l virus H1N1 dell’influenza pandemica del 2009 induce una risposta anticorpale in grado di cross‐reagire con il virus dell’influenza “Spagnola” del 1918 Lavoro di diploma 2010‐2011 Giorgia Pucci Scuola Superiore Medico Tecnica, Locarno Svolto presso l’Istituto di Ricerca in Biomedicina a Bellinzona (IRB) Responsabili: Davide Corti (PhD), Blanca M. Fernandez‐Rodriguez (TAB)
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I virus H1N1 dell'influenza pandemica del 2009 · l virus H1N1 dell’influenza pandemica del ... (da H1 a H16) e 9 sottotipi di neuroaminidasi (da N1 a N9) [5]. Tutti i sottotipi
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l virus H1N1 dell’influenza pandemica del 2009 induce una risposta anticorpale in
grado di cross‐reagire con il virus dell’influenza “Spagnola” del 1918
Lavoro di diploma 2010‐2011 Giorgia Pucci
Scuola Superiore Medico Tecnica, Locarno Svolto presso l’Istituto di Ricerca in Biomedicina a Bellinzona (IRB)
Responsabili: Davide Corti (PhD), Blanca M. Fernandez‐Rodriguez (TAB)
2.3. Il virus ................................................................................................................................................ 6
2.4. Come evolvono i virus influenzali .................................................................................................... 7
2.5. I 3 virus influenzali del mio lavoro di diploma ............................................................................... 10
3.5. Altre sostanze .................................................................................................................................. 13
3.6. Kit di estrazione e purificazione ..................................................................................................... 15
3.9. Metodi per la produzione di cellule che esprimono sulla loro superficie le emoagglutinine dell’influenza spagnola del 1928 e dell’influenza stagionale del 1999 ............................................ 18
3.9.1. Trasformazione di E. Coli TOP 10 con A/SC e A/NC ed esecuzione di una coltura in fase liquida ...................................................................................................................................... 18
3.10. Metodi per la produzione di cellule che esprimono sulla loro superficie le emoagglutinine dell’influenza suina del 2009 ............................................................................................................. 19
3.10.1. Realizzazione dei primer specifici ........................................................................................... 19
3.10.2. Ottimizzazione della PCR e amplificazione del frammento relativo all’emoagglutinina di A/CA/04/09 ............................................................................................................................. 19
3.10.3. Digestione enzimatica, ligazione e dialisi del vettore phCMV1 con A/CA/04/09 ................ 19
3.10.4. Trasformazione di E. Coli TOP 10 con A/CA ed esecuzione di una coltura in fase liquida ... 20
3.11. Settaggio della quantità di plasmide da usare nella trasfezione .................................................. 21
3.11.1. Lettura al FACS dei risultati ottenuti ...................................................................................... 22
3.12. Analisi dei sieri al FACS ................................................................................................................... 22
4.1. Prima parte del lavoro .................................................................................................................... 24
4.1.1. Quantificazione A/SC e A/NC ................................................................................................. 24
3
4.1.2. Settaggio della PCR per A/CA ................................................................................................. 24
4.1.3. Quantificazione dei campioni successivamente a digestione enzimatica ............................ 25
4.1.4. Ligasi ........................................................................................................................................ 25
I. Allegati ....................................................................................................................................................... 1
I. Plasmide phCMV1 (Genlantis, San Diego CA) ...................................................................................... 1
II. Plasmide pcDNA3.1 (Invitrogen, USA) ................................................................................................. 3
III. Sequenze delle 3 emoagglutinine in analisi nel lavoro di diploma ..................................................... 4
i. HA A/CA/04/09 ................................................................................................................................. 4
ii. HA A/SC/1/18 .................................................................................................................................... 4
iii. HA A/NC/20/99 ................................................................................................................................. 5
IV. Confronto tra la sequenza amminoacidica delle tre emoagglutinine in analisi ............................. 6
V. Risultati ottenuti al FACS ed elaborato con Flowjo 9.3.1 .................................................................... 7
VI. Risultati elaborati con Flowjo 9.3.1 e rivisti con Microsoft Office Excel 2007 .............................. 13
Tabella A ...................................................................................................................................................... 13
Tabella B ...................................................................................................................................................... 14
Tabella C ...................................................................................................................................................... 15
4
1. Abstract
1.1. Abstract in italiano
Recenti studi eseguiti sui topi hanno
dimostrato che gli anticorpi sviluppati dal nostro
sistema immunitario successivamente ad
immunizzazione attiva o vaccinazione possono
neutralizzare uno o più virus dell’influenza
appartenenti allo stesso tipo, fornendo così al
soggetto una cross‐protezione.
In questo studio si è quindi proposto di
testare i sieri dei pazienti vaccinati nel 2009
contro l’influenza suina (pandemica) con altri due
virus influenzali di tipo A: il virus dell’influenza
pandemica A/SC/1/18 e il virus dell’influenza
stagionale A/NC/20/99. Si conosce inoltre che la
capacità dell’anticorpo di neutralizzare il virus è
dovuto al legame formato tra l’anticorpo stesso e
l’emoagglutinina (HA) presente sull’envelope del
virus influenzale. Pertanto si è studiata la capacità
degli anticorpi presenti nei sieri dei pazienti di
cross‐neutralizzare unicamente le HA dei virus
pandemici in quanto, evolutivamente, sono quelle
che presentano maggiori siti di conservazione e
sono meno soggette a glicosilazioni: cosa che
invece non avviene per i virus dell’influenza
stagionale che sono frequentemente soggetti a
cambiamenti di livello strutturale delle HA.
L’effetto di questi siti di glicosilazione è stato
dimostrato grazie all’uso di un citometro a flusso
(FACS), dove si sono potute visualizzare le
effettive capacità dei sieri di riconoscere
unicamente i virus pandemici e non quello
dell’influenza stagionale
.
1.2.Abstract in inglese
Recent studies performed on rats have
shown that antibodies developed by our immune
system following active immunization or
vaccination can neutralize one or more influenza
viruses belonging to the same type. This can give
the subject a cross‐protection.
In this study it is therefore proposed to test
sera of people vaccinated in 2009 against swine
influenza (pandemic) with two other influenza
type A virus: the influenza pandemic/SC/1/18 and
seasonal influenza virus A/CN/20/99. It is known
that the ability of the virus neutralizing antibody is
due to the bond formed between the antibody
and a region of the hemagglutinin (HA) present on
the envelope of the influenza virus. The purpose
of this study was to investigate the ability of the
antibodies in patient sera to cross‐neutralize only
the HA of pandemic virus because, evolutionarily,
this virus has major sites of conservation which
are less prone to glycosylation: which instead is
not the case for seasonal influenza viruses that are
frequently subject to structural changes in the
level of HA. The effect of these sites of
glycosylation was demonstrated using a flow
cytometer (FACS), with which it was possible to
view the actual capacity of sera to neutralize the
virus pandemic and not seasonal flu.
2. Introduzione
2.1. Scopo e obiettivo del lavoro
Questo lavoro di diploma consiste nel testare la capacità di sieri umani ottenuti successivamente
all’esecuzione della vaccinazione contro l’influenza suina del 20091 di riconoscere emoagglutinine di un
virus pandemico risalente al 1918. Infatti, gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario, successivamente
alla vaccinazione, sono ritenuti capaci di neutralizzare anche altri virus influenzali dello stesso tipo. La
capacità di cross‐reagire verrà testata sulle emoagglutinine virali di tre virus di tipo A: A/NC/20/99
(influenza stagionale del 1999 e usato come vaccino nel periodo tra il 2000 e il 2007), A/SC/1/18 (influenza
spagnola del 1918), A/CA/04/09 (influenza suina del 2009, diventato poi il virus epidemico H1N1 utilizzato
nel vaccino stagionale 2010/2011) [1].
Per la prima parte del mio lavoro ho avuto a disposizione le sequenze dell’emoagglutinine di due virus
influenzali pandemici (spagnola e suina) e di un virus influenzale stagionale inserite all’interno di due diversi
plasmidi: phCMV1 (influenza stagionale e spagnola) e il vettore pcDNA3 (suina). La sequenza codificante
per l’emoagglutinina di A/CA/04/09 è stata trasferita dal plasmide pcDNA3 a phCMV1. Successivamente a
quest’operazione sono stati prodotti quantitativi maggiori di plasmidi phCMV1, contenenti le tre sequenze
specifiche per le emoagglutinine influenzali in analisi, tramite trasformazione batterica. Lo scopo di questo
passaggio è stato quello di avere a disposizione sufficiente materiale per la seconda parte del mio lavoro
che consisteva nel trasfettare, con i vettori contenenti le sequenze sopra citate, una linea cellulare
chiamata 293T/17 in modo che queste cellule fossero in grado di presentare sulla loro superficie le
emoagglutinine dei tre virus influenzali in questione. A questo punto è stato possibile, tramite uno staining
extracellulare, visualizzare con citometria a flusso l’effettiva capacità degli anticorpi presenti nei sieri di
cross‐reagire con gli antigeni in questione. In questa seconda parte sono stati utilizzati, oltre ai sieri dei
pazienti vaccinati nel 2009, anche sieri dei pazienti vaccinati nel 2008 e nel 2010; in modo da rendere
maggiormente visibile la risposta di cross‐neutralizzazione dei sieri in analisi.
L’obiettivo principale di questo lavoro è stato di valutare la cross reattività nella risposta anticorpale
indotta dalla vaccinazione con il virus pandemico della suina (A/CA/04/09) [2].
2.2. Cos’è l’influenza
L’influenza è una patologia di tipo infettivo causata da virus a RNA della famiglia degli
Orthomyxoviridae [3]. Prevalentemente viene trasmessa da persona a persona tramite aerosol provenienti
dalle cavità orali (naso e gola) di una persona infettata dal virus che tossisce o starnutisce; pertanto la
trasmissione aerea del virus richiede uno stretto contatto tra individuo infetto e individuo sano. I primi
sintomi compaiono generalmente dopo un’incubazione di circa 1‐2 giorni e, in questo lasso di tempo, il
virus può essere eliminato nell’ambiente circostante dal soggetto infettato [5]. L’esordio della malattia è
spesso molto brusco ed improvviso, con picchi febbrili che possono durare dai 3 ai 4 giorni. I sintomi sono
solitamente: febbre (con punte che possono giungere sino ai 39.5°C), dolori muscolari ed ossei, astenia,
cefalea e sintomi respiratori quali tosse, congestione nasale e mal di gola [5] [6]. In generale, la malattia
1 I sieri mi sono forniti dall’Istituto San Raffaele di Milano e in parte anche dall’Istituto di Ricerca di Bellinzona.
6
evolve in modo benigno senza complicanze e si risolve nell'arco di 3‐6 giorni senza la necessità di effettuare
terapie particolari. Tuttavia, nei bambini più piccoli, nelle persone con più di 65 anni, negli individui affetti
da alcune patologie croniche, nei soggetti immunocompromessi ed in gravidanza, possono insorgere alcune
complicanze anche severe [5].
2.3. Il virus
I virus influenzali appartengono al genere Orthomyxovirus della famiglia Orthomyxoviridaee [2] e
vengono differenziati in virus di tipo A, tipo B e tipo C in base alle loro caratteristiche antigeniche. Da
notare comunque che tutti e 3 i tipi di virus influenzale contengono al loro interno 8 frammenti di RNA a
singola elica, ognuno codificante per differenti proteine del virus [5]. I virus influenzali di tipo A sono i
patogeni più virulenti per l’uomo e possono causare la sintomatologia più grave. Essi sono capaci di
infettare anche un’ampia varietà di mammiferi ed uccelli oltre all’uomo: ad esempio cavalli, maiali e volatili
domestici e selvatici. Molto spesso a questa tipologia di virus sono associate epidemie e pandemie [3].
A seconda delle glicoproteine di superficie che lo compongono, il virus di tipo A può essere
ulteriormente suddiviso in sottotipi (o serotipi): 16 sottotipi di emoagglutinina (da H1 a H16) e 9 sottotipi di
neuroaminidasi (da N1 a N9) [5]. Tutti i sottotipi sono stati rilevati nelle specie aviarie (in particolare nei
volatili acquatici selvatici che sono ospiti naturali per una grande varietà di virus A), mentre l’uomo e i
mammiferi ospitano solo alcuni sottotipi: ciò sta molto probabilmente ad indicare che gli uccelli sono il
serbatoio naturale del virus influenzale di tipo A [5] [6].
Nell’uomo i due sottotipi maggiormente responsabili delle epidemie stagionali sono H1 e H3.
Il virus di tipo B è quasi esclusivamente un patogeno umano, fatta eccezione per i pinnipedi (quali
foche ed otarie) che sono gli unici animali vulnerabili conosciuti [4]. Generalmente è meno grave
dell’influenza di tipo A. Il ridotto tasso di mutazione antigenica, combinata con una scarsa gamma di ospiti
Figura 1: rappresentazione di un virus influenzale con le sue componenti principali (a sinistra) e rappresentazioneschematica di un’emoagglutinina con evidenziazione di alcune regioni caratteristiche (a destra) [27].
7
(che impedisce uno spostamento antigenico tra specie diverse) assicura l’impossibilità di pandemie di
influenza B [6].
L'influenza C infetta sia l'uomo che i suini e può causare gravi malattie ed epidemie locali [5]. Tuttavia,
l'influenza C è meno comune rispetto agli altri tipi e normalmente sembra causare solo disturbi non troppo
gravi nei bambini [6].
Nel suo complesso se consideriamo le caratteristiche comuni alle tre diverse tipologie di virus,
abbiamo: la struttura virale di base, la particella di forma sferica‐ovoidale ed un involucro. Quest’ultimo
caratterizzato da due tipi di glicoproteine: l'emoagglutinina (HA) e la neuroaminidasi (N).
Per glicoproteina s’intende una proteina alla cui catena peptidica sono legate catene oligosaccaridiche
definite glicani. Il glicano viene attaccato mediante un processo di modificazione genericamente definito
come glicosilazione [8].
Quindi, come detto precedentemente, l’emoagglutinina e la neuroaminidasi sono due glicoproteine
presenti sull’envelope virale; la prima è presente sull’envelope di alcuni virus come per esempio il virus
dell’influenza ed è responsabile dell’adesione del virus alla cellula destinata ad essere infettata (appartiene
alla famiglia delle lectine e può provocare l’agglutinazione degli eritrociti) [5]. La seconda invece è un
enzima appartenente alla classe delle idrolasi. È una glicoproteina espressa tipicamente sulla superficie dei
virus influenzali ed é necessaria per la penetrazione del patogeno nelle vie respiratorie; inoltre risulta
essere indispensabile affinché il virus rilasciato dalle cellule infettate possa essere liberato ed infettare
quindi altre cellule [5].
Il genoma del virus consiste in un singolo filamento di RNA segmentato in 8 frammenti (7 nel tipo C)
che codificano per 10 proteine strutturali e non strutturali. La particolarità dei virus influenzali è la
variabilità antigenica, cioè la loro capacità di cambiare il loro "identikit" rendendo più difficile il compito del
sistema immunitario. Questo fenomeno è più frequente nei virus di tipo A rispetto a quelli di tipo B e mai
registrato nel tipo C. Le continue modificazioni producono varianti virali verso le quali, nella popolazione a
rischio, la resistenza è scarsa o assente. E' per questo che l'influenza continua a essere la maggiore
patologia a carattere epidemico nell’uomo, e che ogni anno cambiano i vaccini [9].
2.4. Come evolvono i virus influenzali
L’influenza è causata da una moltitudine di specie virali che, ogni anno possono estinguersi, causare
epidemie o rispettivamente pandemie. Tipicamente nelle due normali stagioni influenzali (una per
emisfero), in un anno ci sono tra i 3 ed i 5 milioni di casi di malesseri gravi e fino a 500'000 decessi, che
costituiscono una epidemia influenzale ogni anno.
Ogni decennio o ventennio insorge una pandemia, che infetta una grande parte della popolazione
mondiale e può uccidere decine di milioni di persone. A differenza dell’epidemia, che colpisce una
popolazione di individui delimitata sia nel numero che nella regione, la pandemia ha una diffusione
geografica molto estesa ed interessa diverse aree del mondo presentando un elevato numero di morti e
casi gravi [4].
La prima pandemia influenzale documentata è quella del 1918, o anche chiamata “spagnola”, causata
dal ceppo virale H1N1. Storicamente si tratta della pandemia peggiore e causò attorno ai 50 milioni di
morti. Nel corso degli anni sono state registrate altre pandemie che, benché presentino un numero di
decessi minore della spagnola, non sono però da considerare meno importanti. Ben 39 anni dopo la
pandemia del 1928 ci fu, nel 1957, la pandemia asiatica (H2N2), seguita poi nel 1968 dalla pandemia di
8
Hong Kong (H3N2) ed ai giorni nostri dall’influenza suina (H1N1) o meglio definita con l’acronimo SOIV
(Swine Origin Influenza Virus) [10].
I nuovi virus influenzali sono prodotti costantemente da mutazioni o da riassortimento [5]. A questa
continua evoluzione sono soprattutto interessati gli antigeni di superficie, in modo particolare
l'emoagglutinina. I cambiamenti possono essere di due tipi: le variazioni antigeniche maggiori (antigenic
shifts) e le variazioni antigeniche minori (antigenic drifts) [8].
Le antigenic shift si verificano ogni 10‐30 anni e soltanto nei virus di tipo A, le antigenic drift avvengono
quasi annualmente sia nel virus di tipo B che in quelli di tipo A. Gli antigenic shift determinano la comparsa
di nuovi virus, aventi caratteristiche antigeniche dell'emoagglutinina e/o della neuroaminidasi del tutto
diverse, verso i quali la popolazione è priva di immunità. Quando si verifica il cambiamento simultaneo dei
due antigeni di superficie la pandemia è particolarmente virulenta. Se invece lo shift coinvolge solo
l'emoagglutinina il virus si diffonde ma, per la presenza nelle popolazioni di anticorpi anti‐neuroaminidasi
efficaci, la malattia risulta meno grave [5].
Gli antigenic drifts, si verificano invece ogni 1‐3 anni all’interno di uno stesso sottotipo influenzale sia
per l’influenza A che per l’influenza B. Tale fenomeno è determinato dalle successive mutazioni dei geni,
che codificano per emoagglutinina e/o neuroaminidasi: ciò comporta cambiamenti nella sequenza
aminoacidica dei siti antigenici delle proteine, di conseguenza gli anticorpi diffusi nella popolazione non
riescono più a riconoscere il virus. Questo genere di mutazioni è dovuto principalmente ad errori di
trascrizione da parte della polimerasi virale [5] [9].
Un ulteriore sistema adottato dal virus per potersi evolvere, e quindi evitare il riconoscimento delle
sue strutture da parte del sistema immunitario, è rappresentato da differenti livelli di glicosilazione. Tutte le
glicosilazioni a carico dell’emoagglutinina prevedono la coniugazione di oligosaccaridi alla catena laterale
Figura 2: messa in evidenza dei cambiamenti a livello strutturale dell’emoagglutinina con visualizzazione dei siti di glicosilazione (in blu e rispettivamente in rosso) che determinano un cambiamento per il riconoscimento da parte degli anticorpi di strutture comuni. La parte dell’emoagglutinina mantenuta invariata viene rappresentata in verde [28].
9
La glicosilazione rappresenta inoltre il motivo per cui i virus pandemici usati nel mio lavoro mostrano
delle somiglianze a livello antigenico; pertanto risulta facilitato il riconoscimento di entrambi da parte degli
anticorpi contenuti nei sieri dei pazienti vaccinati contro il SOIV. Altrettanto non si può dire invece per il
virus dell’influenza stagionale che presenta un maggior numero di siti glicosilati che pertanto
compromettono il riconoscimento da parte del sistema immunitario [2].
Figura 3: emoagglutinine (HA) di tipo influenzale appartenenti al ceppo pandemico o stagionale. (A‐B) confronto tra HA dell’influenza SC del 1918 con influenza stagionale NC del 1999 che evidenziano, tramite colorazione blu, i siti di glicosilazione. Come si può ben notare alla testa dell’HA di tipo stagionale vi sono delle glicosilazioni che determinano la differenza della risposta immunitaria [28].
Ė inoltre importante segnalare che tutte le emoagglutinine virali presentano una regione comune che
risulta essere molto conservata. Questa regione é il gambo o in inglese chiamato anche “stem”. La maggior
parte degli anticorpi prodotti dal sistema immunitario sono diretti contro la testa dell’emoagglutinina
(globular head) che, come descritto in precedenza, rappresenta la regione maggiormente soggetta a
mutazioni indotte dal meccanismo di antigenic drift ed è anche interessata da modificazioni nel numero e
nella localizzazione dei residui oligosaccaridici. Tuttavia, recenti studi condotti all’IRB2, hanno dimostrato
anche la presenza di anticorpi diretti contro la stem dell’emoagglutinina in grado di neutralizzare il virus.
Questi ultimi anticorpi sono stati dimostrati essere in grado di riconoscere e neutralizzare molteplici virus
anche appartenenti a differenti sottotipi virali andando a costituire la cosiddetta risposta anticorpale di tipo
eterosubtipico [11]. Questo tipo di risposta rappresenta soltanto una frazione minoritaria della risposta
anticorpale diretta contro l’emoagglutinina ed è caratterizzata da anticorpi in grado di neutralizzare il virus
ma con scarsa potenza. Data comunque la maggior presenza di anticorpi diretti contro la globular head e la
loro maggiore efficacia neutralizzante, gli anticorpi contenuti nei sieri dei pazienti non sono in grado di
neutralizzare tutti e tre i virus influenzali (anche se la stem di questi tre virus è molto conservata) poiché
diretti verso una regione della testa dell’emoagglutinina non conservata nell’influenza stagionale [2].
2 Esempio uno studio condotto da Davide Corti e pubblicato nel 2010, intitolato: “Heterosubtypic neutralizing antibodies are produced by individuals immunized with seasonal influenza vaccine”. Citazione bibliografica [11].
10
2.5. I 3 virus influenzali del mio lavoro di diploma
Originariamente il virus pandemico dell’influenza H1N1 è emerso nel 1918 dando poi luogo a periodici
ceppi stagionali che hanno cominciato a diminuire in frequenza durante la fine degli anni cinquanta [2]. La
pandemia del 1918, anche chiamata spagnola3, uccise circa 50 milioni di persone per poi scomparire
all’incirca dopo 18 mesi dalla sua comparsa [3].
Nel 1977 si verificò una recrudescenza di virus H1N1, ridefinendo così i ceppi di H1N1 stagionali che
sono attualmente in circolazione (come ad esempio A/NC/20/99) [2]. Questi ceppi stagionali, data la
trasmissione unicamente da uomo a uomo, subiscono annualmente delle mutazioni antigeniche che li
rendono ogni anno un virus “nuovo” che il nostro sistema immunitario fatica a riconoscere [12].
In contrasto con questi adattamenti all’uomo da parte del virus, l'attuale pandemia d'influenza A
(H1N1) del 2009 (risultante da vari riassortimenti nel corso degli anni con altri virus di tipo influenzale)
rappresenta una trasmissione cross‐specie dato che il virus, precedentemente, era limitato alla specie dei
suini [2]. Grazie al fatto che negli ultimi anni il virus ha usato come serbatoio i maiali, limitandone pertanto
le mutazioni genetiche tra cui principalmente la glicosilazione, ha permesso al patogeno di mantenere una
somiglianza di circa il 95% con gli antigeni di superficie della spagnola.
Figura 4: genesi del virus dell’influenza suina. Nel 1990 si è verificato un primo un riassortimento tra il virus classico della suina, il virus Nord Americano dell’aviaria ed il virus umano dell’H3N2 portando come risultato ad un triplo riassortimento H3N2 e H1N2 che successivamente ha continuato a circolare in Nord America come virus influenzale nella popolazione suina. Questo virus si è poi nuovamente riassortito con un quarto derivante dall’Eurasia portando come risultato finale al virus della suina (SOIV) odierno [29].
3 Nome dovuto al fatto che furono i giornali spagnoli i primi a darne notizia
11
Quindi la conservazione antigenica tra il virus della “Spagnola” ed il SOIV è alla base dell’osservazione che le
persone già entrate in contatto con il virus del 1918 sono in grado di cross reagire con il SOIV [12] [13].
Questo meccanismo può anche essere definito cross‐neutralizzazione: infatti gli anticorpi in questo caso
riescono a riconoscere una struttura comune a due virus pandemici pur essendo diversi tra loro ed isolati in
un lasso di tempo di 90 anni. Il sistema immunitario è in grado di contrastare tutte le varianti genetiche
antigenicamente simili a quelle che in passato hanno infettato l'organismo grazie alla presenza di alcuni
epitopi conservati all’interno della struttura proteica dell’emoagglutinina [14] [15].
2.6. Vaccino
I vaccini attualmente in commercio possono essere realizzati con virus interi inattivati, cioè uccisi,
oppure con solo le parti fondamentali del virus in grado si stimolare il sistema immunitario. Questi vaccini
vengono denominati split (a virus “dissociati”) quando le particelle virali sono disaggregate mediante dei
solventi, e vaccini a subunità quando sono presenti solo alcune proteine della superficie virale
(emoagglutinine o neuroaminidasi) importanti per lo sviluppo della risposta immune. Questi vaccini
subvirionici (split o subunità) danno un'ottima protezione e sono ben tollerati anche da soggetti
particolarmente sensibili alle proteine esogene (ad esempio i bambini, gli asmatici, ecc.). Per aumentarne
l’immunogenicità sono stati recentemente introdotti sul mercato vaccini con nuove sostanze adiuvanti
(microemulsione di squalene in acqua o liposomi). Il primo caso di vaccinazione in cui sono state
effettivamente utilizzate le sostanze adiuvanti è proprio durante la pandemia del 2009. La produzione del
virus avviene in uova di pollo per circa 9‐12 giorni in aziende certificate e sotto rigoroso controllo
veterinario [16].
Il vaccino, iniettato ai pazienti italiani di cui ho a disposizione il siero per eseguire il lavoro di diploma,
si chiama Focetria4. È costituito da un pool monovalente (MPH) di antigene di superficie inattivato del virus
pandemico con una sospensione tamponata contenente essenzialmente le proteine purificate della
membrana esterna, emoagglutinina (HA) e neuraminidasi (NA), di un ceppo di virus influenzale pandemico
raccomandato dalla OMS‐UE per la pandemia5. Contiene inoltre degli adiuvanti (microemulsionati di
squalene) per aumentarne la patogenicità e dei conservanti per evitarne l’immediato degrado [17].
I sieri forniti dall’IRB invece sono di persone vaccinate con i seguenti vaccini:
Nome Tipologia Dose A (H1N1) A (H3N2) B
Influvac6 2008/2009
Stagionale 0.5 mL A/Brisbane/59/2007 Brisbane/10/2007 B/Florida/4/2006
Influvac 2009/2010
Stagionale 0.5 mL A/Brisbane/59/2007 A/Brisbane/10/2007 B/Brisbane/60/2008
Pandemrix7 Pandemico 0.5 mL A/California/7/2009 ‐ ‐
Influvac 2010/2011
Stagionale 0.5 mL A/California/7/2009 A/ Perth/16/2009 B/Brisbane/60/2008
4 Focetria della ditta Novartis (Svizzera) 5 Virus usato: A/California/7/2009 6 Influvac della ditta Solvay (Svizzera) 7 Pandemrix della ditta GlaxoSmithKline (Svizzera); the vaccine contains an immunologic adjuvant AS03 which consists of DL‐α‐tocopherol (vitamin E), squalene and polysorbate
12
3. Materiali e metodi
Idealmente il mio lavoro di diploma si può suddividere in due parti: la prima comprende la trasfezione
di cellule specifiche in modo che riescano ad esprimere sulla superficie cellulare le emoagglutinine di
interesse, ricavate a partire dalla sequenza specifica inserita all’interno di un vettore plasmidico. A sua volta
questa prima parte può essere ulteriormente suddivisa in due poiché i campioni, a dipendenza del plasmide
in cui sono inserite le sequenze, verranno trattati in modo diverso con esperimenti specifici atti comunque
a raggiungere lo scopo finale di espressione a livello cellulare delle emoagglutinine in analisi.
La seconda parte consiste nel trasfettare le cellule 293T/17 e successivamente testare la capacità di
sieri ottenuti dopo la vaccinazione con il virus SOIV nel 2009 e nella successiva stagione 2010/2011 di
riconoscere le emoagglutinine presentate sulla superficie delle cellule trasfettate.
3.1. Emoagglutinine influenzali
I campioni utilizzati per la trasfezione delle cellule mi sono stati forniti dall’Istituto di Ricerca in
Biomedicina di Bellinzona (IRB).
Le sequenze codificanti per le emoagglutinine di interesse sono state inserite all’interno di due diversi
tipi di plasmide: la sequenza codificante per l’emoagglutinina dell’influenza spagnola del 1918 (A/SC/1/18)
e quella per l’emoagglutinina dell’influenza stagionale del 1999 (A/NC/20/99) sono state inserite all’interno
di un plasmide phCMV1 mentre la sequenza dell’emoagglutinina relativa all’influenza suina del 2009
(A/CA/04/09) è stata inserita all’interno del plasmide pcDNA3.18. La conservazione dei campioni è avvenuta
a ‐80°C.
3.2. Cellule e batteri
I batteri utilizzati per il processo di trasformazione si chiamano One Shot TOP10 Chemically Competent
E.Coli (Invitrogen, Svizzera). Hanno la caratteristica di avere un'alta efficienza di trasformazione ed inoltre
mantengono un’alta replica dei plasmidi. La conservazione è raccomandata a ‐80°C [18].
Per la seconda parte del lavoro ho usato le cellule chiamate HEK
293T/17.
La sigla HEK sta per Human Embryonic Kidney, sono cellule aderenti, facili
da far crescere e frequentemente usate per esperimenti di trasfezione.
All’IRB vengono tenute in coltura in incubatori a 37°C con il 5% di CO2 e al
95% di umidità all’interno di specifiche flask al quale viene aggiunto un
terreno ideale per la crescita delle cellule senza che vi siano
contaminazioni batteriche o fungine.
Prima di essere messe in coltura le cellule sono conservate a ‐150°C in
appositi congelatori.
8 Per maggiori informazioni riguardante i plasmidi utilizzati vedi gli allegati
Figura 5: HEK 293T/17 [30].
13
3.3. HUFI6 e MUFI6
Anticorpi monoclonali scoperti e prodotti all’IRB in grado di riconoscere e neutralizzare tutti i sottotipi
di influenza A. MUFI6 possiede una regione costante derivante da anticorpo di topo, mentre HUFI6
possiede una regione costante derivante da anticorpo di origine umana.
3.4. Sieri
Alcuni sieri contenenti gli anticorpi sviluppati successivamente a stimolazione del sistema immunitario
con la vaccinazione contro l’influenza suina del 2009 sono stati forniti dall’Istituto San Raffaele di Milano.
Questi anticorpi sono diretti contro l’emoagglutinina influenzale, presumibilmente verso la testa
dell’emoagglutinina che risulta inoltre essere la regione maggiormente soggetta a modificazioni ti tipo
strutturale.
I sieri prelevati successivamente a vaccinazione del 2008, 2009 e 2010 mi sono stati forniti dall’IRB.
Dall’iniezione del vaccino al prelievo del siero sono trascorsi 14‐30 giorni. Per quanto riguarda i sieri del
2009 comprendono sia vaccinazione contro l’influenza stagionale che la vaccinazione contro l’influenza
pandemica (suina).
3.5. Altre sostanze
PCR
Nome prodotto Ditta Particolarità
Taq DNA Polymerase recombinant Invitrogen, Switzerland
10x PCR Buffer Minus Mg2+ Invitrogen, Switzerland
50mM Magnesium Chloride Invitrogen, Switzerland
10mM dNTP Invitrogen, Switzerland
Primer specifici Microsynth, Switzerland Design eseguito in laboratorio con
programma CLC Mainworkbench e
realizzati dalla Microsynth
Gel Agarosio
Nome prodotto Ditta Descrizione
Agarose I BioConcept, Switzerland
Ethidium Bromide Solution Sigma‐Aldrich
Blue Juice™ Gel Loading Buffer Invitrogen, Switzerland
100bp DNA Ladder Invitrogen, Switzerland
14
Digestione enzimatica e ligasi
Nome prodotto Ditta Descrizione
BglII New England BioLabs, USA
NotI New England BioLabs, USA
NEBuffer3 (10x) New England BioLabs, USA
BSA New England BioLabs, USA Albumina bovina, viene usata per
prevenire l’adesione dell’enzima al
tubo di reazione o alla punta della
pipette
T4 DNA Ligase New England BioLabs, USA
10x Ligase Reaction Buffer New England BioLabs, USA
Trasformazione degli E.Coli Top10:
Nome prodotto Ditta Descrizione
Bacto™ Agar Becton Dickinson and Company,
France
LB Medium Bio 101, California
One Shot TOP10 Chemically
Competent E.Coli
Invitrogen, Switzerland
SOC Medium Invitrogen, Switzerland Usato nello step finale per
ottenere massima efficienza di
trasformazione
Kanamycin Invitrogen (GIBCO), Switzerland
Trasfezione 293T/17:
Nome prodotto Ditta Descrizione
DMEM Invitrogen (GIBCO), Switzerland
HyClone Bovine Calf Serum Thermo Scientific, USA Contiene proteine utili per le
colture cellulari
Trypan Blue Solution (0.4%) Sigma‐Aldrich, Switzerland
Nanodrop Spectrophotometer ND‐1000 (Thermo Scientific, USA)
FACS Calibur e FACS Canto
Centrifuge 5415 D e 5810 R (Eppendorf, Switzerland)
Thermomixer compact (Eppendorf, Switzerland)
Vortex Genie 2 (Scientific Industries Inc., USA)
Forma Series II Water Jacketed CO2 Incubator (Thermo Scientific, USA)
Agitatore e piastra riscaldante (IG Instrumenten Gesellschaft AG, Switzerland)
Bunsen Fireboy Plus (IBS Integra Biosciences, Switzerland)
16
3.8. Descrizione di alcuni strumenti usati piú frequentemente nel lavoro
3.8.1. NanoDrop (Thermo Scientific)
Il NanoDrop, della ditta Thermo Scientific, è uno spettrofotometro (220‐750nm) capace di analizzare
dei volumi molto piccoli di campioni da quantificare (fino a 0.5 μL) mantenendo un’elevata accuratezza e
riproducibilità [19].
Questa apparecchiatura utilizza una tecnologia brevettata, basata sulla tensione superficiale che
piccoli volumi di liquidi esercitano quando si trovano collocati tra due superfici vicine. In poche parole la
goccia di campione posizionata nell’apposita piastra di lettura crea una colonna di liquido a diretto contatto
con due fibre ottiche, e può essere analizzata in modo semplice e veloce. Questo elimina la necessità di
cuvette ed altri dispositivi di contenimento del campione e permette di pulire in pochi secondi le due
superfici entrate in contatto con il campione. Inoltre, il NanoDrop ha la capacità di misurare i campioni ad
alta concentrazione, senza diluizione (50x concentrazione superiore a quello campioni misurati con uno
spettrofotometro cuvetta standard) [19] [20].
La visualizzazione dei risultati può essere effettuata al computer tramite dei grafici e dei rapporti che
mi permettono di determinare il grado di purezza del campione oltre alla sua quantificazione [20].
Figura 6: visualizzazione di come si vedono le immagini allo schermo del computer [31].
Nel mio caso ciò che interessa maggiormente è la possibilità di quantificare gli acidi nucleici
successivamente all’esecuzione di una PCR o di una purificazione, determinandone anche il grado di
purezza e verificando pertanto la presenza o l’assenza di contaminazioni proteiche (rapporto A 260/280
maggiore o uguale a 1.7‐1.8) [20].
17
3.8.2. FACS (BD Biosciences)
Il FACS, o anche denominato citometro a flusso, è un apparecchio che unisce le caratteristiche di uno
strumento contaglobuli a quello di un microscopio a fluorescenza [21]. Le cellule da contare vengono
marcate con appositi fluorocromi che, una volta colpiti dal raggio laser presente nella camera di conta,
vengono eccitati emettendo una ben determinata fluorescenza rilevabile con appositi detettori posizionati
all’interno dello strumento.
La camera di conta può essere definita come un blocco di quarzo scavato all’interno per formare un
capillare in cui le cellule, immerse nel liquido di trascinamento, passano singolarmente per poi essere
colpite dal fascio laser. La capacità del fluido di separarle è definita focalizzazione idrodinamica [22].
A B
Figura 7: (A) foto dell'imbuto che grazie alla focalizzazione idrodinamica indirizza le cellule nel capillare che a sua volta entra all'interno della camera di conta dove i fluorocromi verranno eccitati. (B) fascio laser indirizzato dai vari prismi verso il punto di incontro delle particelle [32].
In generale il primo laser, che colpisce le cellule nella camera di conta, ha una lunghezza d’onda di 488
nm (colore blu). Per colpire le cellule deve passare attraverso una serie di prismi e lenti che lo indirizzano
verso il punto esatto d’incontro delle particelle; a sua volta la luce diffusa dalle particelle viene convogliata,
attraverso un sistema di fibre ottiche, in un sistema di filtri capace di separare le varie lunghezze d’onda
generate dai fluorocromi utilizzati. I filtri in questione sono specifici unicamente per determinate lunghezze
d’onda infatti se non corrisponde quest’ultima viene riflessa. Ci sono i filtri "Long Pass (LP)" che si lasciano
attraversare solo da lunghezze d'onda superiori a quella fissata e riflettono tutto ciò che possiede una
lunghezza d'onda inferiore; i filtri "Band Pass (BP)" che si lasciano attraversare solamente da lunghezze
d'onda comprese tra due valori fissati, ed i filtri "Short Pass (SP)" che si lasciano attraversare da lunghezze
d'onda inferiori a quella fissata e riflettono tutto ciò che possiede una lunghezza d'onda superiore [23].
Pertanto la scelta dei fluorocromi da utilizzare per detettare le varie particelle viene applicata seguendo la
configurazione dello strumento e quindi in base al sistema di laser e di filtri di cui è composto [21].
18
3.9. Metodi per la produzione di cellule che esprimono sulla loro superficie le emoagglutinine
dell’influenza spagnola del 1928 e dell’influenza stagionale del 1999
3.9.1. Trasformazione di E. Coli TOP 10 con A/SC e A/NC ed esecuzione di una coltura in fase liquida
Prima di iniziare l’esperimento l’IRB mi ha fornito i plasmidi contenenti le sequenze per le due
emoagglutinine in analisi che successivamente sono stati quantificati con l’apparecchio Nanodrop. Questa
misura mi ha permesso di determinare il corretto volume di soluzione contenente plasmide da utilizzare
per la trasformazione degli E. Coli Top10; infatti secondo il protocollo fornito dalla ditta Invitrogen il
quantitativo massimo di DNA consigliato è 100 ng.
Come primi campioni mi sono stati forniti: la sequenza dell’emoagglutinina della spagnola A/SC/1/18 e
quella dell’influenza stagionale A/NC/20/99; tutte inserite correttamente all’interno del vettore phCMV1.
Seguendo il protocollo fornito dalla ditta Invitrogen ho trasformato i batteri allo scopo di poter realizzare
una prima coltura su piastra dei due campioni. Questo mi ha permesso di amplificare il numero di plasmidi
contenenti l’inserto di interesse.
Per trasformare i batteri ho utilizzato lo shock termico: in poche parole si tratta di portare i batteri da
4°C circa a 42°C in qualche secondo. Questo permette alla parete batterica di diventare permeabile
formando delle specie di pori che consentono l’entrata del DNA plasmidico all’interno del battere.
Successivamente per permettere la chiusura dei pori bisogna riposizionare la Eppendorf in ghiaccio per
alcuni minuti. Alla fine i batteri vengono incubati per circa 1h a 37°C in modo che possano attivare il loro
metabolismo iniziando a riprodursi. Dopo questo lasso di tempo si può inoculare una ben determinata
quantità di batteri in piastre selettive contenenti l’antibiotico specifico (nel mio caso il plasmide phCMV1
contiene il gene di resistenza alla kanamicina) e lasciarle incubare overnight (circa 12 ore) a 37°C in modo
che le colonie possano crescere.
Il giorno successivo saranno cresciuti unicamente i batteri che si sono trasformati, e cioè quei batteri
che hanno inglobato al loro interno il plasmide avente la resistenza alla kanamicina. Questo purtroppo non
vuol dire però che il plasmide debba contenere per forza l’inserto codificante per la mia emoagglutinina di
interesse; infatti può capitare che durante la ligasi il plasmide si sia richiuso su se stesso non formando
quindi un legame con la sequenza dell’emoagglutinina.
Successivamente si è deciso di proseguire con una coltura in fase liquida di medie dimensioni (160 mL)
in modo da amplificare maggiormente la quantità di plasmide a disposizione. Questa coltura è rimasta in
incubazione nella camera tutta la notte su un apposito agitatore regolato a 225 rpm.
Il giorno successivo con l’ausilio del kit Nucleo Spin Plasmid (Macherey‐Nagel, Svizzera) si è eseguito
l’estrazione del materiale plasmidico dal battere. Il protocollo utilizzato e quello specifico per le colture in
fase liquida di medie dimensioni Xtra Midi (colture comprese tra i 40 e i 400 mL). Successivamente a questo
passaggio si è quantificato il materiale genetico estratto con l’ausilio del Nanodrop. I campioni sono stati
stoccati in apposite Eppendorf (DNA RNA Free) da 1.5 mL e messi in congelatore a ‐80°C per conservarli fino
al prossimo utilizzo.
19
3.10. Metodi per la produzione di cellule che esprimono sulla loro superficie le emoagglutinine
dell’influenza suina del 2009
3.10.1. Realizzazione dei primer specifici
La sequenza per l’HA relativa all’influenza suina é stata inserita all’interno di un plasmide chiamato
pcDNA3.1. Per evitare l’aggiunta di variabili all’esperimento si é deciso di cambiare il plasmide di inserzione
e utilizzare phCMV1 come per i campioni precedenti.
Per fare ciò sono stati realizzati dei primer su misura contenenti la sequenza di taglio per un enzima di
restrizione specifico presente anche all’interno del plasmide phCMV1, proprietà che verrà sfruttata negli
esperimenti successivi. Questi primer sono in grado di legarsi in parte alla sequenza della mia
emoagglutinina ed in parte invece, a partire dal sito di taglio per l’enzima di restrizione non sono
complementari e pertanto sono liberi. Le sequenze dei primer sono quindi (design realizzato all’IRB con
software CLC Mainworkbench mentre la sintesi é stata eseguita dalla ditta Microsynth):
FW primer con sequenza di taglio per BglII
5’ TCGTGAGATCTATGAAGGCAATACTAGTAGTTCTGCTATATA 3’
RV primer con sequenza di taglio per NotI
5’ GGGTCTCTACAGTGTAGAATATGTATTGCGGCCGCTCATAC 3’
Per quanto riguarda la sequenza dei primer
In grassetto sono segnalate delle sequenze che non si appaiano né al plasmide né all’emoagglutinina In
giallo sono evidenziate le sequenze di taglio per gli enzimi di restrizione, mentre in verde é segnalata l’inizio
della sequenza codificante per gli amminoacidi che compongono l’emoagglutinina di interesse.
3.10.2. Ottimizzazione della PCR e amplificazione del frammento relativo all’emoagglutinina di
A/CA/04/09
Il setting della PCR é stato eseguito provando diverse temperature di anneal dei primer e diverse
concentrazioni di DNA. La temperatura migliore per l’anneal é risultata essere 60°C mentre la
concentrazione di DNA ideale è di 150 ng. Si è quindi proseguito con l’amplificazione e l’estrazione del
frammento di interesse da pcDNA3.1. Successivamente é stato realizzato un gel di agarosio all’1% per poter
visualizzare e tagliare la banda relativa alla sequenza amplificata grazie al confronto della taglia con un
Marker di 100bp. Con l’uso degli UV e di un bisturi é stata selezionata la banda di interesse per poi essere
successivamente purificata dal gel con apposito kit chiamato GFX PCR DNA and Gel Purification kit (GE‐
Healthcare, Svizzera). A questo punto é stato quantificato con Nanodrop il campione ottenuto.
3.10.3. Digestione enzimatica, ligazione e dialisi del vettore phCMV1 con A/CA/04/09
La digestione enzimatica é stata eseguita in contemporanea sia sulla sequenza codificante per
l’emoagglutinina del virus A/CA/04/09 selezionata e purificata nell’esperimento precedente, sia sul
plasmide phCMV1 senza inserto in modo da creare le zone di coesione utili nella reazione di ligasi.
20
L’incubazione avviene per 1 ora a 37°C e successivamente gli enzimi vengono inattivati per 20 minuti a
65°C. Una volta eseguita questa reazione bisogna procedere con una purificazione del prodotto da tutti i
reagenti che possono interferire con la ligazione successiva. Questo avviene grazie all’uso del kit GFX PCR
DNA and Gel Purification kit (GE‐Healthcare, Svizzera). Successivamente bisogna eseguire una
quantificazione del prodotto con Nanodrop; utile per la determinazione del quantitativo di campione da
pipettare nella provetta di reazione.
Per la determinazione della concentrazione ideale di plasmide e inserto da utilizzare ho usufruito di tre
modi diversi di calcolo. Il primo proviene dal sito internet della New England Bio Labs (USA) mentre il
secondo e il terzo sono delle formule che mi sono stati forniti in laboratorio ed in cui l’unica differenza
consiste in un fattore numerico.
Così sono state realizzate tre diverse provette di reazione con le tre diverse concentrazioni di inserto e
vettore calcolate con i tre metodi; in questo modo è stato possibile determinare la tecnica migliore. Sono
poi stati aggiunti i rispettivi reagenti, tra cui l’enzima T4 DNA ligase, ed il tutto é rimasto in incubazione per
1 ora a temperatura ambiente. Per poter selezionare i plasmidi aventi l’inserto è stata eseguita una PCR
successivamente all’esecuzione di una trasformazione batterica e una coltura su piastre selettive. I primer
utilizzati per questa PCR sono gli stessi realizzati per l’estrazione della sequenza codificante per
l’emoagglutinina di A/CA/04/09 dal vettore plasmidico pcDNA3. Le condizioni di PCR sono invariate rispetto
a quelle prestabilite durante l’ottimizzazione eseguita nel capitolo 3.10.2. Trascorsa l’ora di incubazione é
stata eseguita una dialisi, con membrana da 0.05 µm (Millipore, Svizzera), di 30 minuti per eliminare tutti i
reagenti ed i sali utilizzati nella ligasi e che potrebbero disturbare nella prossima reazione; che sarebbe la
trasformazione batterica.
3.10.4. Trasformazione di E. Coli TOP 10 con A/CA ed esecuzione di una coltura in fase liquida
Lo scopo ed i procedimenti di questo esperimento sono gli stessi che per A/SC e A/NC; infatti anche in
questo caso si inizia con una trasformazione batterica e successivamente una coltura su piastra contenente
l’antibiotico kanamicina per selezionare tutti quei batteri che sono stati trasformati correttamente e
contengono al loro interno phCMV1 con la resistenza specifica.
L’unica differenza consiste nello step successivo: dopo aver messo in coltura i batteri si preleva un
determinato quantitativo dalla colonie cresciute e si esegue una PCR. Questo ci permette di discriminare le
colonie che contengono unicamente il plasmide da quelle che contengono il plasmide con l’inserto.
Una volta selezionate le colonie di interesse si preparano delle colture in fase liquida (nelle beute) di
medie dimensioni in modo da amplificare maggiormente la quantità di plasmide avente l’inserto. Questa
coltura è rimasta in incubazione nella camera tutta la notte su un apposito agitatore regolato a 225 rpm.
Con il resto della colonia è stato preparato uno stock in glicerolo che poi, una volta messo in azoto liquido,
è stato immediatamente stoccato a ‐80°C.
Il giorno successivo si è proseguito con l’estrazione del materiale plasmidico dai batteri posti nella
coltura di medie dimensioni grazie all’uso del kit Nucleo Spin Plasmid (Macherey‐Nagel, Svizzera) ed alla
fine si é quantificato il prodotto ottenuto dall’estrazione con l’uso del Nanodrop. I campioni sono stati
stoccati in apposite Eppendorf da 1.5 mL e messi in congelatore a ‐80°C per conservarli fino all’uso.
21
3.11. Settaggio della quantità di plasmide da usare nella trasfezione
Un volta purificati e quantificati i plasmidi appartenenti a virus influenzali A/SC, A/NC e A/CA si
procede con il settaggio della concentrazione di plasmide da utilizzare durante la trasfezione delle 293T/17.
Questo risulta importante per determinare a che concentrazione il plasmide inizia a diventare tossico per la
cellula, causandone la morte, e a che concentrazione l’espressione delle HA sulla superficie cellulare è
massima. A questo proposito è inoltre essenziale trovare una concentrazione in cui entrambi questi fattori
siano rispettati.
Come primo passaggio dell’esperimento ho dovuto preparare le cellule 293T/17 per la trasfezione.
Dato che queste cellule crescono in adesione sulla superficie della flask, ho dovuto principalmente staccarle
con l’aiuto di tripsina (enzima proteolitico), pipettarle in una Falcon da 50 mL, centrifugarle e
successivamente contarle. Una volta determinato il numero di cellule contenuto nella Falcon, ho potuto
preparare delle Petri contenenti 4 milioni di cellule 293T/17 ciascuna con 10 mL di terreno specifico. A
questo punto sono state sistemate in termostato per circa 12 ore.
Il giorno successivo si inizia con il preparare la soluzione trasfettante che deve contenere:
Il plasmide con l’emoagglutinina specifica, alla concentrazione da testare
Il Fugene HD
DMEM senza nessuna aggiunta di antibiotici o proteine
I plasmidi sono stati testati alla concentrazione di 0.5 μg/mL, 2 μg/mL e 8 μg/mL, per quanto riguarda
A/SC e A/NC, mentre a 2 μg/mL, 5 μg/mL e 8 μg/mL, per quanto riguarda A/CA, usando come controllo
positivo il plasmide contenente la sequenza per l’emoagglutinina del virus influenzale A/VN/1194/04 e
come controlli negativi delle cellule che non verranno trasfettate con il plasmide ma seguiranno comunque
tutto il processo di trasfezione (anche definite Mock). Una volta calcolato il corretto volume di plasmide da
pipettare si procede con la realizzazione della soluzione trasfettante. Successivamente si vortexano per
alcuni secondi le provette contenenti la soluzione e si lascia incubare il tutto per 30 minuti a temperatura
ambiente in modo da permettere la formazione di liposomi contenenti al loro interno il materiale genetico
(in questo caso DNA plasmidico) da usare successivamente per il processo di trasfezione. Infatti il materiale
genetico riesce ad entrare all’interno della cellula grazie alla fusione tra la membrana cellulare e la
membrana lipidica del liposoma.
Dopo 30 minuti, si toglie il terreno dalle Petri prestando particolare attenzione a non toccarne il fondo
per evitare di staccare le cellule in adesione. Successivamente si sostituisce il terreno con del DMEM
(terreno di coltura) fresco e si aggiunge la soluzione trasfettante con dei movimenti concentrici: essendo
una soluzione tossica dev’essere sparsa su tutta la superficie della Petri in modo che non muoiano troppe
cellule e in modo che tutte o il maggior numero possibile vengano trasfettate. Ė importante non inserire
proteine, in questo passaggio, nel terreno di coltura poiché queste potrebbero essere inglobate al posto del
plasmide portando ad una trasfezione scorretta ed inefficiente. Le Petri contenenti la soluzione trasfettante
vanno lasciate in termostato per 6 ore in modo che l’entrata del plasmide possa avvenire in modo corretto.
Trascorso questo lasso di tempo si procede con un ricambio del terreno e si lasciano incubare le Petri
contenenti le cellule trasfettate per 48 ore in modo che riescano ad esprimere sulla loro superficie le
emoagglutinine virali di interesse per l’esperimento. In questo passaggio è molto importante non inserire
antibiotici nel terreno di coltura: questo perché l’azione del farmaco potrebbe rallentare il metabolismo
22
cellulare impedendo la corretta entrata dei plasmidi all’interno delle cellule e la corretta sintesi delle
proteine che verranno espresse sulla superficie.
Trascorse le 48 ore si preparano le cellule trasfettate per la lettura al FACS.
3.11.1. Lettura al FACS dei risultati ottenuti
Come primo step si devono staccare tutte le cellule dal fondo della Petri ed eseguire 2 lavaggi con una
soluzione salina (PBS) per poter eliminare tutto il terreno di coltura; fonte di disturbo per le successive
elaborazioni del campione. L’ultimo lavaggio viene eseguito con del MACS Buffer: una soluzione contenete
EDTA che impedisce l’aggregazione delle cellule. A questo punto le cellule sono state colorate con Trypan
Blue e messe nella camera di conta in modo da determinarne la quantità e la vitalità ad ogni
concentrazione in analisi. Una volta annotati questi risultati, importanti nella fase finale dell’esperimento,
ho continuato la preparazione dei campioni per la lettura con il FACS. In una piastra da 96 pozzetti ho
pipettato 50'000 cellule per pozzetto di ogni campione a disposizione compresi anche i controlli negativi,
importanti per preparare le impostazioni del FACS d’analisi. Successivamente ho eseguito una
centrifugazione delle cellule ed un’incubazione di 1 ora in ghiaccio con uno specifico anticorpo (HUFI6)
capace di legarsi all’antigene (emoagglutinina) da analizzare.
Trascorso il tempo di incubazione, ho proseguito con dei lavaggi delle cellule per eliminare tutti gli
anticorpi non legati al mio antigene e, come ultima incubazione, ho aggiunto un anticorpo anti‐IgG umane,
legato ad un fluoroforo: DyLight 649‐Conjugated Affini Pure F(ab’)2 Fragment Goat Anti‐Human IgG, Fc,
Fragment Specific. Il frammento della regione variabile F(ab’)2 di questo anticorpo secondario è costituito
da anticorpo di capra, in grado quindi di riconoscere e legarsi alla regione costante degli anticorpi umani.
Anche questa incubazione é avvenuta in ghiaccio ed é durata 20 minuti al buio. Successivamente sono stati
eseguiti ulteriori lavaggi per eliminare l’eccesso ed infine si é eseguita l’analisi con FACS.
I risultati ottenuti con il citometro a flusso sono stati ulteriormente analizzati con Flowjo 9.3.1 (TREE STAR
Inc., USA), un programma informatico specifico per l’elaborazione dei grafici e delle percentuali.
3.12. Analisi dei sieri al FACS
È importante preparare le cellule da utilizzare nella trasfezione per l’espressione dell’emoagglutinina
virale specifica. Le 293T/17 vanno piastrate sempre a 4 milioni per Petri e lasciate riposare una notte prima
di essere utilizzate, in modo che riescano ad aderire bene al fondo del contenitore.
Il giorno successivo si prepara la soluzione trasfettante per ogni emoagglutinina, nella quale verrà poi
aggiunta la corretta quantità di plasmide settata precedentemente e dove si aggiungerà poi il Fugene HD
per la formazione dei liposomi. Il procedimento risulta essere uguale a quello eseguito per il settaggio, sia
per i tempi d’incubazione che per il cambio dei terreni.
Trascorse le 48 ore si possono preparare le cellule per lo staining al FACS: anche il questo caso il
protocollo rimane invariato unica eccezione fatta per un’incubazione aggiuntiva con anticorpo MUFI6 prima
di eseguire l’aggiunta dell’anticorpo primario e del secondario. MUFI6 ha la capacità di legarsi alla stem
dell’emoagglutinina, in questo modo quando aggiungiamo l’anticorpo primario siamo in grado di ridurre il
segnale mediato da anticorpi presenti nel siero in grado di legare la medesima regione nello stem
riconosciuta da MUFI6 e di conseguenza di rilevare specificamente la presenza di anticorpi diretti contro la
globular head. Alla fine delle incubazioni le piastre sono pronte per essere lette al FACS.
23
L’apparecchio utilizzato in questo caso non é più il FACS Calibur ma il FACS Canto: il principio di lettura
rimane comunque invariato, l’unica differenza consiste, eventualmente, nella programmazione delle
impostazioni dell’apparecchio.
L’analisi dei risultati è stata eseguita sempre con software Flowjo 9.3.1 (TREE STAR Inc., USA).
Figura 8: immagine relativa a quanto succede durante lo staining cellulare.
24
4. Risultati
4.1. Prima parte del lavoro
I risultati ottenuti nella prima parte del mio lavoro corrispondono principalmente ai dati riguardanti
quantificazioni e settaggi delle varie metodiche utilizzate. Questi dati mi servono per l’elaborazione dei
risultati della seconda parte del lavoro.
4.1.1. Quantificazione A/SC e A/NC
Principalmente è stata eseguita la trasformazione di E. Coli TOP 10 con plasmidi phCMV1 contenenti la
sequenza specifica per l’emoagglutinina da analizzare. Successivamente alla realizzazione di una coltura
“midi” in fase liquida ed alla purificazione del plasmide dai batteri con apposito kit Nucleo Spin Plasmid
della ditta Macherey‐Nagel (Svizzera), si é quantificato il prodotto ottenuto dall’estrazione con l’uso del
Nanodrop. Come viene mostrato nella tabella 1 la quantificazione ed il grado di purezza dei vari campioni
hanno portato a dei risultati più che soddisfacenti (non vi sono indici di contaminazioni).
Tabella 1: quantificazione dei campioni A/SC e A/NC. Non vi sono né contaminazioni proteiche (rapporto A 260/280 maggiore o uguale a 1.7‐1.8) né di fenoli (rapporto A 260/230 circa attorno ai 2.2).
Campione ng/μL 260/280 260/230
A/NC/20/99 328.93 1.89 2.26
A/SC/01/18 320.94 1.87 2.21
4.1.2. Settaggio della PCR per A/CA
Sono state analizzate due concentrazioni diverse di DNA con due temperature di anneal dei primer per
poter determinare con quali condizioni la PCR da’ dei risultati migliori. Alla fine si é deciso di usare una
concentrazione di DNA di 0.3 μg/μL ed una temperatura di annealing dei primer di 60°C (come mostrato in
tabella 2).
Tabella 2: condizioni in cui la PCR risulta fornire dei risultati migliori.
A/CA/04/09 in pcDNA3.1 (0.3 μg/μL) 0.5 μL
Temperatura di annealing 60°C
La scelta di queste condizioni è stata effettuata successivamente all’esecuzione della quantificazione
dei vari campioni ottenuti successivamente alla PCR. In tabella 3 è stato riportato unicamente il risultato
ottenuto per il campione migliore a livello di quantificazione che corrisponde alle condizioni iniziali citate in
tabella 2.
25
Tabella 3: quantificazione relativa al campione ottenuto successivamente all’applicazione delle condizioni stabilite nella tabella 2.
Campione ng/μL 260/280 260/230
A/CA/04/09 67.843 1.78 1.01
4.1.3. Quantificazione dei campioni successivamente a digestione enzimatica
Dopo aver effettuato la PCR per poter amplificare la sequenza dell’emoagglutinina di A/CA contenuta
nel plasmide pcDNA 3.1. si è proseguito con la migrazione del prodotto PCR su gel di agarosio ed infine alla
selezione e purificazione con apposito kit della banda ottenuta (kit usato:GFX PCR DNA and Gel Purification
kit della ditta GE‐Healthcare, Svizzera).
Il prodotto della purificazione ed il nuovo vettore phCMV1 (dove verrà poi successivamente inserita la
sequenza dell’emoagglutinina A/CA) sono stati poi digeriti con appositi enzimi di restrizione (BglII e NotlI)
precedentemente selezionati in base alle caratteristiche del plasmide stesso ed alla sequenza specifica
dell’emoagglutinina. Dopo di che i prodotti della digestione sono stati nuovamente purificati con il kit
precedentemente citato e successivamente quantificati per poter calcolare i corretti ng da utilizzare nella
reazione successiva di ligasi.
Tabella 4: quantificazione del plasmide phCMV1 e dell’emoagglutinina A/CA successivamente alla digestione enzimatica alla purificazione con apposito kit
Campione ng/μL 260/280 260/230
A/CA/04/09 31.09 1.96 0.79
phCMV1 33.06 1.93 0.22
4.1.4. Ligasi
Per questa operazione sono stati effettuati tre diversi calcoli per determinare i ng di vettore ed inserto
da usare nella reazione di ligasi. Due calcoli mi sono stati forniti in laboratorio mentre il terzo calcolo era
indicato dalla ditta fornitrice dell’enzima, la New England BioLabs.
Primo calcolo:
(ng inserto x kbp vettore)/ (kpb inserto x6) = ng vettore
Secondo calcolo:
(ng inserto x kbp vettore)/ (kpb inserto x3) = ng vettore
Terzo calcolo (non é esattamente un calcolo ma sono delle quantità già definite dalla New England BioLabs)
50 ng vettore
50 ng inserto
26
Tutti i calcoli hanno dato dei risultati positivi, visualizzati tramite PCR e migrazione su gel agarosio 1%.
Quindi tutti i campioni ottenuti successivamente alle tre diverse ligasi possono essere potenzialmente
utilizzate per il passaggio successivo del mio esperimento che consiste nella trasformazione batterica di E.
Coli Top 10 e nell’amplificazione del plasmide contenente l’emoagglutinina di interesse tramite coltura
“midi” in fase liquida.
1 2 3 4
Figura 9: gel di agarosio all’1%. Da sinistra a destra abbiamo i risultati del primo calcolo (1), rispettivamente del secondo (2) e del terzo (3). In ultima posizione (4) troviamo il Marker 100bp DNA Ladder (Invitrogen, Svizzera). La suddivisione in quadranti è stata effettuata per rendere maggiormente visibili e distinguibili i risultati ottenuti. I campioni positivi hanno una taglia di 1698 bp, mentre quelli negativi hanno una taglia di 83 bp.
4.1.5. Quantificazione A/CA
Dopo aver effettuato la trasformazione batterica con il prodotto della ligasi ottenuto
precedentemente è stata effettuata una coltura di E. Coli TOP 10 trasformati in brodo di coltura liquido.
Trascorso poi il tempo di incubazione necessario affinché vi sia un numero sufficiente di batteri contenenti
il plasmide, si è proseguito con l’estrazione del plasmide dal battere e la quantificazione di quanto ottenuto
con apparecchio Nanodrop.
Tabella 5: risultati relativi alla quantificazione del plasmide phCMV1 con inserto dell’emoagglutinina di A/CA.
Campione ng/μL 260/280 260/230
A/CA/04/09 136.8 1.83 2.14
2072 bp 1500bp
600 bp
100 bp
27
4.1.6. Setting al FACS
Il setting delle tre emoagglutinine è stato effettuato utilizzando l’apparecchio FACS Calibur per quanto
riguarda A/NC e A/SC, mentre FACS Canto per quanto riguarda A/CA. Mostrerò unicamente i grafici dei
risultati considerati come utilizzabili.
A/CA/04/09
Analisi delle cellule trasfettate con 8 μg/mL del plasmide contenente la sequenza per l’emoagglutinina
del virus A/CA/04/09.
Figura 10: elaborazione del risultato con Flowjo 9.3.1. Il numero in alto a destra fa riferimento alla percentuale di cellule positive che presentano quindi la fluorescenza (cellule racchiuse all’interno del rettangolo di demarcazione). Sono anche quelle cellule che presentano sulla loro superficie cellulare l’emoagglutinina ricercata. La vitalità delle cellule é risultata essere del 67.9%.
A/NC/20/99 e A/SC/01/18
Analisi delle cellule trasfettate con 2 μg/mL del plasmide contente la sequenza per l’emoagglutinina
del virus A/NC/20/99 e A/SC/01/18.
Figura 11: immagine ottenuta tramite elaborazione del risultato con Flowjo 9.3.1. Il numero in alto a destra fa riferimento alla percentuale di cellule positive che presentano quindi la fluorescenza (cellule racchiuse all’interno del rettangolo di demarcazione). Sono anche quelle cellule che presentano sulla loro superficie cellulare l’emoagglutinina ricercata. A sinistra A/NC/20/99 con vitalità del 95.6%, a destra A/SC/01/18 con vitalità del 89.7%.
28
4.2. Seconda parte del lavoro (analisi preliminari)
Analisi di alcuni sieri forniti dall’IRB usando cellule 293T/17 trasfettate con le tre emoagglutinine
settate precedentemente ed il plasmide avente la sequenza per l’emoagglutinina di A/Vietnam/1194/04.
Analisi effettuata anche su cellule non trasfettate (chiamate Mock), per escludere eventuali legami
aspecifici tra gli anticorpi presenti nel siero ed eventuali antigeni presenti sulla superficie cellulare delle
293T/17.
Queste analisi preliminari sono state realizzate unicamente per poter valutare la funzionalità
dell’esperimento; quindi la capacità da parte degli anticorpi contenuti nei sieri in analisi di riconoscere
l’emoagglutinina espressa dopo la trasfezione cellulare.
Mock A B C
SC
CA
29
NC
VN
Figura 12: sequenza di immagini relativa a sieri appartenenti allo stesso individuo (MTH). Colonna A sono sieri prelevati nel 2008 15 giorni dopo la vaccinazione stagionale, colonna B sono sieri prelevati nel 2009 14 giorni dopo la vaccinazione, mentre nella colonna C abbiamo i sieri prelevati nel 2010 14 giorni dopo la vaccinazione. In alto a desta all’interno di ciascuna immagine sono rappresentate delle percentuali relative al livello di riconoscimento dell’antigene specifico da parte degli anticorpi, sviluppati successivamente alla vaccinazione, contenuti nei sieri in analisi. Il quadrante in alto a destra delle figure ci mostra la percentuale di cellule che sono state riconosciute dagli anticorpi
Mock A B C
30
SC
CA
NC
VN
Figura 13: sequenza di immagini relativa a sieri appartenenti allo stesso individuo (STH). Colonna A sono sieri prelevati nel 2008 14 giorni dopo la vaccinazione stagionale, colonna B sono sieri prelevati nel 2009 19 giorni dopo la vaccinazione, mentre nella colonna C abbiamo i sieri prelevati nel 2010 14 giorni dopo la vaccinazione. In alto a desta all’interno di ciascuna immagine sono rappresentate delle percentuali relative al livello di riconoscimento dell’antigene specifico da parte degli anticorpi, sviluppati successivamente alla vaccinazione, contenuti nei sieri in analisi Il quadrante in alto a destra delle figure ci mostra la percentuale di cellule che sono state riconosciute dagli anticorpi.
31
Tutti le immagini sopra rappresentate sono state realizzate con software Flowjo 9.3.1 (TREE STAR Inc.,
USA), un software utilizzato per elaborare i risultati ottenuti con il citometro a flusso (FACS) e che permette
la realizzazione di dot plot di vario genere per facilitare la comprensione dei risultati ottenuti.
Il grafico riportato nella prossima pagina, invece, è stato realizzato con GraphPad PRISM Version 5.0b
(GraphPad Software Inc., USA) un programma ideale per la realizzazione di grafici statistici e di biostatistica.
Figura 14: rappresentazione degli eventi positivi relativi ai due pazienti analizzati (MTH e STH). Lo schema in alto fa riferimento ai sieri del paziente STH, come si può ben notare la % di positività degli anticorpi contenuti nei sieri risulta nettamente maggiore per i due virus pandemici ma unicamente per il siero prelevato successivamente alla vaccinazione del 2010. Per il paziente MTH questi risultati non sono nettamente visibili con questo genere di schema. Ad ogni modo si può concludere che in questo caso abbiamo una risposta anticorpale uniforme per tutte le emoagglutinine virali in analisi.
32
4.3. Seconda parte del lavoro (analisi effettiva dei campioni)
In questa seconda parte del lavoro si è proseguito con l’analisi dei sieri provenienti dall’Istituto San
Raffaele di Milano e alcuni sieri forniti dall’IRB collezionati 2‐4 settimane dopo vaccinazioni per l’influenza
stagionale e pandemica negli anni 2008, 2009 e 2010. In totale si sono quindi analizzati 67 campioni di cui
due controlli; uno positivo realizzato con MUFI6 e HUFI6 e uno negativo realizzato unicamente con MUFI6.
Anche in questo caso sono state prima preparate delle 293T/17 trasfettate con le tre emoagglutinine di
interesse, l’emoagglutinina dell’isolato H5N1 A/Vietnam/1194/04 (controllo) ed infine una condizione di
controllo senza utilizzare il plasmide (Mock). I setting e le condizioni dello staining sono stati mantenuti
come già prestabilito negli esperimenti precedenti.
I risultati ottenuti con il FACS sono stati da prima elaborati con il software Flowjo 9.3.1 (allegati pp. 7‐
12) e successivamente si è proseguito con l’elaborazione dei dati numerici tramite Microsoft Office Excel
2007 (allegati pp.13‐17). Come prima cosa si sono esportate tutte le medie geometriche dei valori di
fluorescenza dei vari campioni calcolate tramite il software Flowjo 9.3.1, successivamente hai valori
ottenuti è stato sottratto il corrispettivo valore del bianco (Mock) in quanto si tratta di un segnale
aspecifico. Alla fine è stato effettuato un rapporto tra il valore ottenuto dalla sottrazione del bianco e il
valore corrispondente al controllo positivo che fornisce il valore massimo di positività del campione. Il
valore ottenuto dal rapporto tra media del campione e media del controllo viene riportato sull’asse delle y
del mio grafico a colonne, mentre l’asse delle x corrisponde al campione in analisi.
Per ogni antigene è stato decretata una soglia di positività osservando la capacità di trasfezione
cellulare verso quell’antigene e quindi il livello di espressione del controllo positivo. Quindi tutti i valori
inferiori al valore soglia sono da considerare negativi mentre tutti i valori superiori a questo valore soglia
sono da considerare positivi; pertanto, grazie a questa discriminazione, si è potuto realizzare, oltre alle
tabelle in Microsoft Office Excel 2007, anche degli istogrammi con il software GraphPad PRISM Version
5.0b. Per migliorare la comprensione del grafico sono stati suddivisi i campioni sia per anno di prelievo che
per luogo di provenienza (o IRB o Istituto San Raffaele di Milano), in modo che il confronto risulti facilitato.
A/CA/04/09
(Med
ia cam
pione‐med
ia bianco)/med
ia ctr positivo
33
A/SC/1/18
(Med
ia cam
pione‐med
ia bianco)/med
ia ctr positivo
(M
edia cam
pione‐med
ia bianco)/med
ia ctr positivo
A/NC/20/99
34
Figura 15: Grafici relativi a tutti gli antigeni analizzati in questa seconda parte dell’esperimento. Sull’asse delle x abbiamo i sieri con i rispettivi nomi assegnati dai due istituti. D1‐D34 sono i sieri forniti dall’Istituto San Raffaele di Milano, mentre quelli con nominativi tutti diversi tra di loro sono quelli forniti dall’IRB. I sieri sono stati suddivisi per istituto, anno di vaccinazione e prelievo del siero. Sull’asse delle y sono riportati i risultati ottenuti al rapporto tra media del campione e del controllo positivo. La linea orizzontale y=1 per l’antigene CA e y=1 per tutti gli altri antigeni corrisponde alla soglia di positività dei campioni.
A/Vietnam/1194/04
(Med
ia cam
pione‐med
ia bianco)/med
ia ctr positivo
35
5. Discussione
5.1. Prima parte del lavoro
In questa prima parte del lavoro ho impostato le condizioni generali degli esperimenti affinché, nella
seconda parte del lavoro, si riuscissero ad ottenere i risultati corretti e attesi.
Come primo passo ho dovuto settare la PCR per HA di A/CA/04/09 in modo che, con la corretta
concentrazione di DNA e la corretta temperatura, si ottenesse una concentrazione finale di amplificato
soddisfacente. Per arrivare al risultato finale ho testato due temperature diverse di anneal e due
concentrazioni diverse di DNA, per un totale di quattro PCR diverse. Le temperature da porre in analisi sono
state decise basandosi sulla temperatura di anneal fornita dalla ditta al momento della realizzazione dei
primer e le concentrazioni di DNA usate sono state decise basandosi sul range di concentrazioni suggerite
dal protocollo PCR fornitomi in laboratorio. Come risultato finale si é quindi ottenuto che la temperatura
ideale di anneal corrisponde a 60°C e la concentrazione ideale di DNA corrisponde a 0.3 μg/μL. In questo
modo la quantificazione del materiale genetico ottenuto è risultata soddisfacente (67.843 ng/μL), mentre
gli altri campioni non hanno fornito alcun risultato visibile su gel di agarosio.
Il passaggio successivo consiste nell’eseguire la digestione enzimatica, la ligasi e la trasformazione
batterica per poter ottenere un numero sufficiente di plasmidi da utilizzare nella seconda parte del mio
lavoro. La trasformazione batterica é stata eseguita per tutte e tre le HA, mentre la digestione enzimatica e
la ligasi sono state eseguite unicamente per l’HA dell’influenza suina. Infatti è l’unica sequenza alla quale ho
dovuto cambiare il vettore (da pcDNA3 a phCMV1).
I risultati ottenuti nella ligasi, come si vede bene dalla figura 7, tramite confronto dei tre diversi calcoli
per determinare la corretta quantità di vettore e inserto da usare nell’esperimento, hanno fornito tutti dei
risultati positivi. Osservando bene il gel di agarosio si é potuto notare che il calcolo che apparentemente
risulta essere migliore é il primo (cioè il calcolo fornitomi dal laboratorio):
(ng inserto x kbp vettore)/ (kpb inserto x6) = ng vettore. Purtroppo il sito della ditta New England BioLabs
(USA), da dove ho ricavato le quantità di plasmide e rispettivamente di vettore da usare durante
l’operazione di ligasi, non mi fornisce nessuna motivazione chiara sul perché di queste quantità specifiche
[24]. I calcoli forniti invece dal laboratorio derivano da una calcolo fornito dalla ditta Promega (Svizzera) e
sono stati adattati secondo le esigenze sperimentali del laboratorio stesso [25].
Alla fine di questa prima parte ho potuto settare le corrette concentrazioni di plasmide per le tre HA
da usare durante il processo di trasfezione. I risultati sono stati visualizzati al FACS, e basandosi sulla
percentuale di mortalità delle cellule e, rispettivamente, sulla percentuale di antigene di interesse
presentato sulle cellule 293T/17 trasfettate ho potuto determinare la concentrazione ideale da utilizzare
durante la trasfezione. Essendo il plasmide tossico per le cellule, é importante trovare una sorta di
equilibrio tra la mortalità e la percentuale di antigene espresso. Ed é inoltre molto importante, relazionare
tra di loro tutte le emoagglutinine trovando un valore simile per tutte e tre rendendo i risultati il più
possibile omogenei tra di loro.
Purtroppo quest’ultima parte risulta estremamente difficile da realizzare: infatti osservando i risultati
precedenti ottenuti al punto 4.1.5. é ben visibile la differenza di espressione tra le tre HA, mentre per
quanto riguarda la vitalità delle cellule i valori sono molto simili.
36
Come già suggerito precedentemente, questo passaggio serve per fornire una base solida dove poter
costruire tutto il resto dell’esperimento di cross‐reattività, dimostrando quanto affermato nell’obiettivo del
lavoro.
5.2. Seconda parte del lavoro (analisi preliminari)
In questa seconda parte del lavoro sono state effettuate delle analisi preliminari unicamente su alcuni
sieri forniti dall’IRB, in modo da poter valutare l’eventuale presenza di sostanze interferenti con il legame
antigene anticorpo e quindi la funzionalità dell’esperimento stesso.
Per migliorare la comprensione dei risultati sono stati testati anche i sieri degli stessi pazienti un anno
prima e un anno dopo all’esecuzione della vaccinazione contro l’influenza suina. Queste due tipologie di
sieri sono stati prelevati nel periodo 2008/2009 e rispettivamente nel periodo 2010/2011 successivamente
all’esecuzione della vaccinazione contro l’influenza stagionale dell’anno in corso in un periodo di tempo che
varia dai 14 ai 20 giorni dopo l’esecuzione della vaccinazione, quindi quando abbiamo una concentrazione
di anticorpi massima. I sieri sono stati testati con una diluizione standard di 1/500.
Come prima cosa si sono realizzate le trasfezioni delle cellule 293T/17 con i plasmidi contenenti le sequenze
per le tre emoagglutinine in analisi ed un plasmide contenente la sequenza per l’emoagglutinina del virus
Vietnam (H5), successivamente sono stati testati i sieri per poter osservare il risultato a contatto con i vari
antigeni.
L’analisi dei sieri con le cellule Mock, quindi le cellule che non sono state trasfettate con i plasmidi, ci
permette di escludere un eventuale legame specifico tra gli anticorpi e gli antigeni di superficie delle cellule
utilizzate. Come si può ben notare dai risultati ottenuti non c’è nulla di particolare che va segnalato.
Mettendo a contatto i sieri con le cellule trasfettate con il plasmide contenente la sequenza
dell’emoagglutinina del virus Vietnam, si determina invece la presenza di eventuali anticorpi diretti contro
la stem delle emoagglutinine che potrebbero portarci ad una falsa interpretazione dei risultati. Infatti
l’anticorpo secondario DyLight è in grado di legarsi alla regione costante degli anticorpi di origine umana;
pertanto se abbiamo, oltre agli anticorpi di interesse che riconoscono delle regioni specifiche della globular
head, anche degli anticorpi che riconoscono e si legano alla stem avremo un aumento della fluorescenza
detettata dal FACS che potrebbe portare a delle conclusioni errate. Per evitare questo genere di problemi è
stato aggiunto l’anticorpo murino MUFI6 capace di riconoscere e legarsi alle regioni della stem delle varie
emoagglutinine impedendo o comunque riducendo il legame tra gli anticorpi contenuti nel siero e la stem
stessa. L’anticorpo murino non viene legato nella regione costante dall’anticorpo secondario DyLight; in
questo modo la fluorescenza è direttamente proporzionale alla presenza di anticorpi che si sono legati alla
globular head dell’emoagglutinina.
Grazie all’aggiunta dell’anticorpo murino possiamo essere sicuri che la percentuale ricavata dall’analisi
al FACS delle tre emoagglutinine corrisponda effettivamente alla percentuale di anticorpo legato
unicamente alla globular head. Pertanto confrontando le immagini relative alle tre emoagglutinine
possiamo giungere alla conclusione che i sieri successivi alla vaccinazione eseguita nel 2010/2011
riconoscono molto bene sia la globular head del virus della spagnola che quello della suina confermando il
nostro obiettivo del lavoro (soprattutto questo risultato lo si vede bene nel siero STH). Se osserviamo, oltre
all’immagine, anche le percentuali ci accorgiamo infatti che numericamente si situano molto vicine tra di
loro: nel primo caso abbiamo un 10.7% contro un 12.9% mentre nel secondo abbiamo un 31.1% contro un
29.6%. Per quanto riguarda il riconoscimento dell’emoagglutinina del virus stagionale invece la percentuale
37
risulta praticamente nulla per entrambi i pazienti. I sieri prelevati negli anni 2008/2009 e 2009/2010 non
mostrano alcun segno di riconoscere e legare i tre antigeni in analisi.
5.3. Seconda parte del lavoro (analisi effettiva dei campioni)
In questa seconda parte del lavoro si sono testati i sieri dei pazienti vaccinati contro l’influenza suina
del 2009 (SOIV), per poter verificare la loro capacità di riconoscere e legarsi unicamente alle due
emoagglutinine pandemiche come già precedentemente dichiarato nell’introduzione e nell’obiettivo del
lavoro [1].
Le analisi sono state eseguite rispettando tutte le condizioni già usate nell’esperimento preliminare. Il
numero di campioni è notevolmente aumentato in quanto sono compresi anche i sieri dei pazienti forniti
dall’Istituto San Raffaele di Milano e anche alcuni sieri forniti dall’IRB degli anni 2008, 2009 e 2010.
I sieri italiani sono stati prelevati successivamente a 1 mese dall’esecuzione della vaccinazione contro
l’influenza suina con vaccino Focetria mentre gli altri sieri forniti dall’IRB sono stati prelevati
successivamente a 14‐30 giorni dall’esecuzione della vaccinazione specifica (tempo necessario affinché il
sistema immunitario riesca a riconoscere l’antigene e a sviluppare una risposta immunitaria).
Come già evidenziato nell’introduzione, ricordo la composizione dei vaccini usati per poter facilitare la
comprensione dell’analisi:
Nome Tipologia Dose A (H1N1) A (H3N2) B
Influvac9 2008/2009
Stagionale 0.5 mL A/Brisbane/59/2007 Brisbane/10/2007 B/Florida/4/2006
Influvac 2009/2010
Stagionale 0.5 mL A/Brisbane/59/2007 A/Brisbane/10/2007 B/Brisbane/60/2008
Pandemrix10 Pandemico 0.5 mL A/California/7/2009 ‐ ‐
Focetria Pandemico 0.5 mL A/California/7/2009 ‐ ‐
Influvac 2010/2011
Stagionale 0.5 mL A/California/7/2009 A/ Perth/16/2009 B/Brisbane/60/2008
Osservando i grafici elaborati con software Prism (pp.32‐34) si può notare che i campioni prelevati nel
2010, quindi successivamente a una prima vaccinazione nel 2009 contro l’influenza suina e un richiamo
successivo eseguito nell’inverno del 2010, hanno una risposta immunitaria maggiorata nei confronti
dell’antigene in questione.
Questo è dovuto al fatto che abbiamo lo sviluppo di una risposta immunitaria che può essere
considerata secondaria all’antigene successivamente alla riesecuzione, nel 2010, della vaccinazione
contenente l’emoagglutinina del virus della suina. Grazie a questa seconda vaccinazione abbiamo la
formazione di una risposta immunitaria più rapida e quantitativamente più efficace verso l’antigene della
suina [26].
Quanto detto è facilmente dimostrabile con la visualizzazione dei grafici relativi ai campioni negli anni
2008 e 2009 dove si può osservare chiaramente che la maggioranza dei campioni risulta essere negativa al
riconoscimento dell’emoagglutinina della suina.
9 Influvac della ditta Solvay (Svizzera) 10 Pandemrix della ditta GlaxoSmithKline (Svizzera)
38
Figura 13: immagine rappresentante la risposta immunitaria primaria e la risposta immunitaria secondaria. In una risposta immunitaria secondaria (quindi entrata in contatto per la seconda volta con lo stesso antigene), avremo una risposta anticorpale quantitativamente maggiore verso quell’antigene e più rapida rispetto alla primaria [33].
Nei sieri del 2010, come già detto precedentemente, notiamo molto chiaramente una risposta
immunitaria elevata per l’antigene della suina e quello dell’influenza spagnola del 1918; chiaro segno che
effettivamente le due emoagglutinine in analisi mostrano una certa similitudine strutturale e, pertanto,
risulta essere possibile il confronto a livello di risposta immunitaria.
Osservando contemporaneamente i grafici ottenuti dall’analisi dei risultati per la suina e per la
Spagnola possiamo notare che una risposta anticorpale significativa è visibile a partire dal 2009 con
l’iniezione della prima dose di vaccino contro l’influenza suina. Nel 2010 questa risposta immunitaria risulta
essere maggiorata per entrambi le situazioni facilitando quindi la dimostrazione dell’obiettivo principale del
mio lavoro: dimostrare la capacità dei sieri appartenenti ai pazienti vaccinati nel 2009 contro l’influenza
suina di cross‐neutralizzare anche il virus dell’influenza spagnola del 1918. Come si è potuto notare durante
l’analisi dei risultati la risposta anticorpale dei sieri risulta essere maggiorata nei confronti di entrambe le
emoagglutinine solamente ad una seconda vaccinazione; cioè quando si è instaurata una risposta
immunitaria secondaria.
Per quanto riguarda l’analisi dell’emoagglutinina del virus influenzale stagionale del 1999, possiamo
notare una considerevole risposta immunitaria da parte di tutti i sieri. Come possiamo vedere dal grafico,
questa risposta risulta essere distribuita in modo omogeneo sull’arco di tutti e tre gli anni; pertanto può
essere considerata come una semplice risposta anticorpale di tipo secondario ad epitopi conservati presenti
negli antigeni presenti nei vaccini stagionali e pandemici usati per gli esperimenti.
Il riconoscimento da parte di alcuni individui del virus H5 Vietnam è spiegabile con la presenza di
anticorpi diretti contro regioni della stem dell’emoagglutinina. Il legame avviene nelle regioni della stem
non bloccate dall’anticorpo monoclonale di origine murina MUFI6 [11].
39
6. Conclusioni
Alla fine di questo lavoro posso concludere di che: i sieri dei pazienti vaccinati contro l’influenza suina
del 2009 (SOIV) sono in grado di riconoscere le emoagglutinine appartenenti ai due virus pandemici
A/CA/04/09 e A/SC/01/18; riconoscimento che viene però migliorato durante una risposta immunitaria di
tipo secondario a seguito della vaccinazione nell’anno 2010 che includeva come strain vaccinale il virus
pandemico (ora definito stagionale) A/CA/04/09.
Come già scritto precedentemente nell’introduzione la cross‐neutralizzazione di questi due antigeni così
temporalmente distanti tra di loro è dovuta ad una maggior conservazione della struttura amminoacidica
(95% della conservazione amminoacidica della globular head) rispetto ai virus stagionali che presentano
invece un maggior numero di siti di glicosilazione (a livello dell’aminoacido asparagina) in grado di
mascherare ampie regioni della superficie proteica dell’emoagglutinina, che non sono cosi disponibili quali
siti antigenici [1].
Risulta essere molto difficile fare delle proposte di miglioramento per questo genere di esperimenti in
quanto sono da prendere in considerazione diversi fattori e diverse variabili che possono influire in modo
sia positivo che negativo sulla riuscita delle analisi.
Per completare ulteriormente i dati sarebbe stato utile testare i sieri su virioni per verificare la loro
effettiva capacità di inibire l’emoagglutinina, ma purtroppo questo tipo di esperimento richiede l’utilizzo di
virioni interi non inattivati, e per ovvie ragioni di sicurezza il virioine della Spagnola del 1918 non risulta
essere disponibile (solo pochissimi laboratori al mondo hanno il permesso di usarlo).
Inoltre, avendo riscontrato che molti sieri anche un mese dopo la prima vaccinazione risultano poco o
non del tutto reattivi con il virus vaccinale (suino), sarebbe stato interessante capire dopo quanto tempo si
è prodotta una risposta anticorpale virus specifica in seguito alla prima vaccinazione e se questa risposta
più o meno positiva verso il virus è da correlare a delle caratteristiche del paziente in analisi (tendenza a
vaccinarsi tutti gli anni, età, sesso, …).
40
7. Bibliografia
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41
[17] European Medicines Agency. CHMP Assessment Report for Focetria. Procedure No. EMEA/H/C/710 [18] Invitrogen by life technologies: http://products.invitrogen.com/ivgn/product/C404010 Consultato il 30.01.2011 [19] Thermo Scientific: http://www.nanodrop.com/HowItWorks.aspx Consultato il 30.01.2011 [20] Thermo Scientific: http://www.nanodrop.com/Library/nd‐1000‐v3.7‐users‐manual‐8.5x11.pdf Consultato il 30.01.2011 [21] Teoria riguardante la citometria a flusso vista in classe [22] BD Bioscences: http://www.bdbiosciences.com/instruments/facscanto/features/fluidics.jsp Consultato il 30.01.2011 [23] BD Bioscences: http://www.bdbiosciences.com/instruments/facscanto/features/optics.jsp Consultato il 30.01.2011 [24] New England BioLabs: http://www.neb.com/nebecomm/products/protocol658.asp Consultato il 23.05.2011 [25] Promega :http://www.promega.com/resources/tools/biomath‐calculators/dna‐conversions/ligations‐molar‐ratio‐of‐insert‐to‐vector/ Consultato il 23.05.2011 [26] Abul K. Abbas, Andrew H. Lichtman, Shiv Pillai. Immunologia cellulare e molecolare. Sesta edizione. Elsevier Masson 2008; 1:10. ISBN: 9788821430565 Figure [27] Nature: http://www.nature.com/nsmb/journal/iv16/n3/fig_tab/nsmb.1574_F1.html Consultato il 30.01.2011 [28] Wei C‐J et al. Cross‐neutralization of 1918 and 2009 influenza viruses: role of glycans in viral evolution and vaccine design. Sci. Transl. Med. 2010; 2: Issue 24 24ra21 [29] Neumann G, Noda T and Kawaoka Y. Emergence and pandemic potential of swine‐origin H1N1 influenza virus. Nature 2009; 459: 931‐9 [30] CLS Cell lines service: http://www.cell‐lines‐service.de/content/e143/e184/e1032/index_ger.html Consultato il 30.01.2011 [31] Thermo Scientific: http://www.nanodrop.com/Library/nd‐1000‐v3.7‐users‐manual‐8.5x11.pdf Consultato il 30.01.2011 [32] BD Biosciences: http://www.bdbiosciences.com/instruments/facscanto/features/fluidics.jsp Consultato il 30.01.2011 [33] Broklyn College Web Site: http://academic.brooklyn.cuny.edu/biology/bio4fv/page/aviruses/helperTcells.html consultato il 23.05.2011
42
8. Ringraziamenti
Ringrazio in primis l’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona (IRB) per avermi fornito i mezzi e
l’opportunità di svolgere questo lavoro di diploma, in particolar modo il direttore dell’istituto di Antonio
Lanzavecchia e la Group Leader Federica Sallusto.
Successivamente ringrazio caldamente tutti gli operatori dell’istituto e non che mi hanno sostenuta e
aiutata nella realizzazione del lavoro sia a livello pratico che teorico: Davide Corti (PhD) per la correzione
della parte scritta del lavoro, la progettazione e il coordinamento del progetto in ambito pratico; Blanca M.
Fernandez‐Rodriguez (TAB) per le spiegazioni e il supporto durante l’esecuzione degli esperimenti e David
Jorrassay per la formazione e le spiegazioni riguardanti l’utilizzo del citometro a flusso (FACS). Ringrazio
inoltre gli altri membri del laboratorio come Debora Pinna, Chiara Sillacci e Andrea Minola che mi hanno
aiutata in alcune fasi durante lo svolgimento pratico del lavoro.
Ringrazio inoltre la Dott.ssa Elisa Vicenzi dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano (DIBIT) per
avermi fornito i sieri necessari alla seconda fase degli esperimenti.
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I. Allegati
I. Plasmide phCMV1 (Genlantis, San Diego CA)
Figura 14: struttura del plasmide phCMV1 (altamente consigliato per la codificazione di proteine nella loro struttura nativa) con sequenza di MCS e localizzazione dei vari siti di taglio di alcuni enzimi di restrizione
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Introduction
The phCMV series of vectors are designed to achieve significantly higher expression levels than traditional human cytomegalovirus (CMV) promoter‐based constitutive expression vectors. Through their maximized CMV promoter activity, the maximized levels of protein expressed from the phCMV vectors will allow you to easily proceed to subsequent protein detection and functional studies. In order to achieve maximum expression levels, the CMV promoter/enhancer sequence in the phCMV vectors have been systematically modified so that only the necessary sequences that confer high transcriptional activity are retained. In addition to the optimized CMV promoter, the phCMV vector includes the intron A from the human CMV immediate‐early (IE) gene and an efficient artificial terminator to ensure the highest transcription levels possible. The backbones of the phCMV vectors have also been rigorously engineered to provide both high plasmid yield in E. coli and enhanced expression levels in vivo. This makes the phCMV vectors ideal tools for routine protein expression studies as well as animal injection experiments.
The phCMV vectors consistently deliver superior expression levels when compared with other commercially available CMV promoter‐based expression vectors. It is not unusual to obtain protein expression levels from phCMV that are several fold higher than those obtained from other popularly used vectors. In addition, because phCMV vectors use the Kan/Neo gene for selection in both bacteria and cultured cell lines, they offer smaller vector sizes and improved transfection efficiency. In summary, the three phCMV vectors offer the following benefits:
• Maximized high‐level expression with optimized CMV promoter. • G418 resistance gene for the selection of stable cell lines. • Optional N‐ or C‐terminal HA fusion tags for simplified protein detection and purification with anti‐
HA antibodies and affinity resins. • Extensive multiple cloning region for convenient and easy cloning. • Small vector sizes for efficient transfection
Figura 15: caratteristiche principali del vettore
3
II. Plasmide pcDNA3.1 (Invitrogen, USA)
Figura 16: struttura del plasmide pcDNA3.1
Figura 7: caratteristiche principali del vettore pcDNA 3.1
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III. Sequenze delle 3 emoagglutinine in analisi nel lavoro di diploma
i. HA A/CA/04/09
ATGAAGGCAATACTAGTAGTTCTGCTATATACATTTGCAACCGCAAATGCAGACACATTATGTATAGGTTATCATGCGAACAATTCAACAGACACTGTAGACACAGTACTAGAAAAGAATGTAACAGTAACACACTCTGTTAACCTTCTAGAAGACAAGCATAACGGGAAACTATGCAAACTAAGAGGGGTAGCCCCATTGCATTTGGGTAAATGTAACATTGCTGGCTGGATCCTGGGAAATCCAGAGTGTGAATCACTCTCCACAGCAAGCTCATGGTCCTACATTGTGGAAACACCTAGTTCAGACAATGGAACGTGTTACCCAGGAGATTTCATCGATTATGAGGAGCTAAGAGAGCAATTGAGCTCAGTGTCATCATTTGAAAGGTTTGAGATATTCCCCAAGACAAGTTCATGGCCCAATCATGACTCGAACAAAGGTGTAACGGCAGCATGTCCTCATGCTGGAGCAAAAAGCTTCTACAAAAATTTAATATGGCTAGTTAAAAAAGGAAATTCATACCCAAAGCTCAGCAAATCCTACATTAATGATAAAGGGAAAGAAGTCCTCGTGCTATGGGGCATTCACCATCCATCTACTAGTGCTGACCAACAAAGTCTCTATCAGAATGCAGATACATATGTTTTTGTGGGGTCATCAAGATACAGCAAGAAGTTCAAGCCGGAAATAGCAATAAGACCCAAAGTGAGGGATCAAGAAGGGAGAATGAACTATTACTGGACACTAGTAGAGCCGGGAGACAAAATAACATTCGAAGCAACTGGAAATCTAGTGGTACCGAGATATGCATTCGCAATGGAAAGAAATGCTGGATCTGGTATTATCATTTCAGATACACCAGTCCACGATTGCAATACAACTTGTCAAACACCCAAGGGTGCTATAAACACCAGCCTCCCATTTCAGAATATACATCCGATCACAATTGGAAAATGTCCAAAATATGTAAAAAGCACAAAATTGAGACTGGCCACAGGATTGAGGAATATCCCGTCTATTCAATCTAGAGGCCTATTTGGGGCCATTGCCGGTTTCATTGAAGGGGGGTGGACAGGGATGGTAGATGGATGGTACGGTTATCACCATCAAAATGAGCAGGGGTCAGGATATGCAGCCGACCTGAAGAGCACACAGAATGCCATTGACGAGATTACTAACAAAGTAAATTCTGTTATTGAAAAGATGAATACACAGTTCACAGCAGTAGGTAAAGAGTTCAACCACCTGGAAAAAAGAATAGAGAATTTAAATAAAAAAGTTGATGATGGTTTCCTGGACATTTGGACTTACAATGCCGAACTGTTGGTTCTATTGGAAAATGAAAGAACTTTGGACTACCACGATTCAAATGTGAAGAACTTATATGAAAAGGTAAGAAGCCAGCTAAAAAACAATGCCAAGGAAATTGGAAACGGCTGCTTTGAATTTTACCACAAATGCGATAACACGTGCATGGAAAGTGTCAAAAATGGGACTTATGACTACCCAAAATACTCAGAGGAAGCAAAATTAAACAGAGAAGAAATAGATGGGGTAAAGCTGGAATCAACAAGGATTTACCAGATTTTGGCGATCTATTCAACTGTCGCCAGTTCATTGGTACTGGTAGTCTCCCTGGGGGCAATCAGTTTCTGGATGTGCTCTAATGGGTCTCTACAGTGTAGAATATGTATT ii. HA A/SC/1/18
CCCGGGTACCGTCAAAATGAAAGCCAAACTGCTGGTCCTGCTGTGCACCTTCACCGCAACCTACGCCGACACTATCTGTATTGGGTATCACGCTAACAACTCCACCGACACAGTGGATACCGTCCTGGAGAAGAACGTGACTGTCACCCACAGTGTGAACCTGCTGGAAGACTCACATAATGGGAAGCTGTGCCTGCTGAAAGGAATCGCACCACTGCAGCTGGGAAACTGCAGCGTGGCAGGATGGATTCTGGGGAATCCCGAGTGTGAACTGCTGATCTCCAAGGAGTCATGGAGCTACATTGTGGAGACTCCAAACCCCGAAAATGGAACCTGCTACCCCGGCTATTTTGCCGATTATGAGGAACTGCGGGAGCAGCTGAGCTCCGTGTCTAGTTTCGAGAGATTTGAAATCTTCCCTAAAGAATCAAGCTGGCCAAATCACACAGTGACTGGGGTCTCCGCCTCTTGTAGTCATAACGGAAAGTCCTCTTTCTACCGAAATCTGCTGTGGCTGACAGGCAAAAACGGGCTGTACCCTAATCTGTCAAAGAGCTATGTGAACAATAAGGAGAAAGAAGTGCTGGTCCTGTGGGGAGTCCACCATCCACCTAACATCGGGAATCAGCGCGCTCTGTACCACACCGAGAACGCATATGTGAGCGTGGTCAGTTCACATTACAGCCGGCGGTTCACCCCAGAGATCGCAAAGCGACCTAAAGTGCGGGACCAGGAAGGCAGGATTAATTACTATTGGACACTGCTGGAGCCCGGCGATACTATCATTTTCGAAGCCAACGGGAATCTGATCGCTCCTTGGTATGCATTTGCCCTGAGCCGCGGATTCGGATCCGGAATCATTACTTCTAACGCCCCTATGGACGAGTGCGATGCTAAGTGTCAGACCCCACAGGGCGCCATCAACAGCTCCCTGCCATTTCAGAATGTGCACCCCGTCACTATTGGAGAGTGCCCTAAATACGTGCGGAGCGCCAAGCTGAGGATGGTCACCGGCCTGCGCAACATCCCATCCATTCAGAGCCGGGGCCTGTTTGGCGCTATCGCAGGATTCATTGAGGGAGGATGGACCGGAATGGTGGACGGATGGTACGGATATCACCATCAGAATGAACAGGGATCTGGCTACGCCGCTGATCAGAAGAGTACCCAGAACGCTATCAATGGGATTACAAACAAAGTGAATAGCGTCATCGAGAAGATGAACACCCAGTTTACAGCAGTGGGCAAGGAGTTCAACAAGCTGGAGAGGCGCATGGAAAACCTGAATAAGAAAGTGGACGATGGCTTTCTGGACATTTGGACATACAACGCAGAGCTGCTGGTCCTGCTGGAGAATGAAAGAACTCTGGACTTCCACGATTCTAACGTGAAAAATCTGTATGAGAAGGTCAAAAGCCAGCTGAAGAACAATGCTAAAGAGATCGGGAACGGATGTTTCGAGTTCTACCATAAGTGCAACAATGAGTGTATGGAATCCGTGAAAAACGGCACATACGACTATCCCAAGTATAGTGAGGAATCAAAGCTGAATCGGGAGAAAATTGATGGGGTGAAGCTGGAAAGCATGGGAGTCTACCAGATCCTGGCAATCTACTCCACTGTGGCCTCTAGTCTGGTGCTGCTGGTCTCTCTGGGGGCTATTTCATTTTGGATGTGCTCTAACGGGTCCCTGCAGTGTAGGATCTGTATCTAAAGCGGCCGCGACT Le sequenze sono state eseguite dalla ditta Microsynth e visualizzate con programma per il computer
chiamato FinchTV.
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IV. Confronto tra la sequenza amminoacidica delle tre emoagglutinine in analisi
Figura 21: sequenze aminoacidiche delle tre emoagglutinine in analisi. In verde sono evidenziati gli amminoacidi altamente conservatidella stem, in blu quelli altamente conservati della globular head mentre in rosso sono evidenziati gli amminoacidi glicosilati chedeterminano quindi un notevole cambiamento a livello del riconoscimento anticorpale dell’emoagglutinina. Come si può ben notare icambiamenti più significativi sono a carico dell’emoagglutinina del virus influenzale New Caledonia (influenza stagionale).L’allineamento delle sequenze amminoacidi che è stato effettuato con CLC Maniworkbench
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V. Risultati ottenuti al FACS ed elaborato con Flowjo 9.3.1
Schema dei campioni analizzati che può essere applicato ai risultati riportati immediatamente sotto; da
notare che tutti i sieri sono stati diluiti 1/500
D1 D2 D3 D4 D5 D6 D7
D8 D9 D10 D11 D12 D13 D14
D15 D16 D17 D18 D19 D20 D21
D22 D23 D24 D25 D26 D27 D28
D29 D30 D31 D32 D33 D34 STH 08
MTH08 SNA 08 RBE 08 GDA 08 DCO 08 ALA 09 EBR 09
GCO 09 STH 09 JCH 09 MTH 09 STH 09 ISA 09 GNDA 09
DPI 09 DCO 09 DLI 10 DCO 10 HSR 10 DPI 10 GBO 10
RBE 10 STH 10 MTH 10 AKA 10 CSI 10 TBR 10 STH10
MMI 10 BGU 10 CTR + CTR - MOCK
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A/CA/04/09
9
A/SC/1/18
10
A/NC/20/99
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Vietnam
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13
VI. Risultati elaborati con Flowjo 9.3.1 e rivisti con Microsoft Office Excel 2007