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I N F ORMA MI Bollettino dell’OMCeOMI 1.2021 ANNO LXXIV 360° One Health La salute della natura è la nostra salute pag. 5 PROFESSIONE Ecografia polmonare nel paziente COVID-19 pag. 15 SANITÀ La matematica delle epidemie pag. 31 DIRITTO Farmacisti vaccinatori, una reale opportunità? pag. 40
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Feb 23, 2022

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A1. 2021

INFORMAMIBollettino dell’OMCeOMI

1.2021 ANNO LXXIV

360°

One HealthLa salute della natura è la nostra salute

pag. 5

PROFESSIONE Ecografia polmonare nel paziente COVID-19pag. 15

SANITÀ La matematica delle epidemiepag. 31

DIRITTO Farmacisti vaccinatori, una reale opportunità?pag. 40

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B INFORMAMI

I telefoni dell’Ordine

Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 16 comma 7 D.P.R. 185/2008, sei tenuto a comunicarci il tuo indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC). Se non lo hai già fatto, segnalalo inviandolo a: [email protected].

DirezioneDott. Marco CAVALLOtel. 02.86471.1

Segreteria del PresidenteSofia CAPPELLAROtel. 02.86471410

Segreteria consigliere medicina generaleCinzia PARLANTItel. 02.86471400

Segreteria del vice presidenteSilvana BALLANtel. 02.86471423

Segreteria del consigliere segretarioLaura CAZZOLItel. 02.86471413

Segreteria commissioniMaria FLORIStel. 02.86471417

Ufficio Legale/AvvocaturaAvv. Mariateresa GARBARINItel. 02.86471414Avv. Daniela MORANDOtel. 02.86471405

Ufficio giuridico amministrativo (Procedimenti disciplinari)Dott. Gabriele AVANZINI tel. 02.86471426

Ufficio iscrizioni, cancellazioni, certificatiAlessandra GUALTIERItel. 02.86471402

Cinzia PARLANTItel. 02.86471400

Maria FLORIStel. 02.86471417

Dott.ssa Eugenia CERMIONItel. 02.86471448

Front officeCinzia PARLANTI (Stampa)tel. 02.86471400

Maria FLORIStel. 02.86471417

Amministrazione e contabilitàDott.ssa Paola LANINItel. 02.86471407

Contabilità - visti d’equitàGabriella BANFItel. 02.86471409

Rossana RAVASIOtel. 02.86471419

Barbara CLEMENTEtel. 02.86471411

Ufficio Stampa - sito istituzionaleDott.ssa Mariantonia FARINAtel. 02.86471449

Aggiornamento professionale ECMDott.ssa Sarah BALLARÈtel. 02.86471401Dott.ssa Mariantonia FARINAtel. 02.86471449

Dott.ssa Irene PISANItel. 02.86471427

Segreteria commissione odontoiatriSilvana BALLANtel. 02.86471423

Stefania PARROTTAtel.02.86471428

Pubblicità sanitaria e psicoterapeutiDott.ssa Francesca PERSEUtel. 02.86471420

CEDLucrezia CANTONItel. 02.86471424Loris GASLINItel. 02.86471412

CentralinoFabio SORAtel. 02.864711

Ufficio Rapporti con ENPAMKatia COSTAtel. 02.86471404Caterina FERREROtel 02.86471404

Ricevimento telefonico:lunedì e mercoledì h 14:00-16:00martedì e giovedì h 10:00-12:00

Ricevimento in sede previo appuntamentolunedì e mercoledì h 10:00-12:00martedì e giovedì h 14:00-16:00

Per prenotare il proprio appuntamento, chiamare il numero di telefono:

02.86471404

Una segreteria telefonica è sempre attiva per lasciare eventuali messaggi; il referente d’ufficio provvederà a rispondere appena possibile.

Ufficio Rapporti con ENPAM, modalità di ricevimento

www.omceomi.itCollegati con l’Ordine

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3 Il giro di boa

ONE HEALTH La salute della natura è la nostra salute 5 Il modello One Health alla luce della pandemia 8 Deforestazione, frammentazione habitat e malattie 10 Il legame tra urbanizzazione e zoonosi 13 Il commercio illegale di fauna selvatica e le sue conseguenze

15 Ecografia polmonare, da strumento poco usato a prezioso test diagnostico 19 Il vademecum anti COVID-19 per gli odontoiatri 21 Tattoo: l’estetica che cura 23 Screening oncologici, una lenta ripartenza 25 Sicuro e naturale: un binomio fuorviante

28 La comunicazione scientifica nella pandemia da COVID-19 31 I modelli siamo noi: l’illusione di calcolare il mondo 34 Vaccinazione contro COVID-19 in gravidanza e allattamento, un bilancio tra benefici e rischi 36 Bambini in epoca COVID: spettatori o protagonisti?

38 Una rete di competenze e strutture per curare le malattie del cuore

40 Vaccini anti COVID-19 in farmacia, la soluzione sbagliata a un problema reale?

43 1974: La professione medica è disponibilità, solidarietà, sacrificio, non appiattimento impiegatizio

46 I migliori vaccini sono darwiniani 49 Il coraggio oltre ogni confine

50 Quando l’esantema arriva in vacanza 52 Poco o nulla è cambiato

53 Da leggere 54 Da vedere

SMARTFAD I Principi di radioprotezione nella diagnostica per immagini II Sarà la tiroide? IV Una bella panoramica VIII Il rovescio della medaglia

SOMMARIO

EDITORIALE

360°

PROFESSIONE

L’INTERVISTA

SANITÀ

CLINICOMMEDIA IERI E OGGI

STORIA E STORIE

DIRITTO

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2 INFORMAMI

Registrazione al Tribunale di Milano n° 366 del 14 agosto 1948Iscritta al Registro degli operatori di comunicazione (ROC) al n. 20573 (delibera AGCOM n. 666/08/CONS del 26 novembre 2008).

Direttore ResponsabileRoberto Carlo Rossi

Comitato di Redazione Andrea Senna, Martino Trapani, Ugo Giovanni Tamborini, Vanna Avoledo, Luciana Bovone, Costanzo Gala, Ugo Garbarini, Fabrizio Gervasoni, Maria Grazia Manfredi, Cinzia Massafra, Danilo Mazzacane, Giulia Palandrani, Maria Melinda Perri, Claudio Procopio, Sandro Siervo, Vincent Rossi

Redazione e realizzazioneZadig Srlvia Ampère 59, 20131 Milanotel. 02 7526131 - fax 02 [email protected] – www.zadig.it

Direttore: Pietro Dri

Redazione: Giulia Cauda, Nicoletta Scarpa, Maria Rosa Valetto (coordinamento)

Grafica: Luisa Goglio

Autori degli articoli di questo numero: Eva Benelli, Maria Enrica Bettinelli, Giulia Cauda, Giberto Corbellini, Silvia Emendi, Valeria Esposito, Ugo Garbarini, Fabrizio Gervasoni, Angelica Giambelluca, Jacopo Mengarelli, Stefano Menna, Simonetta Pagliani, Paola Pileri, Gian Galeazzo Riario Sforza, Patrizia Salvaterra, Nicoletta Scarpa, Monia Torre

SegreteriaMariantonia FarinaVia Lanzone 31, 20123 Milanotel. 02 86471449 [email protected]

Stampa Cartostampa Chiandetti Srl, Stamperia a Reana del Rojale, ItaliaTrimestraleSpedizione a cura di Nexive SpAVia Fantoli 6/3, 20138 Milano

Dati generali relativi all’Ordine

Consiglio Direttivo

PresidenteRoberto Carlo Rossi

Vice PresidenteAndrea Senna

SegretarioUgo Giovanni Tamborini

TesoriereMartino Trapani

Presidente OnorarioUgo Garbarini

ConsiglieriVanna Avoledo, Giovanni Campolongo, Geltrude Consalvo, Giuseppe Antonio Deleo, Luca Ming Wang Gala, Fabrizio Gervasoni, Maria Grazia Manfredi, Cinzia Massafra, Ezio Mastropasqua, Massimo Parise, Maria Melinda Perri, Roberto Carlo Rossi, Ugo Giovanni Tamborini, Martino Trapani, Maria Teresa Zocchi, Claudio Mario Attilio Procopio, Jason Franco Ronald Motta Jones, Andrea Senna, Sandro Siervo

Commissione Albo odontoiatri

PresidenteAndrea Senna

ComponentiGianpaolo Di Donato, Lucia Giannini, Jason Franco Ronald Motta Jones, Claudio Giovanni Pagliani, Giulia Palandrani, Claudio Mario Attilio Procopio, Vincent Rossi, Andrea Senna, Sandro Siervo

Collegio Revisori dei conti

EffettiviAlessandra Margherita De Scalzi, Danilo Renato Mazzacane

SupplentePiera Maria Tonelli

A1. 2021

INFORMAMIBollettino dell’OMCeOMI

1.2021 ANNO LXXIV

360°

One HealthLa salute della natura è la nostra salute

pag. 5

PROFESSIONEEcografi a polmonare nel paziente COVID-19pag. 15

SANITÀLa matematica delle epidemiepag. 31

DIRITTOFarmacisti vaccinatori, una reale opportunità?pag. 40

Nota per gli autori

Gli articoli e la relativa iconografia impegnano esclusivamente la responsabilità degli autori. I materiali inviati non verranno restituiti. Il Comitato di Redazione si riserva il diritto di apportare modifiche a titoli, testi e immagini degli articoli pubblicati. I testi dovranno pervenire in redazione in formato word, le illustrazioni su supporto elettronico dovranno essere separate dal testo in formato TIFF, EPS o JPG, con risoluzione non inferiore a 300 dpi.

In copertina: disastro di Norilsk, Siberia settentrionale, 29 maggio 2020. Una cisterna per il rifornimento della centrale elettrica della città russa rilascia a seguito di un incidente circa 20.000 tonnellate di carburante e lubrificanti.

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31. 2021

EDITORIALE

ECCOCI all’ennesimo “giro di boa”: con la DGR XI/4811 del 31 maggio 2021, la Giunta regionale

lombarda invia al Consiglio regionale le linee di sviluppo della Legge regionale 23/2015, che riformava

la riforma determinata dalla Legge 31 del 1997 che, peraltro, era già stata riformata una prima volta

dalla Legge regionale 33 del 2009… Eh, lo so, c’è da farsi venire il mal di testa… Non mi addentrerò

nei contenuti della Delibera di Giunta, ma una cosa risalta anche a una prima lettura: le Aziende

Socio Sanitarie Territoriali (ASST) guideranno

contemporaneamente l’ospedale e il territorio

(compresi i dipartimenti di prevenzione). Ci

risiamo! Chi arriva al timone e sostituisce sulla

tolda un precedente comandante viene preso

da un’incoercibile pantoclastia. Sono anni che

cerchiamo di svincolare il territorio dall’ospedale

e non ci riusciamo e la nuova Giunta che cosa

propone? Di rimettere insieme l’ospedale, il

territorio e la prevenzione, facendoci ripiombare

nel secolo scorso.

VEDIAMO di rimettere un po’ in ordine le idee.

La Lombardia ha un ottimo sistema sanitario, che

dà il meglio di sé nelle prestazioni di secondo e di

terzo livello. Si è scelto, molti anni fa, di mettere

in competizione il pubblico con il privato e questo ha prodotto vere eccellenze. Tuttavia, ha prodotto

anche delle pericolose derive di carattere economicistico che dovrebbero essere tenute maggiormente

d’occhio, anche per evitare che il privato non prenda il sopravvento ma continui a prosperare in maniera

controllata, nell’ambito di un sistema sanitario di stampo universalistico. Il vero problema lombardo,

però, messo impietosamente a nudo dalla pandemia, è rappresentato dal territorio, lasciato per troppo

tempo a se stesso, del tutto ignorato e in qualche caso addirittura sprezzato dalla politica (vi ricordate

l’infelice frase di Giancarlo Giorgetti dell’agosto 2019 sui “medici di base”?). Tutti si dimenticano che è

proprio sul territorio che ci si ammala, si viene seguiti nel film della propria vita e sul territorio si devono

assistere i pazienti cronici. Infine, la prevenzione, il terzo polo di spesa sanitaria di cui mai nessuno parla,

è un campo in cui si investe poco e in maniera intermittente, anche in Lombardia. Cosa è successo in

questi anni? I medici convenzionati, che sono capillarmente posti a presidio del territorio, sono stati

lasciati andare in pensione, in Lombardia, senza rimpiazzarli. Il problema riguarda soprattutto i medici

di famiglia. Ma non abbondano neppure i pediatri di libera scelta. Dei medici specialisti convenzionati,

poi, nessuno parla mai: sembrano trasparenti! Ma anche loro si stanno assottigliando sempre di più.

ROBERTO CARLO ROSSI

Il giro di boa

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4 INFORMAMI

EDITORIALE

Le remunerazioni dei medici di famiglia sono sempre le stesse da decenni e in

Lombardia il loro stipendio è il più basso d’Italia (nella Regione nella quale il costo

della vita è il più alto). Ciononostante, si è scatenata una campagna mediatica per

“dimostrare” falsamente che costoro lavorano pochissimo e guadagnano tantissimo.

Il risultato è che il carico medio di scelte di cittadini pro medico è il più alto d’Italia

(con l’esclusione della solita provincia di Bolzano, che però ha una situazione del tutto

peculiare). Parallelamente i servizi di epidemiologia e sanità pubblica sono stati lasciati

assottigliare al punto da avere pochissimi medici e pochi operatori sanitari non medici

per sorvegliare e gestire territori estremamente ampi. Da ultimo, la rete informatica, che

era il fiore all’occhiello della nostra Regione 20 anni fa, è lenta e obsoleta. Non è stata mai

introdotta l’educazione sanitaria nelle scuole. La medicina del lavoro non è interconnessa

con il resto della rete e non certo per colpa dei medici del lavoro. In estrema sintesi, il

territorio è sguarnito, mal finanziato, mal interconnesso.

IN QUESTO SCENARIO, qual è la soluzione proposta dalla Giunta? Le ASST devono

occuparsi di ospedali e territorio assieme e devono gestire anche la prevenzione. Una

scelta ben bislacca! Inoltre, si ripropongono modelli vecchi di 30 anni fa, come le case

della salute; non si fa niente per migliorare l’esistente che pure come si è detto ha delle

punte di eccellenza, e non si intravede nulla di innovativo. Così il sospetto che viene è

sempre quello: si ha l’impressione che si voglia livellare l’assistenza territoriale sempre

più verso il basso, per far entrare in campo i privati, poiché il territorio è una torta

talmente golosa da far scatenare appetiti famelici.

Nel precedente editoriale (vedi InformaMi 2020; 4) paventavo una disfatta nella

campagna vaccinale, se non si fossero messi in campo dei potenti correttivi di carattere

organizzativo. Bisogna riconoscere che, dopo un inizio disastroso, l’organizzazione c’è

stata e ora tutto viaggia liscio e veloce. Speriamo quindi che, anche sulla revisione della

“23”, si corregga il tiro e che, questa volta, al giro di boa si cambi scafo e si opti per i

catamarani “volanti” della classe AC75: libellule che pesano diverse tonnellate ma vanno

a 90 km orari. Attenzione però: la guida deve essere molto esperta perché si rischia di

scuffiare. E noi lombardi un altro naufragio non ce lo possiamo proprio permettere!

I videomessaggi del Presidente

Chi non abbia ancora preso visione dell’ultimo videomessaggio o voglia riguardare i precedenti può collegarsi alla playlist.

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51. 2021

360°

Il modello One Healthalla luce della pandemia

LAURA SCILLITANI ONE HEALTH è un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse: medicina, veterinaria, ecologia, ma anche economia e sociologia. Si basa sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema siano legate in modo indissolubile.È riconosciuta ufficialmente dal Ministero della Salute italiano, dalla Commissione Europea e da tutte le organizzazioni internazionali quale strategia rilevante in tutti i settori che beneficiano della collaborazione tra diverse discipline. A maggio 2020 Tedros Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha dichiarato: “La pandemia ci ricorda il rapporto intimo e delicato tra gli esseri umani e il pianeta. Qualsiasi sforzo per rendere il nostro mondo più sicuro è destinato a fallire a meno che non si affronti l’interfaccia critica tra persone e agenti patogeni e la minaccia esistenziale del cambiamento climatico, che sta rendendo la nostra Terra meno abitabile”.La degradazione dell’ambiente sta procedendo con tassi impressionanti e ha conseguenze dirette sulla salute umana, come la pandemia attuale ci ricorda.

La salute di ogni essere umano è strettamente interdipendente con quella animale e ambientale. L’unica strada per preservare il nostro futuro è sviluppare un approccio olistico

ONE HEALTHLA SALUTE DELLA NATURA È LA NOSTRA SALUTE

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6 INFORMAMI

È nell’innaturale interfaccia che si viene a creare tra esseri umani e ambienti degradati che originano le condizioni per uno spillover, cioè il salto di specie da parte di un patogeno. Circa il 70% delle malattie emergenti e quasi tutte le recenti epidemie hanno un’origine animale e derivano da complesse e innaturali relazioni tra animali selvatici, bestiame ed esseri umani.

Le malattie emergenti sono infatti correlate alla densità di popolazione umana, alla diminuzione della biodiversità, ai cambiamenti di destinazione di uso del suolo (agricoltura e zootecnia intensiva che sostituiscono le foreste), al commercio di fauna (wildlife trade) e alla caccia illegale.Poiché tutto è interconnesso, non si può procedere per compartimenti stagni. La medicina può adoperarsi per trovare le cure per le malattie umane, ma se manca la tutela dell’ambiente si tratterà di cercare di tamponare costantemente i buchi di un colabrodo. Ecco perché occorre andare al di là dei limiti disciplinari. Scambio di conoscenze e collaborazione sono fondamentali, anche per influenzare le politiche globali. Nel n.1/2020 di InFormaMI è già stato ampiamente analizzato il fenomeno dell’antibiotico-resistenza, ben rappresentativo della rilevanza dell’approccio One Health.I fattori socioeconomici sono alla base dello sfruttamento indiscriminato delle risorse. Malgrado i diversi incontri e le stipule di accordi internazionali, lo sviluppo di politiche di riduzione dell’impatto antropico sull’ambiente è molto lontano dall’essere raggiunto. Il 2020, l’anno della pandemia, doveva essere il termine della cosiddetta decade delle biodiversità: un programma decennale della Convention on Biological Diversity (CBD) delle Nazioni Unite. Il report finale mostra chiaramente un mancato raggiungimento di tutti i target prefissati per la tutela della biodiversità, l’arresto del degrado degli habitat e l’estinzione delle specie. Solo con un approccio olistico possiamo influenzare le politiche, perché le foreste non sono un interesse dei soli botanici, ma sono i servizi ecosistemici che ci tengono in vita. La tutela della natura è la vera prevenzione delle malattie.

LA BIODIVERSITÀ FA BENE

Il termine “biodiversità” indica la diversità, abbondanza e identità genetica delle specie, e include tutte le relazioni complesse che costituiscono gli ecosistemi. A lungo la biodiversità è stata ritenuta materia di interesse esclusivo di naturalisti e biologi. Ma non è affatto così: la biodiversità è

affare di tutti, perché da essa dipendono l’esistenza e il benessere degli esseri umani.Solo un ecosistema in salute, con alta biodiversità, fornisce infatti i cosiddetti servizi ecosistemici, cioè quei servizi che l’ecosistema genera a favore dell’uomo. Per esempio secondo la Food and Agriculture Organization (FAO) dalla presenza di insetti impollinatori,

incluse le api, dipende circa l’80% della produzione alimentare in Europa. Il valore economico dell’impollinazione è fino a dieci volte superiore al valore del miele che

producono. L’Unione Europea stima che il valore della produzione agricola annua direttamente legata agli insetti impollinatori sia 15 miliardi di euro. Ancora: i pipistrelli

predano gli insetti nocivi per le colture, e così facendo fanno risparmiare danni alle piante e impiego di insetticidi, con minore inquinamento. Le stime indicano che il valore

economico dei pipistrelli in agricoltura negli Stati Uniti ammonti ad almeno 3,7 miliardi di dollari l’anno.

360° ONE HEALTH

La strana storiadel pesce persico del lago Vittoria e dell’isola di Migingo

Un caso clamoroso di come la modifica di un habitat naturale di origine antropica possa avere effetti deleteri anche per le popolazioni riguarda il lago Vittoria, il più grande lago del continente africano, situato tra Tanzania, Uganda e Kenya. Ospitava una ricchissima biodiversità di fauna ittica, importante per il funzionamento dell’ecosistema, oltre che fonte di sussistenza per la popolazione locale.Negli anni Cinquanta nelle acque del lago è stato introdotto il pesce persico africano (noto anche come persico del Nilo), apprezzato sulle tavole e redditizio perché un solo pesce può superare il quintale di peso. Il persico, specie aliena invasiva, si è adattato al nuovo ambiente e, in quanto predatore, ha rapidamente “cannibalizzato” la fauna locale impoverendo, contro le aspettative iniziali, le prospettive economiche legate alla pesca.Oggi infatti la pescosità del lago Vittoria è notevolmente ridotta tranne in alcune zone del lago. Tra queste ci sono le acque che circondano l’isola di Migingo, grande meno di un campo da calcio, ma affollata da 400-500 persone che vivono in baracche. L’isola è considerata il territorio con maggiore densità di popolazione del pianeta e tra i più sfortunati quanto a condizioni igieniche.

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71. 2021

Biodiversità significa anche molecole medicinali: quasi il 75% di tutte le sostanze officinali approvate dalle autorità dei farmaci hanno un’origine naturale e, considerato che si conosce solo una frazione di tutte le piante, funghi e microrganismi che popolano la terra, chissà quanti ancora sono da scoprire. La biodiversità fa anche bene alla salute mentale:1 diversi studi confermano che prati composti da una grande varietà di specie di piante hanno un effetto calmante su persone stressate più di quello di monocolture. E in generale, la natura ha un effetto di ricarica mentale, e aiuta a combattere anche i segni di ansia e depressione.La lista potrebbe andare avanti molto a lungo. La realtà è che la biodiversità si sta erodendo, a causa di urbanizzazione, cementificazione, deforestazione, prelievo indiscriminato delle risorse, inquinamento, colture e zootecnia intensive. E poiché il funzionamento degli ecosistemi dipende da tutti gli organismi che lo compongono, che come ruote di un ingranaggio lo fanno funzionare, ogni volta che scompare una specie o un intero habitat la sua funzionalità viene profondamente compromessa. E dai disequilibri si generano i mostri più inaspettati, come la diffusione di nuovi patogeni. La tutela della biodiversità deve quindi uscire dai confini di sola competenza di chi si occupa di conservazione e tutela ambientale, perché preservarla è interesse di tutti. Forse è questa una delle lezioni più grandi che viene dall’attuale pandemia.

Nella mappa i colori indicano la densità di specie (rosso massima, minima blu): man mano che si procede verso i poli, la densità diminuisce.

Bibliografia

1 Marselle, et al. Environment International 2021; 150: 106420.

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8 INFORMAMI

La deforestazione genera squilibri nocivi per la salute nostrae dell’ecosistema

LAURA SCILLITANI

Deforestazione, frammentazione habitat e malattie

CON DEFORESTAZIONE si intende la trasformazione permanente di una foresta in un altro tipo di habitat, o in generale una perdita significativa della copertura arborea. La causa principale è la produzione di merci, inclusi allevamenti intensivi, piantagioni di soia, palme da olio e legname. La conversione di aree forestali in attività produttive umane comporta l’acquisizione di servizi economici con immediati ricavi,

ma a discapito della qualità degli habitat e delle specie che li abitano, e in ultima analisi con la perdita dei servizi ecosistemici.Secondo le stime della FAO,1 dal 1990 a oggi sono andati persi nel mondo, a causa della deforestazione, oltre 420 milioni di ettari di foresta. Ogni anno perdiamo un’area grande quanto il Belgio di foreste primarie. Complessivamente, il tasso di deforestazione è diminuito nell’ultimo decennio, la FAO stima infatti un declino di 7,8 milioni di ettari l’anno tra 1990 e 2000 contro i 4,7 milioni anno persi tra 2010 e 2020. Ma ovviamente non è così per tutte le regioni del mondo, ad esempio in Africa il tasso di deforestazione è aumentato progressivamente nello stesso periodo. Non è solo la deforestazione il problema, ma anche la risultante frammentazione degli habitat. Per collegare le aree agricole o zootecniche, nate alle spese della foresta, servono strade, e le strade portano a nuovi insediamenti. Il risultato è la scomposizione della foresta in tante piccole porzioni separate, incapaci di sostenere la biodiversità di un ecosistema intatto. Cambiano il sequestro di anidride carbonica, la disponibilità di acqua, le condizioni climatiche e microclimatiche, la circolazione dei venti. E di conseguenza, cambia la composizione delle specie. La maggior parte è destinata a un declino. Altre cercano di spostarsi verso aree più idonee. Poi ci sono le specie più generaliste, che riescono ad adattarsi, grazie alla loro plasticità, all’ambiente alterato. È questo il caso di molti vettori di malattie, come le zanzare del genere Anopheles, che prosperano negli

360° ONE HEALTH

ALEX

EY K

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91. 2021

ambienti agricoli o urbanizzati sorti a discapito delle foreste. Queste aree sono infatti popolate di persone (che dalla prospettiva delle zanzare sono un ricco pasto) e offrono diversi accumuli di acqua stagnante. In Africa, Asia e America Latina si sono registrati diverse esplosioni di casi di malaria dovuti proprio alla frammentazione dell’habitat. In particolare, uno studio2 che ha analizzato la relazione tra le epidemie di malaria e la deforestazione in Brasile, usando dati raccolti dal 2003 al 2015, dimostra che un aumento del 10% nel tasso di deforestazione causa un incremento del 3,3% dell’incidenza della malaria. Così le zanzare del genere Aedes, vettori di malattie come la dengue, zika, chikungunya e febbre gialla, trovano un habitat ideale nelle piantagioni di palme da olio, che sono causa di deforestazione in molte aree tropicali nel Sud-est asiatico e in Sud America. La frammentazione delle foreste provoca un’alterazione della normale distribuzione delle specie, sia animali sia vegetali. Questo comporta il crearsi di densità anomale all’interno di alcuni frammenti che facilitano la trasmissione di patogeni. È proprio il caso del virus Ebola.3 Anche se non è stato ancora confermato, è molto probabile che il serbatoio (reservoir) di Ebola siano alcune specie di pipistrelli frugivori, che sono tra le specie che beneficiano della transizione da un ecosistema forestale a uno agricolo. Ma se mancano le certezze per quanto riguarda il ruolo dei pipistrelli, è cosa certa invece che Ebola contagia e uccide non solo le persone, ma anche i primati

antropomorfi. Se Ebola contagia gorilla o scimpanzé, gli effetti sono letali e il contagio è rapido, grazie alla importante attività sociale in questi primati. In Gabon, nell’epidemia del 2001-2003, sono state trovate diverse carcasse di primati a circa due ore di cammino dai villaggi, inclusi tredici gorilla e quattro scimpanzé positivi al virus. Gli insediamenti umani si trovano nel bel mezzo della foresta, e quindi più vicini alle fonti di infezione. Senza contare che le scimmie sono ricercate dai cacciatori (vedi articolo a pagina 13), e l’uccisione e il contatto con scimmie infette sono state anche la causa dello spillover del lentivirus responsabile dell’immunodeficienza delle scimmie all’uomo, portando alla diffusione dell’AIDS.4

Spostiamoci nel Nord-est dell’Australia, in cui le foreste hanno subìto una perdita per deforestazione stimata del 75%. Qui vive una delle specie più grandi di pipistrelli frugivori, la volpe volante nera, che vanta un’apertura alare di circa un metro. I frutti di cui si nutre hanno una distribuzione sparsa nella foresta, che impone continui spostamenti alla ricerca del cibo per tutto l’anno.A causa della drastica riduzione delle foreste, le volpi volanti nere si sono adattate agli ambienti forestali

a margine delle zone urbanizzate, oltre ad approfittare degli alberi da frutta presenti nei giardini. Da migratrice la specie è diventata sedentaria e forma grosse colonie a ridosso degli insediamenti umani. Questo ha favorito l’insorgenza di una zoonosi, l’Hendra, che è in genere letale per i cavalli e da essi può trasmettersi all’uomo provocando raramente il decesso. Il primo caso si è verificato nel 1994 a Brisbane, e da allora ci sono stati diversi casi.5

E non è necessario andare a latitudini esotiche: la frammentazione degli habitat è infatti uno dei fattori che favoriscono le zecche, portatrici di diverse patologie che possono essere pericolose per l’uomo: la borrelliosi di Lyme, la meningoencefalite virale e la febbre emorragica Congo-Crimea, anch’essa virale. I reservoir dei patogeni responsabili di queste malattie sono diverse specie di piccoli roditori. Le zecche sono ectoparassiti ematofagi il cui ciclo biologico avviene grazie a un pasto di sangue, della durata variabile

0% 5% 10% 15% 20% 25% 30%

Brasile 33,12%

Americhe(esclusi Brasile e Messico) 20,85%

Africa 17,46%

Indonesia 13,94%

Asia e Pacifico(escluse Indonesia e India)

11,21%

Messico 2,01%

India 1,41%

Deforestazione tropicale per la produzione di materie prime (media annuale periodo 2010-2014).

Modificato da: Pendrill F, et al. Glob Environ Change 2019; 56: 1-10.

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10 INFORMAMI

360° ONE HEALTH

Il legametra urbanizzazione e zoonosiCome la crescita delle città porta a un aumento del rischio di zoonosi

L’URBANIZZAZIONE sta crescendo su scala globale. Secondo le Nazioni Unite,1 nel 1950 solo il 30% della popolazione abitava in aree urbane, mentre nel 2018 la percentuale è salita al 55%. Ovviamente il tasso di urbanizzazione non è uguale in tutte le aree del pianeta, negli Stati Uniti ad esempio l’82% della popolazione vive nelle città, mentre in Africa la percentuale è del 43%. Ma proprio nelle zone del mondo a basso o medio reddito si osserva negli ultimi decenni un’impennata del tasso di urbanizzazione, in particolare nell’Africa sub-sahariana e in quella orientale, in Asia e in America Latina. L’Asia è la regione col tasso di urbanizzazione più rapido, con un numero di persone addensate nelle città che è triplicato in sessant’anni. Uno degli effetti di questo importante aumento di persone che vivono nelle aree urbane è lo sviluppo delle cosiddette megacittà, con più di 10 milioni di abitanti. Secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite a livello globale nel 2018 le megacittà erano 33, ma si stima che per il 2030 saranno almeno 48. Molte delle zone urbane di grandi dimensioni si stanno sviluppando

da tre a dieci giorni. Completato il pasto si lasciano cadere e attaccano un nuovo ospite di cui aspettano il passaggio restando sulle piante. Questi secondi ospiti, normalmente, sono gli ungulati. Ora, quello che gli studi hanno dimostrato è che la frammentazione favorisce le zecche con due meccanismi. Il primo è l’aumento delle zone di ecotono (ovvero le zone di transizione tra due ambienti diversi, come bosco e prateria), che sono i punti di contatto preferiti per il passaggio delle zecche tra l’ospite primario e quello secondario. La seconda è che si creano delle densità molto elevate di ungulati all’interno dei frammenti di bosco, che sostengono grandi quantità di zecche.6 La deforestazione, oltre alla perdita di servizi ecosistemici come la biodiversità, le emissioni di anidride carbonica, la degradazione degli habitat e le conseguenze sul clima pone un’altra importante emergenza per la salute globale, perché dalla perdita e degradazione delle foreste insorgono molte zoonosi. Tutelare le foreste quindi non solo significa tutelare la salute degli ecosistemi, ma prevenire le prossime epidemie, o peggio, pandemie.

Bibliografia

1 FAO. 2 Morand S, et al. Front Vet Sci 2021; 8:

661063. 3 Rulli M C, et al. Sci Rep 2017; 7: 1-8. 4 Kurpiers LA, et al. Problematic Wildlife

2017; 507-551.5 Field H, et al. PLoS ONE 2011. 6 Cagnacci F, et al. Int J Parasitol 2012; 42:

365-372.

LAURA SCILLITANI

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in corrispondenza di quelli che sono definiti hotspot di biodiversità. La conseguenza ecologica di tutto ciò è un declino nella ricchezza di specie e il degrado degli habitat (vedi pagina 12). La conversione delle aree naturali in aree produttive o urbanizzate influenza l’abbondanza delle specie portatrici di malattie trasmissibili all’uomo (host species). Non tutte le specie reagiscono in modo uguale all’alterazione di un habitat: quelle più specializzate per un certo tipo di ambiente scompaiono, quelle che riescono ad adattarsi al nuovo ambiente cittadino, occupando una nuova nicchia ecologica, sopravvivono e proliferano. Gli studi indicano che molte delle specie più facilmente adattabili all’ecosistema urbano sono anche quelle portatrici di patogeni. È chiaro che per generare un’epidemia non è sufficiente la presenza di una specie portatrice in un ambiente antropizzato, ma è necessario che subentrino molti altri fattori: la prevalenza del patogeno, la presenza di diversi intermediari, la struttura del paesaggio e ovviamente il livello socioeconomico della popolazione umana. Una recente analisi pubblicata su Nature2 dimostra che all’aumentare dell’antropizzazione del territorio aumenta il numero di specie e l’abbondanza di specie ospite che possono trasmettere le malattie all’uomo, in particolare di roditori, passeriformi e chirotteri. Non è invece chiaro il modello (pattern) per i carnivori e i primati. Altri studi dimostrano che i virus che hanno fatto un salto di specie generando zoonosi sono associati alle specie di mammiferi più comuni che hanno popolazioni numerose, mentre è estremamente raro che le malattie si originino da specie in declino o minacciate di estinzione. Un’ipotesi è che la presenza di patogeni sia favorita dalla strategia riproduttiva di specie adattabili, che infatti per la maggior parte usano la cosiddetta strategia R basata sulla riproduzione, in contrapposizione alla strategia K, basata sull’adattamento. Ovvero, sono specie estremamente prolifiche, con tempi di sviluppo rapidi e una breve aspettativa di vita.

Indagini sul campo, interviste porta a porta, telefonate, suole consumate. E ancora analisi di dati, ricerche, ricostruzioni. Un lavoro estenuante e straordinario, fondamentale per capire come si diffonde una malattia, chi colpisce. E come si può prevedere.L’epidemiologia, che potremmo definire in modo asettico come la disciplina che studia la distribuzione e la frequenza delle malattie e degli eventi di rilevanza sanitaria nella popolazione, in realtà è molto più di questo. A leggere le pagine di Le mie epidemie (Ed. Scienza Express) scritto da Donato Greco, che ha contribuito alla nascita dell’epidemiologia nel nostro Paese, ed Eva Benelli, giornalista scientifica, emerge con chiarezza la forza di questa professione.Come spiega Greco nel testo, indagare l’epidemia significa andare a caccia di quel “qualcosa di speciale” che avviene quando una malattia subisce un picco inaspettato, insorge una patologia sconosciuta o una conosciuta ricompare all’improvviso, dopo una lunga assenza.Questa “caccia” oggi si compie con modellazioni epidemiche, esplorazioni di big data, app, bollettini quotidiani e dashboard interattive. Ma quando ha iniziato, negli anni Settanta, Greco aveva solo una valigetta con fogli di carta, penne, elastici, bustine di plastica dove raccogliere i campioni, tamponi, mascherine, lozioni antizanzare, una calcolatrice e un atlante tascabile. Oggi il lavoro dell’epidemiologo è cambiato nel modo in cui si ottengono i dati, ma non nel livello di approfondimento richiesto. Dal colera al botulismo, dalla peste alla “banale” influenza, dalla turbercolosi fino all’attuale COVID-19, attraverso il suo racconto di epidemiologo in prima linea, Donato Greco propone una fotografia inedita della storia dell’epidemiologia italiana sul campo. Dagli anni Settanta a oggi sono stati compiuti grandi passi in avanti. In questa emergenza sanitaria l’epidemiologia è stata usata, secondo Greco, bene ma in modo molto descrittivo: “Adesso è il momento di passare alle analisi dei rischi. La modellistica ci propone trend e scenari, sulla base dei dati raccolti, ma se vogliamo gestire questa pandemia dobbiamo sapere il rischio che si corre di contrarre la COVID-19 andando dal parrucchiere, a scuola o dal macellaio e scegliere sulla base dei risultati delle analisi”. Un’epidemiologia applicata, orientata all’azione (in inglese si dice consequential epidemiology) che va oltre l’eziologia e la diffusione di una malattia e aiuta ad analizzare e prevenire i rischi. “Ad esempio – conclude Greco – incrociando il BENV (Bollettino Epidemiologico Nazionale Veterinario) e il BEN (Bollettino Epidemiologico Nazionale) si potrebbero creare dei sistemi di allarme di potenziali spillover”. Un modo per mettere in pratica l’approccio One Health, di cui si parla in queste pagine, ma per essere ancora più efficaci questi database dovrebbero essere condivisi a livello globale. One Health, One World.

Epidemiologia: istruzioni per l’uso (per questa pandemia e per quelle future)

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Un esempio su tutti sono i ratti grigi, cosmopoliti e abbondanti soprattutto negli ambienti antropizzati, nonché portatori di almeno 53 diversi patogeni tra virus, batteri, protozoi e parassiti. E con un rapidissimo tasso riproduttivo e turnover di popolazione.Ma perché il sistema riproduttivo influenza la trasmissione di patogeni? Il sistema immunitario

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E i cambiamenti climatici?

Il riscaldamento globale è sicuramente una delle più importanti sfide per la salute. I disastri naturali hanno effetti diretti e indiretti sulla salute. Ad esempio, un’alternanza di piogge abbondanti seguite da periodi di siccità favorisce la sciamatura delle locuste, che divorano i raccolti, e possono essere causa di carestie. Anche il pattern di diffusione dei patogeni, incluse le zoonosi, è destinato a mutare con il cambiamento del clima.In molti casi quello che già si osserva è un cambiamento nella distribuzione delle specie.1 Ad esempio, per specie legate a climi freddi vuol dire risalire le vette o spostarsi a Nord per inseguire il freddo. Ma per specie che erano limitate dal freddo, l’aumento delle temperature garantisce un ampliamento degli habitat alla loro presenza. Laddove gli equilibri si alterano, si creano le condizioni in cui possono generarsi nuove relazioni ecologiche, incluse quelle tra ospiti e parassiti. La traiettoria che le zoonosi possono prendere a causa dei cambiamenti climatici è alquanto incerta.2 Mutando gli equilibri potrebbero cambiare le specie che giocano una maggiore importanza come host e reservoir di patogeni, così come le aree in cui la maggior parte degli spillover si origina, che oggi risiede nelle zone tropicali. Effetti già visibili dei cambiamenti climatici riguardano le malattie trasmesse attraverso un vettore.3 Ad esempio le zanzare del genere Anopheles, non solo si stanno adattando all’ambiente urbanizzato (vedi articolo a pagina 8) ma stanno anche risalendo di quota, grazie alle temperature più miti. Quindi ora la malaria non riguarda più solo le popolazioni umane che vivono nelle aree pianeggianti, ma anche quelle di montagna, con la differenza che queste sono ancora più vulnerabili alla malattia. Gli effetti del cambiamento climatico non saranno uguali per tutte le regioni del mondo e andranno a sommarsi e ad amplificare problematiche già esistenti. Non si tratterà di un impatto sul solo mondo naturale, ma anche sulla distribuzione dei patogeni, e sarà necessario prepararsi a gestire malattie che un tempo erano esotiche.

1 Pineda-Munoz S, et al. PNAS 2021; 118.2. 2 Marselle MR, et al. Biodiversity and Health in the Face of Climate Change.

Springer 2019. 3 Caminade C. Ann NY Acad Sci 2019; 157-173.

ha una componente innata e una adattativa: l’innata consente una risposta più rapida ai patogeni, ma è meno specifica, mentre l’adattativa o acquisita si sviluppa su misura sui patogeni incontrati nel corso della vita. L’ipotesi è che in specie caratterizzate da un rapido turnover e una vita di breve durata sia evolutivamente più conveniente il potenziamento della risposta immunitaria innata, che assicura la sopravvivenza dei giovani. Al contrario, le specie caratterizzate da crescita lenta, lunga aspettativa di vita, prole poco numerosa (che adottano la strategia K) investirebbero maggiormente nel sistema immunitario acquisito. Di fatto, le specie a strategia R sono anche quelle che maggiormente tollerano le perturbazioni degli ambienti antropizzati. Ci sono poi altre caratteristiche degli ambienti urbani che li rendono particolarmente idonei alla propagazione dei patogeni. La distribuzione delle risorse, in primis il cibo, che nelle città si concentrano in alcune zone, danno luogo ad alte densità di animali di diverse specie, che facilitano la trasmissione di malattie. I rifiuti e gli scarti umani funzionano inoltre come fattore attrattivo dalle zone rurali limitrofe, potenziando la probabilità di zoonosi. Senza contare che, sebbene adattati ai contesti cittadini, gli animali urbani possono avere livelli più elevati di stress, nonché essere contaminati dall’assunzione di cibo non ottimale, e quindi maggiormente predisposti al rischio di patologie. Infine, gli ambienti urbani hanno condizioni microclimatiche differenti dagli ambienti naturali: sono infatti più caldi a causa della diversa ritenzione della radiazione solare da parte di cemento e asfalto, e dalla presenza di smog. Questo facilita la sopravvivenza di artropodi vettori di malattie, che riescono a sopravvivere tutto l’anno. Con l’espansione delle città aumenterà sempre di più questa interfaccia tra fauna e persone. Una migliore comprensione dello stato di salute delle specie urbane e dei meccanismi di potenziale trasmissione delle malattie è fondamentale, così come una migliore gestione degli spazi urbani.

Bibliografia

1 Nazioni Unite. 2 Gibb R, et al. Nature 2020; 584: 398-402.

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LE RAGIONI per il commercio – legale o illegale – di animali selvatici o parti di essi (pelli, ossa o carne) sono essenzialmente quattro: il collezionismo (i cosiddetti trofei: corna di ungulati, pelli, avorio, eccetera), l’utilizzo come animali da compagnia, i rimedi per la medicina tradizionale e l’impiego alimentare.Una specie di vertebrato terrestre su cinque è oggetto di commercio. In tutto, le specie animali commercializzate sono 7.638,1 e rappresentano il 24% dei vertebrati, la maggior parte dei quali sono uccelli e mammiferi, seguiti dai rettili. Il cosiddetto wildlife trade è una delle principali cause

di sovrasfruttamento delle specie che portano all’estinzione, e si somma ad altri gravi problemi di conservazione, come la perdita e la frammentazione degli habitat (vedi articolo a pagina 8). Secondo le liste rosse dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) la maggior parte delle specie coinvolte nei traffici appartiene a categorie a rischio elevato di estinzione o vulnerabili. I Paesi di origine dei traffici sono prevalentemente quelli nella fascia tropicale per quanto riguarda la vendita di animali da compagnia, mentre i prodotti provengono dall’Africa e dal Sud-est asiatico, inclusa la catena dell’Himalaya.I numeri del commercio sono impressionanti.2 Per fare qualche esempio tra il 2008 e il 2019 sono

stati sequestrati 225.000 chilogrammi di avorio derivante dall’elefante africano e più di 4.500 corni di rinoceronte. Tra il 2016 e il 2019, sono state confiscate circa 206 tonnellate di scaglie di pangolino, di cui esistono otto specie, tutte a rischio di estinzione. In generale i mercati alimentari e l’uccisione degli animali selvatici per la vendita (bushmeat) costituiscono situazioni critiche per la diffusione di zoonosi.

Il commercio illegale di fauna selvatica e le sue conseguenze

Il commercio di specie selvatiche o di loro parti è una grossa minaccia per la conservazione ed è una delle cause più importanti di estinzione. Ma è anche una possibile fonte di malattie zoonotiche emergenti

REDAZIONE

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La caccia agli animali selvatici comporta entrare all’interno di angoli di foresta remoti, dove possono esservi animali potenzialmente infettati. E il pericolo è particolarmente elevato quando a essere cacciati sono i primati, che in virtù della loro vicinanza filogenetica, condividono molte malattie umane. I rischi maggiori del bushmeat non sono nel consumo, ma nella manipolazione di animali vivi, nonché di carcasse, o di macellazione degli animali uccisi. HIV ed Ebola sono due esempi del ruolo del bushmeat nell’emergenza di patogeni infettivi. I cosiddetti wetmarket, dove si vendono carni di animali selvatici e domestici e dove si possono trovare animali vivi tenuti in gabbiette metalliche accatastate, sono invece pericolosi per le condizioni igieniche estremamente precarie. Non a caso questi mercati sono stati fonte di diffusione della SARS e di diverse influenze aviarie. In Cina la carne cucinata a partire da animali acquistati vivi è considerata di maggiore qualità, ecco perché diversi wetmarket si trovano all’interno di quartieri densamente abitati. Assieme ad animali domestici ci sono specie selvatiche di ogni tipo, il che facilita, ancora una volta, contatti non naturali tra specie diverse, per di più in condizioni di forte stress per gli animali. In questi mercati si diffondono non solo i virus, anche se hanno avuto maggiore clamore, ma anche batteri e parassiti intestinali. Un altro grosso canale di consumo degli animali selvatici è quello della medicina tradizionale, basti pensare che sono 565 le specie di mammiferi utilizzate nel mondo a scopo terapeutico,3 e che il 36% è vulnerabile o a rischio di estinzione. Le miracolose proprietà medicamentose sono attribuite alle più disparate parti del corpo: ossa, cartilagini, corni, scaglie, unghie, organi e tessuti, secrezioni, bile, placenta, grassi. Alcuni rimedi sono talmente apprezzati che, anche se sono stati eliminati dalla farmacopea ufficiale, continuano a essere consumati. Per esempio le ossa di tigre, che sono considerate importanti per i disturbi muscolo-scheletrici, sono state escluse dall’elenco ufficiale di ingredienti della medicina tradizionale cinese, ma il consumo di contrabbando resta ancora vertiginoso.Esiste una regolamentazione internazionale che disciplina i traffici, la CITES (Convention on International Trade of Endangered Species), che serve a tutelare le specie minacciate attraverso il controllo dell’esportazione, importazione e detenzione degli animali selvatici. In seguito al diffondersi della pandemia di COVID-19, sono stati banditi in Cina il commercio e il consumo di animali selvatici, con effetti su tutte le specie. Ma le restrizioni da sole servono a ben poco. Il commercio illegale è un business multimiliardario che connette diversi Paesi. E finché c’è una richiesta di consumo, vietare un’attività non fa altro che trasformare il commercio legale in contrabbando, col risultato anche di avere un ancora minore controllo della situazione. Tra le strategie di intervento ci sono sicuramente un aumento degli standard igienici e poi un accurato lavoro di comunicazione ai consumatori, per rafforzare la consapevolezza delle conseguenze su ambiente e salute delle loro scelte alimentari e mediche.

Zoonosi e allevamenti

Gli allevamenti possono creare un’interfaccia critica per la trasmissione di patogeni dagli animali selvatici all’uomo, perché le specie allevate funzionano come specie ponte per i patogeni. I problemi si verificano quando viene a crearsi un contatto frequente, che dà al patogeno l’opportunità di passare dall’ospite selvatico al domestico. Una volta arrivato nel domestico, la propagazione all’uomo è più facile. È il caso del virus Nipah, che causò un’epidemia in Malesia nel 2005. In questo caso lo spillover si verificò a causa della deforestazione e successiva creazione di allevamenti intensivi di maiali nelle foreste. I maiali si nutrivano degli scarti di frutta sputati dai pipistrelli, creando le condizioni giuste per il passaggio del virus nei suini, e poi all’uomo.Un altro esempio classico di malattia che coinvolge animali selvatici, allevamenti ed esseri umani è l’influenza aviaria, i cui serbatoi sono uccelli migratori, soprattutto anatidi, che possono trasmettere la malattia al pollame. Da qui l’infezione può facilmente passare a chi lavora negli allevamenti o nei mercati alimentari, e casi si sono verificati sia in Asia sia in Europa.Un approccio One Health che mette insieme le competenze di veterinari e medici gioca un ruolo cruciale per comprendere le cause di emergenza e le vie di trasmissione.

360° ONE HEALTH

Bibliografia

1 Scheffers BR, et al. Science 2019; 6461: 71-6. 2 Traffic.3 Alves RRN, et al. Mam Rev 2021; 293-306.

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ANGELICA GIAMBELLUCAPROFESSIONE

Ecografia polmonare, da strumento poco usato a prezioso test diagnostico

UNO DEGLI STRUMENTI che ha fatto e sta facendo la differenza per la polmonite da SARS-CoV-2 è l’ecografia polmonare perché offre diversi vantaggi: può essere eseguita al letto del paziente, senza necessità di trasferimenti all’interno della struttura ospedaliera ed è più sensibile dell’indagine radiologica nell’individuare segni

dalle Unità speciali di continuità assistenziale (USCA). Per questo l’Ospedale Niguarda di Milano ha organizzato una formazione specifica sull’ecografia polmonare destinata agli infettivologi e ha avviato corsi per i medici di medicina generale e i pediatri, che in questi mesi hanno chiesto a gran voce di poter imparare a usarla in autonomia.

UNA TECNOLOGIA VERSATILE

Per anni si è esclusa la possibilità di impiegare gli ultrasuoni per esplorare organi con prevalente contenuto aereo, come i polmoni. Ma più recentemente, le prove scientifiche hanno indicato l’ecografia come mezzo di completamento dell’esame obiettivo in almeno due situazioni: la diagnosi differenziale del paziente dispnoico e il monitoraggio della congestione polmonare nel paziente con scompenso cardiaco.L’ecografia polmonare fa parte della valutazione di terapia intensiva di patologie polmonari multiple, come pneumotorace, sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), edema polmonare, malattia polmonare interstiziale e polmonite. Poiché l’infezione da SARS-CoV-2 provoca una polmonite

La diagnostica a ultrasuoni si è rivelata fondamentale nel triage della COVID-19 e sempre più medici vogliono imparare a usarla

di polmonite.1,2,3 Da strumento usato soprattutto dalla medicina d’urgenza, oggi l’ecografia polmonare è uno degli esami di punta nella gestione dei pazienti COVID a domicilio e a livello territoriale. In Lombardia, oltre che negli ospedali, si usa infatti negli ambulatori distaccati dai nosocomi (chiamati hotspot) ed è impiegata

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PROFESSIONE

interstiziale, c’è un ampio spazio per l’uso dell’ecografia in pazienti con COVID-19, soprattutto da parte dei medici di Pronto soccorso come primo approccio, e da parte dei medici di terapia intensiva e sub intensiva per la valutazione della progressione della malattia e le sue possibili complicanze (sovrainfezione, pneumotorace).COVID-19 a parte, l’ecografia polmonare può essere utilizzata per valutare e monitorare la ventilazione polmonare nel paziente con insufficienza respiratoria acuta e può essere uno strumento utile per guidare l’indicazione alla ventilazione meccanica e a diverse altre procedure, come la pronazione, la broncoscopia con fibra ottica e il drenaggio pleurico. I segni ecografici polmonari, da soli o combinati con altre tecniche ecografiche point-of-care, sono utili nell’approccio diagnostico ai pazienti con insufficienza respiratoria acuta, shock circolatorio o arresto cardiaco. Infine, l’ecografia polmonare può essere utilizzata per la diagnosi precoce e la gestione delle complicanze respiratorie associate alla ventilazione meccanica, come pneumotorace, polmonite associata al ventilatore, atelettasie e versamenti pleurici. È quindi un utile strumento diagnostico e di monitoraggio che nel prossimo futuro potrebbe diventare parte delle conoscenze di base dei medici che si prendono cura del paziente in condizioni critiche.

LE ESPERIENZE ITALIANE

Diversi studi stanno analizzando la possibilità che l’ecografia polmonare sia in grado di individuare la COVID-19 anche prima di ricevere l’esito del tampone. È stato pubblicato uno studio multicentrico sul suo utilizzo in pazienti con sintomatologia sospetta per COVID-19, coordinato dall’Azienda ospedaliera universitaria di Pisa insieme all’Istituto di Fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Pisa e all’Ospedale San Luigi Gonzaga di Torino. La ricerca ha coinvolto 20 diversi ospedali in Europa e negli Stati Uniti, per un totale di 1.462 pazienti, ed è stata pubblicata sulla rivista Intensive Care Medicine.4 Lo studio ha classificato ogni paziente secondo i sintomi e le patologie cardiopolmonari concomitanti e, in base ai risultati dell’ecografia, ha assegnato una probabilità di COVID-19 con coinvolgimento polmonare. I dati pubblicati dimostrano che se il paziente ha un’insufficienza respiratoria ma l’ecografia del polmone è normale, si può escludere la positività quasi al 100%. D’altra parte, in un paziente con sintomi lievi, senza disturbi respiratori, la presenza di alterazioni all’ecografia polmonare potrebbe significare un’alta probabilità di positività al virus.Questo approccio consentirebbe di velocizzare molto il triage dei pazienti sospetti, senza dover

attendere, in molti casi, il risultato del tampone. E potrebbe diventare un’alternativa alla diagnosi con test molecolari nei Paesi che non riescono ad accedere a questo tipo di indagini.

IMPARARE A USARLA

Nel corso della pandemia da COVID-19 l’ecografia polmonare si è diffusa enormemente, per le sue caratteristiche di rapida disponibilità e semplicità di utilizzo da parte del clinico. Ma anche perché i dati acquisiti man mano nel corso della pandemia ne hanno valorizzato le prestazioni diagnostiche (vedi scheda nella pagina a lato). In questi mesi le ecografie polmonari, come detto, sono state utilizzate anche per l’assistenza territoriale, sia negli hotspot sia in assistenza domiciliare.All’Ospedale Niguarda, ad esempio, da novembre 2020 è stato attivato l’hotspot di Villa Marelli per il monitoraggio e la presa in carico dei pazienti con COVID in isolamento domiciliare, residenti nell’area del Municipio 9 di Milano (uno dei più popolosi della città con 185.000 abitanti). Nell’hotspot vengono visitati i pazienti con COVID non gravi attraverso una serie di accertamenti che possono prevedere anche l’ecografia polmonare, oltre a esami del sangue e radiografie del torace, per citarne alcuni. Alla centrale operativa di Villa Marelli fa riferimento anche l’attività di consulenza telefonica per i medici di medicina generale e per quelli delle RSA, per seguire casi specifici di loro pazienti con problematiche correlate alla COVID-19. Questo modello di approccio integrato ospedale-territorio, coordinato da infermieri di comunità, è un

Le ecografie polmonari sono state effettuate non solo in ospedale, ma anche negli hotspot, grazie a una funzionale integrazione ospedale-territorio

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esempio di gestione funzionale della pandemia: le attività non mirano solo ad accogliere in maniera tempestiva tutte le persone che arrivano in Pronto soccorso, ma anche a intercettare sul territorio i casi che potrebbero aggravarsi o che hanno bisogno di essere monitorati costantemente. Saper quindi maneggiare l’ecografia polmonare, in un contesto come questo, può fare la differenza in termini di diagnosi e di trattamento. E in questo spazio si inserisce la formazione del Niguarda. “Con un corso di cinque-sette ore si possono imparare le basi per eseguire questo esame – commenta Massimo Puoti, direttore della Struttura complessa di malattie infettive dell’Ospedale Niguarda di Milano – e per noi è stato importante imparare a usare l’ecografia perché rappresenta una soluzione notevole nella valutazione della prognosi del paziente, dello stato di malattia e, in maniera indicativa, della progressione della patologia. L’ecografia è utile, ma ricordiamoci che è uno strumento ‘operatore-dipendente’ e pertanto non offre, a differenza della tomografia computerizzata (TC), la possibilità di identificare l’entità del coinvolgimento o peggioramento del polmone. Un occhio esperto nota le anomalie con un’ecografia, ma solo la TC fa un’analisi quantitativa dell’eventuale danno”.

Bibliografia

1 D’Andrea A, et al. G Ital Cardiol 2020; 345-53. 2 Rapporto ISS COVID-19 n. 55 2020. 3 Vetrugno L, et al. J Ultrasound Med 2020;

2281-2282. 4 Volpicelli G, et al. Intensive Care Med 2021;

47: 444–54.

L’ECOGRAFIA polmonare è ormai utilizzata da anni in molti dipartimenti di Emergenza, perché non invasiva, di rapida esecuzione al letto del paziente, facilmente ripetibile senza costi radiologici e indicata anche per quei soggetti (gravide, bambini) che non possono essere sottoposti alla diagnostica per immagini che impiega radiazioni ionizzanti. La metodica richiede una formazione ecografica di base e, specie nelle sue interpretazioni più semplici, è di rapido apprendimento; fornisce indicazioni essenziali sia per la diagnosi sia per il monitoraggio e la terapia, anche perché è in mano allo stesso

Ecografia polmonare e COVID-19SIMONETTA PAGLIANI

moderatagrav

ecec

ritica

MIGLIORAMENTO

PEGGIORAMENTO

Aerazione polmonare

AERATO PARZIALMENTE AERATO NON AERATOConsolidamento

100% 0%

Linee A Linee B

Le tre fasi dell’aerazione polmonare (aerato, parzialmente aerato, completamente non aerato).

Linee A: linee iperecogene (bianche) orizzontali e parallele fra loro e alla linea pleurica, tipiche del polmone sano. Sono artefatti normali, da riverbero del fascio di ultrasuoni all’interfaccia pleura/aria polmonare.

Linee B (“a coda di cometa”): linee iperecogene verticali perpendicolari alla linea pleurica, da cui si dipartono per dirigersi in profondità, mascherando le linee A.Sono artefatti patologici, caratteristici dell’interessamento dell’interstizio, tanto più grave quanto più queste linee sono ravvicinate e coalescenti.

Consolidamento polmonare: marcata riduzione della aerazione polmonare con sostituzione dell’aria alveolare da parte di essudato o cellule flogistiche. Il fascio di ultrasuoni penetra nel parenchima polmonare evidenziando un consolidamento con aspetto ecografico simile a quello del parenchima epatico (epatizzazione del polmone).

Modificato da: Smith MJ, et al. Anaesthesia 2020; 75: 1096-104.

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clinico che sta valutando le condizioni ed è informato delle patologie del paziente. Durante la pandemia da SARS-CoV-2, il ruolo dell’ecografia polmonare è stato fondamentale per incrementare l’accuratezza diagnostica e per stratificare il rischio prognostico, con un valore predittivo positivo tanto più elevato quanto maggiore è la prevalenza della malattia. La semplice radiografia del torace ha un’accuratezza diagnostica inferiore, dal momento che è inappropriata e insufficiente per l’identificazione della patologia interstiziale. Ciò era già noto per la diagnosi delle polmoniti in epoca pre COVID-19: in una metanalisi di 12 studi sulla diagnosi di polmonite in età pediatrica1 la sensibilità diagnostica dell’ecografia polmonare è risultata del 95,5%, rispetto all’86,8% della radiografia. La specificità risulta invece simile nelle due metodiche: 95,3% per l’eco e 98,2% per la radiografia, con un valore predittivo positivo del 99% e negativo del 63,1% per l’ecografia polmonare e, rispettivamente, 99,6% e 43,1% per la radiografia.Per il versamento pleurico, la sensibilità della radiografia è del 65% versus il 100% dell’ecografia.2

L’ecografia del torace sfrutta la presenza di artefatti (cono d’ombra, riverberazione, code di cometa, rinforzo posteriore) che derivano dall’interazione del fascio ultrasonoro con l’aria e appaiono differenti a seconda del contenuto aereo della parte studiata e dell’omogeneità della sua distribuzione. Il polmone, poco esplorabile all’eco, se è normale, mostra significative finestre acustiche, se patologico.Laddove non sia possibile l’esecuzione della tomografia computerizzata (TC) toracica, che resta il gold standard della diagnostica polmonare, le immagini ecografiche forniscono in pochi minuti (i

vari protocolli prevedono l’esame di 6-7 zone per emitorace) informazioni essenziali dal punto di vista decisionale e, secondo studi cinesi, possono identificare anomalie polmonari da COVID-19 ancora prima delle manifestazioni cliniche. Le alterazioni alla TC nella COVID-19 sono state descritte in dettaglio e trovano corrispondenza in quelle osservabili all’ecografia: gli artefatti verticali (linee B multiple o confluenti) segnalano il processo infettivo-infiammatorio dell’interstizio (con maggiore interessamento periferico) come le opacità a vetro smerigliato della TC; l’irregolarità della linea pleurica individuano il processo infettivo-infiammatorio esteso alle aree sub-pleuriche; i consolidamenti identificano l’interessamento alveolare.3

Per tutte le ragioni prima espresse, in molti ambiti (Pronto soccorso, territorio) è necessario implementare l’utilizzo dell’ecografia polmonare, come conferma Valeria Tombini, medico urgentista e referente della formazione in ecografica clinica al Niguarda per SIMEU (Società Italiana d’Emergenza Urgenza): “Nella nostra esperienza l’utilizzo della sonda è stato prezioso per decidere quali pazienti ricoverare e dimettere, e per la diagnosi nei casi di falsa negatività del tampone molecolare; inoltre, nei ricoverati, l’efficacia ventilatoria può essere monitorata, al letto del paziente con l’ecografia”.3

Bibliografia

1 Balk DS et al. Pediatr Pulmonol 2018; 53:1130-9.2 Linchtenstein D. Crit Care Med 2007; 35:S250-60.3 Tombini V et al. Ultraschall Med 2021. doi: 10.1055/a-1344-4715

Riquadro AAspetto normale in scansione longitudinale (le frecce arancioni indicano le linee A, R= ombra costale)

Riquadro BAspetto A/B in una scansione lungo lo spazio intercostale (aumento del numero di linee B, la freccia azzurra indica una linea B)

Riquadro CConsolidamento con coalescenza delle linee B (frecce viola) o quadro di “polmone bianco”

Modificato da: Piscaglia F, et al. Ultraschall Med. 2020; 228-236.

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191. 2021

REDAZIONE

Il vademecum anti COVID-19per gli odontoiatri

Gli odontoiatri sono tra i professionisti sanitari con il rischio di contagio da COVID-19 più alto. L’applicazione di un protocollo studiato ad hoc sembra efficace per garantire un buon livello di sicurezza sul lavoro

NEL CONTESTO emergenziale attuale l’ambiente sanitario odontoiatrico presenta un livello di rischio di contagio medio-alto in quanto le procedure richiedono una distanza tra operatore e paziente inferiore al metro, devono essere condotte necessariamente senza mascherina da parte del paziente e prevedono l’utilizzo di strumenti che generano aerosol. Tali particelle rimanendo sospese per un periodo prolungato espongono quotidianamente i professionisti del settore odontoiatrico a microrganismi patogeni, compresi virus e batteri. Per una maggiore sicurezza il Tavolo tecnico per l’odontoiatria presso il Ministero della Salute ha pubblicato a maggio 2020 le “Indicazioni operative per l’attività odontoiatrica durante la fase 2 della pandemia COVID-19”, un protocollo per la ripresa in sicurezza delle attività odontoiatriche, ora oggetto di un

corso di formazione a distanza sulla piattaforma FADInMed della FNOMCeO. “Siamo stati i primi a mettere in pratica un protocollo di sicurezza e di fatto a noi odontoiatri è cambiata la vita. Rispetto all’epoca pre COVID è aumentato il tempo da dedicare a ogni paziente, sono aumentati i costi e si è ridotto il numero giornaliero di pazienti da visitare. Nonostante le difficoltà, il giudizio complessivo attuale è positivo” commenta Claudio Procopio, odontoiatra consigliere dell’Ordine dei medici e odontoiatri di Milano. “Se guardiamo i dati e in particolare se facciamo riferimento a quanto riportato nell’ultimo report dell’INAIL (divulgato il 21 ottobre 2020) non ci sono stati infortuni da COVID-19 per gli odontoiatri. Cioè – spiega ancora Procopio – non c’è stata una correlazione tra l’attività clinica svolta e il contagio”. Un ottimo risultato che dimostra quanto sia importante attenersi al protocollo che può essere sintetizzato in un breve vademecum di cinque passaggi.

1. DOPPIO TRIAGE

La procedura inizia con un primo colloquio telefonico con il paziente

da effettuare il giorno prima dell’appuntamento per accertarsi dello stato di salute. Tale passaggio verrà ripetuto de visu all’arrivo in ambulatorio in modo da poter verificare quanto dichiarato. Le domande da porre al paziente devono indagare:

• se al momento è affetto, o sospetta di essere affetto, da COVID-19,

• se è stato affetto da COVID-19 e in caso affermativo se è stato dichiarato guarito clinicamente, o con due tamponi negativi,

• se ha avuto contatti stretti con soggetti SARS-CoV-2 positivi nelle ultime tre settimane,

• se ha avuto sintomi attribuibili a COVID-19 (febbre, tosse, difficoltà respiratoria, congiuntivite, diarrea, raffreddore, mal di gola, alterazione del gusto, alterazione dell’olfatto, spossatezza, cefalea, eruzioni cutanee, dolori muscolari diffusi),

• se ha avuto contatti con pazienti in quarantena nelle ultime quattro settimane,

• se ha avuto contatti stretti con pazienti COVID in ambito professionale.

Durante il colloquio telefonico è bene spiegare quali sono le nuove procedure di sicurezza e avvisare che qualora il giorno dell’appuntamento si dovessero presentare sintomi riferibili a COVID-19 la visita va annullata. “Tra le novità da segnalare al paziente – precisa Procopio – è bene informare che non sono più ammessi in ambulatorio gli accompagnatori, salvo casi particolari (disabili o bambini). Ma

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20 INFORMAMI

anche in questi casi bisognerebbe evitare il loro accesso allo spazio operativo, chiedendo di attendere in sala d’attesa”.

2. INFORMAZIONE E CONSENSO

Nel vademecum viene sottolineata l’importanza di una adeguata informazione del paziente sul protocollo utilizzato in corso di pandemia. A cui deve seguire la firma del consenso.

3. ACCETTAZIONE IN AMBULATORIO

Le raccomandazioni quindi si concentrano sull’arrivo in ambulatorio del paziente. In questa fase occorre rilevare la temperatura, chiedere al paziente di lavarsi le mani (o disinfettarle con soluzione idroalcolica) e invitarlo ad attendere in sala d’aspetto indossando la mascherina. Sala d’aspetto che, rispetto al passato, deve essere sprovvista di giornali, riviste o altri oggetti e va allestita rispettando un metro di distanza tra le sedie.

4. PROTEZIONE

Per la protezione delle vie respiratorie, i professionisti sanitari devono indossare i filtranti facciali FFP2 o FFP3, da sostituire ogni sei ore. Per gli occhi invece vanno indossati occhiali a stanghette e a maschera durante le visite, le manovre di pulizia ambientale, le fasi di lavaggio e disinfezione delle attrezzature di lavoro, mentre vanno indossati gli schermi facciali o le visiere in caso di procedure per le quali è prevedibile la produzione di aerosol. Il corpo dell’operatore va protetto con camice idrorepellente monouso, cuffia/cappello monouso, calzature lavabili e guanti. Si segnala che è molto importante

accertarsi che tutti gli operatori dello studio conoscano la procedura corretta del lavaggio delle mani, della vestizione e della svestizione. Per l’apprendimento della procedura si rimanda al video a cura dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, in collaborazione con l’OMS.

5. PROTOCOLLO OPERATIVO

A questo punto si entra nel vivo dell’attività clinica. Per ridurre il rischio di contaminazione dell’ambiente, prima dell’ingresso del paziente nello spazio operativo è bene preparare tutto il necessario lasciando sulle superfici meno oggetti possibili e tenendo coperti gli strumenti fino all’inizio della prestazione. Prima di far accomodare il paziente occorre chiedergli di depositare gli oggetti personali in una sacca e porgergli la mantellina monouso idrorepellente. Quindi si raccomanda di far eseguire uno sciacquo disinfettante per ridurre la carica batterica nell’aerosol (soluzione all’1% di perossido di idrogeno, o iodopovidone 0,2% per 30 secondi e successivamente sciacquo con collutorio alla clorexidina 0,2-0,3% per un minuto). Per quanto riguarda le procedure viene raccomandato, quando possibile, di:

• prediligere procedure manuali,

• usare manipoli dotati di

dispositivi anti-reflusso e a basso numero di giri,

• utilizzare la diga di gomma, il doppio aspiratore o l’aspiratore chirurgico.

Al termine della procedura si rimuove la mantellina monouso e si invita il paziente a indossare la mascherina e a lavare le mani.Prima di far accomodare un altro paziente occorre disinfettare tutte le superfici, utilizzando uno dei prodotti di dimostrata efficacia (ipoclorito di sodio, oppure etanolo o perossido di idrogeno) e aprire le finestre per almeno 10-15 minuti (in assenza di ventilazione naturale è raccomandabile effettuare periodicamente la manutenzione dei filtri). Occorre infine procedere con il lavaggio e la sterilizzazione di tutti i materiali, con autoclave per i materiali che sopportano il trattamento, oppure con disinfezione fisica o con disinfettante virucida. Tutte le operazioni di disinfezione devono essere eseguite indossando i dispositivi di protezione, possibilmente nella zona operativa dove è avvenuto il trattamento. Infine non va trascurata la gestione dei rifiuti: i camici monouso e tutti i rifiuti indifferenziati vanno inseriti in almeno due sacchi applicando, prima di chiuderli, il disinfettante. Tutti i prodotti che sono potenzialmente infetti vanno invece inseriti negli appositi contenitori per i “rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo”, in particolare devono essere trattati ed eliminati come materiale infetto categoria B.

PROFESSIONE

Bibliografia

FNOMCeO.

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211. 2021

NICOLETTA SCARPA

Tattoo: l’estetica che curaIn Italia sono circa 7 milioni, ossia il 12,8% della popolazione, le persone che hanno almeno un tatuaggio. La maggior parte si tatua per ragioni puramente estetiche, ma non va trascurato che c’è una minoranza, lo 0,5%, che ricorre al tatuaggio per finalità mediche

oppure di micropigmentazione e dermatografia. Si tratta però sempre dell’introduzione di inchiostri specifici nello strato superficiale del derma papillare con l’ausilio delle macchine per tatuaggi, o penna oscillante, e aghi monouso. La vera differenza, rispetto al meno nobile tatuaggio artistico, è quindi il campo di applicazione, in questo caso non finalizzato alla decorazione.I vantaggi della tecnica sono molteplici. Oltre alle ricadute positive sul piano psicologico, non vanno sottovalutate le ricadute positive in termini di costi. Con la ricostruzione dell’areola e del capezzolo per esempio si evita un secondo intervento chirurgico di tipo tradizionale con l’innesto di cute pigmentata da altre zone corporee.

ATTRIBUIRE al tatuaggio una valenza medica sembra quasi un controsenso. Eppure la medicina ha nobilitato questa forma d’arte che affonda le sue radici nei riti tribali rendendola parte attiva del processo di cura. Il tatuaggio in particolari condizioni, per esempio quando riproduce il complesso areola capezzolo nelle donne sottoposte a mastectomia o quando maschera la perdita di capelli (tricopigmentazione) in caso di alopecia, non ha solo valore estetico ma aiuta il paziente a recuperare quell’integrità fisica perduta o menomata e a ripristinare l’equilibrio psicologico. In letteratura medica si parla, più che di tatuaggio, di dermopigmentazione correttiva

I tatuaggi medici più usati• Ricostruzione dell’areola e del capezzolo• Tatuaggio endoscopico • Radioterapia oncologica• Alopecia areata • Vitiligine • Camouflage di cicatrici atrofiche e ipertrofiche

e cheloidi • Esiti cicatriziali di labiopalatoschisi • Tatuaggio dell’occhio, della cornea • Ricostruzione delle ciglia e sopracciglia o

camouflage di cicatrici nel caso di pazienti oncologici o di persone con altre patologie

• Dermopigmentazione come alternativa per il trattamento del nevus flammeus e del cuoio capelluto

• Applicazione intralesionale di farmaci per il trattamento di verruche virali

• Ricostruzione a seguito di impianto gengivale

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22 INFORMAMI

Si riducono così i rischi, lo stress per la paziente, ma anche i costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale: la sala operatoria, il lavoro del medico e di tutto il personale.Secondo i dati attualmente

disponibili sembra che le pazienti siano nella maggior parte dei casi soddisfatte dei risultati estetici associati. In particolare l’Ospedale di Treviso ha pubblicato i dati dell’esperienza condotta tra il 2010 e il 2016 su 169 pazienti trattate in 309 sessioni. Dopo il tatuaggio non ci sono state complicanze gravi e solo in tre casi sono state osservate complicanze lievi. Il 90% delle pazienti ha espresso un alto livello di soddisfazione dei risultati estetici.

LA REGOLAMENTAZIONE

Attualmente il tatuaggio con finalità medica è un settore non regolamentato e questo fa sì che i trattamenti vengano effettuati fuori dalle strutture ospedaliere e che i pazienti si rivolgano a tatuatori che non hanno una preparazione sanitaria specifica.Questo è un nodo delicato se si considera che il tatuaggio, indipendentemente dalla finalità medica o estetica, espone la persona a rischio di infezione che può essere di origine batterica, ma anche virale e può avere un interessamento locale, ma anche sistemico. Tali rischi aumentano se non vengono applicate scrupolosamente le raccomandazioni igieniche che riguardano la conservazione degli inchiostri, la tecnica di esecuzione e la cura della cute prima di effettuare il tatuaggio ma anche nei giorni a seguire. Attualmente il testo di riferimento nazionale per l’esecuzione di tatuaggi e piercing in condizioni di sicurezza risale a due circolari pubblicate nel 1998 dal Ministero della Salute.2 Solo alcune Regioni poi hanno emanato norme

specifiche per regolare il settore. Per quanto riguarda il tatuaggio medico l’unico ambito normato è quello per la pigmentazione del complesso areola-capezzolo. Secondo la circolare DGPRE 14138-P emanata dal Ministero della Salute nel 2019, la pigmentazione del complesso areola-capezzolo deve essere eseguita esclusivamente da chi eserciti una professione sanitaria, in ambulatorio accreditato o autorizzato e non può essere eseguita in strutture non sanitarie e da personale non sanitario. Non è però ancora chiaro quale sia la professione sanitaria ad hoc preposta a eseguire tale attività e mancano indicazioni su come debbano essere strutturati i corsi destinati alle figure di professionisti sanitari già esistenti.3

Inoltre va detto che il tatuaggio della cornea e il tatuaggio per pigmentazione del complesso areola-capezzolo rientrano nell’ambito dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) tra le prestazioni offerte dal Servizio Sanitario Nazionale. Non tutte le Regioni però forniscono tali prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale. È invece recente la notizia per cui la Regione Lazio ha stanziato un fondo speciale da 180.000 euro l’anno per tre anni destinato a tatuaggi medicali per donne che hanno subito mastectomie totali o parziali. Un passo avanti che dovrebbe portare a progressi ulteriori e soprattutto a una maggiore uniformità su tutto il territorio nazionale.

Le origini dei tatuaggi

La pratica del tatuaggio ha origini antiche. I primi tatuaggi potrebbero risalire addirittura all’era paleolitica, lo dimostrerebbe per esempio la figura scolpita dell’uomo-leone della grotta di Hohlenstein-Stadel in Germania, che risale a 32.000 anni fa e reca alcune incisioni orizzontali sulle braccia che potrebbero essere tatuaggi.È possibile osservare alcuni esempi di tatuaggi su corpi mummificati, ritrovati parzialmente integri, risalenti al 3300-3100 a.C. Per esempio la mummia dell’uomo del ghiacciaio del Similaun possiede 61 tatuaggi costituiti da semplici punti, linee e crocette posizionati in corrispondenza delle articolazioni e della schiena dove i ricercatori hanno riscontrato la presenza di osteoartrosi. Si pensa che quei tatuaggi fossero collegati a una forma preistorica di agopuntura effettuata con erbe medicinali, per guarire o alleviare il disturbo articolare. La mummia della principessa di Ukok, ritrovata sui monti Altai, risale invece al 500 a.C. e presenta tatuaggi sulla spalla sinistra, sul braccio e sul ventre.Anche le grandi civiltà antiche ricorrevano ai tatuaggi, non solo gli Egizi e gli antichi romani, ma un po’ tutte le popolazioni antiche del mondo, dal Giappone all’Oceania, dalla Cina all’Artico, dall’Africa alla Polinesia. I simboli tatuati e lo scopo del tatuaggio cambiano in funzione del periodo storico e del luogo. L’appartenenza a un gruppo (sociale, religioso, etnico) è stata una delle principali ragioni che ha spinto gli esseri umani a tatuarsi, ma anche i riti magici e la protezione da influssi maligni, o da malattie, o la predisposizione per l’aldilà.

PROFESSIONE

Bibliografia1 Epicentro. Aspetti epidemiologici. 2 Circolari Ministeriali 1998. 3 DGPRE 14138-P.

Ricostruzione del leone tatuato sulla spalla della principessa Ukok.

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231. 2021

FRA GENNAIO e settembre 2020 nella sola Lombardia non sono stati diagnosticati 671 carcinomi mammari, 1.822 adenomi avanzati del colon-retto, 335 carcinomi colorettali e 209 lesioni cervicali CIN2 o più gravi.Questi dati non si riferiscono alla diagnosi oncologica precoce tout-court, ma sono legati ai mesi di ritardo accumulati dai programmi di screening oncologico, a partire da marzo con la sospensione dei primi livelli (cioè degli esami previsti dal Servizio Sanitario per le popolazioni a maggior rischio ma ancora senza sintomi) fino alla ripresa delle attività con volumi necessariamente ridotti. Come si può leggere nel Rapporto sui ritardi accumulati dai programmi di screening italiani in seguito alla pandemia da COVID-19 – Secondo Rapporto al 30 settembre 2020, pubblicato sul sito dell’Osservatorio Nazionale Screening (ONS), le stime sulle mancate diagnosi sono state ottenute applicando i tassi di identificazione delle lesioni oggetto dei programmi di screening, tratti dalle più recenti survey nazionali, al numero di soggetti esaminati in meno fra gennaio e settembre 2020 rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti. Si tratta, per quanto riguarda la Lombardia, di quasi 55.000 e 152.000 donne non esaminate rispettivamente nello screening cervicale (-42,6%) e mammografico (-54,9%) e quasi 372.000 esami non svolti per lo screening colorettale (-78,6%). Un gap che a fine settembre richiedeva per essere colmato circa cinque mesi (a volumi di attività pre COVID) nello screening mammografico, circa sei

Dopo mesi di ritardo accumulato nei programmi di screening e oltre 3.000 diagnosi mancate nella sola Lombardia, l’Osservatorio Nazionale Screening afferma che non è più adeguato parlare soltanto di piani di rientro, ma è necessario ripensare il sistema nel suo complesso

Screening oncologici, una lenta ripartenza

EVA BENELLI, MONIA TORRE

mesi per lo screening cervicale e sette nel colorettale. LA RIORGANIZZAZIONE DELLO SCREENING

Un terzo dello screening regionale è organizzato dall’ATS (Agenzia di Tutela della Salute) di Milano, cui fanno capo i programmi delle città di Milano e Lodi con le rispettive province. Qui i servizi di primo livello, chiusi da un’ordinanza regionale a metà marzo dello scorso anno, sono ripartiti in maniera differenziata, per esigenze dei territori e dei programmi. Lo screening mammografico e quello cervicale sono ripartiti a giugno. Solo cinque mesi più tardi, a novembre, sono riprese le attività di primo livello dello screening colorettale che, non a caso, è quello in maggiore ritardo. “I programmi sono ripartiti quando i percorsi sono stati ritenuti sicuri” – spiega Anna Rita Silvestri, responsabile degli screening oncologici di ATS Milano – “Il servizio di screening ha monitorato costantemente la situazione negli ospedali, mantenendo un rapporto continuo con i centri clinici e coinvolgendo radiologi ed endoscopisti”. L’attività di accompagnamento degli ospedali ha riguardato in particolare una dilatazione delle tempistiche di esame per permettere la sanificazione degli spazi ed evitare il sovraffollamento.In linea con quanto accaduto a livello nazionale, il programma mammografico ha mostrato una migliore reattività “con alcuni ospedali che gradualmente sono stati in grado di riorganizzarsi con volumi pre-COVID” prosegue Silvestri. La scelta è stata quella

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24 INFORMAMI

PROFESSIONE

di ricontattare telefonicamente le donne secondo la calendarizzazione sospesa a marzo e le molte che avevano richiesto autonomamente di accedere ai servizi di prevenzione. Da agosto si è tornati all’invito per lettera, coinvolgendo prioritariamente le donne che avevano partecipato agli screening negli anni precedenti. Sempre a giugno è stato riavviato lo screening cervicale, che al momento interessa solo il territorio di Lodi, e le cui attività hanno un volume molto ridotto. “Questo è stato dovuto in particolare alle necessità organizzative dell’Ospedale, caratterizzate dalla mancanza di personale e dalle difficoltà dettate dalla prima zona rossa” precisa ancora Silvestri.Basato sulla ricerca del sangue occulto nelle feci attraverso la distribuzione dei kit di auto-prelievo, il programma di screening colorettale è ripartito solo quando sono tornate a regime e si sono potute coordinare le attività di servizi postali, farmacie (proprio la Lombardia è tra le regioni pilota nel progetto delle Farmacie dei Servizi), distributori dei farmaci e ospedali. Un ulteriore aspetto chiarito dal secondo Rapporto ONS sulla ripartenza degli screening è una riduzione della propensione alla partecipazione da parte degli utenti: meno accentuata a livello nazionale per lo screening cervicale (-17%), più elevata per lo screening colorettale (-20%) e per lo screening mammografico (-21%).Silvestri sottolinea l’influenza sulla propensione alla partecipazione dei diversi luoghi di erogazione: in ATS Milano il programma di screening colorettale ha visto da subito una propensione migliore alla partecipazione, “le farmacie, punto di contatto con l’utenza per il primo livello dello screening colorettale, sono state indubbiamente percepite come luogo meno rischioso rispetto agli ospedali”. In generale per i programmi di screening, l’attività dei numeri verdi è stata fondamentale tanto durante la prima ondata, per l’accompagnamento agli approfondimenti diagnostici mai sospesi, quanto alla ripartenza dei primi livelli: “Abbiamo effettuato e ricevuto moltissime chiamate. Ogni persona è stata accompagnata nella scelta consapevole e tranquillizzata rispetto alle misure di sicurezza che ogni Centro aveva adottato. Il triage telefonico è diventato un vero e proprio momento di counselling, che andava spesso oltre il servizio stesso di screening” conclude Silvestri. A marzo 2020, la difficile scelta di sospendere i primi livelli, assunta progressivamente in tutta Italia, si era

basata su considerazioni rispetto alla sicurezza degli operatori e dei cittadini, alla possibilità di trattare in modo tempestivo tutti i casi positivi individuati e alla disponibilità di personale nelle diverse attività gestionali. Ne era nato un dibattito fra gli addetti ai lavori su quanto potesse essere procrastinabile un Livello Essenziale di Assistenza (LEA), soprattutto alla luce delle difficoltà prevedibili nel riorganizzare una macchina così complessa e, nel lungo termine, probabilmente anche sul carico di lavoro clinico. Oggi, si legge nelle conclusioni del Rapporto ONS, “sembra emergere come non sia più nemmeno adeguato parlare di piani di rientro, ma sia necessario che il sistema screening vada fortemente ripensato nel suo complesso e con logiche di importante ristrutturazione”, ci si riferisce in particolare all’allocazione corretta, efficiente e stabile di risorse a livello di personale e infrastrutture (sistemi informativi e le relative integrazioni con le nuove tecnologie). L’epidemiologo Eugenio Paci declina tale necessità in una riflessione su che cosa voglia dire oggi fare attività di governo clinico territoriale, sempre più concentrato sui compiti delle strutture che sugli obiettivi di popolazione. “Lo screening parte dai bisogni di persone sane e le guida in un’attività di sorveglianza basata sulla diagnosi precoce, affidandole all’ospedale quando insorge la malattia”. Secondo Paci, “larga parte del percorso di screening, che va dall’invito al trattamento all’esame, dovrebbe essere deospedalizzato e spostato in strutture organizzate, pur in una continuità assistenziale, facendo rinascere una medicina territoriale.

Bibliografia

Osservatorio Nazionale Screening. Rapporto sui ritardi accumulati dai programmi di screening italiani in seguito alla pandemia da COVID-19 – Secondo Rapporto al 30 Settembre 2020.

Test di screening in uso in Italia

Tumore del colon retto• Ricerca del sangue occulto nelle feci: gratis per le

persone tra i 50 e i 69 anni. Consigliato ogni 2 anni• Rettosigmoidoscopia: tra i 58 e i 60 anni, ogni 10 anni.

Tumore della mammella• Mammografia: gratis per le donne tra i 50 e i 69 anni

Consigliata ogni 2 anni.

Tumore della cervice uterina• Test HPV e Pap test: il Piano Nazionale Prevenzione

ha dato indicazione alle Regioni di introdurre il test HPV (ogni cinque anni) come screening cervicale in sostituzione del Pap test (ogni tre anni dall’inizio dell’attività sessuale fino ai 70 anni).

FONTI: AIOM, AIRTUM, FONDAZIONE AIOM E PASSI, I NUMERI DEL CANCRO IN ITALIA 2020

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I1 . 2021 I

COME ISCRIVERSI AL CORSO

Partecipare al corso FAD è semplice. Una volta letto questo dossier, tutti gli iscritti all’OMCeO Milano, medici e odontoiatri, possono rispondere al questionario online e acquisire i crediti ECM. Ecco come fare:1. se non si è già registrati, registrarsi sulla piattaforma www.saepe.it scegliendo un ID e PIN per l’accesso2. entro 48 ore ricollegarsi alla piattaforma e inserire ID e PIN3. cliccare al piede della pagina sul banner SmartFAD4. cliccare il titolo del corso5. cliccare sul questionario e rispondere alle domande ECM; si ricorda che le domande sono randomizzate, quindi variano nei tentativi successivi (non c’è un limite massimo)6. rispondere al questionario di customer satisfaction7. scaricare l’attestazione dei crediti cliccando in alto a destra su “Crediti” e quindi sulla stampantina vicino al titolo del corsoPer qualunque dubbio o difficoltà scrivere a: [email protected]

PRINCIPI DI RADIOPROTEZIONENELLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI

1.2021

Autore: Gian Galeazzo Riario Sforza, direttore dell’Unità operativa complessa di Medicina interna Ospedale “Città di Sesto S. Giovanni” ASST Nord Milano

Revisori: Claudia Cavatorta e Manuela Lualdi, ssd Fisica Medica, Fondazione IRCCS Istituto

Nazionale dei Tumori, Milano

Destinatari: medici e odontoiatri

Durata prevista: 2 ore (compresa la lettura di questo dossier)

Durata: dal 12 maggio 2021 all’11 maggio 2022

Evento ECM n. 323068 Provider Zadig (n. 103)

Il fatto che, come riferisce l’International Commission on Radiological Protection (ICRP), oltre il 95% dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti causata da attività umane sia dovuto all’uso delle radiazioni in applicazioni mediche mette in luce l’importanza della radioprotezione come disciplina che riguarda non solo gli specialisti più direttamente coinvolti nell’impiego delle radiazioni ionizzanti, ma anche tutti gli operatori sanitari che si trovino a stabilire l’indicazione o prescrivere procedure diagnostiche o terapeutiche di radiologia o di medicina nucleare.In questo contesto si inserisce il decreto legislativo n. 101 del 31 luglio 2020 (attuazione della direttiva 2013/59/Euratom e riordino della normativa di settore). Questo corso si propone di fornire le nozioni di base di radioprotezione (caratteristiche delle radiazioni ionizzanti, grandezze dosimetriche, effetti biologici deterministici e stocastici, principi della radioprotezione, dose efficace derivante dalle indagini diagnostiche più comuni, valutazione e comunicazione del rischio associato alle esposizioni mediche).

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II SmartFAD

“Dottore, da due mesi ho una tossettina fastidiosa, eppure non fumo più da trent’anni. E ogni tanto mi sento soffocare, come se una mano mi stringesse il collo” esordisce Giovanni Colombo, un falegname sessantacinquenne in ap-parente buona salute, seduto con aria preoccupata nell’ambulatorio del pro-prio medico di famiglia, che osservandogli il collo nota una prominenza.“Ma quando mangia o beve manda giù senza sforzo?” chiede il medico.“Mah, ora che mi ci fa pensare ogni tanto bevendo sento come se l’acqua mi tornasse su” risponde Giovanni.Dopo avergli palpato il collo, il medico riprende posto dietro la scrivania, guardando il paziente con aria pensierosa: “Mi sembra proprio di sentire un nodo nella zona anteriore sinistra del collo. Potrebbe essere la tiroide. Dati i miei trascorsi di ecografista vorrei fare al volo una valutazione del collo con il mio ecografo portatile”.Detto fatto, la diagnosi è confermata: si tratta di un nodulo tiroideo di circa 4 centimetri. L’aspetto non è dei più tranquillizanti: è un nodo solido ipoecogeno, a margini irregolari e un certo grado di vascolarizzazione, anche se non si apprezzano microcalcificazioni.“Signor Giovanni, secondo me andrebbero fatti altri esami: gli ormoni per capire come funziona la tiroide e una scintigrafia”.“Mai sentito questo tipo di esame. Ma tutti i giorni in medicina c’è qualche novità”.“A dire la verità la scintigrafia è un esame che si usa da diverso tempo. Utilizza piccole dosi di ra-diazioni…”

Sarà la tiroide?

LA STORIAparte I

COMMENTO

Le radiazioni ionizzanti si dividono in:

• radiazioni corpuscolari, costituite da particelle subatomiche (par-ticelle alfa, particelle beta come elettroni e positroni, neutroni, protoni), che hanno una massa e possono essere elettricamente cariche o neutre

• radiazioni elettromagnetiche, costituite da fotoni (raggi X e raggi gamma) privi di massa e carica elettrica.

Sono per definizione capaci di causare, direttamente o indiretta-mente, la ionizzazione degli atomi e delle molecole dei materiali attraversati. La ionizzazione si verifica perché la radiazione, se di energia superiore a un valore soglia di 12 eV, “strappa” da un or-bitale atomico o molecolare un elettrone, creando così una coppia

di ioni. Sono direttamente ionizzanti le particelle elettricamente cariche (particelle alfa, particelle beta e protoni) sono invece indi-rettamente ionizzanti i fotoni (raggi X, raggi gamma), i neutroni e in generale le particelle subatomiche prive di carica elettrica.Le sorgenti di radiazioni ionizzanti sono caratterizzate dall’ener-gia, espressa in Joule [J] o in elettronvolt [eV] (1eV=1,6x10-19J) o dall’attività, ovvero dal numero di disintegrazioni nell’unità di tempo espressa in Becquerel [Bq] o in Curie [Ci] (1Ci=3,7x109Bq).

Laitano R. Fondamenti di dosimetria delle radiazioni ionizzanti. ENEA 2019.

“Ah beh, di radiografie ne ho fatte diverse, quando ho avuto la polmonite, quella volta che sono caduto dalle scale e mi sono fratturato le costole”.“Un attimo signor Giovanni, qualche differenza c’è, le immagini di una radio-grafia si formano per il passaggio di radiazioni attraverso il suo organismo, con la scintigrafia le viene somministrata con una iniezione endovenosa una piccola quantità di una sostanza radioattiva”.“Ma, dottore, mi mettono nel corpo una sostanza radioattiva? Non è pericolosa? Ho letto che le radiazioni fanno venire il cancro!” esclama Giovanni preoccupato.

LA STORIAparte II

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III1 . 2021

PRINCIPI DI RADIOPROTEZIONE NELLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI

Gli effetti delle radiazioni sull’organismo sono classificati in:

• effetti di tipo deterministico: si manifestano al di sopra di una data soglia di dose, sopra la quale esiste una relazione tra dose e gravità dell’effetto

• effetti di tipo stocastico o probabilistico: non è definibile una soglia di dose e possono quindi manifestarsi anche a basse dosi. Aumen-tando la dose aumenta la probabilità di comparsa dell’effetto.

Le dosi usate nella diagnostica per immagini si collocano, per la singola indagine, nell’ambito degli effetti di tipo stocastico.Alcuni gruppi di individui mostrano una sensibilità più alta della media per l’induzione di effetti biologici e conseguenti danni sanitari (per esempio embrione/feto, neonati, bambini, individui con predi-sposizione genetica). Per questi individui deve essere effettuato un processo di giustificazione dedicato.

ICRP Publication 105. Radiological protection in medicine, 2007.

COMMENTO

“Stia tranquillo, la quantità di radiofarmaco, cioè di medicinale che emette radioattività, è veramen-te molto piccola. Per le indagini sulla tiroide il radiofarmaco contiene il tecnezio o lo iodio”.“Se dice che è proprio necessario fare questo esame… radioattivo” risponde il paziente un po’ scettico.“Eccome. Io ho visto il nodulo con l’ecografia. Ma solo con la scintigrafia possiamo capire il compor-tamento di quel nodulo. Non le nascondo che c’è qualche possibilità che possa trattarsi di un tumore”.“Ahi, lo immaginavo, per farmi un esame così pericoloso doveva pur esserci qualcosa di grave” dice il paziente.“Signor Giovanni, l’esame non è pericoloso come pensa, cercherò di spiegarle. Quel radiofarmaco, si lega alla sua tiroide e ‘disegna’ il nodulo. Se il nodulo appare ben evidente, intensa-mente disegnato – noi medici parliamo di nodulo ‘caldo’ – tutto bene. Se invece il radio farmaco non lega o lega poco in questo caso parliamo di nodulo ‘freddo’ e c’è il 5-10% di probabilità che sia un tumore” chiarisce il medico.“Adesso che mi dice questa storia dei noduli caldi e freddi, anche mia sorella ha fatto quest’esame. Ma le avevano detto di non stare per qualche giorno con i nipotini e con sua figlia, mia nipote”.

LA STORIAparte III

Dopo alcuni interventi diagnostici o terapeutici di medicina nucleare con radiofarmaci possono essere necessarie precauzioni per limita-re le dosi ad altre persone. L’esposizione di altre persone da parte del paziente sottoposto all’indagine può essere per esposizione esterna, esposizione interna, a causa di contaminazione, e vie am-bientali. La situazione più comune è l’esposizione esterna da prossi-mità col paziente. È importante evitare l’esposizione di bambini e di donne in gravidanza. Il 99mTc è il radionuclide predominante dal punto di vista quantitativo nei rilasci nell’ambiente degli escreti di pazienti sottoposti a un esame di medicina nucleare, ma il suo breve tempo di dimezzamento limita i rischi ad esso associati.

Il medico specialista deve accertarsi che il paziente riceva, o abbia ricevuto dal medico prescrivente, informazioni adeguate in merito ai benefici e ai rischi associati alla dose di radiazione dovuta all’e-sposizione medica. Deve fornire inoltre al paziente “portatore” di radioattività istruzioni scritte volte a ridurre, per quanto ragionevolmente conseguibile, le dosi per le persone a diretto contatto con lui, nonché le informazioni sui rischi derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti.

ICRP Publication 105. Radiological protection in medicine, 2007.

Decreto legislativo n. 101, 31 luglio 2020, articolo 159.

COMMENTO

“Proprio così, signor Giovanni. Dopo l’esame le rimarrà addosso quel poco di radioattività che poi sparirà rapidamente dall’organismo, un po’ perché la radioattività si esaurisce spontaneamente nel tempo, un po’ perché la sostanza viene eliminata attraverso le urine. L’unica accortezza è evitare l’esposizione a bambini e a donne in gravidanza e allattamento. Ma su questi aspetti le daranno informazioni scritte quando farà l’esame”.“Grazie delle spiegazioni, dottore, sa, sono un po’ lento a capire”.Il dottore fa un mezzo sorriso: “Non si preoccupi, sapesse quanta fatica ho fatto a imparare questi concetti sulle radiazioni quando ero studente di medicina!”

LA STORIAconclusione

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IV SmartFAD

“Buongiorno dottore, sono Rinaldi, e sono stato indirizzato al vostro studio da un amico medico” esordisce Giorgio Rinaldi, ingegnere cinquantatreenne, presentandosi a un giovane medico odon-toiatra di un grosso studio associato nel centro cittadino. “Sono sempre stato bene, non fumo e bevo un bicchiere di vino ai pasti. Lavoro molto, e nel tempo libero partecipo a qualche raduno del mio club di auto d’epoca” spiega l’ingegnere, che aggiunge: “Ma non voglio annoiarla: sono qui perché sento un rigonfiamento toccando con la lingua la parte interna della mandibola, a sinistra. Per intenderci, subito sotto ai denti, i molari, credo”.“Da quanto tempo?” chiede l’odontoiatra.Alla domanda l’ingegnere assume un’aria perplessa: “Mah, pensandoci bene ho cominciato l’anno scorso a sentire come un piccolo nodulino toccando con la punta della lingua, ma non ci ho fatto molto caso. Non mi dava fastidio, non mi faceva male, non c’era sangue quando lavavo i denti. Pas-serà da solo, ho pensato”. E invece no. Il nodulino con il passare del tempo si è ingrossato sempre più: “Allora mi sono spaventato e ho chiesto al mio amico che fa il chirurgo toracico in ospedale. È lui che mi ha detto di venire qui”.L’odontoiatra chiede al paziente di accomodarsi sulla poltrona, siede sullo sgabello a ruote e accen-de la lampada scialitica inclinando lo schienale. “Apra bene” dice. E vede subito la lesione: una mas-sa di alcuni centimetri ricoperta da mucosa rosea apparentemente normale, di consistenza dura, adesa alla parete interna della mandibola circa un centimetro sotto i due premolari di sinistra. “È

un nocciolino piuttosto voluminoso!” esclama l’odontoiatra.“Lei non ci crederà, ma che fosse così grosso me ne sono accorto solo qualche giorno fa, non so perché. Poi, il tempo di andare dal mio amico e di prendere un appuntamento da voi”.In quel momento entra uno dei titolari dello studio associato, un cinquantaseienne di grande esperienza. “Giungi a fagiolo, puoi guardare anche tu questa lesione e darmi un parere?”.

Mentre il collega più anziano guarda, il giovane odontoiatra propone: “Per vederci subito chia-ro partirei con una ‘cone beam’ ritengo sia assolutamente necessario verificare i rapporti con l’os-

so mandibolare e gli apici dentali, che ne dici?” Il paziente cui è stato detto di chiudere pure la bocca interviene però prima che l’odontoiatra possa rispondere al collega: “Scusate, sono un ingegnere, e conosco le radiazioni, ma non questo esame” e notando nello sguardo dell’odontoiatra più anziano una certa perplessità aggiunge: “Sarà mica pericoloso? È proprio da fare?”

LA STORIAparte I

Una bella panoramica

COMMENTO

LA STORIAparte II

L’odontoiatra più giovane risponde al paziente: “Ingegner Rinaldi, le sto proponendo una delle tecnologie più nuove per lo studio della bocca”. “Si tratta di una radiografia o di una tomografia computerizzata?” domanda il paziente. “Una tomografia, di grande precisione”. “Immagino, ma

La radioprotezione ha come oggetto la protezione dell’uomo e dell’am-biente dagli effetti nocivi delle radiazioni. Si deve distinguere la radio-protezione dei lavoratori, dei pazienti e della popolazione generale.Partendo dalla premessa che nessuna esposizione alle radiazioni io-nizzanti, per quanto piccola, possa essere considerata completamente sicura, l’ICRP (International Commission on Radiation Protection) ha stabilito i tre principi cardine della radioprotezione: giustificazione della pratica, ottimizzazione e limitazione della dose. Per quanto concerne la giustificazione, un’esposizione medica alle radiazioni ionizzanti deve essere giustificata dai potenziali vantaggi diagnostici o terapeutici per il paziente, rispetto al danno alla perso-

na che l’esposizione potrebbe causare, tenendo conto dell’efficacia, dei vantaggi e dei rischi di tecniche alternative disponibili, che si propongono lo stesso obiettivo, ma che non comportano un’espo-sizione ovvero comportano una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti. Lo strumento adottato per l’applicazione del principio è generalmente l’analisi costi/benefici.

ICRP Publication 103. The 2007 recommendations of the International Commission on Radiological Protection, ICRP 2008.

Decreto legislativo n. 101, 31 luglio 2020, articolo 157.

Page 31: FORMAMI - omceomi.it

V1 . 2021

COMMENTO

LA STORIAparte III

E il povero ingegnere, guardando prima l’uno e poi l’altro medico, assume un’aria sempre più smarrita. “L’essere un tecnico, non mi aiuta più di tanto a capire il vostro gergo medico, potete spiegarmi cos’è questa ortopanorami-ca. Anche qui si tratta di prendere raggi alla testa?”Con un sorriso interviene il giovane odontoiatra: “L’ortopanoramica o orto-pantomografia, o anche radiografia panoramica delle arcate dentarie, quella che i pazienti imparano poi a chiamare ‘la panoramica’, è un esame radiologico che utilizza bassissimi dosaggi di radiazioni ionizzanti e permette di studiare in un’unica im-magine i denti, le arcate dentarie, le ossa mascellari e mandibolari. Si ricorda quanto ha detto prima il mio collega? Effettivamente con la panoramica la dose assorbita è di quasi un ordine di grandezza inferiore a quella della TC cone beam”. (Tabella 2, p. VII) Lei comunque ha ragione a esprimere i suoi dubbi: è sempre meglio verificare l’appropriatezza di ogni richiesta di esame radiologico per evitare usi non corretti o inutili esposizioni. E questo ha una rilevanza notevole anche per noi lavoratori, che siamo professionalmente esposti. Per fortu-na l’introduzione della radiologia digitale ha ridotto moltissimo le dosi di esposizione”.

Per quanto concerne l’ottimizzazione, le dosi per le esposizioni alle radiazioni ionizzanti per scopi medici devono essere mantenute al livello più basso compatibile con il raggiungimento dell’informa-zione diagnostica secondo il principio ALARA (as low as reasonably achievable). Il processo di ottimizzazione della protezione è desti-nato all’applicazione a quelle situazioni che sono state considerate come giustificate e riguarda l’esposizione di lavoratori, persone del pubblico e pazienti. Relativamente all’esposizione del paziente il processo di ottimizzazione prevede scelta delle attrezzature me-

dico-radiologiche, la produzione di un’informazione diagnostica appropriata o del risultato terapeutico, nonché i programmi per la garanzia della qualità, inclusi i controlli di qualità, l’esame e la valutazione delle dosi.

ICRP Publication 103. The 2007 recommendations of the International Commission on Radiological Protection, ICRP 2008.

Decreto legislativo n. 101, 31 luglio 2020, articolo 158.

IAEA. Radiation doses in dental radiology.

PRINCIPI DI RADIOPROTEZIONE NELLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI

stavo pensando a quante radiazioni mi prenderei” “Domanda più che legittima. Lei che è un tec-nico capisce bene il significato di queste grandezze” risponde l’odontoiatra mostrando la tabella delle grandezze dosimetriche (Tabella 1, p. VI). Probabilmente sa già che ognuno di noi assorbe in media 2,5 mSv da fonti di radiazioni naturali cioè cosmiche e terrestri. Quindi capirà che il rischio relativo dell’esame di cui parlava il colle-ga è veramente basso”.“Effettivamente, contando che non mi preoccupo di stare al telefonino tutto il giorno per lavoro…”.“Mi permetto di contraddirla” interviene l’odontoiatra più anziano che aveva seguito in silenzio il dialogo. Il telefonino la espone a campi elettromagnetici, ma non a radiazioni ionizzanti. Se mai possiamo fare un confronto con le lampade UV, più simili come energia alla radiazione X”. “Ha ragione dottore, ho fatto un errore grossola-no, l’esempio delle lampade abbronzanti è più calzante ma troppo lontano dalle mie abitudini…” “Tuttavia” aggiunge l’odontoiatra rivolto al collega “in questo caso penso che l’ortopanoramica, più favorevole dal punto di vista dosimetrico, possa comunque darci le informazioni necessarie. Secondo me potrebbe trattarsi di un mucocele o di un fibroma, ma anche di un’esostosi mandi-bolare”.

Page 32: FORMAMI - omceomi.it

VI SmartFAD

COMMENTO

Per quanto concerne la limitazione, le dosi individuali ricevute dai lavoratori o dagli individui della popolazione in ciascuna tipologia di esposizione non devono superare i limiti prescritti dalla legge. I Lavoratori vengono classificati in 3 diverse categorie (Non Esposti, Categoria B, Categoria A), in funzione del rischio derivante dall’e-sposizione alle radiazioni ionizzanti durante lo svolgimento dell’at-tività lavorativa.Il principio di limitazione non vale per le esposizioni con finalità me-diche. Per i pazienti sono infatti definiti i Livelli Diagnostici di Riferi-mento (LDR), che sono livelli di dose nelle pratiche radiodiagnosti-che mediche o, nel caso della medicina nucleare diagnostica, livelli

di radioattività, per esami tipici per gruppi di pazienti di corporatura standard e per tipi di attrezzatura. Tali livelli, che rappresentano uno strumento di ottimizzazione, non dovrebbero essere superati per procedimenti standard, in condizioni di applicazioni corrette e normali riguardo all’intervento diagnostico e tecnico.

ICRP Publication 103. The 2007 recommendations of the International Commission on Radiological Protection, ICRP 2008.

Decreto legislativo n. 101, 31 luglio 2020.

IAEA. Radiation doses in dental radiology.

LA STORIAconclusione

“D’accordo, mi avete convinto, facciamo questa… panoramica, ne ho fatte tante con la mia auto d’epoca, una in più non potrà certo farmi male!” conclude sorridendo l’ingegnere.

Tabella 1. Grandezze dosimetriche e radioprotezionisticheICRU Report 51, Quantities and units in radiation protection dosimetry, ICRU 1993. Laitano R. Fondamenti di dosimetria delle radiazioni ionizzanti. ENEA 2019. Decreto legislativo n. 101, 31 luglio 2020.

Grandezza Unità di misura (SI) Determinazione e significato

Esposizione Coulomb per chilogrammo (C/kg)

La capacità di produrre ionizzazione in aria secca

Dose assorbita Gray (Gy)1 Gy = 1 J/kg

La quantità di energia assorbita dalla materia per l’unità di massa della sostanza irradiata, cioè il rapporto tra l’energia media assorbita dalla materia e la massa di materia interessata

Dose equivalente Sievert (Sv) È la dose assorbita in un dato tessuto o organo pesata in base al tipo e alla qualità della radiazione. Per il calcolo viene introdotto un fattore di ponderazione WR (da 1 per i fotoni a 20 per le particelle alfa).Rappresenta la grandezza usata per definire i valori limite relativi a cristallino, pelle e estremità.

Dose efficace Sievert (Sv) È la somma delle dosi equivalenti pesate in tutti i tessuti e organi del corpo. La dose equivalente in ogni singolo organo viene pesata per un fattore di ponderazione WT (da 0,01 per pelle e ossa a 0,12 per il midollo osseo fino a 0,08 per le gonadi).Esprime l’effetto biologico delle radiazioni in funzione di organi e tessuti. Tiene conto della diversa radiosensibilità di organi e tessuti agli effetti stocastici. Rappresenta la grandezza usata per definire i valori limite al corpo intero.

SI: Sistema internazionale

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VII1 . 2021

PRINCIPI DI RADIOPROTEZIONE NELLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI

Tabella 2. Dosi e rischio delle principali procedure diagnostiche radiologiche e di medicina nucleare

American College of radiology (ACR). Radiation dose to adults from common imaging examinations.

Procedura Dose efficace(mSv)

Confronto con la stima di esposizione al fondo naturale

Regione addominale

TC addome e pelvi 7,7 2,6 anni

TC addome e pelvi (con e senza mezzo di contrasto) 15,4 5,1 anni

TC colon 6 2 anni

Urografia 3 1 anno

Clisma opaco 6 2 anni

Apparato digerente (tratto superiore con bario) 6 2 anni

OssoRx colonna vertebrale 1,4 6 mesi

Radiografia arti superiori o inferiori <0,001 <3 ore

Sistema nervoso centrale

TC cranio 1,6 7 mesi

TC cranio (con e senza mezzo di contrasto) 3,2 13 mesi

TC colonna cervicale 1,2 5 mesi

TC colonna vertebrale 8,8 3 anni

Torace

TC torace 6,1 2 anni

TC torace (screening del cancro del polmone) 1,5 6 mesi

Rx torace 0,1 10 giorni

Denti

Rx dentale 0,005 1 giorno

Rx dentale (panoramica) 0,025 3 giorni

TC cone beam 0,18 22 giorni

Cuore

AngioTC coronarica 8,7 3 anni

TC cardiaca per calcium score 1,7 6 mesi

AngioTC periferica 5,1 <2 anni

Medicina nucleare

PET/TC total body 22,7 3,3 anni

Diagnostica per immagini nell’uomo

Densitometria ossea (DEXA) 0,001 3 ore

Diagnostica per immagini nella donna

Densitometria ossea (DEXA) 0,001 3 ore

Mammografia digitale (screening) 0,21 26 giorni

Mammografia digitale con tomosintesi (mammografia 3D, screening) 0,27 33 giorni

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VIII SmartFAD

Sono le sei di sera, il dottor Agostino Favalli, generalista da vent’anni in una città di medie dimensioni, è nel suo ambulatorio. A fine giornata, come d’a-bitudine dedica un po’ di tempo alla lettura di newsletter e informazioni di sanità che riceve via mail.Una notizia attira la sua attenzione e lo lascia contrariato: “L’aver fatto ordine nel labirinto legislativo mi sembra una buona idea, ma quella di caricarci di un nuovo onere formativo con tutto quello c’è da fare in tempi di pandemia!”. Continuando a leg-gere la notizia poi si ravvede “Beh, di fatto non ci aggiungono un nuovo obbligo formativo ma lo riconvertono” pensa tra sé mentre legge che i crediti ECM in materia di radioprotezione devono “rappresentare almeno il 10 per cento dei crediti complessivi previsti nel triennio per i medici di medicina generale”.

Proprio in quel momento squilla il telefono e Favalli risponde con aria rassegnata: “Pronto, chi parla?”.“Sono Ottavia Sernani, dottore, si ricorda di me?”Il medico fatica a distinguere la voce flebile, intervallata da qualche colpetto di tosse secca.“Certo che sì!” esclama il medico, ricordando bene una signora piuttosto distinta sulla settantina, capelli grigio ferro tagliati corti e corporatura snella. Ex segretaria di direzione Ottavia, pensionata settantasettenne, vedova da anni, fa spesso la spola tra Italia e Germania a trovare la figlia, sposata con un pilota d’aereo che lavora su tratte intercontinentali.“Dottore, è da qualche giorno che non mi sento bene: sono stanca, spossata, e quando mi muovo, anche in casa, devo sedermi che mi manca il fiato. Qualche volta mi sono anche misurata la febbre, ma non l’ho mai avuta”.Impegnato come tanti altri colleghi nella lotta al nuovo coronavirus fin dalla prima ondata, il medico

ha avuto in cura diversi pazienti positivi sopravvivendo al contagio grazie ai dispositivi di prote-zione individuale di cui si era dotato andando al domicilio, anche comprandoli di tasca propria

quando non arrivavano.“Sento anche una certa tossettina, signora Sernani. Ma il vaccino anti COVID l’ha già fatto?” chiede il medico, sentendosi rispondere di no.“Se mi dà un’oretta visito l’ultimo paziente, chiudo lo studio e passo da lei” dice il medico, che verso le sette e un quarto arriva dalla paziente dopo avere indossato i dispositivi di pro-

tezione individuale. Lo accoglie Ottavia, sola in casa, con il volto pallido e il respiro un po’ affannoso: “Scusi, ma mi stanco a fare il corridoio. E questa fastidiosa tossetta secca non giova

affatto”.Guardandola, il medico ricorda che la paziente è stata bene fino all’età di 69 anni, quando è stata diagnosticata un’asma bronchiale trattata con broncodilatatori a lunga durata d’azione per via ina-

LA STORIAparte I

LA STORIAparte II

Il rovescio della medaglia

COMMENTO

Con il decreto legislativo n. 101 del 31 luglio 2020 il legislatore ha provveduto a riordinare la normativa in tema di radioprotezione e recepire la direttiva Euratom 2013/59 che stabilisce norme fonda-mentali di sicurezza relative alla protezione dei lavoratori e della popolazione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radia-zioni ionizzanti.Il decreto stabilisce che la radioprotezione sia oggetto della forma-zione universitaria nell’ambito dei corsi di laurea delle professioni sanitarie e che, per quanto riguarda la formazione continua post lau-

rea, i crediti ECM in materia di radioprotezione devono “rappresen-tare almeno il 10 per cento dei crediti complessivi previsti nel trien-nio per i medici specialisti, i medici di medicina generale, i pediatri di famiglia, i tecnici sanitari di radiologia medica, gli infermieri e gli infermieri pediatrici, e almeno il 15 per cento dei crediti complessivi previsti nel triennio per gli specialisti in fisica medica e per i medici specialisti e gli odontoiatri che svolgono attività complementare”.

Decreto legislativo n. 101, 31 luglio 2020.

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IX1 . 2021

PRINCIPI DI RADIOPROTEZIONE NELLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI

“Cara signora, capisce benissimo che con una differenza così grande nella quantità di raggi cui si esporrebbe facendo una radiografia o invece una TAC è meglio accontentarsi dell’informazione diagnostica un po’ meno dettagliata ma comunque sufficiente della radiografia. E comunque la prova del nove l’ab-biamo con il tampone”.“Davvero? E come si vede la ‘polmonite bilaterale’ alla lastra del torace?” domanda Ottavia, informatissima visto che segue tutti i programmi televisivi sulla COVID-19.Favalli guardando l’orologio e sapendo che l’aspetta da un pezzo la moglie a casa risponde un poco sbrigativo: “I polmoni pieni d’aria e quindi di solito neri nella lastra diventano più chiari o del tutto bianchi, quando la polmonite è grave. Ma direi che non è proprio il suo caso, stia tranquilla”.“Va bene, allora farò la lastra al posto della TAC, lei sa e lei è responsabile della mia salute!”.

LA STORIAparte III

COMMENTO

COMMENTO

Le grandezze dosimetriche descrivono il processo di trasferimento dell’energia ai materiali biologici (come l’organismo umano). La grandezza fisica fondamentale è la dose assorbita. Per descrivere il rischio associato all’esposizione a radiazioni ioniz-zanti vengono poi introdotte delle grandezze radioprotezionistiche quali la dose equivalente e la dose efficace, ottenute moltiplicando la dose assorbita per opportuni fattori peso, tengono conto del tipo

e dell’energia della radiazione cui quella dose è dovuta, e della diversa radiosensibilità degli organi o tessuti del corpo esposti (Tabella 1, p. VI).

Laitano R. Fondamenti di dosimetria delle radiazioni ionizzanti. ENEA 2019.

ICRP Publication 103. The 2007 recommendations of the International Commission on Radiological Protection, ICRP 2008.

Le esposizioni sono effettuate sotto la responsabilità clinica del medico specialista, su richiesta motivata del medico prescrivente. Al medico specialista compete la scelta delle metodologie e tec-niche idonee a ottenere il maggior beneficio clinico con il minimo detrimento individuale e la valutazione della possibilità di utilizzare

tecniche alternative che si propongono lo stesso obiettivo, ma che non comportano un’esposizione ovvero comportano una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti.

Decreto legislativo n. 101, 31 luglio 2020, articolo 159.

latoria che hanno azzerato i sintomi. A parte una o due riacutizzazioni che ogni anno si presentano nei mesi primaverili senza apparenti cause scatenanti e con esami allergologici negativi. Alla visita Ottavia appare vigile, orientata e collaborante, con cute e mucose pallide, eupnoica a riposo e api-retica: PA 140/80 mmHg, FC 95 ritmica, FR 20 atti/minuto, SpO2 93% in aria ambiente. Al torace il respiro è diffusamente ridotto con qualche sibilo sparso e alcuni crepitii alla base destra. I toni cardiaci sono validi e ritmici, con pause libere. “Signora, magari sta facendo capolino una delle sue riacutizzazioni asmatiche primaverili. Tuttavia, visto il protrarsi dell’emergenza pandemica, la manderei lo stesso a fare un tampone e una lastra del torace”.A queste parole Ottavia fa una faccia perplessa: “D’accordo il tampone ma, dottore, scusi se mi permetto: la lastra del torace basterà per una diagnosi sicura? La mia vicina di casa, che se l’è vista brutta pur essendo più giovane di me ha fatto la TAC. Non si offenda, ma l’ho sentito anche in TV, in diverse interviste di tanti eminenti virologi, anche se non sempre dicevano le stesse cose…”.Favalli sorride dietro la mascherina: “La radiografia del torace la espone a una bassissiama dose di radiazioni, pensi che la dose di radiazioni di una lastra del torace equivale più o meno a quella che suo genero accumula nel corso di un volo di lunga distanza. Facendo una TAC dei polmoni invece la dose di radiazioni che il suo corpo assorbe è circa 50-60 volte più grande, quindi va fatta a ragion veduta” spiega convincente il medico, memore del dato di una tabella (Tabella 2, p. VII) che l’aveva colpito a un corso di aggiornamento, ma rendendosi conto allo stesso tempo di ricordare in modo confuso altre informazioni riguardo alle dosi, alle unità di misura e quant’altro.

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X SmartFAD

Gazzetta Ufficiale n. 201 del 12.08.20, Supplemento ordinario n. 29

Attuazione della direttiva 2013/59/Euratom, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 97/43/Euratom e 2003/122/Euratom e riordino della normativa di settore in attuazione dell’articolo 20, comma 1, lettera a), della legge 4 ottobre 2019, n. 117. Il titolo XIII comprende gli articoli riguardanti le esposizioni mediche.

Decreto Legislativo N. 101, 31 luglio 2020

LA STORIAconclusione

“Bene, signora Ottavia, vedo che lei ha imparato molte cose di medicina. Ormai tutti gli italiani sanno che l’esame principe, o come si dice in gergo il gold standard, per la diagnosi di polmonite da COVID è proprio la TAC del torace ad alta risoluzione, che può mostrare le famose opacità a vetro smerigliato. Ma come le ho detto in tutte le cose c’è un rovescio della medaglia, in questo caso si tratta della dose di radiazioni assorbita. E la mia responsabilità sta nel tenere conto di tutti questi aspetti”.

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251. 2021

SILVIA EMENDIPROFESSIONE

Sicuro e naturale:un binomio fuorviante

Negli ultimi anni si è assistito a un crescente interesse per tutto ciò che è naturale, anche a causa dell’errata convinzione che l’origine naturale sia garanzia di sicurezza. I dati di fitosorveglianza sembrano contraddire questa credenza mostrando chiaramente che le reazioni avverse alle piante medicinali sono un fenomeno tutt’altro che isolato e irrilevante

CHE COSA SONO I “RIMEDI NATURALI”?

Dal punto di vista normativo, in Italia i “rimedi naturali” sono riconducibili a tre categorie merceologiche: medicinali di origine vegetale, detti anche fitoterapici; integratori alimentari e rimedi erboristici. I tre gruppi sono differenti in termini di composizione chimica, requisiti legislativi, processi produttivi, controlli di qualità e studi di efficacia e sicurezza. I medicinali di origine vegetale, in quanto tali, sono dotati di autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), rispondono alla normativa dei medicinali e sono sotto il controllo dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e della European Medicines Agency (EMA). Integratori alimentari e prodotti erboristici, invece, sono soggetti alla disciplina degli alimenti demandata al Ministero della Salute. In realtà, il quadro legislativo è molto più complesso di quel che si possa immaginare a causa dei confini spesso labili tra le diverse classi di prodotti che fanno sì che una pianta medicinale possa presentarsi sotto tutte e tre le forme.

I PERICOLI DI UN INTERESSE IN CRESCITA

Fin dall’antichità l’uomo ha cercato in natura rimedi in grado di prevenire e curare le malattie e per secoli le piante hanno rappresentato la principale fonte di

medicamenti. Negli ultimi decenni

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26 INFORMAMI

PROFESSIONE

del XX secolo l’interesse per questi prodotti è aumentato, spinto da diversi fattori: anzitutto la maggiore attenzione da parte del pubblico per i temi del benessere e della salute, in secondo luogo la crescente reperebilità di rimedi naturali presso farmacie, parafarmacie, erboristerie, nonché nella grande distribuzione organizzata e online. Se a questi si aggiungono strategie di marketing e messaggi pubblicitari attraenti, il passo per contribuire a una visione distorta è breve. La propensione all’utilizzo di rimedi vegetali è fondamentalmente legata all’errata convinzione che l’origine naturale sia garanzia di sicurezza: a livello di opinione pubblica e talvolta tra gli stessi operatori sanitari è diffusa l’idea che le piante medicinali siano innocue e pertanto utilizzabili abitualmente come forma di automedicazione. La realtà dimostra che sicuro e naturale non sono sinonimi: le segnalazioni spontanee raccolte dai diversi sistemi di fitovigilanza mondiali mostrano che le reazioni avverse alle piante medicinali sono un fenomeno tutt’altro che isolato e irrilevante. Inoltre, sono sempre più numerosi gli studi che sollevano interrogativi sulla sicurezza delle preparazioni a base di piante medicinali, legati soprattutto alla qualità delle materie prime impiegate, al loro uso in concomitanza con farmaci di sintesi o all’assunzione in particolari condizioni fisiologiche quali l’età avanzata o pediatrica, la gravidanza e l’allattamento. Non bisogna dimenticare che i più potenti veleni esistenti sono proprio di derivazione naturale e che le piante medicinali contengono numerosi costituenti chimici, molti dei quali devono ancora essere caratterizzati.

I RISCHI

In Italia, dal 2002 al 2020 il sistema di fitosorveglianza ha raccolto oltre 2.300 segnalazioni di sospette reazioni avverse a prodotti naturali, in media quasi 128 segnalazioni all’anno provenienti in larga parte da operatori sanitari.

Analogamente ai farmaci convenzionali, anche le piante

medicinali sono responsabili di reazioni avverse dovute a diversi fattori:

• cattiva qualità della materia prima utilizzata per la preparazione. Non si possono escludere contaminazioni della pianta medicinale o la sostituzione accidentale con una specie tossica,

• uso scorretto, prolungato o in particolari condizioni fisiologiche o patologiche,

• reazioni più frequentemente legate all’azione della pianta, anche se di buona qualità o a eventuali interazioni farmacologiche.

Le piante medicinali infatti sono dotate di attività farmacologica propria e sono responsabili di interazioni che si verificano soprattutto con farmaci metabolizzati dal citocromo P450 o dotati di basso indice terapeutico per cui anche piccole variazioni della concentrazione plasmatica possono determinare alterazioni dell’effetto terapeutico.

COME SEGNALARE UNA SOSPETTA REAZIONE AVVERSA A UN PRODOTTO “NATURALE”

La segnalazione di sospetta reazione avversa a un rimedio vegetale segue due percorsi differenti a seconda del prodotto implicato. Nel caso dei medicinali di origine vegetale, si segue la stessa via di segnalazione prevista per i medicinali convenzionali, ovvero:

• compilando l’apposita scheda, disponibile sul sito dell’AIFA e inviandola al responsabile di farmacovigilanza della propria struttura di appartenenza,

• direttamente online sul sito Vigifarmaco,

• comunicando la sospetta reazione al titolare dell’AIC del medicinale coinvolto.

Per tutti gli altri prodotti di origine vegetale, ossia integratori alimentari, prodotti erboristici, ma anche preparazioni galeniche a base di droghe vegetali

Esistono anche rimedi naturali innocui che possono diventare insidie, ad esempio quando vengono utilizzati al posto di terapie efficaci

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e loro derivati (come la cannabis per uso medico), medicinali omeopatici, preparati della medicina tradizionale cinese o ayurvedica, la segnalazione avviene attraverso il sito VigiErbe, una piattaforma online gestita dall’Istituto Superiore di Sanità. Il sito, attivo dal dicembre 2018, sostituisce il precedente sistema di segnalazione cartaceo e consente la raccolta delle segnalazioni provenienti da medici, operatori sanitari, aziende produttrici e cittadini in un unico database. Tenuto conto dell’eterogeneità di questi prodotti, per l’individuazione e valutazione dei segnali è stato istituito un Comitato scientifico composto da esperti di farmacologia, farmacognosia, fitoterapia, botanica, tossicologia e omeopatia: eventuali segnali emergenti sono condivisi a livello nazionale e internazionale, contribuendo a migliorare le conoscenze sul profilo di rischio di questi prodotti.

LA SEGNALAZIONE SPONTANEA: OBBLIGO O OPPORTUNITÀ?

La segnalazione non è certamente un mero adempimento burocratico, ma anzitutto un obbligo previsto per legge dalle Autorità sanitarie nazionali e internazionali, per cui gli operatori sanitari sono tenuti a comunicare tutte le sospette reazioni avverse osservate, indipendentemente dalla loro gravità. Queste indicazioni assumono un ruolo ancor più importante con i prodotti di origine vegetale. Se per i medicinali convenzionali gli studi clinici forniscono già importanti informazioni sul loro profilo di sicurezza, le sperimentazioni dei prodotti di origine vegetale sono molto limitate. Questo perché, salvo il caso di nuovi medicinali di origine vegetale, ossia medicinali la cui sostanza attiva è priva di una storia di impiego, non è richiesta la presentazione di dati provenienti da studi clinici ai fini della commercializzazione. Nella pratica, l’utilizzo dei dati di fitosorveglianza è limitato da due fenomeni: il più noto problema della sottosegnalazione, da un lato, e la difficoltà di definire l’esatta composizione del prodotto, spesso a causa di informazioni incomplete, dall’altro.Obbligo sì, ma anche opportunità finalizzata all’aumento delle conoscenze sul profilo di sicurezza dei singoli componenti e delle loro possibili interazioni.Sicuramente tra gli operatori sanitari deve aumentare la consapevolezza dell’importanza della segnalazione, come strumento per mettere precocemente in

evidenza eventuali segnali di allarme. Accanto a ciò è auspicabile lo sviluppo di un approccio mirato all’educazione del paziente, partendo dall’anamnesi farmacologica con domande sull’uso dei prodotti di origine vegetale per giungere alla sensibilizzazione sull’impiego corretto delle piante medicinali.

Decalogo per operatori sanitari e pazienti

L’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con la Società Italiana di Farmacologia, il Centro di Medicina Naturale di Empoli e il Centro Antiveleni dell’Ospedale Niguarda di Milano ha elaborato un decalogo informativo, rivolto a operatori sanitari e cittadini, contenente le informazioni sui possibili rischi associati all’utilizzo dei prodotti di origine naturale.

1 “Naturale” non è sinonimo di “innocuo”: esistono infatti piante tossiche, altre responsabili di effetti collaterali noti o con specifiche controindicazioni.

2 Non devono mai essere utilizzate le piante raccolte spontaneamente, ma solo quelle disponibili attraverso i normali canali di vendita.

3 L’assenza di adeguati controlli di qualità può essere causa di contaminazioni ed errori nell’identificazione delle specie medicinali.

4 La maggior parte delle preparazioni a base di piante è priva di documentata efficacia. Inoltre, i dati sulla sicurezza sono limitati.

5 Le piante medicinali, in quanto contenenti sostanze biologicamente attive, vanno assunte sotto il controllo del medico o del farmacista.

6 In caso di automedicazione con prodotti a base di piante medicinali questa dovrebbe essere comunque di breve durata.

7 I trattamenti a base di piante medicinali vanno evitati in caso di gravidanza o allattamento per mancanza di studi sulla loro innocuità a lungo termine.

8 Neonati, bambini e anziani non dovrebbero usare piante medicinali senza il controllo medico.

9 Piante medicinali e preparati vegetali possono interagire con molti farmaci.

10 Bisogna segnalare sempre al medico o al farmacista ogni sospetta reazione avversa a un medicinale o prodotto “naturale”.

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28 INFORMAMI

FABRIZIO GERVASONISANITÀ

PERCHÉ UN MEDICO, oggi, decide di impegnarsi nella ricerca clinica? Rispondere a questo interrogativo ci consente di comprendere l’impatto che la pandemia da COVID-19 ha determinato sulla ricerca, sulla divulgazione scientifica e, soprattutto, sulla comunicazione di massa. Obiettivo primario della ricerca dovrebbe essere quello di accrescere la conoscenza in merito a una determinata condizione patologica, favorire la diffusione delle informazioni utili alla diagnosi e alla cura, fino ad arrivare a modificare le abitudini cliniche, in un costante e virtuoso processo migliorativo dell’approccio clinico al paziente. Talvolta queste finalità sono neglette, in favore di necessità accademiche, carrieristiche, economiche o inerenti all’esposizione mediatica del gruppo di lavoro o del singolo professionista. Queste legittime esigenze dei ricercatori costringono, però, a sviluppare profonde riflessioni

La comunicazione scientifica nella pandemia da COVID-19Conseguenze cliniche e responsabilità medica dell’Infodemia

Componente del Consiglio direttivo OMCeOMI, medico fisiatra e giornalista pubblicista

di tipo epistemologico, etico e deontologico.L’emergenza pandemica da COVID-19 ha sovvertito l’iter di diffusione dei risultati delle ricerche cliniche, sacrificando in molti casi l’imprescindibile buona pratica della revisione tra pari (la cosiddetta peer review), strumento di controllo necessario per assicurare imparzialità, attendibilità, interesse clinico e, soprattutto, qualità della produzione scientifica. L’urgenza di una rapida disseminazione delle conoscenze acquisite in merito al nuovo, sconosciuto, virus SARS-CoV-2 ha abbattuto tutti i tempi

di pubblicazione, con grande attenzione di tutti i media e con immediato rilancio su web e social media. La disseminazione real time dei risultati della ricerca clinica, ha determinato, come ha descritto l’Organizzazione Mondiale della Sanità, “una massiccia ‘infodemia’, ovvero un’abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno”.1 Fino a giugno 2020 sono stati pubblicati circa 20.000 articoli su COVID-19, con l’aggiunta continua di circa 2.000 articoli ogni settimana,2

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REDAZIONE

includendo sia articoli sottoposti a processi di peer review (reso più rapido dall’accresciuto interesse del periodo emergenziale) sia preprint, articoli non sottoposti ad alcun processo di revisione (vedi box in questa pagina). Al 21 maggio 2021 l’ondata “infodemica” ammonta

a 143.573 papers.3 Ma quanti di questi hanno effettivamente contribuito ad accrescere la conoscenza del virus o a migliorare, rendendo più efficace, l’approccio clinico alla malattia?Anche a causa dei processi accelerati di peer review – che

I PREPRINT hanno avuto un vero e proprio boom con la pandemia di COVID-19 e sono diventati un fenomeno di costume nel mondo della ricerca medica. Che cosa sono? Il preprint è un articolo completo inviato per la pubblicazione a un server dedicato invece che a una rivista medica tradizionale, senza che l’articolo sia sottoposto alla revisione tra pari (peer review). Questo non impedisce, successivamente, agli autori di inviare lo stesso articolo a una rivista con referaggio per la pubblicazione tradizionale, ma consente di fare avere tempestivamente ai colleghi i risultati del proprio lavoro. I preprint possono essere citati e indicizzati e sempre più spesso ricevono attenzione anche da parte della stampa non specialistica e sui social media.

Come sono nati? I preprint sono stati utilizzati per decenni in discipline come la fisica e la matematica (il server ArXiv della Cornell University ha iniziato la sua attività nel 1991), ma sono relativamente nuovi nella medicina e nelle scienze della vita (il server bioRχiv del Cold Spring Harbor Laboratory ha iniziato la sua attività nel 2013, il server MedRχiv di Università di Yale, British Medical Journal e Cold Spring Harbor Laboratory nel 2019).

Perché sono nati? Obiettivi dichiarati sono ottenere un feedback tempestivo e commenti da parte di altri su una ricerca prima che venga sottoposta al giudizio di una rivista peer reviewed, rivendicare la paternità di un’idea e facilitare e accelerare la diffusione e l’accesso ai risultati delle ricerche.

Quali sono i vantaggi? I preprint possono essere modificati, aggiornati e commentati in tempo reale da altri. Con la rapida evoluzione delle conoscenze e la loro diffusione online (anziché attraverso le riviste a stampa) rappresentano una modalità efficiente per gestire le pubblicazioni scientifiche.

Una situazione eccezionale come la pandemia ha mostrato che le informazioni devono essere condivise dalla comunità scientifica con la massima tempestività.Per esempio un articolo pubblicato il 17 giugno su Research Square1 riguardo all’immunità mediata cellulare nella COVID-19 con implicazioni rilevanti per lo sviluppo dei vaccini è stato scaricato più di 100.000 volte e ha raggiunto milioni di persone attraverso i social, mentre è stato poi pubblicato solo il 30 settembre su una rivista tradizionale come Nature Immunology.2 Inoltre, non essendoci un filtro a monte, la probabilità che vengano pubblicati studi con risultati negativi è pari a quella di pubblicare lavori con esiti positivi, riducendo in qualche modo gli effetti negativi del bias di pubblicazione.

Quali sono gli svantaggi? Il mancato processo di peer review può compromettere l’affidabilità delle informazioni e la qualità metodologica degli studi. C’è anche il rischio di una mancanza di trasparenza, di un’inadeguata dichiarazione dei conflitti di interesse e di plagiarismo.Questi limiti dei preprint possono avere conseguenze particolarmente negative nelle discipline mediche per le potenziali ricadute sulla salute delle persone, tenendo anche conto che l’attenzione mediatica è ormai notevole. Informazioni non corrette, gestite da comunicatori poco esperti nella valutazione della qualità degli studi scientifici, rischiano di giungere rapidamente alle persone.Per esempio, uno studio clinico sull’efficacia dell’idrossiclorochina nella COVID-19 (ormai chiaramente smentita) è stato pubblicato in modalità preprint su medRχiv e rapidamente diffuso, con conseguenze non da poco.3

1 Nelde A, et al. Research Square 2020. 2 Nelde A, et al. Nat Immunol 2021; 22: 74-85. 3 Chen Z, et al. MedRχiv 2020.

hanno favorito l’immediato accesso ai manoscritti – si sono rese necessarie numerose retraction (articoli ritirati con le scuse dell’editore o degli autori), in numero molto superiore di quanto fosse mai accaduto in precedenza. Fino a giugno 2020 il retraction

I preprint: soluzione a un problema o nuovo problema?

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30 INFORMAMI

avevano dimostrato di non essere del tutto esenti da errori. Ricordiamo tutti, ad esempio, l’articolo pubblicato nel 1998 su Lancet da Wakefield sulla presunta correlazione, in seguito smentita, tra le vaccinazioni e l’autismo.8 Nonostante la retraction del manoscritto da parte della rivista e le smentite di tutta la comunità scientifica, quell’articolo ha provocato gravi ripercussioni sull’opinione pubblica, ancora persistenti nel dibattito sui social media, indebolendo la reputazione dei vaccini a livello globale.Agli articoli pubblicati e poi ritirati, si aggiungono i manoscritti rilasciati sulle piattaforme di condivisione in forma di preprint e poi corretti in modo significativo al momento della pubblicazione su una rivista scientifica indicizzata. Oggi, è quindi molto più facile imbattersi in articoli e pubblicazioni gravate da errori metodologici, formali o sostanziali, che potrebbero condizionare la successiva divulgazione delle notizie. Per arginare questo problema, le principali piattaforme di raccolta di preprint hanno implementato strumenti di controllo e dichiarato in homepage che i preprint sono preliminary reports, non certificati dalla peer review e, per questo motivo, non dovrebbero essere utilizzati per modificare la pratica clinica né essere ripresi dalla stampa come notizie ufficiali.È quindi fondamentale che i ricercatori, oggi più che mai, siano consapevoli della responsabilità

(non solo autoriale o clinica, ma addirittura sanitaria) nel diffondere i risultati di una ricerca. Responsabilità condivisa dagli editori che rischiano di disseminare informazioni errate. Da ultimo, esiste una responsabilità di giornalisti e divulgatori scientifici che dovrebbero sempre mettere in evidenza la fonte primaria, ponendo i lettori nelle condizioni di interpretare correttamente il dato, evitando un approccio forzatamente e inopportunamente sensazionalistico.Le implicazioni deontologiche della produzione scientifica e, ancor più, della divulgazione scientifica, devono essere considerate da tutti i medici coinvolti, in particolare su temi come COVID-19, di immediata risonanza globale. È nostra responsabilità, oltre che nostro dovere, saper scrivere un lavoro scientifico ma, ancor più, saperlo interpretare in modo critico. Solo in questo modo i risultati della nostra ricerca potranno davvero contribuire ad accrescere il patrimonio culturale scientifico globale, a beneficio di tutti noi e di ogni nostro singolo paziente.

SANITÀ

Ricercatori, autori, editori, pubblicazioni, giornalisti e divulgatori condividono una responsabilità non solo autoriale o clinica, ma addirittura sanitaria

rate degli articoli su COVID-19 era pari allo 0,097% (17 articoli ritirati su 17.559).4 Si comprende quanto sia rilevante questo numero se lo si pone a confronto con quello riguardante gli articoli sui virus ebola (0,024%), H1N1 (0,023%), HIV (0,023%), MERS (0,024%) o su condizioni oncologiche (0,039%). Al 10 aprile 2021 il numero di papers su COVID-19 ritirati, segnalati dai database per il monitoraggio delle retraction,5,6 ha raggiunto 102 articoli, con un retraction rate che rimane significativamente superiore al livello prepandemico di 4 articoli ogni 10.000 lavori pubblicati.4,7 In alcuni casi è stato necessario procedere con la retraction a causa di un errore della rivista e altri sono stati inizialmente ritirati e in seguito reintegrati5.Sin da molto prima della pandemia, anche le più autorevoli riviste scientifiche internazionali

Bibliografia

1 WHO, 2020. 2 Vlasschaert C, et al. Adv Chronic Kidney

Dis 2020; 27: 418-26.3 COVID-19 Primer, 2021. 4 Yeo-Teh NSL, et al. Account. Res. 2020; 28.5 Retraction Watch, 2021. 6 The Center For Scientific Integrity. The

Retraction Watch Database, 2021. 7 Brainard J. Science 2018.8 Gallo A. Medici Oggi 2021.

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311. 2021

I modelli siamo noi:l’illusione di calcolare il mondo

JACOPO MENGARELLI

Leibniz credeva che la complessità del mondo che ci circonda potesse essere ricondotta a semplici calcoli matematici. Purtroppo non è così semplice. È il caso, per esempio, dei modelli usati dagli epidemiologi per predire l’andamento delle epidemie, che trovano la loro fallibilità tanto nelle assunzioni iniziali quanto nel tipo di equazioni utilizzate

distribuzione spaziale e temporale delle epidemie ha origine con il fisico e matematico francese Daniel Bernoulli – con cui per altro Leibniz aveva fitte corrispondenze epistolari – e il suo Essai d’une nouvelle analyse de la mortalité causée par la petite verole et des avantages de l’inoculation pour la prevenir del

Corrispondenza epistolare tra Leibniz e Bernoulli, suo allievo.

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IL SOGNO INFRANTO DI LEIBNIZ

Ridurre la complessità a calcolo simbolico. Questo era il “sogno” di Gottfried Wilhelm von Leibniz, che aveva teorizzato come il mondo potesse essere espresso – e quindi conosciuto – semplicemente tramite la ragione. In particolare, Leibniz pensava che ogni organismo creato da Dio fosse governato dalle relazioni tra le sostanze che lo componevano (le monadi), dotate di proprie leggi interne. E Dio stesso non può che riferirsi alle cosiddette verità di ragione, cioè le leggi eterne della matematica, inscalfibili e immutabili. Capire queste leggi equivale quindi a capire – o meglio, calcolare – il mondo.1

Dal punto di vista epidemiologico, capire le verità di ragione significherebbe essere in grado di conoscere le leggi matematiche, i modelli, con cui si evolvono le epidemie. Lo studio matematico della

1760, che poneva le basi per lo studio epidemiologico del vaiolo.2

È suggestivo pensare che il diffondersi di malattie infettive su larga scala segua delle formule astratte che possono tranquillamente essere appuntate in qualche riga scritta. Ma è proprio così? È effettivamente

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32 INFORMAMI

Come spiegano Nicola Bellomo e Pietro Terna su Scienza in rete, “un modello matematico è sempre solo una rappresentazione approssimata della realtà che, in molti casi, coinvolge un numero elevato di variabili e parametri. […] È illusorio pensare che aumentando il numero delle variabili cresca indefinitamente anche l’accuratezza del modello. Infatti, se aumenta la complessità del modello aumenta anche la difficoltà di calibrare i parametri del modello, a danno della sua capacità predittiva”.3

Da un lato, le assunzioni possono essere troppo grossolane o del tutto errate. Per esempio, la carica virale diffusa da infetti e persone sane è la stessa per ogni contatto? Gli infetti sono in grado di contagiare in qualsiasi momento della malattia? Le persone possono riammalarsi? E poi le proiezioni matematiche vanno confrontate con i dati presi sul campo, compresi quindi gli errori tipici di ogni test diagnostico ed epidemiologico. Dall’altro lato possono essere le equazioni a creare problemi. Com’è noto, molti

sono stati i contributi pubblici da parte di singoli esperti nel calcolo del famoso indice di riproduzione Rt, fra le altre cose. Ebbene, la gran parte di questi calcoli si sono basati essenzialmente su semplici equazioni differenziali, seguendo quindi un approccio deterministico. Ma i modelli più affidabili oggi non sono quelli deterministici (per quanto nel breve periodo possano approssimare la realtà piuttosto agevolmente), ma stocastici: i risultati vengono forniti in termini di probabilità.4

Prendiamo in considerazione ora il modello deterministico più noto, ovvero il cosiddetto modello SIR, acronimo per “Susceptible, Infected, Resolved”, costruito su una serie di equazioni differenziali non lineari. Come scrive David Adam su Nature, riferendosi all’esperienza di Neil Ferguson, epidemiologo dell’Imperial College London: “I modelli SIR più semplici fanno ipotesi di base, come il fatto che tutti abbiano la stessa possibilità di prendere il virus da una persona infetta […] e che le persone con la malattia sono tutte ugualmente infettive finché non muoiono o guariscono. I modelli più avanzati […] suddividono le persone in gruppi più piccoli – per età, sesso, stato di salute, occupazione, numero di contatti e così via – per stabilire chi incontra chi, quando e in quali luoghi”.5 I modelli molto raffinati, tra l’altro, possono anche essere in grado di notificare la comparsa di una variante virale, caratterizzata magari da parametri diversi di quelli del virus originario.In più, il modello SIR assume che chi si è infettato e guarisce non

SANITÀ

possibile determinare l’evolversi del mondo con il calcolo? Più o meno è quello che si credeva fino a fine Ottocento, col positivismo e il mito dell’infallibilità della scienza, ma poi arrivò la meccanica quantistica. Non solo si sgretolò la convinzione secondo cui la dinamica della natura poteva essere scritta tramite leggi fisiche deterministiche, ma era la natura stessa che non poteva essere conosciuta in ogni singolo aspetto – come per altro espresso dal celebre principio di indeterminazione di Heisenberg.

INAFFERRABILE COMPLESSITÀ

Il grande dibattito sui modelli epidemici di questo primo anno pandemico mette in luce una questione essenziale: non può esistere un’unica possibilità per descrivere la dinamica di un’epidemia. Un modello matematico, infatti, è costruito su assunzioni ed equazioni. Quanto più le assunzioni sono realistiche tanto più le equazioni sono in grado di predire l’andamento dell’epidemia, ed essere quindi utili ai decisori politici.

20 40 60 80 100 120

1000

800

600

400

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Esempio di rappresentazione di un modello SIR, che parte da una popolazione totale di 1.000 individui, di cui tre infetti al tempo iniziale. I suscettibili (S) prima si infettano (I) e poi o guariscono o muoiono (R).

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possa reinfettarsi. Questo e altri modelli vengono testati con delle “analisi di sensibilità” che, come scrive Adam, “cercano di evitare che i risultati del modello oscillino selvaggiamente quando un singolo input cambia”. Generalmente vengono eseguite centinaia di prove separate. Facendo i calcoli per ricavare le varie relazioni tra le grandezze prese in esame nel modello SIR, è interessante notare come l’amplificazione del contagio non si ferma – in assenza di misure di contenimento come un lockdown – quando tutta la popolazione di riferimento si infetta. La saturazione spontanea di un contagio, infatti, si raggiunge quando il numero di infetti è tale per cui risulta sempre meno probabile che questi entrino in contatto con persone ancora suscettibili.6

MANIFESTO PER UNA MATEMATICA RESPONSABILE

Per comprendere a pieno l’approccio alla complessità riguardo ai modelli per le epidemie, può essere utile ricordare un commento pubblicato su Nature a giugno 2020 da un gruppo di esperti, intitolato “Five ways to ensure that models serve society: a manifesto”, che invita a considerare alcune indicazioni per una “modellazione matematica responsabile”. Tra le cinque proposte degli autori, colpisce il “mind the hubris”, fare attenzione alla hybris (il vocabolo “tracotanza” è forse quello che più si avvicina al concetto di ὕβϱις della cultura classica): i modelli hanno a che fare con una realtà piuttosto complessa plasmata sul comportamento delle persone, non ha senso quindi

credere di riuscire a inglobare nelle equazioni ogni singola variabile, soprattutto se umana.7

Non peccare di tracotanza significa anche riconoscere i propri limiti conoscitivi, e quindi considerare tutte le possibili incertezze, sia intrinseche sia di metodo. Come è scritto nel manifesto, infatti, “trascurare le incertezze potrebbe offrire ai politici la possibilità di abdicare alla responsabilità. Gli esperti dovrebbero avere il coraggio di rispondere che ‘non c’è una risposta numerica alla sua domanda’, come fece l’epidemiologo del governo americano Anthony Fauci quando fu interrogato da un politico”. Ma il commento pubblicato su Nature ricorda anche l’importanza di testare la sensibilità delle assunzioni, come abbiamo già visto, di tenere in considerazione i bias di chi sviluppa il modello e lo scopo stesso per cui è richiesto. Da non trascurare anche le possibili conseguenze di un’eccessiva attenzione ai numeri che “può spostare una disciplina dall’essere approssimativamente giusta all’essere precisamente sbagliata”, dicono i firmatari.I modelli epidemici, quindi, possono fallire. Potrebbe essere che questo avvenga quando i casi di infezione diminuiscono a fronte di drastiche misure di contenimento. Di contro, anche grandi assembramenti non previsti potrebbero far fallire le previsioni del modello, facendo aumentare drammaticamente le infezioni. Un altro caso ancora può sussistere quando il numero di test diagnostici, come i tamponi molecolari, aumenta rapidamente, magari perché vengono aggiunti al conteggio anche i test antigenici

rapidi. In questo caso può avvenire che il rapporto positivi/tamponi diminuisca al punto di “battere” persino il migliore degli scenari previsto dai modelli. Ovviamente qui non è tanto la realtà a cambiare, ma il modo in cui noi la percepiamo. Analogamente, anche la riduzione di test diagnostici effettuati, se eccessiva, può portare a un’illusoria – e pericolosa – diminuzione dei positivi (ma non dei contagi effettivi).Potremmo dire che i modelli pandemici – così come le leggi fisiche in generale – sono come quegli uomini nella caverna di Platone, che non possono vedere quello che è fuori, ma lo possono immaginare guardando le ombre proiettate sul muro. Non sempre è possibile capire. Insomma, il sogno di Leibniz non sembra aver trovato una realizzazione, a oggi. Non tanto nell’approccio conoscitivo rappresentato dalla potenza descrittiva e predittiva della ragione tipica della scienza, ma più nell’aver peccato di hybris pensando che tutto potesse essere espressione matematica di un’armonia prestabilita.

Bibliografia

1 Treccani, Leibniz, Gottfried Wilhelm von.2 Bernoulli D. Rev Med Virol 2004; 14: 275-88. 3 Bellomo N et al. Scienza in rete 2020. 4 Battiston R. Scienza in rete 2020. 5 Adam D. Nature 2020. 6 Fornasini E. Pagina del docente Università di Padova 2017. 7 Saltelli A et al. Nature 2020.

Insomma, il sogno di Leibniz non sembra aver trovato una realizzazione, a oggi

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34 INFORMAMI

MARIA ENRICA BETTINELLI1, PAOLA PILERI2

1 Pediatra. Direttore UOC Coordinamento attività consultoriali ASST FBF Sacco, consulente professionale allattamento IBCLC

2 Ginecologa. Ospedale Buzzi, Dipartimento donna, mamma e neonato ASST FBF Sacco, consulente professionale allattamento IBCLC

SANITÀ

Gli innovativi vaccini anti SARS-CoV-2 possono creare timori negli operatori sanitari e nelle donne legati all’utilizzo di farmaci o di vaccini in gravidanza e in allattamento. I dati disponibili al momento sono rassicuranti

Vaccinazione contro COVID-19in gravidanza e allattamento,un bilancio tra benefici e rischi

associabili a un maggior rischio) o dalle segnalazioni nella fase di utilizzo. Uno studio apparso sul New England Journal of Medicine condotto su più di 30.000 donne vaccinate con vaccini a mRNA non evidenzia eventi avversi diversi dalla popolazione generale. Disponiamo peraltro di informazioni di farmacocinetica e di farmacodinamica in gravidanza e in allattamento sulla barriera placentare, il filtro mammario, la diluizione, il trasporto e la secrezione dei farmaci e dei vaccini

COM’È NOTO le donne in gravidanza e in allattamento non sono state arruolate nei trial di valutazione dei vaccini Pfizer-BioNtech (Comirnaty), Moderna e Vaxzeria/COVID-19 Vaccine AstraZeneca. A questo proposito va detto che le donne in gravidanza e allattamento non sono al momento un target prioritario dell’offerta vaccinale. I dati di sicurezza disponibili provengono dalla sperimentazione animale (non c’è evidenza di rischio né di meccanismi biologici

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351. 2021

che per plausibilità biologica depongono a favore della sicurezza dei vaccini. E sappiamo che i vaccini comportano un passaggio di anticorpi al nascituro o al bimbo allattato favorevole sulla salute.Il counselling vaccinale alla donna gravida o che allatta sull’indicazione ai vaccini anti COVID-19 si basa sulla valutazione beneficio-rischio tenendo conto della sicurezza del vaccino, dei rischi della malattia per la madre e per il feto/neonato, del rischio di ammalarsi in presenza di altre comorbilità, della diffusione della pandemia nel luogo in cui vive la donna, del rischio professionale e dello stato di caregiver.

Rischio di esposizione a SARS-CoV-2 della donna gravida o che allatta. Se la donna appartiene a una categoria a rischio alto (operatori sanitari, insegnanti con didattica in presenza, forze dell’ordine, lavoratrici a contatto diretto col pubblico) l’indicazione alla vaccinazione è forte. La presenza di altri bambini o di componenti della famiglia che frequentano comunità a rischio (fratelli alla scuola dell’infanzia) o di una persona fragile convivente, sono ulteriori motivazioni alla vaccinazione.

Rischi della COVID-19 nella donna gravida o che allatta. Il rischio della donna in caso di infezione da SARS-CoV-2 va valutato su base individuale. Si devono considerare due possibili rischi: il rischio generico anamnestico legato alla presenza di patologie, all’età, all’obesità, e il rischio specifico legato alla gravidanza e all’allattamento. L’allattamento non implica rischi aggiuntivi di natura metabolica o

cardiovascolare. La gestazione, invece, è un momento delicato a livello immunitario e a livello di stress per molti apparati. In gravidanza avviene lo shift immunitario tra Th1 e Th2 a favore di questi ultimi che garantisce la tolleranza immunologica madre-bambino fino al momento del parto. Questo stato immunitario è associato a un aumentato rischio di contrarre infezioni virali come l’influenza. I dati della letteratura sul rischio di eventi avversi in gravidanza a causa di COVID-19 non sono ancora univoci. Una recente revisione su Lancet riporta un aumento di esiti sfavorevoli della gravidanza durante la pandemia. Peraltro non è sempre evidente una correlazione diretta con l’infezione ma con la possibilità di accesso alle cure o la volontà di recarsi in ospedale per timore del contagio. A livello nazionale, dallo studio italiano a cura dell’Italian Obstetric Surveillance System (ItOSS), coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), relativi alla prima ondata pandemica, emerge che la gravidanza di per sé non aumenta il rischio di complicanze da COVID-19, ma che il rischio è correlato alle caratteristiche delle donne (età superiore a 35 anni, obesità, ipertensione, asma, diabete). Lo studio inoltre evidenzia una prognosi meno favorevole nelle donne non italiane. In questi casi la vaccinazione dovrebbe essere presa in considerazione.Durante la consulenza va anche considerato l’aspetto di benessere generale, ossia che la donna vaccinata possa vivere con più serenità la gravidanza, il parto e il post partum senza paura di essere isolata in caso di positività

o di essere separata dal bambino. La separazione mamma-bambino, purtroppo ancora presente in certe realtà ospedaliere in caso di infezione, non è raccomandata dalle organizzazioni internazionali e da varie società scientifiche.

Rischio della vaccinazione anti SARS-CoV-2 per la donna in gravidanza. Attualmente non ci sono dati sufficienti sull’efficacia e sui rischi. È doveroso, però, utilizzare tutte le conoscenze man mano disponibili per un counselling mirato. Secondo l’OMS non è necessario effettuare un test di gravidanza prima della vaccinazione né evitare il concepimento da parte delle donne vaccinate. Tanto meno c’è indicazione all’interruzione di gravidanza o accertamenti invasivi o straordinari se si scopre la gravidanza dopo aver eseguito la vaccinazione.

Rischio della vaccinazione anti SARS-CoV-2 per la donna in allattamento. La vaccinazione è assolutamente indicata senza interrompere l’allattamento per evitare di rinunciare ai benefici dell’allattamento al seno per la coppia madre-bambino. I pochi dati al momento disponibili escludono effetti negativi sulla lattazione e sul bambino, anzi mostrano la presenza di anticorpi IgA nel latte materno. Non risponde ad alcuna logica farmacocinetica consigliare alla donna di gettare il latte dopo la vaccinazione.

Il rapporto rischio-beneficio del feto e del neonato della donna che si vaccina. Gli studi di sicurezza condotti sugli animali non hanno mostrato effetti dannosi durante la gravidanza né complicanze fetali.

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36 INFORMAMI

Bambini in epoca COVID: spettatori o protagonisti?

“DA SEMPLICI spettatori di una situazione inedita per tutti, i bambini sono diventati sempre più protagonisti dell’attuale pandemia”. Queste parole di Piera Tonelli, pediatra di libera scelta dell’Ordine di Milano, fotografano l’impatto della malattia da coronavirus sulla popolazione pediatrica sia dal punto di vista clinico sia psicologico.In Italia, secondo i dati di Sorveglianza integrata dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS),1 aggiornati al 19 maggio 2021, i casi di COVID-19 nella fascia d’età tra 0 e 4 anni rappresentano il 5,7% del totale e quelli nella fascia tra

Dal punto di vista clinico la popolazione pediatrica è stata interessata solo marginalmente da COVID-19, ma non si può dire altrettanto in merito alle conseguenze psicologiche e comportamentali che non hanno risparmiato né bambini né adolescenti

SANITÀ

Recentemente sono stati pubblicati i dati statunitensi e israeliani sulle vaccinazioni in gravidanza durante le campagne vaccinali con risultati molto rassicuranti: non ci sono stati eventi avversi collegati alla vaccinazione che, anzi, ha generato anticorpi che hanno superato la placenta dando un’immunizzazione anche al neonato.

Riassumendo, la vaccinazione anti SARS-CoV-2 (le indicazioni valgono per tutti e 4 i vaccini attualmente utilizzati in Italia) non è controindicata in gravidanza e in allattamento. Sono importanti il counselling vaccinale personalizzato per informare la donna e la valutazione del rischio individuale anamnestico, personale/familiare e professionale, nonché la situazione epidemiologica del contesto in cui la donna vive. Va sempre evidenziato il grande ruolo protettivo che la vaccinazione ha anche sui bambini nati da mamma vaccinata e sui bambini allattati al seno.

Bibliografia

ISS. Indicazioni ad interim su “Vaccinazione contro il COVID-19 in gravidanza e allattamento. L’infezione da SARS-CoV-2 in gravidanza: studio prospettico dell’Italian Obstetric Surveillance System (ItOSS)

Chmielewska, et al. Lancet Glob Health 2021; 9: e758.

Stuebe A. Breastfeed Med 2021; 16: 2.

SIN. Position paper ad interim su vaccinazione anti COVID-19 in gravidanza.

Davanzo R, et al. Ital J Pediatr 2021; 47.

Flannery DD, et al. JAMA Pediatr 2021; 29: e210038.

Shimabukuro TT, et al. N Engl J Med 2021; doi: 10.1056/NEJMoa2104983.

Position Paper “Gravidanza e Vaccinazione anti COVID”

Munoz FM. JAMA Pediatr 2021; doi:10.1001/jamapediatrics.2021.0043.

REDAZIONE

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371. 2021

lieve, non sta risparmiando questa fascia di popolazione. Nella seconda fase, con l’allentamento del lockdown, il tracciamento sistematico dei contatti e il rafforzamento della capacità diagnostica, è stato possibile rilevare un maggior numero di casi, anche asintomatici. Nonostante l’incidenza continui a rimanere inferiore tra i bambini e gli adolescenti rispetto agli adulti, anche in Italia si è osservata una tendenza in crescita: a inizio maggio 2020 i casi pediatrici di COVID-19 rappresentavano l’1,8% del totale, saliti all’8,5% a fine settembre 2020, fino alla situazione attuale.Se le manifestazioni cliniche acute legate a COVID-19 in età pediatrica finora sono state contenute, le conseguenze a lungo termine non sembrano altrettanto ben circoscritte. Sono sempre di più in letteratura le evidenze di long COVID, ossia di sequele a lungo termine, anche per diversi mesi dopo l’infezione iniziale, che riguardano i bambini. Stanchezza, dolori muscolari e articolari, cefalea, insonnia, problemi respiratori e palpitazioni sono i sintomi più riferiti, presenti

anche 120 giorni dopo la diagnosi, con effetti limitanti sulle attività quotidiane in quasi la metà dei casi. Questo è il risultato del primo studio2 sulla long COVID pediatrica, condotto proprio in Italia su 129 bambini con diagnosi di COVID-19 tra marzo e novembre 2020, seguiti presso il Policlinico Gemelli di Roma.

IL PREZZO PIÙ CARO

Probabilmente, la popolazione in età pediatrica e adolescenziale ha pagato e sta pagando il prezzo più alto dal punto di vista psicologico. In Italia, circa 9 milioni di bambini e adolescenti si sono trovati esposti allo scenario emergenziale imposto da SARS-CoV-2 e alle misure che sono state messe in atto per contenerlo, sperimentando cambiamenti sostanziali negli ambienti di vita, nella routine quotidiana e nelle reti relazionali, educative e sociali che normalmente favoriscono la promozione della salute e la resilienza agli eventi traumatici. Si è osservato che il livello di gravità dei comportamenti disfunzionali di bambini e ragazzi si correla in maniera statisticamente significativa con il grado di malessere dei genitori. Tutto ciò sottolinea la necessità di considerare non solo gli aspetti clinici legati a COVID-19, ma anche l’importanza di percorsi di supporto psicologico e neuropsichiatrico rivolti ai bambini e alle famiglie in generale.

Bibliografia

1 Epicentro ISS. 2 Buonsenso D, et al. MedRxiv 2021.

Conseguenze psicologiche e comportamentali: uno studio italiano1

L’isolamento a casa ha causato l’insorgenza di problematiche comportamentali e sintomi di regressione nel 65% dei bambini di età inferiore ai sei anni e nel 71% di quelli sopra i sei anni d’età. È quanto emerge da un’indagine sull’impatto psicologico e comportamentale del lockdown nei bambini e negli adolescenti, condotta dall’Ospedale pediatrico Gaslini di Genova su 3.245 persone con figli minorenni a carico. Nei bambini al di sotto dei sei anni i disturbi più frequenti sono stati aumento dell’irritabilità, disturbi del sonno e ansia. Anche nei bambini e negli adolescenti tra sei e 18 anni i disturbi hanno riguardato la “componente somatica” con attacchi d’ansia, nonché la sfera del sonno con una significativa alterazione del ritmo sonno-veglia. Nella popolazione adolescenziale è stata inoltre riscontrata un’aumentata instabilità emotiva con irritabilità, cambiamenti del tono dell’umore con prevalenza di sintomi depressivi in linea con quanto osservato in altri Paesi in questi mesi.

1 Istituto Giannina Gaslini.

10 e 19 anni il 10,2%. In linea con il quadro internazionale, emerge che l’incidenza di COVID-19 nella popolazione pediatrica è inferiore rispetto alle altre fasce d’età e si manifesta con minore gravità. Infatti, oltre che con minor frequenza, i bambini sono stati fortunatamente investiti dal virus anche con minor violenza rispetto al resto della popolazione. L’infezione da SARS-CoV-2 in età pediatrica ha un decorso prevalentemente asintomatico o paucisintomatico. In caso di forme clinicamente manifeste, la febbre è il sintomo d’esordio più frequente, seguita da tosse e rinite, spesso con coinvolgimento del tratto gastrointestinale. Tuttavia non mancano, anche se rari, quadri clinici complessi, gravi e critici (peculiare è la MIS-C o sindrome infiammatoria acuta multisistemica), osservati più frequentemente nei bambini d’età inferiore a un anno e in presenza di patologie preesistenti che costituiscono fattori di rischio di gravità.

NUMERI IN CRESCITA ED EFFETTI A LUNGO TERMINE

I numeri sottolineano che l’attuale pandemia, seppur in forma più

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38 INFORMAMI

PATRIZIA SALVATERRAL’INTERVISTA

Una rete di competenze e strutture per curare le malattie del cuore

Professor Carugo, dal primo gennaio scorso dirige l’Unità operativa complessa di cardiologia del Policlinico milanese. Che significato ha per lei questo ruolo?

È qui che ho studiato ed è qui che nel 1968 è nata la cardiologia lombarda. Oggi è uno dei centri di riferimento del Paese sull’ipertensione. Per me è innanzitutto un onore e una grande emozione soprattutto se penso ai grandi maestri che mi hanno preceduto, Cesare Bartorelli e Alberto Zanchetti, che hanno fatto la storia della cardiologia e dell’ipertensione a livello mondiale.

Nazionale sia il migliore possibile e risponda a standard internazionali di qualità?

Credo profondamente nella sanità pubblica. Senza nulla togliere a quello che fa il privato, il nostro progetto è offrire a tutti un servizio sanitario eccellente. Chiunque deve poter accedere alle cure migliori a prescindere dal reddito. Ritengo che il primo fattore per avere standard elevati sia quello umano, occorre cominciare dalle persone: il professionista sanitario deve possedere conoscenze di alto livello, sempre aggiornate, da trasferire al paziente. L’altro fattore chiave è la tecnologia d’avanguardia. Gli strumenti della cardiologia sono molto cambiati: oggi, oltre a elettrocardiogramma, angiografo, ecografo, utilizziamo TC e risonanza magnetica cardiaca quasi di routine. Entro cinque anni avremo il nuovo ospedale, concepito con criteri assolutamente innovativi, e sono certo sarà un modello di riferimento per la cardiologia, non solo a livello nazionale.

Dal primo gennaio 2021 Stefano Carugo, classe 1966, è il direttore dell’Unità operativa complessa di cardiologia del Policlinico di Milano, l’ospedale universitario che con i suoi 500 anni di storia è fra i più antichi e conosciuti d’Italia e dove, più di 50 anni fa, è nata la cardiologia lombarda. Padre di sei figli, il professore condivide la passione per la medicina con la moglie che è medico geriatra, muovendosi fra insegnamento e ricerca, attività clinica e pratica sportiva

Ed è anche una sfida, per curare al meglio i nostri pazienti e concittadini.

Perché tanta importanza all’ipertensione e alla necessità di prevenirla?

L’ipertensione è “il” fattore di rischio cardiovascolare più importante ed è una condizione sempre più frequente, basti pensare che in Italia ci sono 16 milioni di ipertesi e che da qui al 2050 un paziente su tre sarà iperteso. In generale la malattia cerebro-cardiovascolare è la prima causa di morte e disabilità nel mondo. Tutto ciò ha a che fare con lo stile di vita, lo stress, l’alimentazione e con alcuni fattori genetico-ereditari. Per far fronte a questa situazione occorre intervenire con una prevenzione efficace, fondamentale in cardiologia. Il nostro Centro di fisiologia clinica e ipertensione è nato 40 anni fa anche per promuovere la prevenzione e diffondere maggiori conoscenze tra i pazienti.

Quali sono gli ingredienti di base affinché il Servizio Sanitario

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391. 2021

Oggi, uno dei temi più discussi a livello europeo è quello dell’integrazione organizzativa sia interna alle strutture sanitarie sia sul territorio. Che cosa ne pensa?

Uno da solo non ce la fa. L’integrazione fra ospedale e territorio è uno dei pilastri per il buon funzionamento del Servizio Sanitario pubblico, occorre una rete capillare e ben oliata fatta di competenze e strutture. Credo che l’esperienza della COVID-19 ci abbia dimostrato quanto sia fondamentale la presa in carico tempestiva del paziente a casa. Come cardiologo, integrazione è sinonimo di dialogo costante fra il medico di medicina generale e lo specialista. Noi abbiamo bisogno di loro e loro di noi. È il medico di famiglia che conosce la storia del paziente, che osserva per primo i livelli eccessivi della pressione arteriosa, del colesterolo, della glicemia e che può cogliere i primi sintomi di un mal funzionamento cardiaco. Intercettare in tempo sul territorio un paziente a rischio cardiovascolare può salvargli la vita. Lo specialista arriva in seconda battuta ed esprime un secondo parere.

Prima ci ha ricordato come la cardiologia sia fatta (anche) di tecnologie all’avanguardia. A proposito di questo, cosa pensa di soluzioni digitali (per esempio le app) a disposizione del paziente per misurare e archiviare dati di salute?

Credo che la telemedicina svolga un ruolo molto utile nella cura del paziente cronico nel luogo in cui vive. Basti pensare quale aiuto ha rappresentato per le migliaia di pazienti fragili o anziani che

vivono da soli a Milano e che fanno fatica a spostarsi. Ad esempio, un elettrocardiogramma e un saturimetro da polso possono fornire le prime informazioni fondamentali, raccolte a domicilio, e interpretate da remoto dal medico, senza affollare gli ospedali. In questo percorso, però, ricevere una formazione adatta diventa sempre più cruciale.

In contesti sempre più governati da macchine e tecnologie, quanto conta la relazione umana con il paziente cardiopatico?

In effetti queste opportunità ci portano a essere sempre di più dei “cardio tecnologi”, col rischio di perdere la relazione con il paziente. Ma un medico non può prescinderne: Ippocrate mette il paziente al centro di questa relazione – un esame in meno e una parola in più spesso aiutano il paziente a stare meglio.

Parliamo di social media, secondo lei possono essere dei canali di informazione utili per il paziente?

Siamo tutti utilizzatori di social media, anche se in modi diversi. Per informarsi con questi canali occorre però cautela: se si pensa alle notizie che girano per esempio riguardo ai vaccini appare evidente quali possono essere i pericoli per chi incorre nelle fake news.Indipendentemente dal canale di informazione scelto, bisognerebbe sempre dare la possibilità all’utente di accedere a un’informazione corretta, comprensibile, proveniente da fonti autorevoli come per esempio l’Ordine dei medici.

Lei ha anche un passato politico, è stato consigliere regionale per due

legislature. Che cosa le ha lasciato quest’esperienza?

Ho visto come si governa, sono uno dei tre che ha scritto la Legge 23 di riforma del sistema sociosanitario lombardo su cui oggi si discute molto (Legge regionale 11 agosto 2015, n. 23 – NdR). Poi ho preferito tornare a fare solo il medico e senza avvisi di garanzia.

Come riesce a tenere tutto insieme – l’insegnamento, la clinica, la direzione, una famiglia numerosa…

Ho una moglie “santa”! Anche lei è medico, una geriatra – insieme condividiamo progetti, problemi, risultati.

La medicina oggi fa sempre più i conti… con i conti, perdoni il bisticcio di parole. Chi ha responsabilità di un reparto ospedaliero ha a che fare più con il budget e il controllo delle risorse che con il paziente. È davvero così?

Le rispondo da medico, da accademico e da padre di famiglia: il budget è importante e va tenuto sotto controllo, ma non si può considerare prioritario rispetto al bene del paziente. Io continuo a vedere molti pazienti, non lascerò mai l’attività clinica. E il rapporto con gli studenti dai quali imparo ogni giorno è fondamentale.

Un’ultima domanda, quale consiglio darebbe a un giovane che sta per intraprendere la professione medica?

Studiare, studiare e ancora studiare. La medicina è una disciplina che si evolve continuamente, non bisogna mai smettere: il rischio è la morte della medicina, e anche del paziente.

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40 INFORMAMI

STEFANO MENNADIRITTO

Con una norma inserita nel Decreto Sostegni e un accordo quadro con i rappresentanti di categoria, Governo e Regioni hanno deciso di coinvolgere i farmacisti nella campagna vaccinale nazionale. È stato eliminato il riferimento alla supervisione del medico, inizialmente prevista. I motivi e le conseguenze di una scelta che, secondo Roberto Carlo Rossi (presidente OMCeOMI), può mettere a rischio la salute dei cittadini

Vaccini anti COVID-19 in farmacia,la soluzione sbagliataa un problema reale?

“HO APPENA FIRMATO il protocollo con Regioni e farmacisti per far partire in sicurezza le vaccinazioni COVID nelle farmacie del nostro Paese. La campagna di vaccinazione è la vera chiave per chiudere questa stagione così difficile. Oggi facciamo un altro importante passo avanti per renderla più veloce e capillare”. Con questo tweet del 29 marzo scorso,1 il ministro della salute Roberto Speranza ha annunciato l’accordo che dà il via libera alle vaccinazioni per il coronavirus nelle farmacie sul territorio. Si tratta di una scelta in linea con la strategia prevista dal rinnovato piano nazionale di vaccinazione:2 secondo il commissario straordinario per l’emergenza COVID-19, generale Francesco Paolo Figliuolo, per raggiungere l’obiettivo di una copertura vaccinale dell’80% della popolazione entro settembre è infatti necessario mobilitare tutto il possibile in termini di uomini, strutture e mezzi.3

CORNICE NORMATIVA E MODALITÀ OPERATIVE

La partecipazione attiva dei farmacisti era già stata inserita nel testo della Legge di Bilancio 2021, poi rivista alla luce dell’art. 20 del Decreto Legge n. 41 del 22 marzo (il cosiddetto “Decreto Sostegni”):4 tenuto conto della necessità di accelerare la campagna vaccinale per ampliare al massimo la platea dei soggetti autorizzati alla somministrazione dei vaccini anti COVID-19, la norma estende ai farmacisti opportunamente formati la possibilità di effettuare le vaccinazioni nelle farmacie, anche senza la supervisione dei medici. Rappresentati

Vaso da farmacia a corpo globulare, prima metà del secolo XVIII. Collezione Museo della scienza e della tecnologia “Leonardo da Vinci”, Milano.

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411. 2021

dalle associazioni di categoria Federfarma e Assofarm, i farmacisti hanno così siglato un accordo quadro5 con Governo e Regioni per definire la cornice nazionale e le modalità operative di coinvolgimento nella campagna di vaccinazione anti SARS-CoV-2. Come funziona? Alle aziende sanitarie locali il compito di distribuire le dosi alle farmacie aderenti alla campagna, mentre prenotazione e somministrazione dei vaccini sono eseguite direttamente dalle farmacie, nel rispetto dei programmi di individuazione della popolazione target e dei criteri di priorità definiti dalle autorità sanitarie competenti. Prima dell’inoculazione va raccolto il consenso informato, restano esclusi i soggetti estremamente fragili e le persone con una storia pregressa di reazione allergica grave o di anafilassi. Lo schema prevede che alle farmacie sia riconosciuta una remunerazione di 6 euro a somministrazione, ma gli accordi regionali potranno modulare il compenso sulla base di un meccanismo a incentivi.

I NUMERI

La prima Regione a partire, con un programma sperimentale, è stata la Liguria dove in 52 farmacie decine di persone over 70 hanno potuto ricevere il preparato di AstraZeneca già a fine marzo. Si è subito attivato anche il Lazio, dove si può vaccinare in almeno 700 farmacie (hanno detto sì oltre 500 esercenti di Roma e altri 200 nelle province). Nella seconda metà di aprile, con l’arrivo in Europa delle prime dosi del vaccino Janssen di Johnson&Johnson, più maneggevole e facilmente trasportabile rispetto agli altri, la campagna vaccinale è stata estesa alle farmacie di tutta Italia. Bisognerà vedere quale sarà l’impatto dell’offerta vaccinale in farmacia delle nuove indicazioni sui vaccini a vettore virale. Sulla carta, secondo le stime di Federfarma,6 sono 19.000 i presidi pubblici e privati presenti sul territorio in cui lavorano oltre 70.000 farmacisti di comunità, per un potenziale superiore a 200.000 somministrazioni al giorno: uno sforzo considerevole, per raggiungere al più presto l’obiettivo fissato dal commissario Figliuolo a quota mezzo milione di vaccini al giorno.

LA SICUREZZA, PRIMA DI TUTTO

L’esigenza di accelerare e ampliare la campagna di vaccinazione non può però andare a discapito della sicurezza. La posizione espressa dalla FNOMCeO,

la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, comprende le motivazioni che hanno spinto il Governo a prevedere, in una fase di assoluta emergenza, il coinvolgimento delle farmacie nella campagna vaccinale. Ma sottolinea come il ruolo del medico sia imprescindibile per valutare lo stato di salute del cittadino, raccogliere il consenso informato e intervenire subito in caso di necessità.7

“Personalmente, sono contrario alla norma introdotta con il Decreto Sostegni. Non solo per un conflitto di competenze professionali, ma soprattutto per una questione di tutela della salute dei cittadini. I vaccini sono tra i farmaci più sicuri in commercio, quelli con meno effetti collaterali, soprattutto i più gravi. Però sono farmaci. E come tali devono essere somministrati, seguendo le linee guida delle agenzie regolatorie: quindi solo previa prescrizione del medico, dopo opportuna valutazione anamnestica e clinica”, spiega Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei Medici di Milano. “La vaccinazione è un atto medico e, come tale, non può essere ridotta a banale ‘iniezione’ né essere eseguita in maniera superficiale: sono fondamentali la conoscenza del paziente, un’anamnesi mirata, l’inoculo stesso del preparato e, ovviamente, la capacità di intervenire e trattare tempestivamente le eventuali complicanze. A questo proposito, l’allegato tecnico dell’accordo quadro

Accordo quadro: i punti salienti• I vaccini vengono somministrati dal farmacista abilitato da specifici

corsi organizzati dall’ISS,

• ogni dose viene inoculata solo previa compilazione del consenso informato e valutazione di idoneità del soggetto,

• per la somministrazione sono richiesti tre spazi separati all’interno della farmacia, compresa un’area monitoraggio dove i pazienti appena vaccinati possano attendere 15 minuti (in alternativa, gazebo esterno o vaccinazioni con farmacia “a porte chiuse”),

• sono esclusi tutti i soggetti ad estrema vulnerabilità o con anamnesi positiva per precedente reazione allergica,

• in ogni farmacia deve essere presente un addetto al primo soccorso, durante le vaccinazioni,

• se nei 15 minuti di attesa il paziente dovesse mostrare orticaria improvvisa, problemi respiratori o emodinamici, il farmacista dovrà avvisare subito il 112 (o il 118) e posizionare il paziente nel modo più confortevole. In caso di anafilassi con pericolo di vita, il farmacista può somministrare adrenalina per via intramuscolare, dose massima 0,5 mg.

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42 INFORMAMI

SANITÀDIRITTO

sulla gestione delle reazioni avverse prevede che il farmacista – di fronte a uno shock anafilattico post vaccinazione – debba subito avvisare il personale medico di Pronto soccorso al numero di emergenza… se non fosse tragico, sarebbe quasi comico come paradosso”, continua Rossi.E poi bisogna saper leggere e interpretare la scheda tecnica del prodotto, le sue caratteristiche, capire quali effetti può produrre. “Perché somministrare un farmaco significa sempre intervenire sul corso ‘naturale’ e fisiologico dello stato di salute, per deviarlo per scopi terapeutici o appunto preventivi come nel caso dei vaccini. Credo che una persona senza alcuna preparazione in anatomia, fisiologia, igiene e sanità pubblica, un minimo di clinica e medicina di urgenza non possa e non debba vaccinare. Saper dispensare i farmaci non significa automaticamente saperli somministrare”, sottolinea Rossi.

FORMAZIONE E SPAZI IDONEI

Anche la formazione degli operatori rappresenta un punto critico del provvedimento. Il protocollo messo a punto da Governo, Regioni e associazioni di categoria prevede che i vaccini in farmacia vengano somministrati da farmacisti abilitati grazie a specifici programmi e moduli formativi, obbligatori e seguiti a distanza, organizzati dall’Istituto Superiore di Sanità. In numerosi Paesi (come Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia), i farmacisti stanno partecipando in prima persona alla campagna vaccinale. Ma all’estero hanno una preparazione professionale che conta su un’esperienza e una tradizione a noi sconosciuta: in questi Paesi, nei quali il numero dei medici è inferiore rispetto a quello dell’Italia, il farmacista spesso svolge un lavoro di supplente del medico e viene coinvolto sul campo in attività propriamente sanitarie. È quindi abituato a farlo, in modo strutturato e consapevole. Nulla di paragonabile a poche ore di un corso di formazione online”, spiega ancora il presidente dell’Ordine dei Medici milanese.Niente affatto secondario è poi il problema dell’idoneità degli ambienti dove si vaccina. “Ormai sappiamo che uno dei veicoli della trasmissione del virus sono gli asintomatici. Quante farmacie sono dotate di spazi davvero adatti a garantire le distanze e gestire in sicurezza la vaccinazione? Credo poche, almeno al Nord e nelle realtà urbane. Si tratta di un problema serio, già noto per gli studi medici e i piccoli ambulatori, nei quali gli spazi angusti possono favorire

i contagi. La vaccinazione è un atto medico che non si può improvvisare: va fatta in luoghi allestiti come centri vaccinali veri e propri”, continua Rossi.

MENO BUROCRAZIA, PIÙ SEMPLIFICAZIONE

Non solo. Sulla carta, anche i medici da impiegare come vaccinatori volontari sarebbero numerosi, a iniziare dalle migliaia di specializzandi e pensionati. Se non fosse per la burocrazia che, come al solito, si mette di traverso. “Siamo un Paese strano: mettiamo i farmacisti a vaccinare, e in un primo momento si è ipotizzato di utilizzare a titolo gratuito gli specializzandi, poi per fortuna ha prevalso un po’ di buon senso ed ora l’attività dei giovani colleghi viene retribuita. E i pensionati? Possono aderire come volontari, ma devono pagarsi l’assicurazione per la responsabilità professionale, quantomeno per le azioni di rivalsa per colpa grave; inoltre, se accettano un incarico remunerato, rischiano di vedersi decurtato il trattamento previdenziale o addirittura sospeso l’assegno di pensione per i mesi in cui sono impegnati nella campagna. L’ennesimo deterrente che ostacola la partecipazione di personale medico”, spiega ancora Rossi.Secondo il presidente dell’Ordine dei Medici milanese, allora, la parola d’ordine dovrebbe essere liberalizzare e semplificare. Un segnale in questo senso è giunto il 2 aprile, quando la Regione Lombardia ha siglato un accordo con le università per raccogliere l’adesione degli specializzandi (con incarichi di tipo libero professionali o co.co.co.), a fronte di un compenso orario di 40 euro lordi.8 “Servono norme per sciogliere le pastoie burocratiche, una copertura legale per i medici volontari che impedisca la loro imputabilità (non solo la punibilità) sia civile sia penale, una compatibilità piena con la pensione o qualsiasi altra forma di remunerazione, e l’apertura nei confronti degli studenti del triennio di formazione in medicina generale”, propone Rossi.

Bibliografia

1 Tweet Roberto Speranza 29 marzo 2021.2 Piano vaccini anti COVID-19.3 Piano nazionale vaccini, audizione generale Figliuolo.4 Decreto Sostegni, 22 marzo 2021.5 Accordo quadro, 2021.6 Federfarma, 2021.7 FNOMCeO, 2021.8 Amati A. Lombardia Notizie On line 2021.

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431. 2021

STORIA E STORIE UGO GARBARINI

L’ANNO INIZIA con la proposta shock del Consiglio dell’Ordine: “Annullate il piano ospedaliero regionale!”. Questa è ben motivata da numerose osservazioni del Consiglio stesso. In quel tempo, la Regione, indifferente e sorda a ogni rilievo critico, perseguiva la sua politica, proponendo, tra l’altro, la diminuzione dei posti letto e il ridimensionamento delle unità specialistiche. La spunterà la Regione. Da una parte, la difesa a oltranza dei posti di lavoro, dall’altra, del risparmio: sono ancora lontani i tempi, vergognosi, delle spese pazze e voluttuarie rimborsate ai politici regionali. A posteriori, alcune misure possono anche essere condivise, ma è opportuno ricordare che una politica clientelare aveva creato una miriade di reparti e di ospedali inutili. Il vanto dei suoi officianti era quello di creare qualcosa su cui apporre poi, magari meglio se da vivo, una lapide che ne avrebbe ricordato i fasti edilizi, nascondendo quelli tangentizi. Lavoravo, anni fa, prima di tangentopoli (la prima…) in un ospedale in cui una lapide ricordava l’inaugurazione di 24 sale operatorie che, solo anni dopo e non tutte, diverranno agibili. Ma allora come oggi, si preferiva tagliare le spese per la sanità (non tutte ovviamente).

1974 La professione medicaè disponibilità, solidarietà, sacrificio, nonappiattimento impiegatizio

Tutto è in ebollizione nel 1974, dalla medicina convenzionata a quella ospedaliera. Vengono istituite l’Associazione pensionati e la guardia medica, ma per la professione le novità non giocano solo a favore. Per fortuna, tra uno sciopero e una riforma, ciò che muove i medici è sempre curare le persone e provare a salvare delle vite

12 maggio 1974: il Referendum abrogativo sul divorzio in Italia decreta la vittoria dei no. A destra, Marco Pannella a una manifestazione.

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STORIA E STORIE

TRA PROTESTE E SPARI DELLA STAMPA

In marzo, si svolge l’assemblea ordinaria: tutto è in ebollizione, dalla medicina convenzionata a quella ospedaliera. Con l’INAM (l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie) si è giunti a un accordo. Ma quanto potrà durare? Vibrata protesta contro la mutua artigiani: nel suo mensile, si lamenta che il rapporto medico-paziente è ormai inesistente, sostituito dal rapporto tariffa-medico. La professione ha sempre l’onore della stampa cui non mancano le munizioni e, a proposito di spari, L’Espresso attacca l’Ordine che si è opposto alla Legge Fortuna mentre i “cucchiai d’oro imperversano con 300 aborti al giorno”. Sempre secondo la stampa, i medici milanesi non sarebbero presenti negli ospedali: protesta la CIMO (Confederazione Italiana Medici Ospedalieri) nazionale e provinciale. L’Ordine querela e invia alla Procura, anche se, di queste e altre denunce, non si saprà ovviamente più niente. Ormai si spara su tutto, manca ancora la Croce Rossa ma potrebbe arrivare anche il suo turno. In agitazione anche i medici dell’Ufficio di Igiene con l’ovvio sostegno dell’Ordine.

NOVITÀ PRO O NOVITÀ CONTRO

Nasce l’Associazione Medici Pensionati Milanesi. Tutti ne erano in trepida e speranzosa attesa perché il pensionato è ormai un nulla sociale. Mai voce fu più inascoltata della loro. E sempre così sarà. Si tassa l’eventuale loro residuo lavoro che per molti (non per tutti) rappresenta una attività necessaria alla sopravvivenza: medico per sempre sino alla morte, sperando che questa non avvenga per inedia. Roberto Anzalone annuncia l’istituzione della guardia medica festiva, prefestiva e notturna, per l’INAM nella sola città di Milano, cui afferiscono medici messi a disposizione dall’Ordine. Anche questa misura, il cui fine era quello di sostenere i giovani medici, accolta con grande favore, nel tempo inciderà negativamente sulla professione. Questa, da sempre era contrassegnata dall’etica

della disponibilità, della solidarietà e dallo spirito di sacrificio, attitudini necessarie per esercitare correttamente: non feste, nessuna differenza tra giorno e notte. Era faticoso, ma, nel contempo, era motivo di vanto, di supremazia anche rispetto alle altre libere professioni. La nostra divisa, portata con orgoglio, era il camice bianco. Da supplente di un medico condotto dell’alta Brianza, che aveva qualcosa come 5.000 iscritti tra le diverse mutue, con chiamate non telefoniche, ma con scampanellio alla porta, ricordo che, tornando da una “notturna”, dovevo lasciare subito il letto, ancora caldo, per una seconda visita urgente nel cuore della notte. Erano tempi eroici, ma mai più ebbi le soddisfazioni provate nel lasciare un malato eupnoico dopo averlo trovato affogante nel liquido del suo edema polmonare.

PASSIONE VERSUS BUROCRAZIA

La tristezza della routine di reparto era controbilanciata dall’esperienza, sempre esaltante, della notte di guardia in ospedale quando veramente ritenevi di avere aiutato, assieme ad altri, un malato a sopravvivere. Quante albe e aurore! Masochismo intriso di retorica? Questa era la professione e chi aveva scelto di esercitarla doveva esserne ben consapevole. Quell’alone di sacrificio, fu perso nel momento in cui ci si appiattì su un lavoro di tipo impiegatizio: “telefoni prima di quest’ora se vuole avere la visita in giornata, non dopo la tal ora perché subentra la guardia” e via dicendo. Questa non era più la professione che avevamo abbracciata, ma un mestiere cadenzato dagli impegni burocratici.Sempre a proposito della stampa, continua l’attacco con gli articoli del Corsera, dell’Espresso, de Il Giorno, di Iniziative Sanitarie, queste ultime, dalla Regione. Giorgio Bocca arriva al punto di scrivere su L’Espresso un incipit di questo tipo: “Lo spreco dei medicinali e il ladrocinio dei medici… causa del dissesto sanitario”, auspicando il rapido avvio della riforma. Evidente manifestazione di cronica malvagità aggravata, si suppone, da degenerazione vascolo-cerebrale. In questo contesto di livellamento al basso, invano Gianluigi Passaretti denuncia la furiosa campagna mediatica contro i medici accusati di essere la causa del dissesto economico e ipotizza che il motivo sia quello di tacitare una categoria nell’imminenza di una riforma avvertita come punitiva. In Francia, François Mitterand e Valéry Giscard

Era faticoso, ma, nel contempo, era motivo di vanto, di supremazia anche rispetto alle altre libere professioni. La nostra divisa, portata con orgoglio, era il camice bianco

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d’Estaing hanno, al contrario, riaffermato la libertà della medicina e del malato, due politici ben distanti ma concordi su questo principio. Le novità agostane sono che il Ministro del Lavoro, Luigi Bertoldi (chi mai era costui?) ha bloccato contratti e convenzioni già firmate, definendo vergognoso lo sciopero dei medici. Ci mancava anche il Carneade di turno.

SCIOPERI E CONTRATTI

Per la denigrazione continua della categoria, l’Intersindacale, riunitasi a Milano, proclama, sotto l’egida della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (FNOOMM), lo sciopero per il 29-30 luglio. L’Associazione Nazionale Aiuti Assistenti Ospedalieri (ANAAO) si dissocia. CIMO e l’Associazione Italiana Primari Ospedalieri (ANPO) si oppongono al contratto unico: in un’indagine conoscitiva, su 1.410 votanti, 1.246 sono contro, 146 a favore, 14 non si esprimono. L’Ordine concorda con la maggioranza con un comunicato stampa. Il consiglio nazionale boccia l’accordo INAM-pediatria perché conduce a un’ulteriore divisione della classe medica e costituisce un pericoloso precedente per il potenziale distacco dalla medicina generale di altri settori, fissando come “pediatrica” l’età fino a 12 anni; critica poi la tariffa proposta perché inadeguata. Inascoltati anche loro: porteranno l’età pediatrica sino al limite di quella adulta? L’Ordine protesta su tutto e contro tutti: INAIL, INADEL, condotti, Comune. Sulla riforma poi, sparano tutti i sindacati, salvo i soliti noti. L’UIL postelegrafonici protesta perché in un paese dell’hinterland milanese nessun medico, come suo diritto, aveva richiesto la convenzione con l’ENPAS, il loro ente di assistenza sanitaria.Si preannuncia per il 12 dicembre il processo contro Passaretti, su denuncia dei sei medici inadempienti alle disposizioni della FNOOMM e sospesi per un mese. Avevano ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie (CCEPS) per rendere il provvedimento non esecutivo ma la commissione centrale non poté intervenire perché, nel frattempo, i sei medici avevano presentato un esposto alla Procura della Repubblica, costituendosi in seguito parte civile. Passaretti chiede al presidente De Lorenzo la sospensione, entro il 30 settembre, della convenzione con tutte le mutue come deliberato dal consiglio

nazionale. Risponde affermativamente, ma a far tempo dal primo gennaio 1975.

QUESTIONE DI VIABILITÀ

Tra gli annosi problemi che affliggono i medici e il loro Ordine, primeggia sempre quello della viabilità e della sosta: per questa, il comune vuole anche il nominativo del paziente. Il segretario risponde argomentando l’ovvia risposta negativa: c’era la privacy anche se non ancora normata. Anzalone, provocatoriamente, invia come Associazione milanese medici mutualisti (AMMM) una circolare in cui si invitano, per ora gli assistiti INADEL e ATM, cioè i dipendenti di enti comunali, a chiamare il taxi se vogliono il medico e, se la visita è urgente, a rivolgersi ai vigili urbani o alla polizia perché provvedano al trasporto del malato. Sulla guerra viaria, ormai cronica con riacutizzazioni, tra i medici e il comune, l’assessore Gianfranco Crespi si offre per un’intermediazione. Maliziosamente, non credo che fossero in preparazione elezioni amministrative, quanto meno a breve tempo.

REGALI DI NATALE

In novembre, il governo è in crisi, evviva! Pausa di riposo. In dicembre, all’assemblea Ordine-sindacati, tutti parlano a eccezione della FIMM, il vero convitato di pietra che, zitta, zitta, si fa solo i fatti suoi. Durante l’anno e in prossimità del Natale, una gerla di regali: 500.000 lire a favore della Cassa di Mutuo Soccorso, 100.000 al SIPC, 100.000 a favore dell’Associazione Rinnovamento Medico, 6 milioni all’Istruzione Continua Medica (ISCME), patrocinata dall’Ordine. Incredibile ai nostri giorni. Nella pausa natalizia, il consiglio, i cui componenti anche in agosto non lasciano la sede prima delle due del mattino, si prepara per un periodo di breve ma meritato riposo.

IL G

IOR

NAL

E

Il 25 giugno 1974 Indro Montanelli fonda a Milano Il Giornale nuovo(dal 1983 sarà il Giornale) da una costola del Corriere della sera.

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STORIA E STORIE

DALLA PRIMAVERA scorsa ci si chiede se e quando SARS-CoV-2 attenuerà la sua contagiosità e diventerà simbiotico dell’uomo, ovvero se evolverà in un banale virus del raffreddore. Nessuno può dirlo con certezza, ma è una possibilità. L’evoluzione della pandemia sta andando per suo conto, in barba alla presunzione umana di sapere che cosa fare per metterla sotto controllo. Il virus, moltiplicandosi in diversi contesti ecologici (Brasile, Sudafrica, immunodepressi britannici eccetera), e quindi a fronte di diverse pressioni selettive, emerge nella forma di diverse varianti. Probabilmente non le conosciamo tutte, dato che il numero di genomi selezionati a livello planetario è irrisorio. 

LA QUESTIONE DELLE VARIANTI

Ci si chiede quindi se le nuove varianti dannose saranno bloccate dai vaccini approvati o da quelli in arrivo, e se i vaccini, come sarà il caso per alcuni, non abbiano un’efficacia completa, come evolveranno i ceppi che sopravvivranno, ovvero se diverranno benigni o se vi sarà una selezione a favore della virulenza. La prima risposta è facile: dipende da come le varianti risultano cambiate a livello di

epitopi (antigeni) riconosciuti dal sistema immunitario. E non è un grave problema: se i vaccini attuali perderanno efficacia si potranno cambiare le informazioni da inviare alle cellule per fare esprimere nuovi epitopi immunogeni.La seconda domanda non ha una risposta precisa. Da tempo ci si chiede se c’è anche una resistenza ai vaccini, così come ai farmaci e, se esiste, come evolve. In effetti non si tratta di un evento frequente. La resistenza ai farmaci, per

GILBERTO CORBELLINI

I migliori vaccini sono darwiniani

Una delle caratteristiche dei fenomeni darwiniani è che le variazioni che cambiano il comportamento di un virus non insorgono allo scopo di renderlo più o meno contagioso. Emergono a caso, e il fatto di conservarsi ed esibire specifici tratti fenotipici dipende dal vantaggio replicativo (selezione naturale) nell’ambiente in cui si trovano. Tutto qui. Ma il vaccino ideale deve essere a prova di evoluzione

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471. 2021

esempio antibiotici o antitumorali, emerge tipicamente subito dopo l’introduzione di un nuovo principio attivo come conseguenza della selezione di varianti (cellule batteriche o tumorali per esempio) che sfuggono all’azione del trattamento farmacologico. Ma la resistenza ai vaccini è emersa raramente. Perché?I vaccini tendono a funzionare in modo profilattico, mentre i farmaci sono terapie, ovvero i vaccini ottimali non consentono la replicazione e conseguente crescita di popolazioni di patogeni. Niente replicazione niente evoluzione. Inoltre, i vaccini tendono a indurre risposte immunitarie contro più bersagli su un patogeno, mentre i farmaci a colpire pochissimi bersagli. Di conseguenza, le popolazioni di patogeni generano meno variazioni per la resistenza ai vaccini di quanto non facciano per la resistenza ai farmaci, e la selezione ha minori opportunità di agire su tali variazioni. Per gran parte della storia siamo stati fortunati, nel senso che l’efficacia della maggior parte dei vaccini usati non è stata compromessa dall’evoluzione. La vaccinazione antivaiolosa ha eradicato il virus del vaiolo umano, senza che questo abbia tentato di evolvere. Il vaccino era certamente anche la miglior combinazione di stimoli antigenici, cioè la più vicina al vaiolo umano naturale, che peraltro non aveva serbatoi animali. Ma non è emerso nemmeno alcun ceppo del virus del morbillo, della rosolia eccetera, in grado di aggirare l’immunità indotta dal vaccino. La vaccinazione antidifterica ha favorito il ceppo di batterio più benigno. Qualche eccezione, però, la conosciamo.

VACCINOLOGIA DARWINIANA

Nel 2001 l’ecologo molecolare Andrew Read pubblicava su Nature un modello matematico da cui risultava che i vaccini imperfetti (molto imperfetti) allora in sperimentazione contro la malaria da falciparum, rischiavano di incrementare la virulenza del protozoo. Nei due decenni dopo, il modello matematico ha trovato un certo numero di applicazioni nel mondo reale, spiegando per esempio l’aumento della virulenza favorita dalla vaccinazione nel caso della malattia di Marek dei polli, dovuta a un herpes virus, e che provoca perdite nell’industria del pollame per circa 2 miliardi all’anno. Il vaccino funziona come profilassi anti malattia, e va a vantaggio della salute immediata dei polli, ma favorisce l’evoluzione nel tempo di ceppi più virulenti e implica la rincorsa con vaccini aggiustati da parte dei vaccinologi (i vaccini anti Marek finora sviluppati sono tre, dal 1970). Due casi simili si conoscono nel mondo dell’allevamento animale, e riguardano alcune infezioni nei salmoni da allevamento e un’infezione aviaria da metapneumovirus. I modelli matematici suggeriscono che i vaccini che sono protettivi per gli individui nei trial clinici possono nondimeno generare indesiderate conseguenze per la popolazione nel suo insieme. I benefici immediati dei vaccini anti malattia, o imperfetti, nascondono

un maggior rischio di evoluzione di ceppi più virulenti. Il vaccino acellulare contro la pertosse, rispetto a quello precedente che conteneva il batterio ucciso, conferisce un’immunità più breve, e la causa è stata probabilmente l’opportunità evolutiva. L’acellulare è preferito perché non ha alcun effetto collaterale. Diversi ceppi del virus dell’epatite B resistenti ai vaccini sono stati rilevati e il loro impatto sanitario è allo studio. La storia dei vaccini della serie Prevenar (7, 13) contro polmonite, otite, meningite eccetera, da Streptococcus pneumoniae nei bambini e negli adulti è un caso interessante, perché esistono 90 sierotipi distinti del batterio e i primi vaccini ne intercettavano 7 e 13. Prevenar 7 aveva ridotto i casi e le morti, ma aveva portato a una ristrutturazione evolutiva della popolazione batterica, cosa che sembra avvenire anche con Prevenar 13. La ristrutturazione è continuamente in corso e l’evoluzione è favorita dal fatto che la vaccinazione si fa soprattutto negli Stati Uniti, ma non in Europa e in altre parti del mondo.A causa dell’evoluzione microbica, per malattie umane come la malaria, la tripanosomiasi, l’AIDS, eccetera, i vaccini sono difficili o impossibili da sviluppare perché i patogeni usano diverse strategie per cambiare le strutture antigeniche riconoscibili o non si fanno proprio vedere dal sistema immunitario. Nei contesti agricoli, dove si cercano soluzioni

Le nuove varianti di SARS-CoV-2 sfuggiranno alle risposte immunitarie istruite naturalmente dall’infezione col virus o artificialmente dai vaccini?

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48 INFORMAMI

STORIA E STORIE

immediate e soddisfacenti economicamente, i vaccini animali sono minati dall’evoluzione microbica. La virulenza di un patogeno è direttamente collegata alla replicazione. In pratica, più patogeno uguale più malattia, per cui si dovrebbe fare il possibile per produrre vaccini che annullino la replicazione, e quindi la trasmissione.  

DARWIN CONTRO COVID-19

Se SARS-CoV-2 dovesse evolvere in risposta a un vaccino anti-COVID, potrebbe adottare la strategia del virus dell’influenza, cioè cambiare in continuo le molecole di superficie per cui gli anticorpi funzionano giusto per il tempo i cui gli epitopi rimangono gli stessi. Il virus sfuggirebbe al riconoscimento e si dovrebbe aggiornare periodicamente, come per l’influenza, anche il vaccino anti-COVID. L’evoluzione potrebbe portare il virus a diventare, sotto la pressione del vaccino, invisibile e semi-innocuo, magari riproducendosi lentamente o nascondendosi in organi dove l’immunità è meno attiva. Agenti patogeni che causano infezioni croniche hanno intrapreso questa direzione e non sono rilevati perché non causano malattie acute. Una via più pericolosa per noi ospiti sarebbe quella in cui il virus sviluppasse un modo per replicarsi più rapidamente rispetto all’immunità generata dal vaccino. Oppure se il virus decidesse di colpire il sistema immunitario e smorzasse l’immunità indotta dal vaccino, come nel caso del myxoma dei conigli. Andrew Read e il suo gruppo pensano che i vaccini veramente a prova di evoluzione

siano quelli molto efficaci nel sopprimere la replicazione virale, per cui interrompono ogni ulteriore trasmissione.Il vaccino ideale prevede: nessuna replica, nessuna trasmissione, nessuna evoluzione. Inoltre, per essere a prova di evoluzione, un vaccino deve attivare risposte immunitarie che attacchino contemporaneamente diverse parti dell’agente patogeno. È normale che qualche parte del virus muti e sfugga al bersaglio, ma se molti siti vengono riconosciuti contemporaneamente, l’evasione immunitaria richiede che molte mutazioni elusive separate avvengano simultaneamente. Il che è altamente improbabile. In laboratorio, il SARS-CoV-2, ha sviluppato rapidamente una resistenza verso anticorpi monoclonali, ma ha fatto fatica a sviluppare resistenza contro un cocktail di anticorpi mirati verso siti diversi. I vaccini a prova di evoluzione proteggono da tutti i ceppi circolanti, in modo che nessun’altra variante possa riempire il vuoto quando i concorrenti sono eliminati. Almeno due centinaia di vaccini anti-COVID sono allo studio o si trovano a vari stadi di sviluppo. Andrew Read ritiene che, per

scoprire quanti abbiano le caratteristiche a prova di evoluzione, si potrebbe fare uno sforzo ulteriore durante le sperimentazioni: eseguendo tamponi sulle persone che hanno ricevuto il vaccino sperimentale, si potrebbe stabilire fino a che punto i livelli virali vengono soppressi e, analizzando il genoma dei virus nelle persone vaccinate, si potrebbe controllare se è in atto una fuga evolutiva. Infine, prelevando il sangue dai vaccinati, si potrebbe calcolare in laboratorio quanti siti del virus vengono riconosciuti dall’immunità indotta dal vaccino.Accontentarsi di un sollievo parziale o temporaneo come effetto di una strategia di vaccinazione non è saggio, perché mentre si osservano benefici per i singoli, a livello di popolazione e sul lungo periodo le persone rimangono vulnerabili. E il problema viene solo spostato, con uno scambio non conveniente tra tempo e denaro. Dal dopoguerra conviviamo con la resistenza agli antibiotici, gli insetti resistenti agli insetticidi e le erbe infestanti che resistono agli erbicidi. Sarebbe intelligente agire per tempo in modo da non ripetere una storia che conosciamo bene.

Bibliografia

Questo pezzo è un estratto del più ampio articolo di Gilberto Corbellini pubblicato da Scienza in Rete, 2021.

Andrew Read è professore di biologia ed entomologia presso il Center for Infectious Disease Dynamics, Pennsylvania State University.

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491. 2021

LO STUDIO MEDICO di Bruno Bassani nel secondo dopoguerra si trovava in corso Venezia 11, al piano terra di un vecchio seminario. I pazienti lo frequentavano soprattutto per l’innovativa cura con aerosol che vi era proposta. In quello studio, chiamato proprio “L’Aerosol del dottor Bassani”, veniva usato un marchingegno importato “dall’America” dalla sorella del medico, Eugenia Bassani, che dava sollievo a chi soffriva di malattie legate all’apparato respiratorio. Al primo piano era stato allestito quello che era chiamato “aerosolarium”, stanze in cui i pazienti utilizzavano i macchinari per l’inalazione sviluppati in alcuni casi dallo stesso Bassani, ma praticavano anche ginnastica svedese o si sottoponevano a docce scozzesi.La vita privata e professionale di Bassani, negli anni del fascismo e della Seconda guerra mondiale, era stata messa a rischio. Ebreo, con i familiari dovette sfuggire al nazismo e alla persecuzione, mentre sei milioni di ebrei sarebbero stati uccisi nella Shoah, vittime del genocidio e del regime di eliminazione che assassinò anche milioni di altre persone “indesiderabili”, come oppositori politici, omosessuali, popolazioni rom e sinti, persone con disabilità.Dopo che l’Italia nel 1938 varò le leggi razziali, Bruno Bassani a Ferrara tentò di continuare a lavorare. Per essere iscritto all’Albo dei medici, nell’aprile del 1939 tentò una richiesta alla Corte

d’appello per una borsa di studio dell’Università di Pisa presso l’Istituto della Nutrizione di Buenos Aires a cui seguì, nel maggio dello stesso anno, una nota dell’Ufficio nazionale per le relazioni culturali con l’estero, con una comunicazione del ministero degli Esteri: la domanda alle autorità argentine non fu ritenuta “opportuna, stante la vostra appartenenza alla razza ebraica”. L’anno dopo, la trafila per il diritto di esercitare la propria professione si spostò a Bologna: la Corte d’Appello della città emiliana consentì l’iscrizione nell’elenco speciale dei medici chirurghi per la circoscrizione locale. Ma, nel novembre 1941, la gravità della situazione portò a una richiesta per un permesso di transito in Portogallo per Bassani, che non andò a buon fine.Con l’anziano nonno Gilmo e la madre Lavinia Limentani, Bruno Bassani lasciò infine Ferrara, per sfuggire ai nazisti e alla persecuzione antiebraica. Scappò verso Est e, nell’agosto del 1943, arrivò a Fiera di Primiero, in Trentino, dove non vivevano ebrei e quel cognome, Bassani, non veniva riconosciuto come ebraico. Grazie a questo, il medico poté lavorare: trovò impiego nel sanatorio, impiegato dalle suore locali grazie alle sue competenze. Poi si spostò a Stresa, dove si arrischiò a entrare nel comando delle SS locali: si spinse a esigere, battendo il pugno sul tavolo, una tessera annonaria e il diritto a lavorare ed esercitare la propria professione di medico.

Audacia che sarebbe diventata mito familiare, orgoglioso aneddoto di figli e parenti: “Mio padre fu indubbiamente un personaggio leggendario, originale, coraggioso e anche molto ingombrante”, afferma (con un velo d’ironia) il figlio, Luciano Bassani, fisiatra, che insieme al fratello Roberto, neurologo, porta avanti la tradizione medica di famiglia. E Luciano lavora proprio nello stesso studio di viale Majno dove si trasferì il padre quando, ormai tornato nel capoluogo lombardo, dovette lasciare il vecchio studio di corso Venezia.

GIULIA CAUDA

Medico ebreo, diventato leggendario per la sua tenacia nell’esercitare la professione che le leggi razziali ostacolavano, Bruno Bassani si mosse tra la sua Milano e tante città del Nord Italia, attraverso una fuga impedita verso Buenos Aires, per tornare infine nel capoluogo lombardo dove si tramanda ancora la sua energia

Il coraggio oltre ogni confine

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50 INFORMAMI

CLINICOMMEDIA ieri

Quando l’esantema arriva in vacanza

69gennaio 1969

TEMPO MEDICO

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511. 2021

Rileggere casi clinici di alcuni decenni fa pubblicati sulla rivista Tempo Medico (Edizioni Edra, www.edizioniedra.it), illustrati dalla mano di Crepax, e vederli con gli occhi di oggi. Leggete “Clinicommedia ieri” poi voltate pagina e vivetela oggi

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52 INFORMAMI

CLINICOMMEDIA oggi

RILEGGENDO la Clinicommedia 37, scritta nel gennaio del 1969, sembra proprio che la diagnosi di sindrome morbilliforme per cui viene ricoverato il paziente quindicenne sia tutt’altro che obsoleta. Anzi, la manifestazione clinica più frequente è proprio quella descritta dall’aiuto del direttore: un rash cutaneo maculo-papulare che può essere di tipo scarlattiniforme, rubeoliforme o morbilliforme, appunto. Caratteristicamente non pruriginoso, particolarmente frequente con le aminopenicilline, che insorge nel 95% dei casi entro sei ore dalla somministrazione. Viceversa, nell’ipersensibilità IgE mediata le manifestazioni cliniche sono principalmente rappresentate dall’orticaria-angioedema e più raramente dall’anafilassi. Talora si evidenziano eruzioni papulose, più raramente macule estese, policicliche. Reazioni meno comuni ma più gravi e potenzialmente mortali sono gli esantemi bollosi come le sindromi di Stevens-Johnson e quella di Lyell.

AL DI LÀ delle manifestazioni cliniche più o meno minacciose, va sottolineato che i β-lattamici, classificati in quattro gruppi principali ossia penicilline, cefalosporine, carbapenemi e monobattami – a cui si aggiungono gli inibitori delle β-lattamasi (acido clavulanico, sulbactam) associati ai β-lattamici in alcune preparazioni commerciali – sono tra gli antibiotici più sicuri ed efficaci. Ma sono anche i composti che più spesso causano allergia nei bambini, negli adolescenti, come il quindicenne della Clinicommedia, e negli adulti.

LA PREVALENZA di allergie da β-lattamici che emerge dalle segnalazioni dei pazienti è del 10-20%, ma dopo un corretto iter diagnostico cala a poco meno dell’1%, con una prevalenza di anafilassi tra lo 0,015% e lo 0,004%. Viceversa, le mialgie con artralgie descritte dall’aiuto nel presentare il caso al direttore sono un fattore di confondimento: non sono sintomi di allergia, piuttosto di una patologia reumatica da risposta immunitaria anomala a un’infezione tonsillare causata classicamente da streptococchi β-emolitici di gruppo A. Tornando alle manifestazioni cliniche dell’allergia ai β-lattamici, in aggiunta a

Poco o nulla è cambiato

COMMENTO A CURA DI GIAN GALEAZZO RIARIO SFORZA

Specialista in Medicina interna, Allergologia e Immunologia clinica, Malattie respiratorie.Direttore dell’Unità operativa complessa di Medicina internaOspedale “Città di Sesto San Giovanni” ASST Nord Milano

quelle cutanee, sono rare ma possibili quelle ematologiche come l’anemia emolitica descritta dopo assunzione di penicillina, cefalosporine, piperacillina e inibitori delle β-lattamasi. Meno frequenti la neutropenia o la piastrinopenia, che compaiono di solito dopo trattamenti prolungati oltre le due settimane con β-lattamici a dosi elevate. Poco frequenti anche le manifestazioni epatiche scatenate dalla somministrazione di flucloxacillina o amoxicillina associata o meno ad acido clavulanico: colestasi, epatite granulomatosa, danno epatocellulare e insufficienza epatica. Infine, altre possibili espressioni di reazioni ritardate ai β-lattamici sono la polmonite, la nefrite acuta interstiziale, la pancreatite e la miocardite, in forma isolata o associate alla DRESS, termine introdotto nel 1996 e acronimo di Drug Reaction Eosinophilic Systemic Syndrome. Si tratta di una grave patologia sistemica indotta da anticonvulsivanti, certi antibiotici, immunosoppressori, allopurinolo e alcuni antipertensivi, che insorge tra due e sei settimane dalla somministrazione e si manifesta con febbre, rash cutaneo generalizzato, linfoadenopatia, coinvolgimento multiorgano, eosinofilia e linfocitosi con linfociti atipici. DRESS a parte, poco o nulla è cambiato nell’allergia alla penicillina: seppure tornata da un tempo passato, la Clinicommedia 37 resta attuale.

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531. 2021

DA LEGGERE

La lunga marcia della riabilitazione psichiatrica

A chi è rivolto A psichiatri, direttori sanitari di strutture residenziali e non, operatori psicosociali.

L’autore Ascanio Giuseppe Vaccaro è psichiatra, psicoterapeuta, specialista in psicologia medica e farmacologia, professore a contratto in psicopatologia presso l’Università Cattolica di Milano.

In breve Dai problemi psichiatrici si può guarire. È una lunga marcia fatta di metodo, approccio multifattoriale e multidisciplinare e sostegno della famiglia, che porta il paziente con disturbi mentali non solo a guarire, ma a vivere pienamente. Il testo spiega come organizzare una solida équipe multidisciplinare e costruire un progetto riabilitativo personalizzato che unisce la terapia farmacologica agli interventi individuali e di gruppo, per lavorare su tematiche come l’autostima, il problem solving, la resilienza, l’educazione sessuale e affettiva. Possono guarire pazienti con disturbi lievi, ma anche gravi come schizofrenia, disturbo bipolare, autismo, per citarne alcuni.

Commento Attraverso un linguaggio chiaro, alla portata non solo di chi padroneggia la materia, l’autore spinge a riconsiderare l’approccio epistemologico di base, che descrive i fenomeni attraverso rapporti di causa-effetto, e propone una logica circolare, spiegando che un obiettivo come la recovery in psichiatria si ottiene con un lavoro di squadra che dallo psichiatra coinvolge educatori sociali e la famiglia del paziente. È un libro che affronta un tema di cui si parla poco: la guarigione non significa solo assenza di malattia, ma possibilità concreta di condurre una vita normale. La riabilitazione in psichiatra è un viaggio lungo, spesso frustrante, ma i limiti impliciti nella cura della malattia mentale si possono superare.

Il libro in una frase Non vi è riabilitazione vera se non si incide, da una parte, sui fattori di vulnerabilità, tra cui i deficit di una teoria della mente (…) e, dall’altra, sui fattori protettivi legati alla competenza sociale e relazionale.

Titolo Recovery in psichiatria – dalla valutazione al progetto personalizzato

Autore Ascanio G. Vaccaro

Editore Franco Angeli

Formato Cartaceo, 378 pagine

Anno 2020

Prezzo 40,00 euro

Titolo Memorie di uno smemorato

Autore Ugo Garbarini

Editore Ugo Garbarini

Formato Cartaceo/Ebook, 289 pagine

Anno 2021

Prezzo Cartaceo 7,05 euro – Ebook 1 euro

Memorie di un medico smemorato

A chi è rivolto A chiunque si interessi di storia.

L’autore Ugo Garbarini è presidente onorario dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Milano, già presidente di questo Ordine dal 2009 al 2011. Primario ospedaliero emerito.

In breve Ugo Garbarini nasce a Milano nel 1932, nel primo decennio fascista. In questo libro racconta la sua vita, dall’infanzia sotto le bombe fino agli studi di medicina all’Università di Pavia e poi le sue esperienze come medico militare prima e medico della mutua poi, che ci

restituiscono, oltre alle sue memorie, uno spaccato della storia italiana e della storia di Milano. Garbarini si è dato da fare, senza spalle coperte, contando sulle proprie forze e riuscendo a fare la professione dei suoi sogni nella sua città. Ha lavorato in diversi ospedali

lombardi, è stato anche medico della Guardia di finanza e medico della Scala di Milano. Ricorda la sua carriera all’Ordine dei medici di Milano, nella lista di Riscatto medico dove iniziò come consigliere e di cui oggi ricopre la massima carica onoraria.

Commento Un racconto appassionato, a tratti ironico, che scivola via come una chiacchierata. Un medico che a 89 anni non pensa minimamente ad appendere il camice al chiodo e che vive ogni giorno come un regalo, in attesa di quel viaggio per cui probabilmente ha deciso di scrivere questo libro: una testimonianza da lasciare ai suoi nipoti, una biografia che mette insieme le tappe straordinarie della sua esistenza. Come disse Marquez: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda per raccontarla”.

Il libro in una frase Quanto tempo per acquisire i primi cento mutuati, quante corse, quanta pazienza. Perché il giovane medico, quasi come nella pesca a strascico, raccoglie tutti i nevrotici non più sopportati dai loro estenuati “curanti”. Lunghe sedute, lunghi ascolti, obbligata prescrizione di placebo che la mutua allora concedeva gratuitamente non come acqua fontis ma come costose specialità farmaceutiche.

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DA VEDERE

Due amici, molti equivoci e l’ombra della malattia terminale

A chi è rivolto Al grande pubblico.

Il regista e il cast Dal cinema al teatro, il duo registico Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière ha alle spalle una longeva storia di collaborazione di sceneggiature e un lungometraggio insieme (Cena tra amici). La “strana coppia” di protagonisti è interpretata da Fabrice Luchini e Patrick Bruel.

In breve Amici inseparabili fin dall’infanzia, Arthur e César non potrebbero essere più diversi. Il primo è un medico ricercatore all’Institut Pasteur, padre divorziato di una diciassettenne, pignolo e affabile; il secondo, donnaiolo incallito, si gode la vita senza responsabilità. Dopo un incidente, Arthur accompagna una sera in ospedale César, ferito, il quale prende in prestito la sua tessera sanitaria (e quindi la sua identità). Arthur riceve quindi il giorno dopo l’esito dell’esame: i raggi X rivelano un cancro ai polmoni incurabile. Nel comunicarlo all’amico nasce il disguido: César si convince che è il medico il malato terminale mentre Arthur, d’altra parte, non ha il coraggio di dirgli la verità. I due iniziano quindi un viaggio insieme, cercando di vivere ogni giorno come fosse l’ultimo.

Commento Classica commedia degli equivoci francese, il film ruota sul confronto tra due caratteri opposti, con l’ombra incombente del cancro su entrambi. Della malattia oncologica viene dato un ritratto che passa soprattutto per le parole e per i non detti. Il malinteso verbale sulla diagnosi crea lo scompiglio iniziale tra i due amici e i rispettivi cari, avvicina e allontana i protagonisti ma, soprattutto, fa venire a galla il sostegno reciproco e le relative fragilità. La discussione sul cancro è veicolata anche dalla figura dell’ex paziente Randa, la quale conduce i gruppi di supporto per i malati e che ristabilirà l’ordine tra Arthur e César. Sul piano professionale, il mondo della ricerca scientifica sulle malattie infettive a cui appartiene Arthur purtroppo rimane in sottofondo. Molte scene del film sono state girate davvero all’Institut Pasteur, coinvolgendo più di 90 comparse tra ricercatori e dottorandi.

Il film in una scena Lo spezzone in cui Arthur dice a César che ha un cancro terminale. È una scena non verbale, sovrastata da una musica melanconica in sottofondo, in cui viene dato risalto soprattutto alle reazioni dei due.

Titolo Geni della chirurgia

Registi e sceneggiatori

Lucy Blakstad, Stephen Cooter, James Newton e Sophie Robinson

Produzione BBC Studios Production. Produttori esecutivi: Andrew Cohen e James Van der Pool

Anno dicembre 2020

Durata 1 stagione di 4 episodi (51-58 minuti a episodio)

Titolo Il meglio deve ancora venire (titolo originale: Le meilleur reste à venir)

Registi e sceneggiatori

Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière

Produzione Pathé, Groupe M6

Anno 2020

Durata 118 minuti

Veri chirurghi protagonisti e narratori nella docuserie della BBC

A chi è rivolto Questi documentari, attraverso un linguaggio toccante e profondo, possono coinvolgere chiunque, non solo gli addetti ai lavori (VM 14 anni).

Il regista e il cast I registi degli episodi sono Lucy Blakstad,

Stephen Cooter, James Newton e Sophie Robinson. Il primo episodio è dedicato al professor Kypros Nicolaides che lavora al King’s College Hospital di Londra, il secondo segue il dottor Alfredo Quiñones-Hinojosa dell’ospedale di Jacksonville, in Florida, il terzo ha come protagonista la dottoressa Nancy Ascher, specialista in trapianti d’organo presso l’Università della California di San Francisco e infine l’ultimo racconta l’esperienza della dottoressa Devi Shetty che lavora in uno dei più grandi centri medici del mondo in India.

In breve Ogni episodio ha per protagonista un chirurgo che porterà il pubblico nella sua sala operatoria o nel suo dipartimento universitario, e che diventa narratore della propria professione attraverso la spiegazione di casi medici. Kypros Nicolaides aiuta le pazienti ad affrontare le difficoltà emotive legate alle complicazioni della gravidanza. Alfredo Quiñones-Hinojosa racconta il suo percorso da bracciante immigrato a neurochirurgo di punta. Nancy Ascher fa storia come la prima donna a eseguire un trapianto di fegato. Devi Shetty è cardiochirurgo, poi un incontro con Madre Teresa cambia la sua vita.

Commento I quattro chirurghi, pionieri nel loro campo, riflettono sulla propria vita e sulla propria professione. Con una prospettiva estremamente realista e dunque lontana dai tanti drammi medici della tv generalista, questa docuserie BBC arriva in un momento in cui l’attenzione per la scienza e la medicina sono forse al massimo storico.

Il film in una scena Per Alfredo Quiñones- Hinojosa entrare in un cranio è sacro: “Ogni volta che entro in un cervello per rimuovere un tumore c’è un momento cruciale in cui tutto può cambiare molto in fretta. Ci vuole coraggio temprato dalla paura del fallimento”.

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La nuova piattaforma web di OMCeOMIdedicata ai webinar ECM

Gestire la propria casella Pec

Ricordiamo che la L. 2/2009, di conversione del D.L. 185/2008, prevede l’obbligo in capo ai professionisti iscritti agli Albi di possedere una casella di Posta Elettronica Certificata (P.E.C.) da comunicare agli Ordini di appartenenza. Pur non avendo, la stessa, previsto sanzioni per i trasgressori, rimane comunque un obbligo di legge da ottemperare e una norma indispensabile per favorire un flusso informativo corretto tra professionisti e tra l’iscritto all’Albo e autorità o istituzioni pubbliche e private. Gli Ordini provinciali a loro volta sono tenuti a comunicare (attraverso la Federazione degli Ordini dei Medici e Odontoiatri) l’elenco degli indirizzi PEC dei propri iscritti a INIPEC, che provvede alla pubblicazione sul proprio portale www.inipec.gov.it (Ministero dello Sviluppo Economico) per renderle pubbliche e accessibili a chiunque. Invitiamo alla consultazione periodica della propria casella PEC, in quanto essa costituisce per ogni professionista il canale ufficiale di comunicazione per chiunque, sia privati sia Autorità ed enti pubblici e privati.

È online la nuova piattaforma informatica dell’OMCeOMI dedicata all’Educazione Continua in Medicina, ideata per consentire ai nostri iscritti un facile accesso a tutti gli eventi formativi dell’Ordine. Registrandosi al linkwww.omceomi-ecm.it, si potrà: • visionare i programmi degli eventi

in calendario• iscriversi agli eventi • guardare i video dei webinar• compilare il questionario finale

dell’apprendimento• compilare il questionario di

valutazione della qualità percepita• scaricare l’attestato di

partecipazione• scaricare il certificato ECM

clicca QUI per guardare il tutorial

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con il questionario ECM direttamente sulla piattaforma.

Ricordati che sono disponibili i corsi su Long COVID: le conseguenze dell’infezione a lungo termine e sulla multiantibiotico resistenza.

L’accesso è gratuito per tutti gli iscritti all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Milano

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