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leopardi approfondimentiIl Pessimismo Leopardiano
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IL PESSIMISMO LEOPARDIANO
IL PESSIMISMO LEOPARDIANO Gli studiosi hanno distinto tre fasi
del pessimismo leopardiano: una fase di pessimismo storico , una di
pessimismo psicologico e una di pessimismo cosmico . 1. Il
Pessimismo Storico si basa sulla Teoria delle Illusioni. Indagando
sulla causa dellinfelicit umana, il Leopardi segue la spiegazione
di Rousseau, e afferma, con la sua Teoria delle Illusioni, che gli
uomini furono felici soltanto nellet primitiva, quando vivevano a
stretto contatto con la natura, ma poi essi vollero uscire da
questa beata ignoranza e innocenza istintiva e, servendosi della
ragione, si misero alla ricerca del vero. Le scoperte della ragione
furono catastrofiche: essa infatti scopr la vanit delle illusioni,
che la natura, come una madre benigna e pia, aveva ispirato agli
uomini; scopr le leggi meccaniche che regolano la vita
delluniverso; scopr il male, il dolore, linfelicit, langoscia
esistenziale. La storia degli uomini quindi, dice il Leopardi, non
progresso, ma decadenza da uno stato di inconscia felicit naturale,
ad uno stato di consapevole dolore, scoperto dalla ragione. Ci che
avvenuto nella storia dellumanit, si ripete immancabilmente, per
una specie di miracolo, nella storia di ciascun individuo. Dallet
dellinconscia felicit, quale quella dellinfanzia, delladolescenza e
della giovinezza, allorch tutto sorride intorno e il mondo pieno di
incanto e di promesse, si passa allet della ragione, allet
dellarido vero, del dolore consapevole e irrimediabile . La ragione
colpevole della nostra infelicit, in contrasto con la natura madre
provvida, benigna e pia, che cerca di coprire col velo dei sogni,
delle fantasie e delle illusioni le tristi verit del nostro essere.
2. Il Pessimismo Psicologico. si basa sulla Teoria del Piacere
Partendo dalla riflessione sullinfelicit, elabora la Teoria del
Piacere che diventa il cardine del suo pensiero: secondo questa
teoria, lamor proprio porta lindividuo ad una richiesta di piacere
infinito per intensit e per estensione; poich questa richiesta non
potr mai essere soddisfatta interamente, lindividuo, anche nel
momento di maggior piacere, continuer a sentire lassillo del
desiderio non colmato. Questo assillo di per s patimento, sicch
lindividuo, anche quando non soffre di mali materiali, in stato di
sofferenza per la sua stessa richiesta inappagata. Questo tipo di
pessimismo ben pi radicale del primo, perch linfelicit non un dato
occasionale, ma ormai una costante della condizione umana. 3. Il
Pessimismo Cosmico si basa sulla Teoria del Patimento. Un ulteriore
aggiustamento della concezione di natura si ebbe quando il poeta
spost la sua attenzione dal tema del Piacere, che non si pu avere,
a quello della Sofferenza che non si pu evitare. Anche se
lindividuo potesse raggiungere il piacere, il bilancio della sua
esistenza sarebbe comunque negativo, per la quantit dei mali reali
(infortuni, malattie, invecchiamento, morte) con cui la natura,
dopo averlo prodotto, tende a eliminarlo per dar luogo ad altri
individui in una lunga vicenda di produzione e distruzione,
destinata a perpetuare lesistenza e non a rendere felice il
singolo. In altri momenti il Leopardi approfondisce la sua
meditazione sul problema del dolore e conclude scoprendo che la
causa di esso proprio la natura, perch proprio essa che ha creato
luomo con un profondo desiderio di felicit,
pur sapendo che egli non lavrebbe mai raggiunta: 0 natura,
natura, perch non rendi poi quel che prometti allor ? Perch di
tanto inganni i figli tuoi ?, dice il poeta nel canto A Silvia.
Cos, di fronte alla natura, il Leopardi assume un duplice
atteggiamento: ne sente allo stesso tempo il fascino e la
repulsione, in una specie di odi et amo catulliano. Lama per i suoi
spettacoli di bellezza, di potenza e di armonia; la odia per il
concetto filosofico che si forma di essa, fino a considerarla non
pi la madre benigna e pia (del primo pessimismo), ma una matrigna
crudele ed indifferente ai dolori degli uomini, una forza oscura e
misteriosa, governata da leggi meccaniche ed inesorabili . E questo
il terzo aspetto del pessimismo leopardiano che investe tutte le
creature (sia gli uomini che gli animali). Ma in questo momento
della sua meditazione il Leopardi rivaluta la ragione, prima
considerata causa di infelicit. Essa gli appare colpevole di aver
distrutto le illusioni con la scoperta del vero, ma anche lunico
bene rimasto agli uomini, i quali, forti della loro ragione,
possono non solo porsi eroicamente di fronte al vero, ma anche
conservare nelle sventure la propria dignit, anzi, unendosi tra
loro con fraterna solidariet, come egli dice nella Ginestra,
possono vincere o almeno lenire il dolore.
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GIACOMO LEOPARDI: il pensiero filosofico
filosofico.net GIACOMO LEOPARDI A cura di Giovanni Ipavec Oh
casi! oh gener vano! abbietta parte / siam delle cose; e non le
tinte glebe, / non gli ululati spechi / turb nostra sciagura, / n
scolor le stelle umana cura. (Bruto Minore) INDICE LA VITA
INTRODUZIONE AL PENSIERO FILOSOFICO INTRODUZIONE AI PARALIPOMENI
INTRODUZIONE ALLE OPERETTE MORALI OPERETTE MORALI: TESTO COMPLETO
LA VITA Giacomo Leopardi nasce a Recanati nel 1798, dal conte
Monaldo e Adelaide Antici. Nel 1803 lamministrazione dei beni
familiari tolta al padre, che si ritira quindi in una velleitaria
attivit di letterato dilettante, e passa nelle mani della madre.
Latmosfera di casa Leopardi non felice ed caratterizzata dallindole
della madre, severa, bigotta e povera daffetti. Il giovane Giacomo
inizia nel 1807 gli studi con i fratelli Carlo e Paolina, inizia a
comporre piccoli componimenti poetici e cerca un proprio spazio
autonomo allinterno di uneducazione di chiaro stampo
controriformistico. Tra il 1813 e il 1816 inizia da solo lo studio
del greco; si dedica a ricerche erudite e a varie indagini
filologiche sorprendentemente rigorose e precise. Politicamente
sposa le idee ultralegittimiste del padre. Nel 1817 pubblica sullo
Spettatore lInno a Nettuno, fingendo trattarsi della traduzione di
un originale greco, e due odi apocrife in greco, presentate come
autentiche. Inizia la sua amicizia epistolare con Pietro Giordani
ed inizia lo Zibaldone, il grande diario intellettuale che
continuer sino al 32. Nel 1818 si conclude la sua conversione
politica che lo porta a diventare un patriota repubblicano e
democratico. Nel 1819 le cagionevoli condizioni di salute lo
obbligano a sospendere gli studi; tutto ci una spinta a chiarire la
propria condizione di solitudine, di noia, e a maturare il suo
pessimismo ancora indeterminato. in questo periodo che scrive
Linfinito e Alla luna. nel 1820 continuano le composizioni poetiche
come, ad esempio, La sera del d di festa. Nel 1822 si reca a Roma,
il primo viaggio fuori da Recanati: rimarr molto deluso. Nel 1823
ritorna a Recanati dove analizza la decadenza nazionale e gli
effetti nefasti della Restaurazione. Nel 1824 scrive la maggior
parte delle Operette morali e lanno dopo parte per Milano, dove
prende contatto con leditore Stella, e poi passa a Bologna. Nel
1827 si trasferisce a Firenze dove conosce Alessandro Manzoni; i
due non si capiranno, troppo diversa lindole personale. Nel 1828,
finiti i mezzi di sostentamento, dopo aver composto A Silvia,
costretto a far ritorno a Recanati. Nel 1829 compone: Le
ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il Sabato del villaggio.
Poco dopo aver concluso il Canto notturno, nel 1830, torna a
Firenze ed inizia lamicizia con un esule napoletano: Antonio
Ranieri. Nellaprile 1831, durante i moti dellItalia centrale,
escono i Canti per leditore Piatti. Nel 1833 Giacomo si trasferisce
con il Ranieri a Napoli; i due vivono in condizioni economiche
estremamente precarie. Nel 1835 escono i Canti per leditore Starita
di Napoli; vi compaiono nuove poesie tra cui Il passero solitario e
il cosiddetto ciclo di Aspasia (Il pensiero dominante, Amore e
Morte, Consalvo, A se stesso, Aspasia). Muore, a 39 anni, nel 1837
a Napoli durante unepidemia di colera: il Ranieri a stento riesce a
sottrarne il corpo alla fossa comune. INTRODUZIONE AL PENSIERO
FILOSOFICO Che Leopardi sia poeta nessuno lha messo in discussione.
Che sia anche filosofo, invece, stato oggetto di acceso dibattito.
Alla base c il fatto che egli ha scritto di filosofia e, per cos
dire, da filosofo: sullo Zibaldone troviamo tanti e tali pensieri
sullanima, la metafisica, la religione, la societ, la natura,
la
morale, e via dicendo, che lopera, ancorch disorganica e non
sistematica, ben potrebbe configurarsi come trattato filosofico. N
si pu dire che manchi a Leopardi lo stile filosofico, perch alcune
sue pagine, specie quelle relative alla teoria del piacere, sono di
tale rigore e oggettivit che sembrano stilate dalla penna di un
Locke o di un suo seguace. Ma non tutti i critici sono daccordo su
questo punto. Il vecchio filone della cultura laicista italiana, da
De Sanctis a Croce, nega la filosofia di L., ritenendola
scarsamente significativa, non originale n profonda. Per Francesco
De Sanctis (cfr. Schopenhauer e Leopardi), interessato alluomo e
allartista, essa esprime un superficiale pessimismo, contraddetto
dalla poesia, lunica sua produzione genuina e profonda; il L.
filosofo, che odia la vita, con la sua poesia ce la fa amare: La
vita rimane intatta quando ci sia la forza dimmaginare, di sentire
e di amare: che appunto il vivere. Dice lintelletto: lamore
illusione, sola verit la morte. E io amo e vivo e voglio vivere. Il
cuore rif la vita che lintelletto distrugge. Vera poesia lidillio,
che mera espressione del sentimento; lelemento raziocinante un
ostacolo, un pericolo, dal quale il poeta non riesce sempre a
guardarsi nei piccoli idilli, quasi pi nei Canti scritti dopo il
30. Benedetto Croce riprende la contrapposizione, ma restringe
ancor pi il campo poetico: la poesia del recanatese gli sembra
oscillare tra filosofia e letteratura, quasi mai riuscendo a tenere
la rotta mediana (di qui la sua sostanziale e netta stroncatura).
Una nuova linea, che rivaluta L. filosofo, aperta nei decenni tra
le due guerre. Giovanni Gentile, che legge L. con interessi
filosofici, nellintento di rivalutare le Operette morali, arriva ad
affermare che L. autentico e grande filosofo. Nel 1940 Adriano
Tilgher sostiene che esiste una filosofia di L., che non
sistematica n procede per astrazioni (L. non indaga i problemi
gnoseologici o metafisici); essa ora si serve di unespressione
lirica o letteraria (Canti, Operette morali), ora comunicata in
modo immediato, solitamente non elaborato, attraverso lo Zibaldone.
Nel dopoguerra si assiste ad un sostanziale rinnovamento degli
studi leopardiani, grazie prevalentemente agli apporti della
critica storicistico-marxiana, la quale mette in risalto lultimo L.
(la produzione posteriore al 30), sostenendo leccellenza del poeta
impegnato e progressivo contro quello isolato e solitario
dellidillio. Saggi fondamentali sono i seguenti: L. progressivo di
Cesare Luperini (Firenze, 1947), La nuova poetica leopardiana di
Walter Binni (Firenze, 1947), Alcune osservazioni sul pensiero di
L. di Sebastiano Timpanaro (Pisa, 1965), La protesta di L. di W.
Binni (Firenze, 1973), La posizione storica di G.L. di Bruno Biral
(Torino, 1974), L. - Schizzi, studi e letture di Carlo Muscetta
(Roma, 1976). Questi contributi, tutti contrassegnati da una decisa
matrice ideologica, individuano una linea eroica del pensiero
leopardiano (L. consapevolmente eroico di fronte al proprio
destino), pensiero che, non elevato al rango di filosofia, non pi
un ostacolo alla poesia, ma piuttosto il suo vitale nutrimento.
Notevole il saggio di Umberto Bosco Titanismo e piet in G.L.
(Firenze, 1957) per il tentativo di spiegare tutto il percorso
intellettuale del poeta alla luce del motivo eroico-titanico.
Infine, entro lambito di una critica prevalentemente stilistica si
sono mosse le ricerche di Bigongiari, Getto, Ramat, Solmi e Bigi.
In conclusione, mentre per alcuni studiosi L. un filosofo
esistenziale, che si pone problemi di ordine pratico-morale (la
vita ha un senso? pu luomo essere felice? dopo la morte c qualcosa
o con la morte finisce tutto?), la maggior parte dei critici
concorda oggi nel ritenere che L. non possa essere considerato
filosofo per il fatto che, pur avendone lattitudine e i mezzi
culturali, era viziata in partenza la sua volont di speculazione.
Egli infatti, sollecitato da motivi biografici e storico-culturali
(vedi sotto il punto 2), assunse sin dallinizio un atteggiamento
critico negativo nei confronti della vita e dei valori che essa
esprime, considerati alla stregua di miti e illusioni. Tali
convincimenti, penetrati profondamente e per tempo nel suo
pensiero, ne condizionarono di fatto lattivit e gli intendimenti,
cosicch, quando L. disporr degli strumenti filosofici, se ne servir
non per sottoporre a critica razionale il suo atteggiamento di
base, bens per rafforzarlo, per aumentarne la consistenza logica e
la naturale persuasione. Cos
facendo, per, si precludeva la via alla vera filosofia: il
giudizio, se segue e scaturisce dallanalisi, oggettivo e
logicamente valido, ma se la precede diventa pregiudizio e
strumentalizza e vizia gli esiti di quella. 2 - La formazione di
Giacomo (1798-1816) La genesi del pensiero di L. appare determinata
da una progressiva presa di coscienza della propria infelicit.
Allorigine di questa si possono individuare due diversi ordini di
fattori: biograficoambientali e storico-culturali. Tra i primi
latmosfera affettivamente carente della sua famiglia e leducazione
retrograda e autoritaria, impartita da una madre bigotta e
formalista e da un padre conservatore e chiuso; poi la formazione
isolata e solitaria, da autodidatta, quello studio matto e
disperatissimo che contribu allinsorgere di diverse malattie
croniche e alla malformazione fisica. Al gelo dei rapporti
familiari vanno aggiunti lo scherno e la derisione dei
concittadini, la mediocrit e la scarsa cultura dellambiente
recanatese, la precoce sensibilit e la vivace intelligenza di
Giacomo. Motivi di ordine storico-culturale furono la crisi
dellilluminismo e linsorgere inizialmente indistinto e confuso di
nuove ideologie, la perdita didentit e di funzione politico-civile
dellintellettuale, larretratezza sociale e culturale dello stato
pontificio. N va dimenticato che il periodo storico in cui Giacomo
raggiunge la maturit let della Restaurazione, caratterizzata dal
conflitto tra nazionalismo, liberalismo e romanticismo da una
parte, cosmopolitismo, assolutismo e classicismo dallaltra. In
ambito letterario nasce e si sviluppa la polemica
classico-romantica attizzata dallarticolo di M.me de Stael, nella
quale interviene anche L. (vedi sotto il punto 3). Punto di
partenza della speculazione leopardiana, volta a tentare di
chiarire il senso della vita, dunque il disagio esistenziale
dellautore, ovvero la sua infelicit fisica e psicologica. Tale
disagio allorigine di un pessimismo di tipo esistenziale, le cui
caratteristiche si possono compendiare come segue: precoce venir
meno delle illusioni e dei sogni infantili, sfiducia nella vita,
sentimento (non ancora razionalizzato) di desolazione e di
delusione, insofferenza verso i condizionamenti, sensazione di
inutilit e di soffocamento. 3 - La fase del pessimismo storico
(1816-1820) Il pensiero leopardiano prende lavvio da una
meditazione sullinfelicit in s, della quale vengono indagate le
cause, le dinamiche e le conseguenze. Alla base c la teoria
dellamor proprio (di derivazione illuministica), secondo la quale
luomo un essere che ama necessariamente se stesso e mira alla
propria conservazione e alla propria felicit. Laltruismo un
controsenso: quando io faccio del bene ad un altro perch provo
piacere, quindi lo faccio sempre a me stesso. Laltruismo non il
contrario dellegoismo, ma una sublimazione dellamor proprio, in
quanto esistere significa amare se stesso, cercare la propria
felicit. Lamor proprio non coincide con legoismo: questultimo una
degenerazione dellamor proprio causata dallo sviluppo della civilt
e dal predominio della ragione; uno degli esiti di quel progresso
storico negativo, allindietro, che , secondo L., il passaggio dai
primitivi ai civilizzati. Lamor proprio fonte di nobili azioni, di
sacrifici eroici; legoismo, invece, calcolo meschino. Lamor proprio
la volont di potenza dei forti, legoismo il calcolo razionale del
debole che uccide la vita. L. respinge le ideologie ottimistiche e
le utopie rassicuranti del suo secolo, si ribella alla meschinit
del suo tempo e alle convenzioni del suo ambiente, che giudica
arido e gretto; rimpiange un mondo mitico di nobili virt e di
valori incorrotti, in cui gloria e fama, unici antidoti contro il
grigiore della vita, erano possibili, conseguibili. Si scaglia con
veemenza contro i miti dellOttocento, la storia e il progresso, e
contro la stoltezza di un secolo che dalla filosofia della storia
di Hegel fino al balletto Excelsior esalta luomo come creatore
della realt. Per L. si tratta di un antropocentrismo fanatico, al
quale egli si oppone con forza, affermando che la storia non
progresso, ma regresso dal primitivo stato di natura, buono e
felice, allo stato di civilt, corrotto e decadente.
Nella storia del genere umano si distinguono quattro tappe: 1)
let primitiva, quando gli uomini vivevano in uno stato di
perfezione e di innocenza anteriore alla civilt; 2) lantichit
classica, civilt che L. ammira come sintesi equilibrata di natura e
ragione (nello Zibaldone sostiene la superiorit del politeismo
greco-romano rispetto alla religione cristiana); 3) il medioevo,
nel giudicare il quale L. incorre nei tipici luoghi comuni
dellilluminismo (secoli bui, epoca negativa, trionfo della
barbarie); 4) let moderna, con il predominio assoluto della
ragione, la freddezza, il convenzionalismo, il calcolo, la
funzionalit, in una parola la vita inautentica. L. rifiuta il
progresso civile e tecnologico, convinto che sia negativo in s,
poich lincivilimento snaturamento, allontanamento dalla natura: il
mondo sempre pi corrotto e non pu essere corretto. Netta, quindi,
per L. lantitesi tra la remota grandezza e la miseria morale e
materiale odierna. Lantagonismo di L. con gli orientamenti
spirituali e culturali del proprio tempo si manifesta anche
nellimpegno in favore dei classicisti, i quali devono assolvere il
duplice compito di riproporre i valori classici, che hanno funzione
liberatoria e di stimolo delle coscienze, e di scrivere per il
proprio tempo (= alfierismo). Causa della decadenza la ragione,
nemica della natura, corruttrice dei costumi, madre della civilt e
della societ con tutti i loro egoismi, distruttrice del rimpianto
mondo eroico. Sogno ritrovare la favilla antica, cio la vivacit
dellimmaginazione, la forza delle illusioni, la vitalit dellieri
contro la delusione delloggi, attraverso il meccanismo della
ricordanza. Come gi il Foscolo, anche L. avverte la necessit delle
illusioni (gloria, amor proprio, amor di patria, libert, onore,
virt, amore per la donna), che sono secondo natura e costituiscono
lunico antidoto agli effetti della civilt e della ragione, i quali
hanno guastato il mondo moderno, tristissimo secolo di ragione e di
lume; e come il Foscolo nei Sepolcri, cos anche L. concepisce la
poesia come stimolatrice di illusioni. Tutta la storia del genere
umano la storia della lotta tra la felicit e il vero, tra
lillusione e la realt, tra la vita e il sogno. La realt banale e
cattiva, vere sono solo le illusioni, ossia le speranze, di cui
lumanit si nutre e che non pu abbandonare senza cadere nella
disperazione. Larve definisce L. le illusioni in cui luomo crede
nella sua et giovanile, ovvero in quel sabato del villaggio che
precede il giorno pi noioso che il giorno della festa di sua vita;
sono le illusioni che impediscono di scorgere la tragedia del
vivere. E le illusioni rappresentarono veramente lunica motivazione
alla vita per ladolescente Giacomo, che le ricorda con accenti
commossi in uno degli squarci pi elevati della sua lirica, i vv.
77-103 delle Ricordanze. La realt illusoria: manifestando
unevidente consonanza con Schopenhauer, L. sostiene la coincidenza
di vita e sogno, essendo la realt niente altro che sogno, come
scrive Caldern de la Barca. Questo concetto ribadito nelle opere
della maturit (Operette morali e Canti posteriori al 27). Nel
Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare si legge: Sappi
che dal vero al sognato non corre altra differenza se non che
questo pu qualche volta essere molto pi bello e pi dolce, mentre
quello non pu esserlo mai. E il verso conclusivo di A se stesso
(linfinita vanit del tutto) sottolinea che il vero nemico della
felicit. L. mostra qui il suo paradosso: uneducazione illuministica
che si rivolta contro lilluminismo, un illuminista antiilluminista,
un uomo educato al culto della ragione (che dissipa le tenebre
della superstizione e liquida come favole le verit della
religione), il quale distrugge i miti stessi dellilluminismo e
afferma la superiorit rispetto al vero di ci che pensato, sognato e
sperato. Nel Dialogo di Timandro e di Eleandro tale concezione cos
espressa: Si ingannano grandemente quelli che dicono e predicano
che la perfezione delluomo consiste nella conoscenza del vero, e
tutti i suoi mali provengono dalle opinioni false e dallignoranza,
e che il genere umano allora finalmente sar felice, quando ciascuno
o i pi degli uomini conosceranno il vero, e a norma di quello solo
comporranno e governeranno la loro vita. L. nega in tal modo
lessenza, il vangelo dellilluminismo: la felicit data
non dalla conoscenza del vero, bens dalla sua ignoranza; sapere
di pi significa soffrire di pi, e chi aumenta la conoscenza aumenta
anche il dolore, come dice la Bibbia. Tutta la poesia A Silvia
esprime in termini altamente lirici questa concezione. In
conclusione, la sostanza del pessimismo storico leopardiano si
esprime in quattro antinomie, nelle quali il primo termine ha
valenza positiva, il secondo negativa: valenza positiva valenza
negativa natura vs ragione antico vs moderno stato naturale vs
societ illusione vs vero 4 - La fase del pessimismo cosmico
(1823-1830) A partire dagli anni del cosiddetto silenzio poetico
(1823-27) L. opera un progressivo ribaltamento della concezione
iniziale, giungendo a riabilitare la ragione contro la natura.
Continuando ad analizzare le cause dellinfelicit umana, egli
osserva che il naturale impulso vitale contrastato e ostacolato, a
livello individuale, da un duplice limite, biologico e ontologico;
a livello storico da un terzo limite, legoismo, che egli definisce
peste della societ. Il limite biologico consiste nellintrinseca
debolezza delluomo, il quale, al pari di ogni altro essere vivente,
subordinato al ciclo meccanicistico della materia. Di qui la
scoperta della propria fragilit e solitudine. Il limite ontologico
dato dallimpossibilit di essere felici: la natura genera nelluomo
una tensione irrefrenabile verso la felicit, un anelito costante al
piacere, ma la felicit irraggiungibile, giacch, in quanto tale,
deve essere infinita e pienamente appagante; di conseguenza la
ricerca di essa conduce inevitabilmente ad una finita e concreta
infelicit. I piaceri momentanei che si provano nella vita non sono
altro che una tregua relativa e passeggera dellinfelicit. Per
comprendere a fondo queste ultime affermazioni, occorre rifarsi
alla teoria leopardiana del piacere, secondo la quale il piacere
non n assoluto n infinito; anzi, il piacere in s non esiste: esiste
solo nel desiderio, essendo un subbietto speculativo, vale a dire
un puro concetto. Il desiderio immaginazione, speranza, sogno,
proiettato sempre al futuro e sempre destinato ad essere deluso.
Invece del piacere esistono i piaceri, intesi in senso negativo
come cessazione dellaffanno, brevi momenti di assenza del dolore;
concreti ed effimeri, rendono sopportabile il dolore, restituendo
momentaneamente la vitalit, limpulso vitale. La teoria del piacere,
il cui carattere negativo, strettamente legata alla teoria dellamor
proprio. Lamor proprio, infatti, implica la ricerca della felicit,
ma questa ricerca senza esito, non pu avere fine, quindi non pu mai
appagarsi. Luomo cerca il piacere sempre, ma non pu accontentarsi
del piacere che trova, che finito; egli pertanto destinato a
cercare il piacere in qualcosa di sempre diverso, di sempre pi
alto: ci significa che non lo trova mai. La tragicit della
condizione umana in questa ricerca dellinfinito, che conduce sempre
allo scacco. Il piacere sempre sperato, mai posseduto, sempre
futuro, mai presente: esso sfugge sempre. Non
esistendo e non potendo esistere realmente, esiste solo nel
desiderio del vivente e nella speranza o aspettativa che ne segue.
In base a questa teoria il concetto di piacere negativo, quello di
dolore positivo, per cui si pu dire che il piacere la mancanza del
dolore, ma non si pu dire che il dolore la mancanza del piacere,
ovvero di qualcosa che non esiste. Il concetto espresso
poeticamente nei seguenti versi tratti da La quiete dopo la
tempesta: Piacer figlio daffanno; Gioia vana ch frutto Del passato
timore (). Uscir di pena diletto fra noi. Pene tu (= la Natura)
spargi a larga mano; il duolo Spontaneo sorge: e di piacer, quel
tanto Che per mostro e miracolo talvolta Nasce daffanno, gran
guadagno. questa la concezione del piacere negativo, perch, se per
caso cessa il dolore, di cui il piacere la negazione, non subentra
il piacere, ma qualcosa di peggio, che nella dialettica di L. la
noia. Il dolore, infatti, non esclude che luomo cerchi e speri di
superarlo, mentre la noia angoscia e disperazione. E allora, per L.
come per Schopenhauer, la vita oscilla inarrestabilmente come un
pendolo tra il dolore e la noia, in un eterno meriggio privo di
tramonto ristoratore. Il limite storico dato dalla inconciliabilit
di individuo e societ, tra i quali si determina uno scontro di
egoismi. Latteggiamento dei singoli antisociale: ognuno cerca
sempre di avere di pi, di soverchiare gli altri, di sottomettere
tutto e tutti al proprio utile o piacere. E ci per natura. Ne
consegue che tutte le societ sono state cattive (superamento del
pessimismo storico) e che, a causa appunto dellegoismo e
dellaggressivit umani, ci si avvia inesorabilmente alla distruzione
del mondo, gi data per avvenuta nel Dialogo di un folletto e di uno
gnomo. Di qui la polemica contro lingenua fiducia del XIX secolo
nel progresso scientifico e tecnologico, nelle macchine,
nellespansione economica, che comporta lo sfruttamento industriale
e il colonialismo. Considerati i tre suddetti limiti, L. conclude
che tutto male. Esistere equivale ad essere perennemente
insoddisfatti, incontentabili, a soffrire per la propria fragilit.
Il bene consiste nel non esistere. Responsabile del male la natura,
non pi vista come provvida e benefica madre, bens come causa
dellinfelicit umana. Essa con lesistenza ci d i germi
dellinfelicit, essendo linsopprimibile bisogno di felicit destinato
a restare insoddisfatto. Documenti (testi che testimoniano la
rottura del rapporto con la Natura): a. La sera del d di festa
(idillio, 1820); Cfr. vv. 11-15: io questo ciel, che s benigno
Appare in vista, a salutar maffaccio, E lantica natura
onnipossente, Che mi fece allaffanno. A te la speme Nego, mi disse,
anche la speme; e daltro Non brillin gli occhi tuoi se non di
pianto. Commenta G. Oliva: Il sonno silenzioso e tranquillo della
donna si fa metafora di una indifferenza ben pi dolorosa per il L.:
quella della Natura, che mostra agli uomini il suo aspetto pi
delicato (il cielo, che s benigno appare in vista) solo per
nascondere la sua malvagia crudelt. b. Ultimo canto di Saffo
(canzone, 1822); Imperscrutabile il destino delluomo; uniche
certezze sono il dolore e la morte: i destinati eventi Move arcano
consiglio. Arcano tutto, Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto Morremo. La Natura beffarda, insensibile al
dolore delluomo, intenta solo a perpetuare se stessa; come
nella Sera del d di festa cela sotto una struggente immagine di
bellezza il suo disdegno (cfr. vv. 19-36). L. non sa proporre
alcuna soluzione in grado di superare il dolore del mondo; lassurdo
non pu essere vinto, ma solo accettato come tale. Luomo non pu
sperare di vincere il nulla, da cui sorto e a cui far ritorno, ma
pu solo identificarsi con esso in unoperazione che ricorda quella
orientale del nirvana, dellannullamento. c. Zibaldone (dal 1821);
Nella sua condanna della Natura il L. rifiuta qualsiasi
provvidenzialismo, qualsiasi consolazione religiosa, qualsiasi
soluzione irrazionale; al contrario, rivaluta pienamente la
ragione: la ragione che disinganna e guida luomo alla vera
sapienza, che consiste nel prendere coscienza della propria
inutilit; la ragione che atterra (cio riporta sulla terra dal cielo
della metafisica) luomo e lo pone davanti all arido vero; la
ragione, infine, che scopre che tutta lumanit accomunata da un
unico e identico destino (superamento del pessimismo individuale e
psicologico). d. Dialogo della Natura e di un Islandese (O.M.,
1824); Ogni tentativo di agonismo votato a disfatta: la Natura
invincibile ed indifferente alla felicit o meno delluomo. Luniverso
dominato dallirrazionalismo e dal casualismo: non c una ragione, un
senso; non c un fine, una creazione, un orientamento; tutto
abbandonato al caso. Del tutto inutile la ricerca di un
significato: la Natura non d risposte. Lestrema domanda
dellIslandese (Dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi
piace o a chi giova cotesta vita infelicissima delluniverso,
conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo
compongono?) rimane senza risposta. e. Cantico del gallo silvestre
(O.M., 1824); Lessere esiste, ma non c nessuna ragione perch esista
anzich perch non esista; la vita non ha senso, n ha alcun senso la
realt. I positivisti, che collegavano il pessimismo di L. alle sue
condizioni fisiche, nel centenario della nascita ne riesumarono il
corpo per misurarlo ed espressero la tesi che egli, essendo
infelice e gobbo, doveva diventare fatalmente pessimista. Ma tale
tesi del tutto insostenibile: il pessimismo di L. non di ordine
psicologico, bens cosmico, poich riguarda la realt tutta, non solo
luomo, n tanto meno luomo Giacomo Leopardi. Il quale, nella pagina
pi terribile delle Operette morali denuncia il radicale non senso
della realt. Si tratta della parte conclusiva del Cantico del gallo
silvestre: Tempo verr, che esso universo, e la natura medesima, sar
spenta. E nel modo che di grandissimi regni ed imperi umani, e loro
maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre et, non resta
oggi segno n fama alcuna: parimente del mondo intero, e delle
infinite vicende e calamit delle cose create, non rimarr pure un
vestigio; ma un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno
lo spazio immenso. Cos questo arcano mirabile e spaventoso
dellesistenza universale, innanzi di essere dichiarato n inteso, si
dileguer e perderassi. f. A Silvia (idillio, 1828); La Natura
tradisce, matrigna, non mantiene le promesse, inganna, spegne le
illusioni: O natura, o natura, Perch non rendi poi Quel che
prometti allor? perch di tanto Inganni i figli tuoi? La vita si
rivela aridit e disillusione: Allapparir del vero Tu, misera,
cadesti: e con la mano La fredda morte ed una tomba ignuda Mostravi
di lontano. g. Canto notturno di un pastore errante dellAsia
(idillio, 1830). Il desiderio di sapere la verit non appagato;
uniche certezze il vuoto e il nulla; lesistenza assurda. Perch
siamo nati?. A questa domanda L. risponde: Per mostrare che era
meglio che non nascessimo affatto: per questo, non appena un
bambino nato, noi prendiamo a consolarlo dellessere venuto al
mondo. E forse la definizione pi precisa del pessimismo cosmico,
del non senso dellessere, si trova in questa grande lirica, che
stata chiamata lanti Divina Commedia, perch, se la Divina Commedia
senso dellordine, della provvidenza, della finalit, il Canto
notturno, allopposto, esprime una visione della vita improntata ad
un totale casualismo. Effetto di questa presa di coscienza il
tedio, la noia, definita la pi sterile delle passioni umane, figlia
della nullit e madre del nulla, ma anche il pi sublime dei
sentimenti umani. Essa tormento, lesaurirsi del mito vitalistico,
privazione del desiderio, coscienza dellinutilit del tutto; ed
sentimento nobile, perch distingue gli spiriti pi sensibili e
dotati. In questo risiede la grandezza delluomo. In conclusione,
una valida sintesi delle concezioni su cui si fonda il pessimismo
cosmico di G.L. pu essere la seguente: Luomo nasce per il dolore e
la gioia cessazione momentanea dellaffanno. Dal punto di vista
delluomo (piano esistenziale) tutto luniverso sembra cospirare
contro di lui. Da quello dellssoluto (piano metafisico) la vita un
processo naturale che alterna gli esseri attraverso la generazione
e la morte. La natura, intesa come forza bruta e malefica,
responsabile della nostra sventura. Luomo conosce il suo destino,
ma ci lo rende infelice, poich da questa comprensione egli viene
ricondotto in se stesso, alla sorgente prima della sua infelicit,
che il suo stesso esistere. Perci la morte lunico rifugio per il
vivente. 5 - Lultimo Leopardi: il pessimismo eroico (1827-1837)
Dopo il definitivo addio a Recanati del 30 aprile 1830 il pensiero
di L., sia sul piano ideologico sia su quello etico, fa registrare
una svolta (anticipata dal Dialogo di Plotino e di Porfirio del
1827) nel senso di un superamento della visione materialisticamente
negativa e nichilista maturata nella fase del pessimismo cosmico,
per un messaggio agonistico positivo (di difficile comprensione e
attuazione, perch non apprezzato in questo secolo). Le ragioni di
tale svolta sono molteplici e si possono sintetizzare nei punti
seguenti: Lamicizia, per quanto effimera, con i liberali toscani
dell Antologia. La fallimentare esperienza dellamore (ultima
delusione in ordine di tempo il rifiuto ottenuto da Fanny Targioni
Tozzetti, che fu allorigine del Ciclo di Aspasia). I contrasti con
gli spiritualisti napoletani dopo il trasferimento a Napoli in casa
di Antonio Ranieri. Lassidua pratica della filologia, improntata a
severo rigore scientifico, nella ricerca di risposte non evasive n
fideistiche al dramma esistenziale. La scoperta del linguaggio
satirico come strumento espressivo del titanismo e del pessimismo.
La lettura di Epitteto (filosofo stoico greco, autore del Manuale)
e di Teofrasto (discepolo di Aristotele, propugnatore dellempirismo
materialistico). Il superamento delletica stoica e
dellatteggiamento apolitico (dallatarassia alla partecipazione).
Lesigenza di un atteggiamento eroico e di una morale costruttiva,
fondata esclusivamente sulluomo e aliena dal trascendente. Nel
ricostruire, attraverso i documenti, le tappe di questa fase del
pensiero leopardiano, troviamo nel Dialogo di Plotino e di Porfirio
del 1827 la prima espressione della necessit di una solidariet
umana di fronte al destino. Il dialogo, incentrato sul tema del
suicidio e volto a chiarire le ragioni che lo respingono come
soluzione al dramma esistenziale, si conclude con unappassionata
esortazione rivolta da Plotino allamico: Viviamo, Porfirio mio, e
confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il
destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. S bene
attendiamo a tenerci compagnia lun laltro; e andiamoci
incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per
compiere nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza
alcun fallo sar breve. E quando la morte verr, allora non ci
dorremo: e anche in quellultimo tempo gli amici e i compagni ci
conforteranno: e ci rallegrer il pensiero che, poi che saremo
spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno
ancora. Due anni pi tardi L., in una famosa pagina dello
Zibaldone, dissipa con forza i sospetti di misantropia di cui era
fatto oggetto il suo pensiero: La mia filosofia non solo non
conducente alla misantropia, come pu parere a chi la guarda
superficialmente, e come molti laccusano; ma di sua natura esclude
la misantropia, di sua natura tende a sanare, a spegnere quel mal
umore, quellodio, non sistematico, ma pur vero odio, che tanti e
tanti, i quali non sono filosofi, e non vorrebbero esser chiamati n
creduti misantropi, portano per cordialmente ai loro simili (). La
mia filosofia fa rea dogni cosa la natura, e discolpando gli uomini
totalmente, rivolge lodio, o se non altro il lamento, a principio
pi alto, allorigine vera dei mali dei viventi. Ma L. non trova
rispondenza n comprensione nella classe politica e intellettuale
del suo tempo, la quale professa fiducia nelle magnifiche sorti e
progressive. Contro lottimismo storicistico del secolo, che egli
giudica stolto, e contro lo stesso impegno politico e legislativo,
che egli vede animato dalla sterile e ridicola pretesa di procurare
agli stati il benessere e la felicit ignorando le reali esigenze
degli individui, L. intraprende una vigorosa crociata solitaria. In
una lettera al Giordani del 1828 scrive: Mi comincia a stomacare il
superbo disprezzo che qui si professa di ogni bello e di ogni
letteratura: massimamente che non mi entra poi nel cervello che la
sommit del sapere umano stia nel saper la politica e la statistica.
Anzi, considerando filosoficamente linutilit quasi perfetta degli
studi fatti dallet di Solone in poi per ottenere la perfezione
degli stati civili e la felicit dei popoli, mi viene un poco da
ridere di questo furore di calcoli e di arzigogoli politici e
legislativi; e umilmente mi domando se la felicit dei popoli si pu
dare senza la felicit deglindividui. La polemica di L.
particolarmente dura contro il liberalismo cattolico e moderato,
come attesta la satira dei Nuovi credenti, e la sua condanna
coinvolge ogni tipo di conformismo, sia reazionario, sia liberale.
Negli ultimi anni L. abbandona il pessimismo pi metafisico per
acquisire un atteggiamento pi relativistico, fondato sul
riconoscimento di un doppio piano della verit, quello dellordine
delle cose e quello del modo dellesistenza, e, di conseguenza, di
una duplice matrice del dolore. C il dolore che deriva dallordine
delle cose, dunque legato allessenza stessa della vita e, come
tale, ineliminabile se non a costo della rinuncia alla vita stessa
(si tratta del dolore inflitto alluomo dai mali esterni, ai quali
non ci si pu sottrarre: malattie, eventi atmosferici, cataclismi,
deperimento dovuto a vecchiaia). C poi un altro tipo di sofferenza,
che invece rimanda al mondo dellesistenza, cio alla qualit della
vita, alla storia, alla cultura. Questo secondo tipo di dolore pu
essere invece combattuto e rimosso in quanto dipende non dalla
natura, ma dalluomo: di qui il recupero del vitalismo e la
scoperta, da parte della poesia leopardiana, della dimensione
sociale. Il male storico dipende dal libero sfogo dellegoismo
umano: noi viviamo tutti per la morte e, anche se accomunati dalla
stessa miseria della vita e dallodio implacabile della Natura,
tendiamo a contrapporci lun laltro per desiderio di affermarci,
voglia di prevalere, che sono la manifestazione degli istinti pi
bassi. Cos accresciamo il gi grande male di vivere. Ma luomo essere
razionale, soggetto di cultura, dunque pu controllare i bassi
istinti, che sono fondamentalmente antisociali, e produrre valori
alternativi come la compassione, la solidariet, lamicizia, che
invece fondano la societ. E questo il compito della filosofia
dolorosa ma vera, che riconosce francamente il male della vita e
mostra concretamente come esso possa essere mitigato. Questo il
compito del nuovo poeta, che cos recupera la funzione di vate al
servizio tanto della verit quanto dellintera umanit e si fa
promotore di autentica cultura e autentico progresso sociale.
Letica della solidariet il tema centrale della Ginestra, concepito
come un messaggio indirizzato sia ai contemporanei sia ai posteri:
si impone una grande alleanza fra tutti gli uomini, una social
catena che coalizzi i mortali contro lempia Natura e abbia il
coraggio della verit, rifiutando lidea di una Provvidenza e le
superbe fole del secol superbo e sciocco. Il messaggio finale di L.
frutto di un razionalismo irriducibile. Progressismo e pessimismo
convivono in questultima fase del suo pensiero, caratterizzata
dalla speranza che la riconquista del giusto sapere sia il
fondamento di una societ nuova, costruita con le sole forze
umane.
INTRODUZIONE AI PARALIPOMENI A cura di Giuseppe Bonghi Leopardi
scrive questo poemetto satirico di otto canti in ottave,
presentandolo come continuazione del poema pseudomerico
Batracomiomachia, che era stato tradotto per ben tre volte dal
Leopardi: 1815 La guerra dei topi e delle rane 1821-1822 Guerra de
topi e delle rane 1826 Guerra dei topi e delle rane Leopardi finge
che il poema sia tratto da antiche pergamene e che sia
allimprovviso interrotto e non continuabile, per quanto abbia
interrogato le antiche fonti. Incerta la data di composizione del
poemetto, che sicuramente non viene cominciato prima del 1831, e
questo lo si pu dedurre dallaccenno alla sconfitta dei Belgi a
Lovanio il 12 agosto 1831 e alla morte del Niebuhr avvenuta il 2
gennaio 1831. Quasi certamente vi lavor mentre si trovava a Napoli
nel 1834 e vi lavor fino alla morte lasciandolo incompiuto, nel
senso che non riusc a dargli una veste definitiva. In una lettera
scritta l11 dicembre 1846 da Giuseppe Giusti a Vincenzo Gioberti.
Dei Paralipomeni abbiamo due copie manoscritte: una fra le carte
napoletane ed di mano di Antonio Ranieri (ma il primo canto di mano
del poeta); laltra fra le carte che il Ranieri lasci alla
biblioteca nazionale di Napoli, ed interamente di mano del poeta.
Fu pubblicato per la prima volta nel 1842 a Parigi, per i tipi
della Libreria europea di Baudry. Con i Paralipomeni Leopardi
scrive dei suoi tempi, ma erano tempi legati a un certo
immobilismo: la napoletanit di Topaia, la citt-stato dei Topi lo
dimostra. Ma ne parla in modo letterario, lontano dai veri problemi
sociali e politici che affannavano lepoca della Napoli che lui ha
conosciuto negli ultimi anni della sua vita, che non gli entrer mai
dentro e della quale conoscer a malapena certi aspetti esteriori,
riassumibili nelle vicende di Pulcinella e Colombina, che venivano
rappresentati dai teatranti di strada col teatro dei pupi, unico
divertimento della gente che si accalcava davanti al teatrino e
partecipava in modo diretto alle vicende con incitamenti e
richieste che spesso cambiavano la stessa vicenda come in una
specie di Commedia dellarte . vero che i Topi sono i liberali
italiani, le Rane i papalini e i Granchi i reazionari austriaci e
lautore crede di essere il Malpensante, il personaggio
Assaggiatore, cio luomo antiretorico e anticonformista, ma anche
vero che di quellepoca non riesce a cogliere n la realt storica n
la realt umana della gente che lo circondava, troppo assorbito
forse dalla vasta e profondamente dolorosa vicenda personale. I
Paralipomeni sono un poemetto incompleto, perch manca una
conclusione strutturalmente valida (troppo debole e letteraria
risulta il marchingegno della trovata del manoscritto interrotto) e
manca soprattutto unidea-guida intorno alla quale far girare
lintera vicenda, che pure non manca di spunti importanti e sul
piano poetico di ottave interessanti: e lidea-guida poteva essere
solo, in quei frangenti storici e la presenza dei tre gruppi
Topi-Rane-Granchi, la soluzione di unItalia unita; ma noi non
sapremo mai, leggendo questo poemetto, cosa veramente Leopardi
pensasse dellItalia e della sua unificazione. Dei Paralipomeni cos
scrive Novella Bellucci in Per leggere Leopardi, (Bonacci, Roma
1988, p. 194): Con questa satira politica Leopardi ha insegnato ai
posteri una lettura certamente non conformista degli eventi
prerisorgimentali, elaborata sullo sfondo di uno scenario di cui
ormai lautore ha smascherato ogni ornamento pseudoculturale o
ideologico, ogni supporto aprioristico e consolatorio. Va tenuto
presente che lo spirito polemico del poemetto indirizzato verso dei
destinatari concreti, i liberali in genere (molti Leopardi ne aveva
conosciuti e frequentati nel soggiorno fiorentino), ma soprattutto
gli spiritualisti cattolici della Napoli in cui si trov a vivere
negli ultimi anni della vita; eppure le ottave dei Paralipomeni,
mentre si misurano con la polemica concreta, si situano anche in
una prospettiva pi generale, si riconducono al complessivo discorso
poetico dellultimo Leopardi: sopra e oltre le vicende degli uomini,
le loro micro e macro storie, incombe un sistema
antiprovvidenziale, ugualmente
indifferente a umani e bestie, impossibilitato nei suoi
meccanismi essenziali a mutare o migliorare, identificabile con una
natura carnefice e nemica o almeno non finalizzata alla cura degli
eventi. Queste parole sono apparentemente chiare, ma difficili da
capire per i nostri magri studenti (avrebbe, ad esempio, almeno
potuto spiegare che cosa significa supporto aprioristico e
consolatorio in un autore che chiede cos poco di essere consolato
ma tanto di sentire vicino una presenza amica); e noi le abbiamo
riportate perch ci servono per mettere in evidenza due elementi,
che appartengono non solo alla comprensione di questo poemetto, ma
allintera poetica leopardiana e che possiamo cos enucleare: 1) il
poemetto indirizzato realisticamente a certi gruppi di persone, i
liberali che aveva conosciuto soprattutto a Firenze e gli
spiritualisti cattolici di Napoli eredi delle vittoriose giornate
contro la Repubblica partenopea del 1799 e che continuavano
imperterriti a fare disastri politici ed economici nella Napoli
della prima met dellOttocento; 2) ogni cosa sottoposta a un sistema
esterno e superiore allindividuo (identificabile con la Natura
matrigna) che tutto vede e a tutto provvede senza tener conto degli
individui ma perseguendo fini misteriosi ai quali luomo
completamente estraneo e contro i quali si rende conto di essere
impotente. Se estendiamo questo concetto dal piano religioso a
quello politico, ci accorgiamo che in effetti la situazione non
cambia: il potere politico resta qualcosa di inaccessibile alluomo
che si rende conto allo stesso modo di essere estraneo e impotente.
Ma, al di l di queste due considerazioni, assodato che questo
poemetto leopardiano viene letto solo dagli studiosi e da qualche
appassionato, ci dobbiamo rendere conto che Leopardi stesso vive in
una realt sociale, politica e religiosa che gli resta estranea: non
linterprete di quella realt, come non pu esserlo il romantico in
genere tutto preso dai suoi grandi ideali che appartengono a una
realt storica sicuramente pi evoluta, ma solo il visionario che con
la realt tende molto spesso a scontrarsi. Il romantico lotta per
unidea, non per la realt, lotta per la libert come ideale non per
la libert di un popolo che anche progresso delluomo e non ci pu
essere progresso sociale se non si cancellano privilegi che allora
come ora erano forti e tenacemente legati al modo di vivere e di
pensare di coloro che in qualunque modo avevano in mano le leve del
potere sia a livello generale che a livello locale. Per avere
scrittori che siano anche interpreti della realt bisogner aspettare
almeno i potes maudits e i veristi o naturalisti, che descriveranno
la realt come credevano che essa fosse. Insomma: a) i romantici
hanno una visione personale della realt, b) i romantici non sono
interpreti della realt. Personaggi del poemetto (I nomi di alcuni
personaggi appartenevano gi alla Batracomiomachia) Miratondo, un
guerriero dei Topi Mangiaprosciutti, Re dei Topi, morto in
battaglia Leccamacine, figlia di Mangiaprosciutti, sposa di
Rodipane Rodipane, sposo di Leccamacine, successore di
Mangiaprosciutti per elezione e quindi per volont popolare
Rubabriciole, figlio di Rodipane e Leccamacine, per la cui morte
scoppia la guerra fra Rane e Topi Rubatocchi, generale dei Topi,
valoroso come Achille, lunico a morire eroicamente nella battaglia
contro i Granchi Leccafondi, Conte e Signore di Pesafondi e
Stacciavento (identificato con Gino Capponi o Pietro Colletta)
Brancaforte, Generale dei Granchi (qualcuno lo ha voluto
identificare col generale austriaco di origine italiana Federico
Bianchi, che nel maggio del 1815 sconfisse Gioacchino Murat a
Tolentino) Senzacapo, Re dei Granchi (probabile allusione a
Francesco I di Lorena, diciannovesimo imperatore della casa
dAsburgo, appartenente alla dinastia iniziata da Francesco di
Lorena e Maria Teresa)
Camminatorto, ministro reazionario imposto dai Granchi a
Rodipane Assaggiatore, generale, che rispecchia idee e scelte
dellautore Riassunto del poemetto (I numeri tra parentesi indicano
le ottave) Canto primo: Nella guerra tra Topi e Rane, scoppiata per
la morte del principe Rubabriciole, nipote di Mangiaprosciutti re
dei Topi e figlio di Leccamacine, i Topi sconfitti sono costretti a
una ritirata precipitosa (1-4); morto in battaglia il loro re
Mangiaprosciutti, durante una sosta eleggono il valoroso Rubatocchi
come capo provvisorio (5-13) e inviano il conte Leccafondi come
ambasciatore al campo nemico (32-47). Lunga digressione sullantica
grandezza dItalia (14-31). sconfitta dei topi riferimento alla
battaglia di Tolentino (3 maggio 1815) nella quale lesercito
napoletano comandato da Gioacchino Murat fu sconfitto dagli
Austriaci venuti in soccorso delle truppe pontificie fuga dei topi
terza ottava: viene paragonata a quella delle truppe pontificie nel
corso della prima campagna dItalia di Napoleone (1797), guidate dal
generale imperiale Michelangelo Alessandro Colli-Marchini fuga dei
topi quarta ottava: sconfitta degli Olandesi a Lovanio (12 agosto
1831) con una fuga interrotta dal soccorso delle truppe francesi di
Luigi Filippo nona ottava riferimento allepisodio narrato da
Senofonte nellAnabasi, dei diecimila mercenari greci che, dopo aver
partecipato alla sfortunata spedizione Lucerniere antico topolino
filosofante, al quale stata eretta una statua Canto secondo:
Viaggio notturno del Conte Leccafondi (1-10) e descrizione del suo
arrivo al campo dei Granchi (11-27); Brancaforte, generale dei
Granchi, dapprima si rifiuta di riconoscere il mandato di
Leccafondi; poi, per ordine del suo re Senzacapo, detta al conte le
condizioni di pace: nomina, da parte dei Topi, di un re legittimo e
insediamento di un presidio di trentamila granchi in Topaia, la
capitale sotterranea dei vinti Topi e infine illustra la politica
del suo sovrano, basata sui princpi dellequilibrio e del diritto
dintervento (28-46). Da notare che nelle ottave 30-39 satireggiato
il principio dellequilibrio europeo, obiettivo della politica
austriaca posteriore al congresso di Vienna. Topaia La citt stato
dei Topi, identificabile con la citt di Napoli e/o col Regno di
Napoli Mezzofanti cardinale Giuseppe Gaspare Mezzofanti
(1774-1849), famoso poliglotta, professore allUniversit di Bologna
(sembra conoscesse una ventina di lingue) Brancaforte Generale dei
Granchi (qualcuno lo ha voluto identificare col generale austriaco
di origine italiana Federico Bianchi, che nel maggio del 1815
sconfisse Gioacchino Murat a Tolentino): comunque lemblema del
militare austriaco rozzo e ottuso Senzacapo (ott. 26) probabile
allusione a Francesco I di Lorena, diciannovesimo imperatore della
casa dAsburgo, appartenente alla dinastia iniziata da Francesco di
Lorena e Maria Teresa ottava 42 Forse c un riferimento alla
guarnigione che lAustria impose al Regno di Napoli nel 1821 Canto
terzo Rubatocchi, che ha condotto in salvo lesercito dei Topi in
salvo nella citt-stato di Topaia (1-19),
rinuncia al potere che gli viene offerto; digressione sul secolo
XVI (20-34). I Topi instaurano allora un regime costituzionale ed
eleggono come loro Re Rodipane, genero di Mangiaprosciutti (35-45).
Topaia nella descrizione di Topaia Leopardi ha tenuto presente
Napoli ottava 7 Il castello di Topaia paragonato alla citt di Trevi
con una lunga similitudine che si estende per tre ottave Canto
quarto Dopo una lunga digressione satirica sui primordi della
societ umana in polemica con le teorie provvidenzialistiche della
storia (1-25), il racconto riprende dalle elezioni di Rodipane:
viene costituito un governo liberale, nel quale il liberale
Leccafondi nominato consigliere del re e ministro degli interni, e
si adopera per il progresso culturale, civile ed economico del
popolo (26-42. Ma Senzacapo, il re dei Granchi, non tollera questa
svolta pericolosa ed invia a Topaia il suo messo Boccaferrata
(43-47)0. Senzacapo nel ritratto di Senzacapo c un probabile
riferimento a Francesco I dAustria, il quale si occupava
personalmente di regolare con editti e decreti il numero e le
qualit delle percosse, e la qualit della verga che era, secondo i
casi, o bastone o verga di vimini. Francesco I fu veramente
sonatore di violino e faceva parte di un quartetto speciale
(Allodoli) Canto quinto Lungo discorso (1-15) di Boccaferrata che
cerca di costringere Rodipane di legittimare il suo potere,
rifiutando la sua elezione avvenuta per volont popolare e sancendo
che il potere gli spetta per diritto dinastico. Rodipane si rifiuta
(16-20) e scoppia la guerra: il popolo dei Topi approva sdegnati
latteggiamento del suo re e si prepara allo scontro con i Granchi
(21-34); ma alla sola vista del nemico i Topi fuggono e vengono
sconfitti (35-48): tanto grandiosa ed epica la descrizione della
preparazione alla battaglia (basta vedere lelenco dei personaggi
mitici nominati). Lunico a non fuggire Rubatocchi, contro il quale
si rivolgono le schiere nemiche: dopo il tramonto del Sole, quando
il buio ormai completo, cade ma il suo cader non vide il cielo.
Canto sesto Cade Topaia e cade il suo regime liberale (1-6):
Camminatorto, il ministro reazionario che i Granchi impongono a
Rodipane, abroga tutti i provvedimenti che aveva preso lilluminato
Leccafondi (713). A Topaia i Topi cominciano a tramare congiure
velleitarie, mentre Leccafondi viene esiliato (14-23); durante la
tempesta in una notte dautunno trova rifugio nel palazzo di Dedalo
(unico personaggio umano del poema) (24-36), che lo ospita
generosamente e al quale narra le sue peripezie, come Enea a Didone
(37-45). Canto settimo Ritratto di Dedalo che fa vedere a
Leccafondi la sua biblioteca e le opere antiche e moderne dei Topi
(1-7), convinto assertore dellimmortalit dellanima delle bestie,
guida Leccafondi verso lAverno degli animali. Muniti di ali, i due
sorvolano la meta Europa, Asia e Africa rappresentate in et
preistorica (20-31) e infine raggiungono lAverno degli animali
(32-51). Canto ottavo Leccafondi discende nellAverno dei Topi
(1-19) e a fatica riesce a strappare un consiglio ai Topi defunti:
rientri in Topaia e si rivolga al vecchio e prode generale
Assaggiatore (20-31). Tornato in patria, il conte interroga pi
volte invano il generale (32-41); finalmente egli parla ma le sue
dichiarazioni non possono essere riferite perch proprio a questo
punto sinterrompe il manoscritto sul quale il poeta finge di aver
condotto la sua storia (42-46) e pi a nulla vale la conoscenza
celata in mille biblioteche e in tante lingue diverse, antiche o
moderne. Sotto le vesti animalesche si nascondono i contendenti dei
moti risorgimentali dal 1821 al 1831, con particolare riferimento
alle vicende napoletane: i topi sono liberali, le rane
rappresentano i
conservatori (con specifica allusione alle truppe pontificie), i
granchi invece rappresentano gli Austriaci. Resta fondamentale il
giudizio espresso sul poemetto da Vincenzo Gioberti (cfr. Il
gesuita moderno, vol. III, Losanna, Bonamici 1847, pag. 484): I
popoli italiani sono forse educati alle grandi imprese? Il Leopardi
verso la fine della sua vita scrisse un libro terribile, nel quale
deride i desideri, i sogni, i tentativi politici deglItaliani con
unironia amara che squarcia il cuore, ma che giustissima. Imperocch
tutto ci che noi abbiam fatto in opera di polizia da un mezzo
secolo in qua cos puerile, che io non vorrei incollerire contro gli
stranieri quando ci deridono se anchessi non fossero intinti pi o
meno della stessa pece. Alla fine resta la penosa impressione
dellesercito dei Topi che, schierato e pronto ormai per la
battaglia, allimprovviso si slancia in una irrefrenabile fuga e
giunge ad accalcarsi davanti alle quattro sole porte dentrata nella
citt di Topaia, raggiunto e inesorabilmente decimato dallesercito
dei Granchi, dopo che era stato abbattuto lultimo eroico inutile
baluardo, rappresentato dalla figura del generale Rubatocchi: una
morte tanto eroica quanto farsesca se si pensa alla contemporanea
oscena fuga del suo esercito. Proprio le due dicotomie
eroismo-farsa e storia-apparenza, introducono alla dicotomia pi
interessante presente nel poemetto e che affonda le sue radici
nellIlluminismo e nella Rivoluzione francese, quella fra potere
regio e potere popolare, che cos male era rappresentata
dallesercito francese in Italia, sia per quanto riguarda le
esperienze infelici di Monaldo Leopardi, sia per le esperienze
altrettanto infelici dei tempi di Giacomo; proprio questultima
dicotomia ben rappresentate dalla presenza di Boccaforte che cerca
di obbligare Rodipane a cambiare la legittimit della sua elezione
da popolare in una pi tradizionale, quella del potere che deriva
dal diritto divino. INTRODUZIONE ALLE OPERETTE MORALI A cura di
Giuseppe Bonghi Le Operette Morali, progettate sin dal 1820 in un
progetto vago e sovrabbondante, con lidea di riprendere il genere
dei Dialoghi dello scrittore greco Luciano, vengono scritte nel
1824 (le prime venti) e stampate a Milano dalleditore Angelo Stella
nel 1827, dopo che tre di esse erano uscite nel 1826, due sul
numero di gennaio dellAntologia (Dialogo di Timandro e di Eleandro,
Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare e Dialogo di
Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez) del Viesseux e
successivamente su due numeri del Nuovo Ricoglitore. Ledizione
completa con laggiunta delle ultime quattro scritte negli ultimi
anni, uscir nel 1835 a Napoli presso leditore Saverio Starita,
unedizione che non ottenne il permesso di pubblicazione ufficiale,
ma che ebbe lo stesso un buon successo. Nelle Operette Leopardi
esprime la sua diagnosi della realt, trattando la sua visione con
assoluta libert proprio assumendo le vesti pi disparate dei
personaggi dei suoi Dialoghi, che discutono con i morti o sono
semplicemente animali domestici come il gallo silvestre; guida i
suoi lettori verso traguardi noti a lui solo, a scoprire la vera
essenza del quotidiano, quasi anticipando lanalisi umoristica
pirandelliana, facendoci vedere laltro aspetto della realt, non
quello pi nascosto, ma quello pi difficile da cogliere se si
analizzassero le cose col solito modello di pensiero. Invita i
lettori a svestorisi del proprio modo di pensare per vedere non
dentro le cose (unoperazione che tutti fanno), ma dalla parte
opposta e simmetrica, a sentire laltro suono della campana. Il
ricorso alla fantasia della rappresentazione non si scontra mai con
lanalisi della realt, non unoperazione dellimmaginazione, ma della
logica seguendo strutture di ragionamento diverse, come diverse
sono le epoche in cui sono situati i personaggi, come diversi sono
i modi di pensare e di vedere: ma tutti dovrebbero condurre a una
sola unit dintenti, a una sola visione, agli stessi valori ed
ideali, eliminando arrivismi ed egoismi che tutto distruggono.
Analizzando proprio il Dialogo cancellato dal poeta possiamo capire
come i grandi valori sociali (la patria, lonore) siano diventati la
ricchezza sfrenata, i divertimenti, la voglia di primeggiare. Le
Operette esprimono la meditazione leopardiana sulla condizione
umana sospesa tra passato e presente, tra
aspettative naturali e realizzazione pratica, sul destino,
sullaspirazione di ogni uomo a una felicit che sembra raggiungibile
nella prima giovinezza ma che si rivela ad ogni anno che passa
(Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere) sempre
pi un sogno impossibile; non a caso si aprono con la Storia del
genere umano, in cui Leopardi rappresenta la successione delle
tappe della sua storia spirituale che riflette quelle della storia
del genere umano in generale, e si chiudono con il Dialogo di
Tristano e di un amico che rappresentano la virile attesa della
morte, solo rimedio allinutile miseria della vita sottolineando cos
la sua solitudine e il coraggio con cui ricercava il vero, fra gli
uomini che preferivano banali e confortanti illusioni. Scritte nel
1824, rappresentano la presa di coscienza del crollo delle sue
illusioni giovanili, tornando a Recanati, il nato borgo selvaggio,
dopo che fiducioso tre anni prima era corso incontro al mondo
allontanandosi da casa, in cui gli sembrava impossibile vivere e
raggiungere unaccettabile condizione di vita felice. Lironia che le
pervade non sono una ricerca spirituale di distacco dallamarezza
che la materia trattata gli infonde, ma sono la scoperta del senso
fondamentale della vita che si nasconde dietro le banali apparenze
quotidiane della cultura e dei modi di vivere. Proprio questa
scoperta sar alla base della sua grande poesia a partire dal 1827.
una scoperta dolorosa, ma rappresenta anche laccettazione del male
della vita, esclusa da ogni speranza di bene o contento, come dir
nel Canto notturno, che altri forse avr, ma che lui non potr mai
raggiungere perch questa la condizione umana. Le domande che si
pone, e che scaturiscono dai Dialoghi, rimangono senza risposta; il
dialogo stesso diventa fittizio e apparente, perch resta un
monologo che scaturisce dai due aspetti della realt che lo
affascina e lo intristisce, una, quella dellapparenza, che luomo
vive nella fiduciosa giovinezza, nel momento in cui le cose
appaiono, e laltro che si afferma allapparir del vero. Per questo
le Operette rappresentano un punto di partenza fondamentale per la
formazione umana e sociale delluomo moderno, lontano da tutto ci
che impoverisce lesistenza umana, appiattendola su apparenze vuote
o sospingendola verso chimeriche forme di vita ultraterrena; in
esse il poeta tocca e rivela i pi profondi motivi del nulla, della
noia-angoscia, della vita come morte, senza mai cadere nel
patetico, ma sempre stimolando lenergia virile delluomo ad
affrontare lesistenza con il coraggio che deve portare alla ricerca
della verit. INDIETRO filosofico.net
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leopardi.it Home - I CANTI XXV - IL SABATO DEL VILLAGGIO La
donzelletta vien dalla campagna, In sul calar del sole, Col suo
fascio dellerba; e reca in mano Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole, Ornare ella si appresta Dimani, al d di festa,
il petto e il crine. Siede con le vicine Su la scala a filar la
vecchierella, Incontro l dove si perde il giorno; E novellando vien
del suo buon tempo, Quando ai d della festa ella si ornava, Ed
ancor sana e snella Solea danzar la sera intra di quei Chebbe
compagni dellet pi bella. Gi tutta laria imbruna, Torna azzurro il
sereno, e tornan lombre Gi da colli e da tetti, Al biancheggiar
della recente luna. Or la squilla d segno Della festa che viene; Ed
a quel suon diresti Che il cor si riconforta. I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta, E qua e l saltando, Fanno un lieto
romore: E intanto riede alla sua parca mensa, Fischiando, il
zappatore, E seco pensa al d del suo riposo. Poi quando intorno
spenta ogni altra face, E tutto laltro tace, Odi il martel
picchiare, odi la sega Del legnaiuol, che veglia Nella chiusa
bottega alla lucerna, E saffretta, e sadopra Di fornir lopra anzi
il chiarir dellalba. Questo di sette il pi gradito giorno, Pien di
speme e di gioia: Diman tristezza e noia Recheran lore, ed al
travaglio usato Ciascuno in suo pensier far ritorno. Garzoncello
scherzoso, Cotesta et fiorita E come un giorno dallegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno, Che precorre alla festa di tua vita. Godi,
fanciullo mio; stato soave, Stagion lieta cotesta. Altro dirti non
vo; ma la tua festa Chanco tardi a venir non ti sia grave. Torna
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Giacomo Leopardi
isoladellapoesia.com
Poesia di Giacomo Leopardi LinfinitoSempre caro mi fu questermo
colle, e questa siepe, che da tanta parte dellultimo orizzonte il
guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di l da
quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quete io nel pensier
mi fingo, ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo
stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa
voce vo comparando: e mi sovvien leterno, e le morte stagioni, e la
presente e viva, e il suon di lei. Cos tra questa immensit sannega
il pensier mio: e il naufragar m dolce in questo mare (Giacomo
Leopardi)
Parafrasi:Sempre caro mi stato questo colle solitario e questa
siepe che impedisce di vedere lorizzonte. Stando fermo e guardando
fisso io immagino nel pensiero spazi infiniti al di l di quella
siepe e silenzi che un uomo non pu percepire e quiete profonde. Per
poco il cuore non si smarrisce. E quando sento stormire le foglie a
causa del vento io paragono quellinfinito silenzio a questa voce e
mi viene in mente leternit, le stagioni passate e presenti e i
scarsi rumori. Tra questa immensit si smarrisce il mio pensiero ma
il lasciarsi andare in questo mare mi gradito.
Significato di questa poesia di Giacomo Leopardi
L idillio si configura come uno studio visivo-prospettico degli
elementi del paesaggio per produrre nel lettore la suggestione dell
Infinito. La vaghezza del linguaggio, basata sull uso di parole di
significato indeterminato, le quali, pi che precisare le cose
secondo le categorie di spazio e di tempo, ne sfumano i contorni, e
con il caratteristico vocabolario leopardiano (ermo, interminati,
sovrumano, ecc..) producono quella poesia dell indefinito che
spesso funzionale a quella dell infinito. NellInfinito Leopardi si
concentra decisamente sullinteriorit, sul proprio io, e lo rapporta
ad una realt spaziale e fisica, in modo da arrivare a ricercare
lInfinito. Lesercizio poetico, dunque, si pone come superamento di
ogni capacit percettiva, di cui la natura il limite (rappresentato
dalla siepe). Tra la minaccia del silenzio (e sovrumani / silenzi,
e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo, ove per poco / il
cor non si spaura versi dal 5 all8) e la sonorit della natura (E
come il vento / odo stormir tra queste piante, versi 8 e 9), il
pensiero afferra linafferrabile universalit dellInfinito, superando
la contingenza di ci che ci circonda, che lesperienza fortemente
voluta dallautore.
Il poeta, seduto davanti ad una siepe, immagina oltre questa
spazi interminabili, che vanno oltre anche la linea dellorizzonte
che la siepe in realt nascondeva. Richiamato alla realt da un
rumore, da una sensazione uditiva, estende il suo fantasticare
anche nellimmensit del tempo. LInfinito, dunque, nella poesia ha
una duplice valenza: spaziale e temporale. LInfinito, nella visione
di Giacomo Leopardi, non un infinito reale, ma frutto
dellimmaginazione delluomo e, quindi, da trattare in senso
metafisico. Esso rappresenta quello slancio vitale e quella
tensione verso la felicit connaturati ad ogni uomo, diventando in
questo modo il principio stesso del piacere. Nella poesia,
lesperienza dellInfinito unesperienza duplice, che porta chi la
compie ad essere in bilico tra la perdit di s stesso (Cos tra
questa / immensit sannega il pensier mio versi 13 e 14) e il
piacere che da ci deriva (e il naufragar m dolce in questo mare
verso 15). Per lautore il desiderio di piacere destinato a
rinnovarsi; ricercando sempre nuove sensazioni, scontrandosi
inevitabilmente con il carattere provvisorio della realt, per
terminare al momento della morte. Secondo questa teoria (teoria del
piacere), espressa nello Zibaldone, luomo non si pu appagare di
piaceri finiti, ma ha necessit di piaceri infiniti nel numero,
nella durata e nellestensione: tali piaceri, per, non sono
possibili nellesperienza umana. Questo limite, tuttavia, non
persiste nel campo dellimmaginazione, che diventa una via daccesso
ad un sentimento di piacere (espresso nellultimo verso) nella
fusione con linfinit del mare dellessere. importante notare,
tuttavia, che linfinito leopardiano non simile a quello di altri
poeti romantici, in cui esso era straniamento dalla realt per mezzo
della semplice fuga nellirrazionalit e nel sogno: la scoperta e
lesperienza dellInfinito sono processi immaginativi sottoposti al
controllo razionale. Il soggetto, cio, crea consapevolmente il
contrasto tra ci che limitato e ci che illimitato (lostacolo e
linfinito spaziale), e tra ci che contingente e ci che eterno. Tale
considerazione ci porta a contemplare quello che il pessimismo di
Leopardi: egli consapevole della vanit del suo tendere, sa che
tutto frutto della sua immaginazione, per quanto questa situazione
sia dolce. Se ritieni utili le informazioni trovate su questa
pagina, clicca sul tasto +1 Torna allindice delle poesie famose
Testo tratto da Wikipedia. Per approfondimenti su questa poesia di
Giacomo Leopardi, leggi la fonte: Linfinito di Leopardi
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Giacomo Leopardi: A Silvia
emsf.rai.itBrani
Giacomo Leopardi A SilviaDocumenti correlati A SILVIA Silvia,
rimembri ancora Quel tempo della tua vita mortale, Quando belt
splendea Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, E tu, lieta e
pensosa, il limitare Di giovent salivi? Sonavan le quiete Stanze, e
le vie dintorno, Al tuo perpetuo canto, Allor che allopre femminili
intenta Sedevi, assai contenta Di quel vago avvenir che in mente
avevi. Era il maggio odoroso: e tu solevi Cos menare il giorno. Io
gli studi leggiadri Talor lasciando e le sudate carte, Ove il tempo
mio primo E di me si spendea la miglior parte, Din su i veroni del
paterno ostello Porgea gli orecchi al suon della tua voce, Ed alla
man veloce Che percorrea la faticosa tela. Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti, E quinci il mar da lungi, e quindi il
monte. Lingua mortal non dice Quel chio sentiva in seno. Che
pensieri soavi, Che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor
ci apparia La vita umana e il fato! Quando sovviemmi di cotanta
speme, Un affetto mi preme Acerbo e sconsolato, E tornami a doler
di mia sventura. O natura, o natura, Perch non rendi poi Quel che
prometti allor? perch di tanto Inganni i figli tuoi? Tu pria che
lerbe inaridisse il verno, Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi Il fior degli anni tuoi; Non ti
molceva il core La dolce lode or delle negre chiome, Or degli
sguardi innamorati e schivi; N teco le compagne ai d festivi
Ragionavan damore. Anche peria fra poco La speranza mia dolce: agli
anni miei Anche negaro i fati La giovanezza. Ahi come, Come passata
sei, Cara compagna dellet mia nova, Mia lacrimata speme! Questo
quel mondo? questi I diletti, lamor, lopre, gli eventi Onde cotanto
ragionammo insieme? Questa la sorte dellumane genti? Allapparir del
vero Tu, misera, cadesti: e con la mano La fredda morte ed una
tomba ignuda Mostravi di lontano. Biografia di Giacomo Leopardi
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A Silvia - Leopardi [Parafrasi, commento e analisi] - Pianeta
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veloce A Silvia - Leopardi [Parafrasi, commento e analisi],
Riassunto e Figure Retoriche Inviato il: 4/6/2009, 15:17 Gruppo:
Amministratore Messaggi: 6289 Provenienza: Napoli Stato: Dopo gli
idilli, c il periodo delle operette morali, che un momento dedicato
solo alla filosofia, con un distacco dalla poesia che verr ripresa
nella fase coincidente con i CANTI PISANORECANATESI (1828-1830).
Questi canti sono stati scritti tra Pisa e Recanati, dove il poeta
torner per lultima volta. Leopardi si era recato a Pisa in cerca di
un clima confacente alla sua malattia; qui scrive il risorgimento e
a Silvia, mentre a Recanati nascono le ricordanze, il canto
notturno di un pastore errante nellAsia, la quiete dopo la
tempesta, il sabato del villaggio e il passero solitario. La
critica aveva definito queste opere GRANDI IDILLI, per distinguerli
da quelli scritti precedentemente alla operette morali, i PICCOLI
IDILLI; ora questa denominazione non viene pi accettata, perch
valorizza solo gli aspetti descrittivi ed emozionali, mentre non
considera la novit di questi nuovi idilli, e cio la filosofia: in
queste ultime opere c infatti un punto dincontro tra il sentimento
emozionale e la filosofia. A SILVIA: ha la forma metrica di un
canzone leopardiana (Leopardi introduce una nuova forma poetica, la
canzone libera). Questo canto dedicato a una donna, Silvia (uno
pseudonimo), che viene individuata in Teresa Fattorini, figlia del
cocchiere di casa Leopardi, che muore giovanissima di tisi il 30
settembre del 1818. Il nome di Silvia non casuale, era la ninfa
amata di Aminto nellopera del Tasso. In alcuni brani dello
Zibaldone, Leopardi cita Teresa, appuntando alcuni avvenimenti
della sua vita. Qui c la rievocazione appassionata delle SPERANZE
GIOVANILI e la sicurezza dellINFELICITA del genere umano. C inoltre
un PARALLELISMO tra Silvia e Leopardi: come le speranze di Silvia
per il futuro sono cadute a causa della morte prematura, cos le
speranze del poeta sono diventate delusioni; questo parallelismo si
pu notare nelle strofe centrali del componimento, gi a partire
dalla seconda strofa. Lesperienza dellio del poeta supera
lesperienza esistenziale tipica degli idilli giovanili, in cui
parla in prima persona. Qui lIO si sposta e comincia a comparire il
NOI, che corrisponde allio del poeta insieme allio del genere
umano. In questa poesia, lesperienza esistenziale di Leopardi si
unisce con quella di Teresa. Andando a Pisa il poeta voleva
inaugurare un nuovo momento della sua vita, lontano dalla prigione
di Recanati, dove dopo Pisa torner per lultima volta. ANALISI DEL
CONTENUTO: 6 strofe di diversa lunghezza (canzone libera,
differente dalla canzone petrarchersca, in cui cera equilibrio tra
endecasillabi e settenari (a un endecasillabo seguiva sempre un
settenario); in Leopardi sono pi numerosi i settenari (34) degli
endecasillabi (29). 27 versi sono privi di rima, gli altri rimano
liberamente. Lultimo verso di ogni strofa rima con uno dei versi
precedenti ed sempre un settenario. La STRUTTURA simmetrica. La I
strofa il proemio che introduce limmagine di Silvia; c linvocazione
e levocazione delle caratteristiche generali. La II e la III strofa
mostrano 2 situazioni parallele, la prima riguarda Silvia, laltra
Leopardi (si rifanno tutte e due al passato e alle illusioni
giovanili). La IV strofa un commento dopo la delusione delle
speranze. La V e la VI strofa che sono simmetriche alla II e alla
III mostrano il vero parallelismo tra la storia di Silvia e quella
di Leopardi. Leopardi non fu mai innamorato di Teresa, figlia di un
cocchiere, cera un enorme abisso sociale tra i
due. I cocchieri vivevano sopra la rimessa della carrozza. Tra
la casa di questi e la villa dei conti Leopardi c la piazzetta del
sabato del villaggio (che ricorda appunto labisso tra i conti e i
cocchieri). Dietro a questa opera non c una vicenda damore; Teresa
e Leopardi condividevano condizioni simili, che sono parallele =
GIOVINEZZA, ILLUSIONI, SPERANZE, SOGNI, DELUSIONI. In un passo
della Zibaldone, Leopardi afferma di non aver mai conosciuto e
vissuto la sua giovinezza, mentre Silvia vive la sua giovinezza. Il
nome Silvia pu essere associato alla parola SELVA = una figura
evocativa, perch fa venire subito in mente una donna scura di
capelli, rigogliosa, bella e con molte sfaccettature, come il
bosco, la selva. Non la donna che il poeta ama, ma il SIMBOLO DELLA
SPERANZA. Questa lirica improntata sul linguaggio del VAGO: la
figura di Silvia vaga, non ci sono indicazioni concrete, Leopardi
fa un discorso generico e sfumato, e parla solo degli occhi e dei
pensieri della ragazza. Qui si vede la lampante differenza con
Petrarca, che invece descriveva dettagliatamente le persone. vago
anche lambiente: il poeta dice che primavera, ma non ci sono
sensazioni sensibili; usa aggettivi molto sobri e nomi evocativi,
ma non ci sono descrizioni di particolari. Il mondo esterno privo
di caratteristiche fisiche tangibili (teoria vago e indefinito) La
descrizione della realt filtrata, mediante un filtro fisico (la
finestra del paterno ostello, che impedisce il contatto immediato
con la realt fuori dal palazzo); il reale viene percepito nel
chiuso del mondo interiore dellautore e la finestra il confine
simbolico tra interiore ed esterno, immaginario e reale (come
nellinfinito con la siepe, che un confine fisico); il secondo
filtro quello dellimmaginazione a cui corrisponde la doppia visione
(doppia vista) = per esempio il canto non percepito dai sensi, ma
trasfigurato, viene ricordato (teoria del vago e dellindefinito:
teoria del suono); il terzo filtro quello della memoria che rende
indefinite e poetiche le cose; ci sono altri due filtri, quello
letterario e quello filosofico; quello letterario consiste nel
ricordo di alcuni suoni e immagini di passi poetici che avevano
contribuito alla formazione del poeta, ad esempio A Silvia ricorda
il canto di Circe nellOdissea; infine il filtro filosofico la presa
di coscienza del vero, che corrisponde quindi al pessimismo.
skuolatiscali A Silvia A Silvia linizio di una nuova stagione
poetica, tra il 28 e il 30. Questo canto, composto a Pisa nel 1828,
dedicato a una fanciulla che il poeta realmente conobbe, forse
Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta di
tisi nel 1818. Ma non una funebre commemorazione, non neppure una
canzone per Silvia: una confessione del poeta. Nasce questo lungo e
commosso colloquio con Silvia, la cui morte prematura diventa il
simbolo delle speranze stesse del poeta, diminuite allapparire
della terribile verit della condizione umana. Tutto il canto
costruito sulle esperienze parallele della giovinezza di Silvia,
precocemente troncata dalla morte, e delle illusioni del poeta.
Limmagine della donna si smorza nel mito della speranza. PARAFRASI
Silvia, ricordi ancora quellepoca della tua vita, quando la
bellezza risplendeva nei tuoi occhi gioiosi e schivi, e tu, serena
e assorta al tempo stesso, eri sul punto di oltrepassare la soglia
della tua giovent? Le stanze quiete risuonavano, e le vie intorno,
al tuo canto ininterrotto, quando sedevi intenta ai lavori
femminili, assai contenta di quel futuro indeterminato che avevi in
mente. Era il maggio profumato: e tu solevi trascorrere cos il
giorno. Io, interrompendo momentaneamente i piacevoli studi e gli
impegnativi lavori, in cui si consumavano la mia giovent e le mie
forze migliori, dai balconi della casa paterna tendevo le orecchie
al suono della tua voce, e alla mano veloce che percorreva con
fatica la tela. Guardavo il cielo sereno, le vie illuminate dal
sole e gli orti, da una parte in lontananza il mare, e dallaltra i
monti. Le parole non possono esprimere il sentimento che provavo
nel cuore. Che pensieri soavi, che speranze, che sentimenti, o mia
Silvia! Come ci sembrava felice la vita umana e il destino! Quando
mi ricordo di una speranza cos grande, mi opprime un sentimento
doloroso e di sconforto, e torno a compiangere la mia sventura. O
natura, o natura, perch non restituisci in maturit ci che prometti
in giovinezza? Perch inganni cos tanto i tuoi figli? Tu prima che
linverno inaridisse le erbe, consumata e uccisa da una male oscuro,
morivi, o grazia. E non vedevi il fiore dei tuoi anni; e non ti
rallegrava n la dolce lode dei tuoi capelli neri, n i tuoi sguardi
innamorati e schivi; n le compagne nei giorni festivi parlavano
damore con te. Da l a poco sarebbe sparita anche la mia dolce
speranza: anche ai miei anni il destino neg la giovinezza. Ahi
come, come sei svanita, cara compagna della mia
giovent, mia speranza compianta! E questo il mondo sognato? Sono
queste le gioie, lamore, le attivit operose, gli avvenimenti di cui
tanto parlammo insieme? E questo il destino degli esseri umani? Al
rivelarsi della realt, tu, misera, moristi: e con la mano indicavi
da lontano la morte fredda ed una tomba desolata. COMMENTO La
lirica di sei strofe a lunghezza varia. Settenari ed endecasillabi
si succedono secondo le esigenze dellispirazione e la rima non ha
schema prestabilito. Lunico elemento di regolarit dato dal
ripetersi del settenario alla fine dogni strofa. Nel settimo verso
c un enjabement le quiete stanze e anche nel decimo intenta sedevi.
Nel sedicesimo verso c una metonimia le sudate carte. Le carte, cio
gli studi, che costano fatica, sudore. Nel ventiduesimo verso c
unaltra metonimia la faticosa tela. La tela in altre parole si
riferisce al lavoro al telaio che frutto dassiduo lavoro e quindi
faticosa. studenti.it FIGURE RETORICHE o natura o natura..perch non
rendi poi quel che prometti allor?:::::::::::::: personificazione
lieta e pensosa un ossimoro porgea gli orecchi al suon della tua
voce ed alla man veloce.zeugma Sudate carte = metonimia (causa per
effetto Lingua mortal = metonimia (causa per effetto) Sguardi
innamorati e schivi = metonimia (effetto per causa) nellultima
strofa avviene la personificazione della speranza, con la quale
Leopardi parla e che gli indica la tomba di lontano Assonanza:
quinci lungi ; Climax: Che pensieri soavi/ che speranze, che cori,
Anafora: Anche/anche presente lallitterazione, ad esempio quella
delle lettere r, t, v, sp nella prima strofa IL GENIV SU BLOGFREE
rios510 Inviato il: 27/11/2010, 18:04 complimenti rios510 Inviato
il: 5/12/2010, 14:18 troppo corto il commento sabax4e Inviato il:
17/3/2011, 14:34 Fannullon Member Gruppo: Utente Messaggi: 3 Stato:
sempre i migliori!! Varyags Inviato il: 12/4/2011, 18:56 buono!
[ITP]xSILENT-LEGENDx Inviato il: 29/5/2011, 17:17 Gruppo: Utente
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4/6/2009, 15:17 Amici del Genivs Radio Genivs Forum - La
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