Top Banner
FLY OVER THE TIME
76

Fly over the time

Apr 07, 2016

Download

Documents

GIULIANO BASSO

Presentazione del Progetto 87a Squadriglia SVA. Ricostruzione di tre repliche, di cui due volanti ed una statica, del velivolo Ansaldo SVA 10 e rievocazione, nei rispettivi centenari, delle grandi imprese compiute da questo aeroplano: il Volo su Vienna di Gabriele d'Annunzio ed il Raid Roma-Tokyo di Arturo Ferrarin e Gino Capannini.
Welcome message from author
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
Page 1: Fly over the time

F LY O V E R T H E T I M E

Page 2: Fly over the time
Page 3: Fly over the time

Sognare e volare non sono in fondo attività così distanti.

Nella vita molti coltivano un sogno, anche gli aviatori.

Gli aviatori, però, sono persone diverse,

che faticano a stare con i piedi per terra.

Amano sognare, ma più di tutto amano volare.

A volte accade che sogno e volo si sovrappongano

e s’intreccino. Talvolta il sogno

diventa il mezzo per finalizzare un volo.

Talvolta il volo diventa il mezzo

per concretizzare un sogno.

Così spesso nascono le grandi avventure.

In questo modo è iniziata anche la nostra impresa,

sognando di riportare alla vita e in volo

uno degli aeroplani più famosi dell’aviazione militare

tricolore, nel periodo che va dai suoi albori

alla Grande Guerra: il biplano Ansaldo SVA che nel 1918

arrivò sul cielo di Vienna, e che solo un paio d’anni dopo

si spinse, sorvolando luoghi in cui mai

si era visto e sentito un aeroplano, fino a Tokyo.

PAGE3

chi non ha desideri, ma soltanto sogni, è felice(Paulo Coelho)

Page 4: Fly over the time
Page 5: Fly over the time

PAGE5Il volo dell’uomo è una storia in-credibilmente breve e intensa che si svolge in poco più di un secolo, costellata da grandi sfide e successi, entusiasmi e delusioni, passioni e drammi.

In questa vicenda lo SVA ha rappresentato una svolta, un ponte ideale tra due epoche: le sue ali esili e traslucide, in legno e tela sono poco diverseda quelle che sostennero i primi saltelli del Flyer o il volo del Bleriot attraverso la Manica, ma appaiono innestate su una fusoliera che sem-bra pensata e costruita un secolo dopo, caratterizzata da linee sinuose ed eleganti, da una aerodi-namica ricercata, dall’uso del rivestimento in legno con funzione strutturale.

Lo SVA è un oggetto di potente bel-lezza e di sconcertante modernità, che pare uscito direttamente dal quadro di un aeropittore futurista.Accanto alla sua estetica, si possono apprezzare soluzioni progettuali e costruttive che stupiscono per il contenuto innovativo e tecnologico: l’adozione di un motore da 220 cavalli, i montanti diagonali

per il collegamento dei piani alari, la quasi totale assenza di cavi ester-ni di controventatura e la scelta di una sezione triangolare nella parte posteriore della fusoliera per migliorare la visibilità verso il basso.

Questi accorgimenti resero possibili all’aeroplano prestazioni di assoluto rilievo, fatto che all’epoca rappre-sentò un grande successo commer-ciale per la nostra industria aero-nautica nazionale, anche in mercati stranieri, tanto che nel 1928, quando cessò la sua produzione, ne erano stati costruiti oltre 2.000 esemplari.

Oggi sopravvivono pochi SVA, conservati nei principali musei ita-liani. Sono stati salvati dall’oblio che accomuna tanto del patrimonio della nostra aviazione storica solo grazie all’aura mitica delle memo-rabili imprese, sognate e volute da Gabriele d’Annunzio, nelle quali questi biplani furono impiegati. Ma nessuno di questi è in condizione di volo.Il nostro sogno è quello di costruire e far volare questa macchina meravigliosa.

Giorgio BonatoAlessandro Marangoni

Più si riesce a guardare indietro, più avanti si riuscirà a vedere.(Winston Churchill)

Page 6: Fly over the time

SCHEDA TECNICA / TECHNICAL DETAILS

Apertura Alare / Wingspan: 9,18 mt.Lunghezza / Length: 8,13 mt.Superficie alare / Wing area: 26,90 mq.Peso a vuoto/ Empty weight: 690 kg.Peso massimo/ Overall weight: 990 kg.Motore / Powerplant: SPA 6APotenza / Power: 200 hpVelocità massima / Maximum speed: 220 km/hVelocità di crociera / Cruising speed: 150 km/hAutonomia / Endurance: 3-4

VELIVOLO SVA

Page 7: Fly over the time

SCHEDA TECNICA / TECHNICAL DETAILS

Apertura Alare / Wingspan: 9,18 mt.Lunghezza / Length: 8,13 mt.Superficie alare / Wing area: 26,90 mq.Peso a vuoto/ Empty weight: 690 kg.Peso massimo/ Overall weight: 990 kg.Motore / Powerplant: SPA 6APotenza / Power: 200 hpVelocità massima / Maximum speed: 220 km/hVelocità di crociera / Cruising speed: 150 km/hAutonomia / Endurance: 3-4

PAGE7

Page 8: Fly over the time
Page 9: Fly over the time

PAGE9

Page 10: Fly over the time
Page 11: Fly over the time

PAGE11

...il carattere grazioso di quello SVA che meravigliò Vienna...

di singolare bellezza come un oggetto dell’industria antica come una lanterna del Caparra, come un violino di Andrea Guarneri.

Gabriele d’Annunzio

Page 12: Fly over the time
Page 13: Fly over the time

PAGE13Per poter affrontare la costruzione abbiamo recuperato una consistente raccolta di progetti originali e, oltre a questi, abbiamo avuto modo di esaminare gli esemplari originali conservati a Trento, al Vittoriale e presso la sede Alenia di Torino (unico esemplare di SVA 9 biposto recuperato in USA e magistralmente restaurato dal GAVS di Torino, completo del motore originale e potenzialmente volante

Da alcuni anni abbiamo intrapreso una ricerca storica molto attenta e tuttora in corso, che ci ha permes-so di raccogliere e ordinare una mole imponente di referenze, materiali e informazioni e di poter risalire alle tavole origina-li del progetto sviluppato da Savoia e Verduzio negli anni 1917-1920.

Abbiamo ammirato, studiato e analizzato questi disegni su carte ingiallite, cercando di cogliervi l’incredibile cura, mae-stria e capacità, ma anche la dedi-zione e la formidabile manualità, di quegli uomini vissuti cent’anni fa.Qualità autentiche e rare che oggi riconosciamo come peculiari nel tanto celebrato Made in Italy.

Finalmente ci accingiamo a realizzare questi sogni: ricorrendo agli stessi materiali, con le medesime tecniche costrutti-ve e i processi di lavorazione ma-nuale, ma soprattutto con la passio-ne di allora costruiremo tre nuovi esemplari dello SVA 9, la versione biposto, con cui riporteremo in volo anche le emozioni e lo spirito della 87a Squadriglia Serenissima.

L’aeroplano ci ha svelato il vero volto della terra (Antoine de Saint Exupery)

Page 14: Fly over the time
Page 15: Fly over the time

PAGE15Nei nostri laboratori si inizia a percepire il profumo di legno e colla, di olio e benzina; iniziano a nascere centine, longheroni, ordinate e parti della fusoliera.Molto presto, le forme sinuose e quasi femminili degli SVA torneranno in bella mostra.

Ci sono momenti nei quali l’arte raggiunge quasi la dignità del lavoro manuale. (Oscar Wilde)

Page 16: Fly over the time
Page 17: Fly over the time

PAGE17

GIORGIO BONATO

Nasce a Nove ( VI ) il 13 Giugno 1965. Sin da giovanissimo è attratto dal mondo del volo e già a dieci anni riesce a costruirsi i primi modelli volanti da volo libero. Tra i suoi miti giovanili troviamo John Kaufmann, Rudolf Wollmann, Bruno Ghibaudi, celebri autori di libri di costruzioni per ragazzi.Crescendo, Giorgio perfeziona le sue capacità tecniche e costruttive e apprende i principi del volo, praticando intensamente aeromodellismo a vari livelli: dal vincolato circolare ai veleggiatori da pendio, fino ai mezzi radiocomandati; sempre da autodidatta e seguendo la sua filosofia: costruire, collaudare e sperimentare in prima persona.La voglia di staccarsi da terra è sempre più forte e lo porta appena possibile ad iscriversi ad una scuola di volo.Nel 1988 ottiene la sua prima licenza di volo all’Aero Club Vicenza, nel 1991 consegue il brevetto di secondo grado e nel 1993 quello di pilota di aliante veleggiatore. Nel 2000, infine anche l’abilitazione al VDS elicottero.Dal 1985 è socio attivo del Club Aviazione Popolare e inizia a collaborare con le più importanti realtà del restauro e dell’autocostruzione di velivoli in Italia. Nel 2004 è tra soci fondatori dell’Historical Aircraft Group (HAG), associazione che si afferma rapidamente in Italia come il gruppo più importante di cultori, piloti e simpatizzanti di velivoli storici.L’attività professionale nell’azienda di famiglia “Fu-sina srl”, fondata dal padre e poi sviluppata grazie all’innata manualità di Giorgio e alle capacità arti-stiche e commerciali del fratello Luca, gli permette di confrontarsi e collaborare con importanti realtà imprenditoriali del panorama del design e del made in Italy, realizzando importanti lavori su commis-sione esposti in gallerie, musei e collezioni private internazionali, e di perfezionare costantemente le sue conoscenze e competenze tecniche.Nel 2003 intraprende il primo restauro, uno Stinson L 5 del 1942, che è completato con successo nel 2006.

Ma qui inizia una nuova storia…

Page 18: Fly over the time
Page 19: Fly over the time

PAGE19

ALESSANDRO MARANGONI

Nasce a Rovereto ( TN ) il 23 ottobre del 1959.Giovanissimo si appassiona al mondo del volo e degli aeroplani.A dodici anni si avvicina al modellismo statico costruendo i vari warbirds della prima e seconda guerra mondiale, periodo storico di cui negli anni a seguire divorerà tutta la narrativa e la cinemato-grafia reperibile.A quattordici anni inizia a frequentare il gruppo aeromodellisti della sua città e a cimentarsicon i primi modelli volanti. Dal volo vincolato passa rapidamente al volo radiocomandato.A quindici anni riceve in regalo un ciclomotore che smonta completamente dopo pochi giorni per comprenderne il funzionamento: in quel momento scoppia la passione per le moto, le auto e tutto ciò che è spinto da un motore.Una passione fortissima che lo porterà, dal 2004 al 2008, ad entrare in pista e a correre come pilota professionista nei vari autodromi europei, prima con la Mazda RX 8, poi con la Nissan 350Z.La passione del volo tuttavia non si interrompe e lo spinge ad avvicinarsi sempre più a quel mondo.Ottiene la licenza di volo sul campo di Bolzano nel 1993. Nel 2008 a Thiene consegue l’abilitazione acrobatica.Dopo le abilitazioni aeronautiche arrivano gli aeroplani. Nel 2004 acquista un Falco FL 8, nel 2009 uno YAK 52 e poi un Piper LH 4 che presto sarà portato ai vecchi splendori di quando, nel secondo conflitto mondiale, giunse in Italia con lo sbarco in Sicilia. Professionalmente opera nel settore immobiliare.

Page 20: Fly over the time

Il 12 gennaio 1918 fu ufficialmen-te costituita la 87a Squadriglia Aeroplani da Caccia “La Serenis-sima”, sul campo di Ponte San Pietro, in provincia di Bergamo. Rischierata in seguito a San Pela-gio, nei pressi di Padova, diventò la protagonista del celebre Volo su Vienna, portato a termine da sei biplani monoposto SVA 5 pilotati da Giordano Granzarolo, Gino Allegri, Antonio Locatelli, Pietro Massoni, Aldo Finzi, Giu-seppe Sarti e Ludovico Censi e dallo SVA 9 condotto da Natale Palli, con Gabriele D’Annunzio a bordo.

La Squadriglia fu sciolta e non più ricostituita il 15 agosto 1943.

Ben 95 anni dopo, nel genna-io 2013, sull’aeroporto Gianni Caproni di Mattarello a Trento è stato idealmente sottoscritto l’atto di rifondazione dell’87a Squadriglia. Perché ispirare oggi un’associazione culturale a un reparto di volo storico?Certamente non per ideologia nostalgica, né per una banale esaltazione e celebrazione, piuttosto per comunicare e rappresentare degnamente la passione e le imprese di uomi-

Page 21: Fly over the time

PAGE21ni che si misero in gioco, superando con i loro mezzi incredibili limiti impensabili. Uomini che furono protagonisti indiscussi della loro epoca, per la loro determinazione e lo spirito, in anticipo rispetto a quei tempi e forse ancora rispetto ai nostri.L’associazione 87a Squadriglia SVA,i cui soci fondatori sono:Stefano Azzolin,architetto, pilota VDSGiuliano Basso, architetto e graphic designer

Giorgio Bonato, artigiano, pilota, collezionista e restauratore in campo aeronauticoAlessandro Marangoni, imprenditore, pilota, collezionista di velivoli storiciAntonio Vidale, ingegnere elettrico, IT Manager, Web and AppsdeveloperStefano Micheli, dottore commercialista e pilota,si è data tre obiettivi ambiziosi

per il prossimo quinquennio:- sostenere il progetto S.V.A e curarne la divulgazione;- attivare il nascente ROMA-TOKYOHANGARMVSEVMin fase di ultimazione presso l’Aero-porto Arturo Ferrarin di Thiene, che sarà la base operativa di una colle-zione di velivoli storici e la sede permanente dell’associa-zione e delle sue attività;- Promuovere e pianificare i progetti “Volo su Vienna 2018” e gettare le basi per il “Raid Tokyo-Roma 2020”;

Page 22: Fly over the time
Page 23: Fly over the time

PAGE23Il riferimento iconografico da cui prende origine il logo 87° Squadriglia SVA è il fregio riprodotto sulle fusoliere dei velivoli che hanno compiuto il volo su Vienna. Interpretato con stile e linguaggio grafici attuali riprende l’espressio-ne del Leone Marciano, e le fiam-me del gonfalone veneto (che, in numero di tre, rappresentano anche la lettera “E” iniziale di Europa. La “S” costituisce un accenno allo

stile DECO tipico dell’epoca dan-nunziana e richiama il nastro su cui poggia il leone; nella voluta inferio-re ingloba la coccarda tricolore a colori invertiti in uso in quel perio-do. Le due frecce contrapposte che costituiscono la “V”e la “A” rappresentano simbolicamente, in forma di vettori, le rotte di anda-ta e di ritorno del volo su vienna. I colori del logo evocano le armonie cromatiche del velivolo SVA in cui il porpora e il giallo oro sono integra-ti nel legno del fasciame

Page 24: Fly over the time
Page 25: Fly over the time

PAGE25Le forme sinuose del velivolo, lo stile tipografico di inizio secolo, gli elementi cromatici caratterizzanti (il legno, i colori nazionali italiani, il blu, il porpora, l’oro, gli elementi iconici legati al volo come il volan-tino tricolore, la deriva, l’nsegna della stella polare, aprono grandi possibilità di sviluppo in ambito grafico e comunicazionale.

Page 26: Fly over the time

SVA

01

SVA

02

Page 27: Fly over the time

PAGE27

SVA03

SVA04

Page 28: Fly over the time

SVA

13

Page 29: Fly over the time

PAGE29

SVA

06

SVA

05

Page 30: Fly over the time

SVA

17

SVA

16

Page 31: Fly over the time

PAGE31

SVA

19

SVA

18

Page 32: Fly over the time

SVA

22

SVA

20

SVA

21

Page 33: Fly over the time

PAGE33

SVA

25

SVA

23

SVA

24

Page 34: Fly over the time

SVA

37

SVA

35

SVA

36

Page 35: Fly over the time

PAGE35

SVA

40

SVA

38

SVA

39

Page 36: Fly over the time
Page 37: Fly over the time

PAGE37

Page 38: Fly over the time
Page 39: Fly over the time

PAGE39Il simbolo principale che caratterizza il logo è costituito dalla fusione delle due coccarde italiana e giapponese, a rappresentare il legame ideale tra i due Paesi creato dal viaggio di Arturo Ferrarin

La forma della coccarda utilizzata in aeronatica rappresenta idealmente il disco dell’elica

Nel nostro caso, le due sezioni circolari grigia e verde caratterizzate da due pesi ottici diversi rendono dinamico l’insieme rispetto al perno visivo costituitodal disco rosso comune alle due insegne

La forma ottenuta dall’assemblaggio delle due sezioni di coccarda risulta sovrapponibile alla mappa storica che rappresenta ed illustra il percorso del raid di Ferrarin

Possiamo, pertanto, affermare che il logo così ottenuto riesce anche ad evocare visivamente questo documento che costituisce quasi un’icona dell’impresa

Page 40: Fly over the time
Page 41: Fly over the time

PAGE41La scritta che identifica il Museo viene composta con carattere Proxima Nova Condensed tutto altoSi sceglie di disporre le quattro pa-role secondo la sintassi inglese, dato che ciò facilita la memorizza-zione e la leggibilità del nome. Nel termine MUSEUM le due lettere “U” sono sostituite dalla versio-ne latina classica della medesima lettera (“V”) Questo rende il mome decisamente più autorevole e, dal punto di vista grafico, alleggerisce le aree di contatto tra le “M” e le “U” che, altrimenti, avrebbero rischiato di creare una “macchia” nella tessitura dei caratteri

La versione presentata in questa tavola è sviluppata su un’unica riga e la successione delle parole è scandita dal cambio di forza dei caratteri e dal colore degli stessi che varia tra i termini “ROMA TOKIO” grigi ed i termini “HANGAR MUSEUM” neri.

La spaziatura tra le due coppie di parole è volutamente ridotta per suggerirne la lettura come termini composti. Una versione a spaziatura ridottain cui i caratteri sono legati l’uno all’altro, viene prevista per po-ter essere realizzata come oggetto fisico tridimensionale.

HANGARMVSEVMROMATOKYO

HANGARMVSEVMROMATOKYO

HANGARMVSEVMROMATOKYO

HANGARMVSEVMROMATOKYO

HANGARMVSEVMROMATOKYO

HANGARMVSEVMROMATOKYO

HANGARMVSEVMROMATOKYO

Page 42: Fly over the time
Page 43: Fly over the time

PAGE43Il nuovo RomaTokyoHangarMvsem (RTHM) presso l’aeroporto Arturo Ferrarin di Thiene (LIDH), sarà la base operati-va della collezione di aeroplani storici di Giorgio Bonato, nonché la sede dell’87a.L’architettura dell’edificio è stata pensata per ospitare perma-nentemente i velivoli storici in condizione di volo, gli archivi,la biblioteca dell’associazione e per accogliere, in vari periodi dell’anno, attività di laboratorio, espo-sizioni, incontri e workshop pubblici e privati, legati al mondo del volo ma anche a temi collaterali.Una rampa che riproduce la segnale-tiva di una pista di atterraggio accoglie i visitatori e gli accompagna verso l’interno.Nella pagine seguenti sono docu-mentate le numerose occasioni in cui l’Hangar Museo è stato sede di incon-tri, convegni, corsi di formazione aero-nautica, ed è stato visitato da amici ed ospiti.

Page 44: Fly over the time
Page 45: Fly over the time

PAGE45

Page 46: Fly over the time
Page 47: Fly over the time

PAGE47

Page 48: Fly over the time
Page 49: Fly over the time

PAGE49IL VOLO SU VIENNA

Il raid su Vienna era stato progettato da Gabriele D’Annunzio da oltre un anno, ma fu possibile organizzarlo solamente nell’estate del 1918 con la disponibilità del nuovo velivolo da ricognizione ANSALDO SVA, che grazie alla sua notevole autonomia, consentiva l’effettuazione della missione con un buon margine di sicurezza per il rientro dei velivoli. Della missione, venne incaricata l’87° Squadriglia Aeroplani “La Serenissima”, basata a San Pela-gio in provicia di Padova, che mise a disposizione per il raid undici velivoli SVA monoposto e un biposto appositamente modificato per poter ospitare D’Annunzio, che volle a tutti i costi partecipare all’impresa. I piloti selezionati erano i miglio-ri del reparto: Antonio Locatelli,

Girolamo Allegri, Lodovico Censi, Aldo Finzi, Pietro Massoni, Giordano Bruno Granzarolo, Giuseppe Sarti, Francesco Ferrarin, Masprone e Contratti. Il velivolo biposto, il cui posto an-teriore era occupato da Gabriele d’Annunzio, era invece affidato al Capitano Natale Palli.Dopo aver dovuto sospendere due tentativi il 2 e l’8 agosto a causa delle condizioni meteo non favore-voli, la mattina del 9 agosto, alle ore 05:50 gli undici velivoli decollarono dal campo di aviazione di San Pela-gio. Purtroppo tre velivoli, i velivoli di Ferrarin, Masprone e Contratti, furono costretti all’abbandono per guasti tecnici, mentre lo SVA di Sarti fu costretto ad atterrare in emer-genza per problemi al motore sull’a-eroporto di Wiener Neustadt, dove però Sarti riusciva ad incendiare lo

S.V.A. prima di essere catturato. I velivoli rimanenti riuscirono però nell’impresa di raggiungere la capitale dell’ Impero Austro Unga-rico, giungendo sulla verticale della città alle 9:20 di mattino e lanciando 50.000 copie di un manifestino sul quale era scritto “Viennesi! Imparate a conoscere gli Italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnel-late. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà”. Dopo il lancio dei volantini la for-mazione rientrò al campo di San Pelagio indisturbata. Il raid di oltre 1000 Km, 800 dei quali volati so-pra territorio nemico, ebbe grande risonanza sia in Italia che in Austria e viene annoverato come il raid più lungo di tutto il conflitto, entrando a buon diritto nella storia dei primati dell’Aviazione Italiana.

Page 50: Fly over the time

IL RAID ROMA TOKYO

Al termine della Grande Guerra, il poeta Gabriele D’Annunzio ideò una nuova impresa aviatoria, volare da Roma a Tokyo, compiendo un raid aereo per diffondere e celebrare il nome d’Italia in quelle terre lon-tane. Appoggiato dall’industria aeronautica, che riteneva il progetto un’ottima opportunità per promuove-re le capacità e i mezzi dell’industria aeronautica italiana, D’Annunzio avviò i preparativi coinvolgendo l’87° Squadriglia. Per una serie di circo-stanze politiche e di opportunità, tale ipotesi sfumò e lo Stato Maggiore dell’Aeronautica decise di organizzare una vera e propria flottiglia per riuscire nell’impresa.

Page 51: Fly over the time

PAGE51Venne allestita una flotta di ben quindici aerei, tra cui quattro velivoli plurimotori Caproni Ca.3 e undici biplani biposto Ansaldo SVA, quattro dei quali dislocati presso varie tappe strategiche come velivoli di riserva e altri due utilizzati come velivoli staffetta apripista. La squadriglia di plurimotori Caproni era formata da un triplano Caproni Ca. 4 e da due biplani Ca.33 ed un Ca.5. Si decise inoltre che i trimotori Caproni, essendo più lenti, fossero i primi a partire, tra l’8 gennaio ed il 2 febbraio. La pianificazione del volo originaria prevedeva che dopo aver attraversato tutta l’Asia, i cinque SVA arrivassero a Tokio possibilmente in formazione assieme a tutti bom-bardieri. Il governo italiano finanziò l’impresa, mettendo a disposizione la somma di 20 milioni (una cifra esorbitante per l’epoca) e allestendo campi di assistenza e rifornimento di carburante durante il percorso. Con una capacità massima di 330 litri di benzina, lo SVA disponeva di un’autonomia di 8 ore e un rag-gio d’azione di poco superiore a 1000 km. Vennero perciò pianifi-cate tappe ben precise riassunte nel piano di volo di Arturo Ferrarin, che sarà il primo pilota a rag-giungere Tokyo, le tratte erano: Centocelle-Gioia del Colle–Valo-

na-Salonicco-Adalia-Aleppo-Bag-dad-Bassora-Bandar Abbas-Chah Bahar-Karachi-Delhi-Allaha-bad-Calcutta-Rangoon-Ban-gkok-Hanoi-Macao-Canton-Foo-chow-Shanghai-Tzingtao-Pechi-no-Seoul-Osaka-Tokyo.L’impresa si dimostrò ben presto molto complicata, con i Caproni messi quasi subito fuori causa da atterraggi su terreni non ottima-li e con gli SVA decimati da avarie tecniche e imprevisti meteo.Solo due velivoli riuscirono a proseguire l’avventuroso viaggio e il 30 maggio 1920, il primo SVA pilotato con perizia abilità e fortuna da Arturo Ferrarin e dal motorista Capannini riuscì ad atterrare a Osa-ka, accolto da una folla immensa e dalle autorità locali. Poco ore dopo giunse anche l’altro SVA pilotato da Masiero decretando così il successo definitivo del raid.Il giorno seguente i due SVA decol-larono alla volta di Tokyo e nonostante le cattive condizioni meteo giunsero alla destinazione finale, unici velivoli superstiti degli undici partiti dall’Italia.In realtà l’equipaggio di Masiero fu considerato non più ufficialmente in “gara”, avendo dovuto percorrere il tratto Canton-Shangai in nave pri-ma di poter prendere uno degli SVA

di riserva, al contrario di Ferrarin, che nonostante avesse dovuto sosti-tuire il suo aereo a Calcutta, era in ogni caso riuscito a percorre-re tutte le tratte di volo previste.Benché soltanto due dei velivoli partiti da Roma fossero riusciti a raggiungere il Giappone, il successo del raid rappresentò un clamoroso trionfo per l’Aviazione e l’industria aeronautica italiana e un’impresa senza precedenti per quell’epoca, compiuta coprendo con fragili bipla-ni 18.000 km alla media considere-vole di 160 km/h in 112 ore di volo.Il raid fu ampiamente celebrato a Tokio e Arturo Ferrarin venne nominato eroe Giapponese riceven-do l’investitura di samurai, la più grande Onorificenza riservata ad uno straniero.

Page 52: Fly over the time

15 febbraio 1920

Page 53: Fly over the time

30 maggio 1920

PAGE53

Page 54: Fly over the time
Page 55: Fly over the time

Il progetto SVA, intrapreso

dai costruttori e piloti Giorgio Bonato

e Alessandro Marangoni, prevede

la costruzione di tre esemplari volanti

della versione biposto SVA 9.

Non si tratta di velivoli restaurati,

né di repliche in scala rivista,

ma di un lotto di tre velivoli

realizzati ex-novo che differiranno

dagli originali per il motore,

gli equipaggiamenti

e la strumentazione imposti

dalle normative attuali.

L’obiettivo è poter disporre

permanentemente di due esemplari

in condizione di volo

e di un terzo di riserva.

Il progetto è nato da un’iniziativa

privata, che già da alcuni anni

è guidata da un’approfondita indagine

storica e tecnica, grazie al recupero

e alla digitalizzazione dei progetti

originali dello SVA, passando

per l’esame e il rilievo fotografico

degli esemplari monoposto originali,

conservati al Museo Caproni

di Trento e al Vittoriale e dell’unico

biposto, recuperato negli USA,

magistralmente restaurato

dal GAVS e ora custodito

presso l’Alenia a Torino.

Accanto al recupero delle

indispensabili fonti e referenze

tecniche, la ricerca si è allargata

alla raccolta di documenti, cronache

e testimonianze sul velivolo,

fino ai contatti diretti con i discendenti

dei piloti protagonisti

delle imprese dello SVA.

La costruzione avviata recentemente,

in accordo alla normativa

e con la supervisione tecnica del CAP,

ha come primo step l’allestimento

di un mock-up della fusoliera

in scala 1:1, non in materiale

aeronautico, per valutare

la congruenza di tutte le scelte

progettuali, condotte anche

avvalendosi di programmi

di modellazione 3D e Cad/Cam

e per verificare l’effettiva compatibilità

di tutti i componenti, i sistemi

e gli impianti. Assolta la sua funzione,

il mock-up potrà essere

eventualmente completato come

simulacro per esposizione statica.

Parallelamente sono in fase

di approntamento finale

gli scali di montaggio le dime

e le attrezzature necessarie

per la costruzione dei semilavorati

e delle centinaia di parti

che costituiranno i “nuovi SVA”.

I tre esemplari volanti saranno fatti

con gli stessi materiali dello SVA

originale, rispettando,

e ove possibile migliorando,

i procedimenti costruttivi del 1907.

L’adozione di un motore a sei cilindri

LOM, di produzione ceca,

con un’architettura e dimensioni

non dissimili all’originale SPA 6A

da 220 CV, permetterà di mantenere

la disposizione in linea degli scarichi

e di non alterare le linee

caratteristiche dello SVA

Ogni particolare dei velivoli

sarà realizzato fedelmente,

non trascurando la livrea,

le colorazioni e l’araldica.

Torneranno a rivivere simboli

come l’IBIS associato al motto

“IBIS REDIBIS” che decorava

le ali di tela, i marchi delle officine

ANSALDO, le scritte commemorative

delle missioni compiute,

le matricole, con un rispetto filologico

assoluto per lo stile grafico,

PAGE55

Page 56: Fly over the time

il tratto dei caratteri utilizzati

e le tecniche di decorazione

dell’epoca.

Il secondo progetto di cui si occuperà

la rinata 87a riguarda la ripetizione

delle due grandi imprese concepite da

Gabriele D’Annunzio: il volo

su Vienna e il raid Roma Tokyo,

in occasione del loro centenario.

Il volo su Vienna del 1918,

con il lancio incruento di migliaia

di volantini sulla capitale asburgica

e solo due anni dopo il raid

Roma Tokyo di Ferrarin con oltre

18.000 km volati hanno costituito

imprese memorabili e crediamo,

al di là della propaganda del tempo

e di ogni retorica patriottica,

due grandi eventi mediatici moderni.

Il tema del volo portato

nell’immaginario collettivo

da una dimensione di passione

e interesse individuali

ad una universale e popolare.

Il volo come azione politica

e dimostrativa per generare

interesse e consenso.

Il volo come evento spettacolare

e come mezzo

di comunicazione di massa.

Da questo punto di vista D’Annunzio

ha rappresentato un genio creativo

assoluto e un guru ante litteram

del marketing, promotore in primis

del suo ruolo e delle sue imprese.

D’Annunzio è stato un precursore

delle tendenze più estreme della

comunicazione, in grado di fiutarle,

di esserne protagonista e di imporle.

Pur non potendo disporre dei canali

e dei mezzi attuali, egli ha saputo

celebrare la modernità, la velocità,

la performance, il superamento

dei limiti, l’ebbrezza del rischio

e della conquista, il gusto estetico

del rapporto uomo-macchina, simboli

certamente del suo tempo

e del suo contesto culturale,

ma anche temi attualissimi della

nostra quotidianità, del nostro fare

e consumare entertainment.

Il progetto di ripetizione dei voli

dovrà cogliere ed amplificare

questo potenziale e lo potrà fare

avvalendosi delle tecnologie più

moderne di fruizione live degli eventi

che ci permetteranno di trasformare

la riproposizione delle imprese

in due performance tecniche,

sportive e culturali irrepetibili.

Nell’agosto del 2018, anno

del centenario, è stata pianificata

la ripetizione del volo su Vienna.

Non sarà una rievocazione nostalgica

dell’evento, quanto piuttosto

una missione condotta da piloti

con combinazioni di volo storiche,

su esemplari di nuova costruzione

dello SVA, lungo la rotta originale.

Questo volo su Vienna rappresenterà

il culmine di un articolato programma

di iniziative e di eventi culturali

che graviteranno attorno al

Centenario.

Lo farà grazie alle più recenti

tecnologie che consentiranno

di renderlo un evento mediatico,

condiviso sul web attraverso

le minicam installate a bordo

e collegate in rete, dando la possibilità

di vivere in diretta l’intero volo

insieme con i piloti, con le riprese live

del volo e anche tramite software

di realtà aumentata.

Il volo darà luogo ad un ponte culturale

inedito tra Italia e Austria,

con il coinvolgimento delle rispettive

Istituzioni, delle Forze Armate

per i sorvoli e gli airshow

Page 57: Fly over the time

in occasione della partenza

e dell’arrivo, delle compagnie

di volo per l’allestimento di speciali

voli charter che ripercorreranno,

nell’occasione, la stessa rotta

e dei più alti ambiti culturali

per scambi, mostre e concerti

di altissimo livello (le musiche

di Strauss a Trento e le opere

di Verdi eseguite a Vienna).

Nel corso del 2020,

sarà la volta di Tokyo

Quasi cento anni fa, “il Moro”

Arturo Ferrarin e il suo motorista

Capannini partiti da Centocelle nei

pressi di Roma, arrivarono fino a Tokyo

dopo un raid aereo interminabile e

avventuroso.

Il raid fu ampiamente celebrato

e Ferrarin fu nominato eroe

ricevendo l’investitura di samurai.

In seguito, per opportunità politica i

protagonisti furono fatti rientrare quasi

alla chetichella

a bordo di un piroscafo.

Paradossalmente la figura

e l’impresa di Ferrarin oggi

contano più estimatori

in Giappone che in Italia.

Lo scopo del volo di rientro

dello SVA di Ferrarin,

con partenza da Tokyo e destinazione

Roma, sarà proprio quello

di riportare la dovuta attenzione

su questo grande pilota

nato a Thiene (VI) e di gettare

un rinnovato collegamento culturale e

commerciale tra Oriente e Italia.

Questa impresa, con gli inevitabili

anacronismi e anomalie,

sarà in grado di evocare

un interesse e emozioni molto forti

nell’uomo contemporaneo

abituato a coprire oggi quelle distanze

in poche ore chiuso

in enormi aeroplani pressurizzati

a quote in cui la Terra appare

una distesa azzurrognola, indistinta,

quindi sempre più incapace

di cogliere la specificità del volo

e dei luoghi attraversati.

È un’impresa che esplorerà

le differenze e i contrasti tra le culture

orientali e quelle del mediterraneo,

cercando di mettere in luce

gli enormi cambiamenti

che sono avvenuti a scala globale

nei cento anni dal volo di Ferrarin.

In ogni tappa del raid saranno ospitati

a bordo noti personaggi della Cultura,

della Comunicazione, della

Letteratura, della Politica, dello

Spettacolo, dello Sport dei rispettivi

paesi, per dare una lettura sfaccettata

dell’evento affinché possa essere

percepito in tutti i suoi aspetti.

Anche in questo caso sarà possibile

seguirne lo svolgimento e condividerne

l’enorme quantità di informazioni

in tempo reale, attraverso il web

e i social networks,

le trasmissioni satellitari live.

Una copertura mediatica molto

attenta accompagnerà la lenta

marcia di avvicinamento,

a soddisfare il senso di curiosità

ed attesa che troveranno

il loro culmine nell’arrivo

dei due aeroplani a Roma…

Poi non resterà che

un’ultima tappa da Roma

alla pista in erba di Thiene.

E finalmente Arturo Ferrarin

sarà tornato a casa!

PAGE57

Page 58: Fly over the time

IL RAID ROMA TOKIO DEL 1920Il germe del volo Roma-Tokio nasce nella mente del poeta Gabriele D’Annunzio attraverso la conoscen-za, avvenuta nei tormentati anni della guerra mondiale, con lo scrit-tore giapponese Haru-Kichi-Shi-moi, sincero ammiratore dell’Italia. L’impresa deve costituire auspicio di amicizia fra i due popoli e dimostra-zione delle straordinarie possibilità del mezzo aereo, agli inizi del suo impetuoso sviluppo.Al termine del conflitto il progetto prende corpo con la definizione dei velivoli da impegnare e delle inedi-te esigenze logistiche connesse al lunghissimo e complesso volo. Viene dato corso al dislocamento nelle va-rie tappe, sovente in località remote carenti o addirittura prive di linee ferroviarie, telegrafo o addirittura strade degli essenziali accantona-menti di materiali.Risulta utile chiarire che tale non indifferente dispiego di mezzi trova la sua ragion d’essere non nell’inte-resse del Governo di dare lustro alla nazione con una grande impresa aviatoria, quanto nell’intento d’al-lontanare D’Annunzio dall’Italia nel timore (tutt’altro che privo di fon-damento) della sua azione politica svolta negli agitati anni del dopo-guerra che vedono il pendere delle

questioni relative a Fiume.Infatti D’Annunzio, in una lettera del 3 gennaio 1920 inviata al colon-nello Berliri, principale organizza-tore dell’impresa, dichiara di dover rinunciare al raid. Nonostante il cadere della ragione, si potrebbe dire, occulta dell’evento dato il suo stato d’avanzamento si decide per la sua prosecuzione.Ferrarin si inserisce quasi inciden-talmente nell’impresa: convalescen-te a Parigi da un’operazione appren-de da Piccio dell’audace progetto e decide di parteciparvi. Il colonnello Berliri gli formula richiesta che la partenza avvenga nell’arco di una settimana. Ferrarin accetta, chie-dendo di poter volare in coppia con un altro apparecchio.La partenza subisce alcuni ritardi per il danneggiamento dello SVA previsto per il raid e la necessità di utilizzarne un altro in condizioni tutt’altro che ottimali. Un aereo... di fortuna Allora mio cugino Francesco Ferra-rin mi suggerì di adoperare il vecchio suo apparecchio giacente al campo di Centocelle, col quale egli aveva tentato il passaggio delle Alpi nel volo che costò la vita al valoroso Capitano Natale Palli.Il Comandante Ferroni, che aveva in

consegna quell’apparecchio, ormai considerato inefficiente, mi sconsigliò di adoperarlo, ma, preso alle strette, decisi di rabberciarlo alla meglio e di servirmene, con l’autorizzazione di cambiarlo, occorrendo, lungo la rotta.Tappai i buchi delle ali, cambia i pneumatici, gli elastici del carrello ed il motore, il quale era uno SPA6-A residuato di guerra, che sviluppava 180 HP in luogo di 220, per essere stato ridotto di compressione. Que-sta sola modifica, che consisteva nel collocamento di uno spessore fra il basamento del carter e i cilindri, aveva il vantaggio di rendere il motore più si-curo nel suo funzionamento: ma, data la diminuita potenza, rendeva molto più difficili e rischiose le partenze sui campi limitati, specie sotto climi tro-picali. Questo apparecchio portava 330 litri di benzina anzi che 440, e poteva sostenere solo otto, anzi che dieci ore e mezza di volo. […]L’apparecchio aveva già all’origine, il difetto di pendere fortemente a destra; ma mio cugino, con espediente ingegnoso, lo correggeva infilando la cloche durante il volo in un elastico ad anello, accomodato di fianco, sulla fusoliera, a sinistra del pilota. Non si poteva infatti correggere il difetto dan-do all’ala destra maggiore incidenza, data la struttura rigida della cellula dello SVA.

Page 59: Fly over the time

Lo SVA del volo Roma-Tokio Il 14 febbraio alle 11,00 l’avventura ha inizio: i due velivoli decollano dal campo romano di Centocelle con gli auspici dell’Ambasciatore giappo-nese che stappa le beneauguranti bottiglie di champagne e consegna un messaggio per il Giappone.La prima tappa è a Gioia del Colle dove Masiero è costretto ad atterra-re per un’avaria al motore, la sosta risulta provvidenziale per Ferrarin che sostituisce elica e carburatore.Superato a bassa quota l’Adriatico i due velivoli fanno tappa a Valona, ove sono ancora presenti reparti ita-liani, ed il giorno successivo decol-lano alla volta di Salonicco.Nella località greca i piloti trovano i rottami dell’aereo di Abba e Garro-ne, incendiatosi in atterraggio. Alle 18,00 Ferrarin e Masiero riprendono il volo alla volta di Smirne in Turchia ove ricevono il saluto della nave Nino Bixio. Nella tappa incontrano i piloti Origgi e Negrini, anch’essi impegnati senza fortuna nel raid; partiti da Roma il due febbraio sa-ranno fatti prigionieri a Konia nella Turchia continentale il successivo 25 ed avranno l’apparecchio distrutto.La successiva tappa di Adalia viene interrotta nei pressi di Aidin per un guasto ad uno dei cilindri dello

SVA di Masiero che atterra in una zona acquitrinosa; il velivolo viene riparato con l’aiuto di piloti dell’avia-zione greca e può riprendere il volo. Sulla valle del fiume Meandro viene scorto un Caproni in avaria, è quello di Sala e Borello. L’avvistamento viene comunicato raggiunta Adalia all’ufficiale di tappa, che provvede alla ricerca dei piloti. Qui le pessime condizioni meteorologiche consi-gliano Ferrarin di ripartire senza attendere Masiero, impegnato nella riparazione del cilindro del motore.       Nella successiva tratta da Adalia ad Aleppo Ferrarin incontra un ven-to fortissimo e quasi non riesce a governare lo SVA che non è stato liberato delle corde di bloccaggio dei timoni.Molto avverse sono anche le condi-zioni trovate ad Aleppo con il campo coperto di neve e l’impossibilità di ricoverare il velivolo in hangar.L’area mesopotamica è funestata da combattimenti tra ribelli arabi e truppe inglesi, che Ferrarin distin-tamente scorge volando a bassa quota, nonostante le raccomanda-zioni del Console italiano ad Aleppo di mantenere una quota oltre i 2000 metri per evitare il fuoco da terra. L’arrivo di Ferrarin sull’aeroporto di Bagdad interrompe una compe-tizione calcistica in svolgimento sul

campo, data la giornata festiva.Ferrarin viene festeggiato essendo il primo pilota del raid a raggiungere la città ed apprende la sorte toccata al primo dei trimotori Caproni (pilo-tato da Scavini e Bonalumi) decol-lato da Centocelle e costretto dalle avverse condizioni meteorologiche all’atterraggio nel deserto siriaco.Dopo la consegna della posta affida-tagli ad Aleppo, Ferrarin prosegue il giorno successivo lungo il corso del Tigri verso Bassora. Al freddo e alla neve sono subentrati caldo torrido e vegetazione lussureggiante.Accolto a Bassora con il consue-to entusiasmo Ferrarin vorrebbe attendere l’attardato Masiero ma viene sconsigliato nel proposito da-gli ufficiali inglesi per non incorrere nell’ormai prossima stagione delle piogge.Dopo tre giorni di vana attesa non gli rimane che decollare alla volta di Bandar Abbas in Persia (l’attuale Iran). Le pessime condizioni atmo-sferiche lo costringono, però, ad uno scalo intermedio a Buscir, il cui campo viene provvidenzialmente segnalato dal lancio di razzi.Il volo prosegue prudenzialmente sul mare per evitare la possibile offesa dei ribelli persiani.Raggiunto finalmente Bandar Abbas Ferrarin si propone di arrivare a Ka-

PAGE59

Page 60: Fly over the time

raci nell’Impero Indiano effettuando uno scalo intermedio a Ciumbar (Chabahar) nel Belucistan. Decolla-to di buon mattino, per evitare l’e-strema calura, dopo un’ora e mezza di volo deve invertire la rotta e fare ritorno alla base di partenza per il surriscaldamento dell’acqua del radiatore, giunta quasi all’ebollizio-ne. Si pone riparo all’inconveniente rimuovendo la cappottatura del motore che viene assicurata all’as-sale del carrello. La enormi nubi di sabbia, fitta al pari della nebbia, co-minciano a tormentare il pilota che deve spingersi sul mare per trovare condizioni più favorevoli e profittare del monsone, spirante in direzione favorevole.A Chabahar l’atterraggio avviene in un campo trincerato in quanto la regione si trova di fatto in stato di guerra, né è possibile ricoverare il velivolo in hangar dato che questi sono stati abbattuti dal vento, che addirittura impedisce la revisione del motore da parte di Cappanni-ni. Gli inglesi si dimostrano come sempre molto cortesi e forniscono addirittura un salvacondotto di un capo ribelle in caso di atterraggio di fortuna.Il successivo volo verso Karaci dovrebbe seguire, su consiglio degli ufficiali inglesi,  la linea telegrafica

che collega le due località, peraltro presidiata, ogni cinque chilometri, da reparti indiani avvertiti di fornire aiuto in caso di atterraggio forzato. Il monsone, che spinge colonne di sabbia sino a mille metri di quota, impone nuovamente di dirigersi verso il mare.Ma ad un tratto l’irregolare fun-zionamento del motore costringe all’atterraggio presso un agglo-merato di capanne ove gli indige-ni, dopo un primo ostile contatto, finiscono per ritenerli nulla di meno che… Bulgari! Riparato rapidamente il guasto Ferrarin e Cappannini, con l’aiuto dei locali, decollano in gran fretta.   Atterraggio di fortuna in Belucistan Visto che l’apparecchio perdeva continuamente quota, decidemmo di scendere presso i primi abituri che avessimo scorti in quella deserta località. Non aven do possibilità di scegliere altro terreno, decidemmo, fa voriti da forte vento, di atterrare a velocità molto ri dotta sovra una duna. Ivi ci attendeva una inattesa tra gedia mutatasi in una inattesa commedia.Mentre, pensando al da farsi, copriva-mo il motore con la capote, perché la sabbia che ancor ci avvolgeva non lo danneggiasse ulteriormente, sentim-

mo avvici narsi un cavallo scalpitante, montato senza sella da una virago co-lor rame completamente nuda, salvo una leg giera e parziale copertura alla cintola: alta quasi due metri, di bel sembiante, di forme snelle e perfette, por tava al naso un anello d’argento.Stando a cavallo ci chiamò a sé uno per parte, e, te nendoci per gli abiti, ci trascinò fin quasi al misero abi-turo ove eravamo giunti; poscia senza profferir parola, ci rinchiuse nell’unica casa di muro e di fango ivi esi stente. Intanto vedemmo una folla di indigeni racco gliersi e dirigersi verso l’ap-parecchio. Al primo apparire avevo mostrato alla virago il no stro salva-condotto, ma lo gettò lontano da sé, dopo averlo esaminato senza capirne il contenuto.Sentivamo dal chiuso molte voci di popolo: non siamo giunti a compren-dere dal contegno di quella gen te se ci fosse ostile o indifferente, ma erava-mo piutto sto persuasi di essere caduti in cattive mani, per il fatto di essere stati rinchiusi e perché avvertiti della grande avversione che quei selvaggi, anche per pregiudizio re ligioso, aveva-no verso i bianchi.Quando Dio volle, fummo fatti sortire dalla tana e sedere sovra un ceppo; la tribù selvaggia, che parlava un idio-ma sconosciuto, si era seduta a terra a circolo, sempre presente la virago

Page 61: Fly over the time

apparsaci a cavallo, da noi ritenuta la regina del luogo, per le evidenti prove di omaggio che le venivano tributate.Gli uomini erano completamente nudi, ma molti por tavano alla cintola una pistola Mauser: uno solo di essi, mezzo vestito, e che non so se avesse funzioni di mi nistro o di cattivo inter-prete, cominciò a chiederci se erava-mo inglesi. Non mi riuscì fargli capire che erava mo Italiani. Egli aveva in mano un manuale, dove erano segnati i colori delle varie bandiere, e, con evi-dente sod disfazione, gli parve capire, confrontando le coccarde del velivolo col suo manuale, che noi fossimo Bulgari. Vista la buona accoglienza fattaci dall’interprete a que sta fallace identificazione e dato che egli la com-mentava soggiungendo che i Bulgari erano buoni amici, com presi subito che quei selvaggi erano amici dei Tedeschi alleati in guerra dei Bulgari, sguinzagliati durante la guerra dai Tedeschi ai danni degli Inglesi. Tutti co minciarono a danzare e a gioire, e anch’io ho danzato con loro come... un Bulgaro, lieto di constatare che la av-ventura stava per avere un lieto fine. Approfittam mo delle mutate situazioni per tornare all’apparecchio, e lo trovai ricoperto di sabbia: non saremmo più partiti da quel luogo se non avessimo avuta la precauzione di proteggere il motore con la sua capote.

Cercai allora un luogo sufficiente-mente adatto per trasportare l’appa-recchio, per accomodarlo e spiccare il volo. Lo trovai poco discosto, e gli indigeni ci aiutarono al trasporto. A mia richiesta, questi tagliarono una gran- de palma che interrompeva lo spazio e ci saziammo dei suoi datteri, mentre Cappannini esaminando il mo-tore constatò che si erano rotte le due molle di una valvola di aspirazione e provvide a sostituirle.Il caldo era immenso. Cappannini quasi sveniva: gli indigeni ci portaro-no dell’acqua puzzolente e sa pemmo poscia a Caraci essere questa una specie d’acqua benedetta che aveva loro servito per la lavanda rituale dei piedi; ma bastò lo stesso a ristorarci e a confermare le buone disposizioni d’animo dei nostri ospiti, delle quali profittammo per far capire all’inter-prete che vo levamo fare un piccolo giro all’intorno.Messo in moto il motore, tutti fuggiro-no. Profittammo di tale sbandamento e della gran sabbia solle vata per ricu-perare le cose nostre che gli indigeni ave vano levate dall’apparecchio: fra queste alcune monete d’oro che erano raccolte in un fazzoletto di seta. Saliti rapidamente a bordo, riprendemmo lietamente il volo verso Caraci, ove ci attendeva una bella sorpresa. Ma-siero, che avevo lasciato ad Adalia,

era giunto a Caraci proprio un quarto d’ora prima di me, coincidenza che parve prodigiosa e che fu cagione ad entrambi della più grande contentez-za. Con un volo magnifico di 1150 Km. egli era giunto da Bender-Abbas a Caraci.  L’arrivo a Karachi è allietato dal ricongiungimento con Masiero che con un balzo di ben 1150 si è portato da Bandar Abbas a Karachi. Ancora una volta le autorità inglesi sop-periscono alle esigenze dei piloti, dotandoli di dettagliate carte geo-grafiche della regione ed indicando, nel contempo, aree fortificate di cui è proibito il sorvolo.Nel percorso da Karachi a Delhi avviene superando il deserto di Thar ove vengono trovate le consuete condizioni di aria torrida e agitata. A 200 km. dalla meta nuova panne  per l’aereo di Ferrarin che atterra in un campo nei pressi di una stazione ferroviaria, ove fatta richiesta della distanza dalla città equivoca tra chilometri e miglia e ritiene, errone-amente, di poter raggiungere Delhi prima del calar delle tenebre.Si trova invece a dover pilotare nell’oscurità, complicata dall’as-senza di una sia pur rudimentale strumentazione per il volo notturno.

PAGE61

Page 62: Fly over the time

Con una debole luce lunare Ferrarin segue una linea ferroviaria a scar-tamento ridotto, quando speranza e carburante sono quasi giunti a consumazione ecco apparire le luci di Delhi. Nell’impossibilità di indivi-duare il campo l’atterraggio avviene su una modesta striscia di terreno coltivato, distante dall’aeroporto un chilometro. I solchi del terreno provocano il distacco dell’assale del carrello; il giorno successivo ci si prodiga alle necessarie riparazio-ni, che riportano in breve l’aereo in condizioni di volo.Dopo un breve riposo, speso nella visita a luoghi e monumenti del-la grande città, all’epoca seconda capitale dell’Impero Indiano, il raid riprende verso Allahabad. Salutato alla partenza dalla colonia italiana Ferrarin raggiunge regolar-mente la meta e indi prosegue per Calcutta, all’epoca capitale imperia-le. L’ippodromo destinato all’atter-raggio risulta però occupato da una mandria di vacche. Per sgombrare il campo Ferrarin non esita a por-tarsi a minima quota con il motore a pieni giri. Neppure suppone d’aver compiuto un sacrilegio essendo tali animali sacri e pertanto inviolabili. Lo SVA è il primo velivolo ad atterra-re nella capitale indiana, ma anche

qui la disorganizzazione è tale che pilota e motorista si trovano soli con una temperatura che oscilla tra i 40 e i 50 gradi a dover garantire l’inco-lumità dell’apparecchio, mentre una folla di curiosi cresce rapidamente, e non c’è traccia dell’ambasciatore e dei soldati italiani, che pur sono al corrente dell’arrivo.A Calcutta, per espresso ordine, la sosta si protrae per ben 27 giorni nell’attesa della pattuglia al coman-do di Gordesco e composta da Ran-za, Marzari, Mecozzi, Grassa, Re, Bilisco. La locale colonia giapponese imbandisce banchetti celebrativi e si succedono voli di propaganda.Il 31 marzo vista vana l’attesa Fer-rarin decide la partenza alla volta di Akyab, in Birmania. Il volo lungo le coste del Golfo del Bengala e le foci del Gange, popolate da bestie feroci e serpenti, risulta facile ma oppres-so dal terribile calore tropicale.Da Akyab, sempre auspici e cordia-li le autorità inglesi, la trasvolata prosegue verso Rangoon in Bir-mania. Vengono superate foreste e montagne inviolate ed ecco, tra la foschia, la cupola dorata della capi-tale birmana. Nonostante i motori siano, come in precedenza, privati della capote la rottura della pom-pa dell’acqua provoca l’ebollizione del liquido refrigerante. Per buona

sorte il guasto avviene nelle imme-diate vicinanze dell’area destinata all’atterraggio e quindi Ferrarin può atterrare regolarmente a motore spento. Le riparazioni richiedono diversi giorni, privo di hangar l’aereo è esposto a condizioni climatiche estreme: calore tropicale di giorno e umidità notturna, numerose quindi le avarie alla cellula, rigonfiamenti e svergolamenti del legno, ossida-zione delle parti metalliche. Stessa sorte subiscono i materiali accanto-nati nelle località di tappa.Il prolungarsi del tempo occorrente per le riparazioni consiglia Masie-ro,come Ferrarin ad Adalia, a prece-derlo per non esporre inutilmente il velivolo agli agenti atmosferici.Infine l’aereo è pronto per affrontare il percorso più impegnativo: la tratta sino a Bangkok: seicento chilometri percorsi su giungle tropicali inestri-cabili, ove un atterraggio di fortuna equivarrebbe alla morte.Ma infine anche la capitale del Siam è raggiunta e Ferrarin può godere dei meritati onori resi dallo stesso sovrano e dalla piccola comunità italiana. Nelle pagine di Ferrarin traspare lo stupore per le costu-manze di quei remoti paesi, ove un soldato – prima che l’Aviatore si co-richi – suona un flauto per far uscire dalle coltri rettili, qualora vi fossero

Page 63: Fly over the time

annidati. E il viaggio riprende: la meta è ora l’Indocina prima tappa a Hubon, ove i rifornimenti sono giunti a dorso di elefante in quindici giorni di marcia attraverso la foresta. E’ un luogo remoto privo di servizio telegrafico ove ad attenderlo è un soldato, solo europeo presente nella regione.   In volo sulla foresta tropicaleDa Bangkok a Hubon la regione é pia-na, ma è talmente ricoperta e gonfia di vegetazione esuberante che il terreno, dall’alto, sembra quasi una superfi-cie di muschio e di velluto: le stesse foreste dell’America non sono a queste paragonabili, né per la densità della vegetazione, né per l’assoluta solitu-dine dei luoghi. È peggio che volar sul mare. Il motore funzionò egregiamen-te, e arrivai a Hubon dopo sei ore di volo. Al nostro campo di tappa, unica radura creata artificialmente fra le selve, presiedeva non un ufficiale, ma un semplice soldato, unico europeo della regione, che si trovava per caso sul campo, giacché, mancando anche il servizio telegrafico, non poteva esser stato preavvisato del nostro passaggio. E trascorsi così un’altra notte in un carro ridotto a giaciglio e protetto da reti metalliche per impedire ai serpen-ti di nuocermi.

 Il successivo volo verso Hanoi viene effettuato puntando sul prima sul Fiume Giallo e quindi procedendo sul mare, poi è la solita nebbia a costringere l’aereo a procedere in volo radente ma infine anche Hanoi è raggiunta e Ferrarin può dire con-clusa la parte più difficile delraid. Nella capitale dell’Indocina si ricongiunge con Masiero, giunto il giorno precedente,ed ha il dispiace-re d’apprendere il mortale incidente occorso in atterraggio a Bushir a Gordesco e Grassa.Il governatore francese offre si-gnorile accoglienza sconsigliando l’immediata ripresa del raid, stante l’inclemenza della stagione delle piogge.Ma i piloti italiani decidono altri-menti, alle 9 del mattino del 21 aprile decollano alla volta di Canton; un diluvio d’acqua in crescendo e la nebbia divide i due apparecchi, avvicinandosi la notte Ferrarin com-prende che non potrà raggiungere la metropoli cinese e si decide a scendere presso un’isola. Atterrato sopraggiungono di corsa degli uo-mini,rammentando come il gover-natore francese li abbia ammoniti circa la presenza di pirati e temendo che tali essi siano, ridecolla in tutta fretta atterrando su una spiaggia non lontano da Macao.

Altrettanto movimentato l’arrivo a Canton, il campo ridotto alla stato di una risaia, Masiero, che vi è atterra-to il giorno precedente, lo ha trovato in condizioni ancora accettabili ma ora non rimane che scegliere uno spazio d’emergenza, costituito da una piazza ove il pilota porta all’at-terraggio lo SVA in una piazza tra lo scompiglio generale.  Movimentato arrivo e partenza da CantonSotto un vero diluvio, arriviamo tutta-via a Canton.Ben sapevo che il nostro campo di tappa si trovava presso una grande pagoda, verso la quale mi diressi: ma per la pioggia quel preteso campo di volo era ridotto un vero lago, che male si distingueva dalle circostanti risa-ie, tanto che avrei voluto andare alla ricerca di località più adatte.All’improvviso Cappannini mi avverte che siamo già senza benzina. Egli mette mano alla riserva. Ho pochi minuti utili per atterrare. Passo vicino all’« Hótel Asia», molti mi salutano da una terrazza e comprendo che fra essi è Masiero, ma nessuno mi indica con gesti un punto d’atterraggio. In con-dizione tanto disperata, e sempre fra la pioggia, risolvo per necessità di at-terrare in una piccola piazza che vedo

PAGE63

Page 64: Fly over the time

dall’alto, benché mi apparisca cinta di case da tre lati, ostruita da navi albe-rate nel quarto lato e occupata qua e là da Cinesi con l’ombrello aperto.Deciso di giuocar tutto per tutto, e lo scasso dell’apparecchio e la vita di qualche Cinese e la mia, atterrai inve-ce fermandomi incolume sulle aiuole di un giardino e senza alcun danno all’apparecchio; fracassai l’ombrello a un Cinese, che, di rimbalzo e per lo spavento, cadde con le gambe all’a-ria. Masiero, che tutto aveva veduto dall’alto, scese ad abbracciarmi.Il personale di tappa non aveva po-tuto farmi i segnali d’uso, perché sul campo non era più possibile atterrare, mentre Masiero, giunto il giorno pre-cedente, aveva trovato il campo meno allagato.Con grande alacrità i Cinesi protesse-ro l’apparecchio costruendo all’intorno una specie d’hangar di bambù e di stuoie.La popolazione, composta di due mi-lioni di abitanti, dei quali un quinto vive sull’acqua sovra imbarcazioni dette sampang, assai s’interessò di noi e delle nostre avventure.Il Governatore ci offerse un gran pran-zo, durante il quale ricordò che, come il primo europeo giunto per terra a Canton era stato Marco Polo, italiano e veneto, così noi, italiani e veneti, eravamo i primi che giungevamo per

le vie del cielo.Questa evocazione, che ci procurò legittima soddisfazione e che sentim-mo poscia assai spesso ripetere, ci fu per la prima volta diretta in cinese dal governatore di Canton, le cui parole venivano a noi tradotte dal console italiano.Eravamo assai preoccupati per la partenza: non avrei potuto partire con carico dalla piazza ove ero sceso, né Masiero dal campo, che, istituito com’era sopra una risaia allagata, non serviva più ad alcun scopo.Méssici alla ricerca di qualche lo-calità opportuna, non ci riuscimmo. Consigliai di trasportare i nostri due apparecchi, sovra chiatta, a cento chilometri dalla città, nel punto stesso della costa ove avevo atterrato la sera precedente il mio arrivo a Canton.Ma la proposta parve inattuabile. Dopo lunghe ricerche, Masiero propose per la partenza un piccolo piano sulla vet-ta di un colle, quantunque disturbato da alberi e da una casa: e la proposta fu accolta in mancanza di meglio.L’apparecchio di Masiero fu portato accanto al mio, nella piazza della città, che, con l’abbattimento di una casa e col livellamento del terreno, fu resa ampia quanto più fu possibile, in modo da permettere una partenza da soli, senza motoristi, senza pesi, con la benzina appena sufficiente a raggiun-

gere il colle scelto per la partenza.[…]Se l’atterraggio di Canton era stato il peggiore del percorso, non meno fa-cile fu la partenza. Il campo era lungo appena 180 metri, ma pantanoso per le piogge e limitato da alberi e da una casetta.Prevedendo una partenza molto peri-colosa, alleggeriamo l’apparecchio di metà della benzina, leviamo tutti i pesi inutili, e ci proponiamo di giungere solo fino a Foochow, ove sapevamo esistere un piccolo campo di soccorso, anzi che fino a Shangài.Partii per primo, perché avevo il motorista più leggero. Feci trattenere l’apparecchio per le ali dal nostro per-sonale di tappa, mettendo il motore a pieno regime. A un segnale convenuto i soldati abbandonarono l’apparecchio, che cominciò a muoversi abbastanza bene, secondato dalla china del campo che durava per una ventina di metri. Ma, arrivando sulla zona pantanosa del terreno, si arrestava come fosse frenato, per riprendere la velocità sul terreno battuto e solido. Procedevo così con alterna fortuna, a seconda della natura della zona sulla quale l’apparecchio passava.A tre quarti del percorso mi vidi per-duto, perché, fra l’altro, il campo era limitato da un fosso assai profondo nel quale sarei andato a finire se avessi spento il motore. Rischiando tutto per

Page 65: Fly over the time

tutto, preferii tenere il motore in pieno regime: e incontrata per vera fortuna una zolla di terreno asciutto, riuscii a librarmi, con una brusca impennata, rasentando miracolosamente la casa e gli alberi. Superato questo ostaco-lo con un salto vero e proprio, sarei andato a fracassare l’apparecchio, ma poiché dietro gli ostacoli terminava il colle, raggiunsi il vuoto, al disopra della città, e potei iniziare liberamente il mio volo.Presa quota lentamente su Canton, ritornai, come era convenuto, sovra il colle, al punto di partenza, e vidi Ma-siero, che con gesti mi faceva cenno di andarmene. Partii allora definitiva-mente, assai impressionato, e credo che anche gli astanti abbiano compre-so il rischio di quell’avventura. Il governatore di Canton formula richiesta a Ferrarin di volare, ove sia possibile, sopra i centri abitati al fine di permettere alla popolazione la vista dell’aereo, mezzo scono-sciuto in quelle regioni. Anche la tratta verso Foochow è funestata da pioggia e nebbia e, in un primo tempo, Ferrarin quasi decide di prendere terra su una spiaggia, ma poi intraviste le luci della città si porta all’atterraggio sul terreno pre-disposto. Fra la folla accorsa vi sono anche italiani, uno dei quali sviene

alla vista del connazionale!Ancora ricevimenti, decorazioni, doni, discorsi ufficiali in cui viene reso il parallelo con Marco Polo, ancora pioggia che quasi rischia di sommergere il velivolo, spetta ai solerti soldati cinesi provvedere a mantenere il velivolo sollevato dalle acque. Arriva il momento di partire, Ferrarin si libera di ogni carico su-perfluo e compie l’ennesimo fortu-noso decollo.La meta è Shangai e il tempo, fi-nalmente, volge al bello. Oramai ad ogni arrivo si aduna una folla entu-siasta.  Shangai Appena atterrato, la folla irrompe verso di me ed ho appena il tempo di fermare il motore per evitare che l’elica possa procurar disgrazie. Corre ad abbracciarmi un italiano, certo Toledano, il quale, benché piccolo di statura, giunge a me primo fra tutti; e con tale slancio di corpo e di anima che mi sviene anch’esso fra le braccia. Dopo che tutti, specie gli Italiani, si sono sfogati a baciare le ali, ad ap-porvi firme e a gridare evviva all’Italia, seguono, quasi per reazione, momenti di reli gioso silenzio, durante i quali una intensa commozione pervade la piazza; anch’io non posso resistere al fa scino e al bisogno delle lacrime.

 La sosta a Shangai si prolunga per una settimana, è l’occasione per far conoscere l’Italia anche in quelle remote regioni. Ferrarin è assediato dai cacciatori d’autografi e riparte con la carlinga colma di fiori.Il competente ufficio della metro-poli cinese non ha, però, avuto cura d’avvertire il pilota dell’avvicinarsi di un tifone, il vento contrario scon-quassa il povero velivolo e gli fa ritardare di due ore l’arrivo a Tsing Tao ove è accolto dalle salve di due corazzate giapponesi; i nipponici hanno infatti occupato il territorio in precedenza dei tedeschi (Si tenga presente che il Giappone fu, nel cor-so della I guerra mondiale alleato di Francia, Inghilterra e Italia). Ugual-mente giapponesi sono i funzionari che accolgono Ferrarin e gli comu-nicano che il Mikado gli ha conferito la spada d’oro di Samurai, la più alta onorificenza di quella nazione e che lo SVA sarà conservato presso il museo di Tokio ospitante i trofei di guerra. Dopo nove giorni di festeggiamenti, i giapponesi hanno letteralmente costretto Ferrarin a parteciparvi ar-rivando a minacciare di non rifornire l’aereo di carburante, si può riparti-re alla volta di Pechino. All’apparire dell’aereo sul cielo di Tien Tsin, sede

PAGE65

Page 66: Fly over the time

delle concessioni internazionali, vie-ne fatto segno al saluto dei conna-zionali, a Pechino l’hangar è coperto di decorazioni floreali e accolto dalla colonia italiana, dai diplomatici stranieri e dalle massime autorità del governo cinese. I sette giorni di permanenza nella capitale sinica sono spesi ai palazzi e monumenti di quella civiltà millenaria. Per le ultime tappe del viaggio diamo la parola a Ferrarin fornen-do integrale trascrizione del nono capitolo del suo libro “Voli per il mondo”. 

FINALMENTE A TOKIO! La partenza fu solenne quanto l’arrivo. A Pekino, come a Shangài, mi riem-pirono la carlinga di rose, rose dal profumo intenso.Anche in questo tratto di volo fui colto da fortissimo mal di mare. Dopo di allora, non avendone più sofferto, ritengo ne fosse causa il disordine dietetico cagionato dai pranzi esotici e dall’aroma intenso delle rose. A meno che... non si debba credere alla di-vulgata convinzione che i fiori portino sfortuna agli aviatori in volo.Da Pekino avrei voluto volare diretta-mente a Shingishu in Korea, ma, per ordine del marchese Durazzo, dovetti fare una breve sosta a Kowpangtze,

vicino a Mukden, dopo aver sorvolata la quasi favolosa muraglia della China, che si innalza formidabile su colline rocciose, serpeggia fra avvallamenti verdeggianti e corre diritta per lun-ghe pianure fino al mare. Chi costruì quella barriera non avrebbe certa-mente pensato che gli uomini avreb-bero potuto un giorno superarla tanto facilmente.Genti di Manciuria a conoscenza del mio passaggio accorsero anche da lontano in carovana, e perfino si accamparono nei dintorni volendo vedermi.Da Pekino il comandante di tappa aveva mandato un nostro soldato a sorvegliare il piccolo campo provviso-rio di fortuna ove dovevo atterrare, ma fu insufficiente a domare quella folla, che non aveva mai visto un aeroplano e che non mi lasciava neanche lo spa-zio occorrente a discendere, tanto che volevo quasi rinunciare a fermarmi in quel momento.Ma finalmente, roteando rumoro-samente a volo e a bassa quota per spaventare la gente, potetti farmi lo spazio bastevole.Un cerimoniere vestito all’europea, venuto da Mukden per conferirmi una decorazione, cominciò un discorso vicino all’aeroplano tosto che fui disce-so. Disturbato però dalla folla, che, ru-morosa, si riconcentrava attorno a me

e all’apparecchio, dovette sospendere la cerimonia. Il nostro soldato, per rifare il largo e non bastando spinte e scudisciate, sparò in aria la rivoltella. Siccome egli stava all’estremità dell’a-la inferiore, che è meno lunga della superiore, nella confusione sparava senza alzare la testa, e fece, senza avvedersene, tre buchi nell’ala, uno dei quali forò a parte a parte il longarone. Lo fermai prima che arrivasse a sca-ricare tutto il caricatore e producesse guai maggiori.Questa mia imprevista tappa a Kowpang-tze ritardò fin quasi a notte il mio arrivo in Korea, il defunto impe-ro diventato colonia giapponese. E il ritardo si fece ancor più lungo, perché volli divergere verso Porto Arturo, la località il cui nome ci è particolarmen-te noto pei ricordi della guerra rus-so-giapponese.A Shingishu, come mi narrò all’arrivo l’ufficiale di tappa Paolucci, Coreani e Giapponesi, aspettando invano da ore e ore il mio arrivo, con la pazienza e con l’ordine propri a quelle popolazio-ni, finirono con l’abbandonare il cam-po, credendo che in quella sera più non giungessi : ma vi si rovesciarono a frotte quando il rombo del motore annunciò l’arrivo.Fui portato di peso al palco; dopo vari discorsi in giapponese, un dignitario puntò sul mio petto e su quello di Cap-

Page 67: Fly over the time

pannini una medaglia d’oro comme-morativa del volo.Bandiere italiane e giapponesi ralle-gravano l’animatissimo ricevimento, e devo al bravo Paolucci se ho trovato modo di ristorare alquanto la mia estrema stanchezza prima di ripren-dere i festeggiamenti notturni, che eb-bero principio con un lussuoso pranzo alla giapponese, di trecento presenze.La nota caratteristica di quella bella serata consistette nell’apparizione di un vero stuolo variopinto di leggiadre geishe venute a intrecciare graziosis-sime danze attorno a me.Il mattino seguente mi fu impedito di partire per dar modo al capitano Riva di approntare un atterraggio a Seoul, la capitale della Korea, ove avrei dovu-to soltanto sorvolare. Ma il marchese Durazzo mi comandò di atterrarvi, per soddisfare anche al desiderio di quella capitale.Ho quindi goduto a Shingishu, in attesa di ordini da Seoul, quel po’ di riposo che mi era concesso dalle, riprese e non interrotte onoranze, fra le quali ricordo particolarmente quelle tributatemi dai bimbi delle scuole che gridavano « banzai Italia ».Al mattino successivo posso finalmen-te partire, verso le dieci, alla volta di Seoul, fra gli evviva delle autorità e del popolo, mentre lo stuolo di geishe compare ancora improvviso a, danzare

intorno all’apparecchio e a cospargerlo di fiori.Fra Shingishu e Seoul viaggio facile e noioso, sovra paesi aridi e montagno-si. Atterraggio pessimo e pericoloso, perché il capitano Riva, non avendo trovato di meglio, dovette scegliere per farci atterrare un letto asciutto di un torrente, mentre avrebbe dovuto sconsigliare affatto quella fermata, per non esporci al rischio dì scassare gli apparecchi alla vigilia della vittoria.Masiero, che avevo, lasciato a Shan-gài, mi ricomparve nel cielo di Seoul e scese anch’esso con me alla tappa non preventivata. Un soldato indicava con bandieruole il punto preciso ove era appena possibile mettere le ruote per tentare l’atterraggio, che, per vero miracolo, non si risolvette in un disastro.Ma si capisce che Riva ha dovuto un po’ cedere ai desideri della capitale coreana, ove ci fermammo tre giorni, festeggiatissimi e godendo partico-larmente la compagnia di Riva, che per aver dimorato in Cina prima della guerra, parlava anche il cinese e poté quindi narrarci interessanti dettagli sulla vita d’Oriente.Ricordo una originale danza coreana, ballata con molta abilità da donne ve-stite di bianco camice, accompagnate da uomini seduti all’intorno, che can-tavano al suono di pifferi e di tamburi.

Per la qualità del terreno anche la partenza non era facile, e dovemmo studiare a lungo il migliore modo di effettuarla; riuscì emozionante.Dopo un breve viaggio, sempre attra-verso regioni montagnose ed aride, arriviamo a Taikyu, ultima tappa del continente asiatico. Ci attendeva il tenente Esposito, che, in mancanza di hotels all’europea, ci mise a dormire in un albergo giapponese.Il Giappone si vanta di essere all’avan-guardia della lotta contro l’analfabeti-smo e forse per questo motivo trovavo ovunque gentili accoglienze da parte della popolazione scolastica, compo-sta di giovanetti, molto ben vestiti e bene educati.Da una pagoda ho assistito a una lunga sfilata di bimbi, che agitavano bandieruole dai colori italiani e giap-ponesi, e ricordo che durante questa cerimonia una bimba recitò a memo-ria una poesia in italiano.Nella sala dell’albergo ove ero allog-giato ho dovuto ascoltare parecchi discorsi, e non mi sfugge dal ricordo quello di un coreano che scandeva il suo dire battendo il tempo col dito pol-lice del piede, mentre snodava il rotolo sul quale era scritta l’orazione leggen-dola da destra a sinistra. E si scorgeva il ritmo del dito pollice perché nelle case si entra in quei paesi a piedi nudi, fatta eccezione per gli stranieri ai qua-

PAGE67

Page 68: Fly over the time

li è concesso calzare le pantofole.Partimmo per il Giappone, che è se-parato dalla Korea solo dallo stretto di Tsushima; era facile superarlo facen-do capo, occorrendo, all’isola omoni-ma (celebre negli annali della guerra russo-giapponese) che sorge quasi a metà del canale. Ma i Giapponesi, per ragioni militari, delle quali sono inesorabili osservanti, ci impedirono di volare sia sulla piazzaforte milita-re coreana di Fusan, sia sull’isola di Tsushima, avvertendoci senza tanti complimenti che i soldati ci avrebbero tirato contro se avessimo violato tale prescrizione. Furono inutili le nostre proteste. Le autorità giapponesi ci prescrissero con ogni dettaglio la rotta, tracciandola più a Nord, su carte appositamente a noi consegnate.Questi ordini ci costringevano a batte-re una via più lunga di 250 chilometri sul mare aperto, e ciò mi preoccupava perché si trattava di ordine improvviso e imprevisto. Se lo avessi supposto prima di partire da Pekino, avrei, per lo meno, fatta una revisione più accurata del motore, che era sempre valido, ma ormai stanco.A facilitarci il compito, i Giapponesi scagliarono lungo il percorso tre tor-pediniere, progressivamente numera-te, e, ci indicarono i gradi di rotta che le torpediniere avrebbero seguiti.In quel momento non avrei pensato

che in seguito avrei potuto volare d’un fiato per oltre settemila chilometri, dei quali più di 5000 sul Mediterraneo e sull’Atlantico; ma in quelle particolari condizioni, allora, anche 250 chilo-metri potevano presentare qualche sorpresa.Tuttavia mi lanciai a volo confidando, come sempre, nella mia buona stella.Dopo 50 chilometri dalla costa, scorsi la prima torpediniera, e ne profittai per controllare sulla bussola la mia rotta; ma poi, a cagione delle nubi, persi di vista le altre torpediniere.Finalmente, a circa 30 chilometri dalla costa giapponese, le nubi diradarono e le condizioni di visibilità si fecero migliori, quasi per secondare la pro-fonda emozione della mia anima, nel momento in cui stavo per raggiungere la costa giapponese, la mèta del mio sogno e della mia fatica.Man mano che andavo appressando-mi al continente e che si delineava il dettaglio del paesaggio meraviglioso, mi sentivo quasi rapito dall’ebbrezza della vittoria e dalla bellezza; delle cose che intravedevo sotto al volo.L’incanto viene rotto da gravi nubi temporalesche che si affacciano sul percorso tracciatomi dalle autorità militari lungo la rotta dei continente e del mare, mentre il percorso proibito che segue le fortificazioni del mare interno è assai più breve e rischiarato

dal sereno. Non esitai quindi a scegliere quest’ul-tima via e a puntare verso Osaka, prima tappa sospirata, volando spen-sierato e noncurante lungo le coste fortificate del mare interno.Ivi si ha la sensazione che il Giappone sia un gran giardino, e l’occhio, stanco della aridità delle montagne coreane, si conforta e si affonda insaziabile nel verde sottostante.Una nera caligine, che non è più quella delle nubi, ma dell’industria, mi annuncia la apparizione di Osaka, la città laboriosa dagli innumerevoli ca-mini fumanti, che rappresenta il nuovo Giappone, fiero di affermarsi nella civiltà moderna accanto ai segni che attestano la civiltà secolare dell’Impe-ro del Sol Levante.Volando a bassa quota sopra la ster-minata città, vedevo, stese al vento che soffiava e issate su lunghi pali, quelle che noi chiamiamo « maniche a vento » perché mostrano la dire-zione dello stesso. Credevo fossero indicazioni apposte per noi, ma invece seppi trattarsi di enormi pesci di seta, lunghi circa tre metri, che in maggio vengono inalberati sovra i tetti delle case nelle quali in quel mese sia nato un maschio.Ardiamo dal desiderio di raggiungere la mèta.Alla piazza d’armi, ove atterrammo

Page 69: Fly over the time

dopo qualche volo sulla città, era eret-to un palco; la grande folla d’intorno era trattenuta da soldati. Era il primo campo di atterraggio buono e normale che trovavamo sul nostro cammino. Ad onta dell’entusiasmo, provvidero i Giapponesi a farmi una minuta perqui-sizione e a sequestrarmi la macchina fotografica e le negative, appunto per-ché, contro gli ordini, avevo volato so-pra le fortezze del mare interno. Nulla mi trovarono, e mi chiesero ingenua-mente se e che cosa avevo visto sovra le fortificazioni. Avendo risposto che nulla avevo notato, lasciarono final-mente si avvicinasse a me il gruppo di ufficiali italiani che prima mi era stato tenuto lontano per prudenza politica.Discorsi e doni: notevoli certe grandi corone di fiori esposte su treppiedi e che ci avrebbero ricordate quelle in uso da noi nell’attesa del funerale, se una bella artista non si fosse presen-tata ad offrircele indicando con bel garbo il nome e le qualità dei donatori.Ci attendeva un’automobile foggiata a guisa di aeroplano e adorna di fiori: con questa facemmo il giro della piazza per farci ammirare dal pubblico che gettava fiori e saluti, e sventolava bandiere italiane e gridava « Italia, banzai ».Ma quell’automobile trionfale pareva la vittoria àptera; le sue grandi ali era-no state mozzate il giorno precedente

perché non urtassero contro le case e i pali della luce elettrica.Sotto la tenda ci fu subito offerta una colazione all’europea inaffiata da champagne italiano: al quale i Giappo-nesi non fecero mai torto quando, nei pranzi a rito europeo, occorse brin-dare alla nostra salute: e con cortese ostentazione ci versarono prima della mensa anche il vermouth di Torino.I discorsi lunghi e frequenti non sono nel Giappone perniciosi come da noi, giacché, per l’igiene di chi li fa e di chi li ascolta, si tengono solo avanti al pasto: la cui fine è invece rallegrata da graziose danze di geishe e da musiche.Passato il convito, facemmo il nostro ingresso a Osaka, assieme alle autori-tà, montati sovra l’automobile-velivolo; al quale però non era stata sufficiente la mozzatura delle ali perché alla prima svolta andò a sbattere violen-temente contro un palo del telegrafo. Questo incidente ci costrinse a con-tinuare il percorso sovra automobili comuni, fino alle redazioni dei grandi giornali « Asahi» e « Manischi» ove ci recammo doverosamente a render grazie della grande cordialità con la quale la nostra impresa era stata divulgata.Alla redazione di uno dei giornali ci fu offerto un pranzo: e un altro pran-zo ci fu offerto a sera dalle autorità,

perché, stante la fugacità della nostra permanenza a Osaka, le dimostrazioni assumevano necessariamente carat-tere intensivo.A Osaka cominciammo a gustare il cortese tenore delle conversazioni giapponesi, sempre volte a celebrare con entusiasmo l’Italia e gli Italiani e a mettere in evidenza i punti di con-tatto fra i due paesi e i due popoli: lunghezza delle coste: abbondanza di fiori: Osaka simile a Venezia; e anche i capelli neri della popolazione. E la smania della somiglianza era giunta a tal punto che si esponevano ritratti di Masiero e miei con gli occhi accomo-dati alla giapponese!Il pubblico dopo il banchetto ci volle ripetutamente alla terrazza, per accla-marci.Al mattino seguente, malgrado il pes-simo tempo segnalatoci lungo la rotta, partimmo finalmente per Tokio, ove, secondo il programma, eravamo attesi per mezzogiorno circa.Viaggio fra le nubi, tanto che perdem-mo contatto fra di noi; né potei vedere, pur passandovi accanto, il famoso monte Fujiyama.Il Governo giapponese aveva mandato ad incontrarci due aviatori che, come abbiamo saputo all’arrivo, erano anda-ti a sbattere per la gran nebbia contro la montagna sacra del Fujiyama: ma quel popolo non spostò per questo né

PAGE69

Page 70: Fly over the time

di un attimo né di un tono le acco-glienze preparate. Arrivo, purtroppo, a Tokio, fra neb-bia. e pioggia, ma la luce risplende lo stesso nel cuore, perché la bandiera italiana ha finalmente raggiunta la mèta tracciata dal nostro massimo poeta.  L’arrivo a Tokio è comunque un evento eccezionale, la giornata è stata dichiarata festiva. Una folla di duecentomila persone attende sin dalle sette del mattino l’arrivo dello SVA al cui apparire esplode un solo grido: “Banzai Italia!”. Ferrarin e Masiero vengono accolti con gran-di onori e portati in parata lungo le vie della capitale nipponica su un’autovettura in fattezze di drago. E’ l’inizio di quarantadue giorni di festeggiamenti in cui i piloti italiani saranno ricevuti dall’imperatrice. Il ricevimento presso la Regia im-periale di Tokio

Tre giorni impiegò un cerimoniere di corte per istruirci in ogni particolare relativo al solenne ricevimento; ne facemmo le prove sul luogo, recandoci nella sala del trono attraverso l’intrico di un vero e proprio labirinto.  Piccola quella sala e decoratissima: e così misurato lo spazio che il cerimoniere, temendo che il nostro passo troppo

lungo non giungesse a procedere secondo il rito, ne segnò la traccia sul pavimento con matematica precisione. Quel paese grande e progredito, non solo a corte e nel tempio, ma anche nella vita cotidiana, mantiene con am-mirevole fedeltà le antiche tradizioni.Il giorno precedente la seduta reale, fummo ricevuti dal principe imperiale Hiroito, attuale Mikado; così impresso egli serbava il ricordo di quel colloquio che, venuto tre anni fa a Roma, volle chiamarmi all’Ambasciata giappone-se, ove mi ricevette presenti le Loro Maestà e S.E. Mussolini.Tanta è la potenza delle cose arcane e la suggestione delle cerimonie che, venuto il gran giorno, Masiero ed io tremavamo, come non abbiamo tre-mato nei più gravi cimenti del volo.Accompagnati alla reggia dai colon-nelli e dall’interprete addetti al nostro servizio particolare, fummo ammessi alla presenza della sacra Maestà.Neanche il cerimoniere di Corte fu ammesso nella sala regia, ove en-trammo soli, muovendo i passi e facendo gli inchini con dignità da grandi di Spagna di prima classe, e prostrandoci poi in ginocchio avanti la figlia del Cielo.In quelle dimore, tutte costruite in legno di sandalo immacolato, vergine di nodi, unito senza chiodi da connes-sure sapienti e invisibili, salivano nella

penombra gli aromati come da un incensiere.Sei generali, nella grande uniforme feudale antica, simili in tutto ai nostri sacerdoti quando vestono la dalma-tica, stavano ai lati del trono, tre per parte, impugnando ciascuno la spada da Shamurai.Accanto alla Imperatrice, che parla-va in giapponese, una dama d’onore, parlando in italiano, ci invitò ad alzarci ad un cenno di Sua Maestà.Quindi l’Imperatrice disse alla dama, che traduceva il discorso ad ogni periodo, che essa augurava al Regno d’Italia di salire in alto come i nostri velivoli; si compiaceva assai con noi che, primi al mondo, eravamo giunti al Giappone dell’Europa per vie celesti, ed ebbe parole di grande elogio per il nostro Paese e per i nostri Sovrani. Ri-peté l’annuncio datomi a Tsing Tao che il mio apparecchio sarebbe conservato ed esposto nel museo delle armi. La dama, togliendoli dal tavolo di lacca, porse dei doni alla imperatrice, che volle personalmente consegnarli a noi.Accortasi poi l’Imperatrice che noi due parlavamo il francese, da Essa conosciuto, ci rivolse direttamente la parola in questa lingua, cosa che negli ambienti giapponesi parve quasi incredibile.E allora, tanto l’elemento umano pro-rompe ad ogni occasione, smessa la

Page 71: Fly over the time

pompa ieratica ed ufficiale del parlare, la imperatrice ci ricordò il suo grande dolore per la morte dei nostri com-pagni Gordesco e Grassa, che sapeva prodi nei voli di guerra e di pace.Ci chiese quindi se avremmo gradi-to che un ufficio funebre fosse stato celebrato, noi presenti, in un tempio giapponese, col rito del paese. Esponemmo la nostra profonda com-mozione per questo pensiero pietoso e squisito.Indi Sua maestà ci narrò che, dal giorno della nostra partenza da Roma, era stato ordinato ai bambini di tutte le scuole di età non superiore agli anni tredici, di interpretare e desi-gnare a modo loro l’evento del volo Roma-Tokio, con figurazioni reali o simboliche e allegorie. Di questi dise-gni, come l’Imperatrice narrava, venne raccolto il migliore per ogni classe, e ne furono composti due album, che ci furono consegnati perché li portassi-mo alla graziosa Regina nostra.Ci domandò infine se eravamo rimasti contenti delle accoglienze ricevute, e concluse augurando che ancor più propizio ci fosse il soggiorno nei dì venturi, perché potessimo portare agli Italiani l’impressione viva dell’amicizia e dell’ammirazione giapponese. Così terminò il ricevimento durato circa tre quarti d’ora. Usciti dalla Reggia e alzato il ponte levatoio, un altro spet-

tacolo ci attendeva.Ai piedi del Colle Sacro, al margine dei giardini incantati, due divisioni di sol-dati composero un rettangolo: invitati noi due nel mezzo, il Ministro della guerra ci consegnò per incarico del Mikado la gran spada Shamurai, il cui conferimento ci era stato annunciato fin da Tsing Tao.  Sulla via del ritorno subentra il di-spiacere per la scarsa o nulla com-prensione del governo italiano per l’impresa compiuta, per l’indifferen-za all’arrivo in piroscafo a Venezia, compensata, almeno, dall’abbraccio dei concittadini della nativa Thiene. E giunge anche il riconoscimento del Re che riceve Ferrarin al Quiri-nale e gli dedica parole di cortesia ed incoraggiamento.  

PAGE71

Page 72: Fly over the time

Le tappe del volo di Ferrarin   (esclusi gli atterraggi occasionali intermedi) sono riportate nella seguente tabella, con le distanze tra una città e l’altra. ROMA-GIOIA DEL COLLE km 390;GIOIA DEL COLLE-VALONA (VLORE) km 220;VALONA-SALONICCO (SALONIKI) km 290;SALONICCO-SMIRNE (IZMIR) km 440;SMIRNE-ADALIA (ANTALYA) km 350;ADALIA-ALEPPO (HALEB) km 585;ALEPPO-BAGHDAD km 740;BAGHDAD-BASSORA (BASHRAH) km 460;BASSORA-BUSHIR-BANDAR ABBAS km 560;BANDAR ABBAS-CIAUBAR (CHAHBAHAR) km 490;CIAUBAR-KARACHI km 640; KÀRACH I-DELHI 1.100;DELHI-ALLAHABAD km 585;ALLAHABAD-CALCUTTA km 720;CALCUTTA-AKYAB (SITTWE) km 550;AKYAB-RANGOON km 510;RANGOON-BANGKOK (KRUNG THEP) km 560;BANGKOK-UBON km 485;UBON-HANOI km 650;HANOI-CANTON (KUANG CHOU) km 810;CANTON-FU CHOU (MIN HOU) km 700;FU CHOU-SHANGHAI km 610;SHANGHAI-TSINGTAO (CHING TAO) km 550;TSINGTAO-PECHINO (PEICHING) km 550;PECHINO-KOW PANGTZU km 490;KOW PANGTZU-SHINGISHU (SINUIJU) km 270;SHINGISHU-SEOUL km 360;SEOUL-TAIKJU (TAEGU) km 240;TAIKJU-OSAKA km 630;OSAKA-TOKYO km 410.

Page 73: Fly over the time

PAGE73

Page 74: Fly over the time
Page 75: Fly over the time

conc

ept:

ww

w.ba

ssod

esig

n.it

87a Squadriglia SVAwww.87a.it - [email protected]

87squadriglia-SVA

Giuliano BassoPresidente [email protected]

Giorgio BonatoCostruttore e Pilota [email protected]

Alessandro MarangoniCostruttore e Pilota [email protected]

CON IL PATROCINIO DI

FONDAZIONE IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI

I marchi e i format utilizzati all’interno del Sito, sulle brochures e sul materiale informativo sono registrati a nome dell’Associazione 87a Squadriglia SVA nella loro forma grafica e denominativa.

L’utilizzo o la riproduzione in qualunque forma e modo di tali marchi, logo e format è vietata.

Le informazioni, i grafici, le fotografie, i disegni, le icone e qualunque altro materiale presente sul nostro sito internet e sul materiale pubblicitarioe/o informativo sono di proprietà esclusiva dell’Associazione.

PAGE75

Page 76: Fly over the time

1 9 2 0

2 0 2 0