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1 Massimiliano Cappuccio I NEURONI SPECCHIO SONO I “CORRELATI NEURONALI” DELL’EMPATIA? Pubblicato in Mauro Maldonato (ed.), Pensare la scienza, Bruno Mondadori, Milano 2009, pp. 260292. Neuroni specchio ed empatia I neuroni specchio sono i correlati neuronali dell’empatia? Per fornire una risposta chiara e univoca è necessario interrogare anzitutto i presupposti che rendono la domanda possibile, e questo non può essere fatto se non si affronta una preventiva indagine filosofica sulle nozioni di “empatia” e di “correlati neuronali”. Affrontiamo pertanto questa domanda considerando che il nodo concettuale maggiormente problematico non concerne, in sé e per sé, la legittimità di una correlazione tra i neuroni specchio e le dinamiche della coscienza empatica (correlazione che pare legittimamente documentabile e, all’interno di un quadro metodologico sperimentale, addirittura incontrovertibile); piuttosto, esso riguarda anzitutto il significato metafisico che, in maniera per lo più inconsapevole, viene attribuito dal registro esplicativo del naturalismo alle corrispondenze verificabili tra i sostrati neuroanatomici e la vita di coscienza dei soggetti empatici. In questo lavoro avrò modo di sostenere che la compromissione metafisica tipica delle spiegazioni di questo tipo deriva in primo luogo dai presupposti rappresentazionalistici e riduzionistici con i quali, per lo più, viene semplificata la correlazione tra eventi neurobiologici e fenomeni della vita di coscienza. Cominciamo con l’introdurre, anzitutto, che cosa sono i neuroni specchio. Si tratta di strutture della corteccia premotoria la cui attivazione è legata selettivamente a specifiche tipologie di atti motori finalizzati, caratterizzabili come azioni intenzionali: la peculiarità dei neuroni specchio di un soggetto consiste nel fatto che essi si attivano sia quando il soggetto compie l’azione, sia quando il soggetto osserva qualcun altro compiere la medesima azione (Rizzolatti et al. 1996). Si può parlare, per estensione, di “sistemi specchio” o “sistemi risonanti” di un soggetto per indicare tutte le strutture neuronali che si attivano sia in concomitanza del prodursi di una certa modificazione intenzionale nel soggetto (intenzionalità motoria, affettiva, ecc.), sia quando il soggetto riscontra la medesima modificazione in un altro agente intenzionale (si parla pertanto di sistemi specchio motori per le azioni finalizzate, sistemi specchio somatosensoriali per le sensazioni tattili e per il dolore, sistemi specchio emotivi per la paura, la rabbia, il disgusto, ecc. 1 ). Essendo coinvolti tanto nei processi inerenti l’esperienza vissuta in prima persona (eseguo un’azione, provo una sensazione, vivo un’emozione) quanto nei processi riscontrabili in terza persona (osservo qualcuno compiere un’azione, provare una sensazione, vivere un’emozione), i sistemi specchio sono stati indicati come i correlati neuronali di funzioni che sono ad un tempo performative e percettive, ovvero di controllo esecutivo e di riconoscimento 2 . Questo ha condotto a supporre che i neuroni specchio 1 Si veda ad esempio Singer et al. (2004) per gli studi sull’empatia per il dolore e Wicker et al. (2003) per i fenomeni di contagio legati alle espressioni di disgusto. 2 Gallese (2002). Si veda anche Rizzolatti e Sinigaglia (2006) per un’esposizione comprensiva delle problematiche inerenti i neuroni specchio e l’action recognition.
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I Neuroni Specchio Sono i Correlati Neuronali dell'Empatia?

May 13, 2023

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Massimiliano  Cappuccio  I   NEURONI   SPECCHIO   SONO   I   “CORRELATI  NEURONALI”  DELL’EMPATIA?    Pubblicato   in  Mauro  Maldonato   (ed.),  Pensare   la   scienza,  Bruno  Mondadori,  Milano  2009,  pp.  260-­‐‑292.        Neuroni  specchio  ed  empatia    I   neuroni   specchio   sono   i   correlati   neuronali   dell’empatia?   Per   fornire   una   risposta   chiara   e  univoca   è   necessario   interrogare   anzitutto   i   presupposti   che   rendono   la   domanda   possibile,   e  questo  non  può  essere  fatto  se  non  si  affronta  una  preventiva   indagine  filosofica  sulle  nozioni  di  “empatia”   e  di   “correlati   neuronali”.  Affrontiamo  pertanto  questa  domanda   considerando   che   il  nodo   concettuale  maggiormente   problematico   non   concerne,   in   sé   e   per   sé,   la   legittimità   di   una  correlazione  tra  i  neuroni  specchio  e  le  dinamiche  della  coscienza  empatica  (correlazione  che  pare  legittimamente  documentabile  e,  all’interno  di  un  quadro  metodologico  sperimentale,  addirittura  incontrovertibile);  piuttosto,  esso  riguarda  anzitutto  il  significato  metafisico  che,  in  maniera  per  lo  più   inconsapevole,   viene   attribuito   dal   registro   esplicativo   del   naturalismo   alle   corrispondenze  verificabili   tra   i   sostrati   neuroanatomici   e   la   vita   di   coscienza   dei   soggetti   empatici.   In   questo  lavoro  avrò  modo  di  sostenere  che  la  compromissione  metafisica  tipica  delle  spiegazioni  di  questo  tipo  deriva  in  primo  luogo  dai  presupposti  rappresentazionalistici  e  riduzionistici  con  i  quali,  per  lo   più,   viene   semplificata   la   correlazione   tra   eventi   neurobiologici   e   fenomeni   della   vita   di  coscienza.  Cominciamo  con  l’introdurre,  anzitutto,  che  cosa  sono  i  neuroni  specchio.  Si  tratta  di  strutture  della  corteccia  premotoria  la  cui  attivazione  è  legata  selettivamente  a  specifiche  tipologie  di  atti  motori  finalizzati,   caratterizzabili   come   azioni   intenzionali:   la   peculiarità   dei   neuroni   specchio   di   un  soggetto  consiste  nel  fatto  che  essi  si  attivano  sia  quando  il  soggetto  compie  l’azione,  sia  quando  il  soggetto  osserva  qualcun  altro  compiere  la  medesima  azione  (Rizzolatti  et  al.  1996).  Si  può  parlare,  per   estensione,   di   “sistemi   specchio”   o   “sistemi   risonanti”   di   un   soggetto   per   indicare   tutte   le  strutture   neuronali   che   si   attivano   sia   in   concomitanza   del   prodursi   di   una   certa  modificazione  intenzionale  nel  soggetto  (intenzionalità  motoria,  affettiva,  ecc.),  sia  quando  il  soggetto  riscontra  la  medesima   modificazione   in   un   altro   agente   intenzionale   (si   parla   pertanto   di   sistemi   specchio  motori  per   le  azioni   finalizzate,  sistemi  specchio  somatosensoriali  per   le  sensazioni   tattili  e  per   il  dolore,  sistemi  specchio  emotivi  per  la  paura,  la  rabbia,  il  disgusto,  ecc.1).  Essendo  coinvolti  tanto  nei   processi   inerenti   l’esperienza   vissuta   in   prima   persona   (eseguo   un’azione,   provo   una  sensazione,  vivo  un’emozione)  quanto  nei  processi  riscontrabili  in  terza  persona  (osservo  qualcuno  compiere   un’azione,   provare   una   sensazione,   vivere   un’emozione),   i   sistemi   specchio   sono   stati  indicati  come  i  correlati  neuronali  di  funzioni  che  sono  ad  un  tempo  performative  e  percettive,  ovvero  di   controllo   esecutivo   e   di   riconoscimento2.   Questo   ha   condotto   a   supporre   che   i   neuroni   specchio  

                                                                                                                         1  Si  veda  ad  esempio  Singer  et  al.   (2004)  per  gli  studi  sull’empatia  per   il  dolore  e  Wicker  et  al.   (2003)  per   i  fenomeni  di  contagio  legati  alle  espressioni  di  disgusto.  2   Gallese   (2002).   Si   veda   anche   Rizzolatti   e   Sinigaglia   (2006)   per   un’esposizione   comprensiva   delle  problematiche  inerenti  i  neuroni  specchio  e  l’action  recognition.  

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rivestano   il   ruolo   di   mediare   la   comprensione   dell’attività   intenzionale   dell’altro;   siccome  assolvono   funzioni   percettive   e   interpretative   utilizzando   la   medesima   struttura   che   viene  utilizzata   per   lo   svolgimento   di   funzioni   motorie   o   affettive,   si   ritiene   che   la   loro   attivazione  testimoni   un   processo   di   simulazione   interiore   dell’esperienza   dell’altro   (cfr.   Gallese   2006,   Iacoboni  2008).   Gallese   ha   chiamato   questa   forma   di   conoscenza   dell’altro   “Simulazione   incarnata”,   per  sottolineare  la  sua  natura  pre-­‐‑categoriale  e  pre-­‐‑riflessiva,  e  per  prendere  le  distanze  dagli  approcci  teorici   (Teoria   della   mente)   che   intendono   l’empatia   ancora   in   termini   di   schemi   di   inferenze  rivolte   all’intendimento   razionale   (mind   reading)   delle   scelte   degli   altri3.   Secondo   la   teoria  simulazionista  di  Gallese  la  base  di  esperienze  personali  collegata  all’attivazione  dei  miei  neuroni  specchio  viene  da  me  utilizzata  per  comprendere  il  senso  del  gesto  e  dell’espressione  corporea  del  soggetto   che   mi   sta   di   fronte;   la   simulazione   consisterebbe   nell’utilizzare   il   mio   patrimonio  esperienziale  come  regola  di  variazioni  possibili  del  mio  vissuto  corporeo,  ovvero  come  modello  proiettivo  utile   per   replicare   il   significato   interiore,   personale,   dell’esperienza   che   sta   vivendo   l’altro;   ciò  permetterebbe   quindi   di   attribuire   a   quest’ultimo   –   attraverso   un   meccanismo   economico   ed  adattivo  -­‐‑  quell’intenzionalità  e  quella  struttura  coscienziale  che  appartiene  alla  mia  vita  personale  e  con  la  quale  sono  già  famigliare  in  virtù  della  mia  storia  e  delle  mie  esperienze  pregresse.  Si  parla  di  simulazione  perché,  mentre  empatizzo  con  l’altro,  accedo  ai  miei  vissuti  di  coscienza  come  se  essi  costituissero  il  vissuto  attuale  dell’altro  che  mi  sta  di  fronte.  Per   giudicare   se   i   neuroni   specchio   rappresentino   effettivamente   i   correlati   neuronali   della  comprensione   pre-­‐‑riflessiva   dell’altro,   occorre   ovviamente   affidarsi   a   un   concetto   attendibile   di  empatia;  la  mia  ricerca  si  è  concentrata  sulla  dottrina  fenomenologica  di  Edmund  Husserl,  perché  (sebbene  variamente  interpretabile  e  aperta  a  una  lettura  critica)  essa  ci  consente  di  abbozzare  un  modello   rigoroso   di   come   si   articolino   i   processi   empatici4.   Per   Husserl   l’empatia   è   un   atto   di  coscienza   soggettivo   che   consiste   nello   stabilire   un’equivalenza   tra   il   vissuto   corporeo   di   un  soggetto  e  il  vissuto  corporeo  degli  altri  soggetti  ai  quali  il  primo  si  relaziona.  L’equivalenza  viene  ricavata   attraverso   un’analogia   che   si   radica   nella   basilare   dualità   fenomenologica   tra   Leib   e  Koerper.   Il   primo   dei   due   termini   indica   il   corpo   attraverso   il   quale   si   percepisce,   si   vive   e   si  desidera;   il   secondo   ha   a   che   fare,   invece,   con   il   corpo   di   cui   si   possono   avere   riscontri   solo  esteriori,   oggettivi,   neutri,   o   addirittura   naturalistici.  Gli   schemi   che   caratterizzano   il   Leib   di   un  soggetto  vengono  dinamicamente   a   corrispondere   agli   schemi   che   caratterizzano   il   suo  Koerper,  sebbene  questa  corrispondenza  non  sia  mai  completa  e  definitiva.  Il  rapporto  dinamico  tra  il  Leib  e  il   Koerper   di   un   soggetto   si   riversa   nella   comprensione   dell’altro   duranti   i   processi   empatici:  questa   correlazione,   concernente   l’esperienza   fenomenologica   di   un   soggetto,   è   esportabile   agli  altri  corpi  nei  suoi  elementi  costitutivi,  per  cui  la  rete  di  rapporti  che  concretamente  sussiste  tra  il  vissuto   corporeo   personale   del   soggetto   empatizzante   (il   suo   Leib,   ovvero   il   suo   corpo   vivo                                                                                                                            3  In  particolare  con  lo  scopo  di  elaborare  una  teoria  alternativa  rispetto  a  quella  della  Simulazione  moderata,  precedentemente  difesa  da  Gallese  e  Goldman  (1998).  4   Facciamo   riferimento,   in   particolare,   alla   Quinta   meditazione   cartesiana   e   al   secondo   libro   di   Ideen.   E’  certamente  difficile  parlare  di  una   teoria   compiuta   ed  esaustiva  dell’empatia   in  questi   testi   (Hussel   2002a,  2002b)  .  Nella  Quinta  meditazione  cartesiana,  l’attenzione  dell’autore  è  rivolta  in  massima  parte  alla  fondazione  fenomenologica  del  mondo  oggettivo  di  fronte  all’intersoggettività  costitutiva  già  da  sempre  operante  nello  sguardo   del   singolo;   in   Idee   II,   Husserl   utilizza   invece   l’empatia   come   dispositivo   di   collegamento   tra   gli  strati  ontologici  del  mondo  fisico  naturale  e  di  quello  animale  psichico.   In  nessuno  dei  due  casi  Husserl  si  prefigge  di  compiere  una  disamina  fenomenologica  dell’atto  empatico  considerato  nei  termini  di  attività  di  comprensione  dell’altro;  non  è  illegittima,  però,  né  sembrerebbe  azzardata,  l’operazione  teorica  che  intende  ricavare  da  questi   testi  un  modello  perfettamente  operativo  –  sebbene  minimale   -­‐‑  dell’atto  empatico,  visto  che   i   caratteri   di   quest’ultimo   vengono   esposti,   e   poi   riconfermati   in   maniera   sempre   coerente,   nei   vari  contesti  in  cui  Husserl  torna  a  parlarne.  

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fenomenologico,)   e   la   situazione   oggettiva   del   suo   corpo   (il   suo   Koerper,   appunto)   può   essere  trasposta  su  di  un  altro  soggetto;   in  questo  modo  il  corpo-­‐‑oggetto  dell’altro,  sebbene  appercepito  unicamente   attraverso   modalità   esteriori,   può   essere   appreso   attraverso   una   profondità  fenomenologica  che  lo  caratterizza  come  corpo  vivo,  ovvero  come  corpo  analogo  al  mio,  attraverso  il  quale  si  esprimono  una  intenzionalità,  una  coscienza,  una  volontà,  e  un  potere  costituente  sopra  la  realtà.  Il  procedimento  analogico  implicato  nell’atto  empatico  non  consiste  in  un’inferenza,  non  si  esplica  in   un   giudizio   sullo   stato  mentale   dell’altro   e   non   richiede   complesse   procedure   di   calcolo   o   di  confronto.   Il   procedimento   analogico   è   riscontrabile   nella   struttura   del   vissuto   di   coscienza  dell’atto  empatico,  ma  è  pre-­‐‑riflessivo  e  non  necessariamente  consapevole.  Secondo  la  lettura  data  da  Ricoeur  (1950)  e,  più  recentemente,  da  Depraz  (1994)  esso  si  articola  essenzialmente  in  quattro  momenti  costituenti.  Questi  momenti  mi  sono  resi  possibili,  rispettivamente:  (1)  dalla  mia  capacità  di  riconoscere  le  sembianze  esteriori  del  corpo  dell’altro,  riscontrando  una  somiglianza  immediata  con  la  struttura  del  mio  corpo  (il  Koerper  dell’altro  e  le  sue  azioni  possibili  possono  essere  appresi  come  variazioni  virtualmente  ottenibili  a  partire  dallo  schema  originario  del  mio  Koerper  e  delle  mie  azioni);   (2)  dalla  capacità  di  appercepire  per   il   tramite  del  mio  corpo  il  senso  dell’esperienza  che  io  stesso  avrei  vissuto  se  mi  fossi  trovato  nella  situazione  corporea  attuale  dell’altro,  attribuendo  quindi  implicitamente  all’altro  corpo  il  contenuto  schematico  di  un  vissuto  che  già  mi  apparteneva  e   con   il   quale   ero   famigliare   (attribuisco   pertanto   alle   variazioni   del   Koerper   dell’altro   quegli  schemi   di   modificazione   del   Leib   che   sono   originariamente   associati   alle   variazioni   del   mio  Koerper);   (3)   dalla   capacità   di   riempire   lo   schema   del   vissuto   empatizzato,   attraverso   un  procedimento  di  esplorazione   immaginativa  delle  catene  motivazionali   che  strutturano   il  vissuto  di  coscienza  dell’altro  (desumo  quindi  le  modificazioni  possibili  nel  Leib  dell’altro  a  partire  dalla  regola  psichica  che  definisce  i  miei  rapporti  associativi  Leib-­‐‑Korper).  Ciò  consente  la  ricostruzione  del   mondo   dell’altro   come   orizzonte   orientato   a   partire   dalla   presenza   situata   della   sua   psiche  operante   attraverso   il   suo   corpo.   Infine,   (4)   gli   animali   dotati   di   capacità   empatiche   sviluppate  conducono   una   vita   personale   all’interno   di   un   contesto   intersoggettivo,   tale   per   cui   ogni  individuo   che   partecipa   alle   relazioni   sociali   del   gruppo   può   essere   considerato   –   in   senso  fenomenologico   -­‐‑   un   soggetto   psichico   equiparabile   agli   altri,   dotato   di   una   regola  comportamentale   che   è   analoga   a   quella   che   governa   le   loro   vite   di   coscienza   (con   questo  passaggio   si   costituisce   la   possibilità   di   una   comunità   ideale   di   monadi   soggettive   concrete,  ciascuna  delle  quali  dotata  di  una  propria  regola  psichica  che  ne  definisce  gli  schemi  possibili  di  variazione  Leib-­‐‑Koerper).    Il  procedimento  empatico,  pertanto,   resta   radicato   in  un  primissimo  atto  di  natura   sensibile   e   in  una   forma   di   quasi-­‐‑percezione   del   vissuto   dell’altro;   è   un   procedimento   articolato   in  molteplici  momenti   logicamente   distinguibili,   che   costituiscono   lo   sfondo   sul   quale   viene   stabilendosi   il  rapporto  analogico;  è  un  procedimento  mediato  dal  bagaglio  delle  esperienze  sedimentate  nel  mio  corpo  e  nel  grado  di   famigliarità  morfologica   e   comportamentale   che   riesco  a   stabilire   tra   il  mio  corpo   e   quello   dell’altro,   nella  misura   consentita   dalla   prossimità   sussistente   tra   i   loro   rispettivi  schemi   di   modificazioni   Leib-­‐‑Koerper   possibili.   Solo   successivamente,   in   maniera   derivata,  l’empatia   può   eventualmente   esplicarsi   attraverso   un   procedimento   conoscitivo   che   riempie   di  determinazioni   concrete   lo   schema   del   vissuto   empatizzato   dell’altro   attraverso   una   serie   di  esplorazioni   immaginative,   includenti   o  meno   inferenze,   interpolazioni,   costruzioni   simboliche   e  linguistiche.    La  costituzione  empatica  del  vissuto  corporeo  dell’altro  è  mediata  quindi  da  schemi  mutuati  dalla  mia  esperienza  corporea  acquisita  ontogeneticamente,  filogeneticamente  o  socialmente;  ciò  che  io  vedo  e  sento  accadere  nel  corpo  dell’altro  coincide  in  maniera  semplice  e  perfettamente  congruente  

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con   ciò   che   sarebbe   potuto   accadere   nel   mio   stesso   corpo   se   mi   fossi   trovato   al   suo   posto.   Il  dispositivo   di   trasposizione   empatica,   essendo   basato   sull’assunzione   di   una   prospettiva   “come  se”,   sembra   costituire   sul  piano  del  vissuto   fenomenologico   ciò   che   il  dispositivo  della  Embodied  simulation  tematizzata  da  Vittorio  Gallese  rappresenta  al  livello  dell’attività  cognitiva  e  dei  processi  logico-­‐‑simbolici   sub-­‐‑personali;   siccome,   a   sua   volta,   il   dispositivo   della   Simulazione   incarnata  viene   istanziato   a   livello   fisiologico   dai   sistemi   specchio,   sembra   legittimo   –   e   anzi   necessario   -­‐‑  parlare   di   una   qualche   forma   di   correlazione   dinamica   tra   processi   empatici   e   sistemi   specchio  (Gallese  2006a,  2006b,  2006c).  I  neuroni  specchio  costituiscono  dunque  le  basi  biologiche  dell’empatia?  La  funzione  empatica  può  essere   ridotta   al   funzionamento   dei   neuroni   specchio?   Occorre   comprendere   questo   punto   con  chiarezza,  perché  l’ipotesi  appena  presentata  si  espone  al  rischio  di  molteplici  fraintendimenti.  Se  da  una  parte  sembra  convincente  l’affermazione  che  l’attivazione  dei  neuroni  specchio  è  correlata  a  fenomeni  della  vita  di  coscienza  inerenti  la  comprensione  degli  altri,  resta  problematico  affermare  che   i   neuroni   specchio   costituiscano   il   “correlato   neuronale”   o   la   “base”   causale   del   processo  empatico,   soprattutto   se   a   questi   termini   si   attribuisce   il   valore   di   localizzazioni   funzionali  esaustive   del   procedimento   empatico,   e   soprattutto   se   si   persevera   nel   riconoscere   in   esse   una  valenza   rappresentazionale   o   una   funzione   di   “controllo”   o   di   “codifica”   in   senso   informatico.  Questa  affermazione  è  problematica  nella  misura  in  cui  essa  si  accompagna  alla  convinzione  che  i  sistemi  specchio  “codifichino”,  “producano”  o  “contengano”  la  semantica  dei  vissuti  empatizzati5;  nel   momento   in   cui   un   significato   viene   oggettivamente   attribuito   al   sostrato   neuronale,   nel  momento  -­‐‑  cioè  –  in  cui  si  afferma  che  il  sostrato  neuronale  costituisce  una  “rappresentazione”  del  vissuto   esperienziale   empatizzato,   è   possibile   vedere   emergere   una   serie   interminabile   di  complicazioni.  Queste  complicazioni  ineriscono  per  lo  più  la  struttura  del  processo  semiotico  che  dovrebbe   rendere   possibile,   reperibile   e   interpretabile   un   tale   significato   “rappresentato”,   cioè  oggettivamente   conservato   nel   sostrato   neuronale.   Il   primo   e   più   grave   di   questi   problemi   è  costituito  dal  fatto  che  non  sembra  esistere  alcun  interprete  adeguato  per  rapportarsi  naturalmente  alle  supposte  rappresentazioni  istanziate  dall’attività  neuronale  medesima,  la  quale  è  strutturata  in  maniera  tale  da  rimanere  materialmente  inaccessibile  allo  sguardo  di  qualsiasi  interprete  e  alle  sue  capacità  dirette  di  comprensione;  ed  è  poco  plausibile  che  il  cervello  possa  essere  considerato  come  l’interprete   di   se   stesso,   ovvero   il   destinatario   delle   proprie   “rappresentazioni”,   visto   che   non   è  chiaro  per  quale   scopo   il   sistema  nervoso  centrale  dovrebbe  essere   tenuto  a   interpretare   i  propri  processi.  A  questo  proposito,  il  filosofo  della  mente  e  fenomenologo  Hubert  Dreyfus  (2002)  aveva  già   efficacemente   osservato   –   in   una   prospettiva   merleau-­‐‑pontiana   -­‐‑   che,   per   poter   guidare   ed  eseguire   efficacemente   la   propria   attività   cognitiva,   il   corpo  non  ha   bisogno  di   rappresentazioni  che  costituiscano  dei  modelli  interni  da  confrontare  con  l’esperienza,  perché  l’esperienza  stessa  è  il  modello   rispetto   al   quale   il   corpo   deve   riferirsi   per   agire   efficacemente   nel   mondo6,   e   le  

                                                                                                                         5   L’attribuzione  di   significato   esperienziale   ai   sostrati  neuronali  può   essere  motivata  da   istanze   filosofiche  diverse,   alcune   delle   quali   rivolte   programmaticamente   a   ricomporre   la   frattura   tra   coscienza   e   cervello  imposta   storicamente   dalla   metafisica   dualistica   della   mente.   Anche   nel   linguaggio   neuroscientifico  utilizzato  da  Gallese  (2000),  ad  esempio,  è  talvolta  rintracciabile  un’istanza  di  semantizzazione  di  tipo  anti-­‐‑dualistico.  Nel  prosieguo  del  presente  articolo   si   cercherà  –  almeno   in   forma  embrionale   -­‐‑  di  argomentare  come,  per  quanto  ragionevolmente  motivata,  l’istanza  di  ricomposizione  basata  su  presupposti  riduzionistici  e  rappresentazionalistici  sia  destinata  a  eludere,  in  ultima  istanza,  il  problema  della  reale  collocazione  della  coscienza  rispetto  al  cervello.  6  Si  veda  su  questo  punto   l’analisi   condotta  da  Recchia-­‐‑Luciani   (2007,  p.  220),   in  massima  parte  –   sebbene  non   interamente   -­‐‑   analoga   alla   nostra:   “Il   cervello   con   le   sue  mappe   somatotopiche   produce   proiezioni   o  

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rappresentazioni  neuronali  non  sono  altro  che  spiegazioni  costruite  a  posteriori  dagli  scienziati  che  intendono  studiare  il  funzionamento  del  cervello.    Seguire   la   via   del   rappresentazionalismo,   e   retrocedere   quindi   le   facoltà   interpretative   al   livello  sub-­‐‑personale   dei   processi   neuronali   avrebbe   soltanto   la   conseguenza   di   trascinare   l’intero  processo   di   significazione   nel   classico   problema   del   regresso   infinito   della   cognizione,   che   è  peculiare  delle  teorie  omuncolari  della  cognizione  e  che  emerge  come  la  lineare  conseguenza  degli  approcci   cognitivistici.   La   semantizzazione   dei   processi   neuronali   (per   come   essa   viene  comunemente   intesa   dal   pensiero   riduzionistico   delle   neuroscienze,   in   complicità   con   il  rappresentazionalismo   dell’epistemologia   naturalistica),   e   la   conseguente   attribuzione   alle  strutture   neuronali   di   un   ruolo   causale   statico   e   localizzato   nella   produzione   dei   fenomeni   di  coscienza,  diventano  rapidamente  l’oggetto  di  perplessità  gravi  e  molteplici.  In  primo   luogo,   la   concomitanza  dell’attivazione  dei   sistemi   specchio   e  dell’esperienza   empatica  non   può   valere   come   garanzia,   in   alcun   modo,   del   fatto   che   il   sistema   specchio   rappresenti,  riproduca   o   controlli,   a   livello   organico,   il   contenuto   dell’esperienza   empatica.   Se   anche   i   sistemi  specchio  fossero  condizione  necessaria  e  sufficiente  per  il  prodursi  dei  fenomeni  empatici  (e  non  è  detto  che  lo  siano),  resterebbe  comunque  problematico  affermare  che  l’empatia  possa  ridursi  a  un  evento  fisico-­‐‑chimico  localizzabile  anatomicamente  e  contenibile  in  una  delimitata  porzione  estesa  del   sistema   nervoso   centrale,   principalmente   in   ragione   della   discontinuità   radicale,   e   non  risolvibile,   che  permane   tra   le  descrizioni   qualitative   che   sono  proprie  degli   eventi  di   coscienza,  come   appunto   l’empatia,   e   le   misurazioni   quantitative   con   le   quali   si   rende   conto   degli   eventi  neuronali.  La  fenomenologia  ha  abbondantemente  interrogato   l’assurdità   implicita   in  conclusioni  di   questo   tipo,  mentre   le   teorie   della   mente   estesa   e   le   istanze   dell’epistemologia   di   orientamento  ecologico   hanno   sottolineato   il   ruolo   integrato,   e   non   meramente   supplementare,   del   contesto  ambientale   e   sociale  nel  prodursi  dei   fenomeni  di   coscienza   e  delle   funzioni   cognitive   superiori;  questi  approcci  hanno  messo  a  nudo  che  un  evento  neuronale  non  può  essere  considerato,  in  sé  e  per  sé,   latore  di  una  valenza  semantica  o  rappresentazione  di  un  contenuto  esperienziale  e,  tanto  meno,  di  un  valore  intenzionale.  Questo   risulta  valido   in  generale  per   tutti   i   fenomeni  della  vita  di   coscienza,  per   i  quali   è  molto  spesso  difficile  –  sia  dal  punto  di  vista  teorico,  sia  dal  punto  di  vista  empirico  –  stabilire  criteri  di  corrispondenza  uno-­‐‑ad-­‐‑uno  con   le   regioni  del   cervello.  Esistono  alcune  motivazioni  generali   che  impediscono   una   localizzazione   in   senso   riduzionistico   delle   funzioni   cognitive   emergenti   nei  sostrati  neuronali  sottostanti.  Queste  motivazioni  sono  state  prese  in  considerazione  da  Thompson  e   Noë   in   un   articolo   di   qualche   anno   fa   (2004)   e,   prima   ancora,   da   Varela   e   Thompson   (2001).  Concentriamoci   per   il   momento   sugli   argomenti   portati   da   Thompson   e   Noë,   utilizzandoli   per  discutere   il   nostro   problema   di   partenza:   consideriamo   pertanto   che   i   neuroni   sono   agenti  inintenzionali,  mentre  l’atto  empatico  ha  sempre  come  protagonista  una  soggettività  cosciente.    I  neuroni  specchio   non   sono   elementi   dell’esperienza   corporea   intuitiva;   essi   piuttosto,   dal   punto   di   vista  fenomenologico,   sono   oggetti   teorici   che   acquisiscono   il   loro   senso   di   fronte   all’atteggiamento  astraente  delle  scienze  mediche:  sono  inerti  dal  punto  di  vista  motivazionale  e  meramente  reattivi  rispetto   ai   processi   fisico-­‐‑naturali,   proprio   come   tutte   le   altre   strutture   fisiologiche;   operano   al  livello  sub-­‐‑personale  dei  processi  fisico-­‐‑naturali,  mentre  l’empatia  e  la  simulazione  incarnata  sono  processi  riferibili  unicamente  a  un  agente  personale,  sebbene  quest’ultimo  possa  essere  coinvolto  anche   soltanto   a   livello   pre-­‐‑conscio   e   pre-­‐‑riflessivo   (inconsapevole,  ma   sempre   almeno   in   parte  cosciente,  dunque).  Per  questo  motivo,  se  anche  risultasse  confermato  –  come  sembra  plausibile,  da  una  prospettiva  naturalistica  -­‐‑  che  i  neuroni  specchio  partecipano  necessariamente  al  prodursi  di                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      corrispondenze  tra  enti,  NON  rappresentazioni  dotate  di  senso,  di  valore  semantico  […]  Il  valore  semantico  manca  alle  mappe  neurali  per  se.”  

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un   atto   intenzionale,   nondimeno   essi   non   possono   essere   considerati,   in   sé   e   per   sé,   come  rappresentazioni   o   centri   di   controllo   degli   atti   intenzionali,   ovvero   come   depositari   o   responsabili   del  senso   di   intenzionalità   o   del   contenuto   motivazionale   che   è   fenomenologicamente   intrinseco   a  quegli  atti.        I  limiti  della  rappresentazione  mentale    La   fragilità   della   nozione   di   “rappresentazione   neuronale”,   la   quale   rimane   sempre   più   o  meno  esplicitamente  in  debito  nei  confronti  delle  metafisiche  di  stampo  adeguativo,  e   l’impossibilità  di  una   mappatura   uno-­‐‑ad-­‐‑uno   del   livello   fenomenologico   in   quello   fisico-­‐‑neuronale   costituiscono  difficoltà  inaggirabili  per  la  tesi  del  riduzionismo  neuronale  applicata  alla  semantica  dei  vissuti  di  coscienza.   Per   questo   Evan   Thompson   e   Alva   Noë     hanno   sottoposto   a   una   critica   radicale   i  presupposti   metafisici   che   implicitamente   animano   il   rappresentazionalismo   delle   scienze  cognitive.   La   loro   critica   si   rivolge   sia   alla   “tesi   dell’isomorfismo”   (che   sostiene   che   la   struttura  degli  atti  di  coscienza  è  conforme  alla  struttura  degli  eventi  neuronali  correlati),  sia  alla  “tesi  della  corrispondenza  minimale”   (che   sostiene   che   per   ogni   atto   di   coscienza   sia   in   linea   di   principio  identificabile  un  evento  neuronale  determinato).  Nella  prospettiva  dell’emergentismo  radicale  che  essi   difendono7,   infatti,   e   nel   contesto   esplicativo   della   mente   estesa   e   dell’enazione,   non   esiste  alcun  principio  che  garantisca  a  priori  che  per  ogni  atto  di  coscienza  sia  rintracciabile  un  definito  evento   neuronale   correlato,   sebbene   evidentemente   –   di   volta   in   volta   –   possiamo   riscontrare   la  presenza  più  o  meno  manifestamente  regolare  di  concomitanze  tra  gli  eventi  neuronali  e  gli  eventi  della   vita   di   coscienza.   Un   principio   di   corrispondenza   rappresentazionalistico   risulterebbe   in  effetti   implausibile   perché   l’evento   neuronale   non   è   una   copia   o   un   calco   dell’evento   psichico,  iscritto   nella  materia   cerebrale,   e   viceversa   il   vissuto   di   coscienza   non   è  meramente   un   riflesso  prodotto   da   una   serie   di   concatenazioni   fisico-­‐‑chimiche.   Tra   i   due   piani   si   offre   sempre   un  rapporto   di   mutua   presupposizione   e   di   dinamica   co-­‐‑determinazione,   ovverosia   entrambi  dipendono,   nella   loro   essenza,   da   un  unico   evento   “enattivo”  dal   quale   emerge   la   possibilità   di  riscontrare   una   loro   continua   e   reciproca   causazione;   al   tempo   stesso   ciascuno   dei   due   piani  continua  a  offrirsi  come  eccedente  rispetto  all’altro,  asimettrico  e  inconcluso,  e  non  puntualmente  riducibile   ad   esso,   perché   provvisto   di   qualità   e   di   regole   esclusive.  Questa   osservazione   critica  mette   in   discussione   il   presupposto   su   cui   si   basano   i   tentativi   di   circoscrivere   all’interno   di  localizzazioni   sempre   più   specifiche   del   cervello   le   matrici   causali   dei   fenomeni   della   vita   di  coscienza,   come   ad   esempio   i   fenomeni   empatici.   Per   di   più,   questa   osservazione   suggerisce   di  interrogare   radicalmente   l’idea   tradizionale   di   causazione   fisico-­‐‑psichica   tipica   del   discorso  riduzionistico,   con   lo   scopo   di   mettere   in   questione   la   sua   tendenza   a   intersecare  indiscriminatamente,   e   senza   opportune   distinzioni,   le   categorie   sperimentali   e   naturalistiche   -­‐‑  inerenti  i  fenomeni  fisico-­‐‑chimici  del  mondo  neuronale  -­‐‑  con  le  categorie  dell’esperienza  inerenti  la  vita   di   coscienza   soggettiva   -­‐‑   con   le   sue   necessarie   implicazioni   sociali   e   quindi   con   il   valore  contestuale   che   esso   può   acquisire   unicamente  maturando   nel   piano   intersoggettivo   e   sociale;   il  pensiero   dell’enazione   suggerisce   di   porre   attenzione   alle   articolazioni   complesse   e   multi-­‐‑direzionali   che   tengono  unite,  e  che  al   tempo  stesso  mantengono  qualitativamente   irriducibili,   le  molteplici  modalità  della  descrizione  nei  suoi  diversi  piani  di  sviluppo.  Fin  qui  abbiamo  esposto  alcuni  motivi  critici  generali  nei  confronti  del  rappresentazionalismo,  del  riduzionismo   e   dei   tentativi   di   semantizzazione   dell’attività   neuronale.   Esistono   poi   ragioni  

                                                                                                                         7  Si  veda  la  proposta  contenuta  nell’articolo  di  Varela  e  Thompson  (2001)  relativa  al  radical  embodiment.  

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particolari,   inerenti   la   specificità   dei   neuroni   specchio,   che   impediscono   di   attribuire   loro   -­‐‑  riduzionisticamente   -­‐‑  un   ruolo   causale   esclusivo  nel  prodursi  dei  processi   “empatici”   (su  questo  punto   si   veda   in   particolare   Boella   2006).   Rivolgendoci   più   specificamente   ai   neuroni   specchio,  bisogna  osservare  in  primo  luogo  che  il  concetto  di  empatia  tiene  insieme  atti  di  coscienza  molto  diversi  tra  di   loro,  e  questo  dipende  anche  dal  fatto  che  tale  concetto  è  il  risultato  di  un  percorso  filosofico  frastagliato  e  complesso,  scandito  anche  da  scelte  culturali  precise.  L’atto  empatico,  nella  sua  complessità,  risulta  tanto  articolato  dal  punto  di  vista  della  fenomenologia  della  comprensione  dell’altro   da   eccedere   sempre   queste   caratterizzazioni,   e   anche   per   questo  motivo   non   è   affatto  detto   che   esista   una   struttura   neuronale   specificamente   deputata   a   istanziarlo   nella   compagine  fisico-­‐‑funzionale  del  cervello  o  di  una  sua  parte.  Va  osservato,  infatti,  che  l’empatia  –  come  si  è  in  precedenza   accennato,   riassumendo   alcuni   aspetti   della   nostra   indagine   husserliana   -­‐‑   è   un  processo  stratificato  che,  a  volerlo  ridurre  alla  sua  ossatura   fondamentale,  si  compone  almeno  di  un  momento  legato  all’appercezione  sensibile  (coglimento  della  rassomiglianza),  e  di  un  momento  sintetico/analogico,   legato   alle   potenzialità   protentive   e   associative   della   coscienza   temporale  (appresentazione  analogica,  mediata  da  una  particolare  forma  di  sintesi  che  avviene  nella  passività  della   coscienza);   su   questi   due   momenti   basilari   può   innestarsi   un   ulteriore   momento   di  esplorazione  del  vissuto  dell’altro,  di  libera  variazione  prospettica  e  di  ricostruzione  dei  suoi  nessi  motivazionali,   attraverso   il   tramite   dell’immaginazione   e   del   ragionamento   (trasferimento  immaginativo).   Quest’ultimo   momento   consente   di   ripercorrere   mentalmente   le   variazioni   del  punto   di   vista   dell’altro   e   le   modificazioni   nel   contenuto   di   senso   che   dirigono   i   suoi   atti   di  coscienza.   I   neuroni   specchio   sembrano   rivestire   un   ruolo   cruciale   solamente   in   un   passaggio  preciso  di  questo  percorso,  quello  del  cosiddetto  “Accoppiamento”  (Paaung),  ossia  il  processo  che  conduce  dall’appercezione  di  rassomiglianza  all’appresentazione  analogica.  Si  tratta  del  momento  in   cui   si   rende   possibile   vedere,   attraverso   i   gesti   e   i   movimenti   dell’altro,   l’espressione   di  contenuti   appartenenti   alla   sua   vita   di   coscienza   intenzionale;   questi   ultimi   si   manifestano   in  quanto   motivanti,   dall’interno,   i   gesti   e   i   movimenti   dell’altro,   riempiendoli   di   significato  soggettivo.   Secondo  Husserl,   come   si   è   visto,   questo  passaggio   consiste   in  un   atto  di   sintesi   che  associa   biunivocamente   –   rendendoli   virtualmente   interscambiabili   -­‐‑   le   sembianze   esteriori   del  corpo  dell’altro  con  i  vissuti  corrispondenti  del  mio  corpo  vivo  fenomenologico;  per  la  teoria  della  Simulazione   incarnata,   questo   passaggio   si   gioca   nel   processo   che   inscrive   i   riscontri   percettivi  inerenti  le  azioni  dell’altro  nella  base  degli  schemi  motori  sottostanti  alle  mie  proprie  competenze  performative.  Questo  momento   pare   assolutamente   cruciale   per   lo   svolgimento  di   qualsiasi   atto  empatico,  ma  -­‐‑  d’altra  parte  -­‐‑  nessun  atto  empatico  sembra  potersi  ridurre  a  questo  procedimento  minimale   di   codifica   e   traduzione   dell’altro   in   me,   ovvero   del   dato   percettivo   nel   dato  performativo.  Un   atto   empatico,   per   dirsi   compiuto   o   anche   soltanto   abbozzato,   deve   includere  anche   innumerevoli   capacità   di   riconoscimento   e   di   confronto   sensoriale   più   semplici   e   passive,  nonché   una   capacità   attiva   di   variazione   immaginativa   almeno   minimale   che   possa   dirigere   e  selezionare   i   modi   dell’attivazione   del   proprio   vissuto   in   vista   della   ricostruzione   delle  motivazioni  del  vissuto  dell’altro.      

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     Per  ricostruire  le  motivazioni  dell’altro  è  necessario  poter  predire  le  sue  intenzioni,  osservando  la  direzione   finalistica   assunta   dalle   sue   azioni   durante   il   corso   del   loro   svolgimento.   Per   questo  motivo  è  stato  ipotizzato  (Fogassi  et  al.  2005)  che  l’attivazione  in  sequenza  di  circuiti  adiacenti  di  neuroni  specchio  motori  legati  a  tipologie  di  atti  diversi  possa  svolgere  una  funzione  anticipatoria,  e   pertanto   predittiva,   rispetto   alle   catene   motorie   che   strutturano   la   fenomenologia   del  comportamento  dell’altro;   in  altre  parole,  se  questa   ipotesi   fosse  corretta,  seguendo   le  attivazioni  dei   circuiti   di   neuroni   specchio   in   successione   sarebbe   riscontrabile   il   percorso   seguito   dall’atto  protentivo   con   il   quale   la   mia   coscienza   anticipa   l’azione   dell’altro;   sarebbe   quindi   possibile  prevedere  gli  esiti  e  gli  scopi  delle  azioni  complesse  dell’altro,  comprendendone  l’articolazione  di  

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senso  possibile  sulla  base  della  concatenazione  dei  programmi  motori  semplici  che  compongono  il  movimento  corporeo.  In  questi  programmi  si  potrebbe  leggere  l’aspettativa  di  uno  scopo  motorio  aperta  dalla  manifestazione  ancora  soltanto  parziale  dell’azione  in  fieri.  L’ipotesi  secondo  la  quale  i  circuiti  dei  neuroni  specchio  costituirebbero  dei  forward  models  sembrerebbe  già  confermata  dagli  esperimenti  che  mostrano  i  deficit  dei  soggetti  autistici  nell’anticipazione  dei  movimenti  finalizzati  attraverso   i   quali   si   articolano   le   catene  motorie8,  ma   tale   ipotesi   attende   comunque  un  modello  computazionale   che   renda   intelligibile   il   funzionamento   di   questo   dispositivo.   Siccome,   per   il  momento,   i   neuroni   specchio   sembrano   essere   coinvolti   solo   tangenzialmente   nei   procedimenti  immaginativi   legati   alla   comprensione   profonda   delle   motivazioni   dell’altro   (corrispondenti   al  terzo   momento   del   circuito   empatico   precedentemente   delineato),   e   siccome   sussistono   altri  processi   cognitivi9   che   sembrano   svolgere   queste   funzioni   in   maniera   più   chiara   ed   esplicita  rispetto   a   quanto   non   potrebbe   essere   fatto   dai   neuroni   specchio,   diventa   troppo   impegnativo  affermare  che  l’atto  empatico  sia  riducibile  tout  court  –  nella  sua  complessità  -­‐‑  alla  funzione  svolta  dai  sistemi  specchio.  Detto  questo,  resta  ancora  valida  e  perfettamente  plausibile  la  tesi  che  afferma  che  il  momento  cruciale  dell’empatia  (il  secondo  momento,  quello  dell’appresentazione  analogica),  considerato   come   atto   di   cognizione   incarnata,   accade   in   maniera   strettamente   concomitante  all’attivazione  dei  sistemi  specchio.  Se  anche  l’ipotesi  sulle  capacità  anticipatorie  e  predittive  dei  sistemi  specchio  venisse  confermata,  però,   sarebbe  necessario  riscontrare  una  ulteriore  differenza   tra   l’atto  empatico,  per  come  esso  si  articola  nel  vissuto  di  coscienza,  e   i  processi  di  risonanza   intersoggettiva,  per  come  essi  vengono  espressi  nei  sistemi  specchio.  Questa  differenza  riguarda  la  struttura  temporale  dell’atto  empatico:  nel  modello  descrittivo  husserliano,  il  processo  empatico,  per  la  sua  articolazione  essenziale,  non  è  caratterizzabile   come   sommatoria  di  momenti  o   istanti   semplicemente  presenti,   e  non  è  neanche  una   successione   di   immagini   dell’altro   e   dei   suoi   movimenti   corporei,   ma   deve   includere   una  struttura   continua   di   ritenzione/protensione   nella   quale   si   costituisca   come   orizzonte   virtuale   e  potenziale  il  senso  di  compresentazione  dei  profili  del  comportamento  dell’altro  non  attualmente  presenti;  grazie  a  questa  dinamica,  durante  ogni  istante  del  gesto  che  io  vedo  eseguire  dall’altro,  si  manifesta   -­‐‑   almeno   in   qualche   misura   -­‐‑   l’aspettativa   di   un   riempimento   possibile   inerente   le  componenti   ancora   adombrate   del   gesto   in   questione.   Ogni   momento   o   parte   del   movimento  contiene   già   in   sé   il   senso   di   tutta   l’azione,   come   virtualità   o   come   senso   di   una   variazione  possibile.   Gli   esperimenti   di   Umiltà   et   al.   (2001)   sembrano   suggerire   proprio   questo   concetto,  avendo  mostrato   che   un   atto   di   prensione,   sebbene   parzialmente   coperto   durante   le   fasi   iniziali  della  sua  traiettoria,  attiva  comunque  i  neuroni  specchio  corrispondenti  per  quel  tipo  di  prensione  nell’osservatore,  perché  rimanda  al  significato  intenzionale  dell’azione  intuita  come  organica  unità  di  senso  rivolta  verso  uno  scopo  pratico.    Ora,   i  profili  non  attualmente  offerentisi  all’esperienza   intuitiva,   in  quanto  unicamente  anticipati  nella   protensione,   non   sono   meramente   presenti,   ma   non   sono   nemmeno   rappresentati   nella  coscienza,   cioè   –   per   le   loro   caratteristiche   essenziali   -­‐‑   non   è   possibile   affermare   che   essi   siano  riprodotti  in  forma  di  immagine,  come  se  si  trattasse  di  semplici  “copie  mentali”  di  un  evento  non  attualmente   percepibile;   essi,   piuttosto,   sono   sempre   com-­‐‑presenti   alla   coscienza,   pur   nel   loro  adombramento  costitutivo,  come  possibilità  di  variazione  e  come  regola  di  produzione  virtuale  del  non   ancora   visibile   che   è   già   operante   nel   visibile,   sebbene   si   tratti   di   una   regola   che   non   è  mai  esplicitamente   manifesta   nella   sua   complessità   multi-­‐‑prospettica.   La   fenomenologia   dell’atto  empatico,  pertanto,   include  un  alone   irreale  di  ritenzione  e  protensione  del  senso  dell’esperienza                                                                                                                            8  Cattaneo  et  al.  (2007).  9   Si   considerino   ad   esempio   gli   studi   di   Berthoz   (1997)   sul   sistema   vestibolare   e   sulle   sue   funzioni   di  “emulazione”  del  punto  di  vista  dell’altro  nei  processi  di  orientamento  allocentrato.  

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empatizzata   che   non   è   riducibile   ad   alcuna   ipotetica   semantica   delle   tracce   neuronali,   visto   che  queste  ultime  si  concretizzerebbero  sempre,  in  ultima  analisi,   in  una  successione  di  immagini  dei  contenuti  di  esperienza,  immagini  che  sarebbero  effettivamente  presenti  alla  coscienza,  oppure  che  resterebbero   immagazzinate  nella  memoria   come  rappresentazioni   in  attesa  di   essere   riattivate10.  L’atto   empatico   non   si   svolge   né   attraverso   presentazione   del   vissuto   dell’altro   (ipotesi   che  condurrebbe   un’indistinzione   fusionale   tra   la   mia   coscienza   empatica   e   la   coscienza   percettiva  dell’altro),  né  attraverso  rappresentazione  dell’interiorità  dell’altro  (ipotesi  che,  di  fatto,  renderebbe  inaccessibile   il   vissuto   dell’altro   in   carne   ed   ossa,   relegando   ogni   soggetto   nell’isolamento  solipsistico   delle   proprie   raffigurazioni  mentali);   l’atto   empatico,   nei   termini   husserliani,   si   basa  piuttosto   su   di   una   appresentazione   dei   comportamenti   possibili   dell’altro,   ovvero   nella  condivisione   corporea,   incarnata,   della   “regola   psichica”   che   definisce   le   sue   invarianze    motivazionali  e  quindi  le  sue  modificazioni  possibili.  L’atto  empatico,  in  quanto  strutturato  su  basi  appresentazionali,   e   non   rappresentazionali   o   presentazionali,   richiede   un’associazione  inesauribile  e  continua  tra  le  parti  che  lo  compongono,  una  configurazione  organica  di  senso  che  risulta  assai  difficile  (e  forse  impossibile)  da  descrivere  nei  termini  dell’attivazione  puntualmente  consequenziale   e   meramente   positiva   dei   sistemi   specchio11.   La   teoria   dei   correlati   neuronali  sembra   presupporre   sempre   che   una   rappresentazione   semantica   o   è   presente   alla   coscienza  (quando   i   correlati   neuronali   sono   attivi),   oppure   non   lo   è   (quando   i   correlati   neuronali   sono  inattivi),   giacché   l’attività   neuronale   rappresenterebbe   appunto   il   discrimine   tra   un   accesso   al  contenuto   del   vissuto   di   coscienza   e   una   semplice   latenza   di   questo   contenuto   nel   medium  neuronale;   come   rendere   conto,   allora,   della   nozione   di   appresentazione   (tematizzata   da  Husserl)  che  è  irrinunciabile  per  la  fenomenologia  ritentiva/protentiva  dell’atto  empatico,  e  che  tuttavia  non  è  mai  riducibile  a  una  situazione  di  semplice  presenza  o  di  assenza?  Evidentemente,  una  corretta  interpretazione   della   nozione   di   “correlazione   neuronale”   deve   tener   conto   della   dinamica  fenomenologica  dell’appresentazione  e  della  struttura   temporale  degli  atti  di  coscienza  che  su  di  essa   si   fondano;   i   fraintendimenti   riduzionici   e   rappresentazionalistici   della   nozione   di  correlazione  neuronale  derivano   linearmente  dal   rifiuto  positivistico  di   tematizzare  un  momento  di   virtualità   “irreale”   (ma,   potremmo   meglio   dire   “appresentazionale”)   nella   compagine   dei  processi  neurocognitivi12.  

                                                                                                                         10   Lohmar   (2005,   2006)   ha   sottolineato   l’aspetto   “fantasmatico”   delle   funzioni   empatiche   in   relazione   al  comportamento   dei   neuroni   specchio,   fornendo   alcuni   elementi   importanti   per   pensare   il   ruolo   della  struttura  irreale  di  tipo  ritentivo/protentivo  nella  produzione  dell’atto  empatico.      11   Francisco  Varela,   con   il   suo   celebre   studio   sulle   resonant   cell   assemblies   (1995)   e   in   seguito   con   la   sua  riflessione   fenomenologica   sul   ruolo   del   “presente   specioso”   (1996),   aveva   osservato   che   la   struttura  temporale   allargata   del   vissuto   di   coscienza   può   trovare   un   riscontro   nelle   funzioni   cerebrali   soltanto   se  queste  ultime  vengono  osservate  olisticamente,    puntando  l’attenzione  sui  ritmi  di  risonanza  che  sembrano  scandire   l’attività   complessiva   delle   attivazioni   neuronali   in   generale,   e   che   guidano   la   produzione   dei  singoli  processi  locali  grazie  ad  un  fenomeno  di  autorganizzazione  sistemica  emergente.  Significativamente,  nell’ipotesi  di  Varela,   la  struttura  temporale  del  vissuto  di  coscienza  dipende  da  un  fenomeno  sistemico  di  natura   armonica,   e   non   dal   grado   quantitativo   di   un’attivazione   localizzata,   come   nel   caso   dei   neuroni  specchio.    12   La   struttura   temporale   del   vissuto   di   coscienza   risulta   difficilmente   commensurabile   al   suo   resoconto  neuronale   anche   per   quanto   riguarda   il   problema   dell’identità   nella   reiterazione.   Bracco   (2007)   ha   svolto  delle  considerazioni  molto  lucide  sul  problema  della  reiterabilità  dell’azione  alla  luce  della  sua  espressione  meramente   positiva   nei   neuroni   specchio,   esibendo   come   l’invarianza   del   medesimo   gesto   risulterebbe  inficiata   proprio   dalla   presenza   di   una   traccia   neuronale   che   ne   testimonierebbe   ogni   volta   l’evento,  catturandolo   in   una   rappresentazione   prefissata   e   quindi   rendendolo   irriproducibile   in   quanto   non-­‐‑invariante.  Anche  in  questo  caso  si  tratta  della  difficoltà  tipica  dei  resoconti  naturalistici  di  rendere  conto  dei  

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Vi   è   almeno   un   altro   aspetto   della   fenomenologia   del   processo   empatico   che   non   sembra  compatibile   con   un   resoconto   riduzionistico   o   rappresentazionalistico   delle   funzioni   dei   sistemi  specchio.   Questo   aspetto   deriva   dal   fatto   che   un   resoconto   di   questo   tipo   è   sempre   anche  solipsistico,   perché   assume   che   i   contenuti   delle   rappresentazioni   mentali   abbiano   valore   e   si  producano  unicamente  nello  spazio  isolato  e  indipendente  dei  processi  psichici  interiori.  In  realtà,  come   le   analisi   di   Husserl   hanno   abbondantemente   chiarito,   perfino   il   controllo   delle   capacità  empatiche  più  semplici  richiede  la  preventiva  partecipazione  alle  operazioni  dell’intersoggettività  costituente,   mentre   la   costruzione   delle   abilità   empatiche   più   complesse   richiede   una  frequentazione   del   mondo-­‐‑della-­‐‑vita   che   sia   profondamente   comune   a   più   soggetti;   da   questo  punto  di  vista,  i  neuroni  specchio  non  possono  costituire  le  basi  biologiche  (in  senso  riduzionistico)  della  cognizione  sociale,  poiché  essi   stessi  –  nella   loro  conformazione  morfologica  e   funzionale  –  risultano   essere   il   prodotto   storico   della   vita   sociale   e   del   coinvolgimento   nelle   pratiche   di  conversazione  gestuale:  la  genesi  della  loro  attività  deriva  da  meccanismi  di  progressiva  selezione  e  di   rinforzo  che  –  grazie  alla  continua   interrelazione  che  si   consolida  e  che  si   regolarizza   tra  gli  individui  sul  piano  personale  -­‐‑  stabiliscono  la  loro  propria  validità  in  ragione  delle  risposte  offerte  dalla  concreta  esperienza  condivisa,  dalle  pratiche  di  vita  maturate  nel  contesto  culturale,  e  non  da  qualche  astratto  territorio  delle  funzioni  logico-­‐‑simboliche  sub-­‐‑personali,  con  la  loro  sintassi  vuota  e  formale13.  La  funzione  dei  circuiti  dei  neuroni  specchio,  quindi,  deriva  dal  senso  degli  atti  motori  sedimentato  nell’esposizione  ai  vari  contesti  di  senso  della  vita  sociale;  ma  il  senso  delle  operazioni  sociali,   così   come   la   loro   validità   intersoggettiva,   non   è   mai   qualcosa   di   rinchiudibile,   o   di  esauribile,  nelle  circonvoluzioni  della  corteccia  premotoria,  e  piuttosto  si  può  dire  che  esso  abita  il  mondo   delle   operazioni   coscienti   intercorporee,   che   si   svolgono   al   livello   della   vita   personale   e  condivisa  a  livello  interpersonale.    E’  anche  per  questo  che,  come  alcuni  neuroscienziati  hanno  ammesso  recentemente  (Cfr.  Iacoboni  2008),   i   neuroni   specchio   vanno   considerati   come   il   prodotto,   e   non   come   l’origine,   della   vita  intersoggettiva   dell’uomo;   essi   costituiscono   il   sedimento   -­‐‑   o   il   riflesso   –   dell’esperienza   di  condivisione   del   senso,   e   manifestano   per   questo   il   valore   di   testimonianze   di   una   consolidata  partecipazione   intercorporea   alle   esperienze   fondamentali   della   socialità   e   della   vita  intersoggettiva,   esperienze   nelle   quali   tutte   le   specie   animali   superiori   sono   già   da   sempre  immerse.  Anche   da   questo   punto   di   vista,   la   teoria   dei   neuroni   specchio   può   essere   apprezzata  meglio   solo   se   valutata   nel   contesto   teorico   della  Extended  mind,   cioè   all’interno   di   una   filosofia  della   mente   di   taglio   fenomenologico   che   sia   capace   di   includere   il   mondo   delle   operazioni  concrete   e   soggettive   nell’esperienza,   degli   atti   condivisi,   delle   pratiche   sociali   e   del   loro  significato,   con   la   convinzione   che   è   proprio   la   coscienza   sociale   a   dotare   di   un   senso   e   di   una  funzione   le   operazioni   cognitive   individuali;   in   accordo   con   la   dottrina   husserliana  dell’intermonadicità,   la   coscienza   è   un   campo   di   fenomeni   strettamente   vincolato   alla  partecipazione   intersoggettiva   in   un   universo   di   senso   poliprospettico   e   aperto;   e   il   mondo  esperienziale   di   un   singolo   uomo   è   sempre   anche   una   prospettiva   molteplice   attraverso   cui   si  donano  in  appresentazione  –  potenzialmente,  e  secondo  modalità  prospetticamente  adombrate  –  i  mondi  di  senso  abitati  o  abitabili  da  tutti  i  suoi  consimili.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            fenomeni  di  ritenzione  e  protensione,   in  assenza  dei  quali   le  nozioni  di  identico  e  diverso  rimangono  delle  incognite  formali  e  vuote.  13   Si   vedano   ad   esempio   gli   studi   di   Calvo-­‐‑Merino   et   al.   (2005)   sul   ruolo   delle   aree   motoree  nell’apprendimento  e  nell’imitazione  della  danza.  

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I  neuroni  specchio  non  bastano  (ma  non  possiamo  farne  a  meno)    Esistono  poi  alcuni  motivi  empirici  che  rendono  problematica  l’asserzione  riduzionistica  secondo  la  quale  i  sistemi  specchio  sarebbero  le  basi  biologiche  dell’empatia.  Non  solo  sappiamo  che  l’atto  empatico  non   si   esaurisce  nella   funzione  dei  neuroni   specchio;   sappiamo  anche   che  non   tutta   la  gamma  dei  fenomeni  empatici  normalmente  riconosciuti  avviene  in  concomitanza  dell’attivazione  dei   neuroni   specchio   (motori)   o   delle   funzioni   specchio   (somatosensoriali,   emotive,   ecc.).  Sappiamo,   ad   esempio,   che   i   neuroni   specchio   motori   si   attivano   solo   per   azioni   finalizzate   e  transitive   (spostare,   lacerare,   spingere   un   oggetto),   mentre   sappiamo   che   le   nostre   capacità  empatiche  devono  concentrarsi  continuamente  anche  su  azioni  non  transitive.  Per  quanto  riguarda  i  sistemi  specchio  di  tipo  affettivo/emotivo,  invece,  è  stato  possibile  ottenere  fino  ad  ora  solamente  riscontri  sperimentali  per  alcune  emozioni  di  base  negative  (dolore,  disgusto,  rabbia,  ecc.)  mentre  non   esistono   dati   lampanti   circa   l’esistenza   di   sistemi   specchio   legati,   ad   esempio,   alla   gioia,   al  piacere,  o  alla  fame.  Anche  da  questo  punto  di  vista,  la  casistica  per  i  quali  gli  esperimenti  hanno  ottenuto   riscontri   positivi   è   notevolmente   ridotta   rispetto   alla   gamma   dei   fenomeni   che  normalmente  ricadono  sotto  la  definizione  di  empatia.  Un  ulteriore  aspetto  empirico,  che  risulta  problematico  –  in  questo  caso  -­‐‑  dal  punto  di  vista  della  metodologia  neuroscientifica,  ci  suggerirebbe  di  procrastinare  il  nostro  giudizio  circa  la  riducibilità  dei   processi   empatici   alle   funzioni   specchio:   questo   aspetto   riguarda   l’impossibilità,   fino   ad   ora  riscontrata,  di  utilizzare  sui  neuroni  specchio  la  metodologia  della  doppia  dissociazione  funzionale  –   normalmente   adoperata   nel   contesto   della   neuropsicologia   clinica.   Questo   impedisce   di  confermare  definitivamente  il  ruolo  causale  esclusivo  svolto  dai  sistemi  specchio  (almeno  di  quelli  motori)  nei  processi  di  comprensione  e  interpretazione  delle  azioni  intenzionali  degli  altri.  E’  vero  che   alcuni   esperimenti   di   inibizione   elettromagnetica   dell’area   premotoria   (con   rTMS)   hanno  palesato  un  deficit   temporaneo  delle  capacità  di   riconoscimento  dell’azione  da  parte  dei   soggetti  interessati14;   inoltre   alcuni   riscontri   clinici   sembrerebbero   congruenti   con   l’idea   che   il   livello   di  funzionamento   dei   sistemi   specchio   sia   commisurato   con   il   grado   di   predisposizione   soggettiva  agli   atteggiamenti   empatici   (Singer   et   al.   2004);   queste   prove,   tuttavia,   non   sono   abbastanza  definite  dal  punto  di  vista   spaziale,   temporale  e   causale  per  operare   la  doppia  dissociazione.  Va  peraltro  aggiunto  che,  dal  punto  vista  clinico,  per  via  della   loro   localizzazione  anatomica,   risulta  particolarmente  problematico  riscontrare  lesioni  isolate  riguardanti  unicamente  i  neuroni  specchio  delle  aree  premotorie,  visto  che  questi  ultimi  si  trovano  in  una  posizione  di  strettissima  prossimità  con   innumerevoli   altri   dispositivi   neuronali   che   risultano   cruciali   per   la   modulazione   delle  capacità  cognitive  e  motorie  più  disparate.  E’  quasi  impossibile  che  si  riesca  a  trovare  un  paziente  con  lesioni  specifiche  per  le  famiglie  dei  neuroni  specchio;  inoltre,  un  paziente  con  lesioni  alle  aree  che  interessano  le  funzioni  specchio  in  linea  di  massima  presenterebbe  un  quadro  sintomatico  così  ampio   e   confuso  da   impedire   ogni   procedimento  di   analisi   differenziale   rivolto   all’enucleazione  dei  deficit  specifici  dei  sistemi  specchio.  E’  vero  tuttavia  che,  dal  punto  di  vista  naturalistico,  cioè  nel  contesto  delle  asserzioni  della  ricerca  neuroscientifica,  è  ancora  legittima  l’asserzione  secondo  la  quale  i  neuroni  specchio  rivestirebbero  un  ruolo  causale  in  alcune  classi  di  processi  empatici  (ben  più  impegnativo  è  dire,  invece,  che  essi  costituiscono  la  base  causale  di  tutti  i  fenomeni  empatici).  Questo  è  vero  proprio  perché  l’empatia  

                                                                                                                         14  Heiser  et  al.  (2003)  hanno  dimostrato  un  deficit  nelle  capacità  imitative  in  concomitanza  della  temporanea  inibizione  dell’area  di  Broca  indotta  attraverso  stimolazione  magnetica  transcranica  ripetuta.  L’area  di  Broca  è   notoriamente   omologa   all’area   F5   nel  macaco,   all’interno  della   quale   è   stata   registrata   la   presenza  della  maggior  parte  dei  neuroni  specchio  motori.  Lucina  et  al.  (2006)  hanno  utilizzato  una  metodologia  simile  per  verificare  il  ruolo  funzionale  delle  aree  motorie  nel  riconoscimento  dei  volti.  

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non   è   integralmente   riconducibile   al   funzionamento   dei   neuroni   specchio,   ma   risulta  necessariamente   modulata   dalla   loro   attivazione   nei   momenti   cruciali   di   molte   e   fondamentali  casistiche;   le   funzioni   specchio   restano   capaci   di   testimoniare   la   presenza   di   alcuni   processi   che  richiedono   sempre   a   qualche   titolo   una   mediazione   di   tipo   empatico,   visto   che   essi   segnalano  specificamente  l’avvenuta  comprensione  del  senso  delle  azioni  di  un  altro  agente  intenzionale.  Le  attivazioni  dei  neuroni  specchio  (ma  questo  potrebbe  essere  affermato  per  tutti  gli  eventi  neuronali  interessanti  dal  punto  di  vista  dei  processi  coscienziali)  non  possono  fornire  un  concreto  insight  sui  precisi   contenuti   di   quelle   esperienze   vissute   che   accadono   in   maniera   concomitante   alla   loro  attivazione.   I   neuroni   specchio   non   ci   consentiranno   di   comprendere   cosa   vive   e   cosa   pensa   il  soggetto   empatico,   ma   è   pur   tuttavia   vero   che   essi   danno   testimonianza   –   con   un   grado   non  trascurabile   di   precisione   e   di   predittività   -­‐‑   di   quando   si   manifestano   alcuni   tipi   di   processi  empatici.  La  determinazione  temporale  dell’atto  empatico  (inizio  –  fine,  e  variazione  del  grado  di   intensità  entro  un  certo  lasso  di  tempo)  non  è  però  l’unica  informazione  che  i  sistemi  specchio  forniscono  al  neuroscienziato  circa  la  struttura  della  manifestazione  empirica  dell’atto  empatico.  Oltre  a  questo,  infatti,  i  sistemi  specchio  confermano  che,  quando  un  soggetto  empatizza  con  un  altro  soggetto,  il  primo  comprende  il  secondo  modulando  la  propria  esperienza  sulla  base  delle  proprie  esperienze  coscienti  pregresse.  Pertanto,  anche  se  non  tutti   i   fenomeni  empatici  sono  riconducibili  ai  sistemi  specchio,  è  anche  vero  che  ogni  volta  che  assistiamo  all’attivazione  di  un  sistema  specchio  per  un  compito   cognitivo   legato   alla   comprensione   dell’altro   possiamo   a   buon   diritto   ritenere   che  l’esperienza  attuale  del  soggetto  empatizzante  venga  opportunamente  modulata,  nella  grana  fine  del   suo   contenuto  qualitativo,   in  un  modo   che   è   congruente   con   l’attivazione   stessa  dei  neuroni  specchio  e  che  è  conforme  al  senso  delle  precedenti  esperienze  personali  del  soggetto.  Le  funzioni  specchio   non   esauriscono   sempre   il   processo   empatico,   ma   modificano   comunque   l’esperienza  soggettiva  in  un  modo  che  non  si  sarebbe  offerto  se  esse  non  fossero  intervenute.  Che   tipo   di   modulazioni   qualitative   nella   struttura   qualitativa   dell’esperienza   ci   viene   fornito  dall’attivazione   dei   sistemi   specchio?  Ad   esempio,   per   la   loro   connotazione  motoria   –   i   neuroni  specchio   testimoniano   che   l’empatia   concomitante   alla   loro   attivazione   è   un   processo   non  inferenziale,   radicato   nella   condivisione   del   senso   dell’esperienza   corporea   dell’altro.   Le   azioni  compiute   dal   corpo   oggetto   dell’altro   sono  dotate   di   senso   perché   strettamente   equiparabili   alle  azioni   che   sono   a   disposizione   del   mio   corpo   vivo;   prendendo   la   libertà   di   mutuare  impropriamente   un   termine   in   uso   nelle   scienze   cognitive,   si   potrebbe   dire   che   l’esperienza   del  Koerper   dell’altro   viene   “mappata”   nella   memoria   dei   vissuti   inerenti   il   mio   Leib   (con   più  appropriata  terminologia  fenomenologica  dovremmo  forse  dire  che,  mentre  empatizzo  con  l’altro,  nel   campo   della   coscienza   trascendentale   si   susseguono   rappresentazioni   vuote   della   sua  esperienza,   le  quali   sono  pronte   a   riempirsi   attraverso   il  portato  materiale  dei  miei   atti   intuitivi,  come   ad   esempio   quelli   di   immaginazione15).   Cerchiamo   di   definire   meglio   la   caratteristica  “embodied”  dell’empatia,  per  come  essa  ci  viene  suggerita  dai   riscontri   sperimentali   sui  neuroni  specchio.   In   conclusione,   infatti,   i   risultati   di   questa   ricerca   tra   neuroscienze   e   fenomenologia  conducono  a  pensare  l’empatia  concomitante  all’attivazione  dei  sistemi  specchio  come  dotata  delle  seguenti  caratteristiche:  

 1. È  un  atto  dotato  principalmente  di  una  valenza  conoscitiva  o  cognitiva.  È  un  atto  diverso  

da  quelli  di  natura  pulsionale,  energetica,  viscerale,  meramente  reattiva,  come  ad  esempio  sono   quelli   imparentati   con   il   contagio   emotivo   o   con   la   fusiona   unipatica   (Scheler);  

                                                                                                                         15  Stein  (2002),  nella  sua  dissertazione  sull’empatia,  svolge  un’analisi  che  chiarisce   lucidamente  il  ruolo  del  riempimento  intenzionale  nei  procedimenti  empatici.    

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piuttosto,   l’atto   empatico   attiene   una   assai   peculiare   forma  di   consapevolezza,   di   sapere,  che  si  istanzia  come  conoscenza  operativa  del  senso  dell’azione  o  dell’affezione  dell’altro;  si  tratta   però   di   una   cognizione   incarnata   –   embodied   –   perché   non   è   un   atto   di   conoscenza  intellettuale,   concettuale,   basato   su   inferenze;   non   interviene   con   degli   atteggiamenti  giudicativi,  ma  pratico–valutativi,  inerenti  il  saper  fare  del  mio  corpo,  il  suo  esser  pronto  a  rispondere  alle  medesime  sollecitazioni  che  riguardano  attualmente  il  corpo  dell’altro.  Con  quest’atto,   dunque,   non   conosco   un   che   cosa,  ma   un   come   fare;   dispongo   di   una   forma  di  prontezza  a   intervenire  nel  mondo  secondo  modalità  analoghe  a  quelle  del  mio  alter-­‐‑ego;  sono  pronto  ad  agire  o  a  patire  come  se  io  fossi  l’altro.  In  questa  prontezza  e  in  questo  come  se  consiste  la  natura  conoscitiva  dell’atto  empatico,  il  mio  sapermi  porre  presso  l’altro.  

 2. La  conoscenza  incarnata  inerente  le  possibilità  del  corpo  altrui  non  consiste  in  una  forma  di  

accesso  diretto  all’esperienza  dell’altro.  Questo   impedisce   la  confusione  tra   il  mio  vissuto  e  quello  dell’altro,  visto  che  essi  rimangono  sempre  discernibili  e  saldamente  riferiti  ai  nostri  rispettivi  orientamenti  situati  nello  spazio  corporeo;  il  vissuto  dell’altro,  pertanto,  rimane  in  ogni   istante   perfettamente   caratterizzato   (nella   sua   differente   struttura   qualitativa,   e   non  soltanto  nella  forza  della  sua  intensità)  rispetto  al  mio,  sebbene  strutturalmente  congruente  con   esso   (per   via   dello   schema   vuoto   delle   risposte   corporee   potenziali   che   entrambi  evocano).   Al   tempo   stesso,   è   vero   che   l’atto   empatico   non   consiste   in   una   forma   di  rappresentazione  del  vissuto  dell’altro,  perché  questo  implicherebbe  che  l’altro  in  carne  ed  ossa  mi  è  sempre  nascosto  da  quell’informazione  che  egli  stesso  (l’altro)  mi  fornisce.  Non  avrei   mai   accesso   all’altro   e,   isolato   in   un   mondo   solipsistico,   potrei   aspirare   soltanto   a  immagini  fittizie  di  ciò  che  l’altro  è  o  potrebbe  essere.    

3. E’  un  atto  che  interessa  la  sfera  del  vissuto  cosciente  del  soggetto  empatico,  modificando  il  suo   campo   fenomenico   secondo   una   configurazione   che   è   congruente   con   gli   atti  intenzionali   dell’altro   soggetto;   dal   punto   di   vista   dell’emergentismo   top-­‐‑down,   l’atto  empatico  -­‐‑  modificando  la  sfera  del  vissuto  di  coscienza  personale  -­‐‑  illumina  e  guida  con  il  suo   senso   intenzionale   le   modificazioni   occorrenti   nelle   strutture   cognitive   e   neuronali  sottostanti.   Sebbene   inerisca   la   sfera   della   vita   cosciente,   non   è   un   atto   necessariamente  consapevole  o  esplicito.      

4. Le   attivazioni   dei   neuroni   specchio   testimoniano   che   l’accoppiamento   (Paarung)   avviene  attraverso  una  peculiare  qualità  degli  atti  percettivi   rivolti  al   corpo  dell’altro,  una  qualità  che   li   caratterizza   come   già   contenenti   un   valore   esecutivo   potenziale,   motorio,  trasformativo  (ossia  atti  percettivi  anticipano  atti  motori  potenziali);  la  competenza  motoria  performativa   (del   mio   corpo   vivo)   “mappa”   in   maniera   semplice   e   diretta   competenze  percettive   inerenti   il   corpo   oggetto   dell’altro;   il   senso   della   peculiare   “sintesi   passiva   di  associazione”   che   per   Husserl   costituisce   il   cuore   della   Paarung,   si   gioca   esattamente   in  questo   procedimento   di   corrispondenza   semplice   ed   economica,   ovvero   di   reversibilità  lineare,   tra   Leib-­‐‑agito/Koerper-­‐‑percepito.   L’osservazione   di   schemi   di   azione/espressione  del  Koerper  dell’altro  accadde  spontaneamente  in  me  come  accesso  semplice  ed  economico  a  rappresentazioni  vuote  delle  azioni  o  delle  espressioni  eseguibili  dal  mio  Leib.      

5. Lo  studio  dei  neuroni  specchio  illustra  una  particolare  forma  di  reversibilità  tra  il  mio  Leib  e  il  Koerper  altrui  che  dispone  entrambi  noi  in  un  rapporto  di  analogia  reciproca,  sebbene  mai   in  una  situazione  di  confusione  o  di   indistinzione.  Sebbene  sia   fenomenologicamente  

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semplice,  dal  punto  di  vista  dell’esperienza  vissuta,  l’empatia  è  un  atto  inequivocabilmente  mediato,   che  nel   suo  momento   fondamentale  –   come  si   è  appena  suggerito   -­‐‑   è  passivo,  ma  che   può   svilupparsi   anche   grazie   all’intervento   attivo   della   coscienza,   ovvero   al   libero  direzionamento  delle  capacità  attenzionali,  immaginative  e  inferenziali.    

6. È  un  atto  mediato,  ma  comunque  semplice  –  come  si  è  detto  -­‐‑  perché  non  richiede  routine  gerarchizzate  di  decision  making  e  non  impegna  grandi  risorse  cognitive  (memoria,  concetto,  calcolo  etc.);  ma  al  tempo  stesso  –  come  si  è  visto  –  è  un  atto  articolato  in  momenti,  o  fasi,  che  tra  di  loro  si  tengono  insieme  in  maniera  organica  e  concreta,  pur  coinvolgendo  facoltà  diverse.  L’analogia  vissuta,  e  non  inferita,  è  la  forma  semplice  e  continua  assunta  dall’atto  empatico;   la   sua   semplicità   deriva   specificamente   dal   fatto   che   è   grazie   a   un   circoscritto  fenomeno   di   risonanza,   di   trascrizione   e   di   completamento   passivo   che   il   procedimento  analogico   compie   il   suo   corso   conducendo   alla   costituzione  dell’altro   in   quanto   alter-­‐‑ego  fenomenologico.    

 Una  scala  verso  il  piano  fenomenologico  dell’esperienza  empatica    Da  ultimo,  finalmente,  chiediamoci:  che  senso  ha  ricorrere  alle  analisi  fenomenologiche  per  tentare  di   chiarire   i   problemi   concettuali   sottostanti   alla   prassi   neuroscientifica?   Fenomenologia   e  neuroscienza   non   dovrebbero   essere   pensati   come  due   componenti   perfettamente   combacianti   e  reciprocamente  corrispondentisi.  Ecco  perché   lo  scopo  di  questa  ricerca  non  può  essere  quello  di  documentare  una  relazione  di   simmetria  puntuale   tra  eventi  mentali  ed  eventi   fisici;   essa  quindi  non   si   inscrive  nel   quadro   teorico  del  parallelismo  psicofisico,  del   riduzionismo  o  del  dualismo;  non   ha   lo   scopo   di   fornire   una   giustificazione   naturalistica   e   biologica   della   fenomenologia  dell’intersoggettività   e   dell’empatia   (ciò   sarebbe   assurdo   perché   –   come   Husserl   ha  opportunamente   chiarito   -­‐‑   l’ordine  dei   fenomeni  di   coscienza   segue   come   legge   fondamentale   il  principio   della   motivazione,   e   non   la   causalità   empirico-­‐‑naturalistica,   svincolandosi   pertanto   a  priori   da   ogni   tentativo   di   fondazione   biologica);   essa   non   ha   neanche   lo   scopo   di   fornire   un  arricchimento  introspezionistico  o  una  giustificazione  fenomenologica  degli  eventi  neurocognitivi,  visto   che   il   setting   sperimentale   sembra  già   sufficientemente  dettagliato  per   inferire   il   contenuto  psicologico  delle  esperienze  vissute  dai  soggetti  coinvolti  nell’esperimento.    Piuttosto   che   una   riducibilità   di   un   piano   all’altro,   o   una   giustificazione   dell’uno   nell’altro,   una  ricerca   posta   a   cavallo   tra   neuroscienze   e   fenomenologia   dovrebbe   mirare   a   constatare  un’equivalenza   sul   piano   degli   effetti   pratici   prodotti   da   questi   due   tipi   di   conoscenza.  L’equivalenza   si   rende   manifesta   nella   costituzione   di   un   certo   tipo   di   senso   condiviso  nell’esperienza   di   chi   studia   la   coscienza,   verso   la   progressiva   scoperta   di   una   consonanza   di  intenti   tra   i   relativi   percorsi   esplorativi   –   qualora,   beninteso,   questa   consonanza   si   dia  effettivamente   e   sia   possibile   (e   non   è   detto   che   lo   sia   sempre);   il   percorso   interdisciplinare   si  prefigge   quindi,   entro   certi   termini,   di   perseguire   un   cammino   di   modificazione   e   di  contaminazione   reciproca   dei   saperi   alla   ricerca   delle   condizioni   di   compatibilità,   attuando   una  congruenza   tra   un   certo   modello   esplicativo   utilizzato   nel   contesto   delle   scienze   cognitive   (nel  nostro  caso,  la  Simulazione  incarnata)  e  il  modello  fenomenologico  più  pertinente  (nel  nostro  caso,  quello  dell’empatia  elaborato  da  Husserl),  cercando  di  individuare  tra  di  essi  quelli  che  Varela  et  al.  (1991)  hanno  chiamato  vincoli  reciproci  tra  l’empirico  e  il  trascendentale.  Con   l’espressione   “vincoli   reciproci”   si   vuole   sottolineare   che   non   si   tratta   di   produrre   una  mappatura  uno-­‐‑a-­‐‑uno  dell’empirico  nel   trascendentale,   o  viceversa;   non   si   tratta  di  produrre  un  

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accoppiamento   tra   l’uno   e   l’altro,   ma   si   tratta   di   constatare   degli   elementi   minimali,   ma  assolutamente  necessari,  di  convergenza  o  di  apparente   intersezione,  che  richiedono  di  porre  dei  limiti   a   ciascuno   dei   due   registri   discorsivi;   si   tratta   dunque   di   porre   “dei   paletti”   concettuali   -­‐‑  come  a  volte  si  suol  dire  -­‐‑  delle  interruzioni  che  svolgono  una  funzione  principalmente  negativa,  cioè   limitativa   nei   confronti   del   discorso   della   controparte   neuroscientifica   o   fenomenologica;  “paletti”   che,   di   conseguenza,   consentiranno   a   ciascuno   di   questi   due   approcci   conoscitivi   di  individuare   nuovi   territori   da   percorrere   e   da   elaborare   liberamente,   ognuno   autonomamente   e  secondo   i   propri   metodi   e   i   rispettivi   strumenti   di   indagine;   tenendo   però   come   punto   di  riferimento,  come  stimolo  per  un  possibile  arricchimento,  e  quindi  come  guida  euristica,  i  risultati  conseguiti  dall’altro  ambito  conoscitivo  e  le  suggestioni  che  liberamente  si  sono  sviluppate  al  suo  interno.  Quindi,  in  sintesi,  le  evidenze  sperimentali  inerenti  i  neuroni  specchio  possono  mantenere  la  loro  valenza  di  guida  e  di  sollecitazione  anche  sul  piano  fenomenologico,  per  avviare  un  procedimento  di   libera   variazione   immaginativa   e   di   esplorazione   del   senso   non   privo   di   ripercussioni   per   la  stessa   fenomenologia   dell’intersogettività;   queste   ripercussioni   continuerebbero   poi   a   valere  quand’anche  si  scoprisse  –  per  pura  ipotesi  –  che  in  realtà  non  esistono  neuroni  specchio.  La  teoria  della   simulazione   incarnata,   che   si   basa   sullo   studio  dei   neuroni   specchio,   infatti,   prospetta   una  struttura  minimale  dell’atto   empatico   che  può   essere   assunta  dal   punto  di   vista   filosofico   anche  prescindendo   dai   risultati   sperimentali;   le   affermazioni   prodotte   da   questa   teoria   filosofica  possono   essere   isolate   dal   contesto   naturalistico   e   trasferite   nel   contesto   di   un’indagine  fenomenologica   inerente   il   vissuto   di   coscienza   considerato   per   se.   In   questo   tipo   di   ricerca  neurofenomenologica,  per  utilizzare  una  metafora  wittgensteiniana,  gli  studi  sui  neuroni  specchio  vengono   trattati   come   una   scala   che   è   assolutamente   necessario   salire   per   tracciare   i   lineamenti  generali   di   una   descrizione   dell’esperienza   empatica;   una   scala   che,   tuttavia,   dopo   essere   stata  utilizzata   per   salire,   può   essere   gettata   via,   una   volta   che   sia   stata   acquisita   la   padronanza   del  piano  di  significato  cui  essa  conduce,  attraverso  una  serie  di  variazioni  immaginative  libere  che  ci  vengono  consentite  proprio  dalle  sollecitazioni  teoriche  stimolate  dal  dato  neuroscientifico.  D’altra  parte,   è   vero   che   il   dato   empirico   assume   il   valore   di   un   segnale   per   le   neuroscienze,   come  indicazione   di   una   direzione,   ma   ciò   è   possibile   soltanto   una   volta   che   esso   sia   stato   posto   tra  parentesi  nella  sua  valenza  meramente  positiva,   in  maniera  da  poter  essere  considerato  nella  sua  dimensione   di   pura   struttura   di   senso   che   è   valida   unicamente   nella   cornice   di   un’esperienza  corporea  e  soggettiva  (o  intersoggettiva).  La  fenomenologia,  operando  la  sospensione  della  tesi  del  mondo,  può  essere   impiegata  opportunamente  nell’ambito   sperimentale  per   suggerire  un  nuovo  significato  ai  contenuti  dell’esperienza  scientifica,   filtrandola  attraverso   la  cornice  dell’esperienza  trascendentale.   L’operazione   dell’epoché   trascendentale,   pertanto,   non   serve   qui   a   obliterare   il  significato   dell’esperienza   naturalistica;   non   nega,   ma   circoscrive   e   re-­‐‑investe   il   valore   di  quest’ultima  giudicandola  sul  piano  dell’esperienza  fenomenologica  pura.  Ecco  perché,  all’interno  del   discorso   fenomenologico   trascendentale,   possiamo   ottenere,   ad   esempio,   alcuni   risultati  notevoli  per  quanto  riguarda  le  ripercussioni  che  essi  prospettano  per  il  registro  esplicativo  delle  scienze  cognitive,  e  cioè:  

-­‐ che   l’atto   empatico   non   è   un   dispositivo   rappresentazionale   (solipsistico)   e   neanche   un  procedimento  fusionale  (vitale,  energetico,  viscerale);  

-­‐ che  l’atto  empatico,  al  suo  livello  fondamentale,  non  è  una  forma  di  inferenza,  di  giudizio,  di  decision  making,  ma  è  in  primo  luogo,  e  per  lo  più,  una  conoscenza  del  mio  corpo  vivo  (che   è   attualmente   offerentesi)   che   inerisce   il   corpo   vivo   dell’altro   (che   è   meramente  appresentato,  e  mai  interamente  offerentesi  in  forma  piena  e  intuitiva);  

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-­‐ che   l’atto   empatico   è   strutturato   secondo   uno   schema   quadripartito   innescato   da   una  dialettica  tra  Leib  e  Koerper,  seguendo  un  procedimento  analogico;  

questi  tre  risultati  funzionano  bene  in  effetti  come  guida  per  l’attuale  discorso  epistemologico  sulla  cognizione   sociale,   e   –   tradotti   nei   termini   di   una   psicologia   informata   fenomenologicamente   -­‐‑  possono   essere   integrati   efficacemente   nella   teoria   della   Simulazione   incarnata   di   Gallese.  Viceversa,   il  discorso  delle   scienze  cognitive  ci  offre  alcuni  dati   che,   sebbene  non  possano  essere  integrati   immediatamente   nella   considerazione   fenomenologica   del   vissuto   di   coscienza   (perché  non  possiamo  derivare   fenomeno   logicamente  un  vissuto  di   coscienza  da  un   evento  neuronale),  possono   tuttavia   sollecitare   nuove   indagini   di   variazione   eidetica,   portandola   a   sviluppare   la  riduzione   eidetica   nella   direzione   di   una   più   completa   considerazione   dell’esperienza   empatica,  verso  strade  mai  battute  –  o  anche  solo  intraviste  -­‐‑  in  precedenza.  Ad  esempio,  ecco  alcuni  motivi  empirici  che  possono  spingere  verso  nuove  direzioni  l’indagine  della  riduzione  eidetica:  -­‐ il   fatto  che  l’esperienza  percettiva  viene  “codificata”  da  strutture  motorie,   in  maniera  tale  che  

l’esperienza  motoria  anticipa  e   informa  di  sé   la  percezione  stessa   fino  alla  sua  sorgente.  Ecco  un   modo   inedito   ma   plausibile,   per   la   fenomenologia,   di   avvicinare   il   rapporto   con   la  corporeità  viva,  e  in  particolare  con  il  corpo  vivo  dell’alter-­‐‑ego  fenomenologico;  un  modo  che  non  riposa  sui  dispositivi   cinestetici  e  propriocettivi  della   fenomenologia,  ma  sull’efficacia  di  schemi  ideomotori16  che  sono  già  attivi,  sebbene  in  forma  meramente  virtuale,  nello  sguardo  di  chi   –   senza   apprestarsi   ad   agire   -­‐‑   osserva   il  mondo   giudicandolo   con   il  metro   delle   proprie    competenze  motorie,  riconoscendo  in  esso  il  teatro  di  possibili  atti  pratici/performativi;    

-­‐ il  fatto  che  esistono  strutture  motorie  che  codificano  il  senso  dell’azione  in  termini  intensionali,  cioè  non  in  termini  sintattici  (come  combinatoria  di  elementi  formali),  ma  pragmatici.  Questo  è  reso  possibile  dal  fatto  che  l’azione  intenzionale  è  dotata  di  una  sua  intrinseca  valenza  pratica  non  dipendente  dalla  somma  degli  spostamenti  particolari  che  compongono  il  movimento  in  sé  e   per   sé;   ecco   un   senso   per   cui   la   percezione   empatica   dell’altro   si   gioca   sul   territorio  dell’intenzionalità  motoria  e  della  capacità  del  corpo  di  agire  intelligentemente  pur  senza  farsi  rappresentazioni  compiute  dei  suoi  scopi;  

-­‐ il  fatto  che  esistono  strutture  cognitive  che  riferiscono  il  significato  dell’azione  a  un’agentività  che   non   è   semplicemente   soggettiva/individuale   (in   prima   persona),   che   non   è   neanche  neutra/obbiettiva  (in  terza  persona),  ma  che  si  caratterizza  in  maniera  intrinsecamente  plurale  -­‐‑  sebbene   ancora   situata   nel  mondo   e   orientata   (inter)soggettivamente   (per   una   riflessione   su  questo  tema  si  veda  De  Vignemont  2004).  Ecco  un  modo  nuovo  di  tematizzare  la  soggettività  intermonadica,  utilizzando  categorie  che  –  sebbene,  in  origine,  non  fenomenologiche  –  sono  pur  tuttavia  in  grado  di  evocare  una  riflessione  profonda  sull’identità  del  soggetto  fenomenologico  e  sulla  sua  centralità  nell’esperienza  concreta  del  vissuto  intercarnale.  

                                                                                                                                           16   Sulla   connotazione   ideomotoria   delle   funzioni   imitative   si   veda   Greenwald   (1970);   si   veda   soprattutto  Prinz   (2005)   per   una   ipotesi   sulla   natura   ideomotoria   dei   processi   imitativi,   compatibile   con   la   teoria   dei  neuroni  specchio.  

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