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I patrimoni destinati ad uno specifico affare.

Mar 29, 2023

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ALBERTO DELL’ATTI

I PATRIMONI DESTINATIAD UNO SPECIFICO AFFARE

CACUCCI EDITORE - BARI - 2005

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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

© 2005 Cacucci Editore - BariVia Nicolai, 39 - 70122 Bari – Tel. 080/5214220http://www.cacucci.it e-mail: [email protected] sensi della legge sui diritti d’Autore e del codice civileè vietata la riproduzione di questo libro o di parte di essocon qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo difotocopie, microfilms, registrazioni o altro, senza il con-senso dell’autore e dell’editore.

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Al mio nipotino Giovanni

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Nel mentre il presente lavoro era in corso di stampa, il ComitatoEsecutivo dell’Organismo Italiano di Contabilità, in data 13/07/2005,approvava il testo definitivo dell’OIC n. 2, contenente (in appendice)anche le modifiche apportate ai Doc. n. 12 e n. 22 dei Principi Con-tabili Nazionali relativi rispettivamente agli schemi di bilancio ed aiconti d’ordine.

Dalla lettura di tale documento ricaviamo come non vi siano si-gnificative modifiche rispetto alla bozza da noi precedentemente esa-minata, tant’è che permangono i nostri dubbi su taluni aspetti, so-prattutto con riferimento ai metodi di contabilizzazione degli apportidei terzi.

Abbiamo, tuttavia, ritenuto utile riportare in appendice il testo in-tegrale dell’OIC n. 2, onde consentire una più agevole lettura del la-voro.

NOTA DELL’AUTORE

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Nota dell’autore 7Introduzione 11

CAPITOLO IIL CONCETTO DI PATRIMONIO AZIENDALE

1. Il concetto di patrimonio aziendale 132. Complementarità e unitarietà dei beni costituenti il patrimonio 163. Le relazioni tra patrimonio e reddito 19

CAPITOLO III PATRIMONI DESTINATI AD UNO SPECIFICO AFFARE

1. Premessa 232. L’origine dei patrimoni destinati 253. Profili giuridici dei patrimoni destinati 27

3.1 L’analisi del “modello operativo” 283.2 L’analisi del “modello finanziario” 37

CAPITOLO IIIPROFILI CONTABILI E RAPPRESENTAZIONE IN BILANCIO

1. Obblighi contabili 432. Rappresentazione in bilancio 50

INDICE

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3. Ulteriori approfondimenti 563.1 Sugli apporti dei terzi nel modello operativo 563.2 Sulle perdite derivanti dal patrimonio destinato 57

4. Rendiconto finale 585. Strumenti finanziari partecipativi 586. Un modello alternativo a quello proposto dall’O.I.C. 60

CAPITOLO IVGLI ASPETTI FISCALI DEI PATRIMONI DESTINATI

1. La carenza di soggettività passiva nel patrimonio destinato 632. Le proposte della “Commissione Gallo” 653. La disciplina degli strumenti finanziari e la tutela del fisco 68

CAPITOLO VIL CONFRONTO CON ALTRI ISTITUTI GIURIDICI E POSSIBILI

APPLICAZIONI DELL’ISTITUTO DEI PATRIMONI SEPARATI

1. Gli altri istituti giuridici già presenti nel nostro ordinamento 732. Le tracking stocks 773. Possibilità applicative dei patrimoni destinati nelle operazioni

di leveraged financing e di project financing 804. Possibilità applicative dei patrimoni destinati nelle Captive

Companies 85

CAPITOLO VIIL CONFRONTO CON LA DISCIPLINA CONTABILE E FISCALE

DELL’ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE E DEL TRUST

1. Gli aspetti contabili 872. Gli aspetti fiscali 93

Conclusioni 99

Appedice 103

Bibliografia 133

10 Indice

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L’istituto dei patrimoni destinati a uno specifico affare rappresen-ta una delle più significative quanto dibattute novità introdotte dal D.Lgs. n. 6 del 17 gennaio 20031.

Come è noto, con la costituzione di un patrimonio destinato le so-cietà a base azionaria, da un lato, destinano una parte del patrimoniosociale a specifiche attività previste nell’oggetto sociale, sottraendola stessa alle pretese dei creditori della società, dall’altro lato, reperi-scono capitale (non di origine bancaria) per la realizzazione di unospecifico affare, ponendo a garanzia della sua restituzione i proventigenerati dalla gestione dell’affare stesso.

Il nuovo istituto riflette l’esigenza oramai evidente di costruirel’impianto normativo sulla scorta delle esperienze e delle influenze dipaesi “dominanti”, primi fra tutti quelli nordamericani. D’altra parte,la riforma è interamente ispirata dal tentativo di fondo di introdurrenel nostro sistema normativo vantaggi competitivi e comparativi,specie in relazione al finanziamento delle imprese, in un quadro diconcorrenza tra ordinamenti.

L’istituto dei patrimoni destinati può assumere una duplice veste,quella, cioè, del “modello operativo” (definito anche “modello indu-striale”) e quella del “modello finanziario”.

L’impiego del modello operativo si pone come l’alternativa allacostituzione di un’apposita società controllata avente come fine il

INTRODUZIONE

1 Come è noto, detto decreto, emesso in attuazione della delega conferita dalla Legge 3 ottobre2001, n. 366, ha introdotto rilevanti novità nella disciplina delle società di capitali e delle societàmutualistiche. Il provvedimento di riforma è entrato in vigore solo a partire dal 1º gennaio 2004,dopo una vacatio legis, tesa a consentire ai soggetti destinatari di adeguarsi alla nuova disciplinamodificando i rispettivi statuti.

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perseguimento di uno specifico obiettivo e, quindi, responsabile perle obbligazioni assunte solo ed esclusivamente nei limiti del patrimo-nio in essa conferito. Invero, se il legislatore avesse concepito l’isti-tuto in modo tale da attribuire rilevanza esterna ai patrimoni e crearedelle autonome entità giuridiche, probabilmente avrebbe parlato di“capitale separato” e non di “patrimonio dedicato”; inoltre, avrebbecreato una sorta di gruppo endosocietario formato da più sub-societàall’interno della società destinante.

Il presente lavoro mira ad analizzare i diversi aspetti che caratte-rizzano l’istituto in questione, anche alla luce dell’emanazione dellabozza del Doc. n. 2 dell’O.I.C. Ciò partendo dalle implicazioni di na-tura giuridica, per poi approfondire quelle di natura economico-con-tabile e fiscale.

Ai fini di una più chiara comprensione del fenomeno, è stata ope-rata un’analisi comparativa tra l’istituto in oggetto ed altri istituti chepresentano forti connotazioni similari, quali l’associazione in parte-cipazione, l’associazione temporanea d’impresa, le tracking stocks,le special purpose entities, il trust, nonché le possibilità di applica-zione del medesimo istituto in operazioni di project financing e di le-veraged financing e nelle captive companies.

Con il presente lavoro non si è certo preteso di fornire una solu-zione univoca ai numerosi dubbi ed alle differenti interpretazioni al-le quali si presta la lettura della norma civilistica, ma si è tentato diporre in luce le diverse problematiche che si presume possano sorge-re a seguito dell’adozione del nuovo istituto.

Un profondo ringraziamento sento di rivolgere al mio Maestro, ilProf. Nicola Di Cagno, per i suoi costanti suggerimenti ed i preziosispunti di riflessione.

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SOMMARIO: 1. Il concetto di patrimonio aziendale. - 2. Complementarietà e uni-tarietà dei beni costituenti il patrimonio. - 3. Le relazioni tra patrimonio ereddito.

1. Il concetto di patrimonio aziendale

Notoriamente, l’istituzione dell’azienda, così come il successivofunzionamento, implica la raccolta ed il contestuale impiego dei mez-zi necessari ad implementare la struttura produttiva; ciò in armonicacoordinazione con le altre componenti del sistema aziendale, vale adire le persone e l’organizzazione1.

Tali mezzi costituiscono, in un’accezione molto approssimata, ilcapitale dell’impresa, ovvero, utilizzando un’altra terminologia, lasua dotazione patrimoniale.

È opportuno evidenziare che, la differenza tra capitale e patrimo-nio è tutt’altro che limitata al solo aspetto lessicale, nonostante moltistudiosi, tra aziendalisti e giuristi, utilizzino indifferentemente i duetermini per indicare ora l’una ora l’altra grandezza.

Invero, in ambito giuridico, si utilizza il termine patrimonio perdefinire il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi che fan-no capo alla società, mentre il termine capitale sta ad indicare l’en-

CAPITOLO I

IL CONCETTO DI PATRIMONIO AZIENDALE

1 Sulla nozione di sistema aziendale e sulle sue connotazioni si veda più diffusamente: DI CA-GNO N.-ADAMO S.-GIACCARI F., Lezioni di Economia Aziendale, Cacucci, Bari, 2003, pp. 33 esegg. Si veda, inoltre: AMADUZZI A., Il sistema dell’impresa nelle condizioni prospettiche del suoequilibrio, Signorelli, Roma, 1949.

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tità numerica pari al valore attribuito ai conferimenti in sede dicostituzione2.

Indirizzando lo sguardo a quello che è il nostro campo d’indagine,si ricorda come la dottrina economico-aziendale tedesca operi unanetta distinzione tra le due nozioni, impiegando il termine capitale(Kapital) per indicare la fonte dei mezzi presenti in azienda e quellodi patrimonio (Vermögen) per riferirsi agli impieghi destinati a pro-durre reddito3.

Per cui, mentre il capitale rappresenta la somma delle fonti di fi-nanziamento proprie e di terzi, il patrimonio è un qualcosa di cui sipuò disporre, come fa pensare la matrice latina del termine che evo-ca “beni e prerogative”.

In particolare, taluni aziendalisti definiscono il patrimonio come ilcomplesso dei beni e dei finanziamenti contratti per la loro acquisi-zione che, in un determinato periodo di tempo, sono a disposizionedell’impresa per lo svolgimento della sua attività, mentre il capitale èil valore attribuito in un dato istante agli elementi che compongono ilpatrimonio stesso4.

Sul punto molti studiosi hanno tentato di fare chiarezza.In generale, con il termine “capitale”, si definisce alternativamente:

– il complesso di tutti i beni e diritti facenti capo all’impresa, vale adire di tutte le attività (si parla anche di “capitale investito”, “ca-pitale lordo”, “capitale investito lordo”, “capitale di funzionamen-to”, “capitale a disposizione”, ecc.);

– la differenza tra tutte le attività e le passività (si usano anche leespressioni “capitale netto”, “capitale di funzionamento netto”,“capitale proprio”, “capitale di rischio” e simili).Si comprende, quindi, che il termine capitale, nelle diverse espres-

sioni appena esposte, non è stato utilizzato con riferimento alle cor-rette nozioni di capitale e di patrimonio, ma si è basato sull’uso indi-stinto dei due termini che è invalso nella prassi5.

2 CAMPOBASSO G., Diritto commerciale, Utet, Torino, 2002, pp. 7-9; FERRI G., Manuale di dirittocommerciale,Utet, Torino, 2001, pp. 335-7; TANTINI G., Capitale e Patrimonio nelle SpA, Cedam,Padova, 1980, p. 21; DI SABATO F., Manuale delle società, Utet, Torino, 1989, pp. 262 e ss..

3 NICKLISCH H., Die Betriebwirtschaft, Stoccarda, 1932, pp. 34-6 e 90 in particolare.4 MELLA P., Economia aziendale, Utet, Torino, 1992, p. 335; MASINI C., Lavoro e risparmio,

UTET, Torino, 1970, pp. 248 e ss.; CATTANEO M., Il bilancio di esercizio nelle imprese, Etas libri,Milano, 1979, pp.71 e ss..

5 Ulteriori nozioni di capitale possono vedersi a seconda degli aspetti indagati e dei criteri divalutazione seguiti; ad esempio, risulta sicuramente differente la nozione di “capitale economico”,inteso come valore attribuibile al capitale proprio in funzione degli utili che lo stesso è in gradodi generare, dal valore di mercato di un’impresa, quale prezzo che un soggetto sarebbe disposto apagare per l’acquisto della stessa. Per una trattazione accurata si rinvia a CAPALDO P., Reddito, ca-pitale e bilancio di esercizio, Giuffrè, Milano, 1998, pp. 34 e ss. ed inoltre pp. 132-8.

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Il concetto di patrimonio aziendale 15

Evidentemente, nella fase costitutiva dell’azienda, e sotto l’ipote-si estremamente semplificativa che si abbiano unicamente conferi-menti di denaro, le due entità, patrimonio e capitale, hanno la mede-sima consistenza, appunto perché il patrimonio è costituito solo dagliapporti monetari6.

Ma per effetto dell’attività produttiva, intesa quale «processo incui confluiscono utilità e da cui utilità accresciute si ottengono»7, imezzi finanziari iniziali si convertono in mezzi economici e questi, aloro volta, si riconvertono in mezzi finanziari, in guisa talmente di-namica che, una volta avviata l’attività aziendale, il patrimonio risul-terà diverso e mutevole in ogni istante osservato8. Si perde, irreversi-bilmente, la coincidenza tra patrimonio e capitale che si era scortaprecedentemente, all’inizio dell’attività aziendale9.

Tradizionalmente, le risorse a disposizione dell’azienda erano ri-condotte ai fattori produttivi in senso stretto: il capitale monetario edil lavoro. Conseguentemente, il patrimonio aziendale poteva identifi-carsi con l’insieme dei beni acquisiti, prevalentemente materiali.

È noto, però, che nel corso degli anni il concetto di risorsa azien-dale si è ampliato notevolmente, comprendendo elementi nuovi eparticolari, determinando così un concetto rinnovato di patrimonio.Infatti, oltre ai beni (materiali e immateriali) acquisiti dall’esterno at-traverso processi di scambio o prodotti internamente attraverso ope-razioni di trasformazione dei fattori produttivi, occorre considerareun elemento strategico per il successo delle imprese, vale a dire laconoscenza.

Tale risorsa può sinteticamente individuarsi nelle capacità indivi-duali (quali la professionalità e la managerialità), nella cultura conso-lidata in azienda, nella fiducia stratificata sia all’interno che all’ester-no di essa. A tal riguardo, con l’espressione “patrimonio allargato” sisottolinea il fatto che le risorse aziendali comprendono componentiche non compaiono nel patrimonio espresso in termini contabili10.

6 Le diverse problematiche che si presentano in questo primo stadio della vita aziendale sonoampiamente affrontate da PODDIGHE F., L’azienda nella fase istituzionale, Edizioni Plus, Pisa, 2001.

7 AMODEO D., Ragioneria generale delle imprese, Giannini, Napoli, 2002, p. 74.8 In altre parole, si compie «una sorta di rotazione tra mezzi finanziari e mezzi economici».

CASSANDRO P. E., Trattato di ragioneria, Cacucci, Bari, 1986, p. 134.9 L’aspetto temporale è preso quale parametro distintivo tra patrimonio e capitale da Mella che

definisce il patrimonio d’impresa un «monte o un fondo di ricchezza da gestire» in un dato pe-riodo di tempo, mentre il capitale rappresenta «il valore attribuito agli elementi del patrimonio inun dato istante». MELLA P., Contabilità e bilancio, Utet, Torino, 1993, cit., p. 174 e inoltre Eco-nomia, cit., p. 335.

10 CODA V., Il problema della valutazione della strategia in GOZZI A. (a cura di), La definizio-ne e la valutazione delle strategie aziendali, Etas Libri, Milano, 1991 ed inoltre BRUNI G., Con-tabilità del valore, Giappichelli Editore, Torino, 1999, pp. 61 e ss..

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Per altro verso, guardando al significato finanziario del patrimo-nio, l’impresa può essere vista quale centro di investimenti. Le atti-vità costituirebbero gli investimenti attuati dall’impresa, le passivitàed il capitale conferito dalla proprietà costituirebbero i finanziamentiricevuti. Volendo rendere il concetto più circolare, si potrebbe affer-mare che «le risorse finanziarie investite nell’azienda vengono a lo-ro volta investite dall’azienda per formare la struttura produttiva»11.

Quanto sopra detto, evidenzia l’esistenza di opinioni divergentisulla differenza tra la nozione di “capitale” e quella di “patrimonio”;ciò giustifica, a parere di chi scrive, almeno in determinati contesti,l’uso alternativo dei due termini per esprimere lo stesso concetto.

2. Complementarità e unitarietà dei beni costituenti il patrimonio

Atteso che il patrimonio aziendale è il complesso dei beni a di-sposizione dell’imprenditore, emerge immediatamente quanto sia ri-levante l’aspetto della effettiva disponibilità di tali beni12. Invero, ifattori produttivi possono essere definiti tali solo se l’azienda puòtrarre da essi utilità economica, indipendentemente dall’esistenza diun diritto di proprietà.

Ciò significa che vi è la prevalenza dell’aspetto economico su quel-lo giuridico, per cui un bene che non è di proprietà dell’azienda deveessere, comunque, considerato ugualmente come componente delpatrimonio, se la stessa gode della sua “disponibilità di fatto” pur inmancanza della “disponibilità di diritto”13. Parallelamente, se l’azien-da è proprietaria di un bene che le è stato sottratto o possiede un cre-dito ritenuto inesigibile, né quel bene né quel credito possono essereconsiderati componenti patrimoniali dell’azienda, poiché in tal casoalla disponibilità di diritto non corrisponde una disponibilità di fatto.

11 MELLA P., Economia aziendale, op. cit., p. 339.12 Con il termine “beni” ci si vuol riferire, in questo contesto, ai fattori produttivi aziendali.

Tuttavia, in dottrina è stato spesso ampliato il significato connesso a tale termine. Il Besta consi-dera “beni patrimoniali”: «i beni di propria esclusiva proprietà, la propria quota dei beni posse-duti in comunione, i beni che si possono pretendere da altri, i beni che si devono altrui in un tem-po più o meno lontano». In tal modo, l’autore include tra i beni patrimoniali anche i debiti e le al-tre passività che, in quanto tali, costituiscono il passivo del patrimonio. BESTA F., La ragioneria,Vallardi, Milano, p. 70.

13 A conferma di ciò si vedano: ZAPPA G., Il reddito d’impresa, Giuffrè, Milano, 2^ ediz. p. 65e AMODEO D., Ragioneria, cit., p. 70. Al contrario, taluni hanno ritenuto possibile parlare di benidell’azienda solo qualora si sia in presenza sia di una disponibilità di diritto che di una disponibi-lità di fatto di tali beni; tra gli altri, si veda AMADUZZI A., L’azienda nel suo sistema e nei suoiprincipi, Utet, Torino, 1978.

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Il concetto di patrimonio aziendale 17

Oltre al requisito della disponibilità, i beni aziendali devono sod-disfarne altri per essere definiti tali, e cioè:– devono cedere efficacemente la loro utilità in combinazione con

gli altri fattori produttivi;– la loro utilità deve essere compatibile con la specifica attività

svolta dall’impresa14.Il patrimonio risulta, quindi, caratterizzato da forti legami di com-

plementarità e di interdipendenza tra i diversi componenti. Ne conse-gue che, se esso risulta costituito da n fattori, ognuno di tali fattoripossiede un’utilità propria e un’ulteriore utilità derivante da quellaceduta dagli altri n-1 fattori15. Proprio tali vincoli di complementa-rità ed interdipendenza fanno sì che il valore del complesso azien-dale risulti maggiore della somma algebrica dei valori dei suoicomponenti.

Ciò detto, ciascun elemento patrimoniale svolge un ruolo all’in-terno dell’azienda, partecipando al processo produttivo in base a de-terminati criteri e modalità16. Ma la creazione di valore che l’aziendaintende perseguire nel tempo, deriva proprio da una coordinata ces-sione di utilità da parte dei fattori produttivi impiegati.

Infatti, un singolo bene, impiegato isolatamente, può non cederealcuna utilità oppure cedere un’utilità inferiore rispetto a quella ce-duta in coordinamento con altri fattori. All’utilità del fattore pensatoal di fuori del patrimonio aziendale si fa riferimento nella fase finaledella vita di un’azienda, ovvero quando viene meno la complementa-rità tra i suoi beni e del complesso aziendale non rimane che un “ag-gregato di liquidazione”17.

Riguardo ai mezzi aziendali si può giungere a varie classificazio-ni. In primo luogo, essi sono costituiti sia da fattori specifici o tecni-ci destinati all’utilizzo diretto nel processo produttivo dell’azienda(ad es. impianti, macchinari, brevetti, ecc.), sia da fattori genericirappresentati dal denaro e, quindi, da un potere d’acquisto che rendepossibile l’acquisizione di mezzi tecnici.

Si può anche distinguere tra beni materiali e beni immateriali, inbase alla presenza o meno del carattere della tangibilità. Questi ulti-mi, in particolare, possono essere rappresentati da diritti giuridica-

14 DI CAGNO N., ADAMO S., GIACCARI F., Lezioni, cit., pp. 74 e ss..15 AMADUZZI A., L’azienda, cit., p. 92. Si leggano inoltre: CASSANDRO P.E., Trattato, cit.; SAR-

CONE S., L’azienda, Giuffré, Milano, 1997; SORCI C., Lezioni di economia aziendale, Giuffré, Mi-lano, 2002.

16 BERTINI U., Il sistema d’azienda, Giappichelli, Torino, 1990, p. 55.17 FERRERO G., Impresa e management, Giuffré, Milano, 1987, p. 12; AMADUZZI A., L’azienda

nel suo insieme e nell’ordine delle sue rilevazioni, Utet, Torino, 1975, p. 92.

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mente tutelati (come i marchi, i brevetti, ecc.), dall’opera dei lavora-tori dipendenti, dai “servizi” che l’azienda può acquisire dall’esterno,da investimenti in marketing, in ricerca e sviluppo, ecc.18.

Un’altra fondamentale classificazione è quella che si basa sull’at-titudine del fattore a cedere la sua utilità economica in uno o in piùprocessi produttivi. Nel primo caso si parlerà di fattori produttivi afecondità semplice, nel secondo caso di fattori produttivi a feconditàripetuta.

Inoltre, nello svolgimento dell’attività produttiva, vi sono benidetti “accessori” di cui l’impresa può anche fare a meno (come gliimmobili che vengono ceduti in locazione a terzi) e beni detti “prin-cipali” che risultano indispensabili per il tipo di attività svolta.

Il patrimonio aziendale può anche comprendere beni “congiunti”e beni “succedanei”19. I primi sono beni che vengono inevitabil-mente prodotti congiuntamente attraverso un unico processo produt-tivo, nel senso che gli uni non possono essere prodotti senza che sirealizzi la produzione degli altri. I secondi sono quei beni che, inpresenza di determinate condizioni sia interne all’azienda sia ester-ne, possono sostituire altri beni diversi nello svolgimento di alcuniprocessi produttivi.

Inoltre, nel patrimonio si possono distinguere gruppi di beni chedevono o possono essere convenientemente impiegati in modo con-giunto nei processi produttivi. Essi si dicono “complementari” inquanto caratterizzati da una complementarità più ristretta rispetto aquella generale del complesso dei beni aziendali. Per fare un esempiosi può pensare alle singole macchine di un complesso produttivo diun’impresa industriale.

Nonostante le diversità riscontrabili tra i beni aziendali, di cui si ècercato di illustrare le più comuni classificazioni, non si deve perde-re di vista la caratteristica dell’unitarietà che li contraddistingue.Questi elementi, così eterogenei per natura e funzione, proprio invirtù dei vincoli di complementarità ed interdipendenza, costituisco-no un’entità inscindibile, una massa avente un’utilità strumentale ri-spetto al raggiungimento dei fini aziendali20. Tutti gli elementi delpatrimonio, proprio perché coordinati insieme in una specifica com-binazione produttiva, definiscono l’identità dell’azienda.

All’interno del complesso aziendale si vengono a formare, neltempo, ulteriori risorse rappresentate da informazioni e conoscenze

18 DI CAGNO N., ADAMO S., GIACCARI F., Lezioni, cit., pp. 75-6.19 AMODEO D., Ragioneria, cit., pp. 82-3.20 PAOLONE G., Il bilancio di esercizio, vol. I, Giappichelli Editore, Torino, 1992, pp. 119 e ss..

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Il concetto di patrimonio aziendale 19

che contribuiscono a differenziare sempre più un’azienda dalle al-tre21. In altre parole, il patrimonio aziendale configura un sistema dicondizioni operative che si forma nel tempo attraverso processi di ac-cumulazione, innovazione, apprendimento. Esso è l’insieme di tuttele risorse che, trovando o meno quantificazione nel sistema informa-tivo-contabile, concorrono alla vitalità della gestione aziendale, percui il concetto di patrimonio si allarga a tutta la struttura produttivadell’impresa, alle sue potenziali capacità22, alla solidità e all’intuitodel suo governo.

3. Le relazioni tra patrimonio e reddito

Il concetto di patrimonio è strettamente correlato a quello direddito.

Delineate le caratteristiche fondamentali del sistema impresa edella relativa struttura patrimoniale, si vuole indagare sulla dimensio-ne operativa della stessa.

Ricordando la felice intuizione di Zappa, si può affermare che lagenerica funzione dell’operare economico risiede nel soddisfacimen-to dei bisogni umani. Ciò avviene sia attraverso i processi di consu-mo delle aziende di erogazione, dove la soddisfazione del bisogno èimmediata, sia attraverso i processi di produzione delle imprese, lacui attività costituisce strumento mediato nel procacciare i mezzi ne-cessari al soddisfacimento di vecchie e nuove esigenze.

Simili obiettivi possono essere raggiunti solo attraverso un re-sponsabile processo di “creazione del valore” ed una sua equa distri-buzione tra gli attori economico-sociali che ne hanno permesso laformazione23: valore, quindi, non solo per l’impresa, ma per l’interacollettività.

21 In proposito Masini osserva: «Il patrimonio non è dato da un insieme di cosiddette consi-stenze di beni. Infatti, quando il patrimonio si osserva nel sistema dei valori di azienda, i valo-ri che lo compongono sono espressione di condizioni produttive e di consumo di varia specie,quindi anche di organizzazione e di sistema di informazioni di azienda». MASINI C., Lavoro…,cit., p. 252.

22 Emerge al riguardo «il concetto di intangible inteso come immobilizzazione immateriale dinatura endogena, che si forma nel tempo per effetto dell’attività aziendale e che viene a costitui-re un punto di forza e di vantaggio per l’impresa». MARCHI L. (a cura di), Introduzione all’eco-nomia aziendale, Giappichelli Editore, Torino, 1998, p. 337. Per un approfondimento sulle meto-dologie di valutazione dei beni immateriali si rinvia a ZANDA G., Casi ed applicazioni di valuta-zione delle aziende, Giappichelli Editore, Torino, 1996.

23 In tale ordine di idee: CATTURI G., La teoria dei flussi e degli stocks ed il “sistema dei valo-ri” d’impresa, Padova, 1994. Analogamente: DI CAGNO, ADAMO S., GIACCARI F., Lezioni….., op.cit., p. 25.

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A tale condizione di economicità risulta direttamente connesso ilcarattere della continuità: l’impresa deve tendere a perpetuare i suoiprocessi nel tempo, guidata in ciò dal continuo rinnovamento dellesue componenti. Questa proiezione temporale del sistema aziendalepuò essere vista come uno degli aspetti più immediati della sua auto-nomia, ovvero della sua capacità di perseguire ed attuare condizionidi equilibrio tese a realizzare l’attività di produzione o di consumoper la quale è stato costituito24.

Alla luce di quanto detto, risulta lapalissiano come reddito e capi-tale non siano fenomeni distinti, ma rappresentino un tutt’uno, un fat-to unitario e complesso; per cui, la frequente rappresentazione chevede il capitale come l’“albero” e il reddito come il “frutto” che daesso si stacca, risulta sicuramente infelice.

Esse sono due entità interdipendenti25, due momenti di uno stessofenomeno, cioè il “risparmio”. Invero, il risparmio genera il capitale,il quale produce il reddito che a sua volta si consolida, in tutto o inparte, nel capitale.

Tale processo prende avvio, appunto, dall’impiego del risparmionell’acquisizione dei mezzi necessari per lo svolgimento dell’attivitàproduttiva, e si conclude con la collocazione finale dei prodotti suimercati di sbocco, consentendo il ripristino delle disponibilità finan-ziarie originariamente investite ed un eventuale surplus. Eccedenza,quest’ultima, che rappresenta l’utile conseguito ed il possibile incre-mento di capitale26.

Il legame tra le due grandezze risulta ancor più immediato se siconsidera che gran parte delle loro variazioni scaturisce dalla positivacorrelazione tra le utilità complesse ottenute e le utilità semplici uti-lizzate. In tal senso è possibile affermare che: «il capitale rappresentautilizzazioni future e remunerazioni relative a utilizzazioni future, lad-dove il reddito rappresenta il risultato di una comparazione tra utiliz-zazioni avvenute e remunerazioni correlative a quelle utilizzazioni»27.

24 «Errerebbe, però, chi credesse che l’autonomia dell’azienda voglia significare indipenden-za sua dall’ambiente sociale nel quale è posta e ove si svolge la sua attività. L’azienda è unsistema particolare che opera in un sistema più vasto, senza del quale non è concepibile». CAS-SANDRO P. E., Trattato….., op. cit., p. 40.

25 ZAPPA G., La determinazione del reddito nelle imprese commerciali. I valori di conto in re-lazione alla formazione dei bilanci, Milano, 1920-1929, p. 226.

26 DI CAGNO N., Informazione contabile e bilancio d’esercizio (Modello comunitario e Model-lo IAS/IFRS), Cacucci, Bari, 2004, pp. 35 e ss. Si vedano, inoltre: DE DOMINICIS U., Il reddito del-l’impresa e il suo sistema contabile, Cuneo, 1950; GIANNESSI E., Le aziende di produzione origi-naria, vol. I, Cursi, Pisa, 1960; ONIDA P., Economia d’azienda, Utet, Torino, 1971.

27 CASSANDRO P. E., Trattato, cit., p. 173.

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Il concetto di patrimonio aziendale 21

La particolare combinazione degli elementi patrimoniali determi-na la capacità dell’impresa di generare valore in quantità e guisa talida consentirle di perpetuare la sua azione nel tempo. Riconoscere ta-le ruolo propulsivo al patrimonio vuol dire attribuirgli una particola-re funzione produttiva, in grado di costituire la migliore garanzia in-diretta per tutti gli stakeholders28.

Tutto ciò premesso, si comprende bene che, più che sulle sfuma-ture terminologiche o su mere disquisizioni intorno alle definizioni dicapitale e patrimonio, è importante porre l’attenzione sugli aspettiqualitativi del complesso patrimoniale quale strumento indispensabi-le per il conseguimento dei fini aziendali, sia quando lo si consideriunitario, sia quando particolari obiettivi ne richiedano la separazione.

E proprio sull’aspetto della separazione patrimoniale che abbiamoincentrato la nostra attenzione, analizzando l’istituto dei patrimonidestinati come uno degli strumenti che consente l’enucleazione diuna parte del patrimonio aziendale da destinare al raggiungimento diobiettivi specifici, facendo venir meno il citato vincolo di comple-mentarietà ed interdipendenza tra i beni costituenti il complessoaziendale.

28 Un concetto già chiaro nel pensiero di uno dei padri dell’economia aziendale:«la garanziamigliore prestata da un’impresa ai terzi creditori è costituita dalla sua capacità di reddito deri-vante dall’attitudine dell’impresa a svolgere una produzione profittevole». ZAPPA G., Le produ-zioni nell’economia delle imprese, vol. II, Giuffrè, Milano, 1957, p. 567.

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SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. L’origine dei patrimoni destinati. - 3. Profili giuridi-ci dei patrimoni destinati. - 3.1 L’analisi del modello operativo. - 3.2 L’anali-si del modello finanziario.

1. Premessa

Il vincolo di complementarità ed unitarietà, che caratterizza i benicostituenti il patrimonio aziendale nel suo complesso, può venir meno attraverso la costituzione dei patrimoni destinati ad uno speci-fico affare.

L’istituto dei patrimoni destinati, invero, rappresenta una delle no-vità introdotte dal D. Lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003 che, come è no-to, ha modificato radicalmente le norme che disciplinano il funziona-mento delle forme societarie capitalistiche, comprese le società coo-perative.

Con le nuove disposizioni, infatti, il legislatore ha introdotto l’art.2447 bis c.c., il quale prevede che le società per azioni possono «co-stituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinati in via esclu-siva ad uno specifico affare», nonché «convenire che al rimborso to-tale o parziale del finanziamento di uno specifico affare siano desti-nati i proventi dell’affare stesso, o parte di essi»1.

In verità, tale strumento non è del tutto nuovo nel nostro ordina-mento giuridico; si pensi, infatti, alle varie fattispecie di patrimoni

CAPITOLO II

I PATRIMONI DESTINATI AD UNO SPECIFICO AFFARE

1 DI CAGNO N., Informazione, cit., pp. 257 e segg..

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separati, quali i fondi costituiti ai sensi dell’art. 2117 c.c. per la pre-videnza ed assistenza dei prestatori di lavoro, i fondi pensione cheassumano la veste di patrimonio separato rispetto al patrimonio dellasocietà che ne ha promosso la costituzione (art. 4 del D. Lgs.124/1993 come riformulato dalla L. n. 355 dell’8 agosto 1995; art. 4del D. Lgs. n. 47 del 18 febbraio 2000) ed ancora, come vedremo, levarie ipotesi di gestione separata dei vari patrimoni mobiliari (art. 22t.u.f.), i patrimoni separati nella cartolarizzazione dei crediti (art. 3della L. n. 130 del 30 aprile 1999), i patrimoni separati costituiti nel-l’ambito delle società per il finanziamento delle infrastrutture (art. 8,co. 4 D.L. n. 63 del 15 aprile 2002 convertito in L. n. 112 del 15 giu-gno 20022).

Tuttavia le fattispecie sopra citate presentano il carattere della set-torialità, sovente utilizzate al fine di sottrarre determinati interessi disettore, economicamente rilevanti, al principio della responsabilità il-limitata ex art. 2740 c.c. Al contrario, quello dei patrimoni destinatiassume le connotazioni di un istituto avente una valenza generale edespecializzata, nel senso che non prevede il compimento di un attoeconomico tipizzato.

Con le nuove disposizioni, invero, si è inteso attribuire unità siste-matica ad una parte del patrimonio per effetto del vincolo di destinazio-ne a questo impresso, senza contestualmente richiedere la soggettiviz-zazione della nuova entità. La titolarità del patrimonio separato rimane,infatti, in capo alla società costituente, tant’è che «esso è oggetto deldiritto ed il suo utilizzo è una facoltà del soggetto titolare3».

L’intento del legislatore è quello di consentire alle imprese di ri-cercare nuovi partners finanziari, favorendo la nascita, lo sviluppo ela competitività del sistema aziendale.

Di tale istituto ci occuperemo più approfonditamente in seguito,analizzando i profili giuridici, quelli economico-aziendali e contabili,tenendo ben distinte le due possibili forme di costituzione, discipli-nate, rispettivamente, dalle lett. a) e b) dell’art. 2447-bis c.c., vale adire:1) il modello definito “operativo” (art. 2447-bis, lett. a) c.c.), attra-

verso l’individuazione di beni e rapporti patrimoniali della societàche vengono separati dall’attività generale e, quindi, destinati ad

2 GIANNELLI G., I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Società di capitali – Commen-tario, a cura di Niccolini G.-Stagno D’Alcontres A., Jovene Ed., 2004, pp. 1210 e segg.

3 BERTUZZI M.-BOZZA G.-SCIUMBATA G., Patrimoni destinati, partecipazioni statali, S.A.A., vol.7, collana La riforma del diritto societario, Giuffré editore, Milano, 2003, p. 2.

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2. L’origine dei patrimoni destinati

Come già detto, i patrimoni destinati sono disciplinati dall’art.2447 bis e segg. c.c., attraverso i quali è stata data attuazione al com-ma 4° dell’art. 4 della legge delega n° 366 del 3 ottobre 2001, secon-do cui le società per azioni possono costituire «patrimoni dedicati aduno specifico affare, determinandone condizioni, limiti e modalità direndicontazione, con la possibilità di emettere strumenti finanziari dipartecipazione ad esso»4.

I patrimoni destinati ad uno specifico affare 25

uno specifico affare e contestualmente sottratti all’azione esecuti-va dei creditori sociali;

2) il modello definito “finanziario” (art. 2447-bis, lett. b) c.c.), se-condo cui il patrimonio destinato è rappresentato dai proventi de-rivanti da uno specifico affare per la cui realizzazione la società haottenuto un finanziamento da terzi.Sintetizzando quanto sopra detto, abbiamo elaborato il seguente

schema:

4 In assenza di una specifica indicazione del legislatore, sembra oramai orientamento consoli-dato estendere la possibilità della costituzione dei patrimoni destinati anche alle S.A.P.A. Al ri-guardo, appare condivisibile la conclusione di GIANNELLI, op. cit., secondo cui non vi sarebberoostacoli in tal senso atteso che la disciplina sulle S.P.A. si estende interamente alle S.A.P.A., fat-

Fig. 1 – Forme di costituzione Patrimoni Destinati

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La stessa legge delega ha anche prescritto l’adozione di adeguateforme di pubblicità, nonché la disciplina del «regime di responsabi-lità per le obbligazioni riguardanti detti patrimoni e la relativa in-solvenza».

Si ricorda, al riguardo, che la previsione di tale istituto era giàcontemplata nel cosiddetto progetto Mirone5, la cui Relazione Mini-steriale di accompagnamento così recitava: «Viene di nuovo incontroa significative esigenze della pratica, e corrisponde ad una prospet-tiva di ampliamento dell’autonomia statutaria, la soluzione indicatanell’art. 4, comma 4, lett. b), del progetto. Essa prevede infatti, intermini di rilevante novità, che la società possa destinare parte delproprio patrimonio a specifici affari e che in tal caso si possa realiz-zare una separazione patrimoniale in grado di condurre ad un regi-me di autonomia sul piano della responsabilità».

Dalla lettura della Relazione Ministeriale emergono almeno treelementi particolarmente rilevanti da considerare.

Il primo è che tale strumento ha la funzione di sviluppare lacooperazione con altri partners volta al raggiungimento di un deter-minato affare, limitando, quindi, «il proliferare di soggetti giuridi-ci ad hoc, in particolare di società, la cui durata è quella dell’af-fare6».

Il secondo aspetto è che la costituzione del patrimonio separatonon può prescindere da un’attenta attività di pianificazione volta adefinire chiaramente gli obiettivi da raggiungere e a contenere quan-to più possibile il rischio economico.

Infine, il terzo elemento sottolineato riguarda la necessità di pre-vedere degli accorgimenti tecnico-contabili atti a rappresentare conassoluta chiarezza la fattispecie in oggetto.

I patrimoni separati presentano, inoltre, delle connotazioni tali dadifferenziarli rispetto ad altri istituti apparentemente simili, introdot-ti anch’essi dalla riforma del diritto societario.

Si pensi, ad esempio, ai settori di attività per i quali è prevista l’e-missione di azioni correlate (art. 2350, co. n. 2 e 3 c.c.) che, come ènoto, possono essere emesse con riferimento ad un determinato set-

to salvo il filtro di compatibilità previsto dall’art. 2554 c.c., il quale non esclude la possibilità dicostituire patrimoni destinati ponendosi solo il problema se delle relative obbligazioni continuinoa rispondere gli accomandatari al pari delle obbligazioni sociali. In tal senso la risposta sembre-rebbe positiva.

5 È noto che, prima ancora dell’emanazione del D. Lgs. n. 6/2003 (frutto dei lavori della Com-missione Vietti), vi era già stato il tentativo di portare a termine la riforma societaria con la costi-tuzione della Commissione Mirone, della quale molto è stato ricalcato nella riforma attuale.

6 BIANCHI M. T., I patrimoni dedicati tra novità e tradizione, in Rivista Italiana di Ragioneriae di Economia Aziendale, n. 7 e 8, 2003, p. 332.

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I patrimoni destinati ad uno specifico affare 27

tore di attività e che sembrano avere una portata certamente più am-pia rispetto a quella dello specifico affare.

Invero, per tale tipologia di azioni la separazione è posta solo sottoil profilo reddituale ed ha una valenza contabile e convenzionale, manon reale. Da ciò ne consegue che la fattispecie delle azioni correlatenon integra una separazione di tipo patrimoniale propriamente intesa,ma una separazione contabile convenzionale, la quale produce effettisolo nei confronti dei soci, ma non nei confronti dei creditori.

Inoltre, l’assenza di una separazione reale patrimoniale determinatadall’emissione di tali azioni non può mai inficiare l’integrità del patri-monio della società emittente. A tal fine, l’art. 2350 c.c., ultimo com-ma, prescrive che gli utili maturati nei diversi settori di attività incon-trino pur sempre un limite nell’utile della società, quello, cioè, che sca-turisce dallo svolgimento dell’attività complessiva della società.

Al contrario delle azioni correlate, nei patrimoni destinati la sepa-razione è reale e non solo contabile e riguarda l’oggetto dell’attivitàdi impresa.

3. Profili giuridici dei patrimoni destinati

L’istituto dei patrimoni destinati è disciplinato dagli artt. 2447 bis- 2447 decies contenuti nella Sezione XI del Capo V, Titolo V delCodice Civile.

In particolare, con riferimento alle S.P.A., l’art. 2447 - bis, 1° co.c.c. così recita: “La società può:a) costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via

esclusiva ad uno specifico affare;b) convenire che nel contratto relativo al finanziamento di uno speci-

fico affare al rimborso totale o parziale del finanziamento medesi-mo siano destinati i proventi dell’affare stesso, o parte di essi”.Ne conseguono, come già detto, due possibili forme di costituzio-

ne disciplinate, rispettivamente, dalle lett. a) e b), vale a dire:1) il modello definito “operativo” (art. 2447-bis, lett. a) c.c.), attra-

verso l’individuazione di beni e rapporti patrimoniali della societàche vengono separati dall’attività generale e, quindi, destinati, aduno specifico affare, con l’effetto che detti beni vengono sottrattiall’azione esecutiva dei creditori sociali, mentre costituiscono unagaranzia solo per i creditori del patrimonio destinato;

2) il modello definito “finanziario” (art. 2447-bis, lett. b) c.c.), se-condo cui il patrimonio destinato è rappresentato dai proventi de-

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rivanti da uno specifico affare per la cui realizzazione la società haottenuto un finanziamento da terzi, pertanto, la separazione ha lafunzione di destinare detti proventi al rimborso ed alla remunera-zione del finanziamento ricevuto.Ne consegue che, nel primo caso la separazione ha una funzione

prevalentemente operativa (o industriale), atteso che consente alla so-cietà di svolgere un determinato affare limitandone il rischio; nel se-condo caso, la separazione è esclusivamente funzionale al finanzia-mento di terzi.

Va da sé che, il modello operativo è uno strumento che si adattamaggiormente all’ipotesi di svolgimento di un’attività avente un ele-vato rischio economico che la società non è disposta a correre se nonnei limiti delle risorse destinate.

Il modello finanziario, invece, consente il raggiungimento diobiettivi che richiedono investimenti elevati e che la società non sa-rebbe in grado di affrontare senza il sostegno finanziario di terzi.

La separazione tra le due fattispecie non esclude, però, che i duemodelli possano essere utilizzati in combinazione, qualora ricorranocontestualmente i presupposti sopra indicati.

3.1 L’analisi del “modello operativo”Con la costituzione dei patrimoni destinati (modello operativo) la

società enuclea dal patrimonio generale beni o rapporti giuridici (an-che coordinati tra loro fino a rappresentare un ramo di azienda) de-stinandoli ad uno specifico affare.

Questa appena delineata è l’ipotesi dei patrimoni destinati senzaalcun apporto da parte di terzi, quelli, cioè, costituiti unicamente dabeni o da rapporti giuridici facenti capo alla società.

La previsione della lett. a) dell’art. 2447-bis c.c., presenta, invero,connotazioni simili ad una operazione di conferimento in una costi-tuenda società ovvero ad una operazione di scissione7.

Rispetto alle due citate operazioni riteniamo vadano rappresentatele differenze sostanziali.

Vi è un primo vantaggio rappresentato dalla circostanza che la co-stituzione di un patrimonio destinato non dà luogo alla creazione diuna nuova persona giuridica, in quanto la titolarità giuridica, oltreche economica, del medesimo patrimonio resta in capo alla società

7 Brevemente, si ricorda che attraverso l’operazione di scissione, una società destina intera-mente il suo patrimonio o parte di esso a una o più società preesistenti o di nuova costituzione,assegnando le relative azioni o quote ai suoi stessi soci (cfr. art. 2506 c.c. e segg.).

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Con riferimento all’operazione di scissione, si ricorda che essa èun’operazione straordinaria attraverso cui la società scissa continua adesistere ed ad operare sebbene con una più ridotta struttura patrimoniale,ma la strategia che si persegue è quella del decentramento destinato acostituire o a rafforzare una o più società attraverso il trasferimento adesse di patrimoni o combinazioni produttive tecnicamente complemen-tari all’attività che la società scissa mantiene al proprio interno (decen-tramento verticale), ovvero di patrimoni o combinazioni produttive mol-to simili all’attività della società scissa, la quale viene a trovarsi in unaposizione concorrenziale con le società beneficiarie (decentramentoorizzontale) o, ancora, il trasferimento di veri e propri complessi produt-tivi costituenti rami di azienda che la società scissa intende dismettere8.

Nella fattispecie dei patrimoni destinati non vi è nulla di tutto ciò, inquanto la separazione di una parte del patrimonio aziendale non si sostan-zia in un trasferimento ad un altro soggetto (nuovo o preesistente); in altreparole, si possono avere più patrimoni, ma un unico titolare degli stessi9.

I patrimoni destinati ad uno specifico affare 29

gemmante, con la conseguente eliminazione dei costi relativi alla co-stituzione, alla gestione ed alla sua estinzione.

Più in particolare, rispetto all’ipotesi del conferimento, il patrimo-nio destinato determina una separazione a termine, quindi, non defi-nitiva; se ciò induce a ritenere che le condizioni di sviluppo siano li-mitate nel tempo, è anche vero che si evita la duplicazione di struttu-re societarie e la gestione dei business con rapporti giuridici specifi-ci e patrimoniali separati.

Riepilogando quanto sopra detto si ha:

8 Sull’argomento si veda: BASTIA P., Fusioni e scissioni aziendali. Problemi di valutazione e dibilancio, p. 136, Bologna, 1994.

9 Per un approfondimento sulle relazioni interaziendali e sulla dimensione aziendale, interes-santi appaiono le considerazioni operate da GIACCARI F., Le aggregazioni aziendali, Cacucci, Ba-ri, 2003, pp. 19 e segg.

Fig. 2 – Confronto tra Patrimoni Destinati e operazione di ConferimentoPATRIMONIO DESTINATO OPERAZIONE DI CONFERIMENTO

(modello operativo)No costi di costituzione, Si costi di costituzione,

di gestione e di estinzione di gestione e di estinzioneSeparazione a termine Separazione non a termine,

limitata a uno specifico affare ma definitivaSeparazione degli effetti Separazione della titolarità soggettiva

No riduzione del Capitale Sociale Si riduzione del Capitale Sociale

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Ne deriva che, alla fattispecie in esame non può essere attribuitaalcuna soggettività giuridica, né con riferimento ai rapporti interni,né con riferimento a quelli esterni, ma la nuova normativa si preoc-cupa della separazione prevalentemente al fine di regolamentare irapporti tra i contrapposti interessi dei creditori sociali e di quelli delpatrimonio destinato.

A questo fine sono stati adottati quegli strumenti già utilizzatinell’ambito dell’intermediazione finanziaria e della cartolarizzazio-ne, volti a tenere distinti il patrimonio della società da quello desti-nato.

Ma è chiaro che si tratta di strumenti finanziari che attribuisconosolo il diritto di partecipare ad un determinato affare, non anche lacomproprietà sui beni.

Così come la presenza di terzi investitori crea una comunanza diinteressi proiettata al buon esito dell’affare, ma l’amministrazione delpatrimonio spetta comunque agli amministratori della società gem-mante, sebbene siano previste adeguate forme di controllo a tuteladei terzi.

Ne consegue che, non si realizza la nascita di una nuova impre-sa facente capo ad un soggetto differente dalla società costituente ilpatrimonio destinato, in quanto l’ipotesi contemplata dal nostro legi-slatore è quella di una società che scinde uno o più affari determi-nati destinando all’uopo una parte del proprio patrimonio. In altreparole, si attua una dissociazione tra la proprietà dei beni e la garan-zia generica per i creditori della società, in deroga a quanto previstodall’art. 2470 c.c., atteso che la destinazione di tali beni sottrae glistessi ai creditori sociali, ma non fa venir meno la titolarità del dirit-to di proprietà.

30 I patrimoni destinati ad uno specifico affare

Fig. 3 – Patrimoni Destinati e Operazione di Scissione a confrontoPATRIMONIO DESTINATO OPERAZIONE DI SCISSIONE

(modello operativo)Unica titolarità complessiva Costituzione di una nuova

con operatività e sovranità limitata persona giuridica con totale autonomia giuridica ed operativa

Dissociazione tra proprietà dei beni Decentramentoe garanzia generica verticale o orizzontale

per i creditori sociali (dissociazione soggettiva)(dissociazione degli effetti)

No riduzione del Capitale Sociale Si riduzione del Capitale Sociale

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I patrimoni destinati ad uno specifico affare 31

Sempre nell’ambito dell’ipotesi contemplata dall’art. 2447-bisc.c., lett. a), si può verificare una variante alla costituzione del patri-monio destinato10.

Ciò si desume dalla contestuale lettura di due norme e precisa-mente:a) l’art. 2447-ter, 1° co. lett. d) c.c., il quale prevede che la delibera-

zione di costituzione deve indicare eventuali apporti di terzi, lemodalità di controllo sulla gestione, nonché quelle di partecipa-zione all’affare;

b) l’art. 2447-septies, 3° co. c.c., il quale dispone che il valore e la ti-pologia dei beni o dei rapporti giuridici costituenti il patrimoniodestinato apportati da terzi devono essere illustrati nella Nota In-tegrativa del bilancio della società.Ne consegue che gli apporti dei terzi possono essere rappresentati da:

a) denaro, ma non a titolo finanziamento, altrimenti si ricadrebbenell’ipotesi contemplata dalla lett. b) dell’art. 2447-bis c.c.;

b) beni materiali ed immateriali (anche gravati da debiti);c) qualunque rapporto giuridico (diritti reali o personali di godimen-

to, crediti, ecc.);d) prestazioni d’opera o di servizi.

A fronte di tali apporti, la società attribuisce ai terzi il diritto dipartecipare ai risultati dell’affare e di controllare la gestione del me-desimo.

Occorre sottolineare che di difficile inquadramento è il rapportogiuridico che si instaura tra società e terzi apportanti.

Certamente non siamo nel caso di un conferimento a fronte delquale vengono attribuite azioni.

È più probabile, invece, che detto rapporto sia assimilabile all’as-sociazione in partecipazione11 per l’esercizio in comune di uno spe-cifico affare.

Invero, la fattispecie in esame, riporta alla mente quanto prescrit-to dall’art. 2549 c.c. (associazione in partecipazione) secondo cui:– il rapporto giuridico che si instaura tra associante ed associato è

identico a quello tra la società costituente e il terzo apportante (di-ritto di partecipazione agli utili a fronte dell’apporto);

10 Tale variante al modello operativo benché prevista dal Codice Civile, non viene, invece, con-templata né dalla Legge delega, né dalla relazione di accompagnamento. In tal senso Ferro-Luzziè orientato a ritenere che tale fattispecie sia stata introdotta dal legislatore all’ultimo momento.

11 Si ricorda che l’art. 2549 c.c. così prescrive: “Con il contratto di associazione in partecipa-zione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o diuno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto”.

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– i terzi assumono diritti ed obblighi solo verso l’associante (art.2551 c.c.), così come, nell’ipotesi del patrimonio destinato, i terzi,in relazione allo specifico affare, hanno rapporti con la società laquale, a sua volta, dovrà menzionare il vincolo di destinazione pe-na la sua responsabilità illimitata (art. 2447-quinquies, 4° co. c.c.);

– la gestione dell’affare spetta all’associante (art. 2552, 1° co. c.c.),così come spetta all’organo amministrativo della società costituen-te l’amministrazione del patrimonio destinato;

– all’associato spetta il controllo sulla gestione (art. 2552, 2° co.c.c.), così come avviene per i terzi apportanti (lett. d) dell’art.2447-ter 1° co. c.c.).Ciò detto, è evidente che nella fattispecie in esame la società e i

terzi, ognuno per la sua parte, mettono a disposizione i propri beniper l’esercizio di uno specifico affare.

Allora viene da domandarsi se all’apportante possano essere attri-buiti degli strumenti partecipativi all’affare di natura finanziaria equali connotazioni detti strumenti assumono.

Al riguardo, è necessario considerare che l’apporto dei terzi nonviene effettuato a titolo di finanziamento, pertanto, i titoli emessi nonpossono essere assimilati alle obbligazioni e destinati alla circolazione.

Ne consegue che i titoli che eventualmente verranno emessi nonhanno nulla a che vedere con gli strumenti finanziari di partecipazio-ne all’affare emessi a fronte di un finanziamento, ma saranno stru-menti finanziari che certificano il particolare rapporto instauratosi trasocietà e terzi apportanti nell’esercizio in comune di uno specificoaffare.

Un’ultima considerazione al riguardo attiene gli effetti della sepa-razione patrimoniale.

Come già detto, rispetto all’operazione di conferimento o di scis-sione, nei patrimoni destinati il distacco dei beni non avviene me-diante un meccanismo di trasferimento della titolarità o di imputazio-ne, quindi, non sul piano della dissociazione soggettiva, quanto sulpiano della dissociazione degli effetti, che hanno riflessi anche sulpiano dell’organizzazione patrimoniale.

Infatti, la costituzione di un patrimonio destinato determina nonsolo una enucleazione di beni, ma anche l’assegnazione di valori,cioè di quantificazione della parte del patrimonio aziendale da desti-nare all’affare.

Ne consegue che la destinazione di tale patrimonio deve trovareidonea rappresentazione contabile, ma è anche vero che, a differenzadella scissione o del conferimento, non vi è una distrazione o fuoriu-scita di valori e, quindi, una riduzione del capitale della società.

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Vi è ancora un ulteriore aspetto da chiarire, vale a dire se l’affarepossa coincidere con una parte dell’attività dell’impresa (ad esempiola gestione di un ramo d’azienda), ovvero se occorre dare un’inter-pretazione più restrittiva, vale a dire se l’affare debba coincidere conuna singola operazione o con un gruppo di operazioni.

Al riguardo, riteniamo più corretto propendere per la seconda ipo-tesi, in quanto il compimento dell’attività di impresa o di un ramo diessa implica il carattere della continuità nel tempo, mentre il compi-mento dell’affare trova nella stessa norma i limiti temporali.

Delineate le caratteristiche del modello operativo, passiamo adesaminare le prescrizioni legislative in materia di costituzione.

Fatta salva l’ipotesi in cui lo statuto disponga diversamente, essadeve avvenire mediante delibera dell’organo amministrativo, adotta-ta dalla maggioranza assoluta dei suoi componenti, ai sensi dell’art.2447 – ter, 2° co. c.c.

Ai sensi dell’art. 2447-ter, 1° co. c.c., la delibera costitutiva deveesplicitamente indicare:a) l’affare per il quale il patrimonio è stato destinato;b) i beni ed i rapporti giuridici compresi nel patrimonio;c) il piano economico-finanziario dal quale devono risultare la con-

gruità del patrimonio rispetto all’obiettivo da raggiungere, le mo-dalità di raggiungimento, il risultato che si intendere perseguire,le eventuali garanzie offerte nei confronti dei terzi;

d) gli eventuali apporti dei terzi, le modalità di controllo sulla ge-stione e di partecipazione ai risultati dell’affare;

e) la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione al-l’affare, con la specifica indicazione dei diritti che questi attribui-scono ai loro possessori;

f) la nomina di una società di revisione per il controllo contabilesull’andamento del singolo affare, salva l’ipotesi in cui la societàcostituente non sia già assoggettata al controllo contabile da par-te di una società di revisione;

g) le regole di rendicontazione dell’affare.

Al riguardo, nell’ambito della deliberazione, un ruolo fondamen-tale è assunto dal piano economico-finanziario, dal quale deve emer-gere la congruità del patrimonio destinato rispetto all’affare che si in-tende gestire, le modalità e le regole per il suo utilizzo, il risultatoche si intende conseguire e, qualora esistano, le eventuali garanzieofferte ai terzi.

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Come è noto, il piano economico ha la funzione di descrivere il ti-po di affare, l’ubicazione, le dimensioni, la dotazione di immobili, dimacchinari e di strumenti, la forza lavoro necessaria, gli obiettivi diproduttività, le decisioni di make-or-buy, vale a dire se svolgere de-terminati processi all’interno ovvero in outsourcing, la previsione deiricavi e dei costi nell’arco di tempo preventivato per la conclusionedell’affare, l’analisi del punto di equilibrio economico, ecc.

Il piano finanziario, invece, ha lo scopo di indicare le potenzialitàdell’iniziativa economica, nonché la strategia per una corretta gestio-ne finanziaria; esso è incentrato sulla previsione dei flussi finanziari,della struttura finanziaria per quanto attiene sia gli impieghi, sia lefonti, nonché la correlazione tra i medesimi.

È evidente che l’obbligo della predisposizione del piano economi-co-finanziario mira a valutare la congruità del patrimonio destinatosotto tre differenti profili:– l’idoneità funzionale dei beni o dei rapporti giuridici rispetto al-

l’affare;– l’adeguatezza della consistenza patrimoniale rispetto all’affare;– la capacità del patrimonio di generare livelli di redditività atti a

garantire il compimento dell’affare stesso.Ciò detto, non dovrebbero sussistere dubbi in merito alla circo-

stanza che il carattere della congruità deve essere rispettato non soloal momento della costituzione del patrimonio, ma anche durante losvolgimento dello specifico affare e sino alla sua conclusione. Neconsegue che è da ritenersi illegittima la destinazione di beni che, an-che successivamente, evidenziano manifestatamente una certa incor-gruità rispetto agli obiettivi prefissati.

Inoltre, l’art. 2447-bis, 2° co. c.c., prescrive che, salvo quanto di-sposto da leggi speciali, i patrimoni destinati (di cui alla lett. a) delmedesimo articolo) non possono essere costituiti per un ammontaresuperiore al 10% del patrimonio netto della società costituente e, co-munque, non possono essere destinati allo svolgimento di attività ri-servate in base a leggi speciali.

Da quanto sopra detto, emerge che il legislatore ha fissato dei li-miti, sia qualitativi, sia quantitativi.

1) LIMITI QUALITATIVI

In primo luogo, la descrizione analitica dell’affare e la sua valuta-zione, nonché la congruità del patrimonio rispetto al medesimo affa-re, consentono di stimare il grado di raggiungimento degli obiettiviprefissati, nonché l’entità del rischio che caratterizza la gestione del-l’affare stesso.

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La specificazione dell’affare, nonché il termine entro cui lo stessosi deve intendere concluso, rappresentano indicazioni importanti an-che ai fini della individuazione delle condizioni sulla base delle qua-li poter accertare l’impossibilità del raggiungimento dei risultati pre-fissati e, quindi, il venir meno del vincolo di destinazione.

L’affare, inoltre, deve rientrare nell’oggetto sociale, ciò significache se la società intende porre in essere un’attività estranea all’og-getto sociale è necessaria una preventiva modifica dello stesso.

Altro aspetto che merita un approfondimento attiene la possibilitàdi costituire un patrimonio destinato in assenza di un’apposita previ-sione statutaria.

Al riguardo, in mancanza di una norma che disciplini espressa-mente tale fattispecie, riteniamo che non vi siano elementi per poteroptare per una interpretazione restrittiva12, così come, invece, accadenegli artt. 2443 c.c. e 2420-ter c.c. per quanto riguarda la delega agliamministratori nell’ipotesi di aumento del capitale sociale o l’emis-sione di obbligazioni convertibili.

2) LIMITI QUANTITATIVI

Per quanto concerne il valore da attribuire al patrimonio destinato,l’art. 2447-bis, 2° co. c.c. prescrive che esso non può essere superio-re al 10% del patrimonio netto della società costituente13.

Detto limite si determina rapportando il patrimonio netto contabi-le della società al valore netto di bilancio del patrimonio destinato al-lo specifico affare (ossia alla differenza delle attività e delle passivitàdestinate allo specifico affare)14.

Tale conclusione è da noi ampiamente condivisa in quanto è lostesso art. 2447-ter, 1° co. lett b) c.c. a stabilire che la deliberacostitutiva deve indicare i beni ed i rapporti giuridici destinati dal-la società al patrimonio destinato, includendo tra questi anche lepassività.

È evidente che il citato limite si riferisce anche all’ipotesi in cui lasocietà costituisca più patrimoni destinati. In questo caso, però, oc-corre approfondire il problema, soprattutto in relazione ai valori di ri-ferimento che devono essere considerati.

12 Di senso contrario sembra essere, invece, l’interpretazione di FIMMANO’ F., Patrimoni dedi-cati ad uno specifico affare, intervento al Convegno organizzato da Paradigma su: La redazionedegli statuti delle S.R.L. e delle S.P.A. alla luce del nuovo diritto societario, Milano, 17-18 mar-zo 2003.

13 Si legga, al riguardo: COLOMBO G.E., La disciplina contabile dei patrimoni destinati: primeconsiderazioni, in Riv. Banca, Borsa, Titoli di Credito, n. 1/2003.

14 Si veda in merito: COLOMBO G.E., La disciplina….., op. cit.

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Ciò detto, sempre con riferimento al calcolo del limite del 10%, ri-teniamo sia corretto operare come segue15:a) considerare il limite solo al momento della costituzione del patri-

monio destinato e non durante la vita dello stesso;b) il limite predetto deve essere determinato considerando solo gli

apporti da parte della società, escludendo, quindi, dal calcolo gliapporti di terzi confluiti nel patrimonio destinato;

c) infine, nell’ipotesi di una successiva costituzione di ulteriori patri-moni destinati, il limite del 10% si determina facendo riferimentoal valore netto dei patrimoni destinati preesistenti al momento del-la loro costituzione.Ad esempio, ipotizziamo che una società, avente un patrimonio

netto di 2.000, abbia già costituito al “tempo n” un patrimonio desti-nato avente un valore di 200. Se al tempo n+3 il patrimonio nettodella società è aumentato a 5.000, la stessa potrà ancora costituireuno o più patrimoni destinati per un ammontare complessivo di 300(500 – 200), indipendentemente se il patrimonio netto del patrimonioseparato abbia subito un incremento.

Sempre con riferimento alla delibera di costituzione del patrimo-nio destinato, l’art. 2447-quater c.c. prescrive che questa deve esseredepositata ed iscritta presso l’Ufficio del Registro delle Imprese aisensi dell’art. 2436 c.c.

Dalla data di iscrizione devono decorrere sessanta giorni affinchéi creditori sociali possano fare opposizione. Trascorso tale termine(art. 2447-quinquies c.c.) per i creditori della società viene meno ildiritto di rivalersi sui beni destinati allo specifico affare, ad eccezio-ne dei frutti o proventi che eventualmente dovessero essere generatidalla gestione dell’affare stesso.

È evidente che, qualora la società destini al patrimonio separatobeni immobili o mobili registrati, è necessario procedere all’iscrizio-ne negli appositi registri.

Infine, per le obbligazioni derivanti dalla gestione dello specificoaffare, la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato,salvo che la delibera costitutiva disponga diversamente.

In merito all’obbligo della pubblicità, riteniamo che l’iscrizionedella delibera costitutiva nel Registro delle Imprese rappresenti unaforma poco efficace ai fini di una corretta ed immediata informazio-ne, in quanto ciò presuppone una continua verifica ad opera dei terzi,ipotesi questa che ci sembra alquanto irrealistica. A nostro parere,

15 Si leggano, al riguardo: BERTUZZI M.-BOZZA G.-SCIUMBATA G., Patrimoni destinati, parteci-pazioni statali, SAA, op. cit., p. 163.

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sebbene più laborioso, sarebbe stato più opportuno porre a carico del-la società l’obbligo di una comunicazione scritta.

Dei limiti sopra descritti abbiamo riportato una sintesi nel seguen-te schema:

Fig. 4 – Patrimoni Destinati: limitiLIMITI QUALITATIVI LIMITI QUANTITATIVI

Descrizione analitica dell’affare Ammontare non superiore al 10% del Patrimonio Netto

Congruità del patrimonio Deposito della delibera di costituzione rispetto allo specifico affare presso l’Ufficio del Registro

delle Imprese entro 60 gg.Affare rientrante nell’oggetto sociale Patrimonio destinato unica garanzia

delle obbligazioni derivanti dallo specifico affare

Indicazione del termine di conclusione dell’affare

3.2 L’analisi del “modello finanziario”Qualora la società decida l’esercizio di un determinato affare

rientrante nel proprio oggetto sociale facendo confluire nuovi mezzifinanziari di terzi che, come forma di garanzia per il rimborso, rice-vono la prioritaria destinazione di tutti i proventi dell’affare stesso odi parte degli stessi, si è in presenza del cosiddetto modello finan-ziario. Ne consegue che, nel caso specifico, il patrimonio destinatonon è rappresentato da beni o rapporti giuridici, ma dai proventidell’affare.

La fattispecie è disciplinata dall’art. 2447-decies c.c. il quale pre-vede un contratto di finanziamento sottoscritto dalla società. Questadivenendo parte mutuataria assume l’obbligo del rimborso attraversola destinazione di parte o di tutti i proventi generati dall’affare. A dif-ferenza del modello operativo, la costituzione del patrimonio destina-to non avviene mediante delibera dell’organo amministrativo, bensìattraverso il contratto di finanziamento che ovviamente presupponeuna deliberazione.

Si comprende, pertanto, che la peculiarità dell’operazione non èrappresentata dal finanziamento, ma dalla destinazione dei proventidell’affare al rimborso dello stesso. Detti proventi, intesi come ricavilordi della gestione, vanno tenuti separati da quelli derivanti da altreoperazioni della società e, quindi, sottratti ad eventuali azioni dei cre-ditori sociali.

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Ne consegue che, il patrimonio destinato, a differenza di quantoprevisto nel modello operativo, non è costituito da beni o da rappor-ti giuridici, ma dai proventi generati dall’affare che vengono (in tut-to o in parte) esclusivamente destinati al rimborso del finanziamentoricevuto.

Si comprende come, nella fattispecie considerata, il legislatore ab-bia inteso superare il principio della universalità della responsabilitàpatrimoniale, permettendo un’ulteriore limitazione oggettiva, chenon è più quella legata ai beni o ai rapporti giuridici (come nel mo-dello operativo), ma è collegata a valori fluttuanti e dinamici, qualisono i proventi dell’affare e, quindi, alla sua redditività.

Nel contempo vi è una restrizione di tipo soggettivo, atteso che ilbeneficiario della separazione è solo colui che ha erogato il finanzia-mento e non l’intera categoria dei creditori correlati al singolo affare16.

A ben vedere, sono evidenti delle analogie con l’operazione diproject financing17; si ricorda, infatti, che essa è uno strumento attra-verso cui viene reso possibile il finanziamento di iniziative economi-che sulla base dell’analisi e della valutazione di un progetto rispetto,invece, alla capacità di indebitamento di chi promuove una determi-nata iniziativa. La differenza sostanziale rispetto alla fattispecie inesame è che nel project financing i flussi di cassa generati dall’ese-cuzione del progetto vengono isolati attraverso la costituzione diun’apposita società di progetto, la quale ha il compito di svilupparel’iniziativa e di beneficiare delle risorse finanziarie necessarie per lasua realizzazione.

Ne deriva che, il finanziamento non viene destinato ad una societàgià esistente, ma ad una società di nuova costituzione, distinta dalpunto di vista giuridico da quella dei promotori del progetto, e che ri-sponde verso i propri creditori con il suo patrimonio.

D’altro canto, dal punto di vista della separazione, il patrimoniodestinato di tipo finanziario presenta degli aspetti molto simili a quel-li della cartolarizzazione, con riferimento alla posizione della societàcessionaria (o veicolo) che ha acquistato dei crediti con l’emissionedi strumenti finanziari collocati presso il pubblico o presso investito-ri professionali, il cui rimborso è garantito dai crediti ceduti. Pertan-to, nel caso della cartolarizzazione le somme pagate dai debitori ce-

16 Per un approfondimento sul project financing, si legga: DELL’ATTI A., La concessione ammi-nistrativa quale strumento di privatizzazione funzionale. L’ammortamento dei beni gratuitamentedevolvibili, pp. 85 e segg., Cacucci, Bari, 2001.

17 Si parla correttamente di ricavi lordi e non dell’utile netto derivante dalla gestione. Ciò nontoglie, però, che le parti possano convenire che al rimborso del finanziamento vengano destinati iricavi lordi al netto dei relativi costi.

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duti formano un patrimonio separato in quanto esse sono destinate invia esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emes-si per l’acquisto dei crediti, mentre nel caso del patrimonio destinatosono i proventi dell’affare ad essere riservati a chi ha erogato il fi-nanziamento.

È evidente che i due fenomeni presentano caratteri similari, manon possono sovrapporsi, salvo che nell’ipotesi in cui lo specifico af-fare abbia la funzione di liquidare un credito o una massa di crediti.Ma è chiaro che a questo compito sopperisce lo strumento della car-tolarizzazione e non, invece, la fattispecie in esame.

Ciò detto, gli elementi che contraddistinguono il patrimonio sepa-rato finanziario sono i seguenti:– il contratto di finanziamento;– lo specifico affare;– i proventi dell’affare che vengono destinati al rimborso del finan-

ziamento ottenuto.Questi ultimi rappresentano ricavi lordi che non derivano dall’at-

tività principale della società e vengono destinati al rimborso di chiha erogato il finanziamento prima ancora di entrare a far parte del pa-trimonio della società18.

Ne consegue che, a differenza dell’associazione in partecipazione(art. 2359 c.c.) o della cointeressenza impropria (art. 2554 c.c.), quinon si è in presenza di soggetti che hanno il diritto agli utili della so-cietà, ma hanno il diritto al rimborso di un finanziamento che avverràcon disponibilità liquide future. Con ciò non significa che il terzo fi-nanziatore non partecipi al rischio economico di impresa, in quanto ilrimborso del finanziamento è sempre legato al verificarsi delle con-dizioni di una efficiente ed efficace gestione aziendale, ma è unacointeressenza di fatto e non di diritto.

Ai sensi della lett. b) dell’art. 2447 decies c.c., il contratto deveespressamente indicare:– la descrizione dell’affare che consenta di valutare la finalità che si

intende raggiungere, nonché l’indicazione delle modalità e deitempi di realizzazione, dei costi previsti e dei ricavi attesi in mo-do che il progetto venga valutato dai finanziatori principalmenteper la sua capacità di generare proventi;

– il piano finanziario, anch’esso centrato sui proventi destinati alrimborso, con l’indicazione, ai fini della copertura finanziaria del-

18 Si parla correttamente di ricavi lordi e non dell’utile netto derivante dalla gestione. Ciò nontoglie, però, che le parti possano convenire che al rimborso del finanziamento vengano destinati iricavi lordi al netto dei relativi costi.

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l’affare, della parte coperta dal finanziamento e della parte coper-ta con mezzi della società;

– i beni strumentali necessari alla realizzazione dell’operazione, suiquali non si crea alcun vincolo di destinazione; su tali beni i cre-ditori sociali non possono esercitare azioni esecutive a tutela deiloro diritti, ma solo azioni conservative, e ciò sino al momento delrimborso o sino alla scadenza del termine massimo previsto per ilrimborso;

– le garanzie offerte dalla società, sia in merito all’obbligo di esecu-zione, sia in merito alla sua corretta e puntuale realizzazione;

– i controlli che il finanziatore può esperire sull’operazione, diretta-mente ovvero tramite soggetto da questi delegato19;

– la parte dei proventi che viene destinata al rimborso del finanzia-mento (e quindi al patrimonio separato) e le modalità per la suadeterminazione;

– il tempo massimo di rimborso, decorso il quale nulla è più dovutoal finanziatore, venendo meno ogni sua possibile pretesa. Tale pre-visione merita un approfondimento. Essa, infatti, va intesa nelsenso che, se i proventi dell’affare generati nel periodo contrat-tualmente stabilito non fossero sufficienti al rimborso, i terziavranno il diritto di pretendere la riscossione delle somme cheeventualmente sono maturate sino a quel momento, pertanto, essinon perdono totalmente il diritto al rimborso come si potrebbe er-roneamente interpretare.Il legislatore ha, inoltre, previsto che copia del contratto sia depo-

sitata presso l’Ufficio del Registro delle Imprese ed ha subordinato lacostituzione del patrimonio separato all’attuazione di tale pubblicità,nonché all’adozione di sistemi di incasso e di contabilizzazione ido-nei ad individuare in ogni momento i proventi dell’affare ed a tener-li separati dal restante patrimonio della società.

È evidente che nel caso di specie la separazione patrimoniale pro-duce un duplice effetto:a) quello di destinare al soddisfacimento del finanziatore esclusiva-

mente i proventi e i frutti dell’affare;b) quello di impedire ai creditori della società di agire sui predetti

proventi sino al rimborso del finanziamento o alla scadenza del

19 I controlli attribuiti al finanziatore (o al soggetto da egli delegato) sono mutuati dall’associa-zione in partecipazione e, probabilmente, trovano giustificazione nel fatto che il finanziatore, co-munque, partecipa al rischio di impresa che è gestita da altri. Ma a differenza dell’associazione inpartecipazione, dove il controllo dell’associato non è un diritto, scaturendo da accordi tra le par-ti, nel caso del finanziamento destinato sembrerebbe proprio che il potere di controllo sia un re-quisito di tenuta della separazione patrimoniale.

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termine pattuito, nonché sui beni strumentali necessari per la rea-lizzazione dell’affare e che, quindi, devono essere specificati nelcontratto. Su tali beni i creditori sociali possono solo intraprende-re azioni conservative a garanzia dei loro diritti.Ne consegue che, non vi è una perfetta corrispondenza tra i valori

afferenti il patrimonio dedicato e destinati al soddisfacimento del fi-nanziatore ed i beni inattaccabili dai creditori sociali. Dal patrimonioseparato, invero, sono esclusi quei beni strumentali che non rientranonella garanzia del finanziatore pur essendo sottratti, per la durata del-l’operazione, all’azione dei creditori sociali. Ciò è necessario affin-ché venga garantita la capacità reddituale dell’azienda.

D’altro canto, non è oggetto di separazione patrimoniale l’impor-to del finanziamento che, invece, confluisce nel patrimonio della so-cietà. Si comprende, pertanto, come la fattispecie in oggetto determi-na una separazione patrimoniale meno perfetta rispetto al trust, in cuii beni oggetto di trasferimento sono attribuiti ad un terzo soggetto alquale è demandato il compito di amministrarli in relazione agli obiet-tivi prefissati.

Va da sé che non può non concludersi che il capitale finanziato de-ve necessariamente essere vincolato alla realizzazione dell’affare, nelsenso che esso deve essere destinato alla realizzazione di un determi-nato affare, e non per la generica attività aziendale, altrimenti verreb-bero meno i presupposti del piano finanziario, il quale rappresentauno degli elementi di valutazione della capacità della separazione pa-trimoniale.

Anche nell’ipotesi di finanziamenti destinati occorre sottolineareche la separazione non è perfetta.

Infatti, l’art. 2447 decies c.c. considera l’ipotesi in cui il fallimen-to della società impedisca la realizzazione o la continuazione dell’o-perazione.

In questo caso, si evidenziano due effetti:– viene meno la limitazione per i creditori sociali di poter esercitare

sui beni strumentali destinati alla realizzazione dell’operazione«esclusivamente azioni conservative a tutela dei loro diritti». Talibeni, quindi, andrebbero acquisiti nell’attivo fallimentare;

– al creditore a titolo di finanziamento spetta il diritto all’insinua-zione al passivo per il credito residuo, chiaramente al netto deirimborsi già ottenuti che non sono oggetto di revocatoria falli-mentare.Gli organi fallimentari possono anche decidere di adottare l’eser-

cizio provvisorio per la continuazione dell’affare subentrando nel

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contratto di finanziamento: di conseguenza, la separazione permane ei proventi dell’affare vanno a confluire nel patrimonio dedicato ai fi-ni della soddisfazione del finanziatore. Quando, invece, l’affare nonviene proseguito o, comunque, quando cessa l’attività della curatela,vengono meno gli effetti segregativi che la separazione aveva deter-minato.

Va inoltre considerato che, a fronte del contratto di finanziamento,non possono essere emessi titoli destinati alla circolazione, salva l’i-potesi della cartolarizzazione.

Da ultimo, nel nuovo punto 21 della Nota Integrativa, la societàdeve menzionare specificatamente la destinazione dei proventi riser-vati al finanziatore ed i vincoli eventualmente esistenti sui beni stru-mentali dedicati al determinato affare.

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SOMMARIO: 1. Obblighi contabili. - 2. Rappresentazione in bilancio. - 3. Ulterioriapprofondimenti. - 3.1. Sugli apporti dei terzi nel modello operativo. - 3.2. Sul-le perdite derivanti dal patrimonio destinato. - 4. Rendiconto finale. - 5. Stru-menti finanziari partecipativi. - 6. Un modello alternativo a quello propostodall’O.I.C.

1. Obblighi contabili

Non vi è dubbio che analizzando l’istituto dei patrimoni destinatil’attenzione degli studiosi è stata rivolta principalmente alle proble-matiche di natura giuridica, ponendo in secondo piano quelle relativealle modalità di contabilizzazione e di rappresentazione in bilancio,nonché quelle di natura fiscale.

In questa sede, il nostro intendimento è quello, invece, di ap-profondire tali aspetti, anche alla luce dell’emanazione della bozzadell’O.I.C. n. 21.

L’art. 2447-sexies c.c., disciplina la tenuta dei libri obbligatori edelle altre scritture contabili, prescrivendo che, per lo specifico affare,relativamente alla fattispecie di cui alla lett. a) dell’art. 2447-bis c.c.(modello operativo), la società deve tenere separatamente i libri obbli-gatori e le scritture contabili, richiamando l’art. 2214 c.c. e segg.

Sul punto sono emersi alcuni dubbi, e cioè se l’obbligo di tenutadei registri deve essere rispettato istituendo appositi libri contabili,

CAPITOLO III

PROFILI CONTABILI E RAPPRESENTAZIONE IN BILANCIO

1 Si ricorda che la bozza dell’O.I.C. n. 2 è stata pubblicata il 12/7/2004.

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ovvero se sia sufficiente utilizzare sezioni separate di quelli già esi-stenti.

Dinanzi alla previsione contenuta nella relazione di accompagna-mento alla legge, la quale si limita a fare riferimento alla “contabiliz-zazione separata del patrimonio destinato”, taluni sono orientati ver-so la seconda soluzione2. Invero, noi propendiamo per la prima solu-zione, peraltro riportata nella bozza dell’O.I.C., e cioé per l’istituzio-ne di registri contabili separati.

Pertanto, per ogni specifico affare, la società deve tenere:– il libro giornale, nel quale dovranno essere rilevati i fatti azienda-

li secondo il metodo contabile tradizionale (partita doppia);– il libro degli inventari, nel quale dovrà essere riportato l’inventa-

rio iniziale, comprendente le attività e le passività al momento del-la costituzione del patrimonio, e l’inventario finale, quello cioè re-datto alla fine di ciascun esercizio, nell’ipotesi in cui l’affare ab-bia una durata pluriennale.È necessario, inoltre, tenere tutte le altre scritture contabili richie-

ste dalla natura e dalle dimensioni dell’azienda (art. 2214 c.c., 2°co.), quindi, il libro mastro, il libro di magazzino, il libro cassa, ecc.

Inoltre, se vengono emessi specifici strumenti finanziari, occorreistituire un apposito libro nel quale sono riportate le loro caratteristi-che, l’ammontare di quelli emessi e di quelli estinti, le generalità deititolari, gli eventuali trasferimenti e vincoli ad essi relativi.

Ciò detto, le registrazioni effettuate nella contabilità del singoloaffare devono poi confluire nella contabilità generale della società, aifini della redazione del bilancio di quest’ultima3.

Con riferimento alla contabilizzazione, particolare importanzaassumono i costi comuni, quelli, cioè, che vengono sostenuti sianell’esercizio dell’attività generale della società, sia nell’eserciziodel patrimonio destinato (costi amministrativi, di trasporto, genera-li, ecc.).

Al riguardo, l’art. 2447-ter, lett. g) c.c., stabilisce che la deliberadi costituzione del patrimonio destinato deve contenere le regole direndicontazione dello specifico affare, comprendendo tra queste an-che i criteri di imputazione dei ricavi e dei costi, compresi ovvia-mente quelli comuni.

Tali criteri devono essere resi pubblici, nonché conformi conquanto suggerito dalla dottrina e dai principi contabili.

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2 Vedi: Circolare n. 12 /2003, Doc. n. 24 del 26 novembre 2003 della Fondazione Luca Pacioli.3 Riteniamo sufficiente che il trasferimento di valori dalla contabilità separata a quella della so-

cietà non avvenga giornalmente, ma con una certa periodicità.

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Profili contabili e rappresentazione in bilancio 45

Sempre in merito ai costi comuni, un principio che senza dubbio puòessere accolto, è che il costo può essere imputato al patrimonio destina-to qualora esso sia riferibile al medesimo con ragionevole certezza4.

Inoltre, così come avviene per i componenti patrimoniali, la con-tabilizzazione e la rappresentazione di quelli reddituali, riferiti al pa-trimonio destinato, deve avvenire separatamente.

Tale aspetto non è secondario, in quanto nella contabilità dellospecifico affare i costi ed i ricavi concorrono alla determinazione delrisultato annuale della gestione speciale; pertanto, nella contabilitàdella società, i componenti reddituali derivanti da operazioni inter-corse tra la società e il patrimonio destinato devono essere eliminaticosì come avviene nelle operazioni di consolidamento relativamenteai costi ed ai ricavi infragruppo.

Ad esempio, se la gestione del singolo affare ha generato un utiledi 200, di cui 20 derivante da operazione intergestorie, l’utile checompare nel rendiconto separato è di 200, mentre nel C.E. generaleesso risulterà di 180 proprio per effetto delle operazioni intergestorie.Ovviamente tale operazione di elisione sarà effettuata solo extracon-tabilmente nel momento del raccordo tra la contabilità generale ed ilbilancio di esercizio della società.

Da qui la necessità di un piano dei conti contenente, appunto, l’in-dicazione di tutti i conti (finanziari ed economici) che attengono ilpatrimonio destinato.

Con riferimento alle rilevazioni contabili, occorre riprendere la di-stinzione operata in precedenza, vale a dire separare il modello ope-rativo da quello finanziario, traendo lo spunto da quanto riportatonella bozza dell’O.I.C. n. 2.

MODELLO OPERATIVO

Come già detto, nell’ambito del modello operativo è possibile di-stinguere due ipotesi:a) la costituzione del patrimonio separato mediante il solo apporto

da parte della società;b) la costituzione del patrimonio destinato mediante l’apporto di

terzi, ma non a titolo di finanziamento.Nel caso sub a) non si presentano particolari problemi in quanto la

società, periodicamente, deve far confluire i dati della contabilità se-

4 Per un approfondimento di tale criterio, si legga il Doc. n. 16 dei Principi Contabili Nazionali.

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L’apporto dei terzi determina un incremento dei mezzi propri del-l’azienda attraverso l’iscrizione di un’apposita riserva. Detta riserva èindubbiamente una riserva di capitale assimilabile a quella per con-tributi in conto capitale6.

2) quella in cui il terzo apporti beni, ma con l’obbligo a carico del-la società di restituzione al termine dell’affare.

In questo caso, è evidente che il terzo apportante mette a disposizio-ne della società i beni che servono per lo svolgimento dello specifico af-fare, a titolo di mero godimento, senza che a fronte dell’utilizzo dei me-desimi la stessa società corrisponda una somma di denaro. Ne consegueche, al termine dell’affare il terzo rientrerà in possesso dei beni, possibil-

parata nella propria contabilità, rilevando, quindi, tutti i costi ed i ri-cavi relativi al patrimonio destinato, nonché il relativo risultato eco-nomico. Sarà, inoltre, necessario adottare degli appositi conti neiquali far confluire i beni o rapporti giuridici destinati.

Invece, nel caso sub b), la società deve anche rilevare contabil-mente l’apporto dei terzi, sebbene non a titolo di finanziamento, non-ché l’eventuale destinazione dell’utile d’esercizio o la perdita in capoall’apportante.

Con riferimento all’apporto dei terzi nulla prescrive il Codice Ci-vile in merito alla restituibilità degli stessi alla fine dell’affare.

Al contrario, sia la dottrina5, sia la stessa bozza dell’O.I.C. n. 2 di-stinguono l’ipotesi in cui l’apporto sia restituibile o meno, ometten-do, però, di soffermarsi sulle implicazioni economico-contabili.

Al riguardo, si possono verificare le seguenti fattispecie:

1) quella in cui il terzo apporti denaro o beni senza obbligo di resti-tuzione da parte della società al termine dell’affare.

In tal caso, ipotizzando che i terzi effettuino un apporto in denaroo beni pari a € 1.000, la rilevazione contabile è la seguente:

5 Tra tutti si veda: GIANNELLI G., I patrimoni destinati…., op. cit.6 Al riguardo, si legga più diffusamente: Doc. n. 28 dei Principi Contabili Nazionali.

46 I patrimoni destinati ad uno specifico affare

Banca c/c (o beni) a Riserva per patrimonio 1.000destinato

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mente in perfetto stato di funzionamento; pertanto, nutriamo non pocheperplessità in merito all’iscrizione di una riserva nel patrimonio netto.

Nel caso sopra descritto, condividendo l’orientamento di alcuniautorevoli giuristi, i beni temporaneamente apportati non possonoessere rappresentati né nel patrimonio destinato, né nel bilancio dellasocietà, ma è nei conti d’ordine che deve essere indicato l’impegnoalla loro restituzione7.

A nostro avviso, vi sono tutti gli elementi per poter assimilare det-ta fattispecie con l’operazione di comodato gratuito (art. 1803 c.c.).Infatti, con il contratto di comodato una parte (comodante) consegnaall’altra (comodatario) un bene mobile o immobile, affinché se neserva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di resti-tuire la medesima cosa ricevuta.

Al riguardo, nella prassi commerciale accade sovente che un’im-presa ceda in comodato gratuito dei beni di proprietà ad un’altraimpresa, generalmente operante nello stesso settore. Qualora tali benisiano strumentali all’attività esercitata e soggetti a deperimento e con-sumo, è consentito al proprietario di detti beni di operare la proceduradi ammortamento8.

Ciò significa che la quota di ammortamento viene calcolata ai finidella determinazione del reddito dell’impresa comodante, mentrel’impresa comodataria porterà i beni ricevuti in comodato tra i contid’ordine; per quest’ultima, il costo di utilizzazione di detti beni saràrappresentato dall’accantonamento dei costi per manutenzione e ri-pristino, atteso normalmente l’obbligo in capo al comodatario di re-stituire i beni in perfetto stato di funzionamento.

3) quella in cui il terzo apporti denaro con l’obbligo a carico dellasocietà di restituire detto denaro al termine dell’affare.

A nostro parere, tale fattispecie sembra più vicina al modello finan-ziario che a quello operativo, in quanto il denaro apportato dal terzo èda ritenersi più a titolo di finanziamento anziché di apporto. Ne con-segue che si tratta di un debito sui generis, in quanto non impone acarico del patrimonio destinato né la corresponsione di interessi, né

Profili contabili e rappresentazione in bilancio 47

7 In merito si legga: GIANNELLI G., I patrimoni destinati …., op. cit. Di parere contrario Co-lombo G., secondo cui i beni conferiti in godimento devono essere iscritti nell’attivo capitaliz-zando ed attualizzando, per la durata del godimento, il canone che si sarebbe dovuto pagare se glistessi beni fossero stati tratti in locazione. Detto valore, può, inoltre, essere decurtato per effettodei rischi che potrebbero derivare da eventuali e futuri atti di disposizione compiuti dall’appor-tante, diretti ad incidere negativamente sull’utilizzo del bene.

8 In merito, si legga il combinato disposto dell’art. 102 TUIR 917/86, R.M. n. 9/2320 del5/1/1981 e R.M. n. 56/E del 9/4/2004.

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l’obbligo di restituzione da parte della società nell’ipotesi in cui dallaliquidazione del patrimonio destinato questo risulti insufficiente.

Altro aspetto da considerare è la destinazione dell’utile d’eserci-zio; secondo quanto riportato nella bozza dell’O.I.C. n. 2 quello dicompetenza dei terzi apportanti rappresenta un costo per la società daimputare, quindi, al C.E.

Così come nell’ipotesi di perdita di competenza dei terzi appor-tanti, questa verrebbe considerata un ricavo della società.

Per chiarire quanto sopra detto, supponiamo che l’utile relativo alpatrimonio destinato sia pari a 50 e che gli apportanti possegganouna quota di partecipazione all’affare del 30%; ne consegue che l’u-tile di loro spettanza è di 15. Premesso ciò, alla fine dell’esercizio,dopo aver chiuso il rendiconto separato e determinato il relativo ri-sultato economico, la società dovrà imputare, tra i costi del proprioC.E., la quota di utile spettante ai terzi, come segue:

48 I patrimoni destinati ad uno specifico affare

Conto Economico a Apportanti patr. dest. 15c/utili

Al momento del pagamento si avrà:

Apportanti patr. dest. a Banca c/c 15c/utili

In tal modo, come vedremo, nel bilancio della società compariràesclusivamente l’utile relativo all’attività generale della società, oltrequello del patrimonio separato di propria competenza.

D’altro canto, seguendo sempre tale impostazione, se ipotizziamoun risultato economico negativo pari a 50, la perdita di competenzadei terzi apportanti è pari a 15.

In questo caso, la società dovrà rilevare nel proprio C.E. un rica-vo per il medesimo importo come segue:

Crediti v/apportanti per a Conto Economico 15patr. destinato

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Infine, l’altro aspetto da chiarire attiene l’iscrizione e la valutazio-ne dei beni destinati al patrimonio destinato.

Sembra oramai farsi strada un orientamento consolidato, secondocui i beni destinati dalla società devono essere riportati al “valore dilibro”, vale a dire al valore contabile, così come risulta nella contabi-lità della società.

Al riguardo, potrebbe essere sollevato un dubbio e, cioè, se la mo-difica della destinazione di un bene può legittimare il mutamento delsuo valore, ad esempio attraverso una rivalutazione (obbligatoria ofacoltativa), richiamando l’art. 2423 c.c., 4° co.

Il dubbio non può che risolversi negativamente atteso che, come ènoto, la modifica della destinazione d’uso di un bene non incide inmaniera radicale sulla natura economica dello stesso, quindi, nonrappresenta un caso eccezionale tale da imporre un mutamento delrelativo valore9.

D’altro canto, e precisamente con riferimento ai beni apportati daiterzi, essi vanno iscritti al valore di mercato e, quindi, al prezzo chela società avrebbe pagato se avesse acquistato il bene10.

MODELLO FINANZIARIO

Come si è avuto modo di evidenziare in precedenza, il modello fi-nanziario presenta delle connotazioni simili all’operazione di projectfinancing, nel senso che si determina un collegamento tra lo specifi-co affare ed il finanziamento dei terzi e si utilizzano i proventi delmedesimo affare per far fronte al rimborso del finanziamento.

Riguardo agli adempimenti di natura contabile, per i c.d. “finan-ziamenti destinati”, il legislatore si è limitato a richiedere che lasocietà utilizzi «sistemi di incasso e di contabilizzazione idonei adindividuare in ogni momento i proventi dell’affare e a tenerli sepa-rati dal restante patrimonio della società» ed indichi, in Nota Inte-grativa, la destinazione dei proventi dell’affare ed i vincoli relativiai beni strumentali destinati alla realizzazione dell’operazione (art.2447 decies c.c.). Dunque, non viene imposta né la distinta indica-zione, nello Stato Patrimoniale della società, dei beni e dei rapportiafferenti al patrimonio destinato, né la redazione di un “separatorendiconto”.

Tuttavia, riteniamo che l’obbligo di una distinta indicazione si do-vrebbe estendere anche al modello finanziario, atteso che, anche in

9 Sull’argomento si rinvia a: DI CAGNO N., Informazione contabile…, op. cit., p. 89.10 Si legga, in merito: COLOMBO G.E., La disciplina contabile…., op. cit.

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questo caso, si verifica una destinazione di beni e di diritti della so-cietà (beni materiali e immateriali, denaro, crediti e debiti, ecc.).

Con riferimento al prestito ottenuto dal finanziatore esterno, sisuggerisce che il debito sorto nei suoi confronti deve essere iscrittonel passivo dello Stato Patrimoniale della società (e del patrimoniodestinato), separatamente dagli altri debiti finanziari. Invece, l’oneredel finanziamento, rappresentato dagli interessi passivi maturati neiconfronti del soggetto esterno alla società, deve essere iscritto sia nelConto Economico settoriale dello specifico affare, sia nel Conto Eco-nomico complessivo della società.

In questo caso, ricordiamo che i terzi finanziano l’affare sulla ba-se di un vero e proprio contratto di finanziamento, pertanto, contabil-mente non dovrebbero sorgere particolari dubbi.

Ne consegue che, al momento dell’apporto, per la società sorge undebito nei loro confronti.

50 I patrimoni destinati ad uno specifico affare

Banca c/c a Debiti v/terzi per 1.000patr. separato

A differenza del modello operativo, i terzi finanziatori hanno di-ritto al rimborso delle somme finanziate mediante i proventi generatidall’affare, oltre agli interessi che eventualmente sono stati pattuiti.Pertanto, ipotizzando un rimborso graduale del debito pari a 50, sulquale è maturato un interesse pari a 5, la rilevazione contabile è la se-guente:

Diversi a Banca c/c 55

Debiti v/terzi per patr. separato 50Interessi pass. su patr. destinato 5

2. Rappresentazione in bilancio

Con riferimento alla rappresentazione delle risultanze gestionali,l’art. 2447-septies c.c., 2° co., impone la redazione di un separatorendiconto relativo al patrimonio destinato da allegare al bilanciodella società.

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Detto rendiconto deve essere redatto secondo quanto prescrittodall’art. 2423 c.c. e segg., quindi, sulla base degli stessi schemi, prin-cipi e criteri dettati per il bilancio d’esercizio, in modo tale da assol-vere alla funzione informativa che è propria di tale strumento11.

Traendo spunto dalla citata norma, l’O.I.C. n. 2 giustamente èorientato nel considerare che il termine utilizzato dal legislatore, va-le a dire rendiconto, non può essere interpretato in maniera semplici-stica, vale a dire limitando tale rendiconto ad un mero elenco di en-trate e di uscite ovvero al solo conto economico.

Pertanto, il rendiconto del patrimonio destinato è un bilancio a tut-ti gli effetti composto da:a) Stato Patrimoniale, redatto ai sensi dell’art. 2424 c.c., con la pos-

sibilità di prevedere voci e sottovoci tipicamente correlate alla fat-tispecie. Inoltre, nel Patrimonio Netto dello specifico affare devo-no essere indicate le specifiche riserve derivanti dall’operazione,l’utile (o perdita) dell’esercizio, nonché l’utile (o perdita) degliesercizi precedenti;

b) Conto Economico, relativo allo specifico affare, redatto ai sensidell’art. 2425 c.c., con la possibilità, anche in questo caso, di pre-vedere voci o sottovoci tipicamente correlate alla fattispecie;

c) Nota di Commento, termine questo per distinguerla dalla Nota In-tegrativa, in quanto rispetto ad essa, ci si deve limitare solo ad unaesplicitazione delle voci contenute nello S.P. e nel C.E. dello spe-cifico affare, nonché delle variazioni in esse intervenute rispettoall’esercizio precedente. Inoltre, nella redazione della Nota diCommento occorre rispettare quanto previsto dall’art. 2427 c.c.,1° co., vale a dire l’indicazione dei criteri di valutazione adottatinella valutazione delle voci di bilancio. Detti criteri, non possonoche attenersi a quanto prescritto dall’art. 2426 c.c., attesa l’impos-sibilità di adottare criteri differenti da quelli adottati nella redazio-ne del bilancio della società.Infine, la Nota di Commento deve indicare i criteri seguiti per laripartizione dei costi comuni, nonché i criteri di individuazionedei ricavi dello specifico affare e l’eventuale separazione dei rica-vi comuni a più affari.L’utilizzo da parte dell’O.I.C. del termine “Nota di Commento” in luo-go di “Nota Integrativa”, induce a ritenere che il suo contenuto deveintendersi più snello rispetto a quanto prescritto dall’art. 2427 c.c.

11 Più approfonditamente, sull’argomento si legga: ADAMO S., Informazione di bilancio dellesocietà non quotate e la modernizzazione delle direttive contabili, in Riv. dei Dottori Commer-cialisti, Giuffré, Milano, n.4/2004.

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Da quanto sopra detto possiamo concludere che il rendiconto de-ve essere redatto come un vero e proprio bilancio, sebbene con qual-che adattamento che si impone per effetto della particolare fattispe-cie, primo tra cui, come già evidenziato, la previsione di specifichevoci e sottovoci che riflettono gli effetti delle operazioni intergesto-rie, anche al fine di facilitare il confronto tra le voci del bilancio par-ticolare e quello generale.

Per quanto attiene, invece, il bilancio d’esercizio della società, sianalizzano di seguito le connotazioni che detto documento assume.

STATO PATRIMONIALE

È indubbio che gli elementi patrimoniali (attività e passività) com-paiono sia nel bilancio particolare, sia in quello generale.

In particolare, l’art. 2447-septies c.c., 1° co., prescrive che i benio i rapporti giuridici compresi nel patrimonio destinato, ai sensi del-la lett. a) dell’art. 2447-bis c.c., 1° co., devono essere distintamenteindicati nello stato patrimoniale della società.

Ne consegue che, per ciascuna voce delle attività e delle passivitàoccorre indicare anche l’importo.

Al riguardo, l’O.I.C. fornisce quattro differenti modalità di rap-presentazione:

1) per ciascuna voce interessata dello S.P. generale si procede aduna distinzione utilizzando il termine “di cui”.

Ad esempio:B) Immobilizzazioni:

II. Materialia) Terreni e fabbricati 3.000, di cui 500 per patrimonio de-

stinato.

2) per ciascuna voce si crea una specifica sottovoce.

Ad esempio:B) Immobilizzazioni:

II. Materialia) Terreni e fabbricati: 3.000

1) relativi all’attività generale della società 2.5002) relativi al patrimonio destinato 500

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4) la separazione delle voci attinenti il patrimonio destinato inun’apposita zona del bilancio, dopo tutte le altre voci relativealle attività ed alle passività.

Tale impostazione consente di operare con immediatezza la sepa-razione tra i due patrimoni, soprattutto nell’ipotesi in cui si dovesseeffettuare una riclassificazione ai fini dell’analisi del bilancio. Nelcontempo, però, impone di dover procedere alla sommatoria delle di-verse voci per poter risalire agli importi totali.

Premesso ciò, tra le soluzioni proposte, a nostro avviso la primasembra essere quella più rispondente alle esigenze di natura pratica,nonché al principio di chiarezza prescritto dall’art. 2423 c.c., sebbeneimporti una commistione tra la gestione dell’attività generale dellasocietà e quella dello specifico affare. L’ultima soluzione, invece, èindubbiamente quella che fa sorgere maggiori perplessità, atteso che ibeni destinati allo specifico affare rimangono sempre nella titolaritàdella società, pertanto, non possono essere iscritti tra i conti d’ordine12.

Un particolare riferimento merita poi la voce “Patrimonio netto”,per il quale non sembrano essere richieste particolari modifiche o in-dicazioni, atteso che la parte di patrimonio netto correlabile allo spe-cifico affare non può essere suddivisa tra capitale sociale e riserve.Oltretutto, la parte destinata al patrimonio separato è già compresanell’importo del capitale sociale e delle riserve.

Ciò detto una particolare attenzione va rivolta, invece, all’ipotesidel patrimonio separato mediante apporto di terzi, ma non a titolo difinanziamento.

Profili contabili e rappresentazione in bilancio 53

3) l’indicazione in una colonna interna degli importi relativi alpatrimonio destinato.

Ad esempio:

12 Si ricorda quanto prescrive il Doc. n. 22 dei Principi Contabili Nazionali, vale a dire che trai conti d’ordine possono essere iscritti solo i beni di terzi e non anche quelli di proprietà della so-cietà.

B) Immobilizzazioni: Patrimonio Attività Totaledestinato generale

II. Materialia) Terreni 500 2.500 3.000

e fabbricati

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Come già evidenziato, i terzi possono partecipare allo specificoaffare beneficiando degli utili prodotti dalla gestione dello stesso.Pertanto, nell’ipotesi di beni restituibili, essi hanno diritto alla resti-tuzione del capitale apportato, solo in sede di liquidazione del patri-monio separato, dopo che sono state integralmente soddisfatte le ob-bligazioni contratte per lo svolgimento dell’affare. Come già detto inprecedenza, atteso il carattere della ripetibilità, detti beni troverebbe-ro collocazione in bilancio solo nei conti d’ordine.

Invece, nel caso di apporti non restituibili, la società deve iscrive-re un’apposita riserva denominata “Riserva da apporti di terzi a pa-trimoni destinati”, iscritta nella voce VII. Altre riserve, la quale di-viene disponibile man mano che si procede all’ammortamento delvalore di utilizzo dei beni a fecondità ripetuta apportati, ovvero alrealizzo dei beni a fecondità semplice. Di detta riserva è necessariofornire le relative informazioni nella Nota Integrativa.

Infine, vi è l’ipotesi in cui i terzi abbiano effettuato l’apporto a ti-tolo di finanziamento, quindi, con l’obbligo, da parte della società,alla restituzione del capitale, oltre agli interessi, mediante i proventigenerati dall’affare.

In tal caso, il capitale apportato rappresenta un vero e proprio de-bito della società, che verrà collocato nel passivo (tra i Debiti) in unavoce separata.

Infine, tra i conti d’ordine dovrà essere iscritto l’impegno della so-cietà nell’ipotesi di assunzione di responsabilità illimitata per i debi-ti sorti nell’ambito del patrimonio destinato, così come dovrà essereriportata la polizza assicurativa ovvero la fideiussione bancaria nel-l’ipotesi di conferimento della prestazione d’opera per la quale dettegaranzie vengono rilasciate.

CONTO ECONOMICO

Per quanto attiene il C.E. valgono le medesime regole di rappre-sentazione viste per lo S.P.; pertanto, accanto ai componenti reddi-tuali inerenti l’attività generale della società, occorre evidenziare an-che quelli inerenti lo specifico affare, ciò anche in assenza di unaspecifica previsione legislativa.

Anche con riferimento al risultato economico (utile o perdita) ènecessario indicare la parte di pertinenza del patrimonio separato, op-portunamente rettificata con una voce di segno opposto.

Su quanto sopra esposto non sembrano esservi dubbi, sia ai finidella chiarezza nell’esposizione delle voci, sia ai fini della compren-sione della formazione del risultato economico.

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NOTA INTEGRATIVA

Con riferimento a tale documento non vi sono particolari prescri-zioni, se non la necessità di fornire, in un’apposita sezione, tutte leinformazioni inerenti il patrimonio destinato. In particolare, occorreindicare:a) la tipologia di beni e/o di rapporti giuridici destinati allo spe-

cifico affare, procedendo ad una loro breve descrizione, nonché ilgrado di rischio connesso alla costituzione del patrimonio destina-to. Al riguardo, occorre specificare che la società può assumereuna responsabilità illimitata per le obbligazioni sorte nell’ambitodel patrimonio destinato; pertanto, ai sensi dell’art. 2447-septiesc.c., ultimo comma, l’impegno della società forma oggetto di va-lutazione secondo criteri che devono essere illustrati nella NotaIntegrativa e deve essere rappresentato tra i conti d’ordine delloStato Patrimoniale;

b) i criteri di imputazione e di ripartizione dei costi. Si evidenzia,al riguardo, che i criteri da adottare sono gli stessi previsti dal co-dice civile e dai principi contabili in merito, ad esempio, alla va-lutazione delle rimanenze di magazzino (Doc. n. 13), nell’ipotesiin cui l’attività per cui è stato costituito il patrimonio sia destinataalla produzione per il mercato di beni e servizi, ovvero ai lavori incorso su ordinazione (Doc. n. 23), qualora detta attività sia rivoltaalla realizzazione di un’opera e alla fornitura di servizi di duratapluriennale.È evidente che, per tutti i costi comuni sostenuti dalla società eimputati all’affare, occorre rilevare il credito nei confronti del pa-trimonio destinato ed il ricavo al momento del rimborso.Secondo l’O.I.C. n. 2, i costi amministrativi e di vendita si posso-no imputare in base al costo industriale o di fabbricazione, mentregli oneri finanziari devono essere imputati in proporzione all’am-montare del finanziamento.Invece, per gli oneri tributari, l’imputazione avviene direttamenteper quelli che sono stati sostenuti specificatamente per il singoloaffare (tasse di concessione governativa, imposta di bollo, impostadi registro, ecc.), mentre per l’IRAP l’imputazione va fatta in pro-porzione al valore della produzione netta relativa all’affare stesso.Infine, il risultato economico dell’affare non può essere calcolato alnetto dell’IRES, atteso che nell’ipotesi in cui vi fosse una perditadetta imposta non sarebbe dovuta, ma anche perché nell’ipotesi incui vi fossero terzi apportanti, questi dovrebbero sostenere il carico

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impositivo, per la loro parte di competenza, come onere proprio. Sulpunto riteniamo esservi non pochi dubbi, pertanto è auspicabile unintervento chiarificatore da parte del legislatore fiscale;

c) il regime di responsabilità, che, come già evidenziato, deve esse-re indicata se limitata o illimitata in relazione alle obbligazionisorte in seno allo specifico affare.

3. Ulteriori approfondimenti

3.1 Sugli apporti dei terzi nel modello operativoCome si è già avuto modo di evidenziare, nell’ambito del model-

lo operativo, gli apporti dei terzi possono essere rappresentati da:a) denaro, ma non a titolo di finanziamento, altrimenti si ricadrebbe

nell’ipotesi contemplata dalla lett. b) dell’art. 2447-bis c.c.;b) beni materiali ed immateriali (anche gravati da debiti);c) qualunque rapporto giuridico (diritti reali o personali di godimen-

to, crediti, ecc.);d) prestazioni d’opera o di servizi.

Con riferimento ai suddetti apporti, se la società non ha l’obbligodi restituzione, i terzi apportanti avranno solo il diritto di partecipareagli eventuali utili.

In merito alla loro contabilizzazione e rappresentazione in bilan-cio nessun dubbio sorge relativamente agli apporti di denaro, per iquali si rileva un incremento dell’attivo a fronte dell’iscrizione diun’apposita riserva.

Per gli apporti di beni (materiali o immateriali) la loro iscrizione vaeffettuata al valore normale, quello cioè di mercato, sul quale deve poiessere applicato l’ammortamento nell’ipotesi in cui si tratti di beni afecondità ripetuta, nonché eventuali riduzioni per perdite di valore.

Altra nota di considerazione meritano gli apporti di prestazione d’o-pera o di servizi, per i quali non sarebbe consentita l’iscrizione nell’atti-vo del relativo valore, per la durata pattuita, fatta salva l’ipotesi in cuil’apporto sia garantito da apposita garanzia bancaria o assicurativa13.

Infine, è da sottolineare come il legislatore abbia omesso didisciplinare gli apporti in natura dei terzi, vale a dire se, anche in

13 Per un approfondimento della tematica sui conferimenti della prestazione d’opera e di servi-zi si legga: DELL’ATTI A., La disciplina dei conferimenti della S.R.L.: la prestazione d’opera daparte dei soci, in Atti del Convegno su “ La riforma del diritto societario”, (a cura di Di CagnoN.) Cacucci, Bari, 2004.

56 I patrimoni destinati ad uno specifico affare

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questo caso, come per quelli nelle S.p.A., debba essere applicatol’art. 2343 c.c.

Al riguardo, riteniamo che, nel silenzio del legislatore, atteso che ilpatrimonio destinato rappresenta l’unica garanzia per i creditori parti-colari e come tale deve essere tutelato, valga la norma prescritta per leS.p.A. Tale conclusione dovrebbe trovare fondamento soprattutto nel-l’ipotesi in cui l’apporto abbia per oggetto beni non restituibili, attesoche questi, al termine dell’affare, si congiungeranno al patrimoniodella società, costituendo una garanzia per i creditori sociali.

3.2 Sulle perdite derivanti dal patrimonio destinatoIl trattamento contabile dell’utile e della perdita è già stato tratta-

to in precedenza.Nel contempo riteniamo opportuno far notare come il legislatore

si sia completamente disinteressato del problema dell’integrità delcapitale nell’ambito del patrimonio destinato. Infatti, la gestione po-trebbe generare perdite di entità tale da erodere completamente il pa-trimonio che rappresenta l’unica garanzia per i creditori particolari.Pertanto, dinanzi al verificarsi di perdite consistenti nessun obbligo èposto a carico degli amministratori.

A nostro avviso, ciò rappresenta una vistosa lacuna che richiedel’intervento del legislatore, almeno nell’ipotesi in cui la società nonassuma una responsabilità illimitata per le obbligazioni sorte nell’e-sercizio dello specifico affare.

Un ulteriore aspetto meritevole di attenzione riguarda l’effetto del-la perdita del patrimonio separato sul patrimonio della società, sem-pre nell’ipotesi in cui essa non abbia assunto una responsabilità illi-mitata per le obbligazioni del patrimonio separato.

In merito, è importante evidenziare la necessità di impedire che laperdita del patrimonio separato produca un effetto erosivo sull’am-montare del patrimonio netto della società.

Pertanto, tra le soluzioni prospettate, quella più corretta ed imme-diata consiste nell’operare una rettifica extracontabile, prevedendo,nello S.P. l’iscrizione (dopo l’ammontare del patrimonio netto com-prensivo del deficit) di una posta di segno opposto atta ad annullaregli effetti della perdita, mentre nel C.E., e precisamente nella voce n.23, l’iscrizione di una sottovoce avente sempre la funzione di com-pensare l’effetto della perdita14.

14 Tale soluzione è anche quella prospettata dalla Commissione per i Principi Contabili delC.N.D.C. Al fine di una maggiore completezza espositiva, si precisa che la stessa Commissione

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4. Rendiconto finale

Qualora l’affare si realizzi o sia divenuto impossibile, l’art. 2447-novies, 1° co. c.c. impone l’obbligo a carico degli amministratori (odel consiglio di gestione) di redigere il rendiconto finale che deve es-sere depositato presso l’Ufficio del Registro delle Imprese, unita-mente alla relazione dei sindaci o del soggetto incaricato del control-lo contabile. Occorre anche riportare le motivazioni che hanno deter-minato l’impossibilità di raggiungere l’affare.

È evidente che se l’affare si conclude entro l’esercizio in cui esso haavuto inizio, il rendiconto finale coincide con il rendiconto periodico.

Il rendiconto finale si compone del Conto Economico e dello StatoPatrimoniale dal quale deve emergere la struttura finale del patrimoniodestinato. In particolare, qualora detto rendiconto si riferisse ad una frazio-ne d’anno, esso deve indicare i costi ed i ricavi del periodo di riferimento,nonché una nota di riepilogo di tutti i costi ed i ricavi riferiti all’affare.

Il compimento dell’affare, o l’impossibilità alla sua realizzazione,comporta il rientro del patrimonio destinato in quello generale dellasocietà. In tal modo, viene meno il vincolo di destinazione e, quindi,di segregazione patrimoniale.

Occorre, però, verificare che tutte le obbligazioni contratte nellosvolgimento dell’affare siano state soddisfatte, in quanto restano sal-ve le garanzie dei creditori particolari, con esclusione di quella partedi utile spettante alla società (ex art. 2447-quinquies, 1° co., c.c.).

5. Strumenti finanziari partecipativi

Ai sensi dell’art. 2447-ter, 1° co, lett. e) c.c., la società può emet-tere strumenti finanziari di partecipazione all’affare, indicando, nelcontempo, i diritti che essi attribuiscono ai loro possessori.

Detti titoli vengono emessi a fronte degli apporti effettuati dai ter-zi, dando luogo a differenti categorie in base ai diritti patrimonialiche vengono attribuiti ai possessori.

Per ogni categoria di possessori, ai sensi dell’art. 2447-octies c.c.,viene costituita un’apposita assemblea la quale delibera:a) sulla nomina e la revoca del rappresentante comune, con la fun-

zione di controllo sull’andamento dell’affare e sull’azione di re-sponsabilità dello stesso rappresentante;

ha suggerito una seconda soluzione, vale a dire quella di procedere all’iscrizione nel C.E. di uncomponente straordinario di reddito di importo pari alla perdita, avente natura di sopravvenienzaattiva, con la contropartita di una posta che dovrebbe andare a rettifica globale dei debiti. Ad av-viso di chi scrive questa soluzione appare macchinosa, poco chiara e corretta.

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Profili contabili e rappresentazione in bilancio 59

b) sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tuteladegli interessi comuni dei possessori;

c) sull’approvazione del relativo rendiconto;d) sulle modifiche riguardanti i diritti attribuiti dagli strumenti finan-

ziari;e) sulle controversie che possono sorgere con la società, sulle even-

tuali transazioni e rinunce.In relazione agli strumenti finanziari emessi, la società deve tene-

re un apposito libro, nel quale devono essere indicate le loro caratte-ristiche, le generalità dei possessori, l’ammontare dei titoli emessi edi quelli estinti, i vincoli gravanti su di essi, gli eventuali atti di tra-sferimento.

Sull’argomento è opportuno ricordare che nel nostro ordinamentoè stata introdotta una fattispecie di strumenti partecipativi che pre-senta connotazioni similari a quelli inerenti i patrimoni destinati, seb-bene con le dovute differenze.

Infatti, detti strumenti finanziari sono stati introdotti con la L. n.317 del 5 ottobre 1991 (art. 35) con l’intento di far fronte alle esi-genze di natura finanziaria delle piccole e medie imprese.

Si tratta certamente di strumenti finanziari innovativi nei confron-ti dei quali la dottrina aziendale ha rivolto particolare attenzione15,attraverso una serie di interventi che, nel corso degli anni, si sono di-mostrati necessari al fine di chiarire posizioni ed interpretazioni nonsempre univoche, attesa anche la novità della fattispecie.

Essi, infatti, rappresentano strumenti finanziari di media e lungadurata che si interpongono tra il tipico contratto di finanziamento e lapartecipazione al capitale proprio, ciò sia in termini di rischio, sia intermini di rendimento.

In particolare:a) da un lato, gli intermediari finanziari finanziano l’iniziativa eco-

nomica partecipando ai risultati della gestione, pertanto, la remu-nerazione del finanziamento è legata alla redditività aziendale;

b) dall’altro lato, i soci partecipano al potenziamento del capitaleproprio della società, in quanto il rimborso del finanziamento av-viene mediante versamenti che gli stessi effettuano in conto futu-ro aumento di capitale.Si comprende come, con riferimento al grado di rischio, detti stru-

menti si pongono in una posizione intermedia tra le tipiche forme di

15 Sull’argomento, si segnala il lavoro svolto da: MARCHETTI P., I prestiti partecipativi, Cacuc-ci, Bari, 2000. Inoltre, sugli strumenti finanziari partecipativi si legga: TURCO M., Aspetti giuridi-ci e contabili degli strumenti finanziari partecipativi, Quaderni Rirea, n. 34/2005.

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finanziamento (investimenti a rischio relativamente basso) e il capi-tale proprio (investimenti ad alto rischio).

Invero, rispetto alle fonti di finanziamento esterne, è evidente cheil grado di rischio è più elevato in quanto la remunerazione dei capi-tali investiti dipende dalla capacità dell’azienda di produrre reddito.Nel contempo, rispetto al capitale proprio, il grado di rischio risultainferiore in quanto le modalità di determinazione della remunerazio-ne sono predeterminate contrattualmente.

Pertanto:– i terzi finanziano l’attività aziendale legando la remunerazione dei

propri capitali a predeterminati parametri di redditività;– la restituzione dei capitali investiti avviene mediante versamenti

che i soci effettueranno in conto futuro aumento di capitale.Ciò detto, sebbene tali strumenti possono evidenziare delle conno-

tazioni similari a quelli emessi nell’ambito dei patrimoni destinati(modello operativo), non vi è dubbio che presentano, nel contempo,palesi tratti distintivi.

In primo luogo, gli strumenti partecipativi previsti nell’ambito delmodello operativo non sono necessariamente posseduti da istituti dicredito, ma anche da singoli individui o da altre imprese.

In secondo luogo, per il capitale apportato dai terzi non è necessa-riamente previsto il vincolo di restituzione e, comunque, la restitu-zione al compimento dell’affare non avviene mediante i versamentieffettuati dai soci, ma attraverso la restituzione dei beni apportati, ov-vero la liquidazione del patrimonio destinato.

Pertanto, è evidente come detti strumenti presentano delle notevo-li differenze rispetto ai prestiti partecipativi.

6. Un modello alternativo a quello proposto dall’O.I.C.

Sul modello contabile contenuto nella bozza dell’O.I.C. n. 2 sonostate mosse diverse critiche16, alcune da noi condivise, e che di se-guito vengono sinteticamente esposte:a) lo specifico affare è un’ “attività atipica” e, comunque, del tutto di-

stinta rispetto all’attività ordinaria della società17, tant’è che l’ope-razione è assimilabile alla costituzione di una società ex-novo;

16 In merito si legga: DEZZANI F., I modelli contabili dei patrimoni destinati ad uno specificoaffare, in Riv. Il fisco, n. 31/2004, pp. 11632 e segg.

17 A nostro avviso, all’aggettivo “atipica” si potrebbe anche aggiungere “secondaria” conside-rata la percentuale del proprio patrimonio che la società destina.

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Profili contabili e rappresentazione in bilancio 61

b) l’integrazione delle voci contabili dello specifico affare nelle vocidi bilancio della società costituente rende non espressive le vocidel bilancio generale. Al riguardo, si sostiene che l’aggregazionedelle voci dà luogo alla redazione di uno S.P. e di un C.E. che nonsono più espressione dell’attività ordinaria della società;

c) l’applicazione della tecnica del consolidamento (attraverso l’eli-minazione delle operazioni intergestorie) diretta alla rilevazionenel C.E. generale dei costi e dei ricavi dello specifico affare nonconsente la determinazione del risultato economico dell’affarestesso nel bilancio generale;

d) i debiti di qualsiasi natura sorti nell’ambito del patrimonio desti-nato non sono debiti della società, in quanto essi sono garantiti dalpatrimonio separato, salva diversa pattuizione contenuta nella de-libera costitutiva. In tal caso, l’impegno assunto dalla società deverisultare in calce allo S.P. Pertanto, non appare corretto iscriveretali debiti nel bilancio della società18;

e) il deficit patrimoniale eventualmente rilevato nell’ambito del pa-trimonio destinato non comporta una riduzione del patrimonionetto della società;

f) l’IRES relativa allo specifico affare deve essere imputata sia alC.E. dello specifico affare, sia a quello generale. Nell’O.I.C., al ri-guardo, si sostiene che il risultato economico dell’affare non puòessere calcolato al netto dell’IRES, ciò per due ordini di motivi. Ilprimo è rappresentato dal fatto che se l’affare chiude in perdital’imposta non è dovuta; il secondo motivo, invece, è legato allacircostanza che nell’ipotesi di ripartizione dell’utile con i terzi ap-portanti, l’imposta graverà come onere proprio sia sulla società,sia sui terzi. Pertanto, questa non può essere inclusa tra i costi del-l’affare, salve diverse pattuizioni. La critica mossa a tale conclu-sione mira ad evidenziare che i partecipanti non possono ripartirsil’utile lordo, bensì quello netto, pertanto, tra i costi occorre consi-derare le imposte.Ciò detto, il modello alternativo a quello proposto dall’O.I.C., che

consentirebbe di superare le critiche rivolte, suggerisce l’adozionedella contabilità separata in seno ai conti d’ordine.

Tale modello è stato ampiamente utilizzato con successo dallesocietà di cartolarizzazione (L. n. 130 del 30/04/1999), le quali redi-gono un rendiconto per ogni operazione di cartolarizzazione, per poi

18 Al riguardo, ci permettiamo di aggiungere che ciò vale anche per i crediti sorti nell’ambitodel patrimonio destinato.

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esporre le sintesi nei conti d’ordine delle società cosiddette “veico-lo” (SPV).

Invero, la disposizione della Banca d’Italia del 29/03/2000 suibilanci degli istituti bancari e finanziari, impone alle società di cartola-rizzazione la rappresentazione “sotto la linea” dei dati inerenti i patri-moni separati, attraverso la separata evidenza nella Nota Integrativa.

In particolare:– le informazioni contabili relative a ciascuna operazione devono esse-

re inserite in appositi prospetti da allegare alla Nota Integrativa;– il C.E. della società di cartolarizzazione non deve essere influen-

zato dalle vicende relative ai crediti di pertinenza del patrimonioseparato in questione;

– il C.E. della società non deve essere gravato dai costi sostenutidalla società per la gestione delle operazioni inerenti il patrimo-nio; esse, invero, dovrebbero essere riportate in un apposito pro-spetto contenuto nella Nota Integrativa;

– il rapporto tra la società ed il patrimonio separato deve essere af-fidato a scritture di raccordo indicative delle reciproche posizioniattive e passive. In definitiva, i rapporti tra la società e i terzi, nell’interesse dell’o-perazione di cartolarizzazione, transitano sotto il profilo rappre-sentativo nel patrimonio della società, quale centro di imputazionedi diritti ed obblighi, senza modificarne la consistenza.

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SOMMARIO: 1. La carenza di soggettività passiva nel patrimonio destinato. - 2. Leproposte della “Commissione Gallo”. - 3. La disciplina degli strumenti finan-ziari e la tutela del fisco.

1. La carenza di soggettività passiva nel patrimonio destinato

La normativa relativa ai patrimoni destinati è ancora oggetto distudio non solo a livello tecnico-contabile, ma anche dal punto di vi-sta fiscale1.

A conferma di ciò è sufficiente richiamare il differimento tempo-rale dell’entrata in vigore della riforma societaria e di quella fiscale:1º gennaio 2004, per la prima; 1º gennaio 2005, per la seconda2.

Tuttavia, esiste un punto fermo nella regolamentazione fiscale deipatrimoni destinati su cui non sembrano esservi dubbi, cioè, la man-canza in capo ad essi di un’autonoma soggettività tributaria.

Infatti, sembra ormai certa l’impossibilità di collocare i patrimoniseparati tra i soggetti passivi d’imposta indicati nell’art. 73 del nuo-vo Tuir, modificato con il D. Lgs. 344 del 12/12/2003.

Né è possibile ricomprenderli (anche residualmente) tra le «orga-nizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi nei confronti

CAPITOLO IV

GLI ASPETTI FISCALI DEI PATRIMONI DESTINATI

1 Sull’argomento, ampiamente esaustivo risulta il lavoro di: SELICATO G., Soggettività giuridi-ca e possesso dei redditi nei patrimoni destinati ad uno specifico affare in attesa dell’interventodel legislatore fiscale, in Riv. Economia, Azienda e Sviluppo, Cacucci, Bari, n. 3/2004.

2 CAPOLUPO S., Il regime fiscale degli strumenti finanziari ibridi e dei patrimoni dedicati, in Ilfisco, n. 20/2003, p. 3019.

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delle quali il presupposto dell’imposta si verifica in modo unitario eautonomo». Ciò si spiega in quanto non si possono porre i patrimonidestinati sullo stesso piano dei comitati, dei circoli, delle congrega-zioni, delle accademie, delle casse mutue, ecc., date le enormi diffe-renze presenti dal punto di vista degli obiettivi, delle responsabilità,delle garanzie dei creditori, oltre che dell’autonomia della gestione3.

Ne consegue che, proprio sulla base di tale ultimo aspetto, cioèquello del profilo gestorio dell’attività, sarebbe da escludere la pos-sibilità di conferire ai patrimoni dedicati un’autonoma soggettivitàtributaria4.

Invero, l’autonomia che si tenta di individuare non può non pre-supporre un’autonomia nella gestione che sembra molto difficile daintravedere nei patrimoni dedicati, attesa l’innegabile riferibilità allasocietà di “gemmazione”.

Ci si trova di fronte, quindi, ad un fenomeno di autonomia patri-moniale disgiunta dalla soggettività giuridica, poiché la separazionedel patrimoni è funzionale ad una regolamentazione dei rapporti reci-proci tra due gruppi di creditori (quelli generali e quelli particolari),ma «non incide sulla titolarità dei beni e delle posizioni giuridiche,che continua a far capo alla società di gemmazione»5.

Di conseguenza, sembra delinearsi il convincimento che il patrimo-nio destinato non possa dar luogo ad un autonomo soggetto d’imposta.

Nonostante ciò, taluni hanno ritenuto che la segregazione tra vi-cende societarie e vicende del patrimonio destinato obbligherebbe adeterminare dei redditi tassabili separati (rispettivamente per il patri-monio e per la società di gemmazione)6. Secondo tale orientamento,sarebbe la stessa disciplina civilistica a far propendere per questa so-luzione (per altro più onerosa per la società costituente), giacché peril patrimonio destinato è prescritta la stessa normativa prevista per lesocietà, ossia la redazione di rendiconti equiparabili a bilanci annua-li e del rendiconto finale a chiusura dell’attività.

Proprio la redazione del “separato rendiconto” consentirebbe dipervenire, in chiusura dell’esercizio, all’esatta determinazione del ri-sultato economico dell’affare e alla sua tassazione in via autonoma.

Nel contempo, però, si è aperta la via ad un opposto orientamen-to, secondo cui le disposizioni previste dal legislatore civilistico non

3 CAPOLUPO S., Il regime fiscale dei patrimoni dedicati, in Il fisco, n. 10/2004, p. 1389.4 BLOCH J., Per i patrimoni di destinazione le alternative di tassazione si riducono ad una so-

la, in Corriere tributario, n. 38/2003, pag. 3128.5 STEVANATO D., Patrimoni destinati: ipotesi di regolamentazione fiscale, in Rassegna tributa-

ria, n. 1/2004, pp. 59-60.6 Così NUZZO, Patrimoni destinati, destino incerto, in Il sole-24 ore, 17 giugno 2003, p. 26.

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Page 67: I patrimoni destinati ad uno specifico affare.

Gli aspetti fiscali dei patrimoni destinati 65

impediscono la determinazione di un unico imponibile in capo allasocietà di gemmazione (unico soggetto passivo), ricomprendendo inesso anche quello riferibile al patrimonio separato. Infatti, l’obbligodi un apposito rendiconto e di una distinta indicazione dei beni e deidiritti di tale patrimonio non fa certo sorgere alcun dubbio in ordineall’unitarietà del bilancio della società.

D’altronde, la mancanza, nel decreto istitutivo dell’IRES (D. Lgs.12 dicembre 2003, n. 344), della previsione di una normativa fiscaledei patrimoni destinati non fa che confermare l’irrilevanza ai fini red-dituali della costituzione di tali patrimoni7.

2. Le proposte della “Commissione Gallo”

Le due soluzioni alternative appena prospettate, quella cioè del-la determinazione unitaria del reddito imponibile della società equella della determinazione autonoma del reddito imponibile delpatrimonio, costituiscono rispettivamente la “versione A” e la “ver-sione B” dello schema di articolato emanato dalla “CommissioneGallo”.

Tale Commissione, come è noto, è stata istituita nel novembre2002 con il compito di adeguare il vigente sistema fiscale alla rifor-ma del diritto societario ed ha ultimato i lavori, rendendo note le pro-poste di coordinamento, nel luglio 2003.

La “versione A” prevede che «Il reddito complessivo delle societàche costituiscono patrimoni di destinazione di cui all’art 2447 bis,comma 1, lettera a), del codice civile è determinato unitariamente,considerando anche le singole voci che compongono il rendiconto diciascuno dei predetti patrimoni».

In tal modo, viene chiarito che si perviene alla determinazione delreddito imponibile (o della perdita fiscalmente riconoscibile) acqui-sendo analiticamente tutti i componenti reddituali della società e deipatrimoni di destinazione ed effettuando le necessarie variazioni inaumento e in diminuzione stabilite dalla normativa tributaria in ma-teria di reddito d’impresa. In tal modo, la società gemmante dovreb-be procedere alla determinazione di un unico risultato imponibile,partendo dal conto economico generale, comprensivo delle singolevoci contabili del patrimonio separato.

7 ANELLO P., Profili civilistici e fiscali dei patrimoni dedicati, in Corriere tributario, n. 41/2003,p. 3390; COMMITTERI G. M.-SCIFONI G., I “patrimoni dedicati“ tra soggettività tributaria e tute-le antielusive, in Corriere tributario, n. 48/2003, p. 3979.

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Pertanto, i terzi apportanti sarebbero equiparati agli associati inpartecipazione ed una parte del reddito della società sarebbe conside-rato di competenza di terzi come se si trattasse appunto di un utilespettante ad associati in partecipazione.

Ciò detto, le critiche rivolte alla “versione A” attengono la possibi-le presenza di perdite pregresse di pertinenza della società destinante.

La Commissione Gallo ha risposto a tali preoccupazioni preve-dendo che il riporto di tali perdite non fosse ammesso per la quotadel reddito complessivo corrispondente al rapporto tra il patrimoniodi destinazione di spettanza dei terzi, assegnatari di strumenti finan-ziari, ed il patrimonio netto contabile8.

In altre parole, le perdite fiscali della società rileverebbero soltanto“pro-rata”, ossia potrebbero essere utilizzate per abbattere i redditiprodotti dallo specifico affare, ma soltanto limitatamente alla quotache residua dopo aver “sterilizzato” gli apporti di soggetti terzi. Senzatale previsione, la società potrebbe utilizzare le proprie perdite pre-gresse per abbattere il reddito ascrivibile al patrimonio destinato, perla quota di spettanza di terzi, con evidenti effetti negativi per l’Erario.

La “versione B” dello schema di articolato, invece, prevede la de-terminazione di un autonomo reddito imponibile del patrimonio de-stinato, apportando al “separato rendiconto” le variazioni previstedalle norme sul reddito d’impresa.

In questo modo, si giungerebbe all’«esatta quantificazione del-l’imposta a carico del patrimonio stesso e, conseguentemente, alladeterminazione del corretto risultato netto dell’affare che, se positi-vo, può essere distribuito agli eventuali partecipanti terzi e allasocietà».

Con riferimento a tale ipotesi, si pone il problema se gli imponi-bili della società gemmante e quelli del patrimonio destinato debba-no essere aggregati (cioè sommati algebricamente), ovvero se l’auto-nomia del patrimonio debba spingersi fino alla determinazione unita-ria dell’imposta dovuta e ad un consolidamento solo “finanziario”con i debiti e i crediti tributari della società.

A nostro avviso, tra le due soluzioni la prima appare l’unica prati-cabile alla luce del decreto istitutivo dell’Ires9.

8 In termini operativi, ciò significherebbe che, se il patrimonio di destinazione dei terzi (rac-colto a fronte di emissione di strumenti finanziari) è pari a 100, ed il patrimonio netto contabile èpari a 1.000, il rapporto tra i due valori (0.1) deve essere preso a riferimento per quantificare laparte di reddito complessivo “minima” tassabile. Proseguendo nell’esempio, se l’utile d’esercizio(ai fini fiscali) è pari a 10, pur in presenza di perdite pregresse riportabili a nuovo, la parte di es-so tassabile non può essere inferiore a 1 (ovvero 10 per 0.1).

9 Anche la Commissione Gallo propende per tale soluzione.

66 I patrimoni destinati ad uno specifico affare

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Gli aspetti fiscali dei patrimoni destinati 67

Al riguardo si sottolinea che, per le società per azioni residenti,«l’imposta si applica sul reddito complessivo netto» (art. 75 del de-creto Ires) e «il reddito complessivo delle società e degli enti com-merciali…, da qualunque fonte provenga, è considerato reddito d’im-presa» (art. 81 del decreto Ires).

Vi è da aggiungere che, se si applicasse un mero consolidamento ditipo finanziario, la costituzione di un patrimonio destinato sarebbepenalizzata rispetto alla costituzione di una società controllata, senzache vi siano valide ragioni capaci di supportare tale trattamento diffe-renziato. Inoltre, si evidenzia che, se è consentita l’aggregazione diimponibili di soggetti formalmente distinti (società controllante esocietà controllata), a maggior ragione dovrebbe essere consentital’aggregazione dei risultati del patrimonio destinato e della societàdestinante.

Inoltre, con riferimento alla soluzione dell’aggregazione degli im-ponibili, la Commissione ha ritenuto opportuno, per motivi di caute-la fiscale, che si limiti la compensazione alla quota del risultato dipertinenza della società di gemmazione. Si tratta, in sostanza, diadottare un metodo di aggregazione non “integrale”, ma solo “pro-porzionale” dei risultati del patrimonio destinato.

In presenza di un metodo di imputazione integrale, si corre il ri-schio che la società benefici dell’utilizzo dei suoi utili per la com-pensazione di eventuali perdite prodotte dal patrimonio destinato, an-che per la quota di pertinenza di terzi apportanti. Parallelamente, nel-l’ipotesi inversa di società in perdita e patrimonio destinato in utile,gli effetti fiscali dell’imputazione integrale risulterebbero a favoredegli eventuali terzi partecipanti allo specifico affare. In modo analo-go, gli stessi soggetti esterni beneficerebbero della compensazionedegli utili derivanti dall’affare con le eventuali perdite pregresse del-la società, anteriori alla costituzione del patrimonio destinato.

Al contrario, mediante l’impiego del metodo di imputazione pro-porzionale, contemplato nella “versione B” dello schema di articola-to, verrebbe meno il rischio di una compensazione tra risultati dellasocietà di gemmazione e risultati del patrimonio di spettanza di terzi.Infatti, tale versione prevede che «il reddito complessivo e il valoredella produzione netta di ogni patrimonio, al netto della quota dipertinenza di terzi in proporzione alla loro partecipazione ai risulta-ti dell’affare …, concorrono a formare il reddito complessivo ai finidell’imposta sul reddito delle persone giuridiche e il valore dellaproduzione soggetto all’imposta regionale sulle attività produttivedella società». Secondo questo schema, la società di gemmazione

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compenserebbe soltanto la quota di perdite del patrimonio di suaspettanza, mentre, nel caso di redditi imponibili del patrimonio e per-dita della società, i terzi continuerebbero a sopportare le imposte sul-la quota di risultato di loro spettanza. Quanto alle perdite fiscali ge-nerate dal patrimonio destinato, limitatamente alla quota proporzio-nalmente riferibile a terzi, è previsto il riporto quinquennale: esse re-sterebbero all’interno del patrimonio e potrebbero essere riportate inavanti e scomputate esclusivamente da futuri redditi imponibili perti-nenti allo specifico affare.

Infine, in presenza di un risultato positivo del patrimonio separa-to, le imposte dovute andrebbero calcolate autonomamente sulla par-te di reddito imponibile di pertinenza di terzi. Quindi, sarebbe la so-cietà, in quanto unico soggetto passivo, ad effettuare il relativo ver-samento, sottraendolo dai risultati lordi del patrimonio di spettanzadei terzi.

3. La disciplina degli strumenti finanziari e la tutela del fisco

Per quanto attiene la disciplina fiscale degli strumenti finanziariemessi a fronte dell’apporto di terzi al patrimonio destinato, è statodeciso che la relativa remunerazione non è deducibile dal redditod’impresa, ciò al fine di evitare la distribuzione occulta di utili sottoforma di interessi o altri proventi deducibili.

Infatti, l’art. 109, comma 9, lettera a), del decreto legislativo sul-l’Ires, nel dettare le norme generali sui componenti del reddito d’im-presa, prescrive l’indeducibilità di «ogni tipo di remunerazione dovu-ta su titoli, strumenti finanziari comunque denominati, … per la quo-ta di essa che direttamente o indirettamente comporti la partecipa-zione ai risultati economici della società emittente o di altre societàappartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale glistessi sono stati emessi».

Detta indeducibilità non sussisterebbe qualora le parti convenisse-ro degli interessi predeterminati (o predeterminabili) in misura certaed in funzione di parametri oggettivi differenti rispetto all’andamen-to dello specifico affare. Ma questa conclusione non appare persuasi-va considerato il tenore letterario dell’articolo del testo unico sumenzionato, in cui si esclude la deducibilità di «ogni tipo di remune-razione dovuta …» al semplice verificarsi della condizione di «parte-cipazione ai risultati economici … dell’affare».

Inoltre, gli strumenti finanziari di cui all’art. 2447 ter c.c. sonochiaramente equiparati alle azioni, come si legge nell’art. 44, comma

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2, lett. a) del Testo Unico10. Conseguentemente, i relativi proventicostituiscono utili da partecipazione e sono assoggettati a tassazionein capo al percettore nella misura del 5%, qualora questi si identifichicon un soggetto Ires. Se, invece, i partecipanti non sono soggetti Ires,occorre distinguere due diversi trattamenti fiscali riservati ai proven-ti, a seconda che questi vengano percepiti nell’ambito o al di fuoridel reddito d’impresa.

Nel primo caso, la quota imponibile è pari al 40%, mentre nel se-condo caso, sembrerebbe essere prevista la piena imponibilità, conapplicazione di ritenuta alla fonte a titolo di imposta in misura pari al12,5%, senza dunque ricorrere a differenziazioni di trattamento infunzione delle classiche soglie di qualificazione. La disciplina del se-condo caso è quella che si desume dalla lettura del secondo periododel comma 1 dell’art. 27 del D.P.R. n. 600/1973, come sostituito dal-l’art. 2 comma 1 lett. b) del D. Lgs. n. 344/2003, ai sensi del quale«la ritenuta di cui al periodo precedente si applica alle condizioni ivipreviste agli utili derivanti dagli strumenti finanziari di cui all’art.44 comma 2 lett. a)».

Dunque, il legislatore ha stabilito, per i suddetti proventi, ilmedesimo trattamento fiscale riservato ai dividendi, eccetto che nelcaso di “percipiente diverso da soggetto passivo Ires che percepisceil provento al di fuori del reddito d’impresa”, per cui il processo diassimilazione è solo parziale. Infatti, per i dividendi, percepiti al difuori del reddito d’impresa da soggetti non Ires, viene prevista ladistinzione di trattamento a seconda che la partecipazione, da cui idividendi derivano, sia “qualificata” (esenzione al 60%) oppure“non qualificata” (piena imponibilità, senza soglie di esenzione, macon applicazione di ritenuta alla fonte a titolo di imposta in misurapari al 12,5%).

La scelta del legislatore deriva dalla difficoltà di individuare, nelcontesto dei proventi in questione, dei parametri validi ai fini dellaindividuazione di una determinata soglia di qualificazione, posto cheper gli strumenti finanziari previsti dall’art 2447 ter c.c., privi di di-ritto di voto, mal si concilierebbe il ricorso ai parametri classici, qua-li l’ammontare dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinariadell’ente emittente11.

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10 Ai sensi del citato articolo, i titoli e gli strumenti finanziari, la cui remunerazione è costitui-ta totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente, di altre società delgruppo o dell’affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi, sono equipa-rati alle azioni.

11 ZANETTI E., La nuova tassazione dei dividendi e delle plusvalenze su partecipazioni, in Pra-tica contabile, n. 3/2004, pp. 33 e segg.

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Qualora, a fronte dell’apporto di terzi al patrimonio destinato, nonsiano stati emessi strumenti finanziari, il conseguente regime fiscale è daritenere inquadrabile nell’ambito dell’associazione in partecipazione12.

In particolare, taluni osservano come, nel caso di apporti di terzi,costituiti ad esempio da beni in natura, vi sia un vero e proprio attodi trasferimento dei beni, i quali entrano nella sfera patrimoniale del-la società di gemmazione13. Ciò renderebbe plausibile la soluzioneproposta dalla Commissione Gallo, consistente nell’assimilare il re-gime fiscale di tali apporti a quello dei conferimenti in società.

Questa assimilazione, a parere della Commissione, dovrebbe esse-re estesa anche ai beni oggetto di destinazione da parte della società;tuttavia, in tal caso, lo schema di articolato prevede che si consideri“corrispettivo” il valore fiscale già riconosciuto ai beni in capo allasocietà, a meno che nelle scritture contabili del patrimonio destinatosia attribuito ai beni un valore superiore.

Nessuna difficoltà, poi, sorge sotto il profilo della disciplina tributa-ria dei finanziamenti destinati ad uno specifico affare disciplinati dal-l’art. 2447 decies c.c. Per il finanziatore, infatti, i proventi derivantidall’operazione sono normalmente soggetti a tassazione, rientrando trai redditi di capitale; mentre, per la società che ha ricevuto il finanzia-mento, la remunerazione corrisposta è integralmente deducibile inquanto imputabile per intero al conto economico. La restituzione alfinanziatore del capitale ceduto in prestito rileverà esclusivamente sot-to il profilo patrimoniale, non generando effetti sul conto economico,se non per la differenza tra la somma originariamente ottenuta in pre-stito e il maggiore o minore ammontare complessivo del rimborso.

Riguardo all’imposizione indiretta, è da escludere che i patrimonidedicati abbiano soggettività passiva ai fini dell’IVA che verrà, inve-ce, applicata secondo gli ordinari criteri dalla società di gemmazione.Il D. Lgs. n. 344/2003 non ha apportato alcuna integrazione al D.P.R.26 ottobre 1972, n. 633 nonostante la Commissione Gallo avesseproposto di integrare l’art. 36 al fine di prevedere la possibilità diestendere l’applicazione separata dell’imposta all’attività esercitatadai patrimoni separati14.

12 CAPOLUPO S., Il regime…, op. cit., p. 3544.13 STEVANATO D., Patrimoni…, op. cit., pp. 72 e segg.14 L’articolo citato, infatti, prevede la facoltà per i soggetti che svolgono contemporaneamente

più attività nell’ambito della stessa impresa di applicare distintamente l’IVA, relativamente ad al-cune delle attività esercitate, mediante tenuta di registri ordinari separati. Per effetto di tale sepa-razione ai fini IVA, si procede ad una distinta liquidazione periodica dell’imposta e al relativoversamento dell’imposta in modo unitario, a seguito della compensazione tra situazione debitoriee creditorie; viene inoltre presentata un’unica dichiarazione annuale che si compone del fronte-spizio e di tanti moduli quante sono le attività gestite mediante contabilità separata.

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Infine, uno dei problemi più delicati attinenti la disciplina fiscaledei patrimoni destinati, consiste nel rischio di manovre elusive voltea destinare patrimoni al fine di sottrarre garanzie al creditore pubbli-co (Erario, Regioni o enti locali). L’atto di destinazione dei beni sot-trae infatti i medesimi beni alla garanzia dei creditori ed il ristrettotermine di 60 gg. previsto dall’art. 2447 quater, comma 2, c.c., entrocui poter fare opposizione, è subito apparso insufficiente a tutelaregli interessi dei creditori pubblici in questione.

La Commissione Gallo ha proposto l’introduzione di una specifi-ca norma (art. 35 bis, D.P.R. n. 600/1973), che prevedeva l’assolutainopponibilità della costituzione di patrimoni destinati nei confrontidell’Amministrazione finanziaria e degli altri creditori pubblici, pertributi e contributi per le obbligazioni sorte prima della costituzionedei patrimoni destinati. Con riguardo al grado di inopponibilità, sonostate formulate due ipotesi alternative.

Una di esse stabilisce che la predetta inopponibilità opera soltantosulla quota di patrimonio di spettanza della società, mentre l’altraprevede una inopponibilità tout court includendovi anche gli apportidei terzi al patrimonio destinato.

Questa seconda soluzione, tuttavia, comporterebbe un disincenti-vo per i terzi intenzionati ad effettuare un apporto, poiché i loro be-ni, destinati all’esecuzione dell’affare, potrebbero essere aggrediti dalFisco per crediti della società destinante, precedenti alla costituzionedel patrimonio15.

Alla base delle proposte della Commissione vi sono considerazio-ni analoghe a quelle che ispirano la tutela dei creditori “involontari”,prevista dall’art. 2447 quinquies, comma 3, c.c., per il quale resta sal-va la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni deri-vanti da fatto illecito. Infatti, anche il Fisco, al pari dei creditori “in-volontari”, non avendo scelto i propri debitori, né disponendo di spe-cifiche informazioni su di essi, non può vedersi opporre la limitazio-ne di responsabilità del patrimonio destinato.

Tuttavia, dalla lettura del D. Lgs. 344/2003 emerge la mancata in-tegrazione del D.P.R. 600/1973 e, quindi, la chiara volontà di non ap-prestare a favore dell’Erario e degli enti territoriali garanzie ulteriori,per i crediti sorti anteriormente alla costituzione del patrimonio de-stinato, oltre a quelle previste in materia di privilegi speciali sui benimobili ed immobili.

15 COMMITTERI G. M.-SCIFONI G., I “patrimoni dedicati”, op. cit., pp. 3978 e segg.; STEVANA-TO D., Patrimoni destinati, op. cit., pp. 75 e segg.

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SOMMARIO: 1. Gli altri istituti giuridici già presenti nel nostro ordinamento giuri-dico. - 2. Le tracking stocks. - 3. Possibilità applicative dei patrimoni destina-ti nelle operazioni di leveraged financing e di project financing. - 4. Possibi-lità applicative dei patrimoni destinati nelle Captive Companies.

1. Gli altri istituti giuridici già presenti nel nostro ordinamento

Come detto in precedenza, i patrimoni destinati non costituisconouna novità assoluta nell’ordinamento giuridico italiano, atteso che nelnostro Codice Civile sono già presenti diversi istituti di segregazionepatrimoniale, come l’eredità giacente (art. 528 c.c. e ss.) o i fondi pa-trimoniali (art. 167 c.c. e ss.).

Invero, negli ultimi anni si è assistito al frequente ricorso, da par-te del legislatore, alla tecnica della separazione patrimoniale nel det-tare norme destinate alla disciplina di specifici settori: ciò è avvenu-to, ad esempio, con le disposizioni in tema di intermediazione finan-ziaria, di fondi pensione o di cartolarizzazione dei crediti e degli im-mobili pubblici.

Ma rispetto alle figure di separazione citate, i patrimoni destinatirappresentano un’autentica innovazione: mentre le prime attengono afattispecie particolari e specifiche, i secondi realizzano una genera-lizzazione dell’istituto della separazione patrimoniale, del quale po-tranno d’ora innanzi avvalersi tutte le società a base azionaria a pre-scindere dal settore di attività e dallo specifico oggetto sociale, al fi-ne di compiere operazioni economiche il cui contenuto non è fissatodalla legge, ma è determinato dall’autonomia privata.

CAPITOLO V

IL CONFRONTO CON ALTRI ISTITUTI GIURIDICI E POSSIBILI APPLICAZIONI

DELL’ISTITUTO DEI PATRIMONI SEPARATI

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Come già detto, il modello operativo dell’istituto in esame, relati-vamente alla fattispecie della partecipazione dei terzi allo specificoaffare, presenta evidenti affinità con quello dell’associazione in parte-cipazione (art. 2549 c.c. e ss.), alla quale è sicuramente accomunatodalla finalità rappresentata dallo svolgimento dello specifico affare1.

Un altro punto in comune risiede nel fatto che, così come il patri-monio dedicato non configura un autonomo soggetto giuridico, anchel’associazione in partecipazione «non determina la formazione di unsoggetto nuovo o la costituzione di un patrimonio autonomo, né lacomunione dell’affare o dell’impresa, che restano di esclusiva perti-nenza dell’associante, per cui è solo l’associante che fa propri gliutili, salvo, nei rapporti interni, il suo obbligo di liquidare all’asso-ciato la sua quota di utili e a restituirgli l’apporto2».

Tuttavia vi sono delle nette differenze tra i due istituti, a partiredal fatto che l’istituzione dei patrimoni destinati non necessariamen-te ha bisogno dell’apporto di terzi, mentre la presenza dell’associatoin partecipazione si rivela essenziale.

Inoltre, anche quando vi è l’apporto dei terzi, la separazione patri-moniale non trova la sua fonte in un mero contratto con chi parteci-pa all’affare, come avviene nell’associazione in partecipazione, ma inuna delibera dell’organo amministrativo.

Un’ulteriore differenza è legata alla possibilità lasciata sia a tutti i creditori, di aggredire i beni dell’associante, per quelli sorti in di-pendenza dell’esercizio dell’impresa o dell’affare, sia allo stesso as-sociato per il pagamento degli utili maturati (o per il rimborso del-l’apporto al netto delle perdite alla scadenza del contratto).

Al contrario, il patrimonio dedicato è libero da qualsiasi pretesadei creditori generali della società, sia anteriori che successivi alladestinazione, risultando perfettamente autonomo rispetto al restantepatrimonio, salvo le eccezioni già analizzate.

Sia al terzo apportante di un patrimonio destinato, sia all’appor-tante di un’associazione in partecipazione sono attribuiti esclusiva-mente poteri di controllo sulla gestione e non poteri “di direzione”sull’affare.

Alquanto diversi potrebbero essere i termini del discorso nell’e-ventualità in cui, a fronte dell’apporto al patrimonio destinato, fosseprevista l’emissione di strumenti finanziari, per i quali la delibera co-stitutiva, ai sensi dell’art. 2447 ter, lett. e), c.c., deve prevedere “la

1 STELLA RICHTER M. jr, I patrimoni dedicati nel diritto delle società per azioni: appunti sulleprospettive di riforma, 2004.

2 Cass. 17 maggio 2001, n. 6757, in Giust. Civ. 2002, I, p. 729.

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Il confronto con altri istituti giuridici e possibili applicazioni... 75

specifica indicazione dei diritti che attribuiscono”. In tal caso si fa-rebbe strada la possibilità che, attraverso la costituzione del patrimo-nio destinato, la società perda il controllo esclusivo di una propria“cellula” a favore di un controllo congiunto, in quanto condiviso conil terzo finanziatore, mentre ciò non potrebbe mai avvenire nella fat-tispecie dell’associazione in partecipazione.

Con il nuovo istituto, inoltre, devono ritenersi superati i problemiche si pongono in ordine all’utilizzo dell’associazione in partecipa-zione nei confronti di una pluralità di associati, data l’assenza di di-sposizioni analoghe a quelle dell’art. 2550 c.c., in cui si prevede che«salvo patto contrario, l’associante non può attribuire partecipazio-ni per la stessa impresa o per lo stesso affare ad altre persone senzail consenso dei precedenti associati».

I patrimoni destinati presentano connotazioni comuni anche conl’operazione di scissione, con la quale “una società assegna l’interosuo patrimonio a più società preesistenti o di nuova costituzione, oparte del patrimonio stesso ad una sola società e le relative azioni oquote ai suoi soci” (art. 2506 c.c.).

L’operazione risponde principalmente ad esigenze di politica im-prenditoriale proprie soprattutto della grande impresa, in quanto per-mette di frazionare patrimoni di rilevante entità mediante il conferi-mento di autonoma soggettività giuridica a singole unità aziendali3.

Le esigenze possono essere di diversa natura: la riorganizzazionedell’azienda attraverso lo snellimento della propria struttura, la ripar-tizione del rischio di impresa tra più entità economiche, la dismissio-ne di attività non più ritenute strategiche o redditizie, ecc.

Così come non può essere dimenticato l’utilizzo di tale istituto neiprocessi di riorganizzazione e privatizzazione delle aziende pubbli-che, soprattutto in Italia e in Germania.

Ciò premesso, se la scissione presenta senza dubbio caratteri co-muni con i patrimoni destinati, è anche vero che questi ultimi noncomportano la costituzione di una società ad hoc, quindi, la titolaritàgiuridica, così come il potere di gestione, non passa nella mani di al-tri soggetti differenti dalla società gemmante. La scissione, inoltre, adifferenza dei patrimoni destinati, è un’operazione che determinascenari pressoché duraturi nel tempo.

La fattispecie dei patrimoni destinati presenta, inoltre, caratteri co-muni anche con quella dell’Associazione Temporanea d’Impresa(A.T.I.), contemplata dalla legge 8 agosto 1977 n. 584, modificata ed

3 PALMIERI G., Scissione di società e circolazione dell’azienda, Giappichelli, Torino.

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integrata dalle leggi 8 ottobre 1984 n. 687 e 19 marzo 1990 n. 55 ecompletamente rielaborata dal D. Lgs. 19 dicembre 1991 n. 406.

Anche in questo caso, l’associazione temporanea d’impresa è unfenomeno caratterizzato dalla temporaneità e dalla mancata creazionedi un nuovo soggetto distinto dalle imprese riunite. Ma a differenzadel patrimonio destinato, l’A.T.I. si fonda su un rapporto di mandatocon rappresentanza, conferito collettivamente all’impresa capogruppoche è legittimata a compiere ogni attività giuridica connessa o dipen-dente dall’affare comune e produttiva di effetti direttamente nei con-fronti delle imprese mandanti. Le imprese riunite nell’A.T.I. conser-vano la loro autonomia economica, giuridica ed operativa e, quindi,non si determina affatto la creazione di un patrimonio separato.

Al contrario, le joint ventures corporations sono forme di associa-zione temporanea di imprese finalizzate all’esercizio di una determi-nata attività economica, nelle quali le parti prevedono la costituzionedi una società di capitali, con autonoma personalità giuridica rispettoai co-venturers, alla quale affidare la conduzione della comune ini-ziativa.

L’altra possibile configurazione di joint venture è quella della con-tractual joint venture, caratterizzata da una base meramente contrat-tuale, da una maggiore flessibilità organizzativa, nonché dalla man-canza di una propria soggettività4. Ma l’esigenza di limitare la re-sponsabilità dei soci, che nella contractual joint venture non può cheessere personale e illimitata, ha portato, nel tempo, all’evoluzione deimodelli di joint venture verso quello della joint venture corporation.I patrimoni dedicati appaiono uno strumento ideale per l’attuazionedi joint ventures, consentendo sia di formalizzare l’accordo sotto unaprecisa veste giuridica, sia di evitare la continua nascita ed estinzio-ne di società5.

Significativo risulta anche il confronto con l’istituto anglosassonedel trust, che ha ormai ricevuto pieno riconoscimento nel nostro or-dinamento giuridico con la legge 16 ottobre 1989 n. 364, che ha rati-ficato la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985. Attraverso il trust,il disponente (settlor) si spoglia definitivamente della titolarità deibeni conferiti e li trasferisce al trustee (persona fisica o giuridica) chene diviene formalmente titolare. Quest’ultimo deve esercitare il dirit-

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4 PERLINGIERI P., Manuale di diritto civile, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2000, p. 562.

5 Con riferimento a ciò, si ricorda che nella Relazione di accompagnamento al progetto Miro-ne, l’istituto dei patrimoni destinati veniva considerato un valido strumento al fine di favorire lanascita di joint ventures.

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to di proprietà così acquisito, non nel suo interesse, ma a favore di al-cuni beneficiari indicati dal disponente o per un fine specifico, men-tre, nel caso dei patrimoni destinati, è la società che ha interesse acompiere un’operazione destinando alla sua attuazione parte del suopatrimonio, di cui rimane pienamente titolare.

Anche l’istituto del trust consente di realizzare una piena separa-zione patrimoniale, giacché il trust fund è separato sia dal patrimoniodel disponente, sia dal patrimonio personale del trustee, con il qualetali beni non si confondono risultando in tal modo non aggredibili daicreditori personali e dagli eredi dello stesso trustee6.

Come spiega l’art. 3 della Convenzione, il trustee è onerato del-l’obbligo «di amministrare, gestire o disporre beni secondo i terminidel trust e le norme particolari impostegli dalla legge». Ma, oltre aquesti obblighi “generici”, sorgono a carico del gestore degli obblighi“specifici” che impongono particolari regole di condotta in relazioneall’attività di gestione. Ne consegue il frequente ricorso a clausolecon le quali si esclude la responsabilità del trustee per ipotesi presta-bilite di inadempimento, oppure si limita la responsabilità del gesto-re esclusivamente ai casi di mala fede.

Inoltre, mentre fine del patrimonio destinato è quello di realizzareun affare a proprio vantaggio, dedicando ad esso una parte del propriopatrimonio, il trust consente di attuare molteplici finalità: tanto percitarne alcune, quella di definire in vita le vicende successorie del pro-prio patrimonio personale e familiare, quella di tutelare minori ed inca-paci, quella di garantire transazioni commerciali, prestiti obbligaziona-ri, mutui e altre forme di finanziamento, quella di realizzare meccani-smi di raggruppamenti di voto più efficaci dei sindacati di voto, ecc.

2. Le tracking stocks

L’introduzione dei patrimoni destinati è stata considerata comeuna scelta che si colloca in una posizione intermedia tra le trackingstocks (azioni correlate) e le special purpose entities (società a desti-nazione specifica)7.

Queste ultime sono rappresentate da soggetti giuridici autonomicreati, nel proprio interesse, da un’impresa, detta sponsor, per rag-

6 Si legga al riguardo: LUPOI M., Trusts, Giuffré, Milano 1997.7 Per una più approfondita conoscenza delle caratteristiche relative alle operazioni di tracking

stocks si veda: Euromoney Corporate Finance, agosto 1985, pp. 8-10; Euromoney Corporate Fi-nance, Ottobre 1985, pp. 52-54;

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giungere obiettivi limitati e definiti. Il loro capitale è sottoscritto dainvestitori terzi rispetto allo sponsor, che tuttavia ne predeterminal’attività, mantenendo i poteri decisionali e di controllo. Allo stessomodo, i patrimoni separati attraggono gli investimenti dei finanziato-ri terzi o dei sottoscrittori degli strumenti finanziari partecipativi, tut-tavia essi mantengono il legame con la società che li ha generati, inquanto, non solo i poteri di gestione restano attribuiti ad essa, ma nonviene meno anche la titolarità giuridica della stessa sui beni ed i rap-porti, ovvero i proventi che costituiscono il patrimonio separato.

L’introduzione dei patrimoni destinati da parte del legislatore italia-no riprende un meccanismo già utilizzato da oltre un ventennio negliStati Uniti, noto con l’espressione di tracking stocks (definite anchelettered stocks, targeted stocks, alphabet stocks). Invero, si tratta di unaparticolare tipologia di azioni che tracciano la performance finanziariadi un singolo business all’interno di un’impresa diversificata.

In altre parole, gli azionisti, titolari di una classe di tracking stocksdi una determinata divisione, risultano partecipare, in base al propriopeso azionario, agli utili derivanti dall’attività della stessa e non an-che ai risultati provenienti dalle altre attività dell’impresa diversifica-ta beneficiaria di tale struttura azionaria. Come nei patrimoni desti-nati, le tracking stocks non implicano la creazione di nuove strutturesocietarie; ciò le differenzia da altre forme di ristrutturazione aziona-ria come gli spin-offs, gli split-offs, i carve-outs, ecc., attraverso cuisi creano nuove società collocando o distribuendo agli shareholdersesistenti le azioni di nuova emissione rappresentanti le partecipazio-ni alle realtà societarie create8.

Pertanto, risulta netta la separazione tra la partecipazione societa-ria e quella economica derivante dall’implementazione di una strut-tura con tracking stocks; invero, gli azionisti ordinari della societàmadre partecipano alla stessa ed i rendimenti delle azioni sono lega-ti al core business aziendale. Dall’altra parte, gli azionisti di trackingstocks, pur partecipando alla parent company, sono beneficiari deirendimenti delle proprie azioni legate alla divisione tracciata.

È da notare che i titolari di tale tipologia di azioni non possono es-sere considerati azionisti della divisione, ma rimangono azionisti del-la società madre, con la peculiarità di essere beneficiari dei rendi-menti derivanti dalla divisione tracciata.

Ne consegue che, al pari di altre tecniche volte a far emergere ilvalore racchiuso all’interno delle divisioni, le tracking stocks consen-

8 Si legga: KOTLER P. – SCOTT W.G. (a cura di), Marketing Management, 1991.

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tono agli investitori di comprendere appieno i diversi business dellasocietà madre.

In secondo luogo, la valutazione della società madre, come som-matoria del valore delle diverse divisioni, risulta maggiore rispettoalla valutazione della stessa come entità unitaria.

Allo stesso modo, le spese legali, le detrazioni fiscali, la tenuta deiregistri contabili, gli organi amministrativi ed i costi fissi aziendalicomuni vengono ripartiti su base più ampia rispetto alle imprese chehanno adottato altri strumenti di segregazione.

Nel contempo, l’esperienza statunitense ha dimostrato che letracking stocks presentano aspetti negativi, quali:– gli azionisti hanno diritti limitati rispetto alla sussidiaria tracked;– la reazione del mercato nei confronti dell’azienda viene in qualche

modo compromessa dalla diluizione in diverse classi di azioni;– le frizioni interne tra società madre e divisione potrebbero aumen-

tare a causa di differenti obiettivi strategici da raggiungere;– esistono problematiche e costi inerenti l’emissione di tracking

stocks;– sono associate minori possibilità di acquisizioni nei confronti del-

la sussidiaria tracked, data la sua relazione con la società madre;– l’istituzione delle tracking stocks richiede il voto favorevole della

maggioranza degli azionisti.Inoltre, rispetto agli azionisti ordinari, per gli associati si evidenzia

la presenza di un duplice rischio legato all’utilizzo di tali strumenti:a) il primo rischio, spesso ignorato dagli investitori, riguarda il fatto

che gli azionisti di tracking stocks sono comunque azionisti del-l’intera società e non dei singoli business. Ne deriva che, il valoredelle azioni di un determinato business può subire l’influenza ne-gativa delle altre divisioni della stessa società, se queste risultanoimproduttive. Ovviamente il momento più delicato si ha quando lasocietà madre risulta insolvente a causa delle performance negati-ve di una sola divisione; pertanto, gli azionisti non solo corrono ilrischio derivante dagli investimenti operati dalla società madre,ma anche quelli derivanti dalla divisione di business.Ciò comporta una cruciale rivelazione sulle tracking stocks: gliazionisti non hanno alcun diritto sulle attività del segmento di bu-siness a cui le loro azioni sono connesse; tuttavia, a fronte degliutili derivanti da quella linea operativa, garantiscono solidalmenteper l’intero conglomerato;

b) il secondo rischio è legato agli innumerevoli conflitti di interesseche possono sorgere tra la società madre e le diverse divisioni in

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merito alla allocazione delle risorse, alla distribuzione degli utili,alla ripartizione dei costi, ecc.

Invero, i problemi sopra citati hanno comportato, nei paesi norda-mericani, uno scarso utilizzo di tale strumento.

Continuando il confronto con i patrimoni destinati, si sottolineacome, per le azioni correlate, la remunerazione può avvenire solo seil settore di riferimento ha prodotto utili e la società nel suo com-plesso non è in perdita. Più precisamente, a tutela dell’unicità e inte-grità del patrimonio, si prevede che non possano essere pagati divi-dendi ai possessori di questa categoria di azioni, se non nei limiti de-gli utili risultanti dal bilancio della società.

Un’analoga disposizione non è prevista per i patrimoni destinati,i cui utili, invece, possono essere attribuiti anche se la società con-clude in perdita l’esercizio sociale: ciò ne conferma la piena auto-nomia come centri di responsabilità patrimoniale. Dunque, come èstato osservato da taluni, «la fattispecie delle azioni correlate nonintegra un’ipotesi di segregazione patrimoniale in senso proprio,bensì un’ipotesi di segregazione contabile convenzionale efficacenei confronti dei soci (al fine della determinazione dei loro rispet-tivi diritti patrimoniali), ma non dei creditori»9.

3. Possibilità applicative dei patrimoni destinati nelle operazionidi leveraged financing e di project financing

Si discute se la fattispecie del finanziamento destinato, previstadall’art. 2447 decies c.c., possa rivelarsi un utile strumento per attua-re operazioni di project financing e di leveraged financing. Tali espe-rienze, proprie della cultura anglosassone, si collocano nel solco deiprocessi di crescente finanziarizzazione, globalizzazione, esternaliz-zazione e terziarizzazione dell’economia e dell’impresa.

Il project financing, come è noto, consiste in una logica finanzia-ria volta ad incentivare l’investimento del capitale privato in singoliprogetti, spesso di tipo infrastrutturale e di valenza pubblica, e in cuii committenti (sponsors), affidano ad un soggetto, normalmente co-stituito ad hoc (la società di progetto o special purpose vehicle, SPV)la realizzazione di un’opera, prevedendosi poi che la società di pro-getto gestisca e sfrutti economicamente l’opera realizzata per un pe-

9 LAMANDINI M., I patrimoni destinati nell’esperienza societaria. Prime note sul D. Lgs. 17 gen-naio 2003, n. 6, in Riv. Soc., Giuffrè, Milano, 2003, p. 493.

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riodo sufficiente a ripagare e a remunerare il capitale, di rischio e didebito, investito. Il finanziamento viene concesso sulla base della va-lenza tecnico-economica del progetto stesso, piuttosto che dell’affi-dabilità economico-patrimoniale dei soggetti promotori dell’iniziati-va. I finanziatori guardano al cash flow e alla redditività del progettocome principali fonti per la restituzione del capitale, nonché ai benidel progetto come unica garanzia del prestito. La società di progetto,avente come oggetto esclusivo l’esecuzione e gestione dell’iniziativa,viene appositamente costituita con l’obiettivo di creare un’entità eco-nomica, con personalità giuridica, sulla quale far ricadere tutte le ob-bligazioni che sorgono con la messa in opera del progetto, ottenendola separazione economica e giuridica del progetto da tutte le altre ini-ziative delle imprese coinvolte10. Questo permette, da un lato, ai pro-motori di limitare l’impatto di un eventuale andamento negativo delprogetto sul proprio bilancio (il rischio cui sono sottoposti, infatti, ècircoscritto al solo capitale versato nella società di progetto) e, dal-l’altro lato, agli enti finanziatori di isolare il flusso di cassa, da cui di-pendono le loro aspettative di rimborso del debito, dalle altre attivitàdei promotori.

Con l’espressione “leveraged financing” si suole individuare quel-le tecniche finanziarie che ruotano attorno al concetto di sfruttamen-to ottimale della leva finanziaria del soggetto finanziato, intendendocon ciò lo sfruttamento della capacità di indebitamento dello stesso,nella ricerca del rapporto più efficiente tra capitale di rischio e capi-tale di credito. In particolare, si tratta di operazioni finanziarie consi-stenti nell’«acquisizione a debito» di un determinato bene (normal-mente un complesso aziendale o una società commerciale, c.d. “tar-get”), generatore di flussi reddituali capaci di remunerare e rimbor-sare il capitale preso a prestito. Il leveraged financing trova applica-zione soprattutto nelle operazioni di leveraged buy out, nelle quali,appunto, l’acquisizione di una determinata azienda o società viene fi-nanziata, oltre che con l’investimento dei mezzi propri dell’acquiren-te (più spesso una molteplicità di acquirenti aggregati in un veicolosocietario ad hoc), principalmente mediante capitali di credito. An-che nel leveraged financing l’utilizzo del veicolo societario ad hoc(c.d. newco) è finalizzato a consentire un regime di isolamento delleresponsabilità e dei rischi e di separazione patrimoniale degli assetse dei proventi dell’attività acquisita.

10 È la logica del ring fence che consiste in un isolamento reciproco dei rischi e delle respon-sabilità che fanno capo al progetto da quelli che fanno capo agli sponsors.

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La relazione giuridica centrale di ogni operazione sia di project fi-nancing, sia di leveraged financing coincide con il rapporto di finan-ziamento, ossia il rapporto negoziale intercorrente tra i finanziatori eil soggetto finanziato (l’acquirente nelle operazioni di leveraged fi-nancing, la società di progetto nelle operazioni di project financing).Il fine comune è quello di finanziare un’iniziativa economica che, nelproject financing, consiste nella realizzazione di un’opera infrastrut-turale, mentre, nel leveraged financing, in un progetto di crescitaesterna dell’impresa attraverso l’acquisto di un’attività produttiva ov-vero in un progetto di ricambio del controllo o del management. Ri-sulta quindi proponibile la riconducibilità al concetto di “specificoaffare” di quello che rappresenta lo scopo di ogni operazione diproject financing e di leveragd financing.

L’affinità con la fattispecie del finanziamento destinato è anche le-gata all’identico approccio “psicologico” dei finanziatori, consistentenel fare prioritario affidamento sulla valutazione di merito di creditodell’operazione e sulle prospettive di redditività dell’iniziativa da fi-nanziare. Ciò emerge dal contenuto del contratto di finanziamentodelle operazioni di project financing e di leveraged financing, in cuisi pone rilievo sulle assumptions economico-finanziarie accolte nel“piano” da allegare. Analogamente, nel caso dei finanziamenti desti-nati, «la parte dei proventi destinati al rimborso del finanziamento ele modalità per determinarli» sono oggetto di specifica descrizionenell’ambito del contratto di finanziamento, il quale dovrà contenere,tra le altre cose, il «piano finanziario dell’operazione»; inoltre, siprevede che «la società adotti sistemi di incasso e di contabilizzazio-ne idonei ad individuare in ogni momento i proventi dell’affare e atenerli separati dal restante patrimonio della società».

Ulteriore elemento caratterizzante le operazioni di project finan-cing e di leveraged financing è da individuarsi nella tendenziale “se-gregazione” dei rischi e delle responsabilità connessi al progetto o al-l’acquisizione da quelli generalmente facenti capo ai promotori del-l’iniziativa e nella conseguente separazione dei beni strumentali all’i-niziativa e dei flussi monetari rivenienti dalla stessa. L’articolato si-stema di garanzie reali (c.d. security package), a cui si fa ricorso intali operazioni consente di imprimere al patrimonio di pertinenza delprogetto e dell’attività oggetto dell’acquisizione, un vincolo di desti-nazione e di intangibilità, tendendo ad escludere qualsiasi aggressio-ne da parte di terzi creditori. La disciplina dei finanziamenti destina-ti risponde pienamente alle esigenze di “segregazione” tipiche delproject financing e del leveraged financing; infatti, il patrimonio se-

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parato, costituito dai proventi dello specifico affare ai sensi dell’art.2447 decies c.c., è destinato all’esclusivo soddisfacimento del finan-ziamento separato, mentre per i beni strumentali destinati alla realiz-zazione del progetto è previsto un valido sistema di separazione.

Un altro aspetto comune delle tre fattispecie in esame è rappre-sentato dalla predisposizione di un pervasivo sistema di controllo sul-l’iniziativa da parte del finanziatore, giacché, sia nel project finan-cing che nel leveraged financing, il contratto di finanziamento preve-de un’ampia e dettagliata articolazione di dichiarazioni, obblighi edivieti, nonché la fissazione di rigidi meccanismi sanzionatori. Paral-lelamente, l’art. 2447 decies c.c. prevede che il contratto di finanzia-mento contenga anche una descrizione dei «controlli che il finanzia-tore, o soggetto da lui delegato, può effettuare sull’esecuzione del-l’operazione».

Infine, lo strumento del finanziamento destinato può rappresenta-re una valida soluzione ai problemi di difficile riconoscibilità esternadei fenomeni del project financing e del leveraged financing. Infatti,la disciplina di tale strumento richiede un regime di pubblicità incen-trato sul semplice deposito di copia del contratto di finanziamentoper l’iscrizione presso l’Ufficio del Registro delle Imprese.

Tuttavia, è possibile prevedere delle difficoltà di adattamento del-la fattispecie del finanziamento destinato ai moduli negoziali che ca-ratterizzano i finanziamenti delle operazioni oggetto d’esame. Adesempio, dalla lettura dell’art. 2447 decies, 2° co. lett. b) c.c., risultache la società possa prestare delle garanzie per il rimborso solo dellaparte di finanziamento che risulti scoperta dalla garanzia dei proven-ti. Ciò implica che si inibisce alla società stessa la possibilità di pre-stare le tradizionali garanzie reali finalizzate a garantire l’integralerimborso del finanziamento, garanzie che rivestono un ruolo impor-tante nelle operazioni di project financing e di leveraged financing.Anche la previsione dell’indicazione nel contratto di finanziamento«del tempo massimo di rimborso» rappresenta un limite all’applica-zione dell’istituto in questione, desumendosi che, superato tale termi-ne, verrebbe meno ogni possibilità per il creditore di invocare l’a-dempimento delle obbligazioni di rimborso e quindi, anche, di escu-tere le connesse garanzie.

In realtà, anche lo strumento del patrimonio destinato, disciplina-to dall’art. 2447 bis all’art. 2447 novies c.c., è funzionalmente colle-gabile all’ipotesi di “finanziamenti di terzi destinati ad un affare”:dunque, non si dovrebbe escludere a priori il suo impiego in opera-zioni di project financing e di leveraged financing, soprattutto consi-

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derando che tale fattispecie, rispetto a quella del finanziamento desti-nato, può garantire maggiormente un effettivo isolamento di rischi eresponsabilità derivanti dal progetto.

Tuttavia, non pochi sono i limiti da tener presenti qualora si vo-lesse utilizzare tale istituto in alternativa all’istituzione di un nuovosoggetto giuridico ad hoc in operazioni di project financing e di leve-raged financing. Ad esempio, non si può trascurare il fatto che l’e-ventuale insolvenza della società causata da una determinata attivitàsvolta, diversa rispetto a quella dell’affare cui è destinato il patrimo-nio, potrebbe trascinare con sé l’affare. Né si può ignorare la respon-sabilità illimitata della società prevista per le obbligazioni derivantida fatto illecito, a prescindere dal fatto che esse siano riferibili allospecifico affare. Sotto tali aspetti, sicuramente il veicolo societariorappresenta la soluzione da preferirsi al fine di isolare i rischi, dalpunto di vista dei promotori. Un altro ostacolo all’applicazione del-l’istituto del patrimonio destinato è costituito dal limite di un valorecomplessivo non superiore al 10% del patrimonio netto della societàda destinare al patrimonio separato. Inoltre, l’utilizzo di una societàad hoc facilita l’intervento di una pluralità di soggetti come promo-tori dell’iniziativa ed agevola, nel caso del project financing, situa-zioni di “uscita” degli sponsors dal progetto. A dire il vero, il patri-monio destinato può anche costituirsi come frutto di distinti apportida parte di distinti soggetti, in modo da formare diversi patrimoni de-stinati tra loro coordinati per il perseguimento di un comune “speci-fico affare”, ma la disciplina da applicare a tale fenomeno risultereb-be particolarmente complessa.

In conclusione, le operazioni di project financing e di leveragedfinancing non pare possano presentarsi come un valido terreno di ap-plicazione dei patrimoni destinati definiti dalla lettera a) dell’art.2447 bis. Al contrario, in quest’ambito, il regime di segregazione e diprivilegio per i finanziatori configurabile mediante l’impiego dei fi-nanziamenti destinati sembra avere buone possibilità di successo. In-fatti, potrebbe permettere di superare quella rigidità presente nel no-stro sistema in tema di garanzie reali e individuabile nell’impossibi-lità di costruire efficacemente un vincolo di garanzia sui flussi reddi-tuali attesi e potenziali di un’attività imprenditoriale, nonché nelladifficoltà di vincolare validamente le giacenze di cassa e gli investi-menti che con esse vengono effettuati11.

11 CARRIERE P., Il leveraged financing e il project financing alla luce della riforma del dirittosocietario: opportunità e limiti, in Riv. Soc., 2003, p. 995.

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4. Possibilità applicative dei patrimoni destinati nelle CaptiveCompanies

Un contesto in cui i patrimoni destinati potrebbero trovare un’ul-teriore ipotesi di utilizzo è rappresentato dalle Captive companies12.Si tratta di società aventi un patrimonio suddiviso in funzione deisoggetti verso i quali è rivolta la loro attività assicurativa. Si ricor-da che una captive company è «una società di assicurazione di pro-prietà di un’impresa non assicuratrice (parent company), costituitacon il preciso obiettivo di assicurare esclusivamente, in tutto o inparte, le esposizioni ai vari rischi della casa madre e/o delle sueaffiliate13».

Gli elevati costi di struttura e di gestione hanno solitamente pre-cluso ai gruppi di piccole dimensioni la possibilità di accedere ad unapianificazione del proprio rischio attraverso una captive company.Tuttavia, negli ultimi anni, sono state sperimentate nuove soluzioniin grado di aprire strade che prima erano precluse.

Una delle soluzioni è rappresentata dalla costituzione di una asso-ciation captive, ossia una società controllata da un gruppo di impre-se generalmente appartenenti allo stesso settore e con analoghe esi-genze di copertura dei propri rischi. Ma gli inconvenienti derivantidalla convivenza all’interno della stessa struttura giuridica di politi-che gestionali differenti tra loro, in quanto rispondenti ai diversi inte-ressi delle singole imprese partecipanti, hanno spinto i paesi anglo-sassoni a ricercare altre soluzioni alternative.

Si è introdotto il rent-a-captive, un tipo di contratto in base al qua-le ogni società-cliente sottoscrive una parte del capitale di una capti-ve già esistente versando le somme in un conto differenziato da quel-lo degli altri sottoscrittori. In tal modo è possibile distinguere il cap-tive business di ogni singolo cliente da quello di tutti gli altri e ge-stirlo separatamente. Per ogni captive business la captive companydestina una parte del proprio patrimonio al fine dello svolgimentodella specifica attività effettuata a favore del determinato cliente.

In alcuni paesi si applica la tecnica del rent-a-captive mediante l’i-stituzione di strutture societarie a cellule protette o protected cellcompanies (PCC)14. Una PCC è una società la cui struttura è costi-

12 SOZZA G.-CAVADINI A. M., L’utilizzo di patrimoni separati. Le captive companies, in Il fiscon. 42/2003.

13 TAGLIAVINI G., La Captive Insurance Company come strumento di risk management.14 Le PCC sono state introdotte per la prima volta a Guernsey nel 1997. Da allora, molti altri

ordinamenti hanno implementato legislazioni similari.

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tuita da due sezioni: l’una è il cosiddetto core capital, mentre l’altraè costituita da un numero illimitato di cellule distinte, dotate, ognuna,dei propri assets e delle proprie responsabilità. I creditori di una cel-lula possono eventualmente rivalersi in via prioritaria sugli assets diquella particolare cellula per le obbligazioni sorte nei loro confrontiper lo svolgimento della determinata attività. Se gli assets cellularinon sono sufficienti per soddisfare tali obbligazioni, i creditori po-tranno fare ricorso al patrimonio costituito dagli assets non cellulari,salvo che non sia stata prevista l’ipotesi che i creditori possano riva-lersi sui soli assets cellulari.

I patrimoni destinati potrebbero rappresentare teoricamente un va-lido strumento per gestire attività affini e collegate attraverso un me-desimo management e, quindi, per realizzare delle strutture societariesimili a quelle appena descritte. Tuttavia, il legislatore, non estenden-do tale nuovo strumento all’intero capitale della società, ma preve-dendo che «i patrimoni destinati ai sensi della lettera a) non posso-no essere costituiti per un valore complessivamente superiore al die-ci per cento del patrimonio netto della società…» (art. 2447 bis c.c.),ha di fatto fortemente limitato l’uso di tale istituto.

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SOMMARIO: 1. Gli aspetti contabili. - 2. Gli aspetti fiscali.

1. Gli aspetti contabili

Come più volte evidenziato, emergono palesi connotazioni comu-ni tra la disciplina dei patrimoni destinati e quella dell’associazionein partecipazione, ciò sia dal punto di vista giuridico, sia dal punto divista economico-contabile.

In particolare, con riferimento a quest’ultimo aspetto, le analogiesono riscontrabili con riferimento alle rilevazioni dell’apporto con di-ritto di restituzione e dell’utile o perdita di spettanza dell’apportante.

Anche nel contratto di associazione in partecipazione l’oggettodell’apporto può essere costituito da denaro, beni (in proprietà o go-dimento), opera o servizi, accollo da parte dell’associato di un debi-to dell’associante verso un terzo, prestazione di una garanzia fidejus-soria a favore dell’associante, contratto di somministrazione conclausole che importano vantaggio all’associante, ecc.

Nel caso di apporto in denaro (per altro molto frequente nellaprassi), l’associante deve rilevare l’apporto intestando all’associatoun apposito conto acceso ai debiti di finanziamento, chiamato “asso-ciato c/apporto”.

CAPITOLO VI

IL CONFRONTO CON LA DISCIPLINACONTABILE E FISCALE

DELL’ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE E DEL TRUST

Cassa a Associato c/apporto

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In tal modo, è possibile imputare al Conto Economico la quota diutili di pertinenza dell’associato, considerandola come un costo, pa-rallelamente a quanto avverrebbe nella contabilità di un patrimoniodestinato e della relativa società destinante.

Le analogie sussistono anche qualora l’esercizio amministrativo sichiuda in perdita. Mentre l’utile corrisposto all’associato si configuracome un componente negativo di reddito, la perdita ne costituisce uncomponente positivo e determina una diminuzione del debito di re-stituzione dell’apporto. La rilevazione contabile sarà la seguente:

L’associante, dunque, così come farebbe in un analogo caso la so-cietà che avesse destinato un patrimonio ad uno specifico affare,iscriverà in bilancio un debito di ammontare pari al valore dell’ap-porto. Da questo debito, relativo all’obbligo di restituzione dell’ap-porto, occorre tener distinto quello relativo agli utili spettanti all’as-sociato, che viene rilevato con la seguente scrittura in partita doppia,mediante l’utilizzo del conto “Associato c/utili”:

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Oneri per utili a Associato c/utiliin associaz. in partecipaz.

Associato c/apporto a Perdite associato

Le scritture in partita doppia analizzate possono essere considera-te corrette sia nell’ipotesi di partecipazione ai risultati dell’intera im-presa, sia in quella di partecipazione ad uno o più affari. Nella se-conda ipotesi, però, l’associante distinguerà, in uno o più conti, i co-sti ed i ricavi relativi a quello o a quegli affari che consentiranno ladeterminazione dell’utile o della perdita da distribuire. Ciò è perfet-tamente in linea con la previsione normativa di una tenuta separatadella contabilità del patrimonio destinato ad uno specifico affare (art.2447 sexies c.c.) e con la conseguente estensione del piano dei contidella società di gemmazione ai conti e sottoconti necessari a recepirele rilevazioni pertinenti allo specifico affare.

La necessità di rilevare con appositi conti i costi sostenuti e i rica-vi conseguiti per conto dell’associazione in partecipazione è anche

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presente in alcune fattispecie diffuse nella pratica, ma la cui colloca-zione tra gli istituti del nostro ordinamento giuridico non è affattoagevole. Si tratta di forme improprie di associazione in partecipazio-ne, in cui due o più imprese attuano una speculazione dividendosi leoperazioni da compiere e i relativi finanziamenti e assumendo, per-ciò, sia la figura di associante che quella di associato1. Le tecnichecontabili da adottare variano a seconda delle modalità di liquidazio-ne delle operazioni prescelte.

Invero, vi sono due possibilità alternative: o i partecipanti conven-gono di liquidare le singole operazioni a mano a mano che si svolgo-no, ripartendosi i costi sostenuti e i ricavi conseguiti per esse, oppu-re decidono di liquidare l’intero ciclo di operazioni quando sia termi-nata la speculazione, ripartendosene il reddito.

Nella prima ipotesi, ogni compartecipante sostiene costi e conse-gue ricavi che, in parte gli competono nella data percentuale stabilitanel contratto, mentre, per la restante parte, competono al contraente.Al termine di ogni acquisto o vendita, chi ha operato invia il conto alcompartecipe in modo tale da dividere costi e ricavi. Ogni comparte-cipe disporrà di:– due conti distinti, accesi rispettivamente l’uno ai costi l’altro ai ri-

cavi in partecipazione, ovvero un solo conto, dal titolo “Merce ta-le con X in partecipazione”;

– un conto acceso al compartecipe per i rapporti finanziari di dare edi avere conseguenti alla partecipazione;

– un conto intitolato “risultati economici netti di operazioni in par-tecipazione”.Nell’ipotesi di liquidazione al termine della speculazione, si posso-

no usare svariati procedimenti contabili, di cui Amaduzzi ne indica tre:– ogni partecipante rappresenta con scritture doppie le sole opera-

zioni proprie e, alla fine dell’operazione, trasmette il loro estrattoal compartecipe che dovrà procedere alla liquidazione;

– ogni partecipante rappresenta con scritture doppie sia le operazio-ni proprie che quelle altrui, avvalendosi di “conti partecipazione”accesi ai singoli compartecipi;

– ogni partecipante rappresenta le operazioni proprie con scritturedoppie, quelle altrui con scritture semplici.Nella pratica, si sono diffuse anche forme atipiche di associazione

in partecipazione, in cui le imprese contraenti, solitamente impresemercantili, convengono di accomunare le perdite o gli utili risultantidalla loro attività, e di conguagliare le differenze. In tal caso, suppo-

1 AMADUZZI A.-PAOLONE G., Le gestioni comuni, Utet, Torino, 1987, p. 312.

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Un procedimento analogo si segue anche per l’impresa C. Alla fi-ne, il conto “Liquidazione dell’esercizio” di ogni impresa metterà inevidenza un utile netto del proprio esercizio di 300.

Le scritture contabili descritte con riferimento alle partecipazionivicendevoli tra imprese per l’intera attività, sono analoghe a quellepreviste in trattati di lingua inglese per alcune delle numerose formedi joint ventures esistenti. Del resto, la joint venture è un contrattocon il quale due o più persone fisiche o giuridiche si propongono dicondurre insieme un singolo affare con lo scopo di profitto e divisio-ne degli utili.

Altre analogie sono riscontrabili confrontando la disciplina conta-bile dei patrimoni destinati con quella del trust. Al riguardo, occorrepremettere che, mentre il trust-persona fisica non ha alcun obbligocontabile, per le cosiddette “trustee-companies”, società che assumo-no la veste di trustee, è previsto l’obbligo della tenuta della contabi-lità e, nel caso di società di capitali, anche quello di redazione e de-posito del bilancio. Ma per rispettare questi obblighi, spesso gli ope-

nendo che tre imprese coalizzate (A, B, e C), abbiano ottenuto rispet-tivamente una perdita di 5.000 e degli utili di 2.000 e 3.900, si otter-rebbe un utile netto globale di 900 che verrebbe ripartito in manierauguale per ognuna. L’impresa A, dopo aver addebitato il conto “Liqui-dazione dell’esercizio” per l’ammontare della perdita pari a 5.000, lodeve accreditare per 5.300, ricevendo 1.700 da B e 3.600 da C:

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Diversi a Liquidazione 5.300dell’esercizio

Impresa B c/partecipaz. 1.700s/quotaImpresa C c/partecipaz. 3.600s/quota

L’impresa B, dopo aver accreditato il conto “Liquidazione dell’e-sercizio” per l’importo dell’utile pari a 2.000, lo addebita per 1.700,registrando:

Liquidazione a Impresa A c/partecipaz. 1.700dell’esercizio sua quota

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Tenere una contabilità separata per il singolo trust risulta opportu-no soprattutto in presenza di una trust company che gestisca più tru-sts. I risultati di tale contabilità vengono riepilogati in conti sintetici(che costituiscono il rendiconto della gestione nel caso dei patrimonidestinati) che andranno a confluire nei conti del trustee solo a fine

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ratori sono costretti a ricorrere a virtuosismi contabili, dato che si èancora in attesa di una legge specifica che regoli la materia. Tra levarie soluzioni contabili prospettate, quella più immediata e corretta,secondo il parere di taluni, prevede che il trustee iscriva tra le proprieattività i beni in trust evidenziando il vincolo di destinazione al finedi evitare la loro confusione con il suo patrimonio personale2. Comecontropartita del valore attribuito ai beni in trust, il trustee iscrive undebito di restituzione nei confronti dei beneficiari che vada a bilan-ciare esattamente l’incremento di attivo verificatosi nel suo Stato Pa-trimoniale. Sicuramente non sarebbe corretta la contabilizzazione ditale contropartita tra le poste del patrimonio netto anzicchè tra quelledei “debiti diversi”, giacchè il patrimonio netto esprime la consisten-za dei mezzi dell’imprenditore conferiti nell’azienda, mentre sui beniin trust, il trustee, pur essendone proprietario, possiede un obbligo ditrasferimento. Le stesse motivazioni inducono all’accensione di con-ti ai debiti di restituzione con riferimento agli apporti con diritto direstituzione sia nell’ambito dei patrimoni destinati che in quello del-l’associazione in partecipazione.

Dunque, nella contabilità del trustee, le scritture contabili relativeall’apertura del trust saranno le seguenti:

2 ZANAZZI M., Il trust operativo, Edizioni FAG, Milano, 2001, pp. 94-99.

Beni in trust X a Debiti vs/beneficiari trust X

Invero, nella contabilità del trust si avrà:

Beni in trust X a Capitale del trust X

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anno, lasciando indenne la trust company dagli accadimenti del de-terminato trust.

Ad esempio, le scritture di esercizio, di epilogo, e di chiusura deltrust potrebbero essere le seguenti:

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Spese manut. a Banca c/trust Xa carico trust X

Banca c/trust X a Fitti attivi c/trust X

C.E. del trust X a Diversia Spese manut. a carico

a trust X…

a …

Diversi a C.E. del trust XFitti attivi c/trust X

……

C.E. del trust X a Utile di eserciziotrust X

S.P. trust X a Diversia Immobilia Banca c/trust X

Diversi a S.P. trust XCapitale del trust XUtile del trust X

A questo punto, può accadere che si debba rilevare un maggior va-lore da attribuire ai beni in trust per effetto della gestione del trustee;allora la trust company utilizzerà le seguenti scritture rettificative:

Beni in trust X a Incremento valore beni in trust

Incremento valore beni a Debiti vs/beneficiari in trust trust X

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Degli incrementi e degli eventuali decrementi patrimoniali subitidai beni in trust, poi, dovrà essere data un’accurata spiegazione inNota Integrativa. Inoltre, in caso di cambio del trustee o di trasferi-mento dei beni ai beneficiari, il trustee dovrà procedere alla seguen-te scrittura di storno, sulla base di valori patrimoniali correnti:

Debiti vs/beneficiari a Beni in trust Xtrust X

Come è facile notare, mediante la struttura contabile descritta, ilreddito del trust viene evidenziato con certezza e non concorre allaformazione del reddito del trustee, perché non rilevato nelle sue scrit-ture contabili. Analogamente, l’utile di pertinenza dell’associato inpartecipazione non confluisce in quello dell’associante, così comel’utile generato dal patrimonio destinato confluisce sì nell’utile dellasocietà destinante, ma solo al netto della quota spettante al terzo par-tecipante all’affare a cui è stato destinato il patrimonio.

2. Gli aspetti fiscali

Il trattamento fiscale dei patrimoni destinati, scelto implicitamen-te dal legislatore con l’emanazione del D. Lgs. n. 344/2003, risultaessere omogeneo rispetto a quello riservato all’istituto dell’associa-zione in partecipazione, considerando che, in entrambi i casi, si deveprocedere alla determinazione di un unico reddito imponibile in capoalla società destinante o associante. Infatti, nell’associazione in par-tecipazione, i ricavi e i costi dell’affare cui l’associato partecipa ven-gono imputati analiticamente al conto economico della società, econcorrono, insieme a tutti gli altri costi e ricavi, alla unitaria deter-minazione del reddito d’impresa.

Se il legislatore fiscale avesse optato per il modello di regolamen-tazione fiscale dei patrimoni destinati proposto dalla CommissioneGallo nella versione B dello schema di articolato, avrebbe dato luogoa dei regimi differenziati a fronte di istituti (il patrimonio destinato el’associazione in partecipazione) del tutto analoghi. I risultati di spet-tanza dell’associato derivanti dalla gestione dell’affare possono esse-re tranquillamente utilizzati in compensazione dei redditi dell’impre-sa associante, giacché la quota di utile o perdita di pertinenza del-l’associato in relazione alla partecipazione al singolo affare non vie-

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ne determinata separatamente, bensì unitariamente al risultato impo-nibile o alla perdita fiscalmente rilevante dell’impresa associante. Alcontrario, la versione B dello schema di articolato consente solo lacompensazione tra risultati della società di gemmazione e risultati delpatrimonio di destinazione di pertinenza della società; per cui, taleregime di separatezza dei risultati spettanti ai terzi rispetto al risulta-to di pertinenza della società, discriminerebbe i patrimoni destinatirispetto all’associazione in partecipazione.

La determinazione unitaria del reddito fiscale in capo alla societàassociante si ricollega al riconoscimento dell’inesistenza di una sog-gettività passiva autonoma dell’associazione in partecipazione, appu-rata anche con riferimento ai patrimoni destinati. Neanche l’associa-zione in partecipazione è stata ricompresa dal legislatore fiscale tra isoggetti destinatari di una normativa fiscale specifica. E non potevaessere diversamente, atteso che l’esistenza di tale contratto non de-termina il nascere di un nuovo soggetto imprenditore che sarebbe po-tuto essere considerato quale autonomo soggetto d’imposta. Unico ti-tolare dell’impresa è, a norma dell’art. 2552 c.c., l’associante, salvoespresso patto contrario. L’associato è un soggetto solo temporanea-mente cointeressato alla redditività dell’impresa o di uno o più affa-ri, che diviene creditore, nei confronti dell’associante, per la restitu-zione dell’apporto prestato, ed eventualmente, del corrispettivo del-l’apporto rappresentato dalla quota di utili di sua spettanza prodottidurante l’associazione in partecipazione.

Parte della dottrina ha invece riconosciuto un’autonoma soggetti-vità passiva in capo al trust, facendolo rientrare nella categoria resi-duale delle «altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggettipassivi nei confronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifi-chi in modo unitario ed autonomo», di cui all’art. 87, comma 2 delTuir. È in tale ambito che il trust è stato collocato dal Se.C.I.T. nelladelibera n. 37 del 19983. Ma, l’”atipicità” fiscale dell’istituto consi-derato, nonché la multiformità degli assetti giuridici che consente direalizzare, precludono la formulazione di un giudizio dotato di va-lenza generale, come quello proposto dal Se.C.I.T., imponendo una

3 Il Servizio Consultivo ed Ispettivo Tributario (Se.C.I.T.) è stato istituito dall’articolo 9 dellalegge 24 aprile 1980, n. 146 (legge finanziaria per il 1980) e posto alle dirette dipendenze del-l’allora Ministro delle Finanze, con funzioni in parte ispettive ed in parte di controllo contribuen-ti, di programmazione e di studio. Per oltre venti anni, l’attività del Servizio, finalizzata alla lottaall’evasione fiscale e al miglioramento dell’efficienza degli organi di accertamento e controllodell’Amministrazione Finanziaria, si è sostanziata nella effettuazione di controlli, indagini, verifi-che, ovvero in attività di studio collegati tutti al perseguimento degli obiettivi di programma pro-posti annualmente al Ministro delle Finanze e dallo stesso successivamente recepiti - con even-tuali modifiche ed integrazioni - attraverso una direttiva di settore.

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valutazione caso per caso4. Del resto, come sostiene Lupoi, «parlaredi trust al plurale è un’esigenza sia civilistica che tributaria. Non èfacile abbandonare il retaggio della tradizione, secondo la quale aogni nome corrisponde una fattispecie. Per il trust non è così: un no-me, tante fattispecie.»5.

La considerazione del trust come soggetto passivo d’imposta ri-sulta ammissibile per quei tipi di trust (charitable trusts, trusts discopo, trusts discrezionali, trusts di accumulazione), rispetto ai qualinon è prospettabile una diversa imputazione del reddito altrettantopersuasiva. In particolare, non sarebbe giusto attribuire il reddito:– al settlor, poiché questi, con l’istituzione del trust, si è spogliato

della fonte del reddito in questione, attribuendola al trustee;– al trustee, poiché l’arricchimento non interessa il suo patrimonio

personale, ma quello separato del trust fund;– ai beneficiari, anche se individuati o individuabili, giacché non han-

no alcun diritto all’immediata apprensione del reddito medesimo.D’altra parte, esistono anche trusts per i quali non è configurabile

la capacità di realizzare il presupposto del tributo in modo unitario edautonomo, ma il reddito va appuntato direttamente in capo ai benefi-ciari. Si tratta dei cosiddetti fixed trusts, nei quali ai beneficiari, no-nostante la pienezza dei poteri del trustee nell’amministrazione e di-sposizione dei beni, è riconosciuto il diritto incondizionato all’imme-diata assegnazione del reddito conseguito dal trust fund.

Un’altra categoria emblematica è quella dei bare trusts, nei quali ilpotere gestorio del trustee è inesistente; si possono definire “trusts” pergli effetti civilistici, ma non tributari, e il loro reddito è imputato al sog-getto legittimato a dare istruzioni al trustee (il settlor o i beneficiari).

Per quanto concerne il trattamento fiscale degli utili spettanti al-l’associato in partecipazione e dei proventi di pertinenza dei terzipartecipanti all’affare titolari degli strumenti finanziari di cui all’art.2447 ter c.c., la nuova versione del Tuir ha attuato un’assimilazioneal trattamento previsto per i dividendi.

Infatti, nel momento in cui l’associato che abbia effettuato un ap-porto di solo capitale o di capitale e lavoro, ovvero il partecipante al-l’affare cui sia stato destinato un patrimonio svolga un’attività d’im-presa, è previsto che:– la remunerazione è tassata nella misura del 5%, quando i percetto-

ri sono soggetti Ires;

4 ZIZZO G., Note minime in tema di trust e soggettività tributaria, in Il fisco, n. 30/2003, p. 4658.

5 LUPOI M., Osservazioni sui primi interpelli riguardanti il trust, in Il fisco, n. 28/2003, p. 4347.

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– la remunerazione è tassata nella misura del 40%, quando i percetto-ri sono imprese Ire, ossia imprese individuali o società di persone.Invece, quando il percettore si identifica con una persona fisica

non esercente attività d’impresa, occorre sottolineare una diversità didisciplina: in tal caso, l’assimilazione al trattamento fiscale dei divi-dendi avviene in presenza di utili di associazione in partecipazione,ma non in presenza degli strumenti finanziari previsti dall’art. 2447ter c.c. per i quali sarebbe prevista, secondo quanto asserito nel pre-cedente capitolo, la piena imponibilità con applicazione di ritenutaalla fonte a titolo di imposta in misura pari al 12,5%. Conseguente-mente, i proventi percepiti, al di fuori del reddito d’impresa, dall’as-sociato diverso da un soggetto Ires:– concorrono alla formazione del reddito complessivo dell’associato

limitatamente al 40% del loro ammontare, se il valore dell’apportopatrimoniale dell’associato è superiore al 5% o al 25% del valoredel patrimonio netto contabile dell’associante, quale risultante alladata di stipula del contratto di associazione in partecipazione aseconda che l’associante sia una società quotata o meno (si trattadei cosiddetti apporti “qualificati”);

– risultano imponibili per l’intero importo, ma vengono assoggettatiad una ritenuta alla fonte a titolo di imposta in misura pari al12,5%, se il valore dell’apporto patrimoniale dell’associato nonsupera le soglie di cui al punto precedente, ovvero in caso di appor-ti “non qualificati”.Sul lato dell’associante, i componenti negativi di reddito, rappre-

sentati dalla remunerazione dovuta all’associato, risultano indeduci-bili dal reddito d’impresa. Infatti, l’art. 109, comma 9, lett. b), delnuovo Tuir prevede la completa indeducibilità di ogni tipo di remu-nerazione dovuta relativamente ai contratti di associazione in parteci-pazione e di cointeressenza di utili, qualora sia previsto un apportodiverso da quello di opere e servizi. Tale indeducibilità è in linea conquella relativa ai proventi derivanti dagli strumenti finanziari di cuiall’art. 2447 ter c.c., prevista dallo stesso art. 109, comma 9 del nuo-vo Tuir, ma alla lettera a).

La logica sottostante all’assimilazione al trattamento fiscale deidividendi, relativamente sia agli utili spettanti all’associato che aquelli spettanti al partecipante all’affare, è quella di neutralizzare, dalpunto di vista fiscale, le diverse modalità con cui gli utili societaripossono essere portati fuori dall’impresa (dividendi, partecipazioniagli utili, rendimenti finanziari collegati ai risultati economici). Tut-tavia, nei casi in cui l’impresa associante non sia un soggetto Ires,

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l’assimilazione degli utili ritratti dall’associato ai dividendi, risultadel tutto incoerente con le finalità che a tale assimilazione sottendo-no6. Non ci si spiega, in altre parole, perché si devono assimilare aidividendi gli utili conseguiti da soggetti diversi da quelli Ires, quan-do possono chiamarsi “dividendi” solo gli utili derivanti dalla parte-cipazione in soggetti Ires. Sulla base di tali motivazioni, poco primache venisse emanato il D. Lgs. 344/2003, recante la riforma del vec-chio Tuir, è stato sostenuto che, nei casi in cui l’impresa associante èun soggetto non Ires, si dovesse continuare a prevedere:– l’integrale imponibilità dell’utile in capo all’associato;– la deducibilità del provento spettante all’associato dal reddito

d’impresa dell’associante.Ma, tale “simmetria fiscale” della deducibilità in capo all’asso-

ciante della remunerazione dovuta e dell’integrale tassazione di que-st’ultima in capo all’associato è stata conservata solo per i contratti diassociazione in partecipazione aventi ad oggetto l’apporto esclusivodi opere e servizi, il cui assetto tributario non ha subito alcuna modi-fica con l’emanazione del D. Lgs. 344/2003.

Un altro aspetto in comune tra la disciplina fiscale del contratto diassociazione in partecipazione e quella degli strumenti finanziari dicui all’art. 2447 ter c.c. è costituito dall’assimilazione del trattamen-to delle plusvalenze su tali contratti e strumenti finanziari a quellodelle plusvalenze su partecipazioni. Infatti, alla luce del quadro nor-mativo disegnato dal nuovo Tuir, emerge la previsione dell’assimila-zione al trattamento fiscale delle plusvalenze su partecipazioni per leseguenti fattispecie:– la cessione a titolo oneroso di contratti di associazione in parteci-

pazione in relazione ai quali l’associato apporta, in tutto o in par-te, capitale;

– la cessione a titolo oneroso di titoli o altri strumenti finanziari lacui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione airisultati economici della società emittente (o di altre società ap-partenenti allo stesso gruppo) o dell’affare in relazione al quale ititoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi.Tuttavia, mentre per i contratti di associazione in partecipazione

l’assimilazione avviene tout court, per gli strumenti finanziari consi-derati essa è solo parziale. Ne consegue che, quando si cedono con-tratti di associazione in partecipazione:

6 Si leggano: ZANETTI E., Associazione in partecipazione e riforma del Tuir. Un’assimilazionea dividendi e plusvalenze che convince solo in parte, in Il fisco n. 45/2003, pp. 7031-2, e La nuo-va tassazione dei dividendi e delle plusvalenze su partecipazioni, in Il fisco n. 3/2004, p. 32.

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– per le plusvalenze realizzate da soggetti passivi Ires, può trovareapplicazione, se ne sussistono i requisiti, la participation exemp-tion7, altrimenti si determina l’integrale imponibilità della plusva-lenza come componente positivo di reddito d’impresa;

– per le plusvalenze realizzate da soggetti non Ires nell’ambito del-l’attività d’impresa esercitata, si applica l’esenzione al 60% (quin-di l’imponibilità al 40% come componente positivo di redditod’impresa);

– per le plusvalenze realizzate da soggetti non Ires al di fuori del-l’attività d’impresa esercitata, si applica:• l’esenzione al 60% e la confluenza nel reddito complessivo

(sotto forma di redditi di capitale) del residuo 40%, sulle plu-svalenze realizzate su rapporti di associazione in partecipazio-ne “qualificati”;

• la piena imponibilità, ma con assoggettamento ad imposta so-stitutiva del 12,5%, sulle plusvalenze realizzate su rapporti diassociazione in partecipazione “non qualificati”.

Per quanto riguarda le plusvalenze realizzate sugli strumenti fi-nanziari in esame, si applica lo stesso regime tributario descritto, ec-cetto il caso in cui il soggetto cedente che realizza la plusvalenza siaun soggetto Ire che agisce al di fuori dell’attività d’impresa. In tal ca-so non vi è una perfetta assimilazione al trattamento fiscale previstoper le plusvalenze su partecipazioni, posto che le plusvalenze su tito-li e strumenti finanziari assimilati alle azioni costituiscono in ognicaso “plusvalenze qualificate” (ossia concorrono a formare il redditocomplessivo del cedente come redditi diversi, ma limitatamente al40% della plusvalenza realizzata).

7 L’istituto della “participation exemption” è stato introdotto nel nostro ordinamento dallariforma del sistema dell’imposizione sui redditi, disposta dal D.Lgs. 344/2003, con la dichiaratafinalità di rendere, dal punto di vista fiscale, l’Italia un paese degno di attenta valutazione comesede per la localizzazione di strutture societarie deputate alla gestione di partecipazioni (c.d. hol-ding). L’istituto si applica nei confronti dei soli soggetti passivi Ires e consente l’integrale esen-zione da imposizione delle plusvalenze realizzate su partecipazioni in relazione alle quali sussi-stono le condizioni poste dall’art. 87 del nuovo Tuir. Nei casi in cui l’istituto della “participationexemption” trova applicazione, la plusvalenza realizzata mediante la cessione della partecipazio-ne non concorre a formare il reddito d’impresa.

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Non vi è dubbio che i patrimoni destinati rappresentino una dellenovità più significative ed interessanti introdotte dalla legge di rifor-ma del diritto societario.

Con la loro costituzione viene meno il principio della complemen-tarietà ed universalità che caratterizza i beni costituenti il patrimonioaziendale, così come viene meno, sia pure nei limiti ed alle condizio-ni fissati dagli artt. 2447 bis c.c. e segg., il principio dell’universalitàdella responsabilità patrimoniale enunciato dall’art. 2740 c.c., in ba-se al quale «il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazio-ni con tutti i suoi beni presenti e futuri». Tale obiettivo si consegueattraverso l’introduzione del criterio della specializzazione della re-sponsabilità patrimoniale, in base al quale solo i creditori particolarihanno la possibilità di aggredire i beni separati.

Pertanto, in capo ai creditori della società non si applicherà più laregola secondo cui è assicurato a tutti «l’eguale diritto di essere soddi-sfatti sui beni del debitore», come si legge nell’art. 2741, comma 1, c.c.

Inoltre, attraverso la separazione patrimoniale la società può inci-dere in una duplice direzione. Da un lato riducendo il costo dell’in-debitamento, dall’altro lato assicurando ai creditori particolari unaposizione doppiamente privilegiata; infatti:– il vincolo di destinazione tutela il credito in maniera specifica, sot-

traendolo alla concorsualità con gli altri creditori dell’impresa;– così come sono ridotti i costi di monitoraggio del creditore/investi-

tore, atteso che questi deve guardare non a tutto il patrimonio so-ciale, ma solo la parte delimitata dal vincolo di destinazione, ri-spetto al quale ha acquisito informazioni specifiche, unitamente adeterminati poteri di controllo.

CONCLUSIONI

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Inoltre, l’istituto in esame, con riferimento sia al modello finan-ziario che a quello operativo, rappresenta uno strumento più econo-mico e veloce rispetto ad eventuali soluzioni alternative sin qui ana-lizzate.

Invero, al fine di produrre gli stessi effetti dei finanziamenti desti-nati, la società dovrebbe ottenere l’erogazione di un finanziamentoda parte di terzi soggetti, fornendo un adeguata garanzia rappresenta-ta solitamente da pegni od ipoteche sui beni della società, o even-tualmente di singoli soci, ovvero da fidejussioni. Al contrario, nelmodello finanziario non vengono richieste dette forme di garanziapatrimoniale.

Il modello operativo, invece, offre alla società la possibilità di svi-luppare singoli progetti, evitando la costituzione di società ad hoc.Da ciò deriva l’indubbio vantaggio di non dover gravare la societàdegli elevati costi di costituzione, mantenimento ed estinzione dinuove società create appositamente per svolgere un determinato affa-re, di evitare la duplicazione di strutture societarie, organizzative egestionali, nonché la limitazione del rischio derivante dell’affare aisoli beni ad esso destinati.

Indubbiamente, riteniamo che si tratti di uno strumento particolar-mente vantaggioso, ad esempio, per le imprese multidivisionali o perquelle che eseguono grandi opere pubbliche, anche a livello interna-zionale, per cui i singoli patrimoni potrebbero essere destinati a spe-cifiche commesse.

Tali affari richiedono spesse volte ingenti finanziamenti a frontedei quali le imprese possono emettere titoli di credito, il cui rendi-mento ed il relativo rimborso sono legati all’andamento dello speci-fico affare. Ne consegue che, la garanzia per i finanziatori parteci-panti all’affare è rappresentata certamente dalla capacità del medesi-mo di garantire flussi di reddito tali da permettere la remunerazioneed il rimborso; ciò presuppone la validità del progetto, la capacità el’esperienza della società gemmante.

Si potrebbe anche aprire la strada alla possibilità che l’affare siaperseguito da più società, ognuna delle quali crea un patrimonio de-stinato e lo coordina con quello costituito da altre società, rendendo,in questo caso, il proprio patrimonio destinato componente di un’ar-ticolazione unitaria di patrimoni destinati, che perseguono la realiz-zazione di un unitario e più ampio affare. In tal modo, ciascuna so-cietà può riuscire a dare rilevanza e valore economico ad un’iniziati-va di maggior rilievo di quella che essa potrebbe realizzare autono-mamente.

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Conclusioni 101

Oltre alle ipotesi analizzate nel quinto capitolo, relative all’impie-go dei finanziamenti destinati in operazioni di project financing e dileveraged financing e dei patrimoni destinati nelle captive compa-nies, si può anche immaginare un utilizzo del nuovo istituto in situa-zioni di crisi aziendali.

In altre parole, una società che si trova in una situazione di crisiche investe la gestione in generale, potrebbe valutare l’opportunità disviluppare un determinato affare che richiede l’impiego di nuove ri-sorse finanziarie.

A tal fine, i patrimoni destinati possono consentire il persegui-mento di tale scopo offrendo un regime privilegiato di garanzie, taleda soddisfare la pretesa del finanziatore di ottenere una maggiore ga-ranzia rispetto alla semplice partecipazione al capitale di rischio, at-tesa la situazione di crisi del destinante.

Certamente non si tratterebbe di una garanzia assoluta atteso che,se la crisi della società fosse tale da condurla al fallimento, questo,come si può desumere dall’art. 2447 novies c.c., estenderebbe i suoieffetti anche al singolo affare cui è destinato il patrimonio.

Tuttavia, circa la definizione del rapporto con le procedure con-corsuali, è necessario ancora attendere la riforma della legge falli-mentare.

Ancora, l’istituto dei patrimoni destinati può trovare applicazionenell’ambito delle holding familiari, ad esempio al fine di segmentarei business attribuendo a ciascuno dei componenti responsabilità spe-cifiche nella gestione di ciascuno di essi.

Oppure potrebbe essere utilizzato per favorire la nascita di nuoveiniziative economiche da parte di alcuni membri della famiglia, sen-za che tali nuovi investimenti comportino pregiudizi per il resto del-la compagine societaria.

Infine, sempre con riferimento alle holding familiari, i patrimonidestinati possono essere utilizzati per attrarre capitali esterni senzainterferire sulla compattezza della compagine sociale.

In conclusione, dovrebbe essere chiaro come il nuovo istituto quianalizzato può avere un’ampia possibilità di applicazione.

Vero è che rimangono molte questioni di carattere giuridico anco-ra irrisolte, ma soprattutto di natura economico-contabile e fiscale. Inquesto senso l’auspicio è quello dell’intervento del legislatore.

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APPENDICE

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APPENDICE 1

OIC N. 2

PATRIMONI E FINANZIAMENTI DESTINATIAD UNO SPECIFICO AFFARE

BOZZA FINALEAPPROVATA DAL COMITATO ESECUTIVO

IL 13 LUGLIO 2005

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Scopo e contenuto

L’introduzione1 nel nostro ordinamento dei Patrimoni e dei Finanziamenti De-stinati ad uno specifico affare di cui agli artt. 2447-bis e seguenti del Cod.Civ., hafatto nascere un ampio dibattito interdisciplinare sulle caratteristiche peculiari e di-stintive dei due nuovi istituti.

Il dibattito ha riguardato, naturalmente, anche gli aspetti inerenti la loro rileva-zione e rappresentazione in bilancio, di competenza dell’OIC, dibattito che eviden-zia ancora incertezze dottrinarie2.

L’OIC, nel segnalare l’esistenza di tale dibattito intende con il presente docu-mento individuare le soluzioni tecniche più appropriate con riferimento alla disci-plina positiva così come oggi formulata riservandosi, eventualmente, di ritornaresul tema in caso di modifiche future della stessa.

L’ambito di applicazione del presente documento è circoscritto, è bene sottoli-nearlo, alla sola disciplina codicistica in materia di contabilità e bilancio; esulanodalle finalità di questo principio i problemi che si porranno a seguito dell’applica-zione in Italia dei principi contabili internazionali, tematiche sulle quali l’OIC sipotrà esprimere in futuro.

Pur esulando ciò dalla trattazione di un Principio Contabile si segnala che lenuove disposizioni codicistiche non hanno trovato corrispondenti indicazioni sulfronte fiscale3.

106 I patrimoni destinati ad uno specifico affare

1 La disciplina è stata introdotta con il D. Lgs. 17 gennaio 2003, n° 6 recante la riforma del Diritto Socie-tario in attuazione alla legge Delega 3 ottobre 2001, n° 366. Per un esame dei principali effetti della riforma deldiritto societario sulla redazione del bilancio d’esercizio (art. 2423 e ss.), si rinvia al principio contabile OIC1.

2 In primo luogo come l’obbligo di cui al comma 1 dell’art. 2447-septies del c.c. (obbligo di distinta indi-cazione dei beni e dei rapporti facenti parte dei patrimoni destinati) viene inteso da una parte della dottrinacome riferito allo Stato Patrimoniale del bilancio individuale della società gemmante e non allo Stato Patri-moniale del bilancio consolidato della medesima società. D’altra parte, il comma 4 del medesimo articoloprevede l’obbligo di iscrivere in calce allo Stato Patrimoniale (tra i conti d’ordine) del bilancio individualel’impegno relativo all’eventuale responsabilità illimitata assunta dalla società gemmante per le obbligazionidi cui risponde il patrimonio destinato. La situazione descritta sembra assimilabile - mutatis mutandis - aquella in cui sussistono garanzie intercorrenti tra entità incluse in un consolidamento. In tal caso, peraltro, ilPrincipio Contabile nazionale n. 17 (punto 8.2, lettera b)) esclude l’iscrizione tra i conti d’ordine delle garan-zie “intragruppo” relative alle entità consolidate visto che, tra l’altro, l’intero ammontare delle rispettive pas-sività (nel caso di specie quelle riferite al patrimonio destinato) viene ricompreso e rappresentato come se fos-se una passività propria dell’entità consolidante (nel caso di specie la società gemmante). Sempre in relazio-ne alle disposizioni di cui al comma 4 dell’art. 2447-septies del Cod. Civ., nella sua attuale formulazione essosembra opinabile posto che una sua lettura ed interpretazione restrittiva potrebbe indurre a ritenere non richie-sta e necessaria l’iscrizione tra i conti d’ordine anche delle garanzie parziali e limitate eventualmente rilascia-te dalla società gemmante a favore del patrimonio destinato.

3 Infatti, in occasione della riforma del diritto societario era stata formata un’apposita commissione par-lamentare, al fine di studiare le problematiche fiscali e proporre eventuali modifiche da apportare al T.U.I.R.

La commissione ha terminato i propri lavori affrontando anche le problematiche tipiche dei patrimonidestinati ed offrendo una serie di possibili ed alternative modalità di trattamento tributario. Essa ha lavoratosul presupposto dell’invarianza del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (D.P.R. 917/86), in contemporaneaperaltro alla definizione, in forza della legge delega 7 aprile 2003, n. 80, del primo pacchetto di riforma diquesta fonte normativa. Il legislatore delegato alla riforma fiscale non aveva, però, tra gli oggetti di delega iltrattamento dei nuovi istituti del diritto societario per cui si è resa necessaria la legge 29 dicembre 2003, n.326, con cui si è delegato il governo ad apportare le necessarie modifiche al sistema delle imposte sui redditial fine di renderle idonee a disciplinare i nuovi tratti del diritto societario. Pur in presenza dei necessari stru-menti normativi, peraltro, nessuna modifica è stata apportata all’impianto di riforma del T.U.I.R., al tempodell’incarico oramai definito (D.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344).

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1. Patrimonio destinato: aspetti generali

Gli artt. 2447-bis–2447-novies del Codice Civile introducono una disciplina dei“patrimoni destinati ad uno specifico affare” che presenta caratteri di assoluta no-vità per il diritto societario italiano.

Viene di seguito riportata una sintesi della disciplina di tale nuovo istituto. Inappendice si riporta la sezione del codice civile dedicata ai patrimoni destinati aduno specifico affare.

In conformità alla nuova disciplina la società per azioni enuclea dal proprio pa-trimonio generale un insieme di beni, solitamente coordinati ad azienda o a ramod’azienda, e li destina – con delibera soggetta ad iscrizione nel registro delle im-prese – allo svolgimento di uno specifico affare. La società può costituire più pa-trimoni, destinati ciascuno ad un diverso specifico affare; essi peraltro non posso-no superare, complessivamente, il valore di un decimo del patrimonio netto dellasocietà.

Del patrimonio destinato possono fare parte “apporti di terzi”, della cui naturae rappresentazione contabile si occupa il successivo paragrafo 5. I beni originaria-mente componenti il patrimonio destinato devono essere specificamente indicatinella delibera istitutiva (che normalmente viene adottata dal consiglio di ammini-strazione o di gestione della società); se si tratta di immobili o di mobili registratila loro destinazione è soggetta a trascrizione. Con la destinazione allo specifico af-fare i beni componenti il patrimonio destinato vengono sottratti alle pretese dei cre-ditori “generali” della società, cioè dei titolari di crediti non aventi causa nellosvolgimento dello specifico affare: per questa ragione contro la delibera istitutivadel patrimonio destinato possono fare opposizione, entro 60 giorni dalla sua iscri-zione nel registro delle imprese, i creditori sociali anteriori a tale iscrizione; decor-si i 60 giorni senza opposizione, oppure da quando l’opposizione è respinta o il tri-bunale ordina l’esecuzione della deliberazione previa prestazione da parte della so-cietà di idonea garanzia, il patrimonio destinato non costituisce più garanzia gene-rica dei creditori “generali” della società, passati e futuri; ciò fino alla cessazionedella destinazione del patrimonio.

PARTE PRIMAPATRIMONI DESTINATI AD UNO SPECIFICO AFFARE

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Reciprocamente, nel silenzio della delibera istitutiva, per le obbligazioni con-tratte nello svolgimento dello specifico affare risponde solo il patrimonio destina-to, cioè soltanto i beni originariamente compresi in tale patrimonio o entrativi suc-cessivamente, e non rispondono gli altri beni della società: è perciò necessario chegli atti di gestione del patrimonio indichino espressamente che sono destinati aquello specifico affare, sì che risulti quali beni sono usciti e quali entrati nel patri-monio destinato. Solo per le obbligazioni da fatto illecito – compiuto nella gestio-ne del patrimonio destinato – risponde anche il patrimonio generale della società; èinoltre possibile che la delibera istitutiva preveda una responsabilità sussidiaria(eventualmente limitata nel quantum) del patrimonio generale per le obbligazionisorte nella gestione del patrimonio destinato.

La legge (art. 2447-ter comma 1, lett. c)) richiede che la “delibera di destina-zione” contenga un apposito “piano economico-finanziario” dal quale risultino: la“congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell’affare, le modalità e le re-gole relative al suo impiego, il risultato che si intende perseguire e le eventuali ga-ranzie offerte ai terzi”. Il contenuto del “piano economicofinanziario”

viene precisato nel paragrafo 9. La delibera di destinazione deve inoltre indica-re le “regole di rendicontazione dello specifico affare”.

Va precisato che l’“affare”, oltre ad essere “specifico”, ossia avere un oggettoben individuato e non generico (es.: la costruzione di un fabbricato e successivavendita delle unità immobiliari di cui si compone) deve avere una durata determi-nata (eventualmente stabilita per relationem: es.: il tempo necessario per la costru-zione e vendita di un fabbricato). Non sembra che esso possa avere una durata in-determinata, come può avvenire per le società. Ciò risulta, oltre che dalla precisa-zione che l’affare deve essere “specifico”, dalla previsione che per ogni affare de-ve esservi un apposito piano economico-finanziario, il quale non può contenereprevisioni di costi, ricavi e flussi finanziari per una durata indeterminata. Risulta,inoltre, dalla norma dell’art. 2447-novies che parla di momento in cui l’affare puòconsiderarsi “realizzato” e che prevede la compilazione di un “rendiconto finale”con riferimento ad una data che è necessariamente anteriore al termine di duratadella società.

Una volta realizzato l’“affare” o accertata l’impossibilità sopravvenuta di rea-lizzarlo e redatto l’apposito rendiconto finale previsto dall’art. 2447-novies, il pa-trimonio destinato “rientra” nel patrimonio generale della società, nel senso cheviene a cessare il particolare regime di responsabilità istituito dall’art. 2447-quin-quies, comma 1.

È importante notare che il patrimonio destinato pur facendo parte costantemen-te, dal punto di vista giuridico-formale, del patrimonio della società che lo costi-tuisce, può generare un regime particolare di responsabilità che lo porta ad avereuna vita economico-finanziaria propria ed autonoma, distinta da quella della so-cietà gemmante, e viceversa.

La legge prevede anche che, se la società costituente, non assoggettata alla re-visione contabile da parte di una società di revisione, emetta “titoli sul patrimoniodiffusi tra il pubblico in misura rilevante ed offerti ad investitori non professiona-li”, il controllo contabile sull’andamento dell’affare (e, quindi, sui rendiconti del-l’affare medesimo) sia effettuato da una società di revisione iscritta nell’albo spe-ciale tenuto dalla CONSOB, nominata nella medesima delibera di “destinazione”.

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Appendice 109

2. Scritture contabili del patrimonio destinato

L’art. 2447-sexies prevede che per ciascuno specifico affare cui un patrimonioè destinato, gli amministratori della società costituente “tengono separatamente i li-bri e le scritture contabili prescritti dall’articolo 2214 e seguenti”.

Pertanto, per ogni patrimonio destinato e per ogni specifico affare vanno tenutiappositi:– libro giornale e libro inventari;– contabilità separata in partita doppia che porti, tra l’altro, ad uno stato patrimo-

niale e ad un conto economico dell’affare.Se l’affare dura più di un esercizio, occorre procedere ad una periodica chiusu-

ra dei conti nella contabilità separata. Occorre quindi far confluire la contabilità se-parata in quella generale. Si ritiene che tale processo debba avvenire seguendo iprincipi e le regole di una ordinata contabilità. Il processo di confluenza, potrà av-venire – a cadenza periodica - per saldi di conto e non per singole scritture conta-bili, con le medesime tecniche della contabilità sezionale, tali da consentire un rac-cordo con la contabilità generale della società4.

Il libro degli inventari deve contenere l’inventario iniziale del patrimonio desti-nato, ai sensi dell’art. 2217, comma 1, Cod. Civ. In particolare, i beni, crediti e de-biti “assegnati” dalla società al patrimonio destinato sono iscritti nell’inventarioiniziale ai medesimi valori contabili che avevano nel bilancio della società gem-mante, mentre gli eventuali beni apportati da terzi sono iscritti a valori di mercato(in base al principio generale sulla stima dei conferimenti di beni e di crediti desu-mibile dall’art. 2343 Cod. Civ.).

Pertanto, nel libro degli inventari si parte da una situazione patrimoniale inizia-le costituita dalle attività e dalle (eventuali) passività che fanno parte del patrimo-nio destinato, nonché dai diversi rapporti giuridici individuati nella delibera di “de-stinazione” ed iscritti fra i conti d’ordine (cosiddetti off-balance sheet items nellaterminologia internazionale). Sebbene non vi sia un espresso obbligo legislativo intal senso, è ragionevole attendersi che le disponibilità liquide pertinenti all’affare(originarie e successive) siano rilevate in specifici conti correnti bancari e/o posta-li, relativi a ciascun affare.

Se vengono emessi specifici strumenti finanziari, deve essere tenuto un apposi-to “libro” col contenuto precisato dal 2° periodo dell’art. 2447-sexies (vedi para-grafo 5.3).

3. Rendiconto dello “specifico affare”

L’art. 2447-septies, comma 2, stabilisce che “per ciascun patrimonio destinatogli amministratori redigono un separato rendiconto, allegato al bilancio, secondo

4 In tema di riepilogo riassuntivo nel libro giornale generale delle operazioni annotate nei libri giornalisezionali, cfr: Ag. Entrate, risoluzione 31 ottobre 2002, n.341; Min. Finanze Ris. 15 luglio 1980, n.428. Sullalegittimità di registrazioni di sintesi nel libro giornale in presenza di una pluralità di incassi omogenei a con-dizione che le registrazioni contengano indicazioni idonee alla ricostruzione delle operazioni imprenditorialiimplicanti tali incassi, V. Cass., sez. I, 19 dicembre 1991, n.13672.

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quanto previsto dagli artt. 2423 e seguenti”. Dato il richiamo alle disposizioni de-gli artt. 2423 e seguenti, il rendiconto dello “specifico affare” è costituito da unostato patrimoniale, da un conto economico e da una nota di commento.

Se l’“affare” si esaurisce in un arco di tempo inferiore ad un esercizio, il rendi-conto può essere limitato all’illustrazione del risultato finale dell’affare medesimoe non si richiede che esso assuma la struttura di un bilancio; se, invece, l’affare siprotrae oltre l’esercizio iniziale, sono necessari più rendiconti annuali che assumo-no la struttura di un bilancio.

Il rendiconto è costituito dai seguenti documenti:a) uno stato patrimoniale dello specifico affare redatto secondo lo schema del-

l’art. 2424 (con possibilità anche di voci e sottovoci con specifica denominazione).Nel Patrimonio Netto figurerà la voce “Patrimonio Netto (o Deficit Netto) dell’af-fare”, suddivisa in: importo originario, specifiche riserve previste al paragrafo 5per gli apporti di terzi, utile (perdita) di periodo, utili (perdite) dei periodi prece-denti. Il dettaglio della suddivisione va illustrata nella nota di commento;

b) un conto economico dello specifico affare redatto in base ai principi genera-li, secondo lo schema dell’art. 2425. Deve comunque ritenersi possibile l’utilizzodi voci e sottovoci con specifica denominazione, se richiesto dalla natura dell’affa-re. In questa ipotesi va precisato in quali voci del conto economico generale dellasocietà sono iscritti i relativi importi;

c) una nota di commento nella quale, in relazione a ciascuna voce dello statopatrimoniale e del conto economico sarà svolta una breve spiegazione delle princi-pali variazioni intervenute nelle voci rispetto al rendiconto del precedente esercizioriguardante lo specifico affare considerato. Si applicano qui le regole generali dicui all’art. 2427 n.1 ed all’art. 2426 Cod. Civ. Non si ritiene possano impiegarsicriteri di valutazione e principi contabili diversi (es.: valori di mercato in luogo delcosto storico o del minore fra costo e mercato). Occorre, dunque, che i principi divalutazione, per categorie di attività e passività, siano identici a quelli utilizzati nelbilancio generale;

d) regole di rendicontazione dell’affareIl rendiconto del patrimonio separato deve contenere l’indicazione dei criteri

seguiti per la sua redazione. Tali criteri devono far riferimento almeno:- ai criteri di valutazione adottati (anche per semplice richiamo ai criteri adotta-

ti dalla società “madre”);- ai criteri di imputazione dei costi speciali o diretti dell’affare e di ripartizione

dei costi generali industriali, amministrativi, commerciali, finanziari e tributari, co-me meglio precisato al successivo par. 4;

- ai criteri di individuazione dei ricavi dell’affare e di eventuale separazione diricavi comuni a più affari.

e) riferimento al contenuto della delibera di costituzione del patrimonio desti-nato.

Va richiamato il contenuto essenziale della deliberazione di “destinazione”,specie per quanto attiene alla natura dell’affare, alla composizione del patrimoniodestinato, agli apporti di terzi, alle eventuali garanzie rilasciate dalla società gem-mante, agli eventuali strumenti finanziari emessi ed alla società di revisione nomi-nata per il controllo contabile sull’andamento dell’affare, la cui relazione deve es-sere allegata al rendiconto.

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Appendice 111

4. Riflessi sul bilancio generale della società

Stato PatrimonialeI componenti patrimoniali di ciascun affare devono figurare nello Stato Patri-

moniale del rendiconto dello specifico affare e, ai sensi della formulazione dell’ar-ticolo 2447-septies, 1° comma del Cod. Civ., anche nello Stato Patrimoniale dellasocietà gemmante.

La citata norma, infatti, stabilisce che “i beni e i rapporti compresi nei patrimo-ni destinati ai sensi della lettera a) del primo comma dell’art. 2447-bis sono distin-tamente indicati nello stato patrimoniale della società”.

Tale disposizione richiede dunque l’indicazione, per ciascuna voce di attività epassività, dell’importo relativo ai patrimoni destinati.

La rappresentazione richiesta dalla norma menzionata può essere ottenuta invari modi:

a) creando, per ciascuna voce interessata dello stato patrimoniale generale, un“di cui”:

ad es. Crediti verso clienti 1.000, di cui per patrimonio destinato 300oppure Crediti verso clienti 1.000(di cui 300 per patrimonio destinato)

b) creando, per ciascuna voce, una specifica sottovoce:ad es. Crediti verso clientia) per clienti relativi al patrimonio destinato 300b) per clienti relativi all’attività generale della società 700 1.000c) separando gli importi relativi al patrimonio destinato in una colonna interna,

come di seguitoprecisato:

STATO PATRIMONIALE..........................................................................................C) Attivo circolante............................................................................................................II – Crediti Patrimonio destinato Attività generale Totale1) verso clienti 300 700 1000

d) indicando distintamente le classi di attività e passività relative al patrimoniodestinato in apposita zona, rispettivamente dell’attivo e del passivo, dopo tutte lealtre voci relative all’attività generale della società. Questa rappresentazione con-sente di rilevare in modo immediato l’importo complessivo delle attività e passivitàdi pertinenza del patrimonio destinato costituito dalla società, anche se, per ottene-re l’importo complessivo di ciascuna voce riguardante anche il patrimonio genera-le della società, è poi necessario sommare due voci distinte: quella che riguarda ilpatrimonio destinato e quella che riguarda il patrimonio generale. Si rende così an-che più evidente il diverso regime di responsabilità esistente per quelle attività epassività di pertinenza del patrimonio destinato. Esempio riguardante le attività:

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ATTIVO............................................................................................................................................................................................................

________Totale 1.000.000

Attività di pertinenza del patrimonio destinato- Immobilizzazioni materiali

- terreni e fabbricati 11.000- impianti e macchinario 25.000..............................................................................................................................................

Totale 100.000Totale Generale 1.100.000

Nel patrimonio netto non è né opportuno né necessario iscrivere una voce com-plessiva del tipo “Patrimonio Netto relativo ai patrimoni destinati”, sia perché la por-zione di patrimonio netto correlabile ai patrimoni destinati non può essere suddivisa incapitale sociale, riserva legale, ecc. in quanto tale suddivisione, che non è richiestadalla legge, sarebbe comunque arbitraria; sia perché tale porzione per la parte destina-ta dalla società al momento della costituzione del patrimonio destinato è già compre-sa nell’importo del capitale e delle varie riserve che figurano nello schema di cui al-l’art. 2424 Cod. Civ.. Le uniche riserve che devono, invece, essere iscritte in aggiuntaa quelle già previste dallo schema di legge, sono le seguenti:

a) “Riserva da apporti di terzi a patrimoni destinati”b) “Utili (perdite) di patrimoni destinati portati a nuovo”La prima sarà iscritta nella voce VII – Altre Riserve, con distinta indicazione ed il-

lustrazione nella nota integrativa; la seconda nella omonima voce VIII dello schemagenerale dell’art. 2424, anch’essa con distinta indicazione ed illustrazione nella notaintegrativa.

L’art. 2427-septies, comma 4, stabilisce poi che, qualora sia prevista una respon-sabilità illimitata della società per le obbligazioni contratte in relazione allo specificoaffare, “l’impegno da ciò derivante deve risultare in calce allo stato patrimoniale e for-mare oggetto di valutazione secondo criteri da illustrare nella nota integrativa”.

Trattandosi di una questione che riguarda il sistema dei conti d’ordine (impegni, ri-schi e beni di terzi), valgono le regole ordinarie previste dal principio contabile n. 22,a cui si rinvia. Ai fini dell’applicazione del principio va segnalato quanto segue. Se ladelibera di destinazione prevede una responsabilità illimitata della società per le ob-bligazioni contratte (cioè non limitata ai beni e diritti che costituiscono il patrimoniodestinato), essa deve risultare fra i suoi conti d’ordine con specifica denominazione(sistema dei rischi: “Responsabilità illimitata assunta in relazione alla costituzione delpatrimonio destinato xy”). L’importo, da indicare perché espressamente richiesto dal-la legge pur trattandosi di una garanzia per debiti che fanno capo al medesimo sog-getto giuridico costituito dalla società, deve essere pari al rischio massimo che si cor-re (ossia al totale delle obbligazioni assunte, iscritte al passivo del patrimonio destina-to); si dovrà tener conto inoltre delle obbligazioni e passività potenziali identificate ediscritte fra i conti d’ordine nel bilancio del patrimonio destinato secondo le disposi-zioni che disciplinano tale fattispecie, salvo che le stesse non abbiano richiesto già l’i-scrizione “sopra la riga” in specifici fondi rischi (vedi principi contabili nn.19 e 22).

Se la responsabilità delle società è limitata nel quantum, il rischio massimo de-ve essere limitato a tale importo.

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Appendice 113

Conto EconomicoNel conto economico della società gemmante, diversamente da quanto è previsto

per lo stato patrimoniale, le norme non richiedono la distinta indicazione dei costi edei ricavi relativi ai patrimoni destinati. Tuttavia, è preferibile la distinta indicazionedei componenti positivi e negativi di reddito di pertinenza del patrimonio destinato, inquanto tale indicazione dà una più immediata ed intelligibile visione d’insieme deicomponenti dell’unitario risultato economico della società. Nel silenzio della normati-va, si ritiene comunque accettabile che il conto economico non dia separata eviden-ziazione di tali costi e ricavi. In tal caso, dei componenti positivi e negativi di redditoafferenti ai patrimoni destinati è data specifica illustrazione nella nota integrativa nel-la sezione in cui sono commentati i dati della società gemmante5.

Nota integrativaIn base a quanto previsto dalle disposizioni dell’art. 2447-septies, comma 3 e

dell’art. 2427 n. 20), per ciascun patrimonio destinato (e con riferimento al rendi-conto allegato al bilancio generale della società) devono essere illustrati (in appo-sita sezione intitolata “Informazioni relative ai patrimoni destinati”):

a) Tipo di beni che li compongono o di “rapporti giuridici”Breve descrizione della tipologia dei beni e “rapporti giuridici” con riferimen-

to, per le informazioni di dettaglio, al rendiconto del patrimonio destinato. Va an-che illustrato il criterio utilizzato per la valutazione del rischio di cui all’art. 2447-septies ultimo co., iscritto fra i conti d’ordine.

b) Criteri per l’imputazione e la ripartizione dei costiI criteri da utilizzare per l’imputazione e la ripartizione dei costi sono quelli

previsti dai documenti dei principi contabili n. 13 “Le rimanenze di magazzino”,qualora l’“affare” consista nella produzione per il mercato di determinati tipi di be-ni e servizi o nella distribuzione di determinate partite di merci, o n. 23 “Lavori incorso su ordinazione”, qualora l’affare consista nella realizzazione di un’opera onella fornitura di servizi a seguito della stipula di contratti di appalto o di sommi-nistrazione, che diano luogo a commesse pluriennali.

Per tutti i costi da essa sostenuti ed imputati all’“affare”, la società, oltre alla or-dinaria rilevazione di tali costi, dovrà rilevare un credito verso il patrimonio desti-nato ed un ricavo per il rimborso corrispondente.

I costi generali amministrativi e di vendita andranno imputati tenendo nel debi-to conto le caratteristiche dell’attività svolta; uno dei possibili criteri è quello chevede l’imputazione ottenuta sulla base del costo industriale o di fabbricazione (to-tale dei costi di fabbricazione diretti e indiretti).

I costi generali di natura finanziaria relativi all’utilizzo da parte dell’affare diuna quota di finanziamenti a breve o medio-lungo termine propri della società, siimputano in proporzione all’ammontare del finanziamento utilizzato.

Per quanto riguarda gli oneri tributari, ve ne sono alcuni che possono essere im-putati specificamente al singolo affare (tasse concessioni governative, imposta di

5 Tra le alternative di rappresentazione compatibili con l’attuale disciplina non è stata ritenuta accettabi-le quella rappresentata da un’informazione per sintesi ottenuta tramite l’iscrizione nel conto economico dellasocietà gemmante del solo Utile o Perdita del patrimonio destinato. Quest’ultima soluzione, tra l’altro, rende-rebbe necessaria la predisposizione di un bilancio “consolidato” nel quale ricomprendere i dati del patrimo-nio destinato.

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Page 116: I patrimoni destinati ad uno specifico affare.

bollo, imposta di registro, IVA indetraibile addebitata dai fornitori o risultante dalpro-rata di IVA esente calcolato per lo specifico affare). Per l’IRAP l’imputazioneva fatta in base al calcolo della “produzione netta” relativa all’affare.

Il risultato economico dell’affare non può, invece, essere calcolato al netto dell’IRES, sia perché se l’affare si chiude in perdita l’IRES non è dovuta, sia perché, inipotesi di ripartizione dell’utile con i terzi apportanti, la società ed i terzi dovrannosopportare, come onere proprio, l’imposta sul reddito dovuta. Dunque questa non puòessere inclusa fra i costi di realizzazione dell’affare (salve, ovviamente, le diverse pat-tuizioni degli interessati ed eventuali diverse future disposizioni sulla disciplina tribu-taria dei patrimoni destinati). La soluzione proposta risulta coerente con l’impostazio-ne contabile prescelta, come meglio specificato nel successivo paragrafo 5.2.

1. Produzione per il mercato di beni o serviziI costi diretti, sostenuti specificamente per un determinato “affare”, compren-

dono i costi di materie e mano d’opera e tutti gli altri costi amministrativi, com-merciali, finanziari e tributari sostenuti specificamente per quel determinato affare(es.: spese di pubblicità; tributi indiretti riguardanti esclusivamente quell’affare;ecc.). Gli oneri finanziari (interessi passivi, commissioni e spese bancarie ed altrioneri) sono diretti quando relativi a finanziamenti specifici dell’affare.

I costi generali di fabbricazione si imputano a ciascun affare con i criteri preci-sati nel principio contabile n. 13, paragrafo D III6.

I criteri sopra esposti si applicano anche, mutatis mutandis, quando l’affareconsiste nella commercializzazione e vendita di una o più partite di merci.

2. Produzione di opere e servizi in base a contratti di appalto, somministrazione esimiliIn questa ipotesi ciascun affare comprende una o più commesse pluriennali; la

valutazione delle rimanenze finali di lavori in corso su ordinazione può essere fat-ta “a costo”, in base al metodo della commessa completata, o “a corrispettivo”, inbase al metodo della percentuale di completamento, così come previsto dal princi-pio contabile n. 23 sopra richiamato.

Per la determinazione dei costi e ricavi di commessa si applicano i criteri pre-visti da tale principio contabile. In particolare fra i costi della commessa si inclu-dono i costi per l’acquisizione della commessa, i costi pre-operativi ed i costi so-stenuti per la chiusura della commessa. Va tenuto conto anche di eventuali anticipio acconti del committente e dei proventi ed oneri finanziari previsti al paragrafo Ldel documento citato.

114 I patrimoni destinati ad uno specifico affare

6 L’imputazione delle spese generali industriali si effettua con criteri rispondenti alle caratteristiche pecu-liari del processo produttivo di ogni singola impresa. Le spese generali di produzione si analizzano per deter-minare quali hanno contribuito a portare le giacenze di magazzino nel luogo e nelle condizioni in cui sono nelmomento considerato e quali non vi hanno contribuito. Le prime concorrono a far parte dei costi di trasfor-mazione, le seconde vanno escluse. Si escludono pertanto le spese di natura eccezionale o anomale; ad esem-pio: le spese di trasferimento di un impianto da uno stabilimento ad un altro, le spese di riparazione di naturaeccezionale dovute ad incendi, agli uragani ecc. Altri tipi di spese, quali quelle relative all’ufficio spedizionesi riferiscono più appropriatamente alle merci spedite e pertanto si escludono dalle spese generali di produ-zione da imputarsi alle rimanenze di magazzino.

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Appendice 115

Anche in questa ipotesi quote di costi generali amministrativi e commerciali so-stenuti dalla società, da ripartire con criteri analoghi a quelli precisati al preceden-te punto 1, vanno imputate alla commessa. Per gli oneri tributari si applicano i me-desimi criteri sopra enunciati.

c) Regime della responsabilitàPer ciascun patrimonio destinato va illustrato tale regime, con riferimento alle

disposizioni dell’art. 2447-quinquies: responsabilità esclusiva del patrimonio desti-nato; responsabilità illimitata della società, o qualunque situazione intermedia.

d) Rappresentazione contabile del deficit del patrimonio destinato di cui nonrisponde il patrimonio generale

È possibile che, in un determinato esercizio, le perdite subite per uno specificoaffare superino l’importo del netto patrimoniale relativo al patrimonio destinato,creando un deficit patrimoniale per la eccedenza delle passività sulle attività.

In questa ipotesi, se la società non ha concesso al patrimonio destinato la ga-ranzia illimitata di cui all’art. 2447-septies ultimo comma, il suo patrimonio “ge-nerale” non è impegnato per coprire le passività che non troverebbero capienza neibeni del patrimonio destinato. Pertanto, pur dovendo tali passività, stante la previ-sione dell’art. 2447-septies, 1° comma, del Cod. Civ., essere rilevate nella contabi-lità e nel bilancio generale della società, le relative perdite sono poi da elidere conl’inserimento di apposite poste correttive nello stato patrimoniale e nel conto eco-nomico (di importo pari al deficit), in modo da ridurre a zero il deficit patrimonia-le che si è venuto a creare, salvo il caso in cui, pur in assenza di una clausola di ga-ranzia illimitata, la società madre si assume a proprio carico tutto il residuo deficitpatrimoniale dello specifico affare.

Le poste correttive si sostanziano nell’inserimento di una sottovoce della voce23 del conto economico in contropartita di una voce negativa del patrimonio nettonello stato patrimoniale, con la precisazione che si tratta di una voce esposta dopoil totale del patrimonio netto (che, quindi, non è inciso dal deficit del patrimoniodestinato).

Nei due prospetti contabili la posta correttiva è denominata “deficit da patrimo-nio destinato di cui non risponde il patrimonio generale”.

La voce 23 del conto economico risulta così composta:

CONTO ECONOMICO

23)a) Utile (perdita) dell’esercizio comprensivo(a) del deficit del patrimonio destinato di cui non risponde il patrimonio generale (1.000)b) Deficit del patrimonio destinato di cui non risponde il patrimonio generale 100c) Utile (perdita) dell’esercizio (900)

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Page 118: I patrimoni destinati ad uno specifico affare.

L’articolazione del patrimonio netto è la seguente:

PATRIMONIO GENERALE

A) Patrimonio netto

I Capitale 1.000

II-VII Riserve … 600

IX Utile (perdita) dell’esercizio (900)

Totale patrimonio netto 700

Deficit del patrimonio destinato di cui non risponde il patrimonio generale (100)

Nella nota integrativa della società occorre fornire una adeguata spiegazionedella natura delle poste rettificative e delle ragioni per le quali sono state iscritte,precisando che il patrimonio residuo della società non risponde (neppure volonta-riamente) delle perdite che superano l’importo del patrimonio destinato e che, inquesta ipotesi, i creditori insoddisfatti potranno chiedere la “liquidazione” del pa-trimonio destinato, nei termini e con le modalità previste dall’art. 2447-novies,comma 2.

5. Natura e rappresentazione contabile degli “apporti” dei terzi

Occorre anzitutto precisare che il patrimonio destinato, anche se incrementatoda apporti dei terzi “non restituibili”, non costituisce un patrimonio che, al terminedell’affare, deve essere “liquidato” e distribuito agli interessati (la società e i terziapportanti): i terzi apportanti hanno diritto solo ad una quota dell’eventuale utilerealizzato con lo svolgimento dell’affare, oltre alla restituzione dell’apporto, se co-sì è stato stabilito nei patti contrattuali. Ad una vera e propria liquidazione del pa-trimonio può addivenirsi solo nelle ipotesi (patologiche) in cui non siano state in-tegralmente soddisfatte le obbligazioni contratte dalla società per lo svolgimentodell’affare al quale era destinato il patrimonio (art. 2447-novies, comma 2).

Natura dell’apportoTrattandosi di apporto di un terzo, non di “conferimento” del socio in sede di

costituzione o aumento di capitale, non si applicano le limitazioni previste dall’art.2342 Cod. Civ.

Pertanto, può essere apportato oltre al denaro, qualunque tipo di bene o servi-zio utile allo svolgimento dell’affare:- beni e crediti conferibili ex art. 2342, eventualmente gravati di debiti (es.: un

immobile sul quale insista un mutuo fondiario);- diritti reali e personali di godimento (ritenuti conferibili dalla dottrina domi-

nante);

116 I patrimoni destinati ad uno specifico affare

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Page 119: I patrimoni destinati ad uno specifico affare.

Appendice 117

- prestazioni di opera e servizi, che non possono formare oggetto di conferimen-to nelle S.p.A.;

- attività immateriali di qualunque tipo, purché siano attendibilmente valutabilianche se si ritengono non conferibili in S.p.A. (es. know-how, che alcuni giuri-sti ritengono non sempre conferibile).Per le prestazioni d’opera del terzo apportante (es.: un ingegnere edile, che si

impegna a dirigere i lavori di costruzione di un fabbricato ed ottiene come corri-spettivo una partecipazione agli utili derivanti dalla vendita delle relative unità im-mobiliari), al fine di assicurare la loro “effettività” e quindi iscrivibilità nell’attivodello stato patrimoniale, deve ritenersi necessaria la garanzia prevista dall’art.2464, 6° comma in tema di conferimento in società a responsabilità limitata: ossiala stipula di una polizza di assicurazione o una fidejussione bancaria.

A parte le prestazioni dell’opera personale del terzo, a seconda delle pattuizio-ni intercorse con la società, gli apporti possono essere suddivisi in due categorie:apporti restituibili ed apporti non restituibili. A meno che non sia stata esclusa dal-le parti la restituzione del bene apportato, il terzo, alla conclusione dell’affare, ol-tre ad ottenere la sua quota di utile ha diritto alla restituzione del bene stesso o, sequesto non c’è più, ad un equivalente importo in denaro. Se il terzo partecipa an-che alle perdite e l’affare si è chiuso in perdita, egli o riceve un importo in denaropari al valore originario del bene apportato ridotto della quota di perdita, oppuredeve versare alla società l’importo della perdita medesima.

Iscrizione in bilancio dell’apporto del terzoPoiché l’apporto ha sempre una durata limitata che non può superare la durata

dell’“affare”, qualora il godimento sia a titolo gratuito, analogamente a quanto av-viene in caso di apporto in godimento da parte dell’associato in partecipazione, lasocietà dovrà iscrivere all’attivo dello stato patrimoniale del patrimonio destinato ilvalore dell’utilizzo del bene o della prestazione d’opera personale (nell’importoconvenuto con il terzo)7, con contropartita un’apposita riserva indisponibile (“Ri-serva da apporti di terzi a patrimoni destinati”). Tale valore verrà iscritto, a secon-da dei casi, fra le immobilizzazioni materiali o immateriali ed assoggettato ad am-mortamento ed a riduzione per perdite di valore per tutta la durata dell’affare, o perla minore durata di utilizzo prevista. Nelle note al bilancio del patrimonio destina-to occorre fornire opportune informazioni su: natura dell’apporto, criterio di valu-tazione e modalità di imputazione al conto economico; occorre inoltre precisareche vi è un debito di restituzione del bene alla conclusione dell’affare. Se dagli ac-cordi col terzo risulta che il bene dovrà essere restituito nelle medesime condizio-ni in cui si trovava al momento dell’apporto, deve essere iscritto, ed incrementatogradualmente, un “Fondo per oneri di manutenzione e ripristino di beni apportati”.Il relativo accantonamento costituisce un costo di gestione dell’“affare”.

Se nel successivo esercizio l’affare produce utili e questi non sono stati ancoracorrisposti, tra le passività deve essere rilevata la quota di utile maturata a favoredel terzo apportante, al netto dell’eventuale ritenuta fiscale che la società fosse ob-

7 Il valore convenuto non potrà mai essere superiore al valore di mercato del diritto di utilizzo del beneapportato.

8 Tale passività potrà configurarsi come un vero e proprio debito ovvero potrà essere rappresentata dastrumenti finanziari di partecipazione all’affare.

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bligata ad effettuare. Nel caso in cui in un successivo esercizio l’affare produce unaperdita, l’importo della passività iscritta viene ridotta della quota di perdita matu-rata nell’esercizio a carico del terzo apportante.

Con riguardo al conto economico, la quota di utile o perdita dell’affare di spet-tanza del terzo apportante va iscritta rispettivamente come costo o provento. Si ri-tiene opportuno che, nello stato patrimoniale del patrimonio destinato, la quota diutile (netto) o di perdita di pertinenza del terzo apportante venga iscritta distinta-mente dal debito di restituzione dell’apporto.

La “Riserva da apporti di terzi a patrimoni destinati”, man mano che si proce-de all’ammortamento del valore di utilizzo dei relativi beni o al realizzo delle ma-terie e merci apportate dal terzo (ed il risultato economico dell’affare sia positivo oalmeno in pareggio, al lordo della quota di pertinenza dei terzi) diviene una riservadisponibile; in nota integrativa deve essere indicata ed illustrata la composizionedella riserva fra parte disponibile e parte indisponibile. In alcune ipotesi tali datisono disponibili non annualmente, bensì solo alla conclusione dell’affare. La partedisponibile della riserva può anche essere riclassificata ad altra riserva (disponibi-le) della società.

Così come avviene nell’associazione in partecipazione, anche qui il terzo puòaver convenuto che la proprietà del bene, materiale o, più raramente, immateriale,passi alla società, la quale tuttavia, alla conclusione dell’affare, è tenuta a restitui-re lo stesso bene (se si trova ancora in patrimonio) o a versare una somma di de-naro pari al suo valore. Nel caso in cui la società è tenuta a restituire il bene rice-vuto, essa deve iscrivere all’attivo l’intero valore del bene apportato (nell’importoconvenuto con il terzo) e non soltanto il valore del suo diritto di utilizzo tempora-neo; al passivo, la passività corrispondente alla restituzione dell’apporto8.

Con riferimento all’ammortamento del valore di utilizzo, nonché delle eventua-li quote di utile o perdita dell’affare, si effettueranno le stesse rilevazioni prece-dentemente indicate per l’apporto in godimento.

È bene precisare che il conto economico del patrimonio destinato si chiudesempre con un risultato netto che è pari alla sola quota di utile o di perdita di per-tinenza della società, in quanto la quota di pertinenza del terzo apportante è statagià rilevata: ove al terzo competa una quota di utile, come costo dell’affare, ed oveil terzo subisca (pro quota) una perdita, come riduzione della perdita dell’affare(ossia un provento a copertura della perdita “Quota di perdita dell’affare a caricodei terzi apportanti”).

Se fra le parti è stato stabilito che il bene trasferito in proprietà alla società non de-ve essere restituito, la società non dovrà iscrivere in contropartita un debito, bensì unaapposita riserva (“Riserva da apporti di terzi a patrimoni destinati”). Anche in ipotesidi apporti non restituibili, devono essere fornite, nelle note al bilancio del patrimoniodestinato, le informazioni sopra richieste in ipotesi di apporti restituibili.

Strumenti finanziari di partecipazione all’affareLa società può emettere, a norma dell’art. 2447-ter, comma 1, lett. e), strumen-

ti finanziari di partecipazione all’affare, con la specifica indicazione dei diritti cheessi attribuiscono. Tali strumenti verranno emessi, verosimilmente, soprattutto afronte degli “apporti” di terzi e potranno dar luogo a diverse “categorie” a secondadei diversi diritti patrimoniali e/o amministrativi che conferiscono ai loro posses-sori, i quali, riuniti in apposite assemblee “speciali”, dovranno deliberare sulla no-mina e revoca di un rappresentante comune per ciascuna categoria, sulla costitu-

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zione di un fondo comune per le spese, sulle modificazioni dei diritti attribuiti aglistrumenti finanziari, sulle controversie con la società e su altre questioni di interes-se comune a ciascuna categoria (art. 2447- octies).

In relazione agli strumenti finanziari emessi, la società deve tenere un appositolibro (analogo al “libro delle obbligazioni”) indicante le loro caratteristiche, l’am-montare di quelli emessi e di quelli estinti, le generalità dei titolari di strumenti no-minativi, i vincoli ad essi relativi ed i trasferimenti dei titoli.

6. Rapporti fra patrimoni destinati e col patrimonio residuo della società

Anche se i patrimoni destinati non hanno una loro distinta soggettività giuridi-ca e fanno parte, almeno dal punto di vista giuridico-formale, del più ampio patri-monio generale della società, essi godono di una vita economico-finanziaria distin-ta ed autonoma e possono pertanto essere ipotizzati rapporti fra più patrimoni de-stinati e fra i patrimoni destinati ed il patrimonio generale della società9. I rappor-ti, nella normalità dei casi, consistono in trasferimenti da un patrimonio all’altro dibeni (es.: materie, merci, prodotti) o in prestazioni di servizi.

Ai fini della valorizzazione di tali “trasferimenti” va considerato quanto segue.In primo luogo, gli apporti dei terzi, in proprietà o in godimento per una dura-

ta determinata, vanno valorizzati al fair value del bene o del diritto di utilizzo tem-poraneo (es.: usufrutto) analogamente a quanto stabilito dall’art. 2343 Cod. Civ.per gli apporti in società di beni e di crediti. Invece, per quanto riguarda i beni ecrediti trasferiti dal patrimonio generale al patrimonio destinato in sede di costitu-zione iniziale di questo, il “trasferimento” (o meglio, l’attribuzione ai beni della“destinazione” allo specifico affare, che non costituisce un atto di trasferimento insenso tecnico in quanto opera nell’ambito del medesimo patrimonio di un unicosoggetto) dovrà avvenire a valori contabili. Ciò in quanto per la società nel suocomplesso tale trasferimento non determina il realizzo del maggior valore e quindiil maggior valore si configura come un utile interno nel rendiconto dell’affare cheva eliminato nel bilancio generale della società.

Per quanto riguarda poi le cessioni di prodotti, materie e merci a titolo oneroso(vendite, permute) da uno ad altro patrimonio destinato o dalla società ad un patri-monio destinato e viceversa, la relativa valorizzazione, ai fini di una corretta deter-minazione del risultato economico dell’affare, deve essere effettuata al valore dimercato.

Mentre nei rendiconti dei singoli patrimoni destinati gli utili e le perdite “inter-ni” derivanti dagli scambi sopra menzionati devono essere rilevati ed incidono sul-la determinazione del risultato economico dell’affare, in sede di redazione del bi-lancio generale della società essi devono essere eliminati, analogamente a quantoavviene in sede di redazione del bilancio consolidato.

Ovviamente, le voci derivanti da operazioni in corso fra la società e i patrimo-ni destinati o fra gli stessi patrimoni destinati devono essere eliminate, oltre che dalconto economico generale della società, anche dal suo stato patrimoniale generalein quanto voci “intrasocietarie”.

9 Per una autorevole dottrina giuridica si tratta di “rapporti intergestori”.

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Qualora gli importi delle elisioni sono rilevanti, occorre dare una specifica illu-strazione in nota integrativa.

Per approfondimenti o esemplificazioni sulle problematiche delle eliminazionidei saldi o degli utili e perdite interni, si rinvia al principio contabile nazionale n.17, paragrafi 11.1 e 11.2 e relativi allegati.

7. Rendiconto finale

L’art. 2447-novies, comma 1, stabilisce che quando l’affare “si realizza” ovve-ro “è divenuto impossibile”, gli amministratori o il consiglio di gestione devono re-digere un rendiconto finale che deve essere depositato presso l’ufficio del registrodelle imprese. Il rendiconto finale deve essere accompagnato da una relazione deisindaci e del soggetto incaricato della revisione contabile (che sarà il normale revi-sore contabile o lo speciale revisore previsto dall’art. 2447-ter, comma 1, lett. f).

Nell’ipotesi in cui l’“affare” non si protragga oltre l’esercizio in cui ha avutoinizio, il rendiconto finale coincide con il rendiconto periodico dello specifico af-fare illustrato al paragrafo 3.

Esso deve contenere non solo il conto economico dal quale emerge il risultatoeconomico dell’affare, ma anche lo stato patrimoniale dal quale emerge la struttu-ra finale del patrimonio destinato. Quest’ultimo è necessario perché in presenza didebiti contratti nell’esecuzione dell’affare e non pagati, i creditori possano cono-scere l’esatta composizione del patrimonio destinato ai fini delle eventuali azioniesecutive da svolgere o della richiesta di liquidazione del medesimo ai sensi del-l’art. 2447-novies, comma 2.

Analoga struttura (stato patrimoniale, conto economico, nota integrativa, rego-le di rendicontazione dell’affare, riferimento al contenuto della delibera di costitu-zione del patrimonio destinato) dovrà avere il rendiconto finale, che copre la fra-zione di esercizio nella quale l’affare viene a compimento.

Tuttavia, poiché, il rendiconto finale, oltre ad essere allegato al bilancio dellasocietà quale ultimo rendiconto periodico, deve essere contenuto in un documentodistinto da depositare nell’ufficio del registro delle imprese (documento che ha lafunzione di rendere noto a tutti gli interessati il risultato economico dell’affare ed icosti e ricavi che lo hanno determinato), si ritiene necessario che esso si compon-ga del conto economico dell’ultimo periodo e di una nota di riepilogo di tutti i co-sti ed i ricavi riferiti all’affare.

Nell’ipotesi in cui l’affare sia divenuto impossibile, nel rendiconto finale devo-no essere esposti i motivi di tale impossibilità.

Per quanto riguarda la distribuzione della quota di utile di pertinenza dei terziapportanti, essa deve avvenire in conformità agli accordi assunti con la società, os-sia annualmente dopo l’approvazione del bilancio di ciascun esercizio, o in unicasoluzione al termine dell’affare.

8. “Rientro” del patrimonio destinato nel patrimonio “generale” della società.

Una volta realizzato l’affare o accertato che la sua realizzazione è impossibile,il patrimonio destinato (ossia il complesso di attività e passività patrimoniali che lo

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Appendice 121

costituiscono) “rientra” nel patrimonio generale della società, nel senso che viene acessare lo speciale regime di “segregazione patrimoniale” determinato con l’ado-zione della delibera di “destinazione” prevista dall’art. 2447- ter. Ritornano così adapplicarsi le disposizioni generali dell’art. 2740 Cod. Civ. sulla responsabilità pa-trimoniale.

Se vi sono obbligazioni contratte durante lo svolgimento dell’affare e non sod-disfatte si applicano le disposizioni dei commi 2 e 3 dell’art. 2447-novies.

Va tenuto presente che il regime di “segregazione patrimoniale” previsto per ilpatrimonio separato non si applica alla parte di tale patrimonio corrispondente allaquota di utile spettante alla società, che resta assoggettata alla responsabilità patri-moniale generale nei confronti dei creditori di essa (art. 2447-quinquies, comma 1).

9. Piano economico – finanziario dell’“affare”

È un piano economico-finanziario, di solito pluriennale perché esteso a tutta ladurata prevista dell’affare, così composto:a) Piano economico: costi e ricavi specifici e quota di costi comuni, risultato pre-

visto dell’affare dopo la copertura di tutti i costi;b) Piano finanziario: flusso generato dai ricavi dell’affare; utilizzo di disponibilità

liquide ed altre attività finanziarie facenti parte del patrimonio dedicato; diffe-renza costituente il fabbisogno finanziario per la totale copertura dei costi, dareperire con apporti di terzi o con specifici finanziamenti; indicazione delle ga-ranzie offerte ai terzi finanziatori;

c) Piano degli investimenti da effettuare per realizzare l’affare e modalità di uti-lizzo dei beni compresi nel patrimonio destinato (immobili, attrezzature, mac-chinari, impianti, ecc.).Il piano deve dimostrare: a) la possibilità di coprire, con i ricavi dell’affare, tut-

ti i costi e di conseguire un margine positivo; b) la possibilità di reperire tutti i fi-nanziamenti necessari per la realizzazione dell’affare, tenuto conto delle attività fi-nanziarie poste a disposizione dalla società e comprese nel patrimonio destinato.

Dal riferimento contenuto nell’art. 2447-ter, comma 1, lett. c) alla necessaria“congruità” del patrimonio (destinato) rispetto alla realizzazione dell’“affare”,sembra debba trattarsi, almeno all’atto della sua costituzione, di un patrimonio po-sitivo, in cui il valore dei beni e dei crediti deve essere superiore a quello delleeventuali passività.

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Aspetti generaliSi tratta in sostanza dell’operazione di project financing, che collega un finan-

ziamento alla realizzazione di una specifica operazione economica ed utilizza per ilrimborso del finanziamento i proventi dell’operazione (“affare”).

Vi sono due possibilità:a) che si tratti di un finanziamento che prescinde dalla contemporanea esistenza di

un “patrimonio destinato” ai sensi del 1° comma, lett. a) dell’art. 2447-bis;b) che il finanziamento venga negoziato in collegamento con la contemporanea

istituzione di un “patrimonio destinato”.Nella prima ipotesi è necessario che il contratto di finanziamento contenga quan-

to segue: un’indicazione dei costi previsti e dei ricavi attesi; il piano finanziario ilquale precisi: quanta parte dei costi viene coperta dal finanziamento destinato, qualiproventi dell’operazione sono destinati al suo rimborso, le garanzie eventualmenteofferte al finanziatore10, i tempi del rimborso ed i controlli che il finanziatore puòsvolgere sulle modalità di realizzazione dell’affare; le modalità ed i tempi di realiz-zazione dell’affare, i beni strumentali della società che la stessa destina alla realiz-zazione del medesimo e le garanzie che la società offre in merito all’obbligo di ese-guire il contratto e di realizzare con correttezza e tempestività l’operazione.

Importante è la previsione della lett. h) art. 2447-decies ove è prevista l’indica-zione del “tempo massimo di rimborso, decorso il quale nulla è più dovuto al fi-nanziatore”. In base a questa disposizione, il terzo finanziatore può anche ricevereun importo complessivo che non copre l’intero finanziamento accordato alla so-cietà, subendo così una perdita. La società realizza invece una sopravvenienza atti-va, perché rimborsa un importo inferiore a quello del finanziamento ricevuto.

Nella seconda ipotesi, alcuni degli elementi sopra indicati figurano già nella de-libera di istituzione del patrimonio destinato e nel piano economico-finanziario inessa contenuto (o ad essa allegato), il quale deve indicare, fra le fonti finanziarie di

PARTE SECONDAFINANZIAMENTI DESTINATI AD UNO SPECIFICO AFFARE

10 Le garanzie previste dall’art. 2447-decies comma 2, lett. g) possono essere relative solo al rimborso diuna parte del finanziamento; altrimenti il rischio dell’affare graverebbe tutto sulla società.

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copertura dei costi dell’“affare”, il ricorso ad eventuali “finanziamenti destinati” (iquali non vanno confusi con gli “apporti di terzi” remunerati con una quota di par-tecipazione agli utili dell’affare medesimo).

1. Finanziamento senza contestuale istituzione di patrimonio destinato ai sensi dell’art. 2447-bis lett. a)

Le norme prevedono che sia costituito, in relazione a ciascun finanziamento de-stinato, un patrimonio separato così formato (art. 2447-decies, commi 3 e 4):- crediti relativi ai proventi dell’affare;- disponibilità liquide derivanti dall’incasso dei proventi dell’affare;- frutti di tali disponibilità (es.: interessi attivi bancari);- investimenti di liquidità eventualmente effettuati in attesa del rimborso al fi-

nanziatore (BOT, CCT, BTP, pronti c/termine ecc.).Tali disponibilità devono essere destinate prioritariamente (nella quota pattizia-

mente fissata) al servizio del finanziamento destinato. Esse costituiscono patrimo-nio separato dal restante patrimonio della società ed i creditori sociali non possonosoddisfarsi su di esse. Per altro verso, i beni strumentali che la società destina allarealizzazione dell’affare (e che giustificano l’attribuzione alla società di una quota,determinata nel contratto, dei proventi dell’operazione), pur non facendo parte delpatrimonio separato consistente nei proventi dell’affare, sono pur essi temporanea-mente sottratti (fino al rimborso del finanziamento o alla scadenza del termine dicui al 2° comma lett. h) alle azioni esecutive dei creditori della società: fino ad al-lora questi possono esercitare, su tali beni, solo azioni conservative.

La necessità di evidenziare il patrimonio separato comporta quanto segue:a) nella contabilità della società, una distinta fatturazione e la tenuta di appositi

conti bancari (e schede contabili) intestati ai proventi dell’affare (ed agli inve-stimenti con essi effettuati);

b) nella nota integrativa, per ciascun finanziamento destinato, occorre indicare sial’importo delle disponibilità liquide e dei titoli appartenenti al patrimonio sepa-rato, con i relativi vincoli, sia la natura e il valore dei beni strumentali della so-cietà destinati alla realizzazione dell’affare.In mancanza di una espressa previsione legislativa, non occorre dare separata

evidenza negli schemi di bilancio delle voci e degli importi vincolati al finanzia-mento destinato. D’altro canto, a fini conoscitivi è sufficiente l’illustrazione forni-ta nella nota integrativa della società.

Peraltro, considerata la particolare natura dei finanziamenti destinati ad unospecifico affare, devono ritenersi applicabili le previsioni di cui ai commi 2, 3 e 4dell’art. 2423-ter del Cod. Civ. Di conseguenza, i finanziamenti destinati sonoiscritti tra le passività dello stato patrimoniale, in apposita voce o sottovoce, se-condo le circostanze. Analoga evidenza è fornita per le componenti reddituali dipertinenza del finanziamento destinato.

2. Finanziamento collegato alla contemporanea istituzione di un patrimonio “destinato”

Vanno fornite, nella contabilità e nel bilancio della società le evidenze richiestedall’art. 2447- decies che non siano già comprese in quelle relative al patrimoniodestinato ex art. 2447-bis lett. a).

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Page 127: I patrimoni destinati ad uno specifico affare.

Codice civile - sezione XI. Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare.2447-bis (Patrimoni destinati ad uno specifico affare). La società può:

a) costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva aduno specifico affare;

b) convenire che nel contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare alrimborso totale o parziale del finanziamento medesimo siano destinati i pro-venti dell’affare stesso, o parte di essi.Salvo quanto disposto in leggi speciali, i patrimoni destinati ai sensi della lette-

ra a) del primo comma non possono essere costituiti per un valore complessiva-mente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società e non possonocomunque essere costituiti per l’esercizio di affari attinenti ad attività riservate inbase alle leggi speciali.

2447-ter (Deliberazione costitutiva del patrimonio destinato). La delibera-zione che ai sensi della lettera a) del primo comma dell’art. 2447-bis destina un pa-trimonio ad uno specifico affare deve indicare:a) l’affare al quale è destinato il patrimonio;b) i beni e i rapporti giuridici compresi in tale patrimonio;c) il piano economico-finanziario da cui risulti la congruità del patrimonio rispet-

to alla realizzazione dell’affare, le modalità e le regole relative al suo impiego,il risultato che si intende perseguire e le eventuali garanzie offerte ai terzi;

d) gli eventuali apporti di terzi, le modalità di controllo sulla gestione e di parteci-pazione ai risultati dell’affare;

e) la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione all’affare, con laspecifica indicazione dei diritti che attribuiscono;

f) la nomina di una società di revisione per il controllo contabile sull’andamentodell’affare, quando la società non è già assoggettata alla revisione contabile daparte di una società di revisione ed emette titoli sul patrimonio diffusi tra il pub-blico in misura rilevante ed offerti ad investitori non professionali;

g) le regole di rendicontazione dello specifico affare.

APPENDICE 1/ADISCIPLINA DEI PATRIMONI DESTINATI

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Salvo diversa disposizione dello statuto, la deliberazione di cui al presente arti-colo è adottata dall’organo amministrativo a maggioranza assoluta dei suoi compo-nenti.

2447-quater (Pubblicità della costituzione del patrimonio destinato). La de-liberazione prevista dal precedente articolo deve essere depositata e iscritta a nor-ma dell’art. 2436.

Nel termine di sessanta giorni dall’iscrizione della deliberazione nel registrodelle imprese i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono fare opposizione. Iltribunale, nonostante l’opposizione, può disporre che la deliberazione sia eseguitaprevia prestazione da parte della società di idonea garanzia.

2447-quinquies (Diritti dei creditori). Decorso il termine di cui al secondocomma del precedente articolo ovvero dopo l’iscrizione nel registro delle impresedel provvedimento del tribunale ivi previsto, i creditori della società non possonofar valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare né, salvo cheper la parte spettante alla società, sui frutti o proventi da esso derivanti.

Qualora nel patrimonio siano compresi immobili o beni mobili iscritti in pub-blici registri, la disposizione del precedente comma non si applica fin quando la de-stinazione allo specifico affare non è trascritta nei rispettivi registri.

Qualora la deliberazione prevista dall’art. 2447-ter non disponga diversamente,per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società rispondenei limiti del patrimonio ad esso destinato. Resta salva tuttavia la responsabilità il-limitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito.

Gli atti compiuti in relazione allo specifico affare debbono recare espressa men-zione del vincolo di destinazione; in mancanza ne risponde la società con il suo pa-trimonio residuo.

2447-sexies (Libri obbligatori e altre scritture contabili). Con riferimento al-lo specifico affare cui un patrimonio è destinato ai sensi della lettera a) del primocomma dell’art. 2447-bis, gli amministratori tengono separatamente i libri e lescritture contabili prescritti dagli articoli 2214 e seguenti. Qualora siano emessistrumenti finanziari, la società deve altresì tenere un libro indicante le loro caratte-ristiche, l’ammontare di quelli emessi e di quelli estinti, le generalità dei titolari de-gli strumenti nominativi e i trasferimenti e i vincoli ad essi relativi.

2447-septies (Bilancio). I beni e i rapporti compresi nei patrimoni destinati aisensi della lettera a) del primo comma dell’art. 2447-bis sono distintamente indica-ti nello stato patrimoniale della società.

Per ciascun patrimonio destinato gli amministratori redigono un separato rendi-conto, allegato al bilancio, secondo quanto previsto dagli artt. 2423 e seguenti.

Nella nota integrativa del bilancio della società gli amministratori devono illu-strare il valore e la tipologia dei beni e dei rapporti giuridici compresi in ciascunpatrimonio destinato, ivi inclusi quelli apportati da terzi, i criteri adottati per la im-putazione degli elementi comuni di costo e di ricavo, nonché il corrispondente re-gime della responsabilità.

Qualora la deliberazione costitutiva del patrimonio destinato preveda una re-sponsabilità illimitata della società per le obbligazioni contratte in relazione allospecifico affare, l’impegno da ciò derivante deve risultare in calce allo stato patri-moniale e formare oggetto di valutazione secondo criteri da illustrare nella nota in-tegrativa.

126 I patrimoni destinati ad uno specifico affare

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Page 129: I patrimoni destinati ad uno specifico affare.

Appendice 127

2447-octies (Assemblee speciali). Per ogni categoria di strumenti finanziariprevisti dalla lettera e) del primo comma dell’art. 2447-ter l’assemblea dei posses-sori delibera:

1) sulla nomina e sulla revoca dei rappresentanti comuni di ciascuna categoria,con funzione di controllo sul regolare andamento dello specifico affare, e sull’a-zione di responsabilità nei loro confronti;

2) sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuniinteressi dei possessori degli strumenti finanziari e sul rendiconto relativo;

3) sulle modificazioni dei diritti attribuiti dagli strumenti finanziari;4) sulle controversie con la società e sulle relative transazioni e rinunce;5) sugli altri oggetti di interesse comune a ciascuna categoria di strumenti fi-

nanziari.Alle assemblee speciali si applicano le disposizioni contenute negli artt. 2415,

secondo, terzo, quarto e quinto comma, 2416 e 2419.Al rappresentante comune si applicano gli artt. 2417 e 2418.2447-novies (Rendiconto finale). Quando si realizza ovvero è divenuto impos-

sibile l’affare cui è stato destinato un patrimonio ai sensi della lettera a) del primocomma dell’art. 2447-bis, gli amministratori redigono un rendiconto finale che, ac-compagnato da una relazione dei sindaci e del soggetto incaricato della revisionecontabile, deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese.

Nel caso in cui non siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni con-tratte per lo svolgimento dello specifico affare cui era destinato il patrimonio, i re-lativi creditori possono chiederne la liquidazione mediante lettera raccomandata dainviare alla società entro novanta giorni dal deposito di cui al comma precedente.In tale caso, si applicano esclusivamente le disposizioni sulla liquidazione delle so-cietà di cui al capo VIII del presente titolo, in quanto compatibili.

Sono comunque salvi, con riferimento ai beni e rapporti compresi nel patrimo-nio destinato, i diritti dei creditori previsti dall’art. 2447-quinquies.

La deliberazione costitutiva del patrimonio destinato può prevedere anche altricasi di cessazione della destinazione del patrimonio allo specifico affare. In taliipotesi ed in quella di fallimento della società si applicano le disposizioni del pre-sente articolo.

2447-decies (Finanziamento destinato ad uno specifico affare). Il contrattorelativo al finanziamento di uno specifico affare ai sensi della lettera b) del primocomma dell’art. 2447-bis può prevedere che al rimborso totale o parziale del fi-nanziamento siano destinati, in via esclusiva, tutti o parte dei proventi dell’affarestesso.

Il contratto deve contenere:a. una descrizione dell’operazione che consenta di individuarne lo specifico og-

getto; le modalità ed i tempi di realizzazione; i costi previsti ed i ricavi attesi;b. il piano finanziario dell’operazione, indicando la parte coperta dal finanzia-

mento e quella a carico della società;c. i beni strumentali necessari alla realizzazione dell’operazione;d. le specifiche garanzie che la società offre in ordine all’obbligo di esecuzione

del contratto e di corretta e tempestiva realizzazione dell’operazione;e. i controlli che il finanziatore, o soggetto da lui delegato, può effettuare sull’e-

secuzione dell’operazione;

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Page 130: I patrimoni destinati ad uno specifico affare.

f. la parte dei proventi destinati al rimborso del finanziamento e le modalità perdeterminarli;

g. le eventuali garanzie che la società presta per il rimborso di parte del finanzia-mento;

h. il tempo massimo di rimborso, decorso il quale nulla più è dovuto al finanzia-tore.I proventi dell’operazione costituiscono patrimonio separato da quello della so-

cietà, e da quello relativo ad ogni altra operazione di finanziamento effettuata aisensi della presente disposizione, a condizione:a. che copia del contratto sia depositata per l’iscrizione presso l’ufficio del regi-

stro delle imprese;b. che la società adotti sistemi di incasso e di contabilizzazione idonei ad indivi-

duare in ogni momento i proventi dell’affare ed a tenerli separati dal restantepatrimonio della società.Alle condizioni di cui al comma precedente, sui proventi, sui frutti di essi e de-

gli investimenti eventualmente effettuati in attesa del rimborso al finanziatore, nonsono ammesse azioni da parte dei creditori sociali; alle medesime condizioni, del-le obbligazioni nei confronti del finanziatore risponde esclusivamente il patrimonioseparato, salva l’ipotesi di garanzia parziale di cui al secondo comma, lettera g).

I creditori della società, sino al rimborso del finanziamento, o alla scadenza deltermine di cui al secondo comma, lettera h) sui beni strumentali destinati alla rea-lizzazione dell’operazione possono esercitare esclusivamente azioni conservative atutela dei loro diritti.

Se il fallimento della società impedisce la realizzazione o la continuazione del-l’operazione cessano le limitazioni di cui al comma precedente, ed il finanziatoreha diritto di insinuazione al passivo per il suo credito, al netto delle somme di cuiai commi terzo e quarto.

Fuori dall’ipotesi di cartolarizzazione previste dalle leggi vigenti, il finanzia-mento non può essere rappresentato da titoli destinati alla circolazione.

La nota integrativa alle voci di bilancio relative ai proventi di cui al terzo com-ma, ed ai beni di cui al quarto comma, deve contenere l’indicazione della destina-zione dei proventi e dei vincoli relativi ai beni.

128 I patrimoni destinati ad uno specifico affare

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Principio contabile 12 - Composizione e schemi del bilancio d’esercizio diimprese mercantili, industriali e di servizi

Sono inserite le seguenti partiCapitolo 4 COMPOSIZIONE E SCHEMI DEL BILANCIO D’ESERCIZIO DI

IMPRESE MERCANTILI, INDUSTRIALI E DI SERVIZI: DEFINIZIONE DE-GLI STESSI ED ENUNCIAZIONE DEI PRINCIPI CONTABILI PER LA LORORAPPRESENTAZIONE

Schema di stato patrimonialeAttivo e PassivoÈ inserito, come ultimo paragrafo, il seguente:È fatto salvo quanto disposto dall’art. 2447-septies con riferimento ai beni

e rapporti giuridici compresi nei patrimoni destinati ad uno specifico affareai sensi della lettera a) del primo comma dell’articolo 2447-bis.Considerazioni di carattere generale

Al punto h), è inserito, come 2° paragrafo, il seguente:Inoltre, per quanto concerne la disciplina dei patrimoni destinati, come in-

dicato dall’art. 2447 – septies, comma 4, se nella deliberazione costitutivadel patrimonio destinato dovesse essere prevista una responsabilità illimita-ta della società per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affa-re, l’impegno derivante da ciò dovrà risultare in calce allo stato patrimonia-le. I criteri in base ai quali viene formulata la valutazione devono essere il-lustrati in nota integrativa.

Capitolo 5 NOTA INTEGRATIVA AL BILANCIOInformativa richiesta dalla normativa civilisticaInformazioni richieste dall’art. 2427:

al 4° paragrafo, è inserito, come punto 20), il seguente testo:20) i dati richiesti dal terzo comma dell’articolo 2447-septies con riferi-

mento ai patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi della lettera a)del primo comma dell’articolo 2447-bis;

APPENDICE 1/BMODIFICHE APPORTATE AI PRINCIPI

CONTABILI NAZIONALI

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al 7° paragrafo, è inserito, come punto o) il seguente:o) Il n. 20 richiede l’illustrazione, in relazione alla disciplina dei patrimonidestinati ad uno specifico affare, del valore e della tipologia dei beni e deirapporti giuridici compresi in ciascun patrimonio, compresi quelli apportatida terzi, dei principi adottati per l’imputazione degli elementi comuni di co-sto e di ricavo e del regime della responsabilità.

Principio contabile 22 - Conti d’ordine

È inserita la seguente parteCapitolo 3 I CONTI D’ORDINE: DEFINIZIONE DEGLI STESSI ED ENUN-

CIAZIONE DEI PRINCIPI CONTABILI PER LA LORO VALUTAZIONE ERAPPRESENTAZIONE IN BILANCIO

B. ClassificazioneIn B.II. h) è inserito come 2° paragrafo, il seguente:

Tali considerazioni, per analogia, sono applicabili anche alla fattispecie incui la società, avendo costituito uno o più patrimoni destinati ai sensi del-l’articolo 2447-bis e seguenti del Codice Civile, abbia concesso garanzie aterzi per obbligazioni contratte dai patrimoni destinati.

È inserita ad integrazione del Principio la sezione E. “I patrimoni destinati aduno specifico affare”:

Il D.Lgs. 6/2003 ha introdotto nell’ambito della disciplina delle società perazioni, un istituto del tutto nuovo per il nostro ordinamento.Il patrimonio destinato deve essere considerato parte integrante del patrimo-nio della società e deve essere rappresentato nel suo bilancio anche se inmodo distinto e sulla base di una apposita contabilità.La caratteristica fondamentale del patrimonio destinato è quella di esseresottratto alla responsabilità patrimoniale ex art. 2740, 1°comma Codice Ci-vile, nei confronti della generalità dei creditori della società rimanendo, vi-ceversa, assoggettato alla responsabilità nei confronti dei soli creditori perle obbligazioni contratte nello svolgimento dell’affare.Se nella delibera consiliare di “destinazione” non viene disposto nulla, perle obbligazioni assunte risponde il solo patrimonio destinato.Tuttavia, in linea con quanto stabilito all’art. 2447-quinquies, 3° comma delCodice Civile, è possibile prevedere nella delibera costitutiva del patrimo-nio destinato una responsabilità illimitata della società per le obbligazionicontratte dal patrimonio destinato nel corso dello svolgimento dello specifi-co affare.In tale ipotesi dovranno essere adottate le seguenti indicazioni:E.I. – ClassificazioneQualora la delibera di destinazione preveda una responsabilità illimitata del-la società per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare (enon solo limitata ai beni e diritti, che costituiscono il patrimonio destinato)la responsabilità, ai sensi dell’art. 2447-septies, 4° comma del Codice Civi-le, deve risultare fra i conti d’ordine con specifica denominazione (sistemadei rischi: “Responsabilità assunta in ordine ai patrimoni destinati”). In relazione alle diverse caratteristiche delle obbligazioni e garanzie assun-

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Appendice 131

te, appare opportuno l’individuazione di due distinte sottovoci: la prima re-lativa alle passività presenti nel bilancio del patrimonio destinato; la secon-da a fronte di quanto il patrimonio stesso ha indicato nei propri conti d’or-dine tra gli impegni e rischi.E.II. – ValutazioneL’importo da appostare deve essere pari al rischio massimo assunto (totaledelle obbligazioni assunte, iscritte al passivo del patrimonio); si dovrà inol-tre tener conto delle obbligazioni e passività potenziali identificate e ripor-tate al rendiconto del patrimonio destinato (conti d’ordine e/o nota integra-tiva) secondo le disposizioni che disciplinano tale fattispecie interpretate edintegrate dal presente principio.Analoga iscrizione, laddove risulti l’esistenza dei procedimenti in corso, vafatta per le obbligazioni derivanti da fatto illecito contratte nell’esecuzionedell’“affare” per le quali risponde illimitatamente la società.E.III. – Informazioni integrativeDeve essere illustrato in nota integrativa il criterio utilizzato per la valuta-zione del rischio sopra indicato. Si applicano le regole generali di cui al pre-sente documento.

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4. F. VenturelliLa fiscalità differita nel processo di armonizzazione contabile a livellointernazionale

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6. A. CostaLa corporate governance nelle aziende bancarie, con particolare riguardo alle banche popolari

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9. C. ViolaIl governo societarioAspetti organizzativi e gestionali

10. Nunzio CasalinoInnovazione e organizzazione nella formazione aziendaleMetodi e tecnologie per la gestione della conoscenza a supporto dello sviluppo organizzativo

11. A. Dell’AttiI patrimoni destinati ad uno specifico affare

COLLANA DI ECONOMIA AZIENDALESerie scientifica:

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Page 144: I patrimoni destinati ad uno specifico affare.

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RAGUSA GRAFICA MODERNA – BARI

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