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ILLAZIONI SU TRE METOPE DI POLCENIGO ANGELO FLORAMO Sopravvivenze di antichi culti dell’acqua e della fertilità nella antica diocesi aquileiese
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ILLAZIONI SU TRE METOPE DI POLCENIGO

Feb 21, 2016

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Sopravvivenze di antichi culti dell'acqua e della fertilità nella antica diocesi aquileiese
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ILLAZIONI SU TRE METOPE

DI POLCENIGO

ANGELO FLORAMO

Sopravvivenze di antichi culti dell’acquae della fertilità

nella antica diocesi aquileiese

Un Quaderno...un’antica suggestionedella memoria,una piccola voce dei ricordi,un sottile valorecullato nel passato,custodito nell’intimitàdei nostri luoghie delle tradizioni cherivive ora nella quotidianitàdella nostra vita.Un Quaderno per una collanache racconta di noi,dei passi tracciatisui sentieridelle nostre montagne,arrivando fin lassù,dove lo sguardo può perdersiverso il futuro.

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Disposizione e numerazione delle metopepresenti nel soffitto della Sala Capitolare

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ILLAZIONI SU TRE METOPE

DI POLCENIGO

ANGELO FLORAMO

Sopravvivenze di antichi culti dell’acquae della fertilità

nella antica diocesi aquileiese

Periodico della Comunitàdi Dardago · Budoia · Santa Lucia

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Alla realizzazionehanno collaborato

RedazioneVittorina CarlonVittorio JannaRoberto Zambon

Disegno riportato nel colophoneGuido Benedetto

Foto e contributi fotograficiVittorina CarlonVittorio Janna

Progetto graficoVittorio Janna

StampaVisual Studio_Pordenone

Periodico della Comunitàdi Dardago, Budoia,Santa Lucia

Le parti di questo libro possonoessere riprodotte o trasmessein qualsiasi formao con qualsiasi mezzo elettronico,meccanico o altro, previaautorizzazione scritta.

QUADERNO 2

Supplemento al numero 125de l’Artugna

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PRESENTAZIONE

Nel suo 40° compleanno, l’Artugna, periodico della Comunità diDardago, Budoia e Santa Lucia, coglie l’occasione per presentare agliaf fezionati lettori il 2° opuscolo della Collana «I Quaderni de l’Artu -gna», che segue Paesi di pietra, pubblicato nel 2006 in coedizionecon il Comune di Budoia.Nei quaderni monotematici – come già riferito allora – troveranno spa-zio contributi d’interesse storico, etnografico, artistico, letterario, natura-listico-ambientale e altro ancora, relativi al nostro territorio. In questa pubblicazione è con onore che ospitiamo la ricerca del saggi-sta prof. Angelo Floramo, sulle sopravvivenze di arcaici culti dell’acquae della fertilità nell’antica diocesi aquileiese e, in particolare, nei terri-tori dell’estrema area occidentale. Attraverso un interessante e coinvol-gente viaggio multidisciplinare, l’autore ci conduce sulle tracce dei Te ra -peuti della prima Chiesa a vocazione universalistica qual è stata quellad’Aquileia, e ci tratteggia la comparazione tra le acque di Livenza eGorgazzo e quelle del Timavo; rileva, inoltre, indicative testimonianzedella chiesa di origine alessandrina sul soffitto dell’ex sala capitolare delconvento di San Giacomo di Polcenigo: tre iconografie di valenza etno-logica oltre che artistica.La Redazione ringrazia l’amico e collaboratore prof. Mario Cosmo, checi ha offerto l’opportunità di pubblicare quest’interessante saggio.

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INTRODUZIONE

Alla fine dell’ottobre del 2009 un gruppo di appassionati amici stu-diosi dei pellegrinaggi medievali mi invitò a Polcenigo affinché tenessiuna relazione sugli aspetti simbolici sottesi al viaggio in età patriarca-le. Alla fine dell’intensa mattinata di studi Mario Cosmo1 mi invitò aseguirlo nella sala capitolare del convento fran cescano di San Giacomo,luogo che ospitava il convegno, per prendere visione di alcune metope po-ste a fregio dei lacunari in legno. E fu subito una folgorazione. Ri trae -va no soggetti assolutamente non devozionali, anzi, fortemente connotatidi una ca rica misterica tutta da esplorare, ricchissima di sincretismi e ri-mandi all’antico cul to delle acque e della fertilità intimamente connessocon l’agro di Pol cenigo, le fonti del Gorgazzo e della San tis sima. Que stomio contributo nasce dal tentativo di collocare tale incredibile corredo ico-nografico entro una più ampia rete di riferimenti storico-antropologici chepossano in qualche modo spiegarne i significati più reconditi, molteplicie complessi, ad esso sottesi.

ANGELO FLORAMO

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DA ALESSANDRIA AD AQUILEIA:L’ACQUA DEI TERAPEUTI

È noto quanto l’agro aquileiese fosse apertoper sua stessa vocazione geografica e storicaalle influenze eterogenee che assieme a uo-mini, merci e beni seguivano le vie dirette alNorico, alla Pannonia e alla Dal ma zia, re-gioni culturalmente ed etnicamente caratte-rizzate da una molteplicità di lingue, popolie religioni destinate a fondersi assieme dap-prima nella koinè imperiale romana e quin-di nell’ecumene cristiana. Il prestigio diAquileia era così grande da poter indirizza-re i suoi scambi mercantili con i bacini delMar Nero, del Mar Bal tico e ovviamentedell’Adriatico (e quindi del Mediterraneo),affrontando con varie vicissitudini un desti-no di cicliche cadute e rinascite entro un ar-co cronologico di lunga durata, dalla datadella sua dedizione a colonia romana (181a.C.) fino al tramonto dello stato patriarcale(1420). Aquileia – assieme al suo territorio diper tinenza – diventa pertanto un caso esem-plare per analizzare i delicati pro blemi cheinsorgono ogni qual volta si cerca di analiz-zare le complesse stratificazioni culturali sot-tese a pratiche rituali e cultuali che nel tem-po si intrecciano fra loro,2 una sorta dilaboratorio storico in cui affrontare il tema

oggetto della nostra ricerca attraverso i se-coli in un contesto geografico ben definito,vista la permanenza del ruolo economico,politico e culturale della città e delle sueper tinenze tanto in seno alla civiltà romanache in ambito paleocristiano e quindi me-dievale.

Mi pare per questo significativo muove-re i passi da Alessandria d’Egitto, la cuichie sa, come ormai accertato da numerosistudi, alcuni dei quali anche recentissimi ein fase di elaborazione, è stata matrice diquel la aquileiese3 attribuendo entrambe al-la pre di ca zio ne marciana le ragioni della lo-ro nascita in seno alla comunità giudaico-cristiana del primo secolo. E proprio inAles sandria, nella dotta comunità ebraicaivi residente, si formò culturalmente Fi lo ne,filosofo neoplatonico che nell’opera De Vitacontemplativa descrisse l’esperienza asceticadi un gruppo monastico di iniziati: i Te ra -peuti.4 Dediti a una vita cenobitica si ciba-vano di pane, sale, issopo e bevevano esclu-sivamente acqua sorgiva.5 Le loro comunitàsorgevano pertanto tutte in prossimità di ol-le e di fonti, che venivano venerate per iprofondi significati sim bolici ad esse sottese,di cui presto ci occuperemo. Il loro nomeviene fatto derivare dal passo dell’Esodo6 incui Dio attraverso Mosè stipula con Israeleun patto, il berit (che nella tradizione cri-

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stiana successiva sarà celebrato come ilgiorno delle Pentecoste, o Pasqua Rossa, unaltro tema di cui il mio contributo inten deoc cuparsi): «Io non farò cadere su di te al-cuna delle ma lattie con cui ho colpitol’Egitto, perché io sono il Signore, Coluiche guarisce». Il Terapeuta, appunto. Mo -sè ha appena attraversato l’arido deserto diSur, e il suo popolo soffre la sete. Man can -do l’acqua il profeta pianta in una pozzasalmastra un legno, e l’acqua diventa pro-digiosamente dolce.

In verità è questo l’ultimo episodio di unpercorso iniziatico che prende le mosse dal-le rive del Mar Rosso appena attraversato (èla Pesah, la Pasqua ebraica), dove in lode alportento compiuto da Dio, per cantarne lagloria, la profetessa Myriam con duce le don -ne di Israele in una danza salmodiante, undiscanto a due cori, quasi un contrastus rit-mato sul timbro di un tamburello.7 Per pre-servare la memoria di tali fatti i Terapeuticontinuarono a celebrare in modo solennele due importanti festività, che in effetti coe-sistevano nella Chiesa primitiva, vivendo i50 giorni8 che le separano come un periododi preparazione per l’esultanza finale, cele-brata appunto con danze estatiche al suonodi tam burello, intonando discanti e indos-sando abiti bianchi, in prossimità delle fon-ti di acqua sorgiva. Forme cultuali simili

persistettero molti secoli nell’ambito del pa-triarcato di Aquileia.

Ne è curiosissima testimonianza la let-tera inviata il 10 giugno del 1624 dal curatodi Palazzolo dello Stella al Santo Inquisitoredi Aquileia con la quale denunciava il com -portamento di alcune donne, ritenuto «fal-so» e «insano», per «impetrar la pioggia dalcielo la notte della Pentecoste».9

A tale riguardo conviene portare testi-monianza di un altro rituale sacrificale colle-gato al dio solare Belenos,10 particolarmentevenerato nell’agro aquileiese, che in qualchemodo mette in gioco gli stessi elementi: l’ac-qua, la siccità e la conseguente morte e rige-nerazione in acqua per invocare la pioggia.La testimonianza ci proviene da Burcardodi Worms,11 il quale, nel suo celeberrimo li-bro penitenziale, descrive un rito rabdo-mantico di grande suggestione: una vergi-ne, sospinta da un corteo di fanciulle, vienecondotta nuda al di fuori del villaggio; qui,ella raccoglie l’erba del giusquiamo seguen-do un rituale piuttosto complicato. Le altrefanciulle, sospingendola con delle verghenel fiume vicino, ne aspergono le acque econ incantamenti invocano la pioggia. Ilgiusquiamo, detto anche Belisa, Belenion,Belenonzia, Herba Apollinaris12 è la piantadedicata a Be le nos.13 Ha virtù terapeutichee nell’antichità le si attribuiva la virtù della

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L’acqua sorgiva del Cunathin località Val de Croda,elemento rituale nellelustrazioni. Secondola tradizione orale, pressoquesta fonte ove sorgel’oratorio di San Tomè,si svolgeva un rito notturnoancora vivo nell’Ottocento.In un giorno di maggio,alle due (la notte del Sabatodelle Pentecoste?),una processione di donnedi San Giovanni diPolcenigo, priva della guidaspirituale del sacerdote,si snodava cantando lungole vie di Santa Lucia, Budoiae Dardago fino a raggiungereil luogo stabilito per invocarela venuta della pioggia (clamàla ploia) e/o per chiedereprotezione divina pergli allevamenti dei bachida seta. Le cerimonie di purificazionedella terra sopravvisseronelle Rogazioni comeampiamente testimoniatoanche nell’intero territoriod’indagine, fino agli anniSessanta-Settanta del secoloscorso.La sorgente dà vita al torrenteArtugna le cui acque, dopoun primo impetuoso defluire,scompaiono nel sottosuolo.Il corso d’acqua si snoda trai paesi di Dardago, Budoiae Santa Lucia, per poiimmettersi nella Livenza.

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La città di Aquileia (Aquileia), le sorgenti del Timavo (fonte timavi), il fl[umen] Frigidum ovvero il Vipacco, e la Livenza (fl[umen] Licenna).Raffigurazione delle località d’indagine in una copia medievale (sec. XII-XIII) di una carta originale dell’età romana imperiale,la Tabula Peutingeriana (Segmenta III). Particolare.

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veggenza. Qui viene utilizzata anche in ri-tuali di aspersione con l’acqua: ancora unavolta elementi comuni alle figure di cui cistiamo occupando.

La presenza entro i confini del Friuli pa-triarcale di almeno una ventina di pievierette in prossimità di fonti e di olle e intito-late tutte alla misteriosa figura di SanteSabide,14 ovvero santa Sabata, con ogni pro - babilità ipostatizzazione del sabato ebrai co,induce diversi studiosi, primo tra tutti ilPressacco, a ritenere che non solamentequesto possa essere ritenuto un segno inte-ressante della sopravvivenza in ambito cri-stiano – specialmente in un contesto agre steed extra urbano15 – della tradizione ebrai cache celebra la festa il giorno del sabato enon della domenica,16 ma anche una ulte-riore riprova della filiazione della chiesaAquileiese da quella di Ales sandria, con laconseguente importazione in area nordadria tica di moltissimi rituali cristianoorientali. Suggestiva a tale propo sito è l’ipo-tesi che una comunità di Tera peu ti si sia in-sediata pertanto anche in ambito aquileie-se,17 una presenza destinata ad influenzarenotevolmente il profilo della liturgia fattapropria dal Patriarcato, specialmente nel-l’attribuzione di speciali significati escatolo-gici attribuiti alle fonti d’acqua e alle sor-genti. Una peculiarità che nei secoli portò

Aquileia a confliggere con la linea dettatadalla chiesa di Roma, come testimoniatodallo scisma che di fatto la tenne separatadalla sede pietrina dalla prima metà del se-colo VI alla me tà del secolo VIII.18

CRISTO, OVVERO L’ACQUASORGIVA CHE SGORGA

DALLE TENEBRE DELLA MORTE

Nella lunga notte del Sabato Santo il cleroaquileiese intonava nel buio un’antifona digrande suggestione e ricchissima di inter-pretazioni simboliche:

Cum rex gloriae Christus infernum debellaturusintraret et chorus angelicus ante faciem eius portasprincipum tolli praeciperet sanctorum populus quitenebatur in morte captivus voce lacrimabili clama-verat: advenisti desiderabilis quem expectabamus intenebris ut educeres hac nocte vinculatos de claustris.Te nostra vocabant suspiria, te larga requirebant la-menta, tu factus es spes desperatis, magna consolatioin tormentis. Alleluja.

È la discesa di Cristo negli inferi, che ilSymbolum di Aquileia continuò a professareper secoli, anche in contrapposizione a quel -lo apostolico, il quale espunge proprio tale

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riferimento alla catabasi.19 Non mi soffer-merò qui ad esaminare le conseguenze teo-logiche ed escatologiche che tale credo im-plica, prima fra tutte l’apocatàstasis, cheprevede non solamente il ritorno di tutti gliesseri a Dio ma addirittura la coincidenzaontologica tra Dio e tutti gli esseri alla finedei tempi.20 Ciò che conta è che la Chiesa diAquileia fon dò su tale tema la linea portan-te di buona parte delle rielaborazioni dottri-nali nonché del recupero sincretico di nu-merosi culti, miti e rituali appartenuti aipopoli sui quali estese il suo magistero, spe-cialmente quelli di matrice slava. Non è uncaso che uno tra i testi più controversi e mi-steriosi nella catechesi aquileiese sia Il Pa sto -re, composto agli inizi del II secolo da Erma,fratello di papa Pio I, originario di Aquileia.L’opera, per quanto nel IV secolo – testi-mone Rufino – fosse uno dei testi più letti estudiati nelle terre del Pa triar cato, è stata alungo trascurata dall’indagine storiograficae teologica. Di fatto uno dei concetti suiquali si strutturano i suoi contenuti è pro-prio quello della discesa agli inferi di Cristo.Non solo: Erma sostiene che la sua conse-guente ascesa sarebbe avvenuta attraverso ivarchi aperti nella terra dalle olle e dallesorgenti d’acqua,21 il cui iato veniva inter-pretato pertanto come elemento di inter-connessione privilegiata tra il mondo dei

morti e quello dei vivi: tale suggestione si ri-collega con tutta evidenza al culto delle ac-que sorgive praticato dai Terapeuti.

Non basta. Nel Van ge lo secondo Mat -teo Cristo, accusato da Farisei e Sad ducei dicom piere miracoli con il favore di Beelze -bub,22 risponde che l’unico segno che avreb-be mai dato sa rebbe stato quello di Giona.23

Ed è pro prio il Signum Jonae che campeggianel pavimento musivo della basilica aqui-leiese: un ‘labirinto mare’, un percorso ini-ziatico e salvifico ricchissimo di segni e sim-boli che tro vano nell’acqua e nella lucel’elemento simbolico più rilevante. Ma percomprenderne meglio il significato è neces-sario pren dere le mosse da una fabula.

L’APPARIZIONE DEI CAVALIERIFATATI ALLA SORGENTE

DI VRHPOLJE24

L’anno è il 394, il luogo in cui si compie ilprodigio si trova presso il «flumen Fri gi -dum».25 La scena prende vita all’alba – piùprecisamente attorno all’ora incerta in cuicanta il gallo,26 confine nel confine – quan-do la notte ancora non ha abbandonato laterra e il sole non è propriamente sorto. È

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un’ora decisiva per il protagonista del qua-dro narrativo che stiamo tratteggiando,l’Imperatore Teodosio il Grande; egli atten-de nel dormiveglia (non propriamente son-no e non propriamente veglia, dunque unulteriore confine) la quasi prean nunciatascon fitta dei suoi uomini, asserragliati sullealture, dopo un giorno di battaglia talmen-te feroce da non lasciar certo sperare in unavittoria, anzi tale da far presagire, piuttosto,una drammatica sconfitta.

Davanti si snoda la dolce pianura delVipacco, il «flumen Frigidum»27 appunto ci-tato dalle fonti, allora densamente occupa-ta da foreste e acquitrini, rischiarata nellanotte tra il 5 e il 6 di settembre dai fuochidell’ac campamento di Eugenio, uccisore diValentiniano II e quindi per Teo dosio usur-patore del trono occidentale, nemico di-chiarato contro cui combattere. I due sonoasserragliati dietro un’ulteriore formidabilefrontiera: cristianesimo e paganesimo cor-rono lungo i fuochi delle sentinelle degli ac-campamenti nemici.

Là dove oggi sorge il villaggio slovenodi Vrhpolje,28 gli uomini di Eugenio, barba-ri in maggioranza Goti, capeggiati da Ar -bo gaste, un Franco, pregustano la vittoriaabbandonandosi ai canti e alle danze sfre-nate. La sospensione in cui cogliamo Teo - dosio è al contrario raccolta in un pathos

gravido di prodigi. Lo scenario è caratteriz-zato, quasi fosse un anticlimax, dalla solitu-dine e dal silenzio. Nei pressi, su di un’altu-ra, sorge un oratorio.29

Qui appaiono all’imperatore d’Oriente,in groppa a bianchissimi destrieri, due cava-lieri prodigiosi, che si presentano come SanGio van ni Evangelista e l’Apostolo Filip po.30

Pro fetizzano al condottiero la futura vittoriadelle sue truppe. La luce porta con sé altriprodigi a favore delle milizie orientali: un’e-clissi di sole, un improvviso vento fortissimoche si abbatte tonante sugli avversari e l’ap-parentemente inspiegabile defezione di al-cune milizie di Eugenio in fa vore di Teo -dosio, che – come profetizzato – con quisteràalla fine la vittoria. Quasi contemporanea-mente a poche miglia da Co stan tinopoli,nella chiesa di Hebdomos,31 un demone ap-pare alla folla di fedeli sbigottiti raccolti inpreghiera, insulta il simulacro di Giovanni ilBattista can zonandolo per essere privo ditesta e svanisce gridando: «tu mi stai con-quistando, stai tendendo imboscate alle mielegioni».32 Il racconto è molto suggestivo,ma l’analisi dei suoi elementi narrativi aprela strada a ulteriori e più ampie considera-zioni. Poniamo innanzitutto attenzione aidue cavalieri sui bianchi cavalli che profe-tizzano la vittoria e offrono concreto aiutoin battaglia.

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La tipologia dell’apparizione non ènuova. I Dioscuri nella tradizione – come siè notato – sono talora λεχόπωλοι, ovverocaratterizzati dai cavalli bianchi.33 Inoltresono spesso raffigurati con stelle che brilla-no su curiosi copricapo rotondi.34 GiàCicerone, nel De natura Deorum,35 riferendosialla battaglia del Lago Regillo, riporta cheCastore e Polluce furono visti combattere acavallo al fianco dei Romani; gli stessi an-nunciarono poi alla Città il conseguimentodella vittoria facendo abbeverare i loro ca-valli alla fonte Diuturna, presso il foro; ag-giunge Cicerone che due giovani – identifi-cati come Tindaridi, quindi Dioscuri, insella a cavalli bianchi diedero la notizia del-la vittoria al fiume Sagra; Frontino, nei suoiStrategmata,36 cita il caso di due generali, unogreco e uno romano, che alla vigilia delcombattimento vennero rispettivamente vi-sitati dall’apparizione di Castore e Pollucein sella ai loro destrieri, vaticinanti l’immi-nente vittoria. Tutti questi fattori non sonoaffatto trascurabili in un’analisi delle per-manenze sincretiche individuabili nell’epi-sodio del Vipacco.

Innanzitutto possiamo cogliere alcunielementi ricorrenti: i cavalli bianchi, l’oraantelucana dell’apparizione, il vaticinio diuna vittoria, la presenza di una fonte d’ac-qua corrente37 (quindi acqua dolce), infine e

non da ultimo la battaglia cui prendono par-te le figure prodigiose. I due santi, al pari deiDioscuri, preannunciano il futuro, dunque siinseriscono in una dimensione fatua, ferica:sono a tutti gli effetti cavalieri fatati.38

Il Vipacco è dall’epoca preistorica stret-tamente collegato alla regione del bacino al-to adriatico: affluente dell’Isonzo venne ri-tenuto strategicamente di questo piùim portante in virtù della strada che seguen-done il corso conduceva fino in Pannonia; iltracciato del fiume è inoltre il primo trattodella via dell’ambra.39 È altresì noto che al-cune fonti concordino sull’identificazionedel Vipacco con l’idronimo Ακυλις,40 il fiu-me che avrebbe dato il nome alla città diAquileia. Secondo Sozomeno sarebbe pro-prio questo il corso d’acqua attraversato da-gli Argonauti.41 E a questo punto si chiudeuna prima congiuntura nella nostra tratta-zione: fra gli eroi al seguito di Giasone42 ri-troviamo per l’appunto i Dioscuri, i cavalie-ri fatati presenti alla battaglia del Vipacconelle vesti dei Santi Giovanni e Filippo. Ilmito degli Argonauti ritorna con notevolefrequenza in queste nostre note. Giasone èun eroe di straordi na ria complessità. La suavicenda è confrontabile con schemi mitolo-gici presenti in tradizioni culturali lontanis-sime che tuttavia si incontrarono e si inter-secarono, come abbiamo visto, nel corso dei

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La sorgente principale della Livenza,in località Santissima.Era credenza che l’acqua sorgivafosse dotata di potere miracolosoper la fecondità.Nelle vicinanze, all’internodi un’edicola sacra, sgorgauna sorgente secondaria pressola quale i pellegrini s’inumidivanogli occhi per preservare la vista.

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San Giovanni il Battista. Affresco d’inizio Quattrocento della Chiesa di San Floriano di Polcenigo.Particolare.

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millenni. La ricerca del vello d’oro è in de-finitiva a suo modo una Grant Queste dellaluce attraverso le tenebre di un viaggio pe-riglioso. Il vello è appeso ad una quercia,evidente simbolo solare, ed è difeso da undrago che Medea, nipote di Elios, saprà ad-dormentare. Medea è una maga nel cui cal-derone – come non ravvisare l’archetipodel l’ol la sorgiva dalla quale anche Cristo ri-nasce dopo la discesa agli inferi, secondo ilSymbolum aquileiese – tutto trasforma: a suodire ciò che vi viene gettato, dopo essere sta -to fatto a pezzi, rinasce a vita nuova, comeGiona nel ventre del mostro marino.

CHI SI NASCONDE DIETROGIOVANNI?IL BATTESIMO DELL’ACQUAE DELLA LUCE

Secondo Teodoreto,43 come s’è detto, unodei due bianchi cavalieri che appaiono al-l’imperatore Teodosio è Giovanni l’Evan -gelista. Concordo con la Cracco Ruggini44

quan do sostiene che, per motivi di analisisto rico-letteraria, il racconto originario alquale Teodoreto attinse dovesse presumi-bilmente citare non l’Evangelista, bensì il

Bat tezzatore, un Santo al quale Teodosioera particolarmente devoto.45 Le reliquiedel Santo giunsero in Aquileia già primadel 390. Il viaggio da loro compiuto è affa -scinante: Filippo,46 abate di Gerusalemme,per preservarle allo scempio operato daipagani in Sebaste, le avrebbe affidate a unsuo monaco di fiducia, Giuliano; questigiunse dapprima in Alessandria d’Egitto;47

da qui approdò a Parenzo, in Istria, fra il370 e il 381, città di cui divenne vescovo.48

Da Pa renzo ad Aquileia il tragitto èbreve.49 Il culto del Battista trovò rapida dif-fusione in ambito istro-veneto, in quanto sisovrappose a culti locali preesistenti, con -nessi alla venerazione delle acque. L’as si mi -lazione del Santo alla deità Apollo-Be le nosè quasi immediata:50 entrambe le figure so -no associate a processi di rigenerazione lin -fatica che prevedono la morte e la rinascitacon conseguente raggiungimento dell’im-mortalità;51 anche per Be lenos, divinità so-lare come Osiride, Apollo e Mitra, si puòpresupporre un destino di morte e di resur-rezione, se paragonato al Pais-Apollo vene-rato propriamente in qua lità di essere mor-to52 e quindi reso eterno per volontà divina.Emble ma tico in proposito è il caso diHyakinthos, amato dal dio e ucciso dal ge-loso Borea, che secondo la fabula mitologi-ca con la forza del ven to invertì il corso del

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disco lanciato dal fanciullo, colpendolo amorte.53 È curioso no tare come l’inversionedi oggetti lanciati ad opera del vento com-pare anche nel prodigio al Vipacco, doveun vento fortissimo levatosi all’improvviso– la Bora per l’appunto – uccide i soldati diEugenio facendo ricadere sui guerrieri lefrecce scagliate dai loro stessi archi.

Un particolare curioso: i nomi di Apol loe Beleno sono etimologicamente riconduci-bili all’etimologia di mela,54 il frutto del soleper eccellenza,55 che offre il dono della co-noscenza, quindi anche del vaticinio. Be leno

e Apollo sono divinità vaticinanti, Gio vanniil Battista è un profeta. Se la mela viene se-zionata a metà mette in evidenza il segno delpentacolo pitagorico,56 la stella apotropaica acinque punte di antichissima tradizione cul-tuale.

Diverse raffigurazioni di Beleno irradia-to ritraggono la divinità fregiata da cinquepunte attorno al capo;57 non dimentichiamoil copricapo cir colare e stellato dei Dioscurie le cinque stelle sull’aureola di alcuni santisignificativamente legati alla parola vatici-nante e al culto delle acque.

LA MORTE E LA RINASCITAATTRAVERSO L’ACQUA.58

MITI E DEI DAL TIMAVOAL GORGAZZO

Esiste presso Aquileia un luogo che nella to-pografia simbolica del mito ha rivestito neisecoli un ruolo di grande suggestione e im-portanza per le genti slave d’Europa. Mi ri-ferisco al tempio di San Giovanni in Tuba,significativamente eretto in prossimità dellebocche del fiume Timavo, non lontano dal-la rocca di Devin/Duino. Si tratta di un si-to antichissimo, che presenta una ininter-Il territorio di Polcenigo in uno schizzo quattro-cinquecentesco.

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Raffigurazione della Chiesa di Santo Zuane ovverodi San Giovanni in Tuba, alle sorgenti del Timavo.Mappa anonima e priva di datazione.

Sopra. La sorgente del Gorgazzo.

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Il Santuario della Santissimanell’omonima località,nei pressi delle sorgenti dellaLivenza, un tempo luogodi ininterrotti pellegrinaggianche per implorarela venuta della pioggianei lunghi periodi di siccità.

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rotta continuità cultuale dalla preistoria aisecoli del Medioevo, per la densità di ele-menti archetipici presenti sul sito: qui il fiu-me Timav59 rinasce dalla terra (si inabissa aSkocjan/San Canziano in Slovenia) in unasuggestiva successione di bocche (sette o no-ve, secondo le diverse tradizioni: numeromagico e simbolico e non solamente indica-zione geografica) che rigurgitano i flutti dalmondo ctonio di nuovo alla luce del sole. Èimmediata la suggestione della morte e del-la rinascita connessa con la venerazionedelle acque sorgive. Lo storico greco Stra -bone, parlando di questo sito, riferisce diculti dedicati al Sole che prevedevano il sa-crificio di un cavallo bianco, e un tempioeretto in loco in onore di Diomede.60 Narraanche di un bosco sacro, nel quale si aggi-rano le leggendarie ‘cavalle lupifere’, giu-mente che portano sul manto il simbolo dellupo ap punto. L’animale le avrebbe dona-te, in segno di gratitudine, all’abitante diquelle contrade, il quale lo aveva salvato damorte sicura. Ritenute sacre non potevanoessere né comprate né vendute. Sottratte al-le regole del mercato vivevano nel bosco as-sieme ai lupi, che non le insidiavano, anzine proteggevano il branco, quasi ne fosseroi pastori.61 Apollodoro Rodio tramanda cheproprio di qui sia passato Gia sone portan-dosi in spalla, assieme ai suoi compagni, la

nave Argo. Come si è detto è questa l’im-boccatura dell’antichissima via dell’ambra,che attraverso la valle del Vi pac co/Vipava,l’Eridano degli antichi, giunge fino alBaltico.62

In epoca cristiana, durante il V secolo,ven ne eretto presso la bocca del Timavo unsacello dedicato a San Giovanni il Battista, lecui spoglie riposerebbero nella cripta assie-me ai resti di San Giorgio, San Lorenzo,San Biagio e di Santo Stefano. Il fatto che laregione fosse caratterizzata da una fortepresenza di insediamenti slavi63 e che pro-prio qui venisse eretto un monastero bene-dettino come punta di evangelizzazioneaper ta verso i villaggi della Slovenia e dellaDal mazia (lungo le antiche direttive dellestrade consolari che proprio dalla bocca delTimavo prendevano snodo) non è certo unelemento indifferente all’oggetto della no-stra ricerca. Per secoli il luogo fu considera-to un santuario, meta di devozione da par-te dei popoli dell’Europa orientale, i cuiprincipi e pellegrini qui convergevano dallaPolonia, dalla Boemia, dalla Bulgaria. Daqui puntavano verso nord, a Timau,64 ridi-scendendo quindi verso Polcenigo e la fasciadelle risorgive, dove un altro fiume, ilLivenza, sgorga improvviso dalla terra, pro-ducendo un fe nomeno assai simile a quellodel Timavo e di Timau, e dove le fonti, sia

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scritte che etnografiche, citano numerosepratiche cul tuali di lunga durata correlatealle acque sorgive. A tale proposito è digrande interesse la testimonianza di JacopoVal va son di Maniago, che parlando propriodi Pol cenigo nella sua Descrittione della Pa triadel Friuli (1568) così riporta:

Nel colle di S. Lucia lunge da questo cerca unmiglio trovasi una Spelonca nella quale sono alcuniluochi fabricati dalla natura a’guisa di piccole celle,che per l’isperienza fatta ne’gli anni passati non se glitrova uscita, dov’il volgo dice c’habitassero le fate ve-dute spesse volte da gli habitatori vicini, ch’affermanoanco d’havergli parlato più d’una volta, ma questi te-nendo opinione che da loro si cagionassero le spessegrandini et tempeste in que’contorni, otturavano ilbuco della detta grotta, con altre simili novelle.65

È ipotizzabile che tale sopravvivenzacul tuale possa essere ricondotta ad antichiculti agrari lustrali perfettamente coinciden-ti a quelli di cui abbiamo trattato. La pre-senza di chiese intitolate a San Giorgio(equi nozio di primavera), Santa Lucia (solsti-zio d’inverno), San Giovanni (solstiziod’esta te) e San Floriano (solstizio d’autunno)poste tutt’attorno all’area del Gor gaz zo, in -duce a confermare una stretta interconnes-sione con il percorso fortemente simbolicoche passando da Timau trovava nel Gor -gazzo e nel Timavo due santuari specular-mente sovrapponibili.

Nella ricca biblioteca del monastero diSan Giovanni in Tuba veniva custodito ilpreziosissimo codice dell’Evangelario di

I Colli di Santa Lucia(a destra) dividonol’abitato di Budoia daquello di Santa Lucia.

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Località Fontana,una delle risorgive tra i Collidi Santa Lucia.Secondo la tradizione orale,lì in una profonda olla (bus)vivevano con i loro figlile Anguane, donne-sirenecon capelli lunghi e piedidi capra.

A sinistra. Chiesa di Santa Lucia,posta su uno dei colli omonimi.

San Floriano (parzialmenteleggibile) dinanzi ad Aquilino.Affresco d’inizio Quattrocentodella Chiesa di San Florianodi Polcenigo.

A sinistra. Segno religiosodedicato a Sant’Osvaldonei Masieri di San Giorgio, luogoin cui sorgeva l’antica ecclesiadi Sancti Georgij, amministratadal convento francescanodi San Giacomo di Polcenigoe demolita negli anni 1584-85.

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San Marco,66 che secondo la leggenda eraritenuto autografo del Santo. Nel corso deisecoli i visitatori vi apposero sulle sue per-gamene i loro sigilli, i loro commenti, le lo-ro preghiere, proprio mentre i primi statislavi stavano affermando la loro presenzaco me entità distinte dall’Impero. Il codicefu ritenuto così importante che il patriarcaaqui leie se Nicolò di Lussemburgo ne donòdiver si fascicoli all’imperatore Carlo IV, il

qua le li portò a Praga in una solenne ceri-monia di acquisizione. Era il 1354. Perchétanta devozione particolarmente rivoltadal le genti che abitavano l’area sud-orienta-le dell’Im pero, il bassopiano del Danubio,le regioni della Boemia e della Polonia?Pro ba bil men te queste riconoscevano nelcul to del Battista e della rigenerazione at-traverso l’acqua elementi presenti da secolinelle loro tradizioni cultuali, confluite poi

I territori di Budoia e di Polcenigo, nella Carta del Friuli di Pirro Ligorio (1563).

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nel Cristianesimo attraverso delicate sovrap-posizioni simboliche.

Nel Libro di Giovanni Evangelista,un’opera prodotta significativamente nell’o-riente balcanico tra il X e il XIV secolo,que sti vie ne identificato con il profeta Elia,ed en trambi vengono considerati creature diSa ta na, dunque appartenenti a un mondolontano da quello cristiano, assimilati a divi-nità pagane. Tale interessante sincretismo,non a caso riportato da un testo nato in areabalcanica, dunque slava sud orien tale, è cer-tamente l’epigono di ben più antiche inter-pretazioni della figura del Battista.

L’accostamento a Elia diventa ancorapiù sorprendente se consideriamo il fattoche il più grande profeta della tradizioneebraica scompare in cielo su di un carro difuoco, trainato da cavalli di luce, dissolven-dosi poi in un turbine di vento. Elia, al paridi Gio vanni, è sempre associato agli ele-menti dell’acqua e del fuoco, oltre che alladivinazione e alla mantica.67 Proprio comeDazbog (anch’egli si muove in cielo su di uncarro di fuoco), Svarog, Sva rozich, Perun,Svetovit e Jarovit, importanti divinità dell’o-limpo slavo, tutte in qualche modo collega-te a culti solari di mor te, rinascita e rigene-razione attraverso l’acqua e le fiamme, etutte intimamente con nesse ad antichi ri-tuali equinoziali e solstiziali che la chiesa

cristianizzò attribuendoli nel calendario adiversi santi, rispettivamente rappresentatinella tradizione slovena da San Giorgio perla pri mavera (sincretizzazione del dio slavoPerun), San Giovanni e San Lorenzo perl’estate (sincretizzazione del dio slavo Daz -bog), San Biagio per l’autunno (sincretizza-zione del dio slavo Volos) e Santo Stefano (oSan Ni co la) per l’inverno (ancora una voltasincretizzazione del dio slavo Dazbog).68

Tut te queste figure vengono sempre asso-ciate a un cavallo69 (generalmente bianco),che diventa parte integrante della loro ico-nografia; Santo Stefano ne è addirittura ilpa trono protettore. Secondo la tradizione lepietre con le quali il martire venne lapidatosi tramutarono in sale.70 Da qui l’usanza an-cora viva in molti villaggi sloveni di offrireacqua e sale agli ospiti nel giorno di SantoStefano e di trarre auspici da cavallini di ce-ra fatti disciogliere in bacili d’acqua. È dav-vero stupefacente che le reliquie di tuttique sti santi legati al culto della luce del solee del potere rigenerativo dell’acqua si ritro-vino assieme nella cripta di San Giovanni inTuba, come se il santuario rappresentassedi fatto agli occhi delle genti slave di recen-te cristianizzazione un tempio capace diriassumere in sé l’intero ciclo dell’anno so-lare e il carosello di dei e divinità ad essocollegato.

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IL LUPO PASTORE CONDUCE

LE ANIME ATTRAVERSO IL GUADO

PERIGLIOSO

Su molte facciate di chiese disseminate lun-go la strada che da Aquileia conduce alNorico il santo che attraverso il battesimotraghetta l’anima oltre il guado perigliosodel peccato e quindi della morte non è piùSan Giovanni ma San Cristoforo: le due fi-gure sono perfettamente sovrapponibili peril significato simbolico della loro azione,nonché per il sotteso riferimento a culti so-lari di sostrato di cui sono evidente espres-sione sincretica.71

Il draco del bestiario gnostico che ritro-viamo rappresentato nei mosaici dell’AulaNord nella basilica di Aquileia rappresentainfatti il sorvegliante della luce, la costella-zione maggiormente visibile in primavera.Ma è anche il Pistrice che ingoia Giona-Giasone. È il Drago che custodisce il vellod’oro, il ‘Borboròs’ in cui per tre giorni ri-mane confinato il Cristo, dopo la sua mortesulla croce, in attesa di una sua rinascita. Èin definitiva Volos, la divinità oscura degliSlavi contro cui combatte San Giorgio- Pe -run, come vedremo più avanti. Negli stessimosaici, non lontano dal draco, su di un al-bero, è assiso un astakòs, un astice di fuoco:

‘a-steico’ in greco significa alla lettera ‘nonvado avanti’. È la rappresentazione del Solenella costellazione del Gambero, ovvero ilSolstizio d’estate.72 Un San Cristoforo inpietra, esemplare per gran dezza, risalta sul-la facciata del Duomo di Gemona. Sotto ilbastone del Santo, anzi sotto l’albero chefunge da bastone, ben visibile, campeggia lafigura di un grande astakòs. Vicino all’altropiede è stata scolpita una sirena bicaudata,ritratta in ‘posizione ginecologica’: è unsimbolo di fertilità, fre quentemente utilizza-to nel l’ico nografia mitica degli Slavi delsud, effigiato anche in una formella conser-vata presso il museo archeologico diCividale: forse è Farònika, il serpente mari-no della tra dizione popolare slovena sul qua-le pog gia il mondo.73

San Cristoforo è frequentemente rap-presentato come un Cinocefalo, ovvero unuomo dalla testa di cane o di lupo. La leg-genda è attestata da un’opera molto diffusain epoca medievale, la Passio Chri sto pho ri (VIIsecolo), secondo la quale, il pa gano Reprobo«de Cyno ce pha lorum oriun dus genere» sisarebbe convertito e avrebbe assunto appun-to il nome di Cri stoforo. I cinocefali sono an-tichissime rappresentazioni di spiriti psico-pompi. Il lupo e lo sciacallo si cibano dimor ti, dunque ne accompagnano le anime‘oltre le acque’, nelle aule del regno dei mor-

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ti. Lo stesso dio egiziano Anubi nasce da talefigura archetipica. Ma nel caso di Cri sto fo rola sovrapposizione cultuale si fa particolar-mente complessa e assume valenze che nearricchiscono di molto i significati.74

Il tema del Lupo pastore, del Lupo gui-da o del Lupo maestro,75 per quanto sia pre-sente in diversi repertori iconografici, dagliaffreschi alle miniature, non è particolar-mente diffuso nella geografia dell’epocamedievale. Si attesta in alcune aree precise,tra cui l’Italia longobarda, certe vallate del-la Svizzera e l’Europa slava. Paolo Dia cono,nella Historia Lango bardorum, cita il lupo co-me animale totemico del suo antenatoLopichis, il quale in fuga dalla Pan nonia,dove è reso schiavo dagli Avari, vie ne con-dotto proprio da un lupo fino ai con fini conla sua terra, in una sperduta capanna sclavo-rum, dove trova salvezza e pone fine ad unviaggio lungo e periglioso.76 Tutto questo èben sintetizzato da un bel racconto miticosloveno che ha come protagonista appuntoun lupo pastore, Svent, figura che forse è ri-conducibile all’antico dio slavo Svetovit.77

Lo stesso San Giorgio, nelle leggende slove-ne, viene spes so visto come un lupo pastore.Egli in effetti è spesso ritratto nelle vesti diun cac ciatore-pastore. In suo onore, all’ini-zio dell’anno agricolo, conclusosi ormai illungo inverno, gruppi di giovani cantori in-

dossano veste di lupi e vagano cantandoper le contrade dei villaggi. È un rito lu-strale antichissimo, che trova analogie ad-dirittura nell’Apollo Lykaion greco. In arealinguistica slava sono molto numerose lechiese dedicate a San Giorgio (come quelledi Keu tschach/Ho di se, di Sveta Gora o diRa dimlja, in Bosnia).

San Giorgio è Sveti Juri, in lingua slo-vena. Co sì simile nel nome a quello diOrion/Urion della tradizione classica.

Se con do alcuni studiosi la figura antro-pomorfa effigiata sulle chiese rappresentaper l’appunto la costellazione di Orione,78 ilcac ciatore selvaggio, che si accompagna aisuoi cani. Generalmente porta un’aureola,evidente simbolo del disco solare. Sotto il suopiede sinistro sgorga il fiume Eridano (abbia-mo già ricordato che si tratta del Vipacco).Le stelle luminose della sua cintura, denomi-nate in sloveno ‘i mietitori’, spiccano nelmezzo della via lattea, che sempre secondouna leggenda tradizionale slovena rappre-senterebbe invece una scia di grano falciatonella notte del solstizio d’estate e rubato nel-la notte del solstizio d’inverno. È un ritualeantico di fertilità censito in diverse formepresso molto popoli slavi: il rapimento delgrano, del latte o delle ‘vergini feconde’ per-petuato nottetempo tra vicini di casa, sor-prendentemente vicino ad alcuni rituali scia-

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manici attestati in area macedone-mon -tenegrina; durante la notte di San Giorgiogruppi di donne nude danzavano ridde ri-tuali e orgiastiche in prossimità delle fontiper poi recarsi nelle stalle a rubare il latte albestiame. Si credeva che fossero capaci di in-cantare la luna, farla scendere e quindi allat-tarla al loro seno.

Già si è accennato all’importanza dellededicazioni di numerosi pievi della diocesiAquileiese connesse al culto delle acque sor-give alla figure di Sante Sabide, con le va-rianti intitolate a San Michele e a SantaMar gherita: una coppia perfettamente so-vrapponibile alla leggenda agiografica di SanGiorgio che sconfigge il ‘Draco’, ritratto mol-to spesso nell’iconografia nelle vesti di SanMichele Arcangelo che trafigge con la suaspada il demoniaco serpente. La perfettacontinuità tra queste figure è magistralmenteesemplata nell’affresco parietale della catte-drale patriarcale di Venzone sovrastante unsacello ipogeo de dicato appunto a SantaMargherita, ritratta in bianche vesti. Mar ga -rita in latino è appunto la perla, simbolo dibianchezza e di purezza. Bianca nelle lingueslave è traducibile con Bela, nome dato a unafanciulla protagonista di molti miti che par-lano di morte e rigenerazione attraverso l’ac-qua, come apparirà più dettagliatamentenel le pagine che seguono.

LA VERGINE BIANCA,LA PASQUA ROSSAE LA PROCESSIONE DEI MORTI

Nella piana della Kaminska Bistrica, in Slo -venia, è attestata una leggenda assai curio-sa, che presenta differenti varianti ma unoschema che si ripete sempre:79 sulla collina diGradišce sorge un castello, lo Stari Grad,abitato da un potente Signore. Ai pie di delcastello c’è un villaggio, Mali Grad, in pros-simità di un grande lago che occupa tutta lapianura. Il lago è generato da un Draco, cheun giorno rapisce la bella figlia del Signoredi Stari Grad, Ve ro nika. Per riaverla il pa-dre insegue il mostro, lo uccide e libera la fi-glia, ri por tandola al castello superiore. Il la-go per incanto scompare e lascia il postoalla città di Kamnik. La città che compareal posto del lago è un evidente rito di fon-dazione che presuppone il passaggio dalcaos al cosmo, dal disordine iniziale all’or-dine teleologico finalmente ripristinato.Nella pianura di Bistrica sorgono due vil-laggi, Perovo e Velesovo, separati da un cor-so d’acqua. Un’evidenza toponomasticadavvero curiosa, che al di là della cornicenarrativa permette di leggere in filigrananella storia molti elementi mitici e ritualitutti riconducibili alla fabula del dio solare

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Perun, fratello dell’oscuro signore del be-stiame Volos, che ne rapisce la figlia Mokoš,dea dell’umida terra, preposta alla fertilità.Perun insegue il fratello rivale e lo uccide,riportando con sé in salvo al castello supe-riore la figlia vergine. Mokoš80 deriva dalloradice Moc, che significa umido, bagnato,fertile. La morte rituale di Volos rigenera laterra. Riporta al mondo la vita. Il mito siperpetua in molte altre località.

Talvolta restano inalterati anche i riferi-menti topografici e toponomastici: bastipensare a Devin-Duino, e alla vicina pianadi Moschienizza/Mošcenice. La leggendaparla di un castello superiore, sorto nelle vi-cinanze di un tempio in cui anticamente sipraticava il culto del sole (si è detto delMitreo, presso Duino); una rocca a picco sulmare. Il signore malvagio di quel castello(paragonabile al Mali Grad di Kamnik) in-sidia la bella sposa, e la precipita in acqua.Ma il Signore del Cielo (identificabile inPerun) la trasforma in pietra prima che toc-chi il mare, salvandola. La tradizione folk-lorica locale si riferisce alla fanciulla defi-nendola la Dama Bianca: ovvero Bela, laperla Margarita, ancora una volta la fan-ciulla che nella versione cristiana vienetratta in salvo da San Giorgio. Gli stessi to-ponimi e gli identici riferimenti al mito sitrovano anche sulla costa orientale istriana,

in cui si ripercorre la triade Perun, Voloskoe Mošcenice. Fatto curioso è che quelle ter-re furono beni soggetti al dominio feudaleproprio dei signori di Devin-Duino.

Al di là delle straordinarie sovrapposi-zioni non è difficile scorgervi la vicenda ar-chetipica presente in molte narrazioni mito-logiche di svariati popoli indoeuropei.Co me non pensare a Proserpina rapita daPlu tone e condotta nel mondo inferiore,quindi riportata alla luce solamente dopoun rito lustrale compiuto con l’acqua e ilfuoco che riporta al mondo le messi e il rac-colto? I riti di fecondità legati ai passaggiequinoziali sono pertanto profondamenteconnessi con il mondo ctonio dei morti. Co -sì a Budva, nel Montenegro, all’approssi-marsi della Pentecoste, ragazzi e ragazze ve-stiti di fiori danzano e cantano la storia diuna fanciulla rapita da un drago feroce.

Almeno fino all’inizio della secondaguer ra mondiale si attestano nei villaggi slo-veni della Dolenjska e della Štajerska danzeconnesse con il culto della Vergine Maria. Ilrituale è intimamente collegato ai tempi sa-cri della Pentecoste, il battesimo di fuoco, edell’Assunzione: che poi altro non è che lafesta cristiana di una Vergine sacra che vie-ne ‘rapita’ al mondo per essere con dotta nelregno dei morti.81 Il mondo slavo la celebracon la festa delle Rusalje, conosciuta anche

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come la Pasqua rossa, che evoca l’attraver-samento del mar Ros so.82

In tutto il mondo slavo esistono divinitàminori, fate dette Vili (il nome riconduce aquello dell’onda, vilna appunto, ma anche atutto ciò che richiama alla memoria la volu-ta, la spirale, o meglio l’idea dell’avvolgi-mento, del ripiegamento su se stessi). Talipersonaggi erano sempre collegati alla vene-razione dei pozzi e delle sorgenti, spesso as-sociate al culto dei defunti, alla profezia e alcontrollo rituale degli agenti atmosferici. Laloro cristianizzazione le trasformerà in ‘rosa-liae’, spiriti pentecostali. Diventeranno in ter-ra russa le bellissime Rusalke, dai lunghi efluenti capelli verdi, vestite di bianco, abita-trici del fondo dei fiumi che sfociano nel MarNero. Le Kri ve pete slovene, o le Agane friu-lane, che dimorano nelle fonti e nelle acquesorgive, hanno piedi rivolti all’indietro: unaprobabile sopravvivenza delle pinne, o deipiedi palmati, come testimoniato anche dallePèdauques francesi, stre ghe con le zam ped’oca. La stessa fata Mor gana della tra -dizione bretone, sorella di Artù, è una sirena.Il suo nome deriva infatti da ‘muirgen’, ovve-ro ‘nata dal mare’. Come le sirene pos siede ildono della profezia, il suo canto è capace dimorte e domina l’elemento del mare.Secondo Geoffrey of Monmouth (1150), chela descrive per la prima volta nella ‘Vita

Merlini’, vive in Sicilia, innegabilmente ter-ra di sirene. Ma tra tutte queste figure quel-la che più affascina è senz’altro Melusina.Secondo il racconto che ci tramanda Jeand’Arrais, il conte Raymon, sedotto dalla vo-ce, dalla bel lezza e dalla sapienza di Me lu -sina (tutte connotazioni tipiche delle Sirene),la chiese in sposa. Lei accettò, ma impose almarito di lasciarla libera di uscire dal castel-lo ogni sabato, senza mai chiedere spiegazio-ne alcuna. Ma il marito infrange il patto e laspia da un buco mentre Melusina si sta la-vando. Nell’ele mento acquatico ella apparequal è in verità: ha ali di pipistrello, pelle didrago, zampe un gulate e spire di serpente.Fuggirà volando per non fare mai più ritor-no, se non di not te, per proteggere la culladei figli e allattare l’ultimo nato.

Sotto e nella pagina accanto: le tre metope analizzate.

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Una sua immagine è significativamen-te ritratta in una delle metope che impre-ziosiscono i lacunari del convento france-scano di San Giacomo di Polcenigo, pressola Santissima, rappresentata in tutta la suaconturbante e misterica sensualità. La co-munità era stata chiamata proprio con l’in-tento di vigilare contro le sopravvivenze pa-gane connesse con il culto della fertilità edella rinascita, ma pare che gli stessi con-fratelli fossero spesso stati richiamati daisanti inquisitori per aver ceduto alle anti-che pratiche, lasciandosi coinvolgere in es-se.83 Altre due significative metope rappre-sentano curiosamente una figura umanache indossa la pelle di un lupo84 e un’altraritratta in un inequivocabile gesto,85 chiarorimando all’atto della copulazione. Unagalleria iconografica ricchissima di sugge-

stioni dunque, così facilmente sovrapponi-bili a quelle pratiche ‘non laudabiles’ di cuioffre curiosa testimonianza anche il sacer-dote Narcisso di Prampero nel suo SpeculumVeritatis ancora nel secolo XVI,86 quando ri-marca che negli ex voto dedicati allaMadonna nella chiesa della Santissimacomparivano numerosi falli e organi geni-tali in argento, epigoni di quei culti dellafertilità connessi alla fonte di cui abbiamoampiamente parlato.87

Durante le sere di luglio e di agosto lun-ghe processioni danzanti si snodavano neicampi fino a raggiungere le chiese cimite-riali disseminate nelle campagne. La lungateo ria di pellegrini, recanti lumi e torce,procedeva a spirale, compiendo strane evo -luzioni, quasi a voler rappresentare in unpercorso iniziatico le volute di un labirinto:

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il percorso di acqua sotterranea nel grembodella terra. L’oscurità e il tragitto tortuosorappresentavano una discesa rituale agli in-feri, fino a raggiungere il centro sacro del la-birinto, archetipico cuore del mondo, coin-cidente con la chiesa. Con ogni evidenza sitratta di un percorso lustrale e di fertilitàconnesso con i morti.88 Difficile non pensa-re alla danza macabra così ben raffiguratanella chiesa di Hra stovlje in Slovenia o inquella cimiteriale di Beram, nell’Istria croa-ta,89 dove ancora una volta morti e raccoltodanzano assieme.

D’altronde lo stesso Sant’Er ma cora,pri mo vescovo di Aquileia e Patrono dellasua Chiesa, viene spesso associato alla dan -za estatica che pone l’uomo in contatto conl’altrove, con il regno dei morti. Il tropo me-dievale a lui indirizzato canta:

Nam eorum tumbis claudus pervolutus Sallit ut cervus et caecus recipit lumina.90

All’ingresso della cappella di SvetaMarija na Škriljinah (Santa Maria delle La -stre) si nota affrescata un’immagine abba-stanza misteriosa, sbrigativamente definitadalle guide come un esempio di ‘grottesco’medievale. Rappresenta una figura umana‘arcimboldescamente’ realizzata con i fruttidella terra e le messi raccolte.91 Ha per copri-capo una zucca.92 Proprio quella zucca che

significativamente i «viatores» medievali uti-lizzavano come segno contraddistintivo eusavano come borraccia per l’acqua: perchében erano certi che anche il pellegrinaggio èun itinerario simbolico di morte e resurrezio-ne che attraversa lo spazio e il tempo in uncammino salvifico verso una nuova vita.Esattamente come quello che per millenni siera praticato nei grandi templi del Timavo,del Gorgazzo e della Santissima e di cui le tremetope del convento francescano di SanGiacomo rap presentano una curiosa, straor-dinaria testimonianza.

Particolare del soffitto ligneo del chiostro dell’ex Conventodi San Giacomo di Polcenigo dell’Ordine dei Frati MinoriConventuali di San Francesco.

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Chiostro dell’ex Conventodi San Giacomo di Polcenigodell’Ordine dei Frati MinoriConventuali di San Francesco.Il monastero medievale,di cui si ha notizia nel 1262,fu ricostruito nella metàdel secolo XV; trent’annidopo fu distruttoda un incendio e, quindi,riedificato negli anniimmediatamente successivi.

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San Giacomo conil modellino della chiesadi cui è titolare.Bassorilievo sulla colonnasinistra del portaledella chiesa parrocchialedi Polcenigo.

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note

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1.Sono particolarmente grato a MarioCosmo per tale opportunità di ricerca,che non considero assolutamente con - clusa con questo mio contributo e cheanzi mi ripropongo di approfondireanche in altra sede.

2.Si prenda in considerazione il testofondamentale di I. CHIRASSI-CO LOM -BO, I culti locali nelle regioni alpine, inAquileia e l’arco alpino orientale, AntichitàAlto Adria ti che, IX, 1976, pp.173-206,in cui l’autrice offre ampia e ragionatabibliografia, nonché numerosi spuntidi riflessione e approfondimento. Cfr.anche G. MAR CHET TI, Le origini di Aqui -leia nella narrazione di Tito Livio, «Me mo -rie Sto riche Friu la ne», XLIII, 1958,pp. 1-17; H.VET TERS, Zur Alte stenGeschichte der Ostal penländer, «Jahre sheftdes Öster rei chi schen Archäo lo gischenIn sti tuts», XLVI, 1961-1963, pp. 201-228; F. MU SONI, Sull’etno grafia antica delFriuli, Atti dell’Ac cademia di Udi ne,voll. 7 (1900), III, pp. 50; F. MA RASPIN,Il culto di Apollo-Beleno ad Aquileia, Attidel Centro Studi e Do cu menta zioneItala Ro ma na, I, 1967, pp. 147-160.

3.Tra i primi ad occuparsi di questi temifu G. BIASUTTI, La tradizione marcianaaquileiese, Udine, pp. 39, 1959, chegiunse a formulare tale ipotesi dopouno studio particolarmente significati-vo sulle dedicazioni di alcune pievi af-ferenti ai territori del patriarcato diAquileia a «Sante Sabide» e alla lorocollocazione presso olle di acqua sorgi-va. Cfr. ID, Sante Sabide. Studio storico-li-turgico sulle cappelle omonime del Friuli,Udine, pp. 34, 1956. Seguirono gli stu-

sorelle di Alessandria e di Aqui leia. Cfr.PALUZZANO, PRESSACCO, Viag gio nellanotte della chie sa di Aquileia, cit., p. 27.

5.Issopo e acqua sorgiva sono anche im-portanti elementi rituali nelle lustrazio-ni, cerimonie di purificazione della ter-ra durante le quali veniva recitato ilsal mo 50: «Asperge me, Domine, hys-sopo et mundabor», rituali sopravvis-suti nelle rogazioni campestri e ampia-mente testimoniati in tutto il territoriodella diocesi aquileiese. Cfr. PA LUZ ZA -NO, PRESSACCO, Viaggio nella notte dellachiesa di Aquileia, cit., p. 30.

6.Es. 15, 26.

7.Es. 15, 19-26.

8.Si tenga presente che il numero 50 as-surge a cifra simbolica di gran de pote-re evocativo anche nella cultura pita-gorica, di cui Fi lo ne, come si è detto,era un autorevole rappresentante. 50in fatti è il giorno successivo al periodocomputabile molti plicando il numerosette (indice della perfezione) per settevolte (49 appunto).

9.Un documento sul quale a lungo ra-gionò G. Pressacco, aprendo la stradaa molteplici interpretazioni e caratte-rizzando quin di il profilo di tutta la suaampia e feconda ricerca sulle ascen-denze culturali del credo aquileiese,con approfondimenti inediti e del tuttoinnovativi anche sulla musica e il ballorituale ad esso pertinenti. Cfr. PA LUZ -

di più sistematici di G. Pressacco, per lacui ampia e diversificata bibliografia ri-mando a R. PA LUZZANO, G. PRES SAC - CO, Viaggio nella notte della chiesa di Aqui leia,Udine, pp. 125, 1998. Par ti co larmentesignificativi gli studi eseguiti da R.Iacumin sui pavimenti musivi della ba-silica di Aquileia e la loro collocazioneentro i contesti di un’interpretazionegnostica. Per questo tema si veda R.IACU MIN, Le porte della salvezza, Udine,pp. 222, 2000. Altret tanto importantile ricerche che sta conducendo R.Cacitti assieme ai suoi allievi, indaginetuttora in corso di pub bli cazione chetuttavia trova la sua intui zione già nel-l’importantissimo contributo ID, GrandeSabato. Il contesto pasquale quartodecimanonella formazione della teologia del martirio,Milano, pp. 208, 1994.

4.Filone alessandrino, noto anche comeFilone l’Ebreo, nacque ad Alessandriaintorno al 20 d.C. Intellettuale di gran-de spessore culturale, cercò di fondereassieme ebraismo, cultura gre co-elleni -sti ca, neoplatonismo ed elementi trattidalla dot trina numerologica neo pita-gorica. Citato da San Girolamo nel Deviris illustribus (cfr. Pa tro logia Latina,XXIII, col. 624) come autorevole rap-presentante del la scuola neoplatonica, èautore, tra altri scritti, anche di un’ope-ra minore, il De vita contemplativa, in cuitramanda l’esistenza della comunitàmonastica dei Te rapeuti. Poco in veritàsi conosce di ta le gruppo iniziatico.Eusebio di Ce sa rea, nella sua HistoriaEcclesiastica, confortato dal già citatoGirolamo, sostiene che lo stes so evan-gelista Marco ne facesse parte: evange-lista che secondo la tradizione vul gatasarebbe stato il fondatore delle chie se

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ZANO, PRESSACCO, Viaggio nella notte del-la chiesa di Aquileia, cit., p. 19.

10.Belenos è una divinità panceltica, cita-ta nelle fonti come protettrice diAquileia e riconducibile a culti solari.Cfr. CRACCO RUGGINI, Aquileia nel Me -di terraneo Tar do antico, cit., p. 15.

11.Burcardo di Worms, Decretorum libriXX, in Patrologia Latina, CXL, 976:«Dum pluviam non habent, et ea indi-gent, tunc plures puellas congregant,et unam parvulam virginem quasi du-cem si bi praeponunt, et eamdem de-nudant, et extra villam ubi herbamjuasquiamum inveniunt, quae Teu to -nice belisa vo catur, sic nudatam dedu-cunt, et eam dem herbam, eamdemvir ginem, sic nudam minimo di gitodextrae manus eruere faciunt, et radi-citus erutam cum ligamine aliquo, adminimum digitum dextri pedis ligarefaciunt. Et singulae puellae singulasvirgas in ma ni bus habentes, supradic-tam virgi nem her bam post se trahen-tem in flumen proximum introducunt,et cum eisdem virgis flumine asper-gunt et sic suis incantationibus plauvi-am se ha bere sperant».

12.Cfr. G. L. BECCARIA, I nomi del Mondo.Santi, demoni, folletti e le parole perdute,Torino, pp. XXXII-308, 1995, p. 64.

13.Cfr. CHIRASSI-COLOMBO, I culti localinelle regioni alpine, cit., p. 185.

14.Per le interessanti varianti di intitola-

zione, riferibili a Santa Margherita e aSan Michele, cfr. infra.

15.Per quanto concerne l’antico credoaquileiese le fonti fanno esplicito riferi-mento alla rusticitas quale tratto con-traddistintivo della nuova fede, intesaappunto in netta contrapposizione conil mondo corrotto della città. Cfr.PALUZZANO, PRESSACCO, Viaggio nellanotte della chiesa di Aquileia, cit., pp. 48-52e 82-86.

16.Significativo a tale proposito l’esplicitorichiamo a santificare la domenica enon il sabato rivolto ai suoi sacerdoti daPaolino, Patriarca di Aquileia, a conclu-sione del Concilio provinciale di Ci vi -dale del 796-797, cui se ne aggiunseroaltri nel corso dei secoli, fino alle racco-mandazioni del cardinale Dome nicoGri mani, nel 1499, e ai divieti emes sidal vicario patriarcale Augusto Brunonel 1603 a seguito della sua visita pasto-rale in Carnia: tutte testimonianze diuna prassi difficile da estirpare.

17.Da qui probabilmente nasce la tradi-zione popolare di una derivazionemarciana della chiesa di Aquileia, con-siderato il fatto che lo stesso Marco fos-se ritenuto adepto di tale comunità.

18.Si tratta dello ‘Scisma dei Tre Ca -pitoli’. Per un quadro più dettagliato siveda R. CACITTI, Como e Aquileia: rifles-sioni attuali sull’antica dipendenza ecclesiasti-ca, in Como e Aquileia. Per una storia dellasocietà comasca (612-1751), Como, pp.292, 1991, pp. 117-122.

19.Il Symbolum di Aquileia è giunto fino anoi in virtù del commento che ne feceRufino vescovo di Concordia (345-411), noto quale autorevole studiosodei padri orientali nonché per aver in-terpolato la Historia Ecclesiastica diEusebio di Ce sa rea: «Credo in DioPadre onnipotente, in visibile e impassi-bile, e in Gesù Cristo unico Figlio suonostro Signore, che è nato per operadello Spirito Santo da Maria Vergine,crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto,discese agli inferi, il terzo giorno è ri-sorto, è asceso al cielo, siede alla destradel Padre: di lì verrà a giudicare i vivi ei morti; e nello Spirito Santo, la santaChiesa, la remissione dei peccati, la re-surrezione di questa carne. Amen. Cfr.PALUZZANO, PRESSACCO, Viaggio nellanotte della chiesa di Aquileia, cit., p.101.

20.Su questo tema delicato quanto affasci-nante rinvio ancora alle ricerche che datempo sta conducendo R. Cacitti, piùvolte citato in questo mio contributo.

21.Cfr. G. PELLIZZARI, Il Pastore ad Aqui -leia. La trascrizione musiva della catechesinella cattedrale di Teodoro, Venzone, 2010,pp. 572.Cfr. PALUZZANO, PRESSACCO, Viaggionella notte della chiesa di Aquileia, cit., p. 45.

22.Mat, 16, 1-4.

23.Inviato da Dio a convertire gli abitantidi Ninive, Giona preso dallo scoramen-to fugge per mare, ma travolto da unatempesta viene ingoiato dal Pistrice, un

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mostruoso Leviethano nelle cui visceredimora per tre giorni e per tre notti pri-ma di essere rigettato nuovamente allaluce. I profondi significati cristologicisono più che evidenti, ma è il comples-so di tutte le figure che vi si sovrappon-gono a rendere davvero appassionantela ricerca di tutte le stratificazioni sin-cretistiche che si sono sovrapposte nelcorso dei secoli.

24.Per una più ampia analisi del tema cfr.A. FLORAMO, «Ad flumen frigidum»: la ca-valcata degli dei. Sincretismi culturali fra tar-do antico e alto Medioevo pp. 37-44, in Gliechi della terra. Presenze celtiche in Friuli: da-ti materiali e momenti dell’immaginario, Pi -sa-Roma, 2002, pp. 155.

25.Per un inquadramento storico dellabattaglia «ad Flumen Frigidum», di-sputata tra le milizie dell’ImperatoreTeodosio e quelle di Eugenio si vedanoO. SEEK – G.VEITH, Die Schlacht am Fri -gidus, «Klio», XIII, 1913, pp. 451-467;E. DE MOU GEOT, De l’unité a la division del’empire romaine 395-410. Essai sur le gou-vernement impérial, Paris, pp. 618, 1951;J. ŠAŠEL – B. MARUŠIC, Stirideset rimskihnapisov iz Istre (Quarante inscriptions romai-nes et fragments d’Istrie), «ArheološkiVestnik» 35, 1984, pp. 295-313. Lefonti più interessanti che ne riportanogli avvenimenti risultano essere: THEO -DO RETUS, Historia Ecclesiastica, V, 24;SO CRATES, Historia Ecclesiastica, VI, 25;SOZOMENO, Historia Ecclesistica, VII,22-24; ZOSIMO, Historia Ecclesiastica, IV,58; RUFINO, Historia Eccelsistica, 2, 32-33; AUGUSTINUS, De Civitate Dei, V, 26;si vedano anche i riferimenti in CLAU - DIA NUS, Panegyricys de III consulatu

Honorii Augusti, V, 99-101; CAS SIO DO -RUS, Hi sto ria Ecclesiastica tripartita, IX,45.11; LAN DOL FUS SAGAX, Additamentaad Pauli Hi sto riam Romanam, XIII, 4.

26.Cfr. THEODORETUS, Historia Eccele sia -stica, V, 24.

27.Per un generale quadro prospetticodelle fonti letterarie che si occuparonodel «Flumen Frigidum» cfr. V. VE DAL -DI IASBEZ, La Venetia orientale e l’Histria.Le fonti letterarie greche e latine fino alla ca-duta dell’Im pero romano d’Occidente, Roma,pp. 526, 1994, pp. 129 e segg.

28.Il villaggio sorge sulla strada romanache conduceva ad Pirum (Hrusica); cfr.L. BOSIO, La Venetia orientale nelle descri-zione della Tabula Peutingeriana, AquileiaNostra, XLII, c. 65.

29.Cfr. L. CRACCO RUGGINI, Aquileia nelMediterraneo Tardoantico, in Il Patriarcato diAquileia. Uno stato nell’Europa medievale,Udi ne, pp. 319, 1999, pp. 15 e segg.Non ho trovato altrove citazione dell’o-ratorio. Sarebbe interessante conoscer-ne la dedica, per meglio inquadrarnetipologia e peculiarità, al fine di ipotiz-zare eventuali sopravvivenze cultualipagane in ambito cristiano.

30.Più avanti sarà necessario offrire unapiù precisa identificazione dei duesanti. Interessante l’analisi della visio-ne offerta da J. LE GOFF, L’Immaginariomedievale, Roma-Bari, pp. XXII-232,1988, pp. 189-190. L’Autore fornisce

un quadro degli elementi strutturalidel sogno che precedette la battagliacelebrata dai Padri della Chiesa comelo scontro decisivo tra le forze delMale e quelle del Bene. Cfr. anche A.BRASSEUR, Le songe de Théodose le Grand,«Latomus», II, 1938, pp. 190-195.

31.Si tratta del tempio presso il qualeTeodosio si era raccolto in preghieraprima della partenza per la campagnacontro Eugenio.

32.Cfr. SOZOMENO, Historia ecclesiastica,VII, 24.

33.Cfr. Dizionario di Antichità Classiche, I,Ro ma, pp. 1159, 1981, Dioscuri sub. v.

34.Nell’iconografia cristiana diversi santisono effigiati con corona o aureola fre-giata di stelle. Tra questi il caso più in-teressante per la nostra trattazione èquello di Giovanni Ne po mu ceno, checon la lingua costretta in una mordac-chia di legno venne gettato nelle acquedella Moldava dai soldati di Vaclav IVper non aver voluto tradire il segreto delconfessionale. Il fatto si verificò il 20marzo del 1383, ma la tradizione agio-grafica ha probabilmente attinto a fontiprecedenti, sovrapponendo all’immagi-ne del santo boemo – signi fica tiva men -te eletto a ruolo di protettore dei ponti– figure mitiche di ben più antica tradi-zione, riconducibili alla morte per an-negamento e successivo con seguimentodell’immortalità, tipologia molto diffusain am bito Mediter raneo e comune amolti popoli antichi. Cfr. CHIRASSI-CO -

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LOM BO, I culti locali nelle regioni alpine, cit.,pp. 184-185. Quel lo che a noi interessaè lo stereotipo iconografico della coronastellata, il sacrificio rituale in acqua e illegame con la parola, il fatum, qui rap-presentato per antifrasi dall’immobilitàdella lingua.

35.Cfr. CIC. nat., II, 6.

36.Cfr. S.I. FRONTINUS, Strategemata, I, 11,8 e segg. Cfr. anche LE GOFF, L’Im ma -gi na rio medievale, cit., pp. 189-190.

37.La regione del Vipacco è caratterizza-ta dalla presenza di acque sorgive e ia-triche.

38.Sul tema del cavaliere fatato cfr. L.HARF-LANCNER,Morgana e Melusina. Lanascita delle fate nel Medioevo, Torino, pp.572, 1989, pp. 65-85.

39.È questa la strada dell’ambra, il lun-go sentiero che unisce il Balticoall’Adria ti co. Si vedano in propositoanche A. GRIL LI, Il basso Isonzo in etàromana, «Ren diconti. Classe di Letteree Scien ze morali e storiche. IstitutoLombardo di Milano», CIX, 1975,pp. 89-99; N. NEGRONI CATACCHIO,Le vie dell’ambra. I passi alpini orientali el’alto Adriatico, «An tichità Alto Adria -tiche» IX (1976), pp. 21-59. cfr. ancheLungo la via dell’ambra. Apporti altoadria-tici alla romanizzazione dei territori delMedio Danubio (I sec. a.C.-I sec. d.C.), acura di M. Buora, Udine, pp. 414,1996.

40.Cfr. VEDALDI IASBEZ, La Venetia orientalee l’Histria, cit., pp. 114-115. La questio-ne è ancora controversa e ampiamentedibattuta.

41.Cfr. SOZOMENUS, Historia Ecclesiastica,I, 6, 4-5.

42.Giasone è quasi un archetipo di figuremitiche molto simili presenti nelle tra-dizioni di popoli diversi. Cfr. infra.

43.Cfr. THEODORETUS, Historia Eccle sia sti -ca, V, 24.

44.Cfr. CRACCO RUGGINI, Aquileia nel Me -di ter raneo Tardoantico, cit., p. 15.

45.Sozomeno parla di un demone che in-sulta il Battista nel tempio di Hebdomosa lui dedicato in concomitanza dellabattaglia sul Vipacco (cfr. supra). Lastessa fonte (ibidem) testimonia la visitadi Teodosio al tempio di San Gio vanniil Battista prima di partire per la spe-dizione contro Eugenio; entrambi gliepisodi sono in tal senso chiarificatoriper attribuire l’identità al Gio vanniche compare in visione all’imperatore.Cfr. SOZOMENO, Historia ecclesiastica,VII, 24.

46.La coincidenza dei nomi è palese econsentirebbe di attribuire dunqueuna identità certa alle due figure ap-parse a Teodosio: si tratta di San Gio -vanni Bat tista e di San Filippo, abate

di Ge ru sa lemme. Ma Filippo, secon-do gli Atti de gli Apostoli, fu anche ilbattezzatore degli Etiopi (cfr. Atti, 8,22-49); un particolare non irrilevanteper la nostra trattazione, soprattuttose si pensa alla funzione evangelizza-trice che la chiesa ma trice di Ales -sandria esercitò in ambito etiopico; seinoltre Filippo è il Battista degli Etio -pi, è facile che per sovrapposizionevenga considerato un moro; la coppiaapparsa al Vipacco dunque potrebbeessere composta da un cavalierebian co e un cavaliere nero, topos ri-corrente in numerosissime tradizionimitiche.

47.Ancora un riferimento esplicito al col-legamento tra Alessandria e Aquileia.

48.Cfr. G. CUSCITO, Un nuovo nome nella se-rie dei vescovi di Parenzo, «Atti e Memoriedella Società Istriana di Archeologia eStoria Patria», XXXI, 1983, pp. 119-127.

49.Cfr. CRACCO RUGGINI, Aquileia nelMediterraneo Tardoantico, cit., p. 15. Peruna interessante digressione sui rap-porti tra Aquileia e la Palestina nel -l’epoca di nostra competenza si veda Y.M. DUVAL, Aquileé et la Palestine entre 370et 420, in Aquileia e l’Oriente Mediterraneo,«Antichità Alto Adriatiche», XII, pp.263-322, 1977.

50.Per una continuità sincretica tra le fi-gure di Apollo-Beleno e San GiovanniBattista cfr. CRACCO RUGGINI, Aquileianel Mediterraneo Tardoantico, cit., p. 15.

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51.Nel credo cristiano il battesimo rappre-senta la morte al mondo per acquisirel’eternità nello spirito: un antico rito diiniziazione e di rinascita comune a nu-merosi popoli primitivi e antichi.

52.Cfr. CRACCO RUGGINI, Aquileia nelMediterraneo Tardoantico, cit., p. 185.

53.Cfr. ibidem.

54.Cfr. J. MARKALE, I Celti, Milano, 1982,pp. 55-56, 105-106.

55.Nelle tradizioni mitologiche di moltis-simi popoli antichi la mela, prevalente-mente d’oro, è associata al culto delSole. Cfr. MARKALE, I Celti, cit., passim.

56.Cfr. MARKALE, I Celti, cit. pp. 105-106.Si noti che secondo la tradizionePitagora sarebbe stato identificato comela reincarnazione dell’Apollo Iper bo reo.

57.Cfr. il bronzetto del dio Apollo-Belenoconservato al museo Nazionale diCividale del Friuli, alt. mm 70 n. 495.

58.Per una più ampia dissertazione sul te-ma cfr. A. FLORAMO, Miti classici, nazio-nali e agiografici tra Friuli e Boemia,Treviso, 2007, pp. 264, pp. 195-208.

59.L’idronimo-toponimo Timav-Timau èattestato entro i confini della diocesi

patriarcale di Aquileia e designa sem-pre località caratterizzate dalla presen-za di acque sorgive, fenomeni carsici efontanili. Il nome è riconducibile adun’antichissima divinità protoslava le-gata al culto della morte e della rina-scita linfatica.

60.V. VEDALDI IASBEZ, La Venetia orientale el’Histria. Le fonti letterarie greche e latine finoalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente,cit, pp. 164-165.

61.M.G. CAENARO, Acque e culto delle acquenella X Regio, in Il latino lingua della cultu-ra europea, Treviso, 2002, pp. 1-14.

62.V. VEDALDI IASBEZ, La Venetia orientale el’Histria, cit., pp. 109-115 e 164-175.

63.Cfr. La cristianizzazione degli Slavi nel-l’arco alpino orientale, a cura di A. Ti -latti, Gorizia, 2005, pp. 201.

64.Si noti l’evidente sovrapposizione delnome Timavo – Timau. An che a Ti -mau esiste un importante fontanone,che nasce dalla roccia, il Fontanon dalTi mau appunto, che nei secoli generòl’area umida e paludosa sottostante, ilcui toponimo Paluzza è così riconduci-bile alla pa lude, come lo è Palù delLivenza: stessi nomi, stesse occorrenzesimboliche e mitiche dunque, a testi-monianza di una continuità e di unasovrapponibilità di enorme interesse.

65.JACOPO VALVASON DI MANIAGO, De -

scrit tio ne della Patria del Friuli, a c. di A.Floramo, Menocchio, Rive D’Arcano,2011, pp. 143, p. 85.

66.C. SCALON, L’Evangelario di San Marco,Udine, pp. 22 – XXIV, 1999.

67.Cfr. A. FLORAMO, «Ad flumen frigidum»:la cavalcata degli dei, cit.

68.N. MIKHAILOV, Mitologia Slava, Pisa,1990, pp. 190.

69.Animale sacro a Nettuno, nella mito-grafia classica, dunque correlato al cul-to delle acque.

70.M. KROPEJ, The Horse as a CosmologicalCreature in the Slovene Mythopoetic Heritage,«Studia Mythologica Slavica», I, 1998,pp. 153-167.

71.Attraversare le acque significa nelmon do antico nascere o morire, quindiri-nascere. Il battesimo, come si è det-to, è in fondo una morte rituale chepreannuncia e consente una rituale ri-nascita. Il concetto stesso di attraversa-mento esprime un pro fondo valoremagico collegato alla metamorfosi e al-la trasformazione. Nel cristianesimodelle origini il fonte battesimale ereditaquesta molteplicità di significati con-servando pressoché intatta la forte cari-ca simbolica ad essi sottesa. Non è uncaso che la sirena, data la sua anticafunzione di ‘demone che presiede i ritidi pas saggio’ ne divenga eccellente cu-

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stode, entrando a far parte della com-plessa e ricchissima simbologia cristia-na già a par tire dal V secolo, prima inarea orientale e poi nel resto dell’Eu -ropa. Le pievi ro maniche si popolanodi capitelli, bassorilievi, affreschi e mo-saici che la ritraggono nell’atto di as-solvere la delicata funzio ne di spiritoguida della rinascita. Bi caudata è spes-so associata alla figura del Battista o diSan Cristoforo, i grandi ‘traghettatori’della tradizione.

72.IACUMIN, Le porte della salvezza, cit., pp.62-73.

73.N. CAUSIDIS, Mythical Pictures of theSouth Slavs, «Studia Mythologica Sla -vica», II, 1999, p. 296; M. KROPEJ,Cosmology and Deities in Slovene FolkNarrative and Song Tradition, ivi, VI,2003, pp. 121-148.

74.S. SEBENICO, I Mostri dell’Occidente Me -die va le: fonti e diffusione di razze umane mo-struose, ibridi ed animali fantastici, Trieste,Uni ver sità degli Studi di Trieste, 2005,pp. 265.

75.Già s’è detto del lupo custode delle giu-mente votate a Diomede. Per maggioriap profondimenti cfr. M. MENCEJ, Volcjipastir v kontekstu dosedanjih raziskav na po-drocju slovanske mitologie, «Studia Mytho -lo gi ca Slavica», IV, 2001, pp. 159-187;M. MENCEJ, Gospodar volkov v slovanskimitologiji, Ljubljana, Županic, 2001; A.BA GLEY, A Wolf at School, «Studies inMe dieval and Renaissance Teaching»,IV, 1, 1993, pp. 35-69.

76.P. DIACONUS, Historia Langobardorum,IV, 37.

77.M. MENCEJ, Miticna oseba Šent v sloven-skem izrocilu, «Studia MythologicaSlavica», II, 1999, pp. 197-203.

78.Z. ŠMITEK, Astral symbolism on the Pre-Romanesque Relif in Keutschach (Hodiše),«Studia Mythologica Slavica», IV,2001, pp. 119-140; ID., Kresnik: AnAttempt at a Mythological reconstruction, ivi,I, 1998, pp. 93-118.

79.B. ŠTULAR, I.M. HROVATIN, SlovenePagan Sacred Landscape Study case: The Bi -stri ca Plain, «Studia Mythologica Sla -vica», V, 2002, pp. 43-68.

80.Sveti Mohor (così simile a Mokoš) è ilnome con cui le genti slave appellanoSant’Ermacora, primo vescovo diAquileia, figura di straordinario inte-resse connessa alla danza estatica, ai ri-tuali di rigenerazione e di rinascita dal-la morte, come si vedrà più avanti.

81.La stretta connessione tra la VergineMaria e l’acqua intesa come elementopuro e rigenerante (o i suoi derivati,quali la neve) è una costante nel mon-do medievale. Le apparizioni della‘Bian ca Si gnora’ avvengono spesso inprossimità di grotte dalle quali scaturi-sce acqua sorgiva, sui cui siti – anchenell’ambito del Pa triar cato di Aquileia– spesso vengono eret te chiese e sacel-li, come quella della San tissima a Pol -

ce ni go, presso la fonte del Gor gazzo, dicui si è già parlato. Lo stesso Dante, neiversi che San Bernardo dedica allaMa donna, così la definisce nella sua in-vocazione: «Vergine Ma dre, figlia deltuo figlio / umile e alta più che crea -tura / termine fisso d’etter no consiglio/ tu se’ colei che l’umana na tura / no - bilitasti sì, che ’l suo fattore / non di-sdegnò di farsi sua fattura. / Nel ventretuo si raccese l’amore / per lo cui cal-do ne l’etterna pace / così è germinatoquesto fiore. / Qui se’ a noi meridianaface / di caritate, e giuso, intra i mor-tali / se’ di spe ranza fontana vivace.»(Paradiso, XXXIII, 1-12). A parte ichia ri riferimenti al ventre di Mariache si fa quasi olla capace di germina-re fiori, e fontana vivace, risulta moltostimolante il celebre ossimoro iniziale,che gioca sulla coesistenza di verginitàe ma ternità e di perfetta interscambia-bilità tra la condizione di ‘madre di suopadre’ e di ‘figlia di suo figlio’, così per-fettamente attinente all’antico enigmari portato anche dal matematico LucaPacioli (1445-1517): «Dim me qual èquella figliola […] che fa la matre o vergenera la matre. Dirai la neve o ver ilghiaccio, che sonno figlioli de l’aqua etloro fanno l’aqua» (cfr. LUCA PACIOLI,De viribus quantitatis, a cura di M. Ga -laschi Peirani e A. Ma rinoni, Mi la no,1997, pp. 458, p. 414).

82.Si ricordi tutto quanto abbiamo giàdetto circa l’importanza di tale rituali-stica nell’ambito della chiesa diAlessandra d’Egitto e in seno alla co-munità dei Terapeuti. Di certo apparecon sempre più evidenza quanto que-sto sia un topos ricorrente che va tra-dotto ancora una volta come il passag-

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gio delle acque, e dunque la morte, inattesa di una rinascita, un’emersionealla nuova vita.

83.TOIO DE SAVORGNANI, Cansiglio NostraSignora. Storie dell’antica Foresta, dell’aridoAltopiano, dell’alta Cima e di altri MontiAna loghi, Martellago, Eurooffset, 2001.

84.Interessante a tale proposito il riferi-mento ai Luperci latini, confraternita dicelebranti connessa con rituali di rina-scita e di fertilità. La radice del loro no-me, Lua, richiama la paredra di Sa tur -no, che significa abbondanza. Saturno èassolutamente riconducibile alla figuradi San Cristoforo, di cui si è già ampia-mente parlato in riferimento ai culti lu-strali delle acque e della fertilità. Nel -l’antico rituale dei lupercali donne nudefuggivano inseguite dai sacerdoti che lepercuotevano con delle verghe riprodu-centi i februa, simboli fallici. GIO VAN NI

SEMERANO, Le origini della cultura Europea,Firenze, Oschki, 2002, I, p. 235.

85.«le mani alzò con amendue le fiche», D. Ali -ghieri, Inferno, 25,2. Il segno (il polliceinserito tra l’indice e il medio), utilizza-to anche come atto scaramantico o diof fesa, indica l’atto della penetrazionesessuale.

86.Ritengo (in base ad una sommariaana lisi esclusivamente visiva) che an-che la datazione delle metope possa es-sere ascritta al XVI secolo, per quantonon mi risulta vi siano studi dettagliatiche ne abbiano espresso una datazioneconseguente ad esame autoptico preci-

so. Certo l’interesse e l’importanza delmanufatto richiederebbero con urgen-za un’analisi multidisciplinare delleopere, per meglio intuirne finalità e si-gnificato.

87.LUIGI DE BIASIO, Narcisso Pramper daUdene: un prete eretico del Cinquecento,Udine, Del Bianco, 1986.

88.Z. ŠMITEK, The Image of the Real worldand the World Beyond in the Slovene FolkTradition, «Studia Mythologica Sla vi -ca», II, 1999, pp. 161-195; A. LO MA,Interpretationes Slavicae: Some early Mytholo -gical Glosses, ivi, I, 1998, pp. 45-53.

89.Terre facenti parte della diocesi aqui-leiese.

90.Cfr. PALUZZANO, PRESSACCO, Viaggionella notte della chiesa di Aquileia, cit., pp.76-81. Trovo particolarmente signifi-cativo il fatto che il santo venga ricor-dato dalla chiesa di Aquileia il 12 lu-glio. Secondo numerose fonti i popolisloveni, carinziani e friulani si raduna-vano in quel giorno a Udine, sotto iloggiati del castello, per abbandonarsia danze estatiche. La data è vicinissimaa quella del 14 luglio, tradizionalmen-te attribuita a San Vito, quello SvetiVid che il mondo slavo sincreticamen-te sovrappose alla divinità pagana Sve -tovit (cfr. supra). Una delle suggestiveipotesi sulla toponomastica udinese èche il nome della città, che in sloveno èVidem, sia appunto attribuibile all’an-tico culto protoslavo. A San Vito è de-dicato il cimitero della città.

91.Ricorda molto da vicino la rappresen-tazione della divinità slava Jarilo, di cuisi canta avesse piedi di segale e orec-chie di grano. Impressionante l’analo-gia con le parole del sacerdote di Jariloriportate da Herbordus, nella sua VitaOttonis: «ego sum deus tuus; ego sumqui vestio et graminibus campos etfron dibus nemora; fructus agrorum etlignorum, fetus pecorum et omniaquaecumque usibus hominum serviuntin mea sunt protestate». Cfr. R.KÖPKE, «Herbordi Dialogus de VitaOttonis episcopus Ba benbergensis»,Monumenta Ger ma niae Historica,cit., p. 112.

92.Nell’iconografia cristiana Giona vienespesso raffigurato come un fanciullodormiente sotto un pergolato dal qua-le pendono delle zucche. Si tratta in ve-rità del qiqajon, la pianta di ricino, unacucurbitacea appunto, che Dio avreb-be fatto crescere in una sola notte emorire in un sol giorno, ingenerandonel profeta meraviglia e sconforto.Spesso il qiqajon non differisce dall’ico-nografia della forma fallica, di cui èespressione nei significati simbolici dirinascita e di rigenerazione ad essa sot-tesi. Cfr. PALUZZANO, PRESSACCO,Viaggio nella notte della chiesa di Aquileia,cit., p. 43.

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ANGELO FLORAMO Angelo Floramo è nato a Udine il 3settembre 1966. Si è laureato in Let -tere e Filosofia presso l’Università diTrieste con una tesi in filologia latinamedievale. Cultore della materia pres-so la cattedra di Lingua e Let te raturalatina Medievale dell’Uni ver si tà deglistudi di Trieste, ha collaborato conl’Archivio Storico Italiano (Fi renze) eattualmente scrive per la rivista di di-vulgazione scientifica «Me dioevo».Membro dell’Accademia di StudiMedievali Jaufré Rudel di Gra di -sca d’Isonzo, è docente di ruolo diLingua e Letteratura Italiana e Storia

nelle scuole di secondo grado. I suoiambiti preferenziali di ricerca investi-gano i sincretismi culturali fra Tar doAntico e Alto Medioevo, con partico-lare attenzione per i mondi slavi.Autore di diversi saggi critici e artico-li apparsi su numerose riviste specia-listiche nazionali e internazionali harecentemente curato per i tipi di Me -nocchio la pubblicazione della «De -scrittione della Patria del Friuli»(1568) di Ja copo Valvason diManiago.

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INDICE

Presentazione 3

Introduzione 5

Da Alessandria ad Aquileia: l’acqua dei Terapeuti 7

Cristo, ovvero l’acqua sorgiva che sgorga dalle tenebre della morte 11

L’apparizione dei cavalieri fatati alla sorgente di Vrhpolje 12

Chi si nasconde dietro Giovanni? Il battesimo dell’acqua 17e della luce

La morte e la rinascita attraverso l’acqua. Miti e Dei dal Timavo 18al Gorgazzo

Il lupo pastore conduce le anime attraverso il guado periglioso 26

La Vergine Bianca, la Pasqua rossa e la processione dei morti 28

Note 35

Biografia 45

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Finito di stampare nel mese di giugno 2012

Page 51: ILLAZIONI SU TRE METOPE DI POLCENIGO

Metopa numero 2.Lato sinistro del soffitto.

Metopa numero 6.Lato sinistro del soffitto.

Metopa numero 15.Lato destro del soffitto.

2.

Figura umanacon pelle di lupo

1.

Stemma araldico

4.

Volatile

3.

Mammiferoalato

6.

Figura umana nel gestodella copulazione

5.

Simbolo francescano

8.

Vuota

7.

Vuota

10.

Vuota

9.

Volatile

12.

Stemma araldico

11.

Figura umana

14.

Vuota

13.

Figura umana

16.

Simbolo francescano

15.

Mammifero alato

18.

Vuota

17.

Vuota

19.

Vuota

2.

Figura umana

1.

Volatile

4.

Vuota

3.

Stemma araldico

6.

Mammifero

5.

Vuota

8.

Vuota

7.

Fiori

10.

Mammifero

9.

Figura umana

12.

Vuota

11.

Mammifero

14.

Stemma araldico

13.

Figura umana

16.

Vuota

15.

Figura agana

18.

Vuota

17.

Oggetto

19.

Mammifero

LATO SINISTRO

Il soffitto ligneo della Sala Capitolareè composto di 38 metope, di cui13 sprovviste di iconografia, dispostesui suoi due lati maggiori: 19 riquadrilungo ogni lato. I soggetti quattro-cinquecenteschi,che si srotolano tra una trave e l’altra,non si limitano a una funzioneornamentale ed estetica bensìcompongono un’enciclopediasimbolica di brani biblici e veritàteologiche per aiutare i fedeli– in questo caso i frati – a ricordareche, dietro ad animali reali o fantastici,si nascondono vizi diabolici o virtùcristiane.Ecco allora che si susseguonole raffigurazioni di pellicani, cicogne,volpi e altri animali alati e non, difigure umane e così pure mitologiche,tra il simbolo dell’Ordine francescanoe gli stemmi araldici dei Contidi Polcenigo e di Mizza.

LATO DESTRO

Ex Convento di San Giacomo di Polcenigodell’Ordine dei Frati Minori Conventualidi San Francesco (1262-1769).

Particolari del soffitto ligneo della Sala Capitolare.

Page 52: ILLAZIONI SU TRE METOPE DI POLCENIGO

ILLAZIONI SU TRE METOPE

DI POLCENIGO

ANGELO FLORAMO

Sopravvivenze di antichi culti dell’acquae della fertilità

nella antica diocesi aquileiese

Un Quaderno...un’antica suggestionedella memoria,una piccola voce dei ricordi,un sottile valorecullato nel passato,custodito nell’intimitàdei nostri luoghie delle tradizioni cherivive ora nella quotidianitàdella nostra vita.Un Quaderno per una collanache racconta di noi,dei passi tracciatisui sentieridelle nostre montagne,arrivando fin lassù,dove lo sguardo può perdersiverso il futuro.

2

Disposizione e numerazione delle metopepresenti nel soffitto della Sala Capitolare

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Metopa numero 2.Lato sinistro del soffitto.

Metopa numero 6.Lato sinistro del soffitto.

Metopa numero 15.Lato destro del soffitto.

2.

Figura umanacon pelle di lupo

1.

Stemma araldico

4.

Volatile

3.

Mammiferoalato

6.

Figura umana nel gestodella copulazione

5.

Simbolo francescano

8.

Vuota

7.

Vuota

10.

Vuota

9.

Volatile

12.

Stemma araldico

11.

Figura umana

14.

Vuota

13.

Figura umana

16.

Simbolo francescano

15.

Mammifero alato

18.

Vuota

17.

Vuota

19.

Vuota

2.

Figura umana

1.

Volatile

4.

Vuota

3.

Stemma araldico

6.

Mammifero

5.

Vuota

8.

Vuota

7.

Fiori

10.

Mammifero

9.

Figura umana

12.

Vuota

11.

Mammifero

14.

Stemma araldico

13.

Figura umana

16.

Vuota

15.

Figura agana

18.

Vuota

17.

Oggetto

19.

Mammifero

LATO SINISTRO

Il soffitto ligneo della Sala Capitolareè composto di 38 metope, di cui13 sprovviste di iconografia, dispostesui suoi due lati maggiori: 19 riquadrilungo ogni lato. I soggetti quattro-cinquecenteschi,che si srotolano tra una trave e l’altra,non si limitano a una funzioneornamentale ed estetica bensìcompongono un’enciclopediasimbolica di brani biblici e veritàteologiche per aiutare i fedeli– in questo caso i frati – a ricordareche, dietro ad animali reali o fantastici,si nascondono vizi diabolici o virtùcristiane.Ecco allora che si susseguonole raffigurazioni di pellicani, cicogne,volpi e altri animali alati e non, difigure umane e così pure mitologiche,tra il simbolo dell’Ordine francescanoe gli stemmi araldici dei Contidi Polcenigo e di Mizza.

LATO DESTRO

Ex Convento di San Giacomo di Polcenigodell’Ordine dei Frati Minori Conventualidi San Francesco (1262-1769).

Particolari del soffitto ligneo della Sala Capitolare.

Page 54: ILLAZIONI SU TRE METOPE DI POLCENIGO

ILLAZIONI SU TRE METOPE

DI POLCENIGO

ANGELO FLORAMO

Sopravvivenze di antichi culti dell’acquae della fertilità

nella antica diocesi aquileiese

Un Quaderno...un’antica suggestionedella memoria,una piccola voce dei ricordi,un sottile valorecullato nel passato,custodito nell’intimitàdei nostri luoghie delle tradizioni cherivive ora nella quotidianitàdella nostra vita.Un Quaderno per una collanache racconta di noi,dei passi tracciatisui sentieridelle nostre montagne,arrivando fin lassù,dove lo sguardo può perdersiverso il futuro.

2

Disposizione e numerazione delle metopepresenti nel soffitto della Sala Capitolare