Università degli Studi di Milano Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Laurea Triennale in Fisica Radioprotezione per la regione spettrale visibile-infrarossa Relatore interno: Dott. Nicola Manini Relatore esterno: Dott. Francesco Frigerio Gianluca Pungillo Matricola n° 579049 A.A. 2010/2011 Codice PACS: 87.52.-g
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Università degli Studi di Milano
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Laurea Triennale in Fisica
Radioprotezione per la regione spettrale
visibile-infrarossa
Relatore interno: Dott. Nicola Manini
Relatore esterno: Dott. Francesco Frigerio
Gianluca Pungillo
Matricola n° 579049
A.A. 2010/2011
Codice PACS: 87.52.-g
Radioprotezione per la regione spettrale
visibile-infrarossa
Gianluca Pungillo
Dipartimento di Fisica, Università degli Studi di Milano
Via Celoria 16, 20133 Milano, Italia
23 Febbraio, 2011
Riassunto
In questo lavoro di tesi vengono presentate e studiate le basi fisiche per modellizzare
attraverso lo spettro di “radiazione di corpo nero” diverse tipologie di sorgenti di
radiazione ottica artificiale.
Il mercato non offre al momento strumentazioni, adatte all’impiego in campo, capaci di
effettuare misure in tutti gli intervalli di lunghezza d’onda d’interesse per la protezione
dei lavoratori dall’esposizione a radiazione ottica.
Per questo, abbiamo sviluppato uno strumento di calcolo con il quale è possibile
effettuare un’estrapolazione fino alla lunghezza d’onda di 6000 nm (infrarosso) di
misure spettrali eseguite nel visibile, assimilando la sorgente ad un corpo nero. Lo
strumento è basato sulle funzioni di calcolo di MS Excel e su routine di calcolo
sviluppate appositamente.
Paragoniamo i risultati ottenuti con questo metodo a quelli ottenuti presso la
Fondazione Maugeri di Pavia, basati su un precedente lavoro dell’Istituto Superiore per
la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro (Sisto et al, Infrared radiation exposure in
traditional glass factories, AIHAJ, 5-10, Febbraio 2000).
Relatore interno: Dott. Nicola Manini
Relatore esterno: Dott. Francesco Frigerio
Indice
1 Radioprotezione da radiazione ottica ........................................................ 1
2 Effetti biologici della radiazione visibile-IR su occhi e pelle ......................... 3
2.1 Funzioni peso .................................................................................. 4
3 Quantità ed unità di misura ..................................................................... 6
3.1 Criteri di valutazione e limiti applicabili .............................................. 7
3.2 Grandezze radiometriche e fotometriche ........................................... 11
Appendice I ................................................................................................... i
Strumenti di misura .................................................................................... i
Appendice II ................................................................................................ iii
Direttiva ................................................................................................... iii
Appendice III .............................................................................................. xii
L’occhio ................................................................................................... xii
La pelle ................................................................................................... xii
Appendice IV .............................................................................................. xiii
Algoritmo “Downhill Simplex Method” in più dimensioni .............................. xiii
Appendice V ................................................................................................ xv
Foglio di calcolo ........................................................................................ xv
Bibliografia
1
1 Radioprotezione da radiazione ottica
La radiazione elettromagnetica nell’intervallo di lunghezza d’onda tra 100 nm e 1 mm è
denominata “radiazione ottica” per la sua capacità di interagire con l’occhio umano e
per il fatto che può essere in larga parte studiata applicando le leggi dell’ottica classica.
Le basi scientifiche sulla protezione dalle esposizioni a radiazioni ottiche artificiali (ROA)
sono descritte in una linea guida emanata dalla International Commission on Non
Ionizing Radiation Protection (ICNIRP, 1997) (1).
La linea guida è stata sostanzialmente recepita dalla Direttiva Europea 2006/25/CE
(Commission of the European Communities, 2006) (2) che a sua volta è stata recepita
nella legislazione italiana con il decreto legislativo meglio noto come “Testo Unico” sulla
sicurezza sul lavoro (D.Lgs 81/2008) (3).
Dall’aprile 2010, è obbligatorio, nel nostro paese, valutare i rischi per la salute e la
sicurezza dei lavoratori dovuti all’esposizione a ROA, applicando i valori limite di
esposizione (VLE) stabiliti dall’ICNIRP.
Nella letteratura di Medicina del Lavoro sono descritte diverse patologie correlate
all’esposizione a radiazione ottica che comprendono anche la radiazione solare, peraltro
non contemplata dalla Direttiva, e le sorgenti artificiali UV-visibili (4).
Per questo intervallo di lunghezza d’onda, tuttavia esistono metodi di valutazione
relativamente consolidati (5) e comincia ad essere disponibile sul mercato
strumentazione, come quella più oltre descritta, che può essere utilizzata per eseguire
le misure negli ambienti di lavoro.
Per l’intervallo fino a 3000 nm, viceversa è difficile trovare strumentazione utilizzabile
sul campo in quanto la tecnologia al momento disponibile per gli spettroradiometri
portatili è basata su rivelatori all’arseniuro di gallio che possono essere calibrati fino a
lunghezze d’onda che vanno poco oltre i 1000 nm.
Si noti che tra 780 e 1400 nm la radiazione non è percepita dall’occhio umano ma
viene focalizzata dal cristallino sulla retina; la valutazione del danno da radiazione
visibile viene pertanto estesa a questo intervallo.
Grazie ad uno studio sistematico condotto in acciaierie e fonderie svedesi, Lyndhal
mise in evidenza la correlazione tra esposizione a radiazione IR e lo sviluppo di
cataratta da danno termico (4). Effettivamente, una delle maggiori cause di
esposizione alla radiazione IR da parte dei lavoratori è la manipolazione di materiali ad
2
alta temperatura. Queste tipologie di sorgenti possono essere modellizzate attraverso
lo spettro di “radiazione di corpo nero”, così come fu studiato da Planck nel 1910. In
un documento del 2006 (6), l’ICNIRP discute la possibilità di applicare tale modello a
tutta una serie di materiali caldi irradianti, dimostrando che il modello di corpo nero
porta ad una sovrastima dell’energia emessa; dal punto di vista protezionistico la cosa
non crea molti problemi, tanto più che all’aumento di temperatura della sorgente,
l’approssimazione diventa via via migliore.
Ogni volta che la sorgente di radiazioni può essere modellizzata come un corpo nero
semplice, dimostreremo che è possibile valutare l’esposizione in ogni intervallo di rilievo
prevenzionistico.
All’atto pratico per la modellizzazione è stato sviluppato un tool di calcolo, con il quale
è possibile effettuare un’estrapolazione partendo dai dati misurati in un intervallo
limitato. Lo strumento utilizzato è un foglio di lavoro in MS Excel, al quale sono state
aggiunte delle routine di calcolo sviluppate ad hoc per il nostro problema.
I risultati saranno paragonati ai metodi sviluppati presso il Centro Ricerche Ambientali
della Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia dove è attiva una collaborazione con
l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro (ISPESL) per la
valutazione del rischio ROA in ambiente di lavoro. La Fondazione Salvatore Maugeri,
Clinica del Lavoro e della Riabilitazione, è un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere
Scientifico (IRCCS) con una radicata tradizione nell’ambito della Medicina del Lavoro. Il
Centro Ricerche Ambientali (CRA) della Fondazione istituzionalmente si occupa
d’indagini ambientali in ambienti di vita e di lavoro per individuare e quantificare gli
agenti di rischio chimici, fisici e biologici.
Le misure utilizzate per lo studio, sono state svolte direttamente sul campo in diversi
ambienti di lavoro; lo strumento è stato inoltre verificato in laboratorio su lampade
alogene da scrivania.
3
2 Effetti biologici della radiazione visibile-IR su occhi e pelle
Per una descrizione dettagliata degli organi interessati (occhio e pelle) si rimanda a
testi di carattere medico; viene tuttavia data una breve descrizione all’Appendice II.
Schematicamente possiamo affermare che l’assorbimento di energia da radiazione
determina effetti biologici diretti dovuti a:
• meccanismi fotochimici: nei quali si verificano rezioni chimiche indotte
dall’assorbimento di fotoni, mediate o meno da sostanze fotosensibilizzanti; tali
effetti pesano maggiormente nello spettro della radiazione UV – visibile
• meccanismo termico: che causa sostanzialmente un aumento della
temperatura; questo secondo effetto pesa maggiormente nello spettro della
radiazione visibile – IR
Gli effetti biologici avversi sono riassunti schematicamente nelle figure 1 e 2.
Figura 1: Gli effetti biologici avversi variano con la banda spettrale. Gli effetti possono sovrapporsi quindi è necessario valutarli separatamente. Per ogni effetto esiste una funzione peso specifica.
danno retinico termico ustione cornea
cataratta foto- retinite
4
Figura 2: La profondità di penetrazione è intesa al 95% dell’assorbimento.
2.1 Funzioni peso
Nella valutazione dell’esposizione alla radiazione ottica per sorgenti non coerenti,
l’ICNIRP (ICNIRP, 1997) ha definito alcune funzioni peso per tener conto della
dipendenza degli effetti dalla lunghezza d’onda. Le funzioni peso sono S(λ), B(λ) ed R(λ), tutte adimensionali, riportate in figura 3.
Tali funzioni sono tabulate utilizzando un passo di 1 nm per la funzione S(), mentre
per le funzioni B(λ) ed R(λ) il passo utilizzato è di 5 nm. Al fine di calcolare gli
integrali necessari con la risoluzione spettrale desiderata, ad esempio quella dello
strumento utilizzato per le misure, tali funzioni sono state calcolate a lunghezze d’onda
intermedie per interpolazione lineare dei valori tabulati.
Funzione peso S(λ)
Questa funzione si applica in un intervallo di lunghezze d’onda comprese tra 180 a 400
nm e si annulla al di fuori di questo; viene usata per quantificare l’esposizione
all’irradianza o alla radianza spettrale nella regione UV-visibile, affinchè tenga nel
giusto conto la dipendenza dalla lunghezza d’onda degli effetti dannosi per la pelle e
degli occhi.
Funzione peso B(λ)
Il fattore peso B(λ) viene applicato in un intervallo tra 300 e 700 nm. Questa funzione
viene applicata per tener conto della dipendenza dalla lunghezza d’onda dei rischi da
danno fotochimico oculare.
epiderma
derma
ipoderma
strato corneo
lunghezza d’onda [nm]
pro
fondità d
i penetr
azi
one [
mm
]
strati cutanei
5
Funzione peso R(λ)
La funzione peso R(λ) si annulla fuori dall’intervallo tra 380 e 1400 nm. Nonostante la
parte visibile abbia un peso da uno a due ordini di grandezza maggiore rispetto alla
parte nell’intervallo IR, quest’ultima porzione di spettro risulta avere un ruolo
preponderante nella valutazione degli effetti biologici nei casi di forti emissioni
nell’infrarosso.
Figura 3: In rosso: funzione peso R(λ). In blu: funzione peso B(λ). In viola: funzione peso S(λ). Con la fascia colorata viene indicato lo spettro visibile.
L’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH) utilizza un
diverso andamento della funzione R(λ) che non presenta l’amplificazione X 10 nella
regione del blu (Associazione Italiana degli Igienisti Industriali e per l’Ambiente Valori
Limite di Soglia 2010 TLV 2010 - Valori Limite di Soglia ACGIH 2010).
Questa scelta non è stata tuttavia recepita dall’ICNIRP e pertanto la Direttiva Europea
utilizza ancora la precedente pesatura.
6
3 Quantità ed unità di misura
Per valutare l’esposizione alla radiazione visibile artificiale (ROA) seguendo le linee
guida della ICNIRP, è necessario calcolare alcuni integrali del tipo
= () ∙ ()
3.1
sulle lunghezze d’onda dello spettro della radiazione incidente (ICNIRP, 1997) definiti
sulle grandezze radiometriche S(λ), con le opportune funzioni peso W(λ).
Per ciascuna sorgente devono essere valutate le grandezze definite di seguito.
Radianza spettrale:
L(λ,ω,t)
3.2
espressa in Wm-2sr-1nm-1, rappresenta la quantità di radiazione emessa al tempo t nella
direzione angolare ω, alla lunghezza d’onda λ e per unità di superficie del bersaglio
che riceve la radiazione. Questa quantità è utilizzata quando è importante la
dipendenza angolare.
Irradianza spettrale:
E(λ,t)
3.3
utilizzata quando gli effetti sono indipendenti dall’angolo di osservazione, rappresenta
la potenza incidente per unità di superficie del bersaglio ad una determinata lunghezza
d’onda indipendentemente dalla direzione di provenienza della radiazione; è espressa
in Wm-2nm-1.
Nell’ipotesi, spesso verificata, in cui l’irradianza misurata da un dato strumento sia
attribuibile ad una sola sorgente, la radianza di quest’ultima può essere ottenuta dalla
misura d’irradianza applicando la relazione
(, , ) = (, )Ω 3.4
dove Ω è l’angolo solido sotto il quale è osservata la sorgente.
7
Esposizione radiante:
(, ) 3.5
utilizzata quando si vuole considerare l’effetto dell’energia assorbita
indipendentemente dal tempo, è l’integrale di E nel tempo e si esprime in Jm-2.
3.1 Criteri di valutazione e limiti applicabili
I Valori Limite di Esposizione (VLE) applicabili per le sorgenti incoerenti, sono riportati
nell’Allegato I – Tabella 1.1 della Direttiva Europea 2006/25/CE e s.m.i. del quale si
utilizza nel seguito integralmente la terminologia ricordata qua sopra.
In generale è necessario tenere conto della dipendenza dei diversi effetti dalla
lunghezza d'onda della radiazione. In alcuni casi lo spettro deve essere ponderato
rispetto alla lunghezza d’onda per tenere conto della maggiore sensibilità in un certo
intervallo.
Vengono pertanto definite delle curve di ponderazione spettrale basate sui principali
effetti noti.
I valori limite sono definiti sulle grandezze integrate sullo spettro, ponderato o meno a
seconda dei casi, con le curve peso definite nella sezione precedente.
Qui di seguito citiamo i valori numerici dei VLE applicabili alle sorgenti incoerenti
espressi con un numero e relativa unità di misura.
Le curve di ponderazione sono tabulate nell’Allegato I – Tabella 1.2 e 1.3 della
Direttiva 2006/25/CE a passi di 1 o 5 nm. Gli integrali possono essere approssimati da
sommatorie.
Danno fotochimico da radiazione UV:
deve essere calcolata la grandezza
H !! = " E# ∙ S(λ) ∙ ∆λ ∙ ∆t%
&' 3.6
dove ∆t è la durata dell’esposizione espressa in secondi e ∆λ = 1nm.
8
La grandezza Heff serve a valutare il danno da radiazione (pesando soprattutto lo
spettro UV) a carico dell’occhio e della cute (fotocheratite, fotocongiuntivite, elastosi,
tumore cutaneo). Come mostrato in figura 3, per effetto della ponderazione, sono in
pratica più importanti le componenti a λ < 300 nm.
Il VLE è Heff ≤ 30 Jm-2 in 8 ore.
Cataratta da radiazione UVA:
deve essere calcolata in questo caso la grandezza
H+,- = " E# ∙ ∆λ ∙ ∆t%
.&/ 3.7
Non si applica alcuna ponderazione e l’integrale deve essere limitato alla banda UVA. Il
VLE in questo caso è HUVA ≤ 10000 Jm-2, sempre riferito alle 8 ore.
Danno fotochimico da luce blu:
per sorgenti estese, deve essere calcolata la grandezza
L3 = " L# ∙ B(λ) ∙ ∆λ4
. 3.8
LB serve a valutare il danno provocato dall’assorbimento di radiazione UV-visibile a
carico, in particolare, dei fotorecettori posti nella regione foveale della retina.
La problematica della luce blu è dovuta alla particolare sensibilità, a queste lunghezze
d'onda, della regione della retina responsabile della visione acuta diurna.
Per sorgenti puntiformi (vedi Allegato I al Decreto per i dettagli), LB viene sostituita
con EB che ha la stessa forma della 3.8, ovvero
E3 = " E# ∙ B(λ) ∙ ∆λ4
. 3.9
Per sorgenti estese, come applicabile nella maggior parte dei casi alla visione dei fari, i
VLE deve essere
a) 7 < &9: Wm-2sr-1 per t < 168 minuti
7 < 100 Wm-2sr-1 per t > 168 minuti
b)
dove t è espresso in secondi
9
Danno retinico termico (con stimolo visivo):
deve essere calcolata la grandezza
L> = " L# ∙ R(λ) ∙ ∆λ&%
.' 3.10
Poiché l’integrale si estende nell’infrarosso vicino (IRA), normalmente LR è
significativo, ossia è possibile l’ustione della retina per assorbimento termico, per
sorgenti che emettono anche solo nella regione dell’IR. Il VLE sarà
a) ? = @,' ∙ &ABC
Wm-2sr-1 per t > 10 s
b) ? = / ∙ &ABC∙:D,EF Wm-2sr-1 per 10 µs ≤ t ≤ 10 s
c) ? = ','G ∙ &HBC
Wm-2sr-1 per t < 10 µs
il tempo t è espresso in secondi.
La costante Cα dipende dall’angolo sotteso α sotto cui è vista la sorgente dall’oggetto
colpito da radiazione; nei tre casi vale
a) Cα = 1,7 per α ≤ 1,7 mrad
b) Cα = α per 1,7 ≤ α ≤ 100 mrad
c) Cα = 100 per α > 100 mrad
Danno retinico termico (senza stimolo visivo):
deve essere calcolata la grandezza
L> = " L# ∙ R(λ) ∙ ∆λ&%
4' 3.11
In questo caso l’integrale non comprende la regione visibile, LR è significativo solo per
sorgenti che emettono la maggior parte dell’energia nella regione dell’IR come i corpi
incandescenti. Come per il caso precedente, i VLE sono tre, applicabili a seconda dei
casi come spiegato di seguito
10
a) ? = K ∙ &9BC
Wm-2sr-1 per t > 10 s
b) ? = / ∙ &ABC∙:D,EF Wm-2sr-1 per 10 µs ≤ t ≤ 10 s
c) ? = ','G ∙ &HBC
Wm-2sr-1 per t < 10 µs
il tempo t è espresso in secondi.
Per la costante Cα si ha
a) Cα = 11 per α < 11 mrad
b) Cα = α per 11 ≤ α ≤ 100 mrad
c) Cα = 100 per α > 100 mrad
Danno termico da radiazione IR a carico di cornea e cristallino:
deve essere calcolata la grandezza
EL> = " E# ∙ ∆λ.
4' 3.12
EIR considera l’energia infrarossa assorbita dalla cornea e dal cristallino senza essere
focalizzata. Il VLE vale
a) N? < 18000 ∙ O,@/ Wm-2 per t ≤ 1000 s
b) N? = 100 Wm-2 per t > 1000 s
Il documento “Guidelines on limits of exposure to broad-band incoeherent artificial
optical radiation”, (Health Physics, 1997) (1), redatto dalla International Commission
on Non Ionizing Radiation Protection (ICNIRP) e costituente la base scientifica dei VLE
riportati nel DLgs 81/08, riporta che la grandezza appena citata serve a valutare il
danno dovuto all’aumento di temperatura del cristallino.
Il documento scientifico distingue tra “esposizioni lunghe” (> 1000 s) ed “esposizioni
più brevi” (< 1000 s) senza specificare l’intervallo di tempo che deve trascorrere tra
due esposizioni consecutive.
11
Danno termico cutaneo (ustione) da radiazione IR:
deve essere calcolata la grandezza
HPQRS = " E# ∙ ∆λ ∙ ∆t.
.' 3.13
Hskin considera il rischio da ustione dovuto a intense esposizioni a radiazione visibile-IR
per tempi inferiori a 10 s. Il VLE è Hskin = 20000 · t0,25 Jm-2 per t < 10 s. Se l’esposizione non è in grado di provocare un’ustione cutanea in 10 secondi, la
situazione deve essere considerata solo dal punto di vista del microclima.
In funzione delle sorgenti presenti e delle condizioni di esposizione, uno o più dei limiti
sopra citati, ovvero una o più voci della Tabella 1.1 dell’Allegato I non sono applicabili
in quanto le corrispondenti grandezze sono sicuramente trascurabili rispetto ad altre.
Quando sono applicabili più limiti, si deve considerare il più restrittivo.
3.2 Grandezze radiometriche e fotometriche
Le grandezze sopra esposte fanno riferimento al flusso di energia in maniera
indipendente dallo spettro.
In illuminotecnica per valutare l’efficienza dei sistemi di illuminazione si utilizzano
invece le quantità dette fotometriche la più nota delle quali è l’illuminamento espresso
in lux. Questa grandezza esprime il flusso luminoso, in lumen, per unità di superficie.
L’illuminamento si più ricavare integrando l’irradianza spettrale sulla curva fotopica
V(λ) (7), utilizzando la seguente
EYZ[ = 683,002 ∙ " E# ∙ V(λ) ∙ ∆λ4.
.' 3.14
dove la costante 683,002 serve a normalizzare il flusso luminoso (in cd) alla lunghezza
d’onda λ di 550 nm.
12
4 Radiazione termica
I nostri occhi sono in grado di vedere gli oggetti o a causa della radiazione che essi
riflettono o per effetto della radiazione che gli oggetti stessi emettono ad esempio
come conseguenza della loro temperatura.
La radiazione emessa da un corpo come conseguenza della sua temperatura è detta
“radiazione termica”. Tutti i corpi scambiano radiazione termica con l’ambiente
circostante.
La maggior parte della radiazione termica è per noi invisibile, poiché cade nell’intervallo
della radiazione infrarossa.
In generale la forma dettagliata dello spettro della radiazione emessa da un corpo
caldo, dipende in qualche modo dalla composizione della sua superficie, ma una serie
di esperimenti dimostrano che esiste una classe di corpi caldi che emettono spettri con
caratteristiche universali. Questi corpi vengono detti “corpi neri”, corpi con capacità di
assorbire tutta la radiazione termica che li colpisce. Il nome deriva dal fatto che questi
corpi non riflettono la luce ed appaiono neri (a patto che la loro temperatura sia
abbastanza bassa da non renderli luminescenti).
Il problema protezionistico che vogliamo affrontare si applica proprio ai luoghi di lavoro
nei quali i materiali trattati raggiungono temperature talmente elevate da renderli
luminescenti: acciaierie e altre lavorazioni dei metalli a caldo, vetrerie, produzione di
materiali refrattari e fornaci in genere sono ambienti di lavoro nei quali è stata
riscontrata un’incidenza statisticamente significativa di patologie del cristallino.
Il lavoratore tende a proteggersi quando la radiazione visibile è sufficientemente
intensa da risultare abbagliante rispetto all’ambiente circostante, per cui il rischio
maggiore per la salute è costituito dall’esposizione alla parte invisibile dello spettro.
4.1 Corpo nero
Un corpo nero ideale potrebbe essere un oggetto contenente una cavità collegata con
l’esterno attraverso una piccola apertura. La radiazione che incide sul foro entra nella
cavità e viene riflessa casualmente al suo interno e quindi rapidamente assorbita. Se la
superficie del foro è molto piccola rispetto alla superficie interna della cavità, solo una
quantità trascurabile di radiazione sarà riflessa nuovamente attraverso il foro verso
l’esterno (figura 4).
13
Figura 4: Cavità di corpo nero.
L’unica radiazione che può uscire dal foro è quella generata dalle pareti della cavità per
effetto della temperatura del corpo. Fino a che la temperatura rimane sufficientemente
bassa, questa radiazione rimane essenzialmente nelle regioni delle onde radio,
microonde e infrarosso, per noi invisibile, e dunque il corpo rimane nero. Verniciare di
nero un oggetto significa ricoprirlo con un pigmento che assorbe tutta la radiazione
visibile pertanto, finché la sua temperatura rimane sufficientemente bassa, il corpo
appare nero.
Indipendentemente dalla loro composizione, tutti i corpi neri che si trovano alla stessa
temperatura, emettono radiazione termica con lo stesso spettro. Aumentando la
temperatura, aumenta anche la frazione di “oscillatori” del corpo la cui energia è
sufficiente ad emettere radiazione visibile. Anche un corpo nero ideale pertanto
apparirà tanto più luminoso quanto più alta è la sua temperatura; la distribuzione
spettrale, se può essere trascurata l’energia riflessa dalla superficie del corpo, è
caratteristica solo della temperatura e prende il nome di distribuzione di corpo nero.
4.2 Distribuzione spettrale della radiazione di corpo nero
La materia nello stato solido o liquido emette radiazione in uno spettro continuo,
mentre i gas hanno uno spettro discreto. Normalmente in letteratura la distribuzione
spettrale viene indicata con la quantità ET(ν), detta spesso “irradianza spettrale”
definita in modo tale che la quantità ET(ν)dν sia uguale all’energia radiante emessa
per unità di tempo, da una superficie di area unitaria a temperatura assoluta T. Ai fini
pareti a temperatura T
14
di questo lavoro, l’irradianza è definita come l’energia per unità di superficie sulla quale
la radiazione va ad incidere provenendo da tutte le direzioni.
L’energia per unità di superficie emessa può essere definita come emittanza, ha le
stesse dimensioni dell’irradianza ma è una quantità distinta.
L’integrale dell’emittanza spettrale ET(ν) su tutte le frequenze ν ci da l’energia totale
emessa per unità di tempo e per unità di superficie da un corpo nero che si trova a
temperatura T. Viene chiamata semplicemente emittanza ET ovvero:
Ea = Ea(ν) dν∞
4.1
L’unità di misura è il watt su metro quadro [Wm-2]
Figura 5: Andamento della funzione ET(ν) al crescere della frequenza ν a tre temperature diverse.
La funzione ET aumenta rapidamente al crescere della temperatura (figura 5). Questo
risultato è la ben nota “legge di Stefan” (1879):
Ea = σ ∙ T% 4.2
dove σ è detta costante di Stefan – Boltzmann e vale 5.67 x 10-8 Wm-2K-4
Un’altra caratteristica ben visibile sulla figura 5 è che lo spettro trasla verso frequenze
maggiori all’aumentare di T. Questo risultato è noto con il nome di “legge di Wien”:
ET(ν) [Wm-3]
ν [Hz]
T = 3000 KT = 3000 K
T = 2000 K
T = 1500 K
15
λcd[ ∙ T = cost 4.3
dove λmax è la lunghezza d’onda alla quale la ET(ν) ha il suo massimo a T data.
4.3 Teoria di Planck sulla radiazione di cavità
Cenni alla teoria classica
I primi a provare a stimare analiticamente l’energia della radiazione di corpo nero, con
l’ausilio della cavità, furono Rayleigh e Jeans; per semplicità enunciamo i risultati.
Con il loro lavoro misero in luce un serio conflitto tra la fisica classica ed i risultati
sperimentali. In particolare trovarono per la radiazione la seguente espressione
analitica:
ρa(ν) dν = 8 π ν@ k Tc. dν 4.4
dove c è la velocità della luce e k è la costante di Boltzmann
Tale relazione è detta “formula per la radiazione di corpo nero di Rayleigh_Jeans”, che
fornisce l’energia dello spettro di corpo nero, per unità di volume e nell’intervallo di
frequenze comprese tra ν e ν + dν, di una cavità a temperatura T.
Comparando i risultati dati da tale relazione con i dati sperimentali, si vede che
l’accordo è limitato solo a frequenze basse, mentre a frequenze alte tale relazione
diverge mentre lo spettro misurato va ovviamente a zero. Questo fatto è noto con il
nome di “catastrofe ultravioletta”.
Teoria di Planck per la radiazione di cavità
Nel loro lavoro Rayleigh e Jeans, utilizzarono la legge di “equipartizione dell’energia”;
tale legge dice che per un sistema di molecole di gas all’equilibrio termico a
temperatura T, l’energia cinetica media Ē per ogni molecola è di kT/2 per grado di
libertà. Questa legge può essere applicata ad un qualsiasi sistema classico, all’equilibrio
termico, contenente un elevato numero di costituenti della stessa specie.
Nel tentativo di risolvere il problema, Planck ipotizzò che nel caso di radiazioni di corpo
nero, l’energia media è funzione della frequenza ed in particolare assunse ciò che
segue:
16
per ν -> 0 si ha che Ē -> kT cond. 1
per ν -> ∞ si ha che Ē -> 0 cond. 2
La grande intuizione di Planck fu quella che poteva realizzare le condizioni su esposte
se avesse trattato l’energia media Ē come se fosse una variabile discreta anziché
continua. Questi valori discreti di energia dovevano essere distribuiti uniformemente,
del tipo:
E = 0, ∆E, 2∆E, 3∆E, 4∆E, … cond. 3
dove ∆E rappresenta l’intervallo fra due valori di energia permessi. Planck scoprì che
doveva imporre una ∆E molto piccola per ottenere la condizione 1, mentre la
condizione 2 la si ottiene per ∆E grande. Questo significa fondamentalmente che ∆E
deve essere una funzione crescente della frequenza ν.
Numericamente fu evidente che tra ∆E e ν esisteva una semplice relazione di
proporzionalità data da:
∆E = hν 4.5
e che la costante di proporzionalità h, nota oggi con il nome di “costante di Planck”,
valeva 6.63 x 10-34 Js
In definitiva Planck ottenne per l’energia cinetica media la seguente relazione:
Ē(ν) = hνetu Qav − 1 4.6
Da questa si ottiene per la densità di energia per lo spettro di corpo nero, la seguente
relazione:
ρa(ν) dν = 8 π ν@c.
h νet u Q av − 1 dν 4.7
detta “spettro di corpo nero di Planck”, che esprime la densità di energia radiante per
radiazione emessa nell’intervallo di frequenza compresa tra ν e ν + dν.
L’emittanza è legata a questa densità di energia dalla seguente relazione
Ea(ν) = c4 ρa(ν) 4.8
Pertanto
17
Ea(ν) = 2 π h ν.c@ 1
et u Q av − 1 4.9
Per ragioni storiche e dato il funzionamento degli analizzatori spettrali a reticolo di
diffrazione ai fini protezionistici è invece comune pratica esprimere gli spettri in
funzione di λ come riportato anche dall’ICNIRP.
Possiamo dunque esprimere l’emittanza in funzione della lunghezza d’onda λ della
radiazione, ricordando che tra lunghezza d’onda e frequenza sussiste la relazione
λ ν = c, come segue
Ea(λ) dλ = 2 π h c@λ/
1et x Q # av − 1 dλ 4.10
18
5 Tecnica utilizzata
Come discusso nelle sezioni precedenti, lo scopo è quello di effettuare
un’estrapolazione dello spettro della sorgente radiante, partendo da un intervallo
limitato di dati misurati dello stesso, utilizzando come modello lo spettro di corpo nero.
A tale scopo è stato utilizzato l’algoritmo di calcolo noto con il nome di “Downhill
Simplex Method” dovuto a Nelder e Mead. Una spiegazione dettagliata del
funzionamento di tale algoritmo è data in Appendice III.
Sostanzialmente tale algoritmo si occupa di minimizzare numericamente una funzione,
che nel nostro caso dipende da due parametri, utilizzando un modello noto. La
funzione da minimizzare è stata definita come la sommatoria delle differenze
quadratiche delle funzioni Emis,i(λi) e κ*ET(λi), indicata con il simbolo χ2:
χ@ = "[ EcRP,R(λR) − κ ∙ Ea(λR) ]@~
5.1
dove:
λi è la i-esima lunghezza d’onda a cui si è effettuata la misura;
Emis,i(λi) è l’irradianza misurata sperimentalmente. Ad esempio il range di
sensibilità dello strumento utilizzato va da 300 a 1000 nm;
ET(λi) è l’emittanza calcolata con il modello di corpo nero alla temperatura T,
equazione 4.10;
κ è un’opportuna costante adimensionale valutata come parametro nella
minimizzazione che serve per collegare l’emittanza della sorgente all’irradianza
sul detector;
T è la temperatura della sorgente espressa in Kelvin, che è un parametro
incognito, anche lui da adattare per minimizzare χ2;
In figura 6 riportiamo un esempio di andamento delle due quantità prima della
procedura di minimizzazione. I punti rossi riportano lo spettro misurato attraverso un
foro d’ispezione di un forno di una cementeria. I punti blu sono lo spettro di corpo
nero, equazione 4.10, con i seguenti valori dei due parametri:
T =2000 K e κ =2·10-4
19
Figura 6: In rosso: dati misurati Emis. In blu: funzione κ·ET(λ) prima della minimizzazione.
Ovviamente le due curve sono distanti fra loro, infatti il χ2 ha un valore di
χ2 = 4,728 ∙ 1017. Il codice che abbiamo sviluppato modifica κ e T, in modo da minimizzare il χ2. Con la
minimizzazione si ottengono i valori ottimali dei due parametri:
T =1548,9 K e κ =1,018·10-3.
Il confronto tra i dati sperimentali e la curva di corpo nero fittata è riportato in figura 7.
Figura 7: In rosso: dati misurati Emis. In blu: funzione κ·ET(λ) dopo la minimizzazione.
0,00E+00
1,00E+07
2,00E+07
3,00E+07
4,00E+07
5,00E+07
6,00E+07
100 200 300 400 500 600 700 800 900 1.000 1.100
Emis, κ∙ET [W/m3]
λ [nm]
0,00E+00
5,00E+06
1,00E+07
1,50E+07
2,00E+07
2,50E+07
3,00E+07
3,50E+07
4,00E+07
100 200 300 400 500 600 700 800 900 1.000 1.100
Emis, κ∙ET [W/m3]
λ [nm]
20
A questo punto abbiamo a disposizione i valori dei parametri che ci permettono di
ricostruire lo spettro di corpo nero, in un intervallo arbitrariamente ampio. Ad esempio
la figura 8 riporta lo spettro tra 100 e 6000 nm.
Figura 8: In rosso: dati misurati Emis. In blu: modello di corpo nero κ·ET(λ), estrapolato ad un intervallo di lunghezze d’onda più ampio dei dati originari.
Come si vede dalla figura 8, la porzione di spettro misurato si adatta in maniera quasi
perfetta allo spettro di corpo nero, con disturbi spettrali dovuti alla presenza di altre
sorgenti, (come ad esempio il sistema d’illuminazione dell’impianto in cui sono state
effettuate le misure) praticamente trascurabili.
Utilizzando le altre routine implementate nel foglio di calcolo, si procede alla
valutazione delle grandezze da confrontarsi con i VLE effettuando gli opportuni
integrali.
Il fit diventa un po’ più ostico quando lo spettro misurato presenta delle
“contaminazioni” dovute ad altre sorgenti presenti in loco come vediamo nell’esempio
riportato di seguito.
In figura 9 si può vedere lo spettro misurato dal nostro strumento HR4000, emesso da
un pezzo in fase di lavorazione, in uno stabilimento di forgiatura:
B (λ), R (λ) [adimensionale], da 380 nm a 1 400 nm
λ in nm B (λ) R(λ)
300 ≤λ< 380 0,01 -
380 0,01 0,1
385 0,013 0,13
390 0,025 0,25
395 0,05 0,5
400 0,1 1
405 0,2 2
410 0,4 4
415 0,8 8
420 0,9 9
425 0,95 9,5
430 0,98 9,8
435 1 10
440 1 10
445 0,97 9,7
450 0,94 9,4
455 0,9 9
460 0,8 8
465 0,7 7
470 0,62 6,2
475 0,55 5,5
480 0,45 4,5
485 0,32 3,2
490 0,22 2,2
495 0,16 1,6
500 0,1 1
500 < λ ≤ 600 100,02·(450-λ) 1
600 < λ ≤ 700 0,001 1
700 < λ ≤ 1050 - 100,002·(700-λ)
1050 < λ ≤ 1150 - 0,2
1150 < λ ≤ 1200 - 0,2·100,02·(1150-λ)
1200 < λ ≤ 1400 - 0,02
Appendice III
L’occhio
Le parti principali costituenti l’occhio sono: l’iride, la pupilla, il cristallino, la cornea,
la sclera, il coroide, la retina, l’umore vitreo
ottico. La posizione delle pa
La luce che entra nell’occhio passa attraverso la cornea, un’apertura a dimensio
variabile che è la pupilla, il cristallino
nervo ottico trasporta gli impulsi dei
La pelle
Lo strato esterno della pelle, cioè l’epidermide, è formata da celle
keratinociti. Gli strati più interni, cioè derma ed ipoderma,
maggiormente da fibre di collagene; cont
sudoripare, follicoli piliferi e vasi sanguigni.
16.
Le parti principali costituenti l’occhio sono: l’iride, la pupilla, il cristallino, la cornea,
la retina, l’umore vitreo, il corpo ciliare, la fovea
La posizione delle parti è rappresentata il figura 15.
Figura 15: L’occhio.
La luce che entra nell’occhio passa attraverso la cornea, un’apertura a dimensio
variabile che è la pupilla, il cristallino, l’umor vitreo e viene focalizzata sulla retina; il
nervo ottico trasporta gli impulsi dei fotorecettori della retina verso il cervello.
Lo strato esterno della pelle, cioè l’epidermide, è formata da celle squamose dette
keratinociti. Gli strati più interni, cioè derma ed ipoderma,
da fibre di collagene; contengono terminazioni nervose, ghiandole
sudoripare, follicoli piliferi e vasi sanguigni. Uno schema illustrativo è dato in figura
Figura 16: La pelle umana.
xiv
Le parti principali costituenti l’occhio sono: l’iride, la pupilla, il cristallino, la cornea,
il corpo ciliare, la fovea ed il nervo
La luce che entra nell’occhio passa attraverso la cornea, un’apertura a dimensione
, l’umor vitreo e viene focalizzata sulla retina; il
fotorecettori della retina verso il cervello.
squamose dette
sono composti
terminazioni nervose, ghiandole
illustrativo è dato in figura
xv
Appendice IV
Algoritmo “Downhill Simplex Method” in più dimensioni
Il “downhill simplex method” è una tecnica di ottimizzazione non lineare basata sul
metodo numerico (10). Il metodo utilizza il concetto di “simplesso” che consiste in
una figura geometrica di N + 1 vertici di uno spazio ad N dimensioni. Esempi di
simplessi sono un segmento in una dimensione, un triangolo nel piano, un tetraedro
nello spazio tridimensionale e così via.
Nel caso bidimensionale dunque il simplesso avrà tre vertici, che devono essere
inizializzati. Se si suppone di partire da un punto p0, corrispondente ad uno qualsiasi
dei vertici, gli altri N punti si possono costruire ad esempio nel seguente modo:
pi = p0 + a ∙ ei
dove ei sono N vettori unitari ortogonali e dove a è una costante che rappresenta la
scala caratteristica del problema.
Una volta inizializzato il simplesso, il metodo compie una serie di step, andando dal
punto (o vertice) in cui la funzione è maggiore, fino al punto (o vertice) in cui la
funzione è più piccola. Questi step sono indicati in genere col nome di “riflessioni” e
sono pensate per mantenere il volume del simplesso costante.
Quando è possibile, il metodo espande il simplesso in una direzione qualsiasi, in
modo tale da fare degli step più grandi in direzione del minimo. Nel momento in cui
si raggiunge la “valle” della funzione, il metodo inizia a contrarre il simplesso nelle
direzioni trasverse rispetto a quella di discesa, provando ad assestarsi nel fondo
della valle. A questo punto il simplesso si contrae in tutte le direzioni, schiacciandosi
attorno al suo punto (o vertice) più piccolo.
Le possibili operazioni previste sono le seguenti:
1. si calcola il punto medio pm tra i punti p0 e p1
2. operazione di riflessione: si calcola il punto riflesso con la relazione
pr = pm + α(pm – p2)
xvi
se vale f(p1) ≤ f(pr) < f(p2) allora si ottiene un nuovo simplesso in cui il
punto “peggiore” p2 viene rimpiazzato da pr; si ricomincia dal punto 1.
3. operazione di espansione: fin tanto che il punto pr è il punto “migliore”, cioè
vale f(pr) < f(p1), si calcola il punto espanso con la seguente:
pe = pm + γ(pm – p2)
se succede che f(pe) < f(pr), si ottiene un nuovo simplesso in cui si
sostituisce il punto peggiore p2 con pe ricominciando da 1. Quando la
condizione f(pe) < f(pr) non è più verificata, la sostituzione sarà p2 con pr; ritorno in 1.
4. operazione di contrazione: se si ha che f(pr) ≥ f(p2) allora si calcola il
punto contratto come segue:
pc = p2 + ρ(pm – p1) se vale f(pc) < f(p2), si genera un nuovo simplesso con pc al posto di p2; si
ricomincia da 1.
5. riduzione per tutti i punti eccetto il migliore: rimpiazzo i punti come segue
pi = p1 + σ(pi – p1) con i = 1,2
I valori solitamente utilizzati per i coefficienti sono: α = 1; γ = 2; ρ = σ = ½.
Appendice V
Foglio di calcolo
In questa sezione viene riportata una breve
elettronico utilizzato per l’elaborazione dei dati. In particolare viene riportata
l’elaborazione utilizzata per l’esempio ripreso nella sezione 5 (“Tecnica utilizzata”),
figure 6, 7 e 8.
In figura 17 viene visualizzato il foglio di lavoro alla sua apertura.
vi è uno spazio dedicato all’inserimento dei dati misurati, indicata dalla freccetta blu,
sul lato sinistro del foglio di lavoro.
prima in alto serve per inserire i dati geometrici di osservazione; nelle due più in
basso saranno visualizzati i risultati alla fine del fit. Sul lato destro è presente una
breve descrizione della procedura da seguire per utilizzare il foglio.
Figura
Oltre a questo sono presenti anche dei pulsanti che attivano le routine implementate
nel foglio: nella parte centrale vi è il pulsante “elabora” che attiva le funzioni di
minimizzazione e di calcoli integrali come normativa; nella parte destra vi sono altri
due pulsanti che attivano rispettivamente delle routine di salvataggio dati e pulizia
del foglio di calcolo a lavoro ultimato.
Nella figura 18 vediamo come appare la sched
inseriti; a questo punto è possibile cliccare sul pulsante di “elaborazione” per
attivare le routine di calcolo.
In questa sezione viene riportata una breve illustrazione del foglio di lavoro
elettronico utilizzato per l’elaborazione dei dati. In particolare viene riportata
l’elaborazione utilizzata per l’esempio ripreso nella sezione 5 (“Tecnica utilizzata”),
viene visualizzato il foglio di lavoro alla sua apertura. In questa sezione
vi è uno spazio dedicato all’inserimento dei dati misurati, indicata dalla freccetta blu,
sul lato sinistro del foglio di lavoro. Nella parte centrale sono presenti tre tabelle: l
prima in alto serve per inserire i dati geometrici di osservazione; nelle due più in
visualizzati i risultati alla fine del fit. Sul lato destro è presente una
breve descrizione della procedura da seguire per utilizzare il foglio.
Figura 17: Foglio di lavoro all’apertura, scheda “main”.
Oltre a questo sono presenti anche dei pulsanti che attivano le routine implementate
nel foglio: nella parte centrale vi è il pulsante “elabora” che attiva le funzioni di
nimizzazione e di calcoli integrali come normativa; nella parte destra vi sono altri
due pulsanti che attivano rispettivamente delle routine di salvataggio dati e pulizia
del foglio di calcolo a lavoro ultimato.
vediamo come appare la scheda “main” con i dati misurati appena
inseriti; a questo punto è possibile cliccare sul pulsante di “elaborazione” per
attivare le routine di calcolo.
xvii
illustrazione del foglio di lavoro
elettronico utilizzato per l’elaborazione dei dati. In particolare viene riportata
l’elaborazione utilizzata per l’esempio ripreso nella sezione 5 (“Tecnica utilizzata”),
In questa sezione
vi è uno spazio dedicato all’inserimento dei dati misurati, indicata dalla freccetta blu,
Nella parte centrale sono presenti tre tabelle: la
prima in alto serve per inserire i dati geometrici di osservazione; nelle due più in
visualizzati i risultati alla fine del fit. Sul lato destro è presente una
Oltre a questo sono presenti anche dei pulsanti che attivano le routine implementate
nel foglio: nella parte centrale vi è il pulsante “elabora” che attiva le funzioni di
nimizzazione e di calcoli integrali come normativa; nella parte destra vi sono altri
due pulsanti che attivano rispettivamente delle routine di salvataggio dati e pulizia
a “main” con i dati misurati appena
inseriti; a questo punto è possibile cliccare sul pulsante di “elaborazione” per
Figura 18
Prima di attivare le routine di calcolo, la seconda scheda presente sul foglio di lavo
si presenta come in figura 19
parametri T e κ iniziali dai quali il foglio di lavoro parte per le elaborazioni.
Nella figura 20 si vede ciò che accade alla scheda “minimizz”, durante le operazioni
di minimizzazione. Nella parte in basso a sinistra vengono generati i dati per il
calcolo del χ2, visibile nella terza tabellina anch’essa collocata sul lato sinistro.
18: Scheda “main” con dati misurati appena inseriti.
le routine di calcolo, la seconda scheda presente sul foglio di lavo
si presenta come in figura 19. In questa sezione è possibile inserire dei valori per i
iniziali dai quali il foglio di lavoro parte per le elaborazioni.
Figura 19: Scheda “minimizz”.
si vede ciò che accade alla scheda “minimizz”, durante le operazioni
di minimizzazione. Nella parte in basso a sinistra vengono generati i dati per il
, visibile nella terza tabellina anch’essa collocata sul lato sinistro.
xviii
le routine di calcolo, la seconda scheda presente sul foglio di lavoro
nserire dei valori per i
iniziali dai quali il foglio di lavoro parte per le elaborazioni.
si vede ciò che accade alla scheda “minimizz”, durante le operazioni
di minimizzazione. Nella parte in basso a sinistra vengono generati i dati per il
, visibile nella terza tabellina anch’essa collocata sul lato sinistro.
Figura
Sul lato destro si vede il grafico con l’andamento delle funzioni
durante la minimizzazione. In figura 2
la minimizzazione.
Figura
Alla fine delle operazioni di calcolo, nelle tabelle dedicate della scheda principale
“main” è possibile vedere i valori dei parametri
oltre che i valori degli integrali da confrontare con i VLE co
(figura 22).
Figura 20: Scheda “minimizz” durante la minimizzazione.
Sul lato destro si vede il grafico con l’andamento delle funzioni Emis,iminimizzazione. In figura 21 vediamo invece le medesime funzioni dopo
Figura 21: Scheda “minimizz” ad operazioni concluse.
Alla fine delle operazioni di calcolo, nelle tabelle dedicate della scheda principale
“main” è possibile vedere i valori dei parametri T e κ alla fine della minimizzazione,
oltre che i valori degli integrali da confrontare con i VLE come vuole la normativa
xix
,i(λi) e κ*ET(λi) vediamo invece le medesime funzioni dopo
Alla fine delle operazioni di calcolo, nelle tabelle dedicate della scheda principale
alla fine della minimizzazione,
me vuole la normativa
Figura
Qui viene presentata la parte del foglio di lavoro in cui vengono visualizzati altri
dettagli utilizzati per le procedure di calcolo quali le funzioni peso visibili
inferiore della figura ed il grafico con lo spettro completo nella parte in alto a destra
(figura 23). Anche su questa scheda è presente un pulsante che, se cliccato, attiva
una routine per il salvataggio dei dati utilizzati per la creazione d
spettro completo.
Figura 23
Figura 22: Scheda “main” ad operazioni concluse.
Qui viene presentata la parte del foglio di lavoro in cui vengono visualizzati altri
dettagli utilizzati per le procedure di calcolo quali le funzioni peso visibili
inferiore della figura ed il grafico con lo spettro completo nella parte in alto a destra
). Anche su questa scheda è presente un pulsante che, se cliccato, attiva
una routine per il salvataggio dei dati utilizzati per la creazione d
23: Scheda “estrap_&_integr” ad operazioni concluse.
xx
Qui viene presentata la parte del foglio di lavoro in cui vengono visualizzati altri
dettagli utilizzati per le procedure di calcolo quali le funzioni peso visibili nella parte
inferiore della figura ed il grafico con lo spettro completo nella parte in alto a destra
). Anche su questa scheda è presente un pulsante che, se cliccato, attiva
una routine per il salvataggio dei dati utilizzati per la creazione del grafico dello
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