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Bibliotheca Germanica. Studi e testi Collana diretta da VITTORIA DOLCETTI CORAZZA eRENATO GENDRE 22
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“Gli incantesimi di Merseburgo tra oralità e tradizione colta”, in DOLCETTI CORAZZA, V., GENDRE, R. (a cura di): Lettura di Testi Tedeschi Medioevali, Alessandria, Edizioni dell’Orso

Jan 16, 2023

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Andrea Colli
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Bibliotheca Germanica. Studi e testiCollana diretta da

VITTORIA DOLCETTI CORAZZA e RENATO GENDRE

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Volume pubblicato con il contributodella Fondazione Cassa di Risparmio di Torino

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VIII Seminario avanzatoin Filologia Germanica

LETTURA DI TESTI TEDESCHIMEDIOEVALI

a cura diVITTORIA DOLCETTI CORAZZA e RENATO GENDRE

Edizioni dell’OrsoAlessandria

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© 2008Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l.via Rattazzi, 47 15100 AlessandriaTel. 0131.252349 Fax 0131.257567e-mail: [email protected]: //www.ediorso.it

Impaginazione a cura di Margherita I. Grasso

È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata,compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perse-guibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.1941

ISBN 978-88-6274-061-6

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Marco Battaglia

GLI INCANTESIMI DI MERSEBURGO TRA ORALITÀ ETRADIZIONE COLTA

Albula glandula,nec doleas, nec noceas,

nec paniculas facias,sed liquescas tamquam salis in aqua

(Marcelli Burdigalensis de medicam. lib., XV, 101)

In quali circostanze si recita un incantesimo e secondo qualimodalità? Chi lo può recitare? E ancora: entro quali limiti è possibilestabilire un’azione simpatetica di gesti accanto alla pronunzia dellaformula conativa centrale? Si tratta di domande alle quali antropolo-gia, psicologia e filosofia, prima di altre discipline, hanno dato rispo-ste significative da punti di vista diversi. È difficile rinvenire un’areaculturale europea che non tramandi relitti di una consuetudine tipicacome quella che cerca di fornire risposte alla fragilità dell’esistenza eai suoi più o meno incomprensibili meccanismi, dall’area mediterra-nea greco-italica fino a quella celto-germanica. In Omero (Iliade, VI168-169) l’unica menzione di scrittura è riferita alle tavolette incisecon segni malefici (shvmata lugra) per provocare la morte del loro la-tore Bellorofonte, testimoniando l’acquisizione del medium tecnologi-co della scrittura da parte di un sistema di per sé tradizionalmente ora-le. Nella Roma arcaica, le discusse Dodici Tavole (VIII, 1, metà sec.5° a.n.e.) sembra che abbiano previsto condanne severe per i casi di

1 CRAWFORD, LEWIS, HUMBERT (1996): II, 580-581, 677-679, con alcune va-rianti anche in Cicerone, de Rep. IV,12 (“occentavisset”), Plinio, NH XVIII, XXVIII(“excantassit”), Ovidio, Porfirio e altri (PFAFF 1916, TAUBENSCHLAG 1928).

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maleficio o per chiunque “malum carmen incantassit…” il raccoltodel vicino1. Molto temute erano inoltre le tabellae defixionum o de-fixiones (gr. katadevsmoi)2, maledizioni di vario tipo incise – col nomedella vittima e simboli vari – su sottili lastre di piombo, rame o argillasuccessivamente sepolte in luoghi nefasti, in gran voga al tempo di Ta-cito3 e protrattesi fino al 6° secolo. Tale pratica sembra altresì nota inarea celtica, dalla quale emergono esempi come la defixio di Larzac,che invoca probabilmente una divinità femminile (Adagsona?) controle formule di presunte streghe (banom brictom)4.

Per la loro natura formulare e asseverativa di atti recitati all’in-terno di precisi rituali, convenzionali e ripetitivi, gli incantesimi rap-presentano un genere mutuato in larghissima parte da contesti di ora-lità (MAUSS 1950: 47)5, che trapela talora in una struttura variamentemetrica come anche nella ripetizione di particolari forme e sintagmi.

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2 Da defigere “piantare con energia; inviare demoni maligni”, si v. inoltrel’analogo devotiones.

3 Che le rammenta a proposito della sospetta morte di Germanico, nipote diOttaviano e figlio adottivo di Tiberio, nel 19: “Carmina et devotiones et nomen Ger-manici plumbeis tabulis insculptum” (Ann. 2,69).

4 Si tratta di procedimenti che esplicitano una immediata correlazione tra latipologia dell’‘incantesimo’ e il più generale ambito della magia antica, della qualel’etimologia (dal lat. magia all’airan. magu[s], al gr. mageiva e ai derivati me÷co~,me÷cane) sottolinea la radice verbale ie. *MAGH- “essere in grado di, potere, averecapacità di” (got. magan/mahts, ted. mögen/Macht, etc.). Considerato il processo didecadenza concomitante con l’affermazione della nuova fede cristiana, si comprendecome i meccanismi che regolavano il funzionamento dell’articolata disciplina magicasiano rimasti a lungo confinati ai limitati canali della trasmissione orale.

5 “Nous trouvons dans la magie à peu près toutes les formes de rites orauxque nous connaissons dans la religion: serments, vœux, souhaits, prières, hymnes, in-terjections, simples formules […]”; cfr. gli incantesimi ags. WiÌ dweorh (Contro unnano), 19-20: “… né a colui che potesse far proprio questo incantesimo,/ o che sapes-se cantare questo incantesimo” (… ne πæm πe πis galdor begytan mihte, oÌÌe πe πisgaldor ongalan cuπe, DOBBIE 1942: 122), oppure Siπgaldor (Benedizione per il viag-gio), 6-7: “Canto un incantesimo di vittoria, porto un’asta di vittoria,/ vittoria nelleparole e vittoria nelle azioni” (sygegaldor ic begale, sygegyrd ic me wege, wordsigeand worcsige…, DOBBIE 1942: 127).

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Diversamente dalle concezioni ormai canoniche sui meccanismi dicomposizione orale elaborate da Parry, Lord e della relativa scuola,ROPER (2003: 18-19) ritiene tuttavia che questi peculiari prodotti del-l’oralità abbiano subito, in misura maggiore rispetto ad altri testi orali,l’influsso della memorizzazione, dovendo garantire una certa efficaciaattraverso l’immutabilità della litania, del mantra. Ma nell’episodio diCirce (Odissea 10.203-10.247), il più antico esempio di rituale magicodel mondo greco, gli elementi basilari dell’incantesimo sono la drogae la bacchetta magica – senza alcun accenno a canti o parole magici –in contrasto con le osservazioni di chi, come Roper, tende a escluderela centralità della performance ‘fisica’ della recitazione.

Nati ben prima della loro registrazione per iscritto, gli incante-simi contemplano una varietà di segni, azioni e atti illocutivi finalizza-ti a un risultato di tipo prevalentemente psico- e logoterapeutico (esor-cistico o apotropaico); dunque una guarigione, una protezione o un au-spicio, molto spesso operanti attraverso il riconoscimento di un rap-porto causa-effetto (o{moio~ oJmoivw/) tra l’atto magico e l’obiettivo spe-rato. In tal senso, si parla di una ‘medicina’ indoeuropea a partire daglistudi di Darmesteter, che nel 1877 in un fargard del Videvdåd avestico(Vd. 7.44)6 aveva identificato tre tipologie di guarigione, una dellequali basata espressamente sulla recitazione della formula orale(mąqrø.baƒßaza). Come tali, gli incantesimi manifestano una proprianatura modulare abbinata in vari casi a una struttura metrica e stilisti-ca. Questa, se in origine rappresentava lo strumento privilegiato di tra-smissione, al tempo della loro trascrizione nei codici ne rivela l’aspet-to arcaico, laddove non intervengano manipolazioni seriori.

Inserite variamente all’interno di numerosi manoscritti, a parti-re dall’epoca alto medievale, formule magiche e riferimenti a entitàdivine, cristiane o meno, sono stati a lungo interpretati secondo dueprincipi opposti eppure organici, a seconda che se ne privilegi la ma-trice o l’ispirazione cristiana – con l’inserimento successivo di ele-

6 Desidero ringraziare l’amico e collega iranista Prof. Elio Provasi per l’aiu-to generoso fornitomi. Significative analogie incantatorie (ejpaoidai~) si rilevanoinoltre nella figura dell’Asklepios di Pindaro (Pythiche 3.47-53, MAEHLER 1971: 73).

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menti pagani – o che invece li si consideri il frutto di una rielaborazio-ne cristiana di un precedente pagano7. Tale oscillazione è motivata, indiversi casi, dalla presenza di storie ‘sacre’ e aneddoti analogici dalcarattere introduttivo dette historiolae, termine con il quale HEIM

(1893: 495) definiva gli antefatti mitologici preliminari che introduco-no eventi magici o miracolosi di guarigione o che ad essi alludono. Ta-li storie sanciscono una sorta di correlazione e di reciprocità tipologicae diacronica – di assimilazione a un prototipo, secondo il pensiero diMarcel Mauss8 – piuttosto che una vera e propria similitudine causale;al loro interno potevano essere invocate, oltre che agire, entità precri-stiane o derivate dall’agiografia, santi, angeli e lo stesso Gesù Cristo,tutti, indistintamente, chiamati a rappresentare una funzione di media-zione più o meno diretta.

La contrapposizione preghiera vs. magia si estrinseca come ta-le in relazione a un concetto (superiore) di dogma ed è relativamenterecente, tanto che né il gr. qraskeiva (che attiene al culto), né il lat. re-ligio (più vicino al concetto di superstitio) si rivelano di aiuto, laddovenella nozione più antica di magia si celavano aspetti come l’alchimia,l’astrologia, la divinazione, la farmakeiva9. A questo punto, si sarebbetentati di contrapporre la preghiera (cristiana) all’incantesimo (paga-no) sulla base dell’osservazione che la prima invoca direttamente ilSignore, laddove la seconda si limita alla conoscenza di parole e gestiritenuti efficaci, l’intransitività o la transitività dell’azione in senso to-

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7 Fra gli altri, SCHWIETERING (1917), BUGGE (1889), MOGK (1907), KÖGEL

(1894), EHRISMANN (1932), ROSENFELD (1973).8 “[…] elle consiste à décrire une opération semblable à celle qu’on veut

produire. Cette description a la forme d’un conte ou d’un récit épique et les person-nages en sont héroïques ou divins. On assimile le cas présent au cas décrit comme àun prototype, et le raisonnement prend la forme suivante: Si un tel (dieu, saint ou hé-ros) a pu faire telle ou telle chose (souvent plus difficile), dans telle circonstance, demême, ou à plus forte raison, peut-il faire la même chose dans le cas présent, qui estanalogue”, MAUSS (1950): 49.

9 Sul problema si vedano, fra gli altri, HOPFNER (1928), EITREM (1941),NOCK (1972), PREISENDANZ, HENRICHS (1973-74), LUCK (1985), FARAONE, OBBINK

(1991).

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doroviano. Che la questione, in simili termini, sia mal posta si rilevagià a partire dal successo della raccolta ricettaria del sec. 5° De Medi-camentis liber (NIEDERMANN 1916) di Marcello ‘empiricus’ di Bor-deaux, magister officiorum di Teodosio 1°, dedicatario dell’opera stes-sa. La silloge, copiata a Fulda già nel sec. 9° (Paris, BN. Cod. lat.6880), divulga materiale ascrivibile alle più svariate tradizioni, tra-mandando di fatto per tutto il Medioevo i principi della scienza medi-ca greco-romana, a partire dal De materia medica di Dioscoride (metàsec. 1°), passando per Scribonio Largo e i cosiddetti Medicina (Plinii)e Physica Plinii dei secc. 4° e 6°, già noti a Bamberga e Fulda tra isecc. 9° e 10° (ÖNNERFORS 1964, 1965, 1975; SCHWAB 1995: 268-270). La presenza di scongiuri e formule incantatorie nei codici cri-stiani (ben 65 nel solo De Medicamentis) – accanto a preghiere e indi-cazioni medico-terapeutiche – rende talora disagevole distinguere unincantesimo da un rimedio o da una preghiera, tanto che nel tempo, ri-spetto agli entusiasmi antiquari (o alle condanne) di presunte remini-scenze magico-pagane, si tende ormai a contemplare – nel genere ‘in-cantesimo’ – una ricca casistica di esempi di medicina popolare devo-zionale10. C’è ad es. chi (WARD 1982, JOLLY 1985), sulla scorta dellaricca tradizione anglosassone (LENDINARA 1978), ha ritenuto di rico-noscere ‘magia’, ‘miracoli’ e ‘incantesimi’ come tre sistemi coordinatidi interazione organica nel più generale processo di riequilibrio e diordine del cosmo, nel quale gli incantesimi rappresenterebbero unazona franca di contatto, in passato fortemente sopravvalutata nei suoiaspetti di presunta originalità (GRENDON 1909, STORMS 1948).

La materia è ulteriormente complicata dalla natura e dalla in-terpretazione di fenomeni diversificati di tipo epigrafico (per es. le ta-volette defissorie del bacino mediterraneo), iconografico (per es. gliamuleti, RANKE 1973, HAUCK 1978) o tipicamente orali – incantesimi,formule magiche, maledizioni, esorcismi, benedizioni e scongiuri,contenenti cioè materiale espressamente finalizzato alla recitazione –

10 Si v. le benedizioni del Messale di Stowe e gli incantesimi del Cod. S.Galli 1395 in STOKES, STRACHAN (1903) II: 250, 248-49.

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tali da rendere quasi indecifrabile una questione già di per sé molto in-sidiosa (BACON 1952, WIPF 1975: 43-45, CAMPANILE 1965: 35-42;HOLZMANN 2001: 52-53). In questo senso, l’utilizzo nel mondo anticoe medievale di amuleti e talismani (di origine vegetale, animale o mi-nerale) incisi con lettere, formule o parole ancorché prive di significa-to11 è da sempre considerato in stretta connessione con le pratiche diincantesimo e divinazione, rappresentando per un verso la variantetangibile di operazioni della parola variamente complesse destinate afinalità apotropaiche, magiche e medicali (MEANEY 1981: 4-7). Per unaltro verso, invece, le testimonianze antiche (e medievali) di sequenzedi lettere e parole talora imperscrutabili incise su oggetti (e in mano-scritti) sottolineano l’effetto rafforzativo ed evocativo di formule tra-dizionalmente recitate: parlare di un legame determinante tra magia escrittura (KIECKHEFER 1989: 77, 112, 141-142) mi sembra sopravvalu-tare il ruolo discriminante del segno grafico in società ancora larga-mente dominate dall’oralità, un fenomeno studiato in ambito semioti-co anche in relazione agli scongiuri (NÖTH 1977: 66-67).

Nella vasta sfera che racchiude questa ricca tipologia di pro-dotti (benedizioni, esorcismi, incantesimi, ricette), viene da chiedersicome e se sia possibile distinguere l’elemento magico da quello reli-gioso in atti verbali nei quali l’affinità formale è palese senza per que-sto implicare automaticamente un’affinità concettuale. Un caso a sé ècostituito, infine, da un genere celtico dal nome eloquente, le loricae,insieme di carmi apotropaici del tutto omogenei e ben differenziati neiconfronti della restante letteratura magica e religiosa, con una formadi litania enumeratoria attraverso cui elencare le potenze da invocareoppure i mali dai quali difendersi o ancora le circostanze idonee peruna assistenza soprannaturale (CAMPANILE 1964). Di fronte ai numero-si casi di incantesimi nei quali Gesù e i santi compaiono come i prota-

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11 Solo a titolo esemplificativo si v. le formule tipo Abraxas, Abracadabra, ipalindromi dei papiri magici greci, le lettere efesine delle quali parlano Pausania eClemente Alessandrino o i runici <arota agla gala laga>; <kales fales agla agla,alualualu>.

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gonisti indiscussi, la sostituzione di formule e antiche allusioni pre-cristiane non è sufficiente a escludere che numerosi altri abbiano avu-to un’origine posteriore all’introduzione del Cristianesimo in Irlanda(HULL 1910: 437).

D’altra parte, tenuto conto della censura di un’ingombrante everosimilmente cospicua porzione dell’eredità culturale pre-cristiana,l’idea di una salvaguardia zelante da parte di monaci e scribi verso pra-tiche tradizionali altrimenti interdette sfugge a ogni logica, soprattuttoquando i vettori sono preziosi manoscritti paraliturgici. La precoce ado-zione di forme di incantesimo anche tra il clero era stata sanzionata giàda Cesario di Arles al Sinodo di Agde (506)12, così come nella tradizio-ne canonistica teodoriana (I, XV, 4, FINSTERWALDER 1927: 311), mentrepiù in generale la recitazione di formule di guarigione o di protezione aldi fuori delle tipologie tollerate è vietata con decisione nella celebreHomilia de sacrilegiis (sec. 8°, CASPARI 1886: 9) pseudo-agostiniana.In numerosi concili, bolle papali e capitularia, accanto alle condanneesplicite di particolari attività illecite13, è ribadita la centralità dellapreghiera e delle sacre reliquie rispetto all’impiego di ricette e alla rac-colta di erbe con finalità di amuleto14. Tali disposizioni vanno natural-

12 Titulus LXVIII: Non oportet ministros altaris aut clericos magos et incan-tatores esse, aut facere quae dicunt phylacteria, quae sunt magna obligamenta ani-marum. Hos autem, qui talibus utuntur, proici ab ecclesia iussimus, MUNIER (1963):228.

13 Incantatores, malefici, auguratrices, venefici, sortiarii e tempestarii (ades. in Admonitio generalis, a. 787, Capitulare Missorum, a. 802, BORETIUS 1883: 59,96), condanne esplicitamente sottolineate in Martino di Braga, Pirmin di Reichenau,Rabano Mauro, Reginone di Prüm, Burchard di Worms, Massimo di Torino. Molte diqueste testimonianze sono tuttavia state fortemente messe in discussione da BOU-DRIOT (1928): 6-24, che come è noto accetta come attestazioni indirette di paganesi-mo soltanto talune lettere di Gregorio Magno, la corrispondenza di Bonifacio conl’Inghilterra e con Roma, la legislazione sassone di Carlo Magno, gran parte del pe-nitenziale di Burchard e un paio di formule battesimali, oltre alle risoluzioni del sino-do di Neuching.

14 Si v. per es. Ælfric, Omelia per il giorno di S. Bartolomeo, THORPE (1846)I: 9-10.

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mente intese in misura elastica, come forma di legittimazione ufficialedell’ortodossia, laddove nelle aree più critiche di conversione missio-nari e monaci si trovarono a far fronte, di necessità, alle più diverseemergenze, divenendo di fatto “Medizinmann und Zauberer und Hei-ler” (SCHIROKAUER 1954: 355), muovendo i primi passi verso l’esten-sione del monopolio ecclesiastico anche alla scienza medica.

* * *

Il ricco patrimonio di incantesimi contenuto nella tradizionemanoscritta alto tedesca presenta aspetti significativi per la dialettolo-gia e la linguistica, per l’ecdotica, per la storia della religiosità deiGermani e il rapporto tra magia, oralità e semiotica15. A questi aspettinon va tuttavia disgiunto l’elemento critico relativo al loro effettivoambito funzionale di applicazione, dal momento che per molti incan-tesimi non è possibile stabilire se siano mai stati realisticamente utiliz-zati o utilizzabili. In generale essi hanno a che fare con il pronto rista-bilimento di una condizione di salute, piuttosto che con un effetto cu-rativo a lungo termine (tipico delle ricette), e sono documentati per lopiù come marginalia all’interno di testi paraliturgici (molto raramentein missalia, evangeliari, salteri)16 o in ricettari ‘medici’17, dunque se-

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15 Aat. zoubar (“Zauberhandlung, Zaubermittel”, traduce lat. maleficium, sa-crilegium) corrisponde a mbt., mned. tover, afr. tåver, aisl. taufr (NPl., Zaubermittel,Zauberei), nnorv. tauver, tøvr “malattia bovina” e ags. teafor (“colore ocra, rosso; mi-scuglio, unguento), tutti derivati della rad. ie. *DAP- (lat. daps, damnum, aisl. tafn,ags. tifer, aat. zebar), mentre i sostantivi galdar/galstar, ags. gealdor (galdre bewun-den, Beowulf 3052) e aisl. galdr (cfr. galdrs faÌir, scil.: Odino, Baldrs draumar 3, gal-dralag “metro dei canti magici”) continuano la rad. ie. *GHEL- (galan; gellen, Nacht-igall), che esprime l’atto di intonare litanie e mantra dal valore magico, conservata an-cora, forse, nell’enigmatico golida dell’iscrizione runica di Freilaubersheim. A un’o-rigine recitativa orale si richiamano inoltre, nel vasto patrimonio alto tedesco delleglosse, forme quali (h)leodarsazza “incantatio, necromantia (?)” e derivati, prove-nienti dalla tradizione penitenziale (GRAFF VI: 304, STEINMEYER, SIEVERS: 365, 17.18).

16 Si v. Spurihalz, Contra vermes (Wien 751) o gli stessi Incantesimi di Mer-seburgo.

17 Si v. Contra caducum morbum (Paris 229) o il cd. Contra rehin (ZüricherWasserkirche c. 58/275).

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condo modalità abbastanza diverse sia dall’ordinamento pragmaticotipico della tradizione anglosassone sia da quello antico islandese, sa-pienziale e gnomico, prevalente ad es. in Sigrdrífumál e Hávamál. Laloro registrazione pone tuttavia un problema di ‘tradizione’, nel sensodella continuità (scritta) di testi quasi sempre nati e utilizzati per unaperformance orale, il valore dei quali è stato ritenuto tale da meritarnela conservazione in codici di altro genere, spesso già completati peraltri scopi.

È vero, come ricorda MURDOCH (1991: 14), che non esistonoincantesimi pagani nella tradizione alto tedesca (come già GRIMM

1865 e ancora HILL 1977, JOLLY 1985), ma soltanto deboli tracce o so-pravvivenze pre-cristiane fortunosamente registrate nei codici super-stiti, molti dei quali sono ricettari di tipo medico talvolta compilati acura di esperti (STUART, WALLA 1987: 57-62; HELLEGARDT 1997: 11-17), come dimostrato in modo significativo in area anglosassone. Pertali considerazioni, diventa però più difficile seguire Murdoch quando– sulla scorta del già citato Kieckhefer – accetta l’idea che la potenzasalutare della parola (pronunciata) trovi pieno sviluppo soltanto graziealla forza della parola (scritta) del Cristianesimo, nei suoi exempla enei miracoli neotestamentari, spesso proprio di tradizione apocrifa(MURDOCH 1988: 361), i quali riecheggiano una medesima matriceorale pre-cristiana, certo più ufficiale e ‘alta’, ma ugualmente incon-trollabile. È innegabile che il semplice richiamo alla tradizione oralerisulti insoddisfacente a folkloristi e pragmatisti, concentrati su un ap-proccio complessivo che fa del gesto un elemento mal definibile perl’oralità come per la parola scritta, ma altrettanto insoddisfacente èuna ricostruzione dei caratteri originari della cultura mitologica deiGermani sulla sola scorta di testi mediati dai primi operatori dellanuova cultura dello scrivere.

Gli Incantesimi di Merseburgo [Merseburger Zaubersprüche =MZ-1, MZ-2, MZ-1/2; STEINMEYER 1916: 365-367] furono trascritti inminuscola carolina da un’unica mano18 nel primo quarto del sec. 10°

18 Sul dialetto dei due testi si v. GERING (1893): 463, per una veste dialettale

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sul foglio di guardia di un sacramentario fuldense (BISCHOFF 1971:111, SCHWAB 1994: 555) contenente anche una formula battesimalefranca (STEINMEYER 1916: 23). I due incantesimi, divenuti parte delCod. 136 (f. 85r) del capitolo del Duomo di Merseburg insieme al pri-mo quaternione del manoscritto originario (Cod. 58), furono scopertida G. Waitz nel 1841 e vennero pubblicati per la prima volta da J.GRIMM nel 1842. Da questa data ebbe origine un inesausto dibattitodai toni diametralmente opposti, raccolti nel 1963 (: 22-51) nella tesidottorale di Carol L. MILLER. Nella tavola che segue ho trascritto fe-delmente, nella colonna di sinistra, il testo degli incantesimi con lapreghiera in latino così come compaiono nel Codice 136, mentre nellacolonna di destra faccio seguire il testo secondo l’edizione di STEIN-MEYER (1916):

Eiris sazun idisi sazun hera duoder sumahapt heptidun sumaherilezidun suma clubodun umbicunio uuidi insprinc haptbandun inuaruigandun .H.Phol ende uuodan uuorun ziholza duuuartdemobalderes uolon sinuoz birekictthubiguolen sinhtgunt. sunnaerasuisterthubiguolen friia uolla erasuister thubiguolen uuodan sohe uuola condasose benrenki sose bluotrenki soselidirenki ben zibena bluot zibluodalid zigeliden sosegelimida sin.

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molto vicina al franco orientale, e ancora KROGMANN (1953): 1122-1123, STEINHOFF

(1986): 410-411; ZACHER (1873): 462-463.19 “Si posarono una volta le Idisi, si posarono qui e là, alcune allacciavano

vincoli, certe trattenevano la schiera, altre scioglievano catene; liberati dai lacci, fug-gi dai nemici. Phol e Uuodan cavalcavano nel bosco: si slogò la zampa del cavallo(…). Allora cantò Sinthgunt (e sua sorella Sunna), poi cantò Friia (e sua sorella Vol-la), poi cantò Uuodan, come egli ben sapeva, per la rottura di osso, per la rottura consangue, per la rottura di membra, osso con osso, sangue con sangue, membra conmembra siano così riuniti”.

Eiris sazun idisi sazun hera duoder,suma hapt heptidun suma heri lezidun suma clubodun umbi cuniouuidi.Insprinc haptbandun inuar uigandun.Phol ende Uuodan uuorun zi holza,du uuart demo balderes uolon sin uoz birekictthu biguol en Sinhtgunt, Sunna era suister,thu biguol en Friia, Uolla era suister,thu biguol en Uuodan so he uuola condasose benrenki sose bluotrenki soselidirenki,ben zi bena, bluot zi bluoda, lid zi geliden,sose gelimida sin19 [STEINMEYER 1916: 365].

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Omnipotens sancte pater noster deus qui facis mirabilia magna solus · pretende super famulum tuum ·N· et supercunctas congragationes illis commissas spiritumgratie salutaris · et ut in ueritate tibi complaceant perpetuum eis rorem tue benedictionis infunde· Per[Domstift Merseburg, Cod. 136, f. 84r (85r)]

A prima vista, i due carmi rappresentano un genere ben attesta-to nella tradizione manoscritta alto tedesca (HELLGARDT 1997: 12-18),che conosce inserimenti seriori di testi di impiego pratico a margine,alla fine, se non addirittura all’inizio di codici di natura originariamen-te liturgica e omiletica (i cd. Missalia), come rivelano ad es. la Bene-dizione di Vienna per i cani e l’incantesimo latino Contra serpenteminseriti tra le Passioni dei martiri Sebastiano e Kilian, nel Cod. Vindo-bonensis 552. I due incantesimi sono sostanzialmente coerenti con al-tri testi di applicazione quotidiana presenti nei codici alto tedechi(esorcismi, benedizioni, rimedi, elenchi di malattie, indicazioni perl’esecuzione di rituali), anche se con il loro richiamo a un indetermi-nato passato mitologico, pur tramontato nei suoi caratteri più esteriori,deprivano il codice che li contiene di qualsiasi impiego liturgico uffi-ciale, nonostante l’accompagnamento della preghiera finale, a idealegaranzia di legittimità (MURDOCH 1988: 363, MURDOCH 1991: 20).

MZ-1/2 ribadiscono la centralità di entità femminili (‹Idisi›,‹Sinhtgunt›, ‹Sunna›, ‹Friia› e ‹Uolla›) inerenti a presunte virtù magi-co-terapeutiche, qualità ricordate da Tacito a proposito del ruolo parti-colare della donna (Germania 8), da Cesare sulle matres suebiche(B.G. I,50,4) e da Strabone (Geogr. VII,2,3) sulle profetesse dei Cim-bri. Timore e memoria della potenza magica della parola femminiledeclamata sembrano ancora presenti nell’Incantesimo dei campi an-glosassone (Æcerbot 65, DOBBIE 1942: 118), come anche in un più an-tico testo della cultura celtica (Lorica di S. Patrizio 7, STOKES, STRA-CHAN 1903 II: 354)20, due esempi che si aggiungono alle possenti pa-

20 Rispettivamente: […] πæt ne sy nan to πes cwidol wif ne to πæs cræftig

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role di Demetra, nell’inno omerico a lei dedicato (“conosco per il ma-leficio funesto un valido scongiuro”)21.

Le peculiarità dei due testi in esame non si limitano certo al so-lo piano contenutistico: colpisce la mescolanza di forme dialettali, ta-lune delle quali non immediatamente riconducibili all’antico alto tede-sco e alla sua Mutazione consonantica, Idisi, lezidun, cluobodun, -uui-di, Uuodan22, conda, bluoda, lidi-, geliden, gelimida, come anche ilpronome personale he (forma ingevone) o il sostantivo ben (con mo-nottongazione basso tedesca, vs. l’iniziale eiris) o l’avverbio her, sen-za l’attesa dittongazione alto tedesca di */ƒ2/. L’allitterazione tra ‹Pol›di MZ-2,1 (corretto successivamente in ‹Phol›) con ‹uuorun› sulla basedi /f-/ (cfr. uuoz e friia di MZ-2,2-4) manifesta incongruenza grafica einesperienza nella trascrizione di un testo mandato a memoria o copia-to senza comprendere con esattezza, forse commettendo errori. Lestesse considerazioni valgono anche per ‹hapt›, ‹heptidun› e il (poeti-co?) ‹haptbandum› (MZ-1,2-4) con ‹pt› che rappresenta il cluster/ft/23, un dato che tuttavia non presume automaticamente l’identità tra‹uolon› scil.: folon (MZ-2,2) e il Phol (*Pfol?) di apertura di MZ-2,1.La vicenda linguistica è complicata, come noto, dal problema dellamancanza di una lingua tedesca letteraria sovraregionale prima del pe-riodo medio, ragione che ostacola di molto l’identificazione correttadella scelte grafiche nei testi alto tedeschi antichi. Nel caso specificodella fricativa/affricata labiale, ciò rende di conseguenza poco perti-nenti gli esempi dell’Incantesimo di Treviri (‹ant–›,‹entphangan›)

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man πæt awendan ne mæge word πus gecwedene, “che non ci sia donna potente nelleparole né uomo esperto che possa alterare le formule così recitate” e fri brichtu ban 7gobann 7 druad, “[Riunisco oggi queste forze…] contro le formule delle donne, deifabbri e degli stregoni”.

21 II, 230: “oi\da d∆ ejphlusiv~ poluphvmono~ ejsqlovn ejrusmovn”, CASSOLA

(1975): 57; cfr. ancora IV, 37.22 Si cfr. Wædan nell’iscrizione runica di Nordendorf vs. Wætan in P. Diaco-

no, Historia Langobard. I,8. 23 Got. hafts “obbligato, soggetto”, ags. hœft, as. aat. haft, an. haptr “prigio-

niero”, an. hapt “legami”, höpt “vincoli sacri, divinità (pl.)”, lat. cap(tiv)us “prigio-niero”, airl. cacht “schiava”.

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chiamati in causa da GENZMER (1948: 62) a sostegno di un univocoquanto indimostrabile valore /f/ per ‹ph› indipendentemente dal dialet-to antico alto tedesco (BRAUNE, MITZKA 1967 § 138, CERCIGNANI

1979: 38-39).

* * *

MZ-1

Il primo incantesimo sembra alludere direttamente alla sferadella guerra: nella classica historiola iniziale le protagoniste, le nonmeglio precisate Idisi (che entrano in scena in modo fisicamente nonchiaro)24, legano, ostacolano, distraggono schiere nemiche, annodan-do o più probabilmente sciogliendo vincoli, lacci, nodi. Segue la for-mula conativa con i due imperativi finali (insprinc…, inuar…, “libera-ti!, scappa!”), pronunciati da un soggetto non espresso, che corrispon-de all’ordine solitamente impartito a una fonte del male. Proprio l’ur-genza evocata dall’allegoria bellica sembra ispirare la soluzione offer-ta da FULLER (1980), che sulla base di fonti annalistiche ritiene di po-ter eludere il più tradizionale ambito linguistico-filologico. Il risultatostabilisce un rapporto stretto e immediato tra MZ-1, MZ-2 e le conse-guenze drammatiche delle incursioni magiare dei secc. 9° e 10°, nel-l’Europa ottoniana, e una data precisa dei due scongiuri – gli anni924-928. L’autore sarebbe da identificare in un monaco talmente ter-rorizzato da affidarsi ormai a qualsiasi rimedio (per uomini o animali)pur di scongiurare gli effetti della minaccia. Si tratta di una interpreta-zione storiografica che niente aggiunge al valore simbolico e rituale

24 Sazun hera duoder “si posarono qui, (si posarono) là”. Considerato l’epi-sodio dell’arrivo delle fanciulle-cigno che la prosa introduttiva in VölundarkviÌa, 1definisce Valchirie, qui il verbo sezzan induce a ricostruire prerogative di volo auto-nomo non dimostrabili, in realtà, né per le dee né per le Valchirie se non dalla più tar-da tradizione nordica ricca di episodi favolistici. Sull’argomento si v. DRONKE

(1977): 301-302, RUGGERINI (2007): 204, 207, 215-216.

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del testo né alle motivazioni reali di una sua trascrizione o tantomenoalla possibilità di una sua eventuale applicazione.

Da sempre, il punto maggiormente dibattuto riguarda il senso ela funzione dell’appellativo idisi, formalmente immune dagli esiti del-la Mutazione consonantica alto tedesca. Tra le lingue germaniche oc-cidentali (ags. ides(a), as. idis, cfr. l’omologo aind. dhi≈anå, divinitàfemminili < dháyati “allatta”), l’antico alto tedesco conosce questoappellativo nella forma itis (GRAFF I: 159) impiegata in Otfrid nell’e-pisodio dell’Annunciazione in cui l’Arcangelo Gabriele (I,5,6: wegawólkono zi deru itis frono, “scese dalle nuvole verso la donna del Si-gnore”, la fanciulla di Dio) laddove il plur. asass. idisi è impiegato perdescrivere le tre Marie che si recano al S. Sepolcro (Heliand, 5784)25.L’ags. ides conosce una vasta applicazione: Eva, la moglie di Caino, ledonne di Sodoma e Gomorra, Sara e la sua serva egizia Hagar, nonchéla vergine Judith e la matrona Elena. In Beowulf il sostantivo descrivefigure virtuose o ammirevoli come Wealhπeow e Hildeburh come pureesempi disumani e crudeli come la madre di Grendel e la moglie diOffa, Hygd26. Da questi dati si palesa dunque un’area semantica privadi connotazioni morali e sufficientemente ampia da comprendere“vergine, donna di rango, matrona” (fino a “donna” matura, nel casodella madre di Grendel), verso cui confluiscono le analogie marianealto medievali, ivi comprese le virgines benefiche dei rimedi del giàcitato Marcello di Bordeaux (v. oltre).

A tutt’oggi è ancora laborioso stabilire un’etimologia sicura per idis-(EICHNER, NEDOMA 2000-01: 32-33), radice che BERR (1971: 212) riconducealla sfera familiare della ‘madre’, got. aiπei, aisl. eiÌa, mat. eide, se non ad-dirittura a quella del ‘genero’, ags. åÌum, afr. åthom, aat. eidum, eidam, mat.

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25 Sidoµun idisi / te them gra�e gangan, gum-cunnies uu¥f, / Måriun munil¥-ka; […], BEHAGHEL, TAEGER (1984): 203.

26 Descritta al v. 1168 ides Scyldinga “donna degli Scyldingas”, ambiguoequivalente poetico della dís Skjèldunga eddica (“sorella degli Skjöldungar”, scil.:Brunilde, HelgakviÌa Hundingsbana, 51,3; Brot af SigurÌarkviÌa 14,3, NAUMANN

1982: 494).

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eidem “genero; suocero [!]”, ted. Eidam “genero”, scollegato da germ.*aiπaz “giuramento” (KLUGE, MITZKA 1975: 155). Una soluzione convincen-te, che deriva il nome dal grado zero ie. idh-és- (*h2id

h-és- “fuoco, fiamma”)attraverso una personificazione divina del tipo di scr. Agni, gr. ejstiva, è stataavanzata di recente da BAMMESBERGER (2007): 82-84.

Più problematica mi sembra invece la relazione con l’aisl. dís(pl. dísir), basata essenzialmente sulla non univoca interpretazionedella lezione tacitiana di Ann. 2,16,1 ‹Idisiaviso› vs. ‹Idistaviso› (scil.:*idis-sta-wisøn, “nympharum pratum”), luogo del vittorioso scontro diGermanico contro Marsi e Cheruschi, nel 14. Divinità femminili og-getto di un culto preciso intorno al Midwinter (il dísablót, Egils saga,44; Víga-Glums saga, 6), le dísir sono chiamate in causa già da J.GRIMM (< *idis per aferesi)27 e da NORÉEN (< iód(d)ís < *iód[i]dís) ecollegate alle Valchirie sulla basea. del toponimo tacitiano;b. di certe loro peculiarità belliche (Vèlsungasaga, 11, 37; Hálfs-

saga ok Hálfsrekka, 15; Ásmundarsaga kappabana, 7; GuÌrú-narkviÌa I,19; Atlamál in grœnlenzko 28 e Reginsmál 24, etc.);

c. delle analogie onomastiche sottolineate a partire da J. GRIMM

(1875-78, I: 332-333), a proposito delle valchirie Herfjètr(“colei che lega i combattenti”, scil.: li sceglie per la morte e laValhèll) di Grimnísmál, 36 e Hlèkk (“catena”, aat. Hlancha),nei versi di Bragi, HallfrøÌr, Einarr skálaglamm, …jóÌolfr etc.,riportati dagli Skáldskaparmál.

Molto ricorrenti nell’onomastica germanica continentale28 come in

27 EGILSSON, JÓNSSON (1931): 81-82, s.v. dís: “kvinde i alm., valkyrier (Dís= valk. navn), søster; gudinde, norne (skæbnegudinde)”. JOSTES (1893: 197-198)considera il sostantivo come un composto con ¥- “Wasser, Bach”, rilevato in talunitoponimi quali Yssel (< I-sala), Iburg, Ibach o il ned. Het Y e in generale nella topo-nomastica westfaliana (Iloh, Iborn, Ihorst, Ibrügge). Nei dialetti della regione diMünster ¥ è ancora un lemma indipendente nel significato di “acqua” mentre nel dia-letto fiammingo occ. dyze vale “Frau”, coincidenza che ha indotto a interpretareides/idis e forme derivate come “Meerweib, Wasserjungfrau” e dunque îdîs.

28 Disi, Dis(s)o, (Tiso), Disia, Disizo, Dispert, Disibod, Dislith, Dismot, Di-

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quella nordica29, le dísir (e tantomeno le Valchirie) non manifestanocon chiarezza (o forse non più) i caratteri di solennità, pace e prestigioche la tradizione assegna alle Idisi, dalle quali restano peraltro ancoralinguisticamente distinte30. L’ostilità delle dísir fino alla morte o glioscuri presagi della moglie di Gunnarr, rispettivamente in Grímnis-mál, 53 e Atlamál, 28, potrebbero anche rappresentare l’evoluzioneculturale di un medesimo tema, secondo il quale dísir, Norne e Valchi-rie si sarebbero confuse nel periodo vichingo in seguito all’afferma-zione di culti sulla vita post mortem incentrata nella Valhèll. In questocaso, si spiegherebbe il loro progressivo distacco dalla sfera della fer-tilità e dell’abbondanza, più tipica dell’area nordica orientale, e il rela-tivo adeguamento a un modello ideologico nordico occidentale orga-nico all’espansionismo commerciale e militare nelle colonie del Maredel Nord. Inoltre, sarebbe finalmente chiarita l’enigmatica allusioneÌa mihtigan wif, “le potenti donne” (all’attacco degli umani) contenu-ta nell’incantesimo anglosassone WiÌ færstice, per illustrare “l’assaltoimprovviso del dolore” (færstic)31: figure esemplate verosimilmentesu analoghe allusioni celtiche (v. Badb-catha, Macha, Morrigan) o piùprobabilmente scandinave (le Valchirie), ormai deprivate del tradizio-nale valore mitico e ideologico e dunque frutto di un retaggio lingui-stico o al più di uno spirito antiquario.

Benché rappresentate attraverso una metafora militare, non misento tuttavia di assegnare alle Idisi di MZ-1 una facies bellica: la lorotriplice azione, se non è frutto di una casualità abbinata al numero tre,in verità denso di richiami di ogni genere, non sembra avere analoga

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sald, Disoalis, Disoidis, Tisulf, Dispargis, che tuttavia lasciano irrisolta la questionedell’aferesi di i-; FÖRSTEMANN (1900-01) I: 411 s.v. DISJA (dîsja), chiama in causagot. filudeisei < agg. deisei “weise, klug”, non sufficientemente riconoscibile neifemminili Agedis, Berentis, Vriandis, Gelithis, Savientis (sec. 9°).

29 Vanadís, Öndurdís, …ordís, Hjèrdís, Ásdís, Vigdís, Halldís, Freydís. 30 BAMMESBERGER (2007): 85 presume un tema in -s della rad. ie. *dheÈH-

“guardare, fissare”.31 Si v., ai vv. 23-25 dello stesso incantesimo, la classificazione di reumi e

nevralgie in ƒsa gescøt, ylfa gescøt o hægtessan gescøt, “colpo degli Asi, degli Elfi,delle streghe”.

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corrispondenza tra le Valchirie, fatta salva la menzione di un semplicevalore numerico in HelgakviÌa Hjèrvarzsonar, 28, sulla triplice schie-ra di donne in armi. In questo senso, si potrebbe addirittura obbiettareche non esistono prove tali da escludere che l’azione delle Idisi sia ri-volta contro la persona oppressa e non a suo favore e che il comandofinale dell’incantesimo rappresenti la voce di un mediatore esterno.Per lo stesso motivo si deve ammettere – questo sì riecheggiato nellamitologia nordica – la possibilità di una compresenza di Idisi sfavore-voli e di Idisi misericordiose, queste ultime in grado di contrastare l’a-zione di altre loro simili. Ma così si innesca un corto circuito che ri-conduce sterilmente al punto di partenza.

Nell’allegoria come nel folklore cristiano, le immagini che ri-chiamano più da vicino le Idisi coincidono con le molteplici rappresen-tazioni delle Tre Marie, se non addirittura, risalendo nel tempo, con leMatronae o Matres, che nelle pietre votive loro dedicate in area ger-manico-renana (secc. 2°-4°) sono sempre raffigurate in gruppi. La lororelazione con la prosperità e la protezione da malattie e pestilenze (e inquanto tali invocate anche dai legionari), indusse EIS (1964: 58-66) aequiparare Idisi e Matronae emendando ‹duoder› con ‹muoder›, finen-do però – e con lui i suoi epigoni – nel vicolo cieco della insidiosa de-limitazione del trifunzionalismo indoeuropeo elaborato da Dumézil.

Anche se il posarsi delle Idisi qui e là in mezzo agli esercitiavesse una funzione magicamente liberatoria, esse tuttavia non espri-mono comandi, diversamente dall’Incantesimo delle api franco rena-no di Lorsch32, nel quale non è Kirst a impartire l’ordine alle api, maSancta Maria. Tipologicamente, MZ-1 ricorda certe formule cristianedi benedizione nelle quali agiscono le cosiddette Tre Marie o Tre Si-gnore33, personificazioni allegoriche di virtù – tra le quali Fides, Spes,Caritas – e le relative rielaborazioni folkloriche. In queste si evidenzia

32 Vatic. Cod. Pal. 220, fol. 58a, sec. 10°, HOLZMANN 2001: 191. 33 Tre Sorelle; Tre Vergini; Einbet, Wilbet, Warbet; Ottilia, Lucia, Maddale-

na, Barbara, Margaretha e Katharina, etc., ZENDER (1987): 215-216. Più distante misembra invece il richiamo alle tre ‘sorelle’ Caritas, Reht e Frithu in Otfrid V. 23. 120-125, ERDMANN, WOLFF (1962): 275.

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un elemento di triplicità, sia esso la formula trinitaria, tre luoghi visi-tati, tre esseri – positivi come negativi –, tre parti da sanare, etc., comein alcuni esempi che seguono di formule analogiche (tardo medievalie contemporanee):

WHITLOCK (1992: 105, dal Wiltshire), HOLLOWAY (1987: 82-83, Inghilt. Sud-occ.)[per scottature e ustioni

Three ladies came from the east, Three angels came from the north, east and[west,

One brought fire, two brought frost, one brought fire, another brought ice,Out with fire, and in with frost, And the third brought the Holy Ghost,In the name of the Father and of the Son so out fire and in frost,and of the Holy Ghost. in the Name of the Father, Son and HolyAmen. Amen. Amen. [Ghost.

Id. (1987: 82-83, Inghilt. Sud-occ.) Id. (1987: 82-83, Saltash, Devon):There were three angels came from the East There were two giants came from the East,

[and West, one brought fire and the other brought frost, one wrought fire and the other wrought frost,And the third it was the Holy Ghost. Out fire and in frost;Out fire, in frost, in the Name of the Father, Son and Holyin the Name of the Father, Son and Holy Ghost. [Ghost.

HOLZMANN (2001: 208, St. Gallen Cod. 755, 15° s.): id. (2001: 208, München Cod. germ. 384, 15° s.):

Dis ist ain segen zu dem floß vnd zu der anwant. Für das pluot versteln.Sant ann Sant osann min frow sant maria Unser lieber herr Jesu Christ,die heiligen dry frowen gingent uber ainen der west dry brunnen;

[gewichten kilkhoffdie ain sprach dis ist das fliegend der erst was milt, der ander der was guot,die ander sprach es enist. der drit der was Jesus pluot. […]die dritte sprach es sich oder es sig nit […]

Id. (2001: 201, Breslau, August. Hs. 3.F. 20, 14° s., tra i vari Wurmsegen):Wiltu den wurm seyn sprechyn, so sprich.Der wuerme woryn drye, dy sente Job bissyn.der eyne der was wyes, der andir swarcz, der dritte rot.heere sante Jop, lege der wuerme tot! […]

LEUUW (1933: 170, Svizzera?) GRIMM (1875-78 I: 345 n. 3, Svizzera):Rite, rite rösli, ze Bade stot e schlöfsli, Es gingen drei Jungfrauen im Walde,ze Bade stot e güldi hus, es lüeged drei Mareie, drus. Die eine pflücht das Gras ab

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die eint spinnt side, die ander schnätzelt chride, Die andere pflückt das Blatt ab,die drit schnit haberstrau [die dritte schneidt den faden]Die dritte nam die Rose weg.bhüet mer gott mis chindli au!

Già J. GRIMM (1847: 135, 148) aveva sottolineato le analogietra MZ-1 e una variante del corpus di Marcello contro i dolori cardiaci(21,3, senza tuttavia soffermarsi su 28,74, per le patologie gastro-ente-riche, NIEDERMANN, LIECHTENHAN 1968 I: 374, 500; SCHWAB 1995:271-281)34, tali da postulare una fonte latina per questo incantesimo –in realtà mai provata in modo convincente.

La difficoltà maggiore nell’interpretazione di MZ-1 risiede ef-fettivamente nella sua effettiva sfera di applicazione, piuttosto chenella struttura (SCHIROKAUER 1954: 361): come la maggioranza degliincantesimi, ci si aspetterebbe infatti che tendesse al ristabilimento diuna condizione fisiologica qui invece apparentemente ignorata. L’ar-gomento è stato ripreso più recentemente da MURDOCH (1988: 362),incline a considerare MZ-1 coordinato funzionalmente a MZ-2 e quin-di favorevole a un’interpretazione ‘medica’ di entrambi i sortilegi. Seinfatti l’azzoppatura di un cavallo (in MZ-2) fa parte dell’esperienzaquotidiana, per la stessa ragione è meno realistico sperare che una pre-ghiera possa liberare dalle catene (contra de BOOR 1955: 97-98; EH-RISMANN 1932 I: 101-102), considerazione che convinse SCHIROKAUER

(1954: 353-364) a ritenere MZ-1 un rimedio per un malanno fisico, ti-po la paralisi degli arti35.

34 Cap. XXI: “Tres uirgines in medio mari mensam marmoream positam ha-bebant; duae torquebant et una retorquebat”; Cap. XXVIII: “Stabat arbor in mediomare et ibi pendebat situla plena intestinorum humanorum; tres uirgines circumi-bant, duae alligabant, una reuoluebat”, dunque tre vergini: due operano e la terzaesorcizza (si v. ancora BÄCHTOLD-STÄUBLI, HOFFMANN-KRAYER 1927-1942 VI: 182-187 a proposito di tres sorores ambulabant, una volvebat, alia cernebat, tertia reso-luebat). Sulla presenza a Fulda della medicina empirica di Marcello già nel 9° sec.,SCHWAB (1995) sottolinea come il valore sostanzialmente analogo di ricette magichecristiane e pagane, anche in ambienti religiosi, sia già stato appurato nel campo dellapapirologia, con ricadute importanti per il manoscritto fuldense dei MZ.

35 Il valore magico assegnato in tempi più recenti a formule di dubbia origi-ne, aveva convinto lo stesso MURDOCH (1991: 23) a ipotizzare che MZ-1 non andassepreso alla lettera e che (1991: 33) “Segen, Sprüche und Rezepte haben öfters auch

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Alla possibile rappresentazione iconografico-apotropaica di unamuleto sembra alludere invece SCHWAB (1994: 574-580), attraversoun parallelismo tra l’accezione ‘in sluhtere bebunden’ [“mit Gertengebunden; in stricke (mit reisern, usw.) gebunden”], riferita a Cristo inuno scongiuro per cavalli (cod. Vat. Pal. lat. 1158, fol. 68, 12° sec.,HOLTZMANN 2001: 185) e il cuonio-widi di MZ-1, “Fesseln aus (Wei-den)-Gerten” [“legami”, SAIBENE 1985: 38]36. L’origine andrebbedunque ricercata nella rielaborazione germanica della FesselungChristi alla croce, presente sia nell’iconografia (FUGLESANG 1981,BATTAGLIA 2000: 56-57) sia nell’epica biblica, come risulta dall’am-pio dettaglio di SCHWAB (1994: 579), tratto da Heliand (soprattutto5584): Crist, godes suno … sløpi thi fan them s¥mon (“… fuggi via dailacci!”, BEHAGHEL, TAEGER 1984: 196). A tale episodio proporrei tut-tavia di aggiungere le immagini suscitate dalla cattura di Cristo nelTaziano alto tedesco (185,10b: Fiengun then heilant into buntun inan,SIEVERS 1892: 254)37 e nella versione sassone (Heliand, 4917-18: Hef-tun herubendium handi tesamne, /faµmos mid fitereun, BEHAGHEL,TAEGER 1984: 174)38.

Lasciando da parte l’ipotesi di MURDOCH (1988: 367), secondola quale i due incantesimi sarebbero riferiti entrambi allo stesso pa-ziente, sono invece propenso a credere che possano trattarsi di “medi-cal charms” destinati a traumi o a paralisi; diversamente da MURDOCH

(1988), però, ritengo che l’arcaicità di MZ-1 non stia tanto nell’enfasiconferita alle Idisi, quanto nell’omessa indicazione dell’origine o del(diabolico) responsabile del male o dell’incidente, aspetto più tipico

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dasselbe Ziel … Es dürfte wohl zu spät sein, die Zaubersprüche aus Merseburg inHeilsegen umtaufen zu wollen, doch der Begriff Zauber bleibt problematisch”.

36 Presente anche in Abrogans, è un composto altresì noto nelle glosse altotedesche (khunauuith(i)/ chunuuidiun, Gl. I, 204: 31-38 e III, 349: 7) per “laqueari,lauconiae, murenulae, catenulae teretes”, SIEG (1960): 365-366.

37 Inti thie ambahta thero Iudeono fiengun poi heilant inti buntun inan intileittun inan zi Annase zi eristen, “Et ministri Iudæorum conprehenderunt Ihesum etligaverunt eum et adduxerunt eum ad Annam primum”.

38 “Gli fermarono le mani con catene militari e i pugni con lacci”.

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delle raccolte alto tedesche e anglosassoni, come ad es. nel Incantesi-mo contro i reuma del Lacnunga:

diabolus liZauit, [/liZnauit]anZelus curauit,dominus saluauit,in nomine amen(Harley 585, fol. 183a, GRATTAN, SINGER 1952: 186)

Nutrita è la lista di esempi riguardanti l’implicita allusione dellegare o del liberare magicamente da vincoli di prigionia o di condan-na: dalle più vaghe invocazioni rgvediche a Indra, liberatore delle ac-que (RV III,13), e atharvavediche a Varuna (AthV 4.16,9)39 fino alleErinni di Eschilo (Eumenides 306, 331-332, WEST 1990: 361), daiPapyri Greci Magici sulla liberazione da legami magici (PGMXII.160-178: 159-16) alle formulae devotoriae greche e latine (AU-DOLLENT 1904: 475-476), senza dimenticare la descrizione tacitianadel culto dei Semnoni (Germania 39) a proposito di un legame di na-tura più devozionale e religiosa che non magica. Dal canto loro, le tra-dizioni letterarie germaniche offrono altrettanti casi di interesse:

a. il celebre passo sapienziale pronunciato da Odino in Hávamál 149:“E ancora questo so: se uomini impongono /vincoli alle mie mem-bra: /così mormoro per potermi muovere, /via saltano i lacci dai pie-di e i legami dalle mani”40;

b. Grógaldr 10, nel quale, tra le nove formule di protezione cantate alfiglio Svipdagr dallo spirito di Gróa si dichiara: “Questo ti canterò

39 Nel quale si chiede a Varuna, garante di giustizia, di applicare le sue centocatene agli spergiuri, “Con tutti i vincoli ti lego, /o …, della famiglia di …, figlio di… / e tutti quelli di seguito associo a te…”, cfr. ancora AthV 6.63; 121; WHITNEY

(1971): 178, 328-329, 370.40 “…at kann ec it fiórÌa, ef mér fyrÌar bera /bènd at boglimom:/ svá ec gel,

at ec ganga má,/ spettr mér af fótom fièturr, enn af hèndom hapt”, KUHN, NECKEL

(1983): 42. In questo caso è interessante la distinzione antico nordica tra fièturr “lac-ci delle gambe, dei piedi” dalla rad. germ. *fet-ra- (ags. føtfetera) e hapt “lacci per lemani”.

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per quinto: se delle catene /ti legheranno le membra, /pronuncerò aituoi arti un canto di liberazione /e le catene cadranno dai tuoi pie-di”41. Le profonde similitudini testuali autorizzano a sospettare che sitratti di una rivisitazione del passo precedente, anche in virtù delleparole di Hávamál 140: “Nove potenti incantesimi appresi dal famo-so figlio di Bolπorr (Mímir?)”;

c. Lokasenna 37,4, nella quale Týr afferma che Freyr, il migliore deipiù audaci cavalieri, “scioglie ciascuno dai vincoli42;

d. Beda, Historia Ecclesiastica IV,22 [20] ricorda, da fonti orali, la sto-ria di un seguace di re Ecgfriπ Imma. Questi, catturato dopo la batta-glia del fiume Treanta, non riesce ad essere legato poiché i vinculacon i quali è tenuto prigioniero cadono ogniqualvolta il fratello Tim-ma, sacerdote, prega per lui credendolo morto. Beda riferisce alloradella domanda, da parte degli stupefatti carcerieri, se conoscesse[…] litteras solutorias de qualibus fabulae ferunt, che la più tardatraduzione alfrediana glossa come […] πa alysendum (-lecan?) ru-ne… 7 πa stafas awritene…. Tale passo alimenta il sospetto, a miogiudizio, della ricezione bediana di Gregorio Magno sul tema eucari-stico, a proposito delle incessanti preghiere della moglie in grado diliberare il marito prigioniero (Dialogi IV,59, PRICOCCO, SIMONETTI

2006: 344-346); viceversa, la traduzione alfrediana tradisce inveceuna precisa preoccupazione nel sec. 9° nei confronti di un fenomenoin pericolosa espansione anche tra i chierici, come attesta con ric-chezza la tradizione penitenziale;

e. Solomon and Saturn, 69-71, sui vincoli e le catene con i quali il dia-volo tenta di imprigionare l’anima, e 158-160, sui diabolici tentatividi legare le mani ai guerrieri, destinandoli a morire (come ancora333-335), DOBBIE (1942): 34, 37. Si tratta di episodi che alludono aivincoli potenti e infernali come quelli infranti dall’indemoniato diGerasa (Marco 5,3.4, Luca 8,29), che nella traduzione gotica richia-mano eloquentemente l’immagine del ferro altrimenti pochissimousata (naudibandjom eisarneinaim ed eisarnabandjom, STREITBERG

1919: 179, 125);

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41 “Sann gelk πér enn fimta, ef πér fjètor verÌur /borenn at boglimom,/ ley-segaldr létk [πér] fyr legg of kvaπenn /ok støkr sá láss af limom [en af fótom fjètor]”,SIJMONS (1906): 199.

42 “Oc leysir ór hèptom hvern”, KUHN, NECKEL (1983): 104.

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f. Advent (Cristo I), 358b-365a tramanda, fra i vari passi sui vincolidiabolici, la preghiera di coloro che si trovano in catene nell’attesa diuna liberazione: “O Cristo Salvatore, ti chiediamo umilmente diascoltare la voce dei prigionieri, dei tuoi servi bisognosi, Dio Salva-tore, di come siamo afflitti dalla nostra stessa volontà. Spiriti malva-gi, creature del male, hanno oppresso duramente gli esiliati (scil.: es-si stessi), con vincoli malefici”43;

g. gli episodi del Harrowing of Hell (parafrasi in prosa dell’apocrifoVangelo di Nicodemo), nei quali – come nel testo latino – è ben con-servata l’immagine del comando col quale Cristo scioglie i lacci me-taforici dei prigionieri (… synbendas ealle tobræc; … ealle πa Ìe wegefyrn on bendum heoldum, CROSS 1996: 219, 223), nei quali non èda escludere l’influsso indiretto di Apocalisse 20 sull’incatenamentodi Satana per mille anni e Giuda 6 (e 2Pietro 2-4) sugli angeli cadutiincatenati;

h. Genesis B, 371-380 rivela tracce di un Satana legato subito dopo lacaduta dal cielo, dunque precedente la Passione e la Resurrezione.Le “rigide catene” che lo avvincono (Genesis B, 408) sono i medesi-mi lacci dolorosi dei peccati nella Descent into Hell dell’Exeter Book(65, 68) sciolti dalla misericordia divina in Elena, 1243-1244 e inCristo e Satana, 551-553 e variamente diffusi in Andreas, Seafarer eWanderer (RENDALL 1974: 506-512);

i. la raccolta di versi gnomici di Exeter Book (88v-92v) nota comeMaxims (I) offre, ai vv. 74-75, una immagine evocativa di Dio comeunica forza in grado di sciogliere le catene del gelo44, grazie ancheall’abbinamento di god con l’inconsueto felameahtig (“valde po-tens”, vs. ælmeahtig, eallmihtig, etc., cfr. Azarias 156), aggettivo cherende enigmatico il ruolo divino. Un simile riferimento al ‘miracolo’dei fenomeni naturali lascia aperta la possibilità di un’interpretazionenella scia della polemica contro le pratiche dell’occulto, nei confron-ti delle quali il ruolo dinamico di Dio si manifesta attraverso l’ulte-

43 We πe, hælend Crist,/ πurh eaÌmedu ealle biddaÌ/ πæt πu gehyre hæftastefne,/ πinra niedπiowa, negende god,/ hu we sind geswencte πurh ure sylfra gewill./HabbaÌ wræcmæcgas wergan gæstas,/ hetlen helsceaπa, hearde genyrwad,/ gebun-den bealorapum, KRAPP, DOBBIE (1936): 13.

44 An sceal inbindan/ forstes fetre felameahtig god, KRAPP, DOBBIE (1936):159.

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riore primato in un eventuale certame contro interlocutori pagani;j. da ultimo, il già citato incantesimo anglosassone WiÌ dweorh, 11 ri-

corda come, “[la creatura maligna] ti pose i suoi vincoli al collo”45.

Come è facile intuire, si tratta di testimonianze controverse, in-terpretabili legittimamente sia nella direzione più tradizionale del te-ma della prigionia, sia però anche nel senso di una liberazione che ten-de alla guarigione, magari attraverso il ricorso ad analogie sacre, inmerito alle quali – nel caso specifico – continuo a ritenere decisivi gliinflussi della cultura anglosassone su quella alto tedesca. Mi riferisco,in particolare, alla liberazione da catene diaboliche (oppressione del-l’anima come del corpo), parte di rilievo nel ricco tema dell’allontana-mento da Dio – un tema caro alla letteratura anglosassone e rappresen-tato attraverso i travagli della vita, i malanni, l’esilio e la perdita degliaffetti. In questo caso, i vari esempi biblici concernenti prigionia e li-berazione, tra i quali Isaia 45:2 o il Salmo 107:14, rivivono nelle im-magini vetero testamentarie di Exodus fino al Harrowing of Hell, nelquale è il Cristo risorto a legare il re del male. L’immagine misericor-diosa di virgines, sorores o fanciulle che intervengono a lenire i mali(nella tradizione tardo antica di Marcello e nei più generici epigonimedicali del Wanderschaftstyp dei Drei Frauen-Segen, oltre il sec.15°)46, come pure a occuparsi della salma di Cristo (nella versionedella Bibbia sassone) fa capo al celebre episodio della visita delle don-ne al S. Sepolcro (due o tre, Marco 16, 1-10; Matteo 28, 1-7). Il suc-cesso riscontrato da una simile vicenda fu tale che la rappresentazionedi queste sages-femmes insieme o comunque vicine alla Vergine siestese ad ambiti narrativi diversi, come le scene della Natività, nellequali l’arte occidentale le accolse frequentemente47 accanto ad altre

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45 […] legde πe his teage an sweoran, DOBBIE (1942): 121. 46 Ai quali si affiancano, naturaliter, gli scongiuri dei Tres Angeli e dei Tres

Boni Fratres, HOLTZMANN (2001): 104-105, 110-115, 208.47 Si v. nell’iniziale ‘C’ del Sacramentario di Drogone (Paris, BN ms. lat.

9428), nell’Exultet del Duomo di Pisa, nel dettaglio della Natività sul portale dellacattedrale di Hildesheim, nell’Avorio di Münster (Westph. Landesmuseum f. Kunst u.

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immagini più celebri (la grotta, il bue, l’asinello), provenienti dallatradizione apocrifa48. In quel modello sono confluite con molta proba-bilità forme variegate e arcaiche di sacralità femminile germanica (epiù in generale nord europea), unificate dalla Chiesa tedesca antica,sull’esempio delle celebrate virtù Fides, Spes, Caritas: si tratta di figu-re quali Anna, Osanna, Maria, molto simili alle Donne Sante gaeli-che49 o alle più note Drei Marien o Drei heilige Frauen (GRIMM 1842:148), oggetto di culto dal sec. 8° nella liturgia francone come nella tra-dizione calendariale di Beda e di quella tedesca settentrionale (ZEN-DER 1987: 216-218). Da quel modello non mi sentirei infine di esclu-dere la Vergine Maria, intesa come ‘salvatrice’ di anime dalle fiammeinfernali secondo una tradizione apocalittica apocrifa – nota nella let-teratura omiletica anglosassone – contro la quale si scagliò lo stessoÆlfric50. In definitiva, l’invocazione a questo genere di mediatrici rap-presenta un mezzo per il raggiungimento di un beneficio e non tanto lavera finalità dell’atto rituale, come nel caso della preghiera. La formabasso tedesca ‹Idisi› di MZ-1 sembra pertanto sottolineare una concre-ta evoluzione ideologica di raffigurazioni semi-divine locali verso mo-delli di riferimento cristiani (in Heliand, nel Liber evangeliorum diOtfrid) favorita, nel 9° secolo, dal presumibile oblio di quel nome col-lettivo al di fuori dei dialetti falici. A questo punto, avendo scartato l’i-potesi di considerare MZ-1 un incantesimo pagano di liberazione diprigionieri, restano possibili due soluzioni:

Gesch. n° 387), nelle Natività eburnee del British Museum e del Museo di Bruns-wick, nella Natività sul seggio di Massimiano (Museo Arcivescovile di Ravenna) e inquella sul ciborio della Basilica di S. Marco a Venezia, TOUBERT (1996): 330.

48 Si v. per es. il Vangelo dello pseudo-Matteo (secc. 5°-7°).49 Cial, Tuigse, Náire “Sense, Understanding, Modesty”, dedicatarie di un

pozzo sacro e considerate talvolta, in quanto sorelle di san Columba/Columcille, inpossesso di poteri benefici, SZÖVÉRFFY (1955): 113-115.

50 Nell’Omelia XV del Vercelli Book (Alia omelia de die iudicii) e nell’ome-lia pasquale di CCCC 41 e 303, Maria, dopo la sua Assunzione è accompagnata in-sieme all’Arcangelo Michele e a S. Pietro alle soglie dell’Inferno, da dove ciascunodei personaggi intercede per un terzo delle anime presenti, non ancora eternamentecondannate. Ælfric (In Natale Sanctarum Virginum) condanna questa tradizione co-me eresia, THORPE (1846), II: 572-573; sul problema si v. ancora CLAYTON (1986).

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a. che il componimento sia da interpretare come uno scongiurocontro il malocchio o la possessione di origine diabolica, allaluce degli echi del ‘legare’ già menzionati;

b. che il suddetto rappresenti invece il frammento di un rimedioterapeutico contro patologie e menomazioni di tipo ortopedico(traumatiche, artritiche, reumatoidi) collegate al successivoMZ-2, se non di tipo neurologico o affine, come nel caso del-l’epilessia, con le relative invocazioni medievali ai tre Re Magi(HOFMANN 1975, BOZÓKY 2003: 56-57).

In questo secondo caso, si potrebbe parlare di un processo dirielaborazione funzionale di litanie e preghiere, noto nella tradizioneceltica sia per le loricae apotropaiche su parti del corpo umano sia peri miracoli di liberazione dal male, nei quali p.es. eccelle la figura di S.Brigida (HULL 1910: 438-441).

MZ-2

Nella ricca varietà germanica di formule magiche (scongiuri eincantesimi) riferite a malattie e incidenti equini (che, insieme ai rime-di contra vermes e per l’arresto di emorragie, sono forse il genere atte-stato con maggiore frequenza, WATKINS 1995, BACON 1951, GENZMER

1948), il paragone col resto della tradizione indoeuropea rivela signifi-cativi parallelismi vedici (Atharva-Veda 4,12), sottolineati da AdalbertKuhn già un secolo e mezzo fa. In particolare, la tipologia di questoincantesimo registra una lunga serie di omologhi che vanno dalle IsoleBritanniche alla Finlandia e all’Estonia, passando ovviamente per laScandinavia, e proprio dal confronto con il patrimonio letterario nor-reno, non sfugge la seduzione del nome BlóÌughófi (“zoccolo insan-guinato”), il celebre cavallo di Freyr citato in Skáldskaparmál 74(Kalfsvísa, πulur per ‘cavallo’).

Degno di nota è inoltre il centinaio o poco più di bratteate (cone senza iscrizioni runiche) provenienti da Scandinavia, Inghilterra edEuropa continentale, sulle quali spicca il tema che abbina una figura

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51 Riecheggiato, per la stessa sindrome, nelle parole di apertura “Primo dicpater noster. in dextram aurem” dell’alemanno Contra rehin (Zürich, Wasserkirche C58/275, Bl. 93b, sec. 12°, HOLZMANN 2001: 134). Si cfr. ancora analoga scena inBreslau 3 Q.1, nr. 51 (sec. 14°), nella quale i protagonisti sono S. Pietro e Giobbe.

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divina di profilo a un quadrupede (tipo-C, secc. 5°-7°): la scena vienesolitamente interpretata nel senso del risanamento magico (o del sacri-ficio) di un cavallo da parte della divinità stessa (Odino?), rappresen-tata secondo modelli iconografici imperiali del tardo antico (HAUCK

1978, AXBOE 2007). Poco perspicue restano in definitiva le attitudinimediche di Odino nella mitologia nordica, alimentate in primo luogoproprio dall’interpretazione di MZ-2. La funzione risanatrice del dio èdesunta principalmente dalle sue proverbiali prerogative magiche (co-me l’imbalsamazione della testa decapitata di Mímir, Ynglingasaga,4), nonché da un inevitabile parallelismo con l’immagine del Cristoguaritore, il quale

1. in un incantesimo antico sassone contro la paralisi del cavallo (Dehoc quod spuriha[l]z dicvnt, Wien Hs. 751, Bl. 188b, sec. 9°, HOLTZ-MANN 2001: 184) per aver sanato la pinna di un pesce viene invocatoaffinché guarisca anche il quadrupede;

2. in un incantesimo franco renano per lo stesso problema (Incantaciocontra equorum egritudinem quam nos dicimus spurihalz, Trier Stadt-bibl. Hs. 40, Bl. 36b-37b, sec. 10°, HOLTZMANN 2001: 184), in viaggioper Gerusalemme con S. Stefano ne guarisce il cavallo, e soprattutto

3. in un incantesimo alemanno contro la medesima patologia (Adequum err·het, Paris, BN cod. nouv. acquis. lat. 229, Bl. 251, sec.12°, HOLTZMANN 2001: 209) sussurra parole di guarigione nell’orec-chio dell’animale (“Tu rune imo in daz ora”)51

alimentando in quest’ultimo caso le analogie con certe raffigurazionidi bratteate del tipo-C52, nelle quali la bocca della figura divina, aper-ta, sembra parlare all’orecchio dell’animale, se non coincidere com-pletamente con quello in una trasfigurazione completa.

Esaminando con maggiore scrupolo l’episodio della cerimoniamagica di MZ-2, alcuni aspetti restano piuttosto confusi: non è chiaroinfatti

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a. se l’intervento magico di due coppie di dee, improvvisamente so-praggiunte, produca un risultato fino all’arrivo di Uuodan (peraltrogià protagonista dall’inizio) o se invece ne richieda la presenza percomporre un rito collettivo, del quale peraltro non esiste altra traccia;il resto della tradizione germanica assegna frequentemente a figurefemminili un ruolo prevalente in ambito magico (oltre a Veleda,Ganna, Waluburg delle fonti classiche, si cfr. Völuspá, Gróagaldr,Haustlöng), tanto che Freyja viene indicata da Snorri come la mae-stra di arti magiche degli Asi (Ynglingasaga 5 e 7);

b. se il dio supremo entri in causa, recitando la potente formula di gua-rigione, soltanto dopo che alcune divinità minori preposte alla magiahanno fallito (ma allora sfugge il motivo dell’immediato interventodi Uuodan, data la sua presenza all’incidente); oltretutto qui Friia/Frigg agisce con una autonomia ignota al resto delle fonti, che altro-ve riconoscono invece in Freyja53;

c. se la mediazione di Uuodan rappresenti invece l’unica possibile ri-sorsa, dato che le quattro dee/figure femminili sono soltanto propi-ziatrici di un rito che anticipa quello (vero) del dio più importante(NIEDNER 1899, SCHIROKAUER 1954: 362); in questo caso l’immaginenon sarebbe molto diversa dall’Incantesimo delle Nove Erbe anglo-sassone (Nigon wyrta galdor), il quale rappresenta Wodæn nei pannidi un semplice mago, capace di usare radici per distruggere un serpe(vv. 31-33): niente di più che un fattucchiere, un demiurgo di idoli,come sottolineano lo stesso incantesimo (v. 58)54 e Maxims I,132-13355.

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52 Tveitane, Vindingland, Sjöndan Tranegilde, HAUCK (1974): 113, HAUCK

(1983): 524.53 Il dibattito sulle analogie e la presunta identità di Frigg e Freyja è di lunga

data: anche Frigg è nota per essere dotata di poteri speciali che tuttavia non sembramai utilizzare, neanche per salvare il figlio. In questo contesto di guarigione sopran-naturale, dai forti richiami per la cultura nordica, manca invece qualsiasi traccia diEir, la dea nordica preposta alla sfera medica (Gylfaginning 35): […] Hún er læknirbestur, JÓNSSON (1931): 38, BATTAGLIA (2007): 201.

54 Crist stod ofer adle [ms. alde] ængan cundes, DOBBIE (1942): 120.55 Woden worhte weos, wuldor alwalda, /rume roderas, KRAPP, DOBBIE

(1936): 161.

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Elemento nevralgico è l’enigmatico Phol o meglio ‹Phol›, conl’inserimento di un’appendice grafica per meglio (?) esplicitare un va-lore fonetico sul quale è basata fra l’altro l’allitterazione del verso. Perl’incongruenza di forme grafiche come ‹uuorun›, ‹uolon› e ‹Friia›, èsoltanto presumibile che il fonema più significativo per gli equilibrimetrici del verso sia /f/, poiché non esistono i presupposti per esclude-re l’eventualità di un’allitterazione parziale e impropria /pf/: /f/ (v. so-pra p. 6).

Se il nome si riferisse al (demo) ‹uolon› del v. 2 ci si aspetterebbe al-lora un NomSg. come *folo/volo/pholo, Masch.-n (cfr. aat. fulîn, fulihha, fu-lihhîn < *fulan, GRAFF III: 476, SIEG 1960: 369). Il nome, almeno fino al sec.11°, vale per lo più “poledrus, pullus asinae” (in Taziano, 116,2 è l’asinellosul quale Cristo giunge a Gerusalemme, SIEVERS 1892: 165) e solo più tardi,in tedesco medio, compare con maggiore frequenza come “Roß, Streitroß“(LEXER 1970 III: 438-439).

Intendere Phol come “cavallo”, la cavalcatura di Uuodan (ilvero “signore”) resta tuttavia una forzatura non confermata dal lessicoantico alto tedesco né dalla grafia del verso successivo (‹uolon›): co-me ‘puledro’ avrebbe il vantaggio di spiegare la posizione principaleche nel verso Phol vanta su Uuodan (Phol ende Uuodan), trattandosidi incantesimo per una slogatura. L’ipotesi che nel ‹balderes› del se-condo verso (du uuart demo balderes uolon sin uoz birekict, oltretuttofuori dall’allitterazione) debba riconoscersi la divinità nordica Baldrsembra essere oggi ridimensionata in modo rilevante: chiamare un diocon due differenti nomi (Phol e Baldr) nello stesso incantesimo sareb-be inutilmente ridondante, in un genere testuale per natura sobrio eimmediato. Ugualmente poco sostenibile è, per due ordini di ragioni,il riconoscimento di Phol/*Baldr come dio della fertilità omologo diFreyr (NECKEL 1920, SCHRÖDER 1953, GENZMER 1953). In primo luo-go, una simile ipotesi è esemplata sul significato di Freyr (“signore”),con l’unico conforto della testimonianza dell’ags. bealdor, un con-fronto scarsamente probante sull’estensione del culto di Baldr nel con-tinente. In secondo luogo, la presenza in MZ-2 – qualora autentica –

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di un’altra divinità, Volla56, non basterebbe di per sé a confermare l’i-dea di una (poco convincente) coppia corradicale di paredri divini ger-manico occidentali *Fol- *Folla (laddove Phol < *fulla- e Folla <*fulløn- “pienezza, abbondanza”), desunta in primis da modelli scan-dinavi come NjèrÌr e l’innominata sorella-moglie (Ynglingasaga 4)oppure Freyr e la sorella Freyja, tutti appartenenti in origine alla stirpedei Vani57. Se quindi il nome evocato dal genitivo ‹balderes› si rivelas-se autentico alluderebbe comunque a una divinità strettamente colle-gata alla stirpe degli Asi58 e celebrata soltanto nella mitologia nordi-ca59; qui oltretutto egli patisce il medesimo doloroso destino dell’inno-cente figlio del Dio cristiano, condividendone anche l’apocalittico ri-torno (Vèluspá 62, Eiríksmál 3 vs. Lokasenna 28), in un contesto assaipoco originario e già intriso dei riflessi esteriori della nuova cultura.

Un indizio più significativo proviene da una variante svedesedello stesso incantesimo, registrata alla fine del sec. 19°, la quale sin-golarmente designa con Fylle la compagna di Freyja:

Fylle red utför berget. Fylla cavalcava verso la montagna,Hästen vred sin venstre fot. il cavallo si slogò il piede sinistro.Så mötte han Freyja: “Jag ska böte din häst Lo vide allora Freyja: “Curerò il tuo cavallour vred och skred i led” dalla slogatura e dalla storta alla zampa”(CHRISTIANSEN 1914: 50 nr. 9)

Fylle è la variante nella quale Fulla compare nel codice upsa-liense dell’Edda di Snorri, nelle lausavísur degli scaldi Eyvindr (lv 9)e Gísli (lv 37), nonché nello stesso Kormákr (lv 44), con una veste fo-

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56 La Fulla nordica (Gylfaginning 35), una delle tre dee attestate al di fuoridella Scandinavia.

57 BRATE (1919): 295, GENZMER (1948): 62-63. Analoga coppia altrettantocontroversa è quella di Fjèrgynn (maschile) e Fjèrgyn (femminile).

58 Anche nella versione fortemente evemerizzata di nel terzo libro dei Gestadi Saxo Grammaticus.

59 Poco significativo è il <Baldruo> dell’iscrizione latino-germanica“…[vota Erc]uleo Macusao, Baldruo, Lobbono solverunt…” (secc. 3°/4°) rinve-nuta a Utrecht, GUTENBRUNNER (1936): 63-65, 210, nella quale è apposizione dell’Er-cole romano.

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netica tuttavia dubbia, liquidata forse con eccessiva fretta come “cer-tamente erronea” nel dizionario di EGILSSON, JÓNSSON (1931: 157).Non mi sentirei tuttavia di accogliere la proposta di GENZMER (1948:71-72), secondo la quale Fylle < *Fylli, l’altrimenti ignoto paredrodella Fulla nordica, per almeno due ragioni. Dalle scarne tracce con-servate, Fulla è ancella di rango di Frigg e sua fedele accompagnatri-ce, mentre non risulta una tradizione di avventure che vedano Freyjaagire in compagnia di un Fol nordico, neanche se si trattasse di Freyr.Si potrebbe eccepire che Frigg non è Freyja, ma l’identità di questedue dee dalle fortissime analogie è uno dei temi topici irrisolti nelquadro della mitologia nordica. L’altra obbiezione riguarda il pianolinguistico: Fylle ha tutte le caratteristiche di un tema in nasale -¥n(*full¥n-), continuato in antico islandese soltanto da femminili, per lopiù astratti60.

In questo insidioso ambito si colloca la posizione peculiare di TheoVennemann, ideatore di una teoria della ‘biforcazione’ che rigetta le basi tra-dizionali della fonologia germanica originaria (e indoeuropea) e favorevole aun’ipotesi ‘filo-semitica’ di buona parte del lessico germanico. Phol e Baldrsarebbero per Vennemann due teonimi per la stessa divinità derivati dal no-me del dio fenicio Ba’al “Signore” (VENNEMANN 2003: 448-449), successi-vamente esteso a Freyr per Lehnübersetzung (VENNEMANN 2006: 714-715). Ilprimo avrebbe preceduto la Mutazione Consonantica Germanica e il passag-gio */å/ > */ø/ (*Bål- > *Pol > Phol), mentre il secondo sarebbe entrato suc-cessivamente nella forma *Baldir (< Baliddir < B’L ’DR scil.: Ba’l Addir“Signore Onnipotente”). Nella forma Pholo tuttavia (con affricata iniziale!),gli effetti della Mutazione Consonantica Alto Tedesca, sarebbero stati inrealtà artatamente applicati dallo scriba per rendere ‘alto tedesca’ una formanominale basso tedesca (445).

Si potrebbe pensare a S. Paolo, figura rappresentata ancora nelfolklore moderno (Pôl/Paul), in formule basso tedesche contro peste einfezioni, rigonfiamenti, pustole e gotta (BÄCHTOLD-STÄUBLI, HOFF-

60 Gleti “gioia”, heiÌni “paganesimo”, helgi “santità”, hyggiandi “intellet-to”, NORÉEN (1884): 281-282.

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MANN-KRAYER 1927-1942 VII: 16) e presente nel più antico esempiodi incantesimo tedesco contro l’epilessia (sec. 11°). Qui in MZ-2 sem-brerebbe rivestire il ruolo di riunificatore di arterie e vene (spezzate?),funzione non del tutto pertinente col senso dell’incantesimo, ma il suoaccostamento a Uuodan è implausibile, oltre al fatto che si tratterebbedi un’attestazione addirittura precedente a quella di S. Pietro, di granlunga più presente nel patrimonio dei rituali di incantamento, anchesul piano cronologico.

Nel quadro che si va delineando, mi sembra tuttavia molto piùplausibile che a slogarsi il piede sia Phol, divinità locale assurta al ran-go principale, che J. GRIMM (1842): 16 accosta a mat. Vâlant, Volant,ted. Volland, il quale identifica il diavolo a livello dialettale (tur.Fäl/Fahl). Viceversa GERING (1893a: 146-147; 1893b: 463-464, contraKAUFFMANN 1891: 208-209), sulla base delle concordanze grafico-fo-netiche, non esclude che tale nome possa rappresentare Apollo61 (concaduta dell’iniziale atona) in una forma tedesco superiore infiltratasi anord della linea tra Meno e Turingia, particolarmente impermeabile anomi in ph-. Comunque sia, non esistono gli estremi per identificarlocon un inesistente cavallo originario (frutto di un malinteso linguisticodel monaco che ha inserito il testo di MZ-2). ‹Balderes› mi sembra unelemento ridondante, metricamente ininfluente, aggiunto posterior-mente da un copista informato di miti nordici per la presenza dellamadre Friia/Frigg e della servitrice Volla/Fulla, vista e consideratal’assenza di un culto di Baldr e di un omonimo appellativo per “signo-re” in area continentale, comparabile al bealdor anglosassone. Il nomedel cavallo di Baldr è peraltro ignoto: dalla lista di Gylfaginning, 15 sipotrebbe supporre Glenr, “(il) luminoso”, ma Snorri62 e le altre fontisono misteriosamente reticenti, dando probabilmente ragione a LIE-BERMAN (2004: 40), il quale sulla scorta dei contributi di A. Kuhn e al-tri ipotizza come l’animale sacro al dio possa essere in realtà un cervo,dai noti parallelismi con i culti solari.

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61 La possibilità di ‘adozioni’ esterne in campo religioso è ampiamente atte-stata per i Germani occidentali, cfr. Mercurius Hanninis, M. Leudisianus, HerculesMagusanus, Mars HalamarÌus, BATTAGLIA (2007).

62 In Gylfaginning 15, il catalogo dei cavalli ne nomina 11 su 12.

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In MZ-2 sembrano confluire almeno due tradizioni: nella pri-ma parte (fino a uuoz birenkit) riaffiora il tipico motivo dell’incontrodivino (si veda la più tarda Incantacio contra equorum), mentre la se-conda parte (da sose alla fine) si riallaccia a una formula indoeuropeadi antica data63. I versi hanno una struttura allitterante piuttosto omo-genea, dalla quale nel primo verso è addirittura escluso – in apparenzainspiegabilmente – ‹Uuodan›/*WøÌanaz, la divinità più celebrata daiGermani. Dei 6 nomi propri citati nell’incantesimo (senza considerare‹balder-›), tre ricorrono nella mitologia nordica, oltre a Sunna, intesatuttavia non come variante di an. Sól (il Sole), ma come l’astratto an.Syn64 e dunque collegata alla sfera del diritto. Altri due – Phol e*Sinthgunt65 – compaiono soltanto in questo documento. Nel caso di*Sinthgunt, il dato onomastico allude anche qui a inattesi echi nordici,con un classico bimembre tipico di Valchirie, le quali – vale la pena diricordare – non sono ignare di arti medico-magiche, almeno stando al-la dibattuta Sigrdífumál, 1166.

Ci si chiede la ragione di una simile compartecipazione di divi-nità precristiane in un ambiente come quello tedesco, nel quale il Cri-stianesimo fu imposto con tale veemenza da oscurare l’ingombranteWuotanestac, come ribadito dall’esplicita formula di abrenuntiatio an-tico sassone. In questo senso, mi pare indicativo che la tradizione piùtarda di questo incantesimo di ampia diffusione conosca sì un numero

63 Dalla formula magica recitata per riattaccare la mano al mitico re celticoNuadu agli incantesimi scozzesi della fine dell’Ottocento, dal mondo balto-slavo alKalevala e all’ormai ‘classica’ tradizione sciamanica finnica ed estone, KUHN (1864):50, 150-154, KÖDDERIZTSCH (1974): 46-52.

64 “Sentenza”, (“dimostrazione di una) colpa”, aat. suntea, sunna < *sun-jø-,*sunÌj-, got. sunjo “verità” vs. ingl. sin, ted. Sünde.

65 Nella definizione dell’incerta etimologia, accanto alla più convincenteidentità con un nome di valchiria (*sinπ¥/-ijø “sentiero, viaggio, spedizione” e -gunπ¥“battaglia”), BRATE (1919): 291 ha proposto di interpretare il secondo membro comeun p. pass. del verbo gån, nel significato di “colei che percorre sentieri”.

66 Limrúnar scaltu kunna ef tú vilt læcnir vera/ oc kunna sár at siá, “Rune diriunificazione (di guarigione) devi conoscere se vuoi essere medico/ e saper ricono-scere le ferite (scil.: malattie)”, KUHN, NECKEL (1983) I: 192; cfr. inoltre Hávamál,147 e i Gesta di Saxo (III, iv, 5-7) su Othinus che si finge vecchia guaritrice, OLRIK,RÆDER (1931): 71-72.

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variabile di protagonisti (Cristo, S. Stefano o S. Pietro, S. Martino, S.Mattia, S. Giuseppe, Giobbe, la stessa Maria), mai riuniti però con-temporaneamente in tale numero.

Le indicazioni del folklore nordico – dirette e indirette (HUIS-MAN 1977: 3-8) – indicano un successo quasi senza eccezioni delle va-rianti con nomi cristiani dei protagonisti – Cristo e S. Pietro su tutti(MASSER 1972: 19), osservazione rafforzata dalla scoperta dell’incan-tesimo di Treviri – anche se più frequentemente Cristo è l’unico prota-gonista:

Jesus here hand paa biergett red; Jesus op paa Bjærget red,hans fouell foed sig vred. hans ene Fod af Leddet vred67.(Danimarca, OHRT 1917: 133) (Danimarca, OHRT 1917: 141)

Jesus og St. Peder over Bjergene red, St. Peder og vor Herre di ned ad Bjerget red,saa faldt Folen og vrengede Foden sin. St. Peder sin Fod forvred68.(Norvegia, BANG 1902: 2) (Danimarca, OHRT 1917: 140)

Sankte Per och Vår Herre Jesus reed sig til hede,de gingo på en väg, da reed han sönder sit folebeen69.å fick sankte Per senebräck.(Norvegia, fonte ignota, KUHN 1864: 51) (Svezia, CHRISTIANSEN 1914: 50)

Jesus op ad Bierget red; Jesus reed sig til heede,der vred han sin Fod af Led. der reed han syndt sit folebeen;(Danimarca, KUHN 1864: 52)70 (Danimarca, KUHN 1864: 52)71

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67 “Il Signore Gesù cavalcava per la montagna; “Gesù cavalcava per la montagna;la zampa del suo cavallo si slogò”. il piede gli si slogò dalla gamba”.

68 “Gesù e S. Pietro cavalcavano per le montagne; “S. Pietro e Nostro Signore cavalcava-no giù per la montagna;

allora il cavallo cadde e si slogò la zampa”. S. Pietro si slogò la gamba”.69 “S. Pietro e Nostro Signore “Gesù cavalcava verso la brughiera,

giunsero su un sentiero, e si ruppe la zampa al cavallo”.e S. Pietro si ruppe i tendini”.

70 Fonte: THIELE, Just M.: Den danske almuesovertroiske Meninger, Dan-marks Folkesagn III, 124. 125, Kjøbenhavn, Thiele, 1860: nr. 530; “Gesù cavalcavaper la montagna/ il piede gli si slogò dalla gamba”.

71 Fonte: NYERUP, Rasmus: Almindelig morskabslæsning i Danmark og Nor-ge, Kjøbenhavn, Thiele, 1816: 201; “Gesù cavalcava verso la brughiera/ e si ruppe lazampa al cavallo”.

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Oden står på berget, Oden rider öfver sten och bärghan spörger efter sin fole, han rider sin häst ‹…›floget har han fått. “Ur vred och i Led! Ur olag och i lag”72.(Svezia, fonte ignota, KUHN 1864: 53) (Svezia, GENZMER 1948: 61, cit. BUGGE 1889)

The Lord rade, Our Lord rade,And the foal slade; His foal’s foot slade;(Scozia, KUHN 1864: 53)73 (Shetland, KUHN 1864: 54)74

Our Savior rade,His fore-foot slade;(Orcadi, FOTHERINGHAM 1854: 220-221)75

Christ went out Bride [scil.: S. Brigida] went outin the morning early, In the morning early,he found the legs of the horses With a pair of horses;in fragment soft One broke his leghe put marrow to marrow, etc… With much ado(Highlands scozzesi, (Scozia, CARMICHAEL 1928 II: 18-19)HULL 1910: 437-438)76

Odin reed te bossewaard Jozef reed Egyptewaarden hij reed zijn veulens been in tween en reed den ezels been in tween77

(Fiandre, HUISMAN 1977: 2) (Fiandre, HUISMAN 1977: 5)

Nel labirinto del secondo incantesimo di Merseburgo sono

72 “Odino sta sulla montagna, “Odino cavalca su sassi e montagne e chiede del suo cavallo, cavalca il suo cavallo ‹…›,ha subito un colpo”. “Sanata la slogatura! Composta la frattura!”.

73 Fonte: BLACK, G. F. (collected by), THOMAS, N. W. (edited by): CountyFolk-Lore, vol. 3: Examples of Printed Folk-Lore Concerning the Orkney & ShetlandIslands, London, Folk-Lore Society, 1903: 144.

74 Fonte: CHAMBERS (1842): 37.75 Oor Savior rade, /His fore-foot slade; /Our Savior lichtit down. /Sinew to

sinew, vein to vein, /Joint to joint, and bane to bane, /Mend thoo in Geud’s name!.76 Fonte: Carmina Gaedelica II: 21, 14, 19; MACKENZIE, W.: “Gaelic Incan-

tations, Charms and Blessings of the Hebrides”, in Trans. of the Gaelic Soc. of Inver-ness, 1892.77 “Odino cavalcava verso il bosco “Giuseppe cavalcava verso l’Egitto

la zampa del cavallo si ruppe in due”. e la zampa dell’asino si ruppe in due”.

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convinto che si debba contemplare l’idea di avere a che fare con un te-sto decisamente manipolato

a. nella lista di nomi inseriti in successione nella litania thu bi-guolen…, divinità femminili che compiono atti introduttivi,conclusi con il canto magico risolutorio di Uuodan78;

b. nella successiva sequenza numerica sose … sose … sose … enelle formule ben zi bena, bluot zi bluoda, lid zi geliden, delsesto e settimo rigo, due versi fortemente sospetti di omologa-zione, p.es. nei due ridondanti sinonimi benrenki e lidirenki

opera di scribi o di altri esperti di scrittura (studenti di medicina?) chericonoscevano in quei nomi ormai semi-sconosciuti e privi di una pro-pria autonomia un valore positivo e benevolo, addirittura apotropaico,ai quali concedere un posto fisso nelle formule, ordinati in sequenza.Sequenze numeriche (crescenti o decrescenti) di nomi divini, di malat-tie o di azioni costituiscono peraltro un fenomeno noto ai primordidella medicina pre-salernitana di area germanica, senza che per questosi debba parlare a tutti i costi di radicate pratiche pagane (ROPER 2003:31-32, CAMERON 1988: 191-194): in questo testo sono presenti tregruppi di divinità (Sinhtgunt, Sunna/ Friia, Uolla/ Uuodan) che recita-no ognuna uno scongiuro (thu biguol en… thu biguol en… thu biguolen), che a sua volta risana tre patologie (benrenki, bluotrenki,lidirenki) attraverso un rimedio verbale indirizzato a tre parti del corpo(ben, bluot, lid).

Certo, la mancanza di un titolo, di una terminologia latina e laredazione in volgare sono elementi che parlano in favore di arcaismicome altresì di un gusto antiquario e compiaciuto, frutto di rielabora-zioni sempre più autonome dai modelli originari; se Uuodan può ‘in-tonare’ parole propizie è per via del suo valore fortemente svuotato diinsidiose riminescenze, considerato che ormai dal 6° secolo Gesù Cri-

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78 So he uuola conda… e sose gelimida sin possono considerarsi due semi-versi riempitivi, peraltro corretti, aggiunti in seguito da colui che trascrisse le formu-le.

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sto è il principale artefice di guarigioni nell’Europa continentale. Inquesto senso, non vedo disomogeneità tra le attestazioni odiniche chevanno da MZ-2 e dall’Incantesimo delle Nove Erbe anglosassone finoagli ultimi relitti citati delle Orcadi e del Wiltshire, senza dimenticareil bislacco ma eloquente parallelismo di Dio, Odino e Loki in unoscongiuro ‘analgesico’ di fine Ottocento79. Non è possibile dimostrarese l’intenzione fosse di confezionare un falso o un talismano, ancheper l’estrema difficoltà di seguire gli spostamenti di un manoscrittocontenente incantesimi (quasi sempre attestati in codex unicus), maciò non autorizza a confermare l’esistenza di documenti pagani auto-nomi in testi del sec. 10°, come già ribadito da GRIMM (1865) II: 22.

* * *

Per tutte queste ragioni non mi sembra casuale che MZ-1/2 de-rivino proprio da Fulda (BISCHOFF 1971: 111, SCHWAB 1994: 555) am-biente militante quanto ricettivo. Fondazione anglosassone e avampo-sto della cristianizzazione del nord, Fulda rappresenta una delle sedi dimaggiore impatto e conoscenza delle culture tradizionali germanichein via di assorbimento. È il luogo che verosimilmente ha restituitoun’opera come l’Abecedarium Nord(mannicum), intrisa di cultura tra-dizionale e di procedure mnemotecniche proto-scrittorie non distacca-te dall’esercizio dell’arte poetica; era una delle realtà più direttamenteinformate sull’immaginario religioso dei popoli settentrionali e sede diuna delle biblioteche principali nei territori del regno franco. È da rite-nere che Fulda fosse il luogo nel quale si concentravano molte delleinformazioni su dèi e idoli delle popolazioni del centro-nord80 e pro-prio qui ha operato l’estensore dei due incantesimi, inserendo a norma

79 Father, Son and Holy Ghost, /Nail the devil to this post; /With this mell[scil.: martello] I thrice do knock /One for God, and one for Wod and one for Lok(Lincolnshire), PHILIPPSON (1929): 153.

80 Si ricordi la già citata presenza di una formula battesimale franca, nel me-desimo manoscritto di MZ-1/2, con la consueta abiura contro spiriti maligni/diabolici(unholdun) e le male opere di questi.

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metrica – per quanto supponeva di avere capito nel più ‘accessibile’MZ-2 – nomi antichi, noti e meno noti, per completare o rendere piùesotico un testo che ricordava taluni rimedi verbali cristiani e che nelsuo antefatto mitico sembra riallacciarsi in definitiva al viaggio a dor-so d’asino di Cristo a Gerusalemme. Nel primo incantesimo forse nonvi erano più elementi di riferimento per riconoscerne una eventualematrice medica e il ruolo dello scriba potrebbe essere stato quello diaggiungere l’ultimo verso allitterante e rimato (insprinc haptbanduninuar uigandun, “liberati dai vincoli, fuggi dal nemico”), interpretan-do militarmente un testo che, se non mediato da una lettura allegoricadi probabile tradizione anglosassone, potrebbe avere avuto un riscon-tro in alcune patologie. Resta il fatto che, con l’unica eccezione di unmanoscritto biblico (il lussemburghese BN, Ms. IV A 264), Merseburg136 [olim 58] è l’unico caso noto di un inserimento di incantesimi –seppur tardivo e non contemplato nel disegno originario – in un codiceliturgico.

Parlando di Medioevo, declinato in senso di quotidianità, oc-corre fare attenzione a non cadere nella trappola insidiosa di etichettequali ‘pagano’ vs ‘cristiano’ (care alla tradizione penitenziale) per in-dicare riti e credenze sfumate variamente radicati in un contesto di re-ligiosità ‘popolare’; una religiosità che mai avrebbe percepito se stes-sa al di fuori della Cristianità, priva come era delle connotazioni es-senziali per chiamare in causa una Kontinuitätsbewußtsein: “La théo-rie des «survivances» du paganisme devient caduque: rien n’est «sur-véçu» dans una culture, tout est veçu ou n’est pas. Une croyance ou unrite ne sont pas la combination de reliquats et d’innovations hétérogè-nes, mais une experience n’ayant de sens que dans sa cohésion présen-te” (SCHMITT 1976: 946).

Le analogie tra mito e medicina alto medievali si comprendonoalla luce dei tentativi di spiegare fenomeni esterni altrimenti inspiega-bili, ma le tracce di magia che in questo periodo inevitabilmente affio-rano in testi di argomento medico e in una certa misura ‘laici’ si ac-compagnano spesso a un preciso interesse e in taluni casi all’attenta ri-scrittura della tradizione medicale greco-romana. Questa si rinvienenell’Inghilterra anglosassone già a partire dal sec. 8° (per tacere della

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ricca tradizione successiva, CAMERON 1983 e 1988, D’ARONCO 2005 e2007), sia in lavori specifici sia in raccolte miscellanee come il ms.Corpus Christi College 41 di Cambridge81. In area alto tedesca si se-gnalano codici a carattere medico-pragmatico o scolastico, che regi-strano in assoluto la maggioranza di incantesimi e scongiuri di naturamedica, inseriti coerentemente accanto a ricette o regole dietetiche oopere computistiche, come nel caso di Paris, BN nouv. acq. lat. 229(nr. 28, HELLEGARDT 1997: 17, 36-38), mentre la recitazione di incan-tesimi è contemplata ancora nel Subtilitates diversarum naturarumcreaturarum libri novem di Hildegard von Bingen (MIGNE 1855: coll.1117-1352).

Questo materiale tradizionale è l’espressione di atti ritualiperformativi talvolta di antica origine in parte assimilabili, per finalità,ad analoghi atti d’impronta cristiana. L’incontro con la scrittura e l’i-nevitabile ordinamento seriale relativo – accanto a ricette e benedizio-ni cristiane – ne decretò la trasformazione in prodotti letterari di anti-quariato nella cornice ideologica dell’evangelizzazione più profonda,tutta tesa a contendere spazi di azione (culto dei defunti, sacralizzazio-ne dell’unione matrimoniale e sue ricadute sociali, ‘medicina’ empiri-ca,…) a una religiosità di tipo ‘popolare’. Tali rielaborazioni subironodestini diversi, trascritte generalmente in sequenze senza particolariprerogative di applicazione oppure, nel caso di registrazione su vettoriper lo più (ma non necessariamente) diversi dalla pergamena, trasfor-mate in oggetti per se, talismani dai poteri apotropaici, come p.es. cer-te opere devozionali del mondo celtico o come FULLER (1980), intendele invocazioni di MZ-1/2. Nel riconoscere la qualità ‘netta’ del ductusdei due incantesimi di Merseburgo, STUART, WALLA (1987: 76-79)hanno senz’altro ragione, ma siamo davvero così sicuri che lo scribaabbia copiato direttamente da una fonte scritta? e di quanto preceden-te? e perché in una lingua così densa di spie linguistiche controverse?

81 Con una traduzione della Historia di Beda e una serie di marginalia in la-tino e in volgare: Solomon and Saturn e altra documentazione metrica, materiale li-turgico, alcune omelie e una mezza dozzina di incantesimi, ivi comprese tracce di lo-ricae gaeliche e la celebre formula palindroma SATOR AREPO.

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Ma queste sono ulteriori domande che si affollano intorno a un temadestinato a restare ancora senza pace.

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ZENDER (1987) = Zender, Matthias: “Die Verehrung von drei heiligen Frauen im chri-stlichen Mitteleuropa”, in Bauchhenß, Gerhard, Neumann, Günther (hg.von): Matronen und verwandte Gottheiten. Ergebnisse e. Kolloquiums ver-anst. von d. Göttinger Akad. […] – Beihefte der Bonner Jahrbücher Bd. 44,Köln, Rheinland Verlag: 213-228.

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