) (1970), 8°, pag. Xll-200, L. 7.000.

23. LUIGI BERLINGUER, Sui progetti di Codice di commercio del Regno d’ltalia (1807-1808). Consi-derazioni su un inedito di D.A. Azuni (1970), 8°, pag. 170, L. 5.000.

24. FILIPPO LIOTTA, La continenza dei chierici nel pensiero canonistico classico. Da Graziano a Gregorio IX (1971), 8°, pag. Xll-404, L. 15.000.

25. MARIO ASCHERI, Saggi sul Diplovatazio (1971), 8°, pag. 148, L. 5.000.

26. PAOLO FOIS, Obblighi comunitari e programmazione economica (1971), 8°, pag. Vlll-104, L. 5.000.

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27. AURELIUS SABATTANI, De vita et operibus Alexandri Tartagni de Imola (1972), 8°, pag. 136,

L. 5.000.

28. ENRICO QUADRI, La rettifi ca del contratto (1973), 8°, pag. 160, L. 8.000.

29. NICLA BELLOCCI, La tutela della fi ducia nell’epoca repubblicana (1974), 8°, pag. 130, L. 5.000.

30. ANTONELLO BRACCI, La posizione processuale del fallito e i poteri del curatore (1974), 8°, pag. 146, L. 6.000.

31. PAOLO FOIS, L’accordo preliminare nel diritto internazionale (1974), 8°, pag. Vlll-212, L. 8.000.

32. PAOLO NARDI, Mariano Sozzini giureconsulto senese del Quattrocento (1974), 8°, pag. XVI-204, L. 10.000.

33. PIETRO MESCHINI, Profi li costituzionali e amministrativi della dotazione del Presidente della Repubblica (1974), 8°, pag. 76, L. 2.500.

34. FILIPPO RANIERI, Alienatio convalescit. Contributo alla storia ed alla dottrina della convalida nel diritto dell’Europa continentale (1974), 8°, pag. Vl-90, L. 3.000.

35. LUCIA BONELLI CONENNA, Prata: Signoria rurale e comunità contadina nella maremma senese (1976), 8°, pag. XVI-164, L. 7.000.

36. FRANCESCO ALCARO, Rifl essioni critiche intorno alla soggettività giuridica. Signifi cato di un’evo-luzione (1976), 8°, pag. 116, L. 5.000.

37. GIANNETTO LONGO, Delictum e crimen (1976), 8°, pag. 180, L. 7.000.

38. UBALDO STAICO, Il pensiero politico di Teilhard de Chardin e la critica della democrazia (1976), 8°, pag. 160, L. 7.000.

39. MARCO COMPORTI, Contributo allo studio del diritto reale (1977), 8°, pag. Vlll-408, L. 15.000.

40. PAOLO VITALE, Pubblico e privato nell’ordinamento bancario (1977), 8°, pag. 180.

41. JULIUS KIRSHNER, Pursuing honor while avoiding sin. The Monte delle Doti of Florence (1978), 8°, pag. Vll-84, L. 3.500.

42. MICHELE CASSANDRO, Gli ebrei e il prestito ebraico a Siena nel Cinquecento (1979), 8°, pag. Xll-128, L. 7.000.

43. ENRICO QUADRI, Principio nominalistico e disciplina dei rapporti monetari (1979), 8°, pag. IV-220, L. 12.000.

44. PAOLO NARDI, Studi sul banchiere nel pensiero dei glossatori (1979), 8°, pag. XIV-294, L. 15.000.

45. PETER RAYMOND PAZZAGLINI, The Criminal Ban of the Sienese Commune (1225-1310) (1979), 8°, pag. Vlll-196, L. 8.000.

46. ANTONIO SERRA, Unanimità e maggioranza nelle società di persone (1980), 8°, pag. Vlll-270,

L. 15.000.

47. ALESSANDRO RASELLI, Rifl essioni sull’oggetto e il metodo della scienza del diritto (1980), 8°, pag. 124, L. 5.000.

48. GIULIO CIANFEROTTI Il pensiero di V.E. Orlando e la giuspubblicistica italiana fra Ottocento e Novecento (1980), 8°, pag. Xll-466, L. 20.000.

49. MARIA CRISTINA MASCAMBRUNO, La polizia amministrativa (art. 19 del decreto 616) (1981), 8°, pag. Vlll-196, L. 8.000.

50. ENZO MECACCI, La biblioteca di Ludovico Petrucciani docente di diritto a Siena nel Quattrocento (1981). 8°, pag. Vlll-174, L. 10.000.

51. GIOVANNI MINNUCCI, Le lauree dello Studio senese alla fi ne del secolo XV (1981), 8°, pag. Vlll-128, L. 7.000.

52. ANTONIO CARDINI, La cultura economica italiana e l’età dell’lmperialismo (1900-1914) (1981), 8°, pag. 96, L. 5.000.

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53. LORENZO FASCIONE, Fraus legi. Indagini sulla concezione della frode alla legge nella lotta politica e nella esperienza giuridica romana (1983), 8°, pag. X-264, L. 18.000.

54. MICHELE CASSANDRO, Aspetti della storia economica e sociale degli ebrei di Livorno nel Seicento (1983), 8°, pag. Xll-202, L. 12.000.

55. GIOVANNI MINNUCCI, Le lauree dello Studio senese all’inizio del secolo XVI (1501-1506) (1984), 8°, pag. Vlll-154, L. 13.000.

56. GIULIO CIANFEROTTI, Giuristi e mondo accademico di fronte all’impresa di Tripoli (1984), 8°, pag. Vlll-168, L. 15.000.

57. DANIELE BIELLI, Competenza per connessione (1985), 8°, pag. Vlll-138, L. 13.000.58. GIOVANNI MINNUCCI, Le lauree dello Studio senese all’inizio del secolo XVI. 11(1507-1514)

(1985), 8°, pag. Vlll-128, L. 9.000.59. FLORIANA COLAO, Il delitto politico tra Ottocento e Novecento. Da «delitto fi ttizio» a «nemico

dello Stato» (1986), 8°, pag. X-410, L. 30.000.60. GIORGIO COLLURA. Finanziamento agevolato e clausola di destinazione (1986), 8°, pag. 158,

L. 12.000.61. IRENE MANFREDINI, Henri Saint-Simon: Écrits sur les progrès de la civilisation, publiés d’après

les manuscrits (1988), 8°, pag. L-76, L. 10.000.62. EVA ROOK BASILE, Impresa agricola e concorrenza. Rifl essioni in tema di circolazione dell’azienda

(1988), 8°, pag. Xll-250, L. 20.000.63. MARIA CRISTINA MASCAMBRUNO, Il prefetto. I: Dalle origini all’avvento delle Regioni (1988),

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64. GIOVANNI DIURNI, Le situazioni possessorie nel diritto medievale. Età longobardo-franca (1988), 8°, pag. XIV-362, L. 25.000.

65. ROBERTO GUERRINI, Elementi costitutivi e circostanze del reato. I: Profi li dogmatici (1988), 8°, pag. Vlll-88, L. 8.000.

66. DOMENICO SINESIO, Interessi pecuniari fra autonomia e controlli (1989), 8°, pag. Xll-286,

L. 25.000.

67. RICCARDO PISILLO MAZZESCHI, “Due diligence” e responsabilità internazionale degli Stati (1989), 8°, pag. XIV-418, L. 35.000.

68. GIOVANNI MINNUCCI, La capacità processuale della donna nel pensiero canonistico classico. Da Graziano a Uguccione da Pisa (1989), 8°, pag. X-150, L. 15.000.

69. WILLIAM M. BOWSKY, Piety and Property in Medieval Florence. A House in San Lorenzo (1990), 8°, pp. Xll-88, L. 12.000.

70. ELISABETTA ANTONINI, Contributo alla dommatica delle cause estintive del reato e della pena (1990), 8°, pag. XIV-226, L. 22.000.

71. GUIDO ZANGARI, Diritto sindacale comparato dei Paesi ibero-americani (Argentina, Brasile, Cile, Spagna) (1990), 8°, pag. XX-342, L. 36.000.

72. LUCA STANGHELLINI, I diritti del danneggiato e le azioni di risarcimento nella assicurazione obbligatoria della responsabilità civile (1990), 8°, pag. X-274, L. 30.000.

73. BRUNO FIORAI, Il sistema sindacale italiano e il principio di maggioranza: ricognizione sulle regole per la gestione del confl itto (1991), 8°, pag. XLIV-284, L. 32.000.

74. ANDREA PISANESCHI, I confl itti di attribuzione tra i poteri dello Stato. Presupposti e processo, (1992), 8°, pag. Vl-426, L. 48.000

75. MARIA CRISTINA MASCAMBRUNO, Il Prefetto. II: Funzioni di rappresentanza, di coordinamento e poteri di polizia (1992), 8°, pag. IV-122, L. 14.000

76. PAOLO D’AMICO, Il danno da emozioni, (1992), 8°, pag. IV-198, L. 20.000

77. GIOVANNI BUCCIANTI, 1989: Idoli infranti, fantasmi di guerra, (1993), 8°, pag. 160, L. 18.000

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78. MARCO MICCINESI, Le plusvalenze d’impresa. Inquadramento teorico e profi li ricostruttivi, (1993), 8°, pag. Vll-306, L. 36.000

79. GIOVANNI MINNUCCI, La capacità processuale della donna nel pensiero canonistico classico. II. Dalle Scuole d’Oltralpe a S. Raimondo di Pennaforte, (1994), 8°, pag. XVI-308, L. 40.000

80. STEFANO MAGGI, Dalla città allo Stato nazionale. Ferrovie e modernizzazione a Siena tra Ri-sorgimento e Fascismo, (1994), 8°, pag. VIII-356, L. 45.000

81. ANTONIO BADINI, Sovranità ed interessi nazionali nel cammino dell’Europa, (1994), 8°, pag. VIII-156, L. 20.000

82. FLORIANA COLAO, La libertà di insegnamento e l’autonomia nell’Università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1848-1923), (1995), 8°, pag. XXXI-504, L. 62.000

83. MICHELE BARBIERI, Per un’estetica della politica. Il primo Goethe, (1996), 8°, pag. XXII-299, L. 40.000

084. MARIA CECILIA CARDARELLI, Concentrazioni. Spunti tra regole codicistiche e mercato, (1996), 8°, pag. XII-255, L. 32.000

085. GIAN DOMENICO COMPORTI, Il coordinamento infrastrutturale. Tecniche e garanzie, (1996), 8°, pag. XII-442, L. 58.000

086. LUCA STANGHELLINI, Contributo allo studio dei rapporti di fatto, (1997), 8°, pag. XI-332, L. 45.000

087. ROBERTO GUERRINI, Il contributo concorsuale di minima importanza, (1997), 8°, pag. XIII-248, L. 35.000

088. GIULIO CIANFEROTTI, Storia della letteratura amministrativistica italiana. I. Dall’Unità alla fi ne dell’Ottocento: autonomie locali, amministrazione e costituzione, (1998), 8°, pag. XIV-854, L. 110.000

089. FULVIO MANCUSO, Exprimere causam in sententia. Ricerche sul principio di motivazione della sentenza nell’età del diritto comune classico, (1999), 8°, pag. XVIII-275, L. 40.000

090. SONIA CARMIGNANI, La società in agricoltura, (1999), 8°, pag. XVIII-317, L. 42.000

091. GIOVANNI BUCCIANTI, Libia: petrolio e indipendenza, (1999), 8°, pag. XXII-488, L. 58.000

092. ROBERTA BARGAGLI, Bartolomeo Sozzini giurista e politico (1436-1506), (2000), 8°, pag. XVI-255, L. 40.000

093. ANDREA LABARDI, La Facoltà giuridica senese e la Restaurazione. Con il testo delle Istituzioni Civili di Pietro Capei, (2000), 8°, pag. XVI-288, L. 40.000

094. PAOLO SOAVE, Fezzan: il deserto conteso (1842-1921), (2001), 8°, pag. X-530, L. 68.000

095. PAOLO ROSSO, Il Semideus di Catone Sacco, (2001), 8°, pag. CCLIX-167, L. 58.000

096. FABIO CASINI, L’opposizione tedesca al nazismo e la politica inglese dell’absolute silence, (2002), 8°, pag. XIV-384, € 28,00

097. ANDREA ERRERA, Il concetto di scientia iuris dal XII al XIV secolo. Il ruolo della logica platonica e aristotelica nelle scuole giuridiche medievali, (2003), 8°, pag. X-176, € 14,00

098. MARIA LUISA PADELLETTI, La tutela della proprietà nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, (2003), 8°, pag. VIII-290, € 22,00

099. ROBERTO BORRELLO, Segreti pubblici e poteri giudiziari delle Commissioni d’inchiesta. Profi li costituzionalistici, (2003), 8°, pag. XVIII-420, € 34,00

100. MARIO PERINI, Il seguito e l’effi cacia delle decisioni costituzionali nei confl itti fra poteri dello Stato, (2003), 8°, pag. X-502, € 40,00

101. BARBARA TOTI, Condizione testamentaria e libertà personale, (2004), 8°, pag. XII-502, € 40,00

102. LILIANA SENESI, La missione a Roma di Wladimir D’Ormesson. Un ambasciatore francese in Vaticano (maggio - ottobre 1940), (2004), 8°, pag. VIII-378, € 30,00

103. PAOLO SOAVE, La “rivoluzione americana” nel Mediterraneo. Prove di politica di potenza e declino delle reggenze barbaresche (1795-1816), (2004), 8°, pag. VIII-378, € 25,00

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104. STEFANO BERNI, Nietzsche e Foucault, Corporeità e potere in una critica radicale alla modernità, (2005), 8°, pag. VI-242, € 20,00

105. ALESSANDRA VIVIANI, Crimini Internazionali e responsabilità dei leader politici e militari, (2005), 8°, pag. XIV-352, € 25,00

106. PAOLO PASSANITI, Storia del diritto del lavoro. I. La questione del contratto di lavoro nell’Italia liberale (1865-1920), (2006), 8°, pag. XIV-532, € 50,00

107. STEFANO PAGLIANTINI, La risoluzione dei contratti di durata, (2006), 8°, pag. X-254, € 27,00

108. SONIA CARMIGNANI, Agricoltura e competenza regionale, (2006), 8°, pag. VIII-614, € 60,00

109. ROBERTO GUERRINI, La responsabilità da reato degli enti. Sanzioni e loro natura, (2006), 8°, pag. 274, € 28,00

110. MARIA CECILIA CARDARELLI, Potere regolamentare della Consob. Informazione e mercati regolamentati, (2007), 8°, pag. XII-190, € 20,00

111. GIOVANNI COSI, Invece di giudicare. Scritti sulla mediazione, (2007), 8°, pag. VI-204, € 21,00

112. ELISABETTA ANTONINI, La tutela penale degli obblighi di assistenza familiare, (2007), 8°, pag. VIII-146, € 16,00

113. STEFANIA PIETRINI, Deducto usu fructu. Una nuova ipotesi sull’origine dell’usufrutto, (2008), 8°, pag. VIII-186, € 19,00

114. ROBERTA ALONZI, Fascioda e il rovesciamento delle alleanze, (2008), 8°, pag. XXII-750, € 77,00

115. DARIO GUIDI, Appropriazione, distrazione ed uso nel delitto di peculato, (2008), 8°, pag. X-272, € 28,00

116. LILIANA SENESI, La questione dei Pii Stabilimenti francesi a Roma e a Loreto nei rapporti tra Francia, Italia e Santa Sede (1870-1956), (2009), 8°, pag. X-400, € 41,00

117. BARBARA TOTI, Comunione e masse comuni plurime, (2009), 8°, pag. X-420, € 44,00

118. ALESSANDRO PALMIERI, Autonomia contrattuale e disciplina della proprietà intellettuale. Pregi e misfatti della dimensione digitale, (2009), 8°, pag. VIII-222, € 24,00

119. LAURA PASSERO, Dionisio Anzilotti e la dottrina internazionalistica tra Otto e Novecento, (2010), 8°, pag. X-486, € 49,00

120. ALARICO BARBAGLI, Il notariato ad Arezzo tra Medioevo ed Età moderna, (2011), 8°, pag. VIII-260, € 30,00

121. FILIPPO DAMI, I rapporti di gruppo nel diritto tributario, (2011), 8°, pag. XVI-340, € 36,00

122. FRANCESCO GERBO, L’institutio ex re certa. Contributo per una rilettura critica degli articoli 457 e 588 del codice civile, (2011), 8°, pag. X-214, € 22,00

123. PAOLO PASSANITI, Diritto di famiglia e ordine sociale. Il percorso storico della società coniugale in Italia, (2011), 8°, pag. X-656, € 67,00

124. MARCO PASTORELLI, L’opera giuridica di Massimo Severo Giannini - I (1939-1950), (2012), 8°, pag. VI-338, € 35,00

125. GIOVANNI BUCCIANTI, Pagine di politica estera, (2012), 8°, pag. VI-230, € 25,00

126. DONATO IVANO PACE, Ammissione sospensione esclusione dai mercati regolamentati. Poteri della Consob e delle società di gestione dei mercati, (2012), 8°, pag. VI-230, € 25,00

127. GIANLUCA NAVONE, Instrumentum digitale. Teoria e disciplina del documento informatico, (2012), 8°, pag. X-230, € 26,00

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Finito di stampare nel mese di Novembre 2012dall’Industria Grafi ca Pistolesi Editrice “Il Leccio” srl

53035 Monteriggioni - Loc. Badesse (Siena)www.extempora.it [email protected]