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Il cittadino digitale e la storia: un nuovo rapporto? Enrica Salvatori Relazione tenuta al Festival Internazionale della Storia di Bologna, Ottobre 2014 La rivoluzione digitale ha avuto un profondo impatto sul modo in cui oggi la storia viene studiata, analizzata, condivisa, insegnata oltre che sul modo in cui le fonti che documentano i fenomeni del passato vengono pubblicate, conservate e addirittura prodotte. Si può certamente parlare di un digital turn per la professione di storico che ancora non è stato pienamente compreso e metablizzato dai professionisti del settore, ma che di fatto sta cambiando il rapporto tra i cittadini e la storia. Infatti, a fianco della metodologia di ricerca tradizionale trasformata dall’impatto del digitale e talvolta ad integrazione di quest’ultima, nuovi scenari pubblici si sono venuti a creare, in cui semplici cittadini partecipano del modo in cui la storia è scritta, raccontata, vissuta e condivisa. Un mondo digitale nel quale tutti siano diventati un po' “storici” ha delle conseguenze radicali sul vecchio mestiere di Clio e obbliga i suoi cultori ad interrogarsi sul loro ruolo nella società in rete. Fino a pochi anni fa, sostanzialmente fino all’avvento del World Wide Web, il rapporto tra i cittadino e le discipline legate alla storia o la cultura umanistica in genere era costretto in pochi e inadeguati canali comunicativi. La pratica accademica utilizzava (e utilizza in gran parte ancora oggi) due soli medium per far trapelare all’esterno le proprie scoperte: l’articolo scientifico e la conferenza. Entrambi i metodi risultavano (e risultano anche oggi) sostanzialmente chiusi per il cittadino comune, perché le riviste scientifiche sono di norma conservate in biblioteche specializzate, mentre seminari e conferenze seppur formalmente aperti al pubblico hanno di norma sede in luoghi percepiti come riservati (accademie, istituti e centri di ricerca). Inoltre sia i saggi che le prolusioni spesso utilizzano un linguaggio molto specialistico che, nei fatti, riserva la fruizione solo a un pubblico di pari. Se si eccettuano i destinatari primari di questo genere di comunicazione - studiosi e ricercatori a tale materiale vi accedono talvolta anche lo storico locale / amatoriale e l’insegnante desideroso di aggiornarsi, ma si tratta di unutenza di per sé limitata. Qualche volta lo storico accademico specialmente se dotato di capacità di scrittura e di comunicazione ed interessato a diffondere le proprie ricerche si impegna anche in opere ‘divulgative, letteralmente che diffondono dall’alto in basso conoscenze appositamente semplificate per educare il volgo. Si tratta di unattività certamente meritoria, che però si basa sul concetto che esista comunque una netta separazione tra la ricerca e la fruizione della storia e che è comunque scoraggiata dall’ambiente accademico, perché considerata una pratica secondaria e accessoria nel mestiere di storico 1 1 Nella recente richiesta del MIUR a ciascun docente/ricercatore di ruolo di indicare le pubblicazioni da prendere in considerazione per una valutazione complessiva del dipartimento di appartenenza (la Scheda Unica Annuale della Ricerca dei Dipartimenti) si dice espressamente che «la Scheda SUA-RD raccoglie solo le pubblicazioni classificate come ‘scientifiche’, con esclusione di quelle di tipo ‘divulgativo’ e ‘didattico’». < http://www.anvur.org/attachments/article/26/Linee%20Guida%20SUA_RD.pdf>
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Il cittadino digitale e la storia: un nuovo rapporto?

Feb 28, 2023

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Andrea Colli
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Il  cittadino  digitale  e  la  storia:  un  nuovo  rapporto?  

Enrica  Salvatori   Relazione tenuta al Festival Internazionale della Storia di Bologna, Ottobre 2014 La rivoluzione digitale ha avuto un profondo impatto sul modo in cui oggi la storia viene studiata, analizzata, condivisa, insegnata oltre che sul modo in cui le fonti che documentano i fenomeni del passato vengono pubblicate, conservate e addirittura prodotte. Si può certamente parlare di un digital turn per la professione di storico che ancora non è stato pienamente compreso e metablizzato dai professionisti del settore, ma che di fatto sta cambiando il rapporto tra i cittadini e la storia. Infatti, a fianco della metodologia di ricerca tradizionale trasformata dall’impatto del digitale e talvolta ad integrazione di quest’ultima, nuovi scenari pubblici si sono venuti a creare, in cui semplici cittadini partecipano del modo in cui la storia è scritta, raccontata, vissuta e condivisa. Un mondo digitale nel quale tutti siano diventati un po' “storici” ha delle conseguenze radicali sul vecchio mestiere di Clio e obbliga i suoi cultori ad interrogarsi sul loro ruolo nella società in rete. Fino a pochi anni fa, sostanzialmente fino all’avvento del World Wide Web, il rapporto tra i cittadino e le discipline legate alla storia o la cultura umanistica in genere era costretto in pochi e inadeguati canali comunicativi. La pratica accademica utilizzava (e utilizza in gran parte ancora oggi) due soli medium per far trapelare all’esterno le proprie scoperte: l’articolo scientifico e la conferenza. Entrambi i metodi risultavano (e risultano anche oggi) sostanzialmente chiusi per il cittadino comune, perché le riviste scientifiche sono di norma conservate in biblioteche specializzate, mentre seminari e conferenze – seppur formalmente aperti al pubblico – hanno di norma sede in luoghi percepiti come riservati (accademie, istituti e centri di ricerca). Inoltre sia i saggi che le prolusioni spesso utilizzano un linguaggio molto specialistico che, nei fatti, riserva la fruizione solo a un pubblico di pari. Se si eccettuano i destinatari primari di questo genere di comunicazione - studiosi e ricercatori – a tale materiale vi accedono talvolta anche lo storico locale / amatoriale e l’insegnante desideroso di aggiornarsi, ma si tratta di un’utenza di per sé limitata. Qualche volta lo storico accademico – specialmente se dotato di capacità di scrittura e di comunicazione ed interessato a diffondere le proprie ricerche – si impegna anche in opere ‘divulgative’, letteralmente che diffondono dall’alto in basso conoscenze appositamente semplificate per educare il ‘volgo’. Si tratta di un’attività certamente meritoria, che però si basa sul concetto che esista comunque una netta separazione tra la ricerca e la fruizione della storia e che è comunque scoraggiata dall’ambiente accademico, perché considerata una pratica secondaria e accessoria nel mestiere di storico1

1 Nella recente richiesta del MIUR a ciascun docente/ricercatore di ruolo di indicare le pubblicazioni da prendere in considerazione per una valutazione complessiva del dipartimento di appartenenza (la Scheda Unica Annuale della Ricerca dei Dipartimenti) si dice espressamente che «la Scheda SUA-RD raccoglie solo le pubblicazioni classificate come ‘scientifiche’, con esclusione di quelle di tipo ‘divulgativo’ e ‘didattico’». < http://www.anvur.org/attachments/article/26/Linee%20Guida%20SUA_RD.pdf>

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La separazione tra storiografia accademica e cittadini ha creato nel tempo un vuoto che è stato ovviamente colmato da altri: da un lato dagli storici locali / amatoriali, che hanno dato un contributo fondamentale al progresso degli studi pur non sempre utilizzando metodologie aggiornate; dall’altro dai giornalisti, a loro modo anch’essi ricercatori e analizzatori di fonti storiche, dotati per mestiere di una forte capacità comunicativa, ma spesso privi della preparazione necessaria a condurre un’indagine storica metodologicamente aggiornata. In tutti i casi qui elencati: conferenza, articolo scientifico più o meno metodologicamente accurato, articolo giornalistico più o meno approfondito, la comunicazione è comunque, sempre, prodotta a senso unico, da chi parla a chi ascolta, da chi scrive a chi legge. Nessuna vera partecipazione alla ricerca, alla scrittura o all’elaborazione della storia si realizza. A onor del vero tentativi illustri e autorevoli in questa direzione siano stati tentati in passato, molto prima che il web nascesse; penso ad esempio agli History Workshops di Raphael Samuel nell’Inghilterra degli anni ’70 o ai movimenti che hanno portato allo sviluppo della Public History come disciplina accademica nei paesi di lingua anglosassone2: si è comunque trattato di fenomeni che non hanno sostanzialmente influenzato la pratica storicografica italiana ed europea in genere. La rivoluzione digitale ha mutato radicalmente questo scenario, in un modo che non è ancora – proprio perché il fenomeno è in fieri - vautabile nella sua complessità. L’accesso sempre più ampio a contenuti sul web di diverso grado di difficoltà e soprattutto di diversa natura, ha di fatto reso enormemente più facile l’accesso del cittadino alla conoscenza del passato, ma – cosa molto più rilevante ai nostri fini – ha finalmente permesso un ampio grado di partecipazione del cittadino alla scrittura stessa della storia. Prima di citare alcuni esempi che – si spera – possano rendere più chiaro il concetto, è necessaria una premessa. La partecipazione del cittadino al racconto della storia può avvenire, e di fatto avviene, anche nel mondo fisico. Ad esempio quando una petizione pubblica chiede che una strada o una piazza sia intitolata a un determinato personaggio o a un fenomeno storico o che sia costruito un monumento ‘in memoria di’. La partecipazione in questo caso è tanto maggiore quanto l’iniziativa sorge dal basso e non è invece imposta o suggerita – come di norma accade - dalla amministrazione locale; un segnale di condivisione importante si rileva quando diverse realtà culturali del territorio (scuole, associazioni, fondazioni) ritengono importante investire congiuntamente energie e fondi nell’organizzare manifestazioni pubbliche relative al medesimo tema ‘sentito’ dalla popolazione. Ovviamente si registra la partecipazione pubblica anche quando un monumento o intitolazione sono decisi a dispetto della volontà della maggioranza dei cittadini, a puro scopo propagandistico o con chiaro intento di uso/abuso politico del passato, ma in questo caso il coinvolgimento assume quasi sempre il tono dello scontro, di per sé disordinato e violento3.

2 S. NOIRET, ‘Public History’ e ‘storia pubblica’ nella rete, «Ricerche storiche», XXXIX (2009), pp. 275–327. 3 S. NOIRET, Per una ‘Public History’ italiana nei luoghi della Guerra Civile (1943-1945), in «Digital & Public History», novembre 2012 http://sergenoiret.blogspot.it/2012/11/per-una-public-history-italiana-nei.html.

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Ugualmente degne di nota sono le manifestazioni periodiche a tema storico (revival- rievocazioni) che punteggiano gli autunni e le primavere di molte località della nostra penisola, come ad esempio il celeberrimo Calendimaggio di Assisi. Sebbene si tratti certamente di eventi finalizzati ad attirare visitatori e turisti, nella maggior parte dei casi si tratta anche di manifestazioni che richiedono una grande regia e un’intensa e costante partecipazione della comunità organizzatrice e che implicano quindi un notevole sforzo collettivo non solo nel settore logistico-oganizzativo, ma anche e soprattutto in quello della ricostruzione storica, dell’indagine filologicamente accurata e della comprensione e rilettura del fatto / fenomeno storico che si vuole evidenziare. Viene doveroso qui citare la manifestazione che ospita e pubblica questo atti, ossia la Festa Internazionale della Storia di Bologna, che – dal punto di vista che stiamo trattando – da anni si pone in prima linea e con egregi risultati nell’attività di creare un ponte tra il cittadino comune e la pratica storica, unendo convegni e prolusioni tradizionali a incontri didattici e manifestazioni di carattere più popolare4. Premesso questo, la rivoluzione digitale ha – rispetto agli esempi proposti – dilatato in maniera non quantificabile e moltiplicato in maniera inaspettata le possibilità di partecipazione del pubblico alla conosceza, scrittura, lettura, interpretazione del passato. Nel farlo ha ovviamente aperto nuovi scenari di lavoro e di studio e costretto a ragionare su nuove metodologie di lavoro. Vediamo come, portando solo alcuni esempi chiarificatori che meriterebbero ovviamente analisi più puntuali, ma che proprio l’esistenza del web consente a tutti gli interessati un eventuale successivo approfondimento. In primo luogo il mondo digitale ha reso estremamente più democratico l’accesso a quella comunicazione specialistica che si citava all’inizio del testo. Oggi chiunque può leggere – liberamente o a pagamento – gli scritti di uno studioso o ascoltare una sua conferenza. In questi anni non solo si sono moltiplicati i depositi privati o istituzionali o disciplinari di articoli e testi scientifici5, ma anche riviste on line ad accesso aperto e archivi del tutto volontari di testi, gestiti in estrema libertà dalla comunità degli studiosi, in qualche caso veri social network di ricercatori6. Fenomeno relativamente recente è poi il blog accademico: blog, reti di blog e blog collettivi in cui singoli ricercatori o gruppi di ricerca o enti aggiornano periodicamente tutti gli interessati sui progressi della loro attività7. Prima nei paesi di cultura anglosassone, poi in maniera crescente anche altrove si è inoltre sviluppata l’abitudine di rendere disponibili in formato video o audio conferenze e seminari tenuti in università o in altri istitiuti di ricerca, realizzati sia a scopo divulgativo che di aggiornamento interno8. Le opportunità fornite dalla multimedialità e dai software e applicazioni che facilitano l’accesso del pubblico ai contenuti è stata spesso maggiormente sfruttata dagli enti che promuovono per statuto la conservazione e la volarizzazione del bene culturale, quali musei, archivi e biblioteche. In questo campo si sta assistendo a un vero e proprio fiorire d’iniziative di qualità e scopi diversi, che vanno dall’accesso diretto 4 <http://www.festadellastoria.unibo.it/> 5 Cito ad esempio solo una banca dati privata, Jstor <http://www.jstor.org/>; per i deposito istituzionali attaulemnte ne esistono in quasi tutte le università italiane; riguardo invece a un esempio di deposito disciplinare vale l’esempio di Reti Medievali – Biblioteca <http://rm.univr.it/biblioteca/>. 6 Ad esempio Academia.edu <https://www.academia.edu/>. 7 Estremamente valida in ambito europeo la rete di Hypothèses <http://hypotheses.org/>. 8 E. SALVATORI, Hardcore history: ovvero la storia in podcast. Analisi del podcasting dedicato ad argomenti storici in lingua inglese, francese, italiana e spagnola, in «Memoria e Ricerca», 30/200 (2009), pp. 171-187.

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all’immagine in alta qualità della pergamena medievale9 alla creazione di dossier multimediali di approfondimento10 alla pubblicazione di cicli di conferenze11. In questo settore le iniziative possibili sono le più varie. Mi permetto di citarne in dettaglio soltanto una perché più nota a chi scrive. Si tratta del progetto In piazza, in chiesa e a palazzo: Pisa e l’Islam nel Medioevo realizzato dal Laboratorio di Cultura Digitale dell’Universtà di Pisa12. Il progetto ha inteso valorizzare un percorso di riscoperta della storia cittadina, focalizzando l’attenzione su emergenze storico-artistiche poco conosciute, eppure estremamente importanti per la comprensione del passato della città stessa. Quale grande potenza mediterranea, Pisa ebbe infatti strette relazioni con il mondo islamico medievale di carattere sia bellico sia diplomatico; le tracce di questi scontri e incontri, contemporanee agli eventi o rielaborate in epoca successiva, dal medioevo all’età contemporanea, si trovano un po’ dovunque nel tessuto urbano e in particolare in cinque zone della città o punti di interesse: le epigrafi della facciata del Duomo; la chiesa di S. Sisto; l’epigrafe della Porta Aurea posta sulla facciata di S. Maria dei Galletti; gli affreschi seicenteschi della Sala delle Baleari di Palazzo Gambacorti, sede del Comune di Pisa; il murale contemporaneo di Daniele Schinasi dedicato alla Battaglia di Mallorca nell’atrio della Stazione Centrale. Le informazioni su ogni punto d’interesse, raggiungibili via web, o tramite QR Code, o ancora utilizzando un’apposita App per smartphone, presentano la spiegazione e interpretazione dei peculiari oggetti visibili e, quando necessario, la traduzione in italiano e in inglese delle epigrafi in video e in testo. La scelta di utilizzare i video, complementari al testo e raggiungibili in una situazione di mobilità, è stata deliberata e non banale. Si è trattato, infatti, non di costruire semplici audio-guide di un oggetto di rilievo storico-artistico, come avviene normalmente nei musei, ma di produrre brevi ed efficaci documentari di carattere storico, che potessero contestualizzare in maniera efficace e piacevole il testo dell’epigrafe o il messaggio dell’affresco e complessivamente costruire un vero e proprio percorso di visita tematico all’interno della città, che l’utente decide volontariamente di seguire utilizzando il proprio telefonino. Il progetto Pisa e l’Islam, pur cercando di sfruttare al meglio la multimedialità e l’accessibilità in movimento che consentono oggi le nuove tecnologie, è pur sempre solo un esempio di buona divulgazione, attenta da un lato alla tecnologia e dall’altro ai mutamenti intervenuti nella comunicazione negli ultimi anni. In quanto divulgazione non si prevede quindi una partecipazione attiva del pubblico, se non a livello della scelta nella fruizione del materiale. Negli ultimi anni tuttavia il web si è trasformato da immenso contenitore di conoscenze legate in maniera ipertestuale a piattaforma sociale di interscambio di dati e conoscenze, il cosiddetto web 2.0. Non è qui il caso di citare Wkipedia che ormai tutti conoscono e usano, ma che è di fatto una enorme scrittura condivisa del passato, un modo del tutto nuovo di trasmissione della conoscenza. Andiamo invece a fare altri esempi, magari meno noti,

9 Ad esempio il servizio e-ASLu dell’Archivio di Stato di Lucca <http://www.archiviodistatoinlucca.it/index.php?id=630 >. 10 Come le Expositions virtuelles periodicamente organizzate dalla Bibliothèque Nationale de France <http://expositions.bnf.fr/ >. 11 Come le Conferencias pubblicate su iTunes dal Museo Nacional del Prado <https://itunes.apple.com/it/podcast/conferencias-video/id636418344?mt=2 > o i video rilasciati su Youtube dalla medesima istituzione <https://www.youtube.com/user/museodelprado >. 12 <http://pisaeislam.humnet.unipi.it/>.

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però esemplificativi delle potenzialità del web 2.0. In particolare per quanto riguarda il rapporto tra il cittadino e la storia sono estremamente interessanti gli invented archives o, com’è forse più opportuno chiamarli in italiano, gli archivi condivisi.

Prendiamo ad esempio la collezione delle fotografie storiche della Library of Congress, attuata nel giugno 200713. In quell’anno, la celebre biblioteca statunitense ha messo in linea sul proprio sito il suo notevole archivio di fotografie storiche, dotando ogni pezzo di un completo corredo di metadati e di un indirizzo web permanente; contemporaneamente però ha replicato tale archivio anche su un social network molto noto e diffuso, Flickr, appositamente studiato per consentire la condivisione di immagini14. Se ci si collega all'archivio su Flickr della Library of Congress è possibile fare quello che era quasi impossibile in un museo / biblioteca tradizionale, ossia dare il proprio contributo alla migliore comprensione dell'oggetto esposto. Ognuno può infatti commentare ogni singola immagine e così facendo aggiungere dati preziosi di natura storica o tecnica o geografica al catalogo.

Navigare tra queste collezioni d’immagini è un'esperienza che mi sento di consigliare: si ha infatti la percezione tangibile di quanto la storia e la sua eredità materiale (gli oggetti) siano veramente patrimonio di tutti e di quanto le persone comuni possano essere in grado di dare contributi preziosi alla conoscenza collettiva aggiungendo dati, correggendo attribuzioni erronee, specificando fatti e temi, e così via.

Quello della Library of Congress è comunque un archivio fisico esistente che è stato digitalizzato e può essere oggi implementato dal pubblico. Un passo ulteriore nella direzione della partecipazione del cittadino alla storia è dato dalla nascita di collezioni ex-novo, create in formato digitale senza che ci sia a monte un deposito fisico presso un ente deputato istituzionalmente alla raccolta e alla conservazione.

Come gli storici sanno bene, andare in un archivio non è cosa facile. Una volta entrati, infatti, orientarsi tra fondi, casse, faldoni e pezzi è una vera e propria impresa. Questo avviene perché l'archivio è un deposito di documenti di istituzioni diverse che si sono evolute nel tempo: per trovare un determinato documento si deve sapere prima la storia dell'istituto / ente che lo ha prodotto, capirne il percorso produttivo, seguire la vicenda successiva all'emanazione della fonte e andare a frugare nel fondo dell'ente che presumibilmente l’ha conservata fino ai nostri giorni. Insomma storia e archivistica vanno da sempre a braccetto, perché un documento è strettamente legato alla storia degli enti che lo hanno prodotto / tramandato / ricevuto / conservato. Nel mondo digitale questo legame, pur permanendo nella stragrande maggioranza dei casi, non è più una costante e questo grazie proprio alla rivoluzione portata dal medium nel campo dei beni culturali, storici e documentari.

L'esempio che porto all'attenzione è quello, notevole, dato dal The September 11 Digital Archive15 che colleziona, conserva e illustra la documentazione degli attacchi terroristici del 2001 al World Trade Center, in Virginia e in Pennsylvania grazie ai contributi spontanei di centinaia di migliaia di testimoni diretti e indiretti degli eventi. La sterminata collezione digitale di quest’archivio non ha un ente produttore, né uno legalmente istituito per la raccolta e la conservazione delle 13 <http://www.loc.gov/pictures/>. 14 <https://www.flickr.com/photos/8623220@N02/>. 15 <http://911digitalarchive.org/>.

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memorie relative agli eventi di quel giorno: ma si è creato per iniziativa di università, centri di ricerca e associazioni e grazie alla collaborazione spontanea dei cittadini e delle istituzioni. Di fatto la collezione ora esiste, è vastissima, cresce ogni giorno perché è alimentata dalle testimonianze su come l'evento è stato percepito, vissuto, comunicato e trasmesso e quindi sul processo di costruzione identitaria di un gruppo / comunità che non ha ancora confini certi proprio perché in costruzione.

Iniziative di raccolta di memorie digitali che sono spontaneamente depositate dalla popolazione via web si stanno moltiplicando in forma più o meno strutturata e in diverse parti del mondo. Non è certo qui il caso di farne un elenco, ma indubbiamente è da sottolineare il fatto che si tratta di un fenomeno completamente nuovo per dimensioni ed effetti nell'ambito della conservazione e della creazione della memoria storica. La fonte è creata / raccolta da un organismo dai contorni evanescenti – la comunità – che, anche tramite la creazione / raccolta stessa, trova ulteriore stimolo e ragione per l'opera di costruzione della propria memoria condivisa.

Gli enti, gli organismi, le realtà produttori di questi archivi condivisi possono essere dei più vari. In Italia si sono segnalate ad esempio libere e spontanee associazioni di persone, come Memoro: la banca della Memoria16, un progetto no profit dedicato alla raccolta in parte auto-prodotta e in parte spontanea delle esperienze e dei racconti di vita delle persone nate prima del 1950.

Tratto dalla mia esperienza pesonale è poi il progetto TraMonti, Itinerari tra generazioni lungo i crinali della Val di Vara17. Nel 2010 alcuni comuni consorziati della Val di Vara (provincia della Sezia) hanno promosso un progetto di recupero della memoria della valle, sia storico / archeologica sia autobiografica, grazie la costruzione di un’équipe di lavoro interdisciplinare diretta dalla sottoscritta. Le emergenze culturali sono state schedate da archologi, storici e studenti delle due discipline e poi inserite in un webGIS, ossia in un database geografico consultabile da chiunque e utile per amministratori, residenti e turisti18. A questo forte nucleo di ricerca, è stato correlato un percorso di raccolta non solo delle testimonianze di un passato lontano, ma anche delle memorie degli abitanti più anziani della valle, per costruire una sorta di ponte generazionale, di canale di trasmissione di ricordi, per un territorio che aveva subito, nel giro di poche decine d’anni, profonde trasformazioni, la maggior parte delle quali legate al fenomeno dell’abbandono19. Una ventina di anni fa per documentare ricerche di questo tipo si sarebbe scelto come unico veicolo di informazione il testo scritto: la relazione dettagliata e il volume scientifico. Dieci anni fa probabilmente si sarebbe scelto di pubblicare almeno parte dei risultati anche sul web, in modo da dare maggiore pubblicità possibile a quanto fatto, mantenendo tuttavia come strumento principe di comunicazione e testimonianza la carta stampata. Oggi le cose stanno diversamente. Le tecniche, gli strumenti, i servizi e la filosofia stessa del web 2.0 consentono di pensare alla rete come principale e prioritario strumento di comunicazione non solo all’interno dell’équipe di studiosi, ma anche tra gli studiosi e le amministrazioni committenti, oltre che per la

16 <http://www.memoro.org/it/>.

17 < http://www.tramontivaldivara.it/ >. Per una descrizione del progetto E. SALVATORI, Un progetto di public history nel cuore della Liguria, in Tra Monti.Itinerari tra generazioni lungo i crinali della Val di Vara, a cura di E. Salvatori, Pisa 2012, pp. 13-32. 18 <http://www.tramontivaldivara.it/val-di-vara/mappa-dei-beni-culturali/>. 19 < http://www.tramontivaldivara.it/testimonianze/ >.

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trasmissione delle conoscenze verso il grande pubblico e infine – vera novità di questo nuovo medium – per la partecipazione stessa del pubblico al progetto. Si è scelto quindi di pubblicare sia il database delle emergenze culturali sia le videointerviste come molti altri materiali del progetto su un sito internet di tipo 2.0. Il sito è stato infatti costruito proprio al fine di cementare comunità e gruppi di persone che nel sito stesso non trovano solo materiale informativo, ma anche l’occasione per depositare propri materiali, valutare quelli degli altri, inserire propri pensieri e annotazioni. In particolare il deposito delle video-interviste nel portale TraMonti consente a tutti: • la visione e il commento delle stesse; • la condivisione con altri utenti; • la possibilità di costruire percorsi di visione personalizzati; • il caricamento di propri video. Proprio nel periodo centrale del progetto si è verificato un evento catastrofico per la Val di Vara, l’alluvione del 25 ottobre 2011. Un progetto come il nostro che – come si è cercato di spiegare - intendeva rendere effettivamente pubblica e condivisa la storia di un territorio e di una comunità, non poteva non considerare rilevante un evento che ha riguardato larga parte della valle. Abbiamo quindi tentato di realizzare una raccolta del materiale fotografico e audio / video relativo all’alluvione tra quanti – abitanti, protezione civile, volontari – avevano spontaneamente documentato l’accaduto e gli interventi di soccorso e ricostruzione. A questo fine è stata aperta una sezione apposita del sito, costruita più o meno come quella delle video-interviste ed è stata avviata una campagna informativa per il deposito spontaneo del materiale. Sostanzialmente abbiamo creato un invented archive20. Per concludere questa rapida rassegna passerei a quella che credo attualmente sia l’ultima frontiera delle possibilità offerte dal web 2.0 per favorire la partecipazione del cittadino alla sua storia. L’interazione e la condivisione, permesse dalla tecnologia, aprono infatti nuovi e complessi scenari sia per creare iniziative di public history (storia condivisa) che prevedano alla base un’attività di crowdsourcing (lavoro distribuito) sulla storia. Si pone in questa direzione il progetto Epigrafi in movimento, nato da un’attività didattica all’interno della laurea magistrale di Informatica Umanistica. Prima di descriverlo, chiariamo però sinteticamente i concetti di public history e crowdsourcing. Per public history, più utilmente definibile in italiano come storia condivisa, si intende quell’insieme di attività coordinate e metodologicamente valide, volte a fare percepire la storia e le sue tracce come patrimonio della comunità, che deve essere realmente condiviso e partecipato e non semplicemente divulgato. Benché nata in ambito britannico negli anni ’70, la public history è oggi sviluppata soprattutto negli Stati Uniti e in Canada, dove ha portato alla nascita di corsi universitari, di corsi di approfondimento e di percorsi professionali in biblioteche e musei. Il public historian, nella visione che si è affermata in nord America, non si limita a insegnare o divulgare la storia in modo da agganciarla concretamente alle problematiche attuali, ma «fa storia» in diretto contatto e relazione con le diverse comunità che interagiscono all’interno di uno spazio geopolitico, valorizzando in modo scientificamente corretto

20 < http://www.tramontivaldivara.it/alluvione/ >.

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lo studio delle loro identità21. Nel farlo, il nuovo storico trova, nella rete e nei diversi software disponibili, una piattaforma e degli strumenti ormai imprescindibili, da usare in prevalenza o a complemento dei canali tradizionali di comunicazione. Per crowdsourcing, traducibile con l’endiadi lavoro distribuito, s’intende la ripartizione di un determinato lavoro a un insieme ampio di persone, che prestano spontaneamente e liberamente il loro tempo nell’assolvimento di determinati compiti, in maniera che ogni singola attività possa da un lato contribuire a realizzare un risultato finale altrimenti difficile da raggiungere, dall’altro rendere partecipi agli scopi del progetto una comunità più ampia di quella coinvolta nella ricerca di partenza. Attualmente sono attivi numerosi progetti di crowdsourcing nel web. Prendendo un esempio relativo alle fonti storiche, possiamo certamente citare il progetto Old Weather. Crowdsourcing Historical Ship Weather Logs promosso da un consorzio di università ed enti culturali americani e inglesi e finalizzato a recuperare i dati atmosferici del passato, con l’obiettivo di perfezionare le modellizzazioni che consentono le previsioni atmosferiche22. Alcuni scienziati meteorologi del Met Office Hadley Centre si sono infatti resi conto di aver bisogno dei dati atmosferici del passato per creare modelli previsionali scientificamente fondati e che tali dati erano stati spesso accuratamente registrati sui diari di bordo delle navi. In particolare la loro attenzione si è incentrata sui diari di bordo nordamericani del XIX secolo, manoscritti e quindi non trattabili in maniera automatica per ricavarne il contenuto. Non essendo in grado, con le loro sole forze, di trascriverli, essi hanno deciso di riprodurre digitalmente le immagini di questi diari di bordo e di distribuirle a volontari per la loro trascrizione. Nato con scopi precisi, il progetto si è poi allargato nel tempo: gli storici lo utilizzano attualmente anche per recuperare dati sulla storia della navigazione e delle singole imbarcazioni, mentre l’ampio insieme dei trascrittori ha creato una sua propria comunità virtuale, divisa in equipaggi, tanti quanti erano gli equipaggi delle navi indagate, ciascun sottogruppo interessato alla vicenda della ‘propria’ imbarcazione, al contesto storico relativo e agli scopi generali dell’intero progetto. L’aver fatto ‘fare storia’ a un pubblico di non specialisti, tramite un lavoro concreto su fonti primarie, non solo per mezzo della visione o della lettura di un prodotto calato dall’alto, ha fatto sì che quel particolare tema storico fosse realmente condiviso all’interno di un ampio gruppo di persone e contribuisse a creare nuovi gruppi di interesse. L’esempio appena descritto ha dato in parte ispirazione al progetto Epigrafi in movimento: per una storia condivisa della città, attualmente agli esordi, sebbene una prima fase preparatoria, condotta nel corso di Storia Digitale del corso di laurea magistrale di Informatica Umanistica dell’anno accademico 2012-2013 (Università di Pisa) abbia già prodotto una buona base di partenza. Costruito interamente dagli studenti, il sito EpigraPisa offre infatti già una piattaforma per la raccolta di dati organizzati sulle epigrafi di ogni epoca, presenti nella provincia di Pisa, attraverso il quale tutti possono partecipare alla schedatura dei singoli manufatti23. Vi si trova per ora la scheda di 14 epigrafi e la possibilità di una scoprire il loro significato storico, accedendovi tramite percorsi tematici o attraverso la posizione topografica. Ogni epigrafe è dotata: di un testo descrittivo sintetico e di uno più esteso; di una galleria di immagini; di un audio e di un video che illustrano la storia dell’epigrafe o quella che l’epigrafe racconta. 21 S. NOIRET, ‘Public History’ e ‘storia pubblica’… cit. 22 < http://www.oldweather.org/ >. 23 < http://epigrapisa.humnet.unipi.it/ >.

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Già da oggi chiunque può partecipare all’iniziativa segnalando una nuova epigrafe e fornendo materiali che aiutino a capire il suo messaggio originario, o anche personali valutazioni sull’importanza dell’oggetto e del suo contenuto. Chiunque può quindi aiutare a schedare il patrimonio epigrafico della città e, così facendo, partecipare alla sua storia. Anche se è certamente possibile accedere alla storia leggendo testi storiografici scritti da altri, il modo migliore per il cittadino di sentirsi parte dela propria storia è ‘farla’, nel senso di partecipare attivamente alla sua scrittura. I progetti di storia condivisa, oggi possibili proprio grazie alla rivoluzione digitale, mirano appunto a rendere i cittadini consapevoli del patrimonio culturale della propria città / nazione / comunità / gruppo, partecipando alla riscoperta della storia che gli appartiene. Tramite il lavoro distribuito, chiedendo ai cittadini stessi di raccogliere parte dei dati necessari alla riscoperta del patrimonio culturale, la condivisione e l’apprendimento, la riscoperta e la rilettura del passato si intrecciano, rafforzandosi vicendevolmente: il lavoro distribuito alimenta e rafforza la partecipazione pubblica e di conseguenza anche la condivisione della storia e la consapevolezza che fonti storiche (siano epigrafi, manoscritti, fotografie o monumenti, stampe o quadri) fanno parte del patrimonio culturale della comunità.