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Giacomo Leopardi Luigi Rinaldi AD ARIMANE INNO AL DIO DEL MALE
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Giacomo Leopardi - Luigi Rinaldi AD ARIMANE

Jan 26, 2023

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G i a c o m o L e o p a r d i

L u i g i R i n a l d i

AD ARIMANE

I N N O A L D I O D E L M A L E

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L u i g i R i n a l d i

AD ARIMANE

I N N O A L D I O D E L M A L E

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Copyright © 2011 Luigi Rinaldi

Tutti i diritti di riproduzione, traduzione e adattamento sono riservati. Nessuna parte di questo libro, riconducibile a Luigi Rinaldi, può essere usata, riprodotta o diffusa senza autorizzazione scritta da parte dell’auto-re o comunque in violazione della legge 22 aprile 1941 n. 633.

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Alla venerata memoria di mio padre che primo infuse in me l’amore per la poesia

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INTRODUZIONE

Fra le carte napoletane di Giacomo Leopardi, in possesso dell’amico Antonio Ranieri e da lui conservate per oltre cinquant’anni prima di per-venire alla Biblioteca Nazionale di Napoli, vi è l’abbozzo di un inno ad Arimane, dio del male della religione zoroastriana1. L’autografo fu pub-blicato, per la prima volta, nel 1898 da Giosuè Carducci, che era stato chiamato a presiedere una commissione ministeriale incaricata di esami-nare e studiare quei manoscritti leopardiani.2

L’inno fu composto, probabilmente, nella primavera del 1833 a Fi-renze (il terminus ante quem è il 29 giugno 1833, giorno del 35° com-pleanno del Poeta3), qualche mese prima, quindi, del trasferimento a Napoli.

L’inno ad Arimane, così come lasciato da Leopardi, si compone di quattro versi iniziali e di un abbozzo in prosa. È evidente che il compo-nimento sarebbe stato sviluppato secondo lo schema tipico della canzo-ne leopardiana, con strofe libere di endecasillabi e settenari.

La vicinanza affettiva e di pensiero che provo per Giacomo Leopardi mi ha spinto a fare di quell’inno anche poesia mia e a completarlo. L’in-tenzione che mi ha animato, però, non è stata quella di rifare il verso al grande poeta recanatese, né di stabilire un assurdo confronto con lui; bensì testimoniare, insieme a lui, una visione del mondo lucida e deso-lante. Una perentoria pars destruens, per sollecitare l’attenzione su una pars construens che esiste, negletta ed “ingessata”, da più di centocin-quant’anni: l’alto e nobile messaggio de La Ginestra.

___________________________ 1 Nello Zoroastrismo, in un complesso e controverso intreccio di “monoteismo duali-stico”, al dio del Bene, Ahura Mazda, si contrappone il dio (o spirito) del Male, Angra Mainyu (Arimane). Leopardi fa un’operazione molto semplice e, certo, dozzinale agli occhi di chi è abituato ad arrampicarsi sugli specchi di teologie masochistiche: elimina il primo e “glorifica” il secondo. 2 Giosuè Carducci, Degli spiriti e delle forme nella poesia di Giacomo Leopardi, Bolo-gna, Zanichelli, 1898. 3 Infatti, nella parte finale dell’inno, Leopardi chiedeva ad Arimane la “grazia” di non superare il 7° lustro, cioè i 35 anni.

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In questo mio compito ho avvertito la doverosa esigenza di rimanere fedele agli appunti in prosa e alla traccia del componimento (salvo che nell’implorazione finale, per le ragioni che spiegherò più avanti): per-tanto ritengo utile pubblicare l’inno in forma sinottica, con gli originali riferimenti leopardiani posti a lato.

Iniziai la versificazione dell’abbozzo di inno il 23 aprile 1985, fer-mandomi ai primi versi per sacro timore e rispetto. Alla fine del 2005 decisi che avrei provato a portare a termine il lavoro iniziato tanti anni prima. Così, con inaspettata agilità, dal 31 gennaio al 21 febbraio 2006, l’inno è stato completato. Quindi, dall’autunno 2010 al giugno 2011, ho cercato di limare e modificare alcuni versi o parti.4

Chi troverà ottocentesco il linguaggio da me usato, sappia che non ho inteso usare un linguaggio moderno; chi lo troverà moderno, sappia che non ho inteso usare un linguaggio ottocentesco. La poesia non ha regole: deve seguire il suo fluire. E qui il fluire è consistito nel cercare una sim-biosi con Giacomo Leopardi, pur senza alcuna pretesa “filologica”. Nel-l’ultima revisione, tuttavia, una regola mi si è imposta: riportare, con un po’ di fatica, alcuni miei versi eretici (qualche dodecasillabo malamente mascherato)5 nella misura dell’endecasillabo.

Luigi Rinaldi

___________________________ 4 In questo lavoro di revisione mi ha dato un valido e gradito aiuto la professoressa Lucia Bollino, che in via del tutto riduttiva mi piace definire “finissima cesellatrice di virgole”. 5 Permangono, comunque, alcuni versi non canonici, con qualche sinalefe ardita e una sineresi “foscoliana” (oblia).

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ABBOZZO DELL’INNO AD ARIMANE 6

Re delle cose, autor del mondo, arcana Malvagità, sommo potere e somma Intelligenza, eterno Dator de’ mali e reggitor del moto, io non so se questo ti faccia felice, ma mira e godi ec. contemplando eternam. ec. produzione e distruzione ec. per uccider partorisce ec. sistema del mondo, tutto patimen. Natura è come un bambino che disfa subito il fatto. Vecchiezza. Noia o passioni piene di dolore e disperazioni: amore. I selvaggi e le tribù primitive, sotto diverse forme, non riconoscono che te. Ma i popoli civili ec. te con diversi nomi il volgo appella Fato, natura e Dio. Ma tu sei Arimane, tu quello che ec. E il mondo civile t’invoca. Taccio le tempeste, le pesti ec. tuoi doni, che altro non sai donare. Tu dai gli ardori e i ghiacci. E il mondo delira cercando nuovi ordini e leggi e spera perfezione. Ma l’opra tua rimane immutabile, perché p. natura dell’uomo sempre regneranno L’ardimento e l’inganno, e la sincerità e la modestia resteranno indietro, e la fortuna sarà nemica al valore, e il merito non sarà buono a farsi largo, e il giusto e il debole sarà oppresso ec. ec. Vivi, Arimane e trionfi, e sempre trionferai. Invidia dagli antichi attribuita agli dèi verso gli uomini. Animali destinati in cibo. Serpente Boa. Nume pietoso ecc. Perché, dio del male, hai tu posto nella vita qualche apparenza di piacere? l’amore?... per travagliarci col desiderio, col confronto degli altri, e del tempo nostro passato ec.?

___________________________ 6 Giacomo Leopardi, Argomenti e abbozzi di poesie: Ad Arimane, in “Tutte le Opere”, Volume I, a cura di Walter Binni, Sansoni Editore, Firenze, 1983, pag. 350.

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Io non so se tu ami le lodi o le bestemmie ec. Tua lode sarà il pianto, testimonio del nostro patire. Pianto da me per certo Tu non avrai: ben mille volte dal mio labbro il tuo nome maledetto sarà ec. Mai io non mi rassegnerò ec. Se mai grazia fu chiesta ad Arimane ec. concedimi ch’io non passi il 7° lustro. Io sono stato, vivendo, il tuo maggior predicatore ec. l’apostolo della tua religione. Ricompensami. Non ti chiedo nessuno di quelli che il mondo chiama beni: ti chiedo quello che è creduto il massimo de’ mali, la morte. (non ti chiedo ricchezze ec. non amore, sola causa degna di vivere ec.). Non posso, non posso più della vita.

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PREMESSA

Giacomo mi perdonerà se mi sono “nascosto” dietro di lui per espri-mere le idee contenute nell’inno. Quando, nell’aprile del 1985, iniziai la versificazione, mi fermai al ventisettesimo verso (dei quali gli ultimi quattro sono stati espunti e tra i restanti sono stati interposti gli attuali vv. 12-17), scrivendo di lato: “della serie: ma cosa sto combinando?”.Dopo quasi ventun’anni, quel pudore che mi fermò allora nella pretesa di interpretare degnamente l’anima eccelsa di Giacomo Leopardi è stato superato dalle “rughe” in più che la vita ha scavato sulla mia faccia. Quell’inno andava completato: non come verità assoluta, bensì, e ne ba-sta e avanza, come provocazione assoluta.

I casi sono due: o smettiamo di dare un volto a Dio, ne rimuoviamo il concetto, fondendolo in quello più ampio di “Mistero”; oppure gli dia-mo realisticamente il volto che scaturisce da quest’inno: principio del male e del dolore propri di ogni creatura.

L’inno, per me, è compiuto, sebbene rimanga incompiuto secondo le intenzioni del suo autore: Leopardi si augurava di non superare il set-timo lustro e invocava morte. Io, invece – se scherzare si può su queste cose –, tornerei volentieri al settimo lustro e, nella mia natura di epicu-reo, non invoco affatto morte. Nella vita continuo a scorgere e voglio continuare a scorgere un barlume di “bene” e, talvolta, momenti di ap-pagamento dell’anima. Il segreto è “eternare” tali momenti.

Il simpatico Arimane non ascoltò la preghiera del poeta e gli consentì di vivere più di trentacinque anni. Fu un bene prezioso per l’Umanità, pur se assai poco apprezzato. Giacomo Leopardi ebbe tempo di scrivere quell’opera di altissima poesia e intrisa di “verace saper” filosofico (più di mille trattati di sciocche e ingarbugliate parole!) che si chiama La Ginestra.

Il messaggio della Ginestra è quanto di più semplice e impegnativo la mente umana possa concepire nel dare un sostegno concreto alla condizione dell’uomo sulla Terra e riscatta del tutto il “presunto” pessimismo nichilistico leopardiano. La fratellanza umana non più riposta nell’equivoca e pretesa filiazione dal buon dio, bensì nella comune sorte di figli di Natura Matrigna. E vedendo a quale bel paradiso terrestre, in millenni di storia umana, abbia portato il

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nostro ritenerci fratelli nel nome del Padre Celeste, viene da pensare che valga la pena scendere in un “inferno” senza dio, purché questo ci dia consapevolezza del nostro vero destino e ci spinga a un’effettiva solidarietà umana.

Chi vuole perseverare in un’opinione diversa prenda coscienza che è ancorato a un universo tolemaico con un “oscuro granel di sabbia” al centro del Tutto. Oppure sappia (ma in questo caso ne ha esatta con-tezza!) che è un fratellastro egoista e in malafede.

Quanto alle posizioni dottrinarie di quest’inno, non voglio eludere il confronto tra le idee di Leopardi e le mie. Io penso che ci si debba com-portare, nella vita, come calvinisti al contrario: il calvinista è colui che crede nella predestinazione e pur tuttavia si ingegna e si adopera per dimostrare la benevolenza di Dio nei suoi riguardi: e di qui nascono tutti i banchieri svizzeri. Ora, pur pensando al mondo come “predestinato” al dolore (da epicureo eretico!), credo che, egualmente, bisogna ingegnarsi per ritagliare spazi nei quali la “malevolenza” di Dio verso di noi sconfini quanto meno in una “fredda indifferenza”, e ci lasci respirare un poco.

Se poi, sempre con Giacomo a ispirarci, sostituiamo al concetto di Dio quello di Natura Matrigna, semplifichiamo di molto il problema.

Febbraio 2006

Addendum Esiste un comune sentire che anima uomini di buona volontà: ne è

una riprova la singolare iniziativa di Ernie Chambers, ex senatore dello Stato statunitense del Nebraska, il quale, nel settembre 2007, quando an-cora ricopriva la carica di senatore, intentò causa a Dio. Le accuse for-mulate sono le seguenti: continue minacce terroristiche di gravi danni per innumerevoli persone; spaventose inondazioni, forti terremoti, terri-ficanti uragani, piaghe pestilenziali, crudeli carestie, devastanti siccità, genocidi, nascite di bambini malformati, e simili; aver ordinato ai suoi seguaci di distribuire per tutta la Terra, in forma scritta, documenti che mirano a suscitare paura, ansia, terrore e incertezza, al fine di costrin-gere gli uomini all’obbedienza ai suoi voleri.

Elegante ed emblematica la decisione del giudice: l’accusato è irre-peribile.

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A D A R I M A N E

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Re delle cose, autor del mondo, arcana malvagità, sommo potere e somma intelligenza, eterno dator de’ mali e reggitor del moto,

5 non so quale crudo piacer ti prende io non so se questo ti faccia felice, ma mira a contemplare eternamente, senza e godi ec. contemplando eternam. ec. pietà, ogni cosa creata ridere produzione e distruzione ec. per tua cagione oscura. per uccider partorisce ec. Sembra tua diletta Natura quasi sistema del mondo, tutto patimen.

10 un fanciullo, che per celia distrugge Natura è come un bambino quel che appena ha compiuto. che disfa subito il fatto. Supremo fattor del Cielo, tu forgi alla morte la tua incessante prole, sotto mute vesti o animate spoglie,

15 nel divenir continuo di nuove forme, in cui la vita è eterna e l’individuo spira. Tutto perisce allora qui sulla Terra, e in alto fra le sfere

20 dell’Universo: tutto ovunque muore. Avvizzito è il fiore, caduca l’anima, spenta la Stella, persino, che or c’illumina. E né tu lasci, nel volgere breve Vecchiezza.

25 di nostra vita, intatto il corpo e forte di giovinezza: ma consunto questo assieme a quella vuoi: così ti piace anzi il morir piagarci con la vecchiaia tanto più ancora.

30 E pure, fin che l’età dolce dura, Noia o passioni piene la noia governa l’agire nostro: di dolore e disperazioni: e certo è un male; ma mali più acuti la passione ci infonde e infonde amore. amore. Beato colui che mentre ama è immune

35 dagli strazi del cuore, e non sa, non vede, strano mortale, la disperazione cupa che il sangue in atro fiele muta!

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La creatura amata, 40 docile strumento della tua forza

immensa, svilisce chi per lei langue e si umilia, ne toglie ogni decoro, e a larva umana lo riduce infine, sin che un ultimo sussulto di vita

45 lo sventurato spinge a darsi morte, ove oblia se stesso e nel freddo abbraccio della tomba ghiaccia quel fuoco vano che gli alienò la mente. Selvaggi segni, lampi, tuoni, fulmini, I selvaggi e le tribù primitive,

50 a te prostravano le prime umane sotto diverse forme, genti, da impietrito sgomento prese non riconoscono che te. alla tua forza, sì che obliando il senno candide vergini e fanciulli puri sull’are immolavano, in crudo pasto,

55 svellendo il cuore, a te offerti, Supremo Male. Barbari avi, ma qual che fosse il temuto nome con cui onoravano te, i flagelli tuoi, essi videro il vero e il grave errore di cangiarti in Bene

60 da quelle menti ingenue mai fu commesso! Dio ti dice ora Ma i popoli civili ec. te con diversi nomi la pia gente, altri ti chiama Fato, il volgo appella Fato, natura e Dio. altri Natura, ed ognuno t’invoca, ed ognuno, con devote preghiere

65 ed altri riti, o principio ti vuole del Bene e l’uomo per l’eterna vita ritiene provato al male qui in Terra, o cieca forza in te vede che pure, stolto, ingraziarsi egli crede, scrutando

70 gli astri a procacciargli l’utile, quasi che più lo amassi tu di quanto i suoi malanni non ami! Ma i più saggi, oggi, per cruda Natura ben ti dipingono e, come a maestro eletto guardando,

75 da te s’ingegnano, dal tuo alto esempio,

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a calpestare ogni morale legge, ogni sciocco fardello di stolti uomini, e, muta famelica e dura, i deboli, gli inetti sbranano, e forti si credono,

80 fin che la tua pietosa mano pur su di lor non posa a dare l’almo segno del Male che da te promana, unico e vero Iddio, santo Arimane! cupo nome ai selvaggi, Ma tu sei Arimane, tu quello che ec.

85 caro al mondo civile in ogni foggia. E il mondo civile t’invoca. Le tempeste taccio, le pesti, i tanti Taccio le tempeste, le pesti ec. tuoi doni, doni che t’aggrazi a darci, gli ardori che altro non sai donare. Tu dai gli ardori e i ghiacci e, sottile disegno, i mille e i ghiacci. rivoli del male che a goccia a goccia

90 il lor veleno stillano, e le fiumane immense in cui ribolle il sangue umano: strazi, sommosse e guerre in cui tutti, tuoi sudditi fedeli, religiosa prova ti offrono

95 di culto fervido e ognuno un tuo nome invoca e vessillo ne fa di santa causa: sia beato quel sangue, grata offerta alla tua crudeltà divina! E pur delira il mondo, E il mondo delira

100 nuovi ordini cercando e nuove leggi, cercando nuovi ordini e leggi e antiche parole riveste a nuovo da afflato democratico compreso, e perfezione spera e spera perfezione. con ridicola spocchia e sicumera,

105 ma in fretta copre le sciagure a mille che in terra, in mare, in aria il tuo potere osannano, oppure, ovunque crede, per tua bontà divina,

110 natura umana crea. E tu contempli dai superni cieli l’opera tua immota e eterna, e gli inganni Ma l’opra tua rimane immutabile,

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vedi e menzogne a iosa perché p. natura dell’uomo sempre e i vili ardimenti di immondi eroi regneranno l’ardimento e l’inganno,

115 alle spalle colpire inermi uomini [e il giusto e il debole sarà oppresso ec. ec.]+ con arma, lingua o penna, tua nobile progenie, umana feccia, che un po’ di paradiso prova a godere in Terra, fin che voglia

120 il tuo egoismo puro. Un uomo sincero, modesto, giusto, e la sincerità e la modestia audace peccatore alla tua legge, resteranno indietro, sempre sarà sconfitto, sempre dovrà patire, per l’atroce

125 bestemmia che a te rivolge, sacrilega, la sua virtù di stolto. E la fortuna al valore sarà e la fortuna sarà nemica al valore, nemica, sempre, sotto antichi cieli e nuovi, e il merito, come ti piace, e il merito non sarà buono a farsi largo,

130 negletto assai e la bassezza in auge. e il giusto e il debole sarà oppresso ec. ec.+ Ecco la tua legge eterna, e tu vivi, Arimane e trionfi, e sempre trionferai! Vivi, Arimane e trionfi, e sempre trionferai. Oh... o potente Iddio, Invidia dagli antichi attribuita agli dèi come ti può scalfire verso gli uomini.

135 un briciolo di contentezza umana? Assurdo dio del Male, che pure soffri il male se un candido sorriso il volto gaio accende

140 a due ragazzi, se un raggio di sole un vecchio allieta e appaga, perché quest’invidia ti rode il cuore? perché ti tormenta questo rancore? perché vuoi, spietato, troncar l’istante

145 in cui s’acquieta, in vaghe illusioni immerso, il nostro patire? Tu vuoi l’idea di piacer ben viva ai nostri occhi e poi ogni gioia ci neghi! La videro gli antichi vati tale

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150 ridicola tua vergogna, il peccato tuo vero e originale: l’invidia degli dèi! materia ai tragici cantori e alle loro vicende atroci; e ne abbruttirono le olimpie statue,

155 i fieri e alteri numi: detti a soffrir passioni umane, e invero alunni tuoi e dei vizi tuoi ancestrali. Graziosa, candida fanciulla gioca7 Animali destinati in cibo. nei campi, povera contadinella:

160 unico suo amico, un vezzoso e tenero piccolo agnellino, e radioso il mondo le appare, tra i novelli prati in fiore; altro non sa fuor che letizia pura, e la mano rude del padre, forte

165 e buona, la rassicura; la sveglia la festa con fragore di campane e il vestitino indossa nuovo e bello che mamma le ha cucito, di trine ornato, e subito chiama il piccolo

170 ricciuto animaletto: per contargli dei ricami, dei nastri fra i capelli, del buon sole di aprile che Primavera dona; ma invano cerca e la sua voce strilla:

175 non ode il suo richiamo il candido agnellino; la rude paterna mano l’abbraccia e la distrae, la rude paterna mano che, avanti il santo giorno, pia,

180 ad onorar la festa,

___________________________ 7 Mi sono chiesto, con spirito autocritico, se questi versi siano o meno da considerare melensi e banali. Di sicuro, chi ha conosciuto da vicino la tenerezza di un agnellino (come capitò a me tantissimi anni fa) e chi sa immedesimarsi negli occhi e nel mondo di un bimbo, non li troverà né melensi né banali.

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quel piccolo sgozzò per farne cibo in mensa. Vedi dunque come la tua Natura pietà non sa, né tra civili mura

185 e poveri tuguri, né negli immensi spazi dove i leoni oziano sazi di tante prede, o là dove il tremendo

190 boa tra alberi vive ed acque, e soffoca Serpente Boa. stretti tra le sue spire indifesi cerbiatti che orrido ingoia interi. Fuor dalla tana giocano

195 piccoli gai leprotti in lesti salti intenti, ma intanto in alto l’aquila volteggia e scruta il suolo, e presto piomba e tra gli artigli stringe

200 un corpicino esanime, pasto per i suoi piccoli. E fin più ardito in cielo scioglie il suo volo il falco e giù irrompe, precipita veloce:

205 feroce istante e di un’ignara tortora un soffio d’ali tace. Ovunque, in terra e in aria, la dura fame sforza all’agognato collo

210 il morso dei carnivori. E schiuma di sangue il mare, ove stritola lo squalo le sue vittime. Così tu governi il mondo, è questa la tua saggia opera, l’antica e provvida

215 legge di Natura: da altrui rovina nasce la vita e prospera! Nume pietoso, perché a tutti, infine, Nume pietoso ecc. non doni morte per nutrir tua vita,

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solitaria e immensa per l’Universo 220 intero? Ah... che sciocca e vana pretesa

sarebbe, per te, che del nostro male godi e ti cibi in un banchetto eterno: io credo, dunque, che per questo ci ami, vivi e in lenta morte immersi, e che tanto

225 sangue sia linfa pura al tuo egoismo! Ma pure, dio del Male, Perché, dio del male, mille illusioni e inganni tu ponesti hai tu posto nella vita in questa vita e di piacer sembianza qualche apparenza di piacere? e, desiderio sovra ogni altro, amore: l’amore?...

230 tua sublime invenzione, nostro fatale errore, dolcissima lusinga, volta solo per travagliarci col desiderio, a rinnovar la stirpe delle tue misere mortali prede.

235 Così che ognuno crede al proprio bene e dal domani attende quel che da anni spera e sotto diversi nomi te prega! te prega! infernale e prima causa del suo male greve.

240 E, mentre ha fede, dal rimpianto è preso col confronto degli altri, del tempo scorso e dall’invidia misera e del tempo nostro passato ec.? per un altro misero, come lui mortale, che gli sembra di piaceri pago, lieto e felice:

245 fatua, vana apparenza data ai nati a morire! O sommo Arimane, fattor del Male supremo e universale, io invero non so se alla tua perversa

250 essenza siano più grate lodi Io non so se tu ami le lodi o bestemmie: le ridicole nenie o le bestemmie ec. dei preti o le invettive aspre dei vinti. Tua lode sarà il pianto, Tua lode sarà il pianto, antico testimonio testimonio

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255 dell’umano patire. del nostro patire. Pianto da me per certo Pianto da me per certo tu non avrai: ben mille volte il nome Tu non avrai: ben mille volte tuo sarà dal labbro mio maledetto, dal mio labbro il tuo nome maledetto sarà ec. ben mille volte il nome

260 tuo sarà dal labbro mio disvelato. Io non mi rassegno a implorare vita, Mai io non mi rassegnerò ec. io non mi rassegno a implorare morte: [ ... ... ... ... ] io vivo il tuo disprezzo con l’umile, austero, disprezzo mio;

265 io vivo il tuo disprezzo con l’impari forza con cui ti sfido; io vivo il tuo disprezzo con la coscienza pura di chi non bestemmia, ma intende il vero,

270 di chi non si illude, ma guarda in faccia il tuo nudo agire, il tuo eterno male.

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INDICE

Introduzione ............................................................................ 7 Abbozzo dell’inno ad Arimane ............................................... 9 Premessa .................................................................................. 11 Ad Arimane ............................................................................. 13

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Luigi Rinaldi è nato nel 1958 a Monte S. Angelo, in provincia di Foggia. Dopo aver compiuto studi classici, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Conseguito il titolo di procuratore legale, non si è dedicato alla professione forense perché di scarso interesse per la sua indole. Svolge l’attività di docente di Diritto ed Economia in una scuola superiore.Da sempre appassionato di poesia ha scritto molte liriche, tutte inedite. Nel 2009 ha pubblicato “Lirici Greci e Inni Omerici”, traduzioni poetiche dal greco.L’ammirazione per Leopardi e per l’impegno morale e civile della sua poesia lo hanno motivato a completare l’abbozzo di un inno ad Arimane, risalente probabilmente al 1833, nel quale il grande poeta di Recanati si rivolge all’unica divinità che l’esperienza del mondo ci permette di concepire: il dio del Male.

In copertina: Arimane, elaborazione grafica da un’antica raffigurazione