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Giorgio La Pira, la Colomba e l'Angelo

May 02, 2023

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rosa morelli
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Rosa Morelli

GiorGio la pira,la colombae l’anGelo

Il tutto nel frammento

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Giorgio La Pira, la colomba e l’angelo

di Rosa Morelli

Progetto grafico e impaginazione:EptaLab - Servizi editoriali & letterariwww.eptalab.it

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La “colomba”: come un’introduzione

«Mentre voi dormite tra gli ovilisplendono d’argento le ali della colomba

le sue piume di riflessi d’oro»(Ps 68, 14).

Giorgio La Pira in tutta la sua vita, pensiero e azione ha posto al centro il mistero della per-sona umana.

Seguendo la scuola Tommaso d’Aquino, di Mounier e di Maritain, per il sindaco di Firen-ze l’uomo, in tutte le sue dimensioni, deve es-sere il punto di partenza e il punto di arrivo di ogni atto politico. Egli assume il termine ‘politi-ca’ nella sua accezione più alta e più nobile e lo coniuga con la grande tradizione del magistero sociale della Chiesa; per La Pira risulta impen-sabile qualsivoglia operazione nel politico scissa dal suo autentico senso e fine: il bene comune.

La guerra è perciò il ‘luogo’ in cui la persona umana e il senso di una verace azione politica

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subiscono il più atroce dei tradimenti e nessuna pace potrà mai porvi riparo. La guerra risponde ad interessi di parte, interessi miopi, perché non guardano al futuro, vincolati come sono dalla logica del profitto che nulla garantisce; interessi con una visuale parziale, provvisti di un campo visivo sempre più ristretto, una vera malattia dello spirito.

La pubblicazione della Pacem in terris di Gio-vanni XXIII, fu per La Pira la conferma che non la Pace è utopia, sogno, bensì la guerra è vera utopia intramondana: oppio dei popoli. La Pace è realtà esistenziale, non ingenua assenza di guer-ra; e la Pace è quella che solo Cristo può dare e dà, veramente, agli uomini di buona volontà.

I suoi Colloqui Mediterranei nacquero con questo intento, poiché, con spirito profetico, av-vertiva che grande era il problema del Medio – Oriente. Qui doveva e deve trattarsi la Pace o si infiammerà il mondo. Nel Convegno di Caglia-ri del 1973, avverte che il problema emergente nella crisi arabo – israeliano è quello palestinese e il 22 settembre del 1977, pur assente per le gra-vi condizioni di salute, invia un messaggio in cui ripropone quella che definisce la speranza di

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Abramo, capace di trasformare il Mediterraneo nel lago di Tiberiade.

La colomba conosce una simbologia ricca e compiuta, nella sua complessità, in tutta la tra-dizione giudaico – cristiana. La Pira li assume tutti: è il giusto, è l’anima innamorata di Dio, è il testimone della Pace e dell’Alleanza tra Dio e il popolo. Come nel Salmo 68, la colomba è argen-tea: luce pacata privo di scintillii, che nasconde, a coloro che temono la luce abbagliante di Dio, lo splendore dell’oro; argento simile alla carne che vela e rivela la natura divina del Figlio. È la Chie-sa pellegrinante nella storia, tra i tempi, scanditi dalla prima e dalla seconda venuta di Cristo nel-la Gloria; è simbolo dell’uomo dello Spirito.

Nel Salmo 60 i giusti si rallegrano, il Signore annunzia una notizia, e la colomba, con la forza del pensiero simbolico, sintetizza quanto nella storia accade: «Fuggono i re, fuggono gli eser-citi, / anche le donne si dividono il bottino. / Mentre voi dormite tra gli ovili, / splendono d’argento le ali della colomba / le sue piume di riflessi d’oro» (Ps 68, 12-14).

La profezia di un mondo rappacificato, sia pur tra le vie di una storia in cui operano forze

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avverse, si realizza e continuerà a realizzarsi: ‘Lasciatemi morire con questo sogno’: scriveva nel messaggio inviato al Convegno del 1977. Il 5 novembre muore e la colomba ne sarà il simbo-lo che meglio lo rappresenta.

Questo volumetto nasce quasi per caso ed è dedicato a questo gigante del Novecento. Insieme alla sua spiritualità, una meditazione sull’Annunciazione del Beato Angelico, quella che è nel Convento domenicano di San Marco, quel Convento dove sono anche le spoglie mor-tali di Giorgio La Pira.

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Giorgio La Pira e il Beato Angelico

Un punto fermo della storia e nella storia è raffigurato nell’Annunciazione del Beato Angeli-co. I colori splendidi e i tratti soavi dei protago-nisti generano nell’osservatore la sensazione di un attimo che si dilata ad abbracciare il passato e il futuro.

La spiritualità di Giorgio La Pira trova in questo dipinto una spiegazione, un’illumina-zione di grande forza e impatto perché è qui, nell’evento che l’Angelico dipinge, che va ricer-cato il senso profondo della storia su cui il sin-daco di Firenze ritorna continuamente.

La Pira ritiene la storia un libro sacro, l’altro è la Bibbia. Con passione e oggettività egli legge l’uno e l’altro coniugando la sua spiritualità con l’oggettività dei fatti storici.

Terziario domenicano, oltre che francescano, spesso trascorre le giornate della sua vita nel Con-vento di San Marco, a Firenze. Nelle celle, affresca-te dal Beato Angelico, il sindaco si lascia avvolgere ed ispirare dai dipinti di questo artista che, come

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lui, ha legato il frammento della sua esistenza con l’Eternità del Dio di Gesù Cristo. L’ispirazione, spirituale ed artistica, che ha fatto germogliare i dipinti dell’Angelico pittore, La Pira la sente, la sperimenta presente nella sua storia e nella storia universale. Se l’ispirazione artistica, quella auten-tica – non adulterata dalle logiche del mercato – è, qual è, opera dello Spirito Santo, l’artista muove il suo pennello spinto e guidato da questa interiore illuminazione. Per Cristo, nello Spirito, al Padre egli innalza la sua lode attraverso le linee e le cur-ve del suo disegno, attraverso l’utilizzo del colore, attraverso quell’armonia, che non è solo un calco-lo geometrico – matematico - delle forme, bensì è l’armonia di un’umanità riconciliata.

I dipinti del Beato Angelico giungono all’os-servatore attraverso lo sguardo e vengono accol-ti, e questo vale sempre nell’autentica arte, dagli occhi dello spirito sicché l’osservatore desidera ritornare a contemplarli. Elaborati nell’interio-rità della sua persona, egli scopre e legge altre cose, percepite, forse non direttamente colte; altre cose che lo spingono a ritornare a quell’e-splosione di bellezza che gli racconta di un’altra e più profonda Bellezza.

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L’Annunciazione del convento di San Mar-co conosce un fascino d’attrazione particolare. Non ha i colori squillanti e puri di quella che è ora al Prado, né quelli della pala di Cortona, ma il dialogo silenzioso tra l’Arcangelo Gabriele e la Vergine, ha un’intensità che impone il racco-glimento.

Tra le arcate rinascimentali, circondati da un giardino verdeggiante e fiorito, i due protagoni-sti sono impegnati in un dialogo da cui la sto-ria tutta dipende. La Vergine, seduta su di uno sgabello di legno, ha sulle spalle un manto che, ampio e avvolgente, le copre le spalle e, in mor-bidi ed eleganti drappeggi, poggia sulle gambe. Il volto, un bell’ovale dai lineamenti fini ed ele-ganti, è incorniciato dai biondi capelli raccolti in un’acconciatura simile a quella delle donne del tempo dell’Angelico. Le belle mani affusolate si incrociano sul petto nel gesto del saluto, dell’a-scolto e dell’accoglienza. L’Arcangelo, elegan-tissimo, con ali di paradiso, nei colori brillanti e vivaci del piumaggio, inchina il busto e la testa: omaggio alla Piena di Grazia.

I gesti sono contenuti, essenziali e laco-nici: tutto l’impianto della scena rimanda al

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raccoglimento; tanta essenzialità genera però un incredibile dinamismo messo in moto dal dialogo silenzioso degli occhi, dai gesti delle mani, dall’inclinare in avanti del volto di Ma-ria, dall’inchino impercettibile del messaggero angelico.

Una finestrella a destra si affaccia su un altro scorcio del giardino lasciando intravedere il ver-de degli alberi e la lussureggiante vegetazione.

Il saluto dell’Angelo trova Maria sola e im-mersa nella contemplazione del mistero di quel Dio che è il Re di Israele. Dio dei Padri, di Isacco e di Giacobbe, Dio della promessa: Dio fedele (Cf. Es 3, 6).

Di lei non sappiamo nulla, non sappiamo chi sia, non conosciamo il suo passato1. Tutta la sua vita gravita intorno al quel “sì” che conferisce senso e forma a tutta la sua storia, che «da qui si dispiega sia a ritroso che in avanti»2.

Maria è cresciuta come il suo popolo nell’at-tesa, ha respirato il Mistero che avvolge Israele da sempre. Figlia fedele della sua gente, docile

1 Cf. A. von SPEYR, L’Ancella del Signore. Maria, Jaca Book, Milano 2001, 7ss..

2 Ibi.

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e obbediente alla famiglia da cui proviene, vive come i poveri di Jahve: coloro che non si aspet-tano nulla da alcuno se non da Dio.

Sente, Maria, di essere la via scelta da quel Dio - tanto vicino e tanto trascendente – per re-alizzare la promessa? Sente, l’umile vergine di Nazaret, di essere uno strumento privilegiato nelle mani di Colui che tutto può?

Il futuro è per lei incerto, come per tante ra-gazze del suo e di tutti i tempi; obbediente alla torah, vive nell’ascolto e nell’attesa prudente. La meditazione sulle domande che affiorano e la speranza nel Dio dei Padri, la rendono aperta e disponibile alle richieste del padre che deside-ra per lei che la volontà di Dio venga rispettata, perché grande sia la gioia di quella figlia ricevu-ta come un dono inatteso. Tra le richieste: sposa-re Giuseppe, un uomo giusto, che Maria impara ad amare e rispettare mentre attende l’anno che la separa dalla vita coniugale.

È bello pensare a Maria come ad una spo-sa che si prepara alle nozze; è bello perché la sua figura assume, in questi preparativi, quella concretezza tutta biblica delle donne di Israele e delle giovani donne di tutti i tempi. Ma l’impe-

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gno preso con il suo sposo, non le fa dimentica-re la sua autentica natura di vergine sapiente e prudente: nulla intacca la sua casta femminilità.

Tutta la postura della Vergine e il volto co-noscono un’espressività che rivela un’intensa e estatica contemplazione. Sola, giovane e in pre-ghiera è avvolta, completamente avvolta, dal Mistero. Il passo al quale si avvicina è intessuto con lo stupore contemplativo che è nei cuori di coloro che si fidano solo di Dio. Il silenzio che promana è sottolineatura di questo Mistero in cui natura umana e volontà divina vivono in-dissolubilmente uniti. Ed è da questo silenzio che emerge il dialogo con il messaggero celeste: «Ha vissuto in un atteggiamento di preghiera ed n virtù di questa sua vita nel momento de-cisivo si trova quindi in condizione di poter ve-dere l’Angelo che viene presso di lei e di ubbi-dirgli». La venuta dell’Angelo è la risposta alle sue preghiere, non perché abbia pregato per la sua venuta; la sua preghiera è la disponibilità assoluta ad una missione a lei ancora sconosciu-ta: «disponibilità verso la missione che Dio può affidarle come e quando desidera»3.

3 Ibi.

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L’Angelo si inchina: un movimento lieve ed armonico che si percepisce osservando le due figure. Il saluto alla Piena di Grazia aumenta la profonda concentrazione della Vergine di Naza-reth. Agli antipodi della ponderata e sciagurata scelta dei Progenitori, avvelenata dal seme della discordia che il serpente ha, sottilmente e abil-mente, iniettato, il suo «sì» è immediato e senza riserve: nessuna esitazione. Non ha bisogno di ripensare o confrontarsi con alcuno. L’appari-zione «ha il carattere dell’assolutezza, è una ri-sposta univoca alla sua fede»4. E l’Angelo, senza presentarsi, può iniziare subito con il suo salu-to: «Ave, piena di Grazia». Non ha dubbi l’An-gelo: il “sì” è gia pronunciato: il suo contegno, la sua costante preghiera, la sua obbedienza e disponibilità sono già il “sì” che attende il mon-do, perciò l’Angelo può continuare: «Il Signore è con te!».

Maria non lo ha ancora concepito e tuttavia il Signore è già presso di lei.

Quando, nel giardino delle origini, il deside-rio di Dio di donare alla sua creatura, di poco

4 Ib. , 26.

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inferiore agli angeli ma coronato di Gloria e di onore (Cf. Ps 8, 6- 7), la vita eterna – dolcezza senza fine alla Sua presenza (Cf. Ps 15, 11) – co-lui che, bugiardo e assassino fin dal principio (Cf. Gv 8, 44), odia Dio e odia l’uomo, insinuò, in un dialogo all’apparenza innocente (cf. Gen 3 ), un’imperfezione nell’amore del Dio che è Amore (cf.1 Gv 4, 8. 16).

Ma imperfetti sono i piani del nemico, im-perfetti, perché privo della capacità d’amare.

Il Dio biblico, rivelato dall’immagine dell’a-gnello immolato ancor prima della fondazione del mondo, precede tutto: Dio ama per primo.

Nella prospettiva dell’agnello immolato, ogni azione di Dio è atto di benevolenza che an-ticipa e soccorre le mancanze delle sue creature. Ma, ancor più: è amore pronto a soffrire, ancor prima della fondazione del mondo, per loro e con loro. I Progenitori, che si allontanano nella terra di triboli e spine, accecati dalla loro pre – sunzione non hanno scorto quel Volto; le pre-occupazioni quotidiane e una prudenza mera-mente umana, hanno allontanato la loro storia da chi solo può trasformare i giorni nel giorno in cui non c’è più notte; lontani da quel Volto,

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che si rivelerà, nonostante le manchevolezze dell’uomo, nella pienezza del tempo (Gal 3, 3ss), nel Volto sfigurato del Crocifisso, nelle piaghe del Risorto, conducono la loro storia nel sudore della fronte e nei dolori del parto, nell’angoscia di un non – senso dell’esistenza che sembra cor-rere verso un’unica certezza: la morte.

E così cresce il fascino del potere, che gonfia il petto di veri o presunti condottieri e la storia sembra svuotarsi sempre più di senso.

La storia ricomincia.Dopo aver ascoltato le parole dell’Angelo,

Maria diventa inquieta: è preoccupata perché si sente attribuire un titolo che mai aveva pensa-to per sé. La sua umiltà è così innata che quasi si intimorisce. Rifiutare equivarrebbe ad una disobbedienza contraria alla sua obbedienza e disponibilità; la sua umiltà la piega subito al volere del Signore, però è inquieta. Il suo “sì” è assoluto, ma la missione supera ogni pensiero; un’inquietudine concretamente umana in cui è nascosta «l’accettazione di ogni preoccupazione, di tutte le preoccupazioni che verranno, siano esse di natura umana o divina». Ma Dio non

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lascia che pronunci il suo “sì” presa da tali pre-occupazioni «e consente all’Angelo di tranquil-lizzarla […] Ha prodotto agitazione nella Madre con i caratteri della divinità» ora può svolgere la sua missione con i caratteri dell’umanità». Le presenta la concatenazione tra il divino , «nella sua incomprensibilità, e l’umano, a lei noto […] le illustra la storia dei suoi antenati come si in-dicherebbero a una nobile i suoi avi […] A Ma-ria viene chiesto qualcosa di superiore che non comporta la dissoluzione, bensì il compimento della sua stirpe. Suo Figlio siederà infatti sul trono di Davide, suo padre, regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe ed il suo regno non avrà mai fine»5.

L’Angelo così, consola ed aiuta, come un amico, senza rinnegare quanto di celeste è nella sue parole e «nel mezzo della sua spiegazione mostra nuovamente l’aspetto divino richiaman-dosi all’adombramento per opera dello Spirito Santo»6.

Sulla destra una finestrella si affaccia su un altro angolo del giardino, lasciandolo intrave-

5 Ib. , 28.6 Ibi.

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dere nei fiori rigogliosi e nella verzura, come quello che incornicia il dialogo della Vergine con Gabriele: il giardino, sospeso in un’eterni-tà che è Grazia, partecipa all’incontro dal quale tutto riprende a scorrere.

Maria è tutta Luce, si placa la sua persona-le irrequietezza perché ha compreso che Dio stesso si fa carico di tale inquietudine. L’Angelo ora può, dopo averle rivelato che in lei si con-clude l’attesa dell’Antica Alleanza, mostrarle il nuovo. La sua natura umana, il suo corpo, ri-chiamato dalle parole della Vergine, permettono all’Angelo, fatto di spirito, di elevarla, con tutto il suo corpo e la sua storia – che è la storia dei suoi antenati - alle altezze di Dio, al mandato del Padre il cui Figlio che deve venire, non sarà più Figlio di Davide ma Figlio di Dio, non natu-rale continuazione della storia dell’Antico Pat-to, ma il dono diretto del cielo, dell’Altissimo, dello Spirito Santo che discende ora su Maria.

Dopo che L’Angelo ha provveduto a far più grande Maria, la rassicura ancora una volta no-minando una parente a lei vicina. Così, i legami tra lei ed Elisabetta superano d’un balzo il le-game di sangue che viene sostituito da quanto

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Dio ha operato in entrambe. Maria non è perciò sola e può portare la sua missione confortata da questo parallelismo in cui quanto di inaudito Dio realizza nelle storie degli uomini, viene a rivelarsi: «Nessun uomo può infatti, completa-mente da solo, portare il peso di una missione divina, anche il più solitario riceve il dono di un “tu” nel corso della sua missione»7.

La Madre può quindi rispondere: “Ecco l’an-cella del Signore; avvenga di me secondo la tua parola”. L’inquietudine è stata questione di un attimo, l’Angelo ha dilatato la sua disponibilità: la sua obbedienza è cresciuta a tal punto da di-ventare una parte di ciò che è l’obbedienza del Figlio verso il Padre

Il “Sì” della Vergine, mette in moto il canto degli angeli. E in quel giardino l’eternità entra nel tempo: si fa tempo, storia; storia in un fram-mento piccolissimo che inverte il corso degli eventi trasformando il tempo in analogia dell’e-ternità che è Grazia.

La Pira lo ha compreso, lo ha scritto e ope-rato. Nel Natale del Signore ha trovato il punto

7 Cf. , Ib. , 29 - 31.

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fermo della speranza cristiana; nella Vergine il giusto punto di vista per contemplare il Mistero dell’Incarnazione Morte e Resurrezione del Fi-glio di Dio. Ha compreso quanta forza e quanta speranza dà questa conoscenza, l’unica in grado di cambiare il mondo dall’interno.

Con un lavoro costante e con l’ostinazione della vedova di evangelica memoria, ha ope-rato per superare le tempeste della storia, con l’occhio e il cuore fissi su quel Dio piccolo, quel neonato che si muove con l’incantevole impac-cio dei lattanti, che muove le manine come tutti i bimbi del mondo e che è Dio, il Dio cristiano, l’unico capace di un tale atto d’amore.

La storia ricomincia. La finestrella sulla de-stra del dipinto è il futuro appena intravisto, il futuro di Dio, il futuro che è Dio.

L’Annunciazione è l’annuncio del bel tempo, perché domani sarà bel tempo, nonostante tut-to. “Fiorisce il mondo”: questo legge La Pira in questo dipinto, questo è il dono della Bellezza del Beato Angelico e la Speranza è il sugo denso della storia.

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Giorgio La Pira. Il Vangelo vivente

Tutti noi che siamo sotto la croce viviamo come scissi in noi stessi. Inginocchiati ai piedi di Colui che nel suo sangue ci ha riscattati, vivia-mo questo tempo come frattempo. Frattempo ecclesiale, cammino nella speranza di contem-plare quel Volto.

Non è facile parlare di Giorgio la Pira, della sua spiritualità: troppo grande è la sua perso-na, troppo ricca. La ricchezza e la conseguente difficoltà non vengono dalle cose che ha detto e ha fatto – peraltro di una forza e contempo-raneità straordinarie – ma da un elemento che più di tutto lo caratterizza: Giorgio la Pira nella sua vita terrena ha realizzato quella reductio ad unum, caratteristica principale dell’antropolo-gia del Medioevo, a cui invano aspirano le an-tropologie del secondo Novecento e di questo primo decennio del terzo millennio. Una re-ductio che non è, tout court, un equivoco: cioè quello di un uomo che si illude di poter vivere come nel Medioevo. Lui stesso ci mette sull’av-

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viso, rifiutando l’idea perché: «nella storia non si torna indietro»8.

La Pira sa che l’uomo contemporaneo non si muove nei confini rassicuranti dell’Impero e del Papato – rassicuranti nonostante le lotte per le investiture – né nel cielo ben ordinato delle stelle fisse. L’orto concluso del mondo medioevale non appartiene all’uomo contem-poraneo. Con realismo e autentica concretez-za scrive:

… se la nostra vocazione fosse totalmente contemplativa, la risposta sarebbe agevole: an-dremmo in un eremo, una trappa […] se fosse sacerdotale, la risposta sarebbe meno precisa […] Ma la nostra vocazione non è neanche sa-cerdotale: siamo dei laici, cioè delle creature inserite nel corpo sociale […] siamo padri di fa-miglia, insegnanti […] il nostro stato di vita ci fa non solo spettatori, ma necessariamente attori, dei più vasti drammi umani9.

8 G. La Pira, La nostra vocazione sociale, AVE, Roma 2004, 33.

9 Ib. , 42.

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La Pira ha fortissimo il senso della storia; la sua è una «storiografia del profondo» che impe-gna a leggere il tempo presente , con le sue anse, anse di un fiume che non torna indietro, con le sue profondità difficili da sondare, come un li-bro sacro. Due, infatti, sono per lui, i libri sacri da leggere: uno è quello del tempo presente, l’altro è la Bibbia «il libro che contiene la chiave dell’interpretazione storica», così ricorda Fioret-ta Mazzei, sua fedele collaboratrice e testimone di tanti momenti forti10.

Egli vive la storia come tempo di Grazia, luo-go in cui il Mistero dell’amore di Dio si rivela, nonostante le apparenze: «anche nel profondo della storia umana, così agitata nella superficie, vi sono delle grandi e misteriose correnti che trascinano […] verso l’unità e la pace»11.

Per lui il protagonista della storia è Dio, e se pur tutti collaborano alla storia, il signore di questa è inequivocabilmente: Dio. Egli legge

10 F. Mazzei, La Pira. Cose viste e ascoltate, Firen-ze 1967, 114.

11 G. La Pira, Il fondamento e il progetto di ogni speranza, AVE, Roma 1992, 375: il testo è del 1976, poco prima della morte.

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dappertutto la Sua azione, anche dove sembra che il mondo – come nella modernità occidenta-le – si sia sganciato dal cristianesimo: «Il Signo-re gioca con più carte, con quelli di casa e con quelli fuori casa»12.

È, allora, proprio da questa consapevolezza che l’impegno nel sociale prende l’avvio, perché se il Signore è colui che guida la storia eppur vero che al cristiano non è concesso stare a guar-dare:

Fratello che leggi, io ho bisogno di trattare con te, oggi, alcuni punti che concernono cer-ti lati essenziali della nostra vocazione cristia-na […]; noi siamo in questo mondo, anche se la grazia di Cristo ci ha sottratti al suo imperio; […] ma che significa: “Voi siete il sale della ter-ra? Voi siete la luce del mondo?” […] Signifi-ca che abbiamo una missione trasformante da compiere13.

Utopista? Profeta? Certamente il tempo di La Pira è il tempo del disgelo: il tempo del pon-

12 F. Mazzei, cit. , 114.13 G. La Pira, La nostra vocazione… , cit. , 41.

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tificato di Giovanni XXIII, di Paolo VI - due papi con cui tenne una stretta corrispondenza episto-lare -. Il tempo del Concilio Vaticano II che en-tusiasma il sindaco di Firenze perché quello che Pio XII ha iniziato lo vede realizzabile da Ange-lo Roncalli e dal Concilio; sente che la seconda profezia di Fatima e cioè la conversione della Russia, si realizzerà ad opera del Vaticano II:

Questa epoca nuova del mondo viene dav-vero rivelata e costruita dal Concilio: l’epoca “post-esilio”; l’epoca del “ritorno” d’Israele […]; l’epoca del ritorno dei popoli a Dio: l’epo-ca “post- marxista”: l’epoca, cioè, che chiude e quasi “sigilla” l’inverno storico ed apre la pri-mavera storica e l’estate storica della Chiesa e del mondo14.

Le sue ‘visioni’ lo spingono ad Oriente, perché comprende che è lì che si giocherà una partita decisiva e nella presenza del cardinal Wyszynski al Concilio, vede la chiesa persegui-

14 G. La Pira, Lettera a Giovanni XXIII, 16 / 11/ 1962, in Il sogno di un tempo nuovo, San Paolo, Milano 2009, 108.

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tata che avanza e vince: le ‘mura di Gerico’, scri-ve, nonostante le apparenze, ‘sono già abbat-tute’15. Sente che il mondo arabo giocherà una parte decisiva e scrive a Nasser il 21 agosto 1957 per invitarlo ad operare per riallacciare i legami di una storia, quella tra il mondo musulmano e il mondo cristiano.

Ma se l’utopia è un atteggiamento intellet-tuale che nasce dal rifiuto del presente, la profe-zia è immersione nella storia. E lui ne legge i se-gni che rivelano nel già realizzato il non – ancora della speranza. Il profeta ha il senso della storia, delle sue incompiutezze e dei suoi drammi ma, anziché rifugiarsi in un ideale isola che non c’è, si immerge in essa, ne denuncia i limiti e le brut-ture per annunciare i cieli nuovi e la terra nuova, perché il profeta è l’uomo della speranza, quella teologale che ha il suo fondamento nel Risorto.

La Pira è un profeta e il suo punto di vista è il Risorto.

Nessuna ingenuità è nelle sue parole e nelle sue azioni. E’ l’uomo che ha realizzato per dav-vero la reductio ad unum perché la sua “storio-

15 ID. , La preghiera forza motrice della storia, Cit-tà Nuova, Roma 2007, 363.

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grafia del profondo” ha come fondamento Gesù Cristo, la pienezza della storia:

Reverenda Madre […] Cosa dobbiamo dire di questo nostro tempo che è preparazione del tempo futuro? […] san Paolo ci viene qui in soccorso: la sua luminosa teologia della storia, tutta centrata su Cristo, ci mostra alcuni punti essenziali nel movimento generale della storia di Dio nel mondo […] Ecco, vi sono, diciamo così, tre tappe essenziali nel movimento gene-rale della storia del mondo: la prima è costituita dalla “pienezza dei tempi” […] (e ) La prima – la fondamentale – è avvenuta con l’Incarnazione16.

È dunque da questa pienezza che ogni pos-sibile parola sulla spiritualità di La Pira deve prendere l’avvio. La sua è una spiritualità cri-stocentrico - trinitaria.

In una lettera all’amico Salvatore Pugliatti del 192017, il sedicenne La Pira sottolineava che Dio è amore e che questo amore richiede un sal-to qualitativo nella fede. Ma c’è una data che co-

16 ID. Lettera alle Claustrali, 2 gennaio 1961.17 ID. , Lettera a salvatore Pugliatti, Studium,

Roma 1980, 56.

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stituisce per il nostro una sorta di illuminazione, un autentico spartiacque. Non è una conversio-ne, nel senso che si dà a tale parola. La Pira è un credente e sente fin da ragazzo la forza pro-pulsiva della fede in Gesù Cristo. Ma nella Pa-squa del 1924 avverte qualcosa di mai avvertito prima: «… non dimenticherò mai quella Pasqua del 1924 – scrive, sempre a Pugliatti nel 1933- in cui ricevetti Gesù eucaristico: risentii nelle vene circolare una innocenza così piena, da non poter trattenere il canto e la felicità smisurata»18.

Il Risorto, il corpo glorificato del Risorto, Colui che nello Spirito è resuscitato dal Padre e vive per sempre nella gloria del Padre e nel-la promessa: ecco io sono con voi fino alla fine dei tempi, donando la Spirito di figli a coloro che credono in Lui, il Cristo totale – direbbe la Chiesa Ortodossa – è l’esperienza che gli farà vivere tutta l’esistenza in e per questo mistero che permea l’universo

Creature di Dio, templi di Dio, figli del Pa-radiso; ecco quelli che noi vogliamo essere […] tutto il nostro essere sia immerso nella divina

18 Ib. , 138.

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bellezza, nei silenzi santi, nella contemplazione amanti della croce di Gesù […] Anche a noi che viviamo nel mondo conceda Iddio questa totale immersione nell’adorazione e nel silenzio: ci na-sconda proprio profondamente nel Cuore trafit-to di Gesù! Solo a questo patto potremo davvero serbarci quali Egli ci desidera: creature Sue (Let-tera al Carmelo, 17 settembre 1935)

Quella pasqua del 1924 è un’esperienza di Dio vissuta come unione – don Silvano Ni-stri – qualcosa di paragonabile, secondo Giu-seppe Dossetti, a ciò che fu per San Francesco l’esperienza di San Damiano.

La missione scaturisce da qui. Cristo è il cen-tro irradiante, la preghiera e i sacramenti sono il nutrimento. Il primato della preghiera emerge sia nelle lettere alle claustrali che dalle pagine dedicate a alla figura di Vico Necchi19.

L’operare, scrive, deve scaturire dalla vita in-teriore, ogni azione che muove da questo punto porta in sé i segni della bellezza eterna. La sete di Assoluto, sapere che Gesù è veramente Risor-

19 G. La Pira, Uno sguardo all’anima, in Scintille di spiritualità, Nerbini, 2004, 19.

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to, che l’uomo «è fatto per Iddio e per trasfigu-rare in Dio la sua vita»20, pongono in essere la più santa tra le azioni sociali perché Gesù stesso dona all’uomo energie capaci di attuare le divi-ne bellezze: «Il Paradiso – la vita eterna – è la realtà vera della giornata cristiana»21.

Vivere in Dio è sperimentare il Paradiso per-ché il Paradiso è simbolo di Cristo.

Il Risorto impregna di sé tutto l’universo e tutti, anche chi crede di essere lontano, sono coin-volti dal mistero dell’Incarnazione, eternità che entra nel tempo per trasformare l’uomo e il suo tempo in esperienza continua della Grazia. Sì, perché l’eternità non è un tempo infinito: l’eter-nità è il tempo della Grazia, presenza di Dio nella storia, storia che è tutta assunta da Dio. L’operare scaturisce da qui, come avviene per l’artista

Ogni movimento esterno della mano che toc-ca la creta o che muove il pennello o che muo-ve la penna e così via, è l’espressione – sempre inadeguata – di una luce intima che brilla nella mente: l’ideale illumina e spinge; l’azione tra-

20 Ib. , 21.21 Ibi.

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duce, come è possibile, la bellezza ideale nella certezza dell’opera22.

Il Cristo totale rivela l’uomo all’uomo nei misteri che dall’Incarnazione arrivano all’As-sunzione di Maria.

La Pira ama particolarmente questo mistero perché la Madre è veramente l’anticipo dell’u-manità rinnovata, umanità in cui naturale e so-prannaturale sono saldamente uniti.

Un contemplativo integrale, costantemente immerso nel mistero di Cristo, ne avverte la pre-senza quasi tattile nel suo corpo che è la Chiesa. L’atto contemplativo è da lui vissuto in unità con l’atto contemplativo di Cristo, di Maria e di tutti i santi. Un atto che raggiunge una portata universale perché rinvigorisce la vita interiore di tutti, poiché in esso altre anime si accendono: ed è la comunione dei santi.

Spiritualità mariana, nel senso più autentico: Maria è il giusto punto di vista da cui contem-plare i misteri del Signore. A lei si affida, a lei chiede consiglio, con lei si ‘perde’ nei misteri del Rosario.

22 Ibi.

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Spiritualità ecclesiale e di una chiesa al ser-vizio delle creature di Dio. Quel corpo glorioso di Cristo è il lievito che fa fermentare e crescere tutta la pasta e i cristiani, sempre più in unità col loro Signore, diventano lievito e sale. La chiesa così cammina e canta, tessendo incontri di pace per la pace, quella vera che non è assenza di guerra. Una chiesa la cui indole è escatologica – dirà il Concilio nella Lumen Gentium –

Dove va la storia della Chiesa e quella dei popoli? Dove va?Ormai possiamo risponde-re con chiarezza e con precisione di termini: va – malgrado tutto e nonostante tutto – verso la nuova pienezza dei tempi (Lettera alle Clau-strali, 2 gennaio 1961).

Per troppo tempo e troppo spesso si è par-lato di Giorgio la Pira concentrando esclusiva-mente lo sguardo sul suo impegno politico e sociale. Il viaggio a Mosca nel ’59 e ad Hanoi nel ’65 – per ricordarne solo alcuni – l’attenzione alle richieste dei poveri e dei disoccupati, arma-to della prudenza di Dio e non della prudenza degli uomini lo hanno fatto tacciare, ad opera

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di alcuni sedicenti uomini di chiesa – anche dal cosiddetto partito romano, capitanato dal cardi-nale Ottaviani a cui fa eco una parte del mondo giornalistico che La Pira chiama ‘il Sant’Uffizio laico’ – di comunismo bianco, comunistello di sacrestia.

Ora che le ideologie sono cadute, che la Rus-sia è ritornata a Cristo, che l’Oriente vive movi-menti che mettono in crisi l’inveterato sistema delle caste e che fitti sono i dialoghi tra le chiese cristiane e le altre religioni e che più urgente si fa l’intervento di pace in Medio oriente, le lettu-re e l’impegno profetico del sindaco di Firenze si manifestano in tutta la loro fecondità.

Che tempo farà domani? – scrive sempre nella lettera del 1961 – Bel tempo, Madre Reve-renda: bel tempo, malgrado tutto e nonostante tutto: malgrado tempeste locali e ondate super-ficiali qua e là furiose, il fondo dell’oceano è or-mai pacificato: Cristo lo domina; la nostra nave può riprendere coraggiosamente il suo cammi-no: la speranza teologale (che è insieme divina e umana, celeste e terrestre, temporale e eterna) è la bandiera che si alza sulla poppa.

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Tutto è grazia! Perché Dio scrive diritto sul-le righe storte; a noi il compito di alleviare le sofferenze, combattere le ingiustizie e sanare le ferite, non per fare sociologia – di assistenti sociali, scrive, è pieno il mondo – ma per realiz-zare il desiderio di un cuore trafitto da Cristo: il desiderio sconfinato di amarlo e di farlo sconfi-natamene amare (Lettera al Carmelo, Pasqua 16 aprile 1933).

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Indice

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La “colomba”: come un’introduzioneGiorgio La Pira e il Beato AngelicoGiorgio La Pira. Il Vangelo vivente

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Finito di stampare nel mese di maggio 2015