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Esame di Stato per Psicologi 2011
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INTRODUZIONE ALLA PSICOTERAPIA PSICODINAMICA
CAP 1 - CONCETTI CHIAVE
La psicoterapia psicodinamica a lungo termine può essere definita come un trattamento centrato
sull'interpretazione del transfert e della resistenza secondo tempi accuratamente definiti e su
un'attenta valutazione delle modalità con cui il terapeuta contribuisce all'interazione. Essa si basa
su un insieme di modelli teorici fondamentali che includono la psicologia dell'io, la teoria delle
relazioni oggettuali, la psicologia del sé e la teoria dell'attaccamento.
Il bisogno di capire e conoscere se stessi è un'esigenza fondamentale: i pazienti che vogliono
arrivare a comprendere se stessi possono essere disposti a sostenere una terapia, anche se
richiede anni. Vi sono comuni concezioni errate circa la psicoterapia dinamica: il terapeuta non
parla quasi mai, la terapia si focalizza principalmente sulla sessualità del paziente, l'analisi è
interminabile e così via. Oggi i terapeuti a orientamento dinamico tendono ad essere attivamente
coinvolti. La psicoterapia psicodinamica è una terapia che rivolge una profonda attenzione alla
relazione tra terapeuta e paziente, con interpretazioni del transfert e della resistenza. Definiamo a
lungo termine le terapie con più di 24 sedute o di durata superiore ai 6 mesi.
Vi sono alcuni concetti chiave della psicoterapia psicodinamica:
- funzionamento mentale inconscio: Freud ha elaborato una teoria che attribuisce all'inconscio
un'importanza centrale. Inizialmente egli si focalizzò sul modello topografico della mente, che
prevede una gerarchia di ambiti consci, preconsci e inconsci. L’approccio iniziale di Freud
consisteva dunque nel cercare di riportare i contenuti inconsci alla superficie, superando la barriera
della rimozione. Progressivamente il modello si complicò, arrivando all'introduzione del modello
strutturale composto da es, io e super io. L’io è considerato come distinto dalle pulsioni aggressive
e sessuali ed i suoi aspetti consci includono le funzioni esecutive della mente. L’io necessita di
sforzi difensivi per impedire che sessualità e aggressività diventino distruttive rispetto al
funzionamento dell'individuo. L’es è totalmente inconscio ed è controllato sia dagli aspetti inconsci
dell’io sia da una terza entità chiamata super io. Il super io è prevalentemente inconscio e
rappresenta l'interiorizzazione dei valori morali derivati dei genitori e dall'ambiente sociale
dell'individuo. Laddove la coscienza morale proscrive, l'ideale dell’io prescrive. Le tre istanze
psichiche sono in perenne conflitto sull'espressione di sessualità e aggressività, conflitto che
genera angoscia sollecitando l’io a mobilitare i meccanismi di difesa per frenare le espressioni che
sembrano proibite. Il sintomo può essere pertanto considerato con una formazione di
compromesso che difende da un desiderio e contemporaneamente lo soddisfa in forma
mascherata.
- una prospettiva evolutiva: le esperienze infantili, insieme alle caratteristiche dell'individuo a livello
genetico, plasmano la persona adulta. Caratteristiche ereditarie evocano risposte specifiche, ed il
comportamento dei genitori plasma lo sviluppo della personalità del bambino. All'inizio la teoria
psicoanalitica prevedeva una comprensione dello sviluppo basata sulle zone libidiche, secondo cui
la pulsione sessuale del bambino è legata alle regioni corporee anale, orale e fallica. Lo sviluppo
del super io veniva considerato come risultato finale della fase edipica. Il bambino teme che il
padre possa vendicarsi del suo amore per la madre, attaccando i suoi genitali: si identifica così con
il padre e cerca una donna simile alla madre, rinunciando a competere direttamente con i genitori
di sesso opposto. Un'altra componente centrale nella teoria evolutiva è la nozione che le
esperienze precoci del sé con gli altri vengono interiorizzate assieme agli stati affettivi ad essi
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associati, generando rappresentazioni di tali interazioni interpersonali definite relazioni oggettuali.
Queste relazioni vengono continuamente riprodotte nel corso della vita.
La teoria delle relazioni oggettuali si è sviluppata in Gran Bretagna dove Melanie Klein ha cercato
di integrare teoria pulsionale e relazioni oggettuali interne. Mentre la psicologia dell’io enfatizza
l'importanza del conflitto, nel modello proposto dalla psicologia del sé di Kohut lo sviluppo si
basa sull'esistenza di un deficit. Secondo l'autore, molti individui non hanno sufficiente contatto con
la madre durante l’infanzia: questa carenza li lascia con un senso di mancanza che li spinge a
cercare negli altri risposte in grado di compensare funzioni che non trovano in se stessi. Tali
funzioni vengono definite funzioni oggetto-sè. In questo quadro, lo sviluppo dipende da un
processo in cui il sé è reso progressivamente più coerente attraverso le risposte oggetto-sé fornite
dagli altri. Secondo Stern, risposte positive di conferma da parte della madre sono cruciali per lo
sviluppo del sé del bambino. In mancanza di simili risposte il sé tende a frammentarsi, dando
origine a un quadro clinico di estrema vulnerabilità narcisistica.
La teoria dell'attaccamento si è sviluppata in contrasto con il pensiero della Klein, a partire da
Bowlby. Secondo questo autore, nel bambino è presente un intero sistema comportamentale
diretto a mantenere la prossimità con la madre. Questo affinché il bambino possa raggiungere uno
stato di sicurezza e conforto che deriva dalla vicinanza della figura di accudimento. Differenti
categorie di attaccamento sono state definite in base alla strange situation, che prevede brevi
separazioni dalla madre. Il bambino può reagire secondo quattro categorie di attaccamento: sicuro,
ansioso evitante, ansioso ambivalente, disorganizzato e disorientato. Un attaccamento insicuro
associato a traumi o comportamenti di rifiuto e trascuratezza può compromettere lo sviluppo della
capacità di mentalizzare, ossia di concepire la mente propria e altrui. L'approccio psicodinamico
considera dunque il soggetto adulto come prodotto di esperienze infantili importanti che
continuano, nel presente, ad essere riprodotte con gli altri.
- transfert: nel transfert, pattern tipici delle relazioni infantili si ripetono nel presente con il
terapeuta. Al terapeuta vengono attribuite caratteristiche proprie di figure del passato, e sentimenti
associati a questa figura vengono vissuti con il terapeuta secondo le stesse modalità. I kleiniani
hanno esteso questo concetto attraverso quello di identificazione proiettiva, secondo cui il paziente
proietta inconsciamente sul terapeuta una rappresentazione del sé o dell'oggetto: quindi egli forza
il terapeuta ad assumere caratteristiche simili a quelle della rappresentazione proiettata.
L'esperienza che i pazienti hanno del terapeuta è sempre dunque una miscela di caratteristiche
reali del terapeuta e di aspetti di figure del passato.
- controtransfert: il paziente ed il terapeuta sono due soggettività distinte che interagiscono in
maniera significativa nel corso della terapia. Il controtransfert include tutto l'insieme delle reazioni
emotive che il terapeuta ha verso il paziente. Esso è oggetto della terapia come preziosa fonte di
informazioni e strumento diagnostico e terapeutico fondamentale.
- resistenza: il paziente è ambivalente rispetto al cambiamento. Il suo equilibrio è stato raggiunto
dopo anni di impiego di specifici meccanismi di difesa per tenere a bada fatti dolorosi. Tali
meccanismi sono diretti a gestire ed evitare emozioni spiacevoli e vengono attivati dalla terapia
sotto forma di resistenze. La differenza tra resistenze e meccanismi di difesa è semplicemente che
le prime possono essere osservate, mentre i secondi devono essere dedotti. Molte sono resistenze
da transfert nel caso in cui i pazienti si oppongono al trattamento a causa di specifiche fantasie
relative alla percezione che il terapeuta avrebbe di loro. Il terapeuta cercherà di aiutare il paziente
a comprendere gli elementi del passato che vengono ricreati nel presente.
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- determinismo psichico: si riferisce alla nozione che ciò che facciamo della nostra vita è plasmato
da forze inconsce in relazione dinamica tra loro. Sintomi e comportamenti assolvono diverse
funzioni e risolvono molti problemi. Comportamenti o sintomi sono causati da una specifica
costellazione intrapsichica di fattori che interagiscono per produrre il risultato finale.
- La soggettività unica del paziente: noi non sappiamo veramente chi siamo; a causa di una varietà
di conflitti, ansie e difese, tendiamo nasconderci da noi stessi. Secondo Winnicott, i bambini le cui
iniziative vengono costantemente distorte dai genitori troveranno poi modi alternativi per entrare in
connessione con loro sviluppando un falso sé che i genitori apprezzano. La terapia a
orientamento psicodinamico cerca in ogni paziente il vero sé, che può comportare lo
smascheramento degli autoinganni e la coraggiosa esplorazione dei desideri e delle fantasie più
recondite del paziente.
Gli studi sugli esiti dei trattamenti psicoanalitici e psicodinamici sono relativamente scarsi a
causa di diversi fattori che rendono estremamente difficile la conduzione di studi sui trattamenti. Il
trattamento psicoterapeutico è stato comunque reso credibile da diversi studi di follow-up, che
hanno dimostrato miglioramenti significativi in tutti gli esiti valutati. Tuttavia i soggetti trattati con
terapia cognitiva non riportavano un cambiamento significativo del disagio, rispetto ai pazienti
trattati con terapia dinamica.
CAP 2 - VALUTAZIONE, INDICAZIONI E FORMULAZIONE
Il successo di una psicoterapia dipende in parte dal processo di valutazione iniziale, che consente
di selezionare i pazienti realmente idonei ad intraprendere la terapia. La valutazione inizia con il
primo colloquio, in cui ai pazienti viene chiesto di raccontare la loro storia. I colloqui iniziali
hanno quindi come scopo essenziale quello di definire un'accurata diagnosi psicodinamica.
Il terapeuta può inoltre fornire al paziente indicazioni sugli scopi della valutazione. Nel colloquio
psicodinamico il paziente deve essere un collaboratore, non l'oggetto passivo di un attivo
intervento del terapeuta. L'attenzione va riposta anche nei confronti delle forme non verbali di
comunicazione, usate dal paziente durante i colloqui. Nel 1914 Freud aveva notato che ciò che il
paziente non ricorda e non verbalizza durante le sedute viene espresso dalle sue azioni. Durante il
colloquio le manifestazioni dell'inconscio affiorano nei gesti del paziente, nel tono di voce, nel
modo di parlare e così via. Transfert e controtransfert iniziano a prendere forma anche prima
dell'intervista: ognuno ha aspettative nei confronti dell'altro.
La valutazione della personalità è un elemento centrale nel determinare l'idoneità del paziente ad
una psicoterapia psicodinamica. Una moderna concezione della personalità include 4 elementi
fondamentali: un temperamento basato su componenti biologiche; una costellazione di
rappresentazioni interne di sé e degli altri che sono collegate a stati affettivi; un insieme
caratteristico di meccanismi di difesa; uno stile cognitivo correlato.
Bisogna anche valutare la particolare costellazione di meccanismi di difesa che sono diretti a
preservare un senso di autostima di fronte a vergogna e vulnerabilità. Essi cambiano anche la
relazione tra il sé e l'oggetto e possono consentire al paziente di gestire i conflitti non risolti
correlati a oggetti interni del passato o ad altri significati. Difese specifiche sono legate a tipi di
personalità o disturbi di personalità specifici. Essi possono essere considerati secondo
un'organizzazione gerarchica che va dai più primitivi ai più maturi.
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Difese primitive: scissione, identificazione proiettiva, proiezione, diniego, dissociazione,
idealizzazione, ACTING OUT, somatizzazione, regressione, fantasia schizoide.
Difese nevrotiche: introiezione, identificazione, spostamento, intellettualizzazione,
isolamento dell'affetto, razionalizzazione, sessualizzazione, formazione reattiva, rimozione,
annullamento retroattivo.
Difese mature: umorismo, repressione, ascetismo, altruismo, anticipazione, sublimazione.
I concetti di funzione riflessiva e mentalizzazione forniscono alla valutazione psicodinamica una
dimensione che aiuta a definire il livello di organizzazione del carattere o della personalità del
paziente. La funzione riflessiva viene definita come l'acquisizione evolutiva che permette al
bambino di rispondere al comportamento degli altri e alla sua concezione dei loro sentimenti. La
funzione riflessiva dipende dalla capacità di mentalizzare. Quando l'attaccamento è sicuro la
mentalizzazione è un processo automatico: essa è quindi una capacità che permette al bambino di
percepire il mondo interno da cui derivano le motivazioni dei comportamenti propri e altrui.
Per determinare il livello di organizzazione della personalità si prendono in esame un insieme di
componenti che comprendono meccanismi di difesa, relazioni concettuali interne, forze e
debolezze dell’io e funzione riflessiva. Questo tipo di valutazione è diverso da un approccio basato
sulle categorie del D.S.M. e comporta una comprensione diagnostica piuttosto che una
classificazione. La valutazione del livello di organizzazione del paziente è estremamente
importante per determinare la sua idoneità alla psicoterapia psicodinamica. Nello stabilire l'idoneità
è importante valutare se vi sia una forte motivazione, un significativo grado di sofferenza, una
buona tolleranza alla frustrazione, una mentalità psicologica che renda possibile l'insight, la
capacità di pensare in termini di analogie e metafore. Quando la diagnosi si presenta
particolarmente difficile si possono impiegare i test psicologici. Infine, gli incontri con i familiari
spesso contribuiscono in maniera significativa alla comprensione dei fattori culturali e sociali che
svolgono un ruolo rilevante del quadro clinico del paziente.
I colloqui psicodinamici iniziali prevedono dunque una valutazione della struttura del soggetto
diretta a determinare la sua idoneità e ad accertare la presenza di disturbi o sintomi clinici.
Psicoanalisi & psicoterapia psicodinamica a lungo termine possono avere effetti positivi su pazienti
con disturbi di personalità che hanno un'organizzazione nevrotica del carattere. Inoltre possono
aiutare alcuni pazienti con disturbo d’ansia generalizzato a raggiungere una buona
consapevolezza dei fattori che contribuiscono generare l'ansia ai fini di tollerarla. Costituiscono
inoltre indicazioni alla psicoterapia psicodinamica tre disturbi di personalità del gruppo B:
narcisistico, istrionico, borderline. Le controindicazioni includono il trattamento diretto di sintomi del
disturbo ossessivo compulsivo.
Per quanto riguarda i pazienti con livello di organizzazione psicotico, i principi della psicoterapia
psicodinamica possono essere di aiuto nell'ambito del programma complessivo di trattamento che
comprende farmaci, trattamenti ospedalieri eccetera. Dopo la valutazione del paziente, per
pianificare il trattamento è utile elaborare una formulazione psicodinamica. Essa è una breve
sintesi di tutte le componenti che contribuiscono alla comprensione del paziente, che spiega il
quadro clinico e guida il trattamento. Per prima cosa deve essere presente una breve descrizione
della natura del quadro clinico. In secondo luogo la formulazione deve contenere un insieme di
ipotesi esplicative. Infine, nella formulazione deve essere spiegato come ciò che viene descritto nei
primi due punti influenza il programma terapeutico e la prognosi.
CAP.3 - LE BASI PRATICHE DELLA PSICOTERAPIA
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Alcuni pazienti iniziano la terapia con lo stesso terapeuta che ha condotto i colloqui di valutazione
iniziale. Se invece è stato inviato da un collega, possiamo ricavare dati dalle modalità con cui
quest'ultimo lo descrive. Ogni volta che un paziente viene presentato da un collega come una
persona speciale, il terapeuta deve stare in guardia dall’idealizzazione controtransferale, che
rappresenta l'accordo inconscio di tenere al di fuori della diade tutti i sentimenti aggressivi e
negativi. Nel corso delle prime sedute dovrebbero essere esaminate le varie reazioni che il
processo di valutazione e l'invio a un altro terapeuta hanno suscitato nel paziente. In ogni caso
durante le prime sedute paziente & terapeuta sono coinvolti in un processo di conoscenza
reciproca che determinerà se alla fine i due lavoreranno insieme o no.
Lo sviluppo di un'alleanza tra paziente e terapeuta è favorito da un ascolto caratterizzato da
empatia e partecipazione. L'alleanza è il fattore più importante nel determinare il risultato.
L'alleanza è presente quando il paziente si sente aiutato e quando sente che il terapeuta partecipa
ad una collaborazione diretta a raggiungere obiettivi comuni. Una componente importante è
rappresentata da uno sforzo collaborativo teso ad identificare obiettivi del trattamento
ragionevoli. Gli psicoterapeuti devono essere pronti a discutere con i loro pazienti su che cosa sia
e cosa non sia la psicoterapia. Ad alcuni può rivelarsi opportuno offrire la possibilità di un
trattamento di prova della durata di circa tre mesi, per verificare la validità del processo e di
esaminare la situazione alla fine di tale periodo. Nel corso dei primi colloqui deve inoltre essere
definita chiaramente la natura collaborativa della psicoterapia: i pazienti stabiliranno obiettivi,
forniranno materiale rilevante su cui lavorare e aiuteranno il terapeuta a comprendere come attuali
modelli di comportamento siano in relazione con il loro passato. Con i pazienti ambivalenti rispetto
al fatto di iniziare una terapia è raramente utile utilizzare un approccio troppo deciso. Al contrario,
un eccesso di zelo spesso risulta controproducente. Se il paziente insiste per iniziare, il
terapeuta deve comunque mantenersi cauto e dedicare molto tempo a definire con lui quali siano
gli obiettivi realistici della terapia.
Molti terapeuti si trovano di fronte a una serie di quesiti pratici che raramente vengono presi in
esame: ad esempio come salutare il nuovo paziente, o come comportarsi se il paziente inizia il
colloquio al di fuori dello studio. Una buona regola è quella di essere spontanei e non
eccessivamente formali. Per quanto riguarda le domande personali, i terapeuti possono avere
atteggiamenti diversi. Esistono comunque questioni specifiche sulle quali il paziente ha il diritto di
ricevere informazioni, come ad esempio se il terapeuta è in tirocinio, i costi della terapia e così via.
Molti altri aspetti entrano invece in un'area poco definita, nella quale non è possibile stabilire regole
univoche e precise. Età, situazione familiare e sentimentale sono questioni spinose ed è
opportuno che il terapeuta esplori le ragioni che spingono il paziente a porre domande così
personali. Anche la sistemazione delle sedie o poltrone nello studio del terapeuta deve essere
funzionale e non inculcare nel soggetto una sensazione di soggezione. Per questo può essere utile
posizionare le due sedie una di fronte all'altra, in modo da formare un angolo di 45° con la parete,
così che il paziente possa scegliere se guardare o meno il terapeuta direttamente. Per quanto
riguarda l'orologio, esso può disturbare il paziente che si può sentire trascurato o ferito pensando
che il terapeuta non presti attenzione, sia annoiato o abbia fretta.
La psicoterapia, inoltre, opera all'interno di una cornice (setting) formata da un insieme di regole e
limiti professionali: ne fanno parte il luogo dove si svolgono le sedute e la loro durata, il
pagamento, l'assenza di contatto fisico, la riservatezza e la confidenza, eccetera. L'intero sistema
è costruito per essere asimmetrico, di modo che lo scopo del terapeuta sia chiaramente quello di
aiutare il paziente. I limiti sono posti quindi per definire un'area all'interno della quale il terapeuta
può essere disponibile e comprensivo. I limiti della terapia creano un contesto sicuro in cui
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paziente e terapeuta possono esplorare, ricordare, rielaborare così via. Vi sono alcuni superamenti
dei limiti benigni e lievi, a volte utili, che si verificano in maniera episodica e possono essere
discussi nell'ambito della terapia, come uno sporadico abbraccio. Diverse sono le violazioni dei
limiti, come le relazioni sessuali.
Un altro punto importante è se prendere o meno appunti durante il colloquio: prendere appunti è
spesso utile durante la fase della valutazione, mentre può interferire con le dinamiche transferali
durante una seduta terapeutica. Per questo il terapeuta potrebbe redigere brevi note, tenute
separate dalla cartella clinica del paziente e considerate come proprietà del terapeuta.
Le parcelle rappresentano uno dei problemi più difficili. Molti pensano di non meritare un
compenso ed è possibile che i conti in sospeso si accumulino perché il terapeuta è riluttante a
sollevare la questione. Dietro il problema dei pagamenti si celano sentimenti di rabbia e
aggressività. Il paziente può sentire le parcelle del terapeuta come il riflesso di un atteggiamento
ostile nei suoi confronti. Se il terapeuta non si fa pagare possono pensare di aver trovato la figura
idealizzata che si occupi di loro senza richiedere un compenso. Alcuni possono cercare di trarre
vantaggio dall'imbarazzo del terapeuta nel fissare un onorario ragionevole.
Per quanto riguarda i regali, spesso i pazienti provano il desiderio di farne ai loro terapeuti. In
passato ricevere doni era considerato assolutamente vietato, ma con il tempo le opinioni sono,
almeno in parte, cambiate. Regali poco costosi od oggetti fatti dagli stessi pazienti possono essere
accettati con gratitudine. Qualora il terapeuta ritenesse che regalo sia stato utilizzato come mezzo
per manipolarlo, può decidere di discuterne nel corso della terapia. In tutte le circostanze che
generano ambiguità è probabilmente consigliabile rimandare le decisioni, dicendo al paziente che
prima di accettare il dono deve discuterne con il suo supervisore.
Un altro punto importante è il segreto professionale: un terapeuta non deve parlare dei suoi
pazienti con il coniuge o con altri membri della sua famiglia. Se presenta un caso clinico
nell'ambito di una lezione deve omettere tutti i dati che potrebbero portare al riconoscimento
dell'identità del paziente.
CAP. 4 - INTERVENTI TERAPEUTICI
Tre principi di tecnica attribuiti a Freud - neutralità, riservatezza e astinenza - venivano applicati
rigidamente dagli psicoanalisti del passato, nel timore che i discepoli si avventurassero in
situazioni che potevano rovinare la reputazione della psicanalisi. Tutti e tre principi sono utili in
senso relativo.
1. neutralità: non è sinonimo di freddezza o distacco. Il significato di neutralità corrisponde al
mantenimento di una posizione equidistante dalle istanze psichiche e dalle richieste del
paziente. Per comprendere i pazienti, il terapeuta deve mantenere una posizione non
giudicante.
2. riservatezza: gli terapeuti rivelano costantemente informazioni sulla propria persona nei
modi più disparati. I quadri o le fotografie sulle pareti, le espressioni facciali, le scelte
rispetto quando fare commenti nel corso una seduta sono tutti elementi che dicono molte
cose su di lui. Il terapeuta tuttavia non parla della propria vita privata o della propria
famiglia, perché è necessario preservare l’asimmetria che caratterizza la relazione
terapeutica.
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3. astinenza: rappresenta la raccomandazione di evitare una gratificazione eccessiva dei
desideri del paziente. I terapeuti possono fornire un notevole grado di gratificazione
semplicemente ascoltando con attenzione le parole del paziente. Nello stesso tempo
devono rispettare il principio dell'astinenza senza deroga per quanto riguarda la
gratificazione sessuale.
I commenti che il terapeuta fa al paziente vengono tradizionalmente raggruppati in una serie di
categorie di interventi:
Interpretazione: è lo strumento principale del terapeuta per fornire insight e comprensione al
paziente. L'intento è quello di rendere il paziente consapevole di elementi che si trovano al di fuori
della sua coscienza. Esso ha anche una valenza esplicativa: il terapeuta cerca di aiutare il
paziente ad acquisire insight spiegando motivi e significati. Con l'interpretazione il terapeuta
stabilisce un collegamento tra quello che il paziente racconta e la possibilità di comprenderne le
ragioni inconsce sottostanti. Il transfert deve essere interpretato quando diventa una resistenza al
processo. A volte, quindi, è preferibile astenersi dal fornire interpretazioni del transfert. Alcuni
preferiranno il volgere maggiore attenzione a situazioni al di fuori del transfert: molti dei conflitti che
emergono all'interno della relazione sono presenti anche in altri rapporti interpersonali. Enfatizzare
l'importanza del lavoro sul transfert conduce però a forzare l'esame di temi transferali in pazienti
che non sono ancora pronti a farlo. Per alcuni pazienti può essere, infatti, fonte di eccessivo
disagio e di imbarazzo esprimere i sentimenti di fronte al terapeuta.
Osservazione: si differenzia dall'interpretazione in quanto non include il tentativo di fornire
spiegazioni. Il terapeuta semplicemente nota un comportamento senza menzionarlo, nella
speranza che il paziente in seguito possa riflettere sul significato dell'osservazione.
Confrontazione: comporta il tentativo di portare l'attenzione del paziente sui temi che
tendenzialmente evita.
Chiarificazione: il suo obiettivo è di portare chiarezza in temi che appaiono validi, confusi o
sconnessi.
Incoraggiamento ad elaborare e validazione empatica: entrambi gli interventi possono essere
utilizzati per raccogliere informazioni e per rendere più solida l'alleanza terapeutica.
L'incoraggiamento a elaborare può venire da semplici commenti atti a spingere il paziente a
continuare il suo racconto. La validazione riflette invece il tentativo del terapeuta di immergersi
nello stato interno del paziente vedendo le cose dal suo punto di vista. I terapeuti spesso imparano
a proprie spese che non è consigliabile forzare i tempi e iniziare troppo precocemente a utilizzare i
metodi interpretativi. Molti pazienti dovranno essere preparati al lavoro sul transfert attraverso l'uso
di altri interventi.
Interventi psicoeducazionali, consigli ed elogi: sono interventi molto frequenti nella psicoterapia
supportiva, in cui il terapeuta fornisce ai pazienti informazioni specifiche correlate alla sua
formazione professionale. Gli elogi sono diretti a rinforzare comportamenti e atteggiamenti positivi.
Con i consigli, il terapeuta esprime opinioni su questioni che sono oggetto di preoccupazione per
lui o per il paziente.
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Anche se in passato si riteneva che il sesso del terapeuta non fosse importante, esiste attualmente
consenso sul fatto che il genere può influenzare in maniera significativa lo svolgimento della
psicoterapia. Il fatto che il terapeuta sia maschio o femmina farà una grande differenza rispetto allo
sviluppo del transfert da parte del paziente. Molti pazienti richiedono in maniera specifica un
terapeuta maschio o femmina perché sanno intuitivamente che in terapia potrebbero trovarsi
meglio con l'uno o con l'altro. Nella terapia si attivano quindi stereotipi di natura culturale legati al
genere.
CAP. 5 - OBIETTIVI E AZIONE TERAPEUTICA
È importante cercare di definire i meccanismi dell'azione terapeutica. Studi di follow-up con i
pazienti dimostrano che normalmente questi non danno molto peso agli interventi interpretativi, e
che per loro i ricordi più cari della terapia si riferiscono ad eventi casuali. Molti dei cambiamenti che
riguardano i pazienti dunque si verificano probabilmente a livello inconscio. Per questo può essere
difficile identificare quali specifici interventi hanno avuto un ruolo critico nel processo di
cambiamento. Il ricercatore ha poi l'ulteriore svantaggio di dover osservare dall'esterno la matrice
della diade terapeutica. Nonostante le difficoltà, le conoscenze su questi meccanismi stanno
crescendo grazie alle più recenti ricerche nel campo della psicoterapia e delle neuroscienze e
grazie all'attento studio del processo terapeutico. Il tentativo di determinare quali siano gli specifici
meccanismi d'azione è complesso, perché per definire l'azione terapeutica è necessario
uniformare gli scopi e gli obiettivi della terapia psicodinamica. Gli obiettivi vengono però influenzati
e plasmati dalla visione del terapeuta rispetto al modo in cui funziona la terapia rispetto al
paziente. Per comprendere come gli obiettivi del trattamento vengono generalmente costruiti può
essere utile una breve rassegna di esempi alcuni obiettivi quindi sono:
- La risoluzione del conflitto: lo scopo della terapia è quello di esplorare la natura dei conflitti consci
e inconsci e risolvere i sintomi che si producono. I conflitti non vengono completamente eliminati,
ma si instaurano formazioni di compromesso più efficaci.
- La ricerca della verità: per alcuni nel processo terapeutico è essenziale la profonda conoscenza
di sé. Il risultato della terapia dovrebbe essere la distinzione tra vero e falso sé, e quindi un senso
di autenticità.
- migliore capacità di cercare oggetti sé appropriati: Kohut sostiene che non superiamo mai il
bisogno che gli altri svolgano per noi funzioni oggetto-sé, che sono necessarie della nostra
sopravvivenza. L'obiettivo della terapia sarebbe quindi quello di aiutare i pazienti che utilizzano
oggetti sé in maniera immatura ad usarli in modo più maturo ed appropriato.
- miglioramento delle relazioni interpersonali come risultato di una maggiore comprensione delle
proprie relazioni oggettuali interne: l'obiettivo primario sarà quello di aiutare il paziente a capire
come le rappresentazioni interne di sé e degli altri influenzano le sue relazioni interpersonali.
- creazione di significato all'interno del dialogo terapeutico: dall'esplorazione terapeutica emergono
nuovi significati. Il risultato è una persona con una maggiore padronanza di significati che in
precedenza rimanevano al di fuori della sua consapevolezza.
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- miglioramento della funzione riflessiva: può costituire uno degli obiettivi principali con i pazienti in
cui lo sviluppo della capacità di mentalizzazione è stato compromesso da esperienze traumatiche.
Alla fine della terapia il paziente dovrebbe essere in grado di operare una distinzione tra la
rappresentazione interna e la realtà.
I pazienti che iniziano una terapia possono avere obiettivi che, dal punto di vista del
terapeuta, non sono realistici. Molti pazienti, infatti, si avvicinano alla terapia con l'idea che il
terapeuta sarà in grado di rimetterli in sesto. I terapeuti devono quindi ridimensionare queste
aspettative, facendo capire ai pazienti che gli obiettivi della terapia devono essere definiti e
raggiunti insieme. Mentre la terapia procede, inoltre, terapeuta e paziente devono periodicamente
ridefinire gli obiettivi. Nel corso della terapia può essere anche utile lasciare che i pazienti
rimangano in qualche modo privi di scopi e obiettivi anche per periodi lunghi, per mantenere un
clima terapeutico ottimale.
L’azione terapeutica si esplica attraverso molteplici meccanismi. Un terapeuta esperto sarà
flessibile ed in grado di modificare gli approcci utilizzati nei vari processi in funzione delle necessità
dei pazienti. Blatt ha diviso gli approcci in base ai pazienti: in una prima categoria rientrano
individui con una patologia introiettiva, più concentrati sui processi ideativi e sul mantenimento del
concetto di sé. Alla seconda appartengono gli individui con una patologia anaclitica, molto più
preoccupati da problemi relazionali che dallo sviluppo del sé. Analizzando i trattamenti compiuti sui
due gruppi egli ha riscontrato che i pazienti con patologia anaclitica sembravano essere meno
responsivi all’insight attraverso l'interpretazione, ma traevano beneficio dalla relazione terapeutica.
Al contrario, i pazienti con patologia introiettiva sembravano rispondere in maniera positiva ad
insight e interpretazione. Molti pazienti presentano inoltre una miscela di queste caratteristiche, e
traggono vantaggio sia dalla relazione sia dall’insight. Jones ha quindi proposto un modello
integrato dell'azione terapeutica che considera entrambe le componenti e che si basa sull'azione
terapeutica svolta attraverso il riconoscimento, la comprensione e l'esperienza di un pattern
ripetitivo di interazioni.
Recenti sviluppi nel campo delle neuroscienze cognitive aiutano a verificare il cambiamento e che
cosa deve fare il terapeuta per facilitarlo. Un ovvio bersaglio dei processi di cambiamento saranno
quindi le connessioni inconsce tra uno stato emozionale e una rappresentazione oggettuale. Un
secondo tipo di reti associative coinvolge desideri inconsci che gli altri si comportino in un certo
modo. Dai circuiti associativi possono derivare credenze patogene che esercitano un controllo
sulle azioni di un individuo. Il cambiamento può inoltre riguardare le reti associative alla base dei
meccanismi di difesa. Indipendentemente dall'obiettivo, il cambiamento nel funzionamento delle
reti associative normalmente coinvolge due processi specifici. Il primo è un indebolimento dei
legami esistenti tra le componenti del circuito; il secondo è una riduzione generale del loro livello di
attivazione cronica. Questo perché le rappresentazioni sono potenziali di riattivazione che
vengono evocati in determinate circostanze in base al loro livello di attivazione. Una
rappresentazione di sé o di un oggetto è un pattern di eccitazione che in precedenza sarà attivato
molte volte. Un trattamento che produce un cambiamento strutturale non elimina
completamente i vecchi circuiti ma li disattiva, e aumenta connessioni nuove che permettano
al paziente di sperimentare nuove soluzioni. I processi impliciti, infatti, sono psicologicamente
diversi anche a livello neurologico: per questo una terapia diretta solo ai processi lascia invariati
molti circuiti associativi rilevanti. Altri oggetti da esaminare possono essere i pensieri che
influenzano profondamente la vita delle persone, gli stati affettivi e l'esame degli stili di coping. In
qualsiasi area dell'azione terapeutica è necessario modificare determinate reti associative consce
ed inconsce che fanno parte del processo di cambiamento.
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I modi utilizzabili per facilitare il cambiamento rientrano in tre categorie di interventi:
1. Alimentare l'insight: vengono privilegiate due tecniche: libere associazioni e
interpretazione. Le libere associazioni forniscono la possibilità di vedere le difese in azione,
e quella di cogliere ciò che sta dietro alle difese. Dalle libere associazioni il terapeuta può
trarre una considerevole quantità di informazioni su quali argomenti portano il paziente ad
interrompere il processo o cambiare improvvisamente soggetto. L'interpretazione può
avere in oggetto tutta una serie di processi mentali tra loro connessi: paure, fantasie,
desideri, aspettative, difese, transfert eccetera. Oltre che da libere associazioni e
interpretazioni, lo sviluppo di un insight può essere facilitato da osservazioni fatte da una
prospettiva esterna. Uno dei motivi principali per cui la psicoterapia è utile è che il terapeuta
fornisce al paziente un punto di vista esterno. Molti di noi non hanno una visione chiara di
come appaiono gli altri; il terapeuta può fare osservazioni utili semplicemente in quanto il
suo punto di vista è diverso da quello del paziente.
2. Aspetti dell'azione terapeutica che derivano dalla relazione: la relazione può favorire
processi di cambiamento in molti modi diversi. In termini neurobiologici potremo dire che
l'esperienza di una nuova relazione può modificare i circuiti associativi che sono associati a
rappresentazioni oggettuali. La comprensione e la trasformazione di questi pattern può
essere estremamente importante per il paziente. Se l'analista non può essere percepito
come un nuovo oggetto l'analisi non ha mai inizio; se non può essere percepito come un
vecchio oggetto, l'analisi non ha mai fine. I pazienti possono inoltre interiorizzare strategie
di riflessione diventando “terapeuti di se stessi”.
3. Strategie secondarie: ci si riferisce ai numerosi interventi che tradizionalmente vengono
considerati come non propriamente psicoanalitici. Ad un primo gruppo di strategie
secondarie appartiene l'uso della suggestione. Un'altra strategia è costituita dalla
confrontazione di credenze disfunzionali: il terapeuta aiuta il paziente a riconoscere che gli
stati ansiosi sono associati a modi di pensare che perpetuano la disforia e che devono
quindi essere affrontati direttamente. Un terzo gruppo di strategie secondarie coinvolge
l'esame delle strategie consce che il paziente utilizza per prendere decisioni e risolvere
problemi. L'esposizione ha un ruolo primario nell'azione terapeutica dei trattamenti
comportamentali. Essa consiste nel porre il paziente di fronte ad uno stimolo che provoca
ansia, spingendolo a confrontarsi con tale stimolo finché l'ansia non scompare. Nel
trattamento dei disturbi da attacchi di panico, terapeuti cognitivo - comportamentali hanno
riportato considerevoli successi nell'affrontare la paura della paura che si sviluppa negli
individui affetti da tale disturbo. L'ansia viene inscritta a livello sottocorticale in circuiti
neurali che coinvolgono il talamo e l'amigdala; difficilmente quindi simili legami associativi
rispondono a trattamenti esclusivamente verbali. La progressiva riduzione dell'ansia è
quindi in parte dovuta ad un processo di esposizione, anche per quanto riguarda il transfert:
il paziente si abitua tollerare l'ansia nel corso dei ripetuti colloqui. Un quinto tipo di strategie
secondarie coinvolge forme di self-disclosure. Un limitato autodisvelamento da parte del
terapeuta può essere utile per aiutare i pazienti ad imparare a comprendere il mondo
interiore degli altri, favorendo i processi di mentalizzazione e lo sviluppo della funzione
riflessiva. Un'altra strategia secondaria è la conferma, e cioè la validazione ed accettazione
dei racconti del paziente. Un ultimo gruppo di strategie secondarie vengono definite
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tecniche facilitatorie e si riferiscono ad interventi diretti a far sentire paziente più a suo agio
ed a facilitare la sua collaborazione con il terapeuta nel processo di comprensione dei
meccanismi della mente.
CAP. 6 - LAVORARE CON LA RESISTENZA
La resistenza è il fulcro del lavoro quotidiano del terapeuta a orientamento dinamico. Essa
accompagna il trattamento in ogni passo. Spesso emerge come resistenza alla terapia: le modalità
con cui paziente si pone con il terapeuta forniscono quindi una notevole mole di informazioni sulla
sua vita psichica. I pazienti rimangono ancorati ai loro modi di affrontare il mondo anche quando
soffrono: hanno comunque raggiunto un equilibrio interno che viene minacciato dall'inizio della
terapia. La possibilità di un cambiamento minaccia l'equilibrio raggiunto. I pazienti possono
manifestare la loro resistenza con le modalità più disparate: arrivando in ritardo, dimenticando di
pagare e così via. La resistenza è dunque un ostacolo che deve essere rimosso. Il terapeuta può
sentire la necessità di sferrare un attacco frontale per poter procedere con una terapia, ma
attaccare direttamente la resistenza spesso serve a rinforzarla. Lo stesso transfert, secondo
Freud, era una resistenza che frenava l'analisi ma anche un processo straordinariamente
informativo. Il transfert è una forma perfetta di resistenza in quanto determina un arresto nel
dialogo, ma rappresenta anche uno strumento necessario che porta materiale inconscio nel campo
del processo analitico. L'obiettivo non è dunque annullare la resistenza ma aiutare i pazienti ad
essere in grado di osservare e riflettere sulle loro aspirazioni nei confronti dell'analista. Il terapeuta
deve calarsi profondamente nella resistenza anziché cercare di annullarla.
Il significato originale di ACTING OUT si può trovare nel classico lavoro "Ricordare, ripetere e
rielaborare" in cui Freud sostiene che l'analizzato non ricorda nulla di ciò che ha rimosso ma lo
mette in atto producendo quegli elementi non sotto forma di ricordi ma sotto forma di azioni, senza
rendersene conto. Questi fenomeni sono definiti come acting in, in quanto si verificano nell'ambito
del setting terapeutico. Il termine acting out viene invece utilizzato in riferimento ad eventi che
hanno luogo al di fuori della terapia.
L’acting in è definito da tre caratteristiche: è una forma di azione che coinvolge la muscolatura
somatica; è associato ad un’intenzionalità conscia o inconscia; l'azione e le sue conseguenze si
verificano durante le sedute e il terapeuta le può osservare direttamente. Tra gli esempi più comuni
l'addormentarsi durante una seduta. Comportamenti di acting in / out non devono essere criticati
o giudicati negativamente ma richiedono una comprensione, poiché sono manifestazioni che
possono fornire informazioni preziose. Secondo Kohut, bisogna vedere le resistenze come il
risultato dei tentativi del paziente di salvare almeno un settore del sé; per questo il terapeuta
dovrebbe avere un atteggiamento di empatia e rispetto di fronte al bisogno di difese del paziente,
anziché tentare di attaccarle direttamente.
Alcuni pazienti presentano forme di esistenza in cui l’importanza del terapeuta viene ripetutamente
negata. Questi individui possono avere croniche difficoltà nell'instaurare relazioni significative e tali
problemi emergono anche all'interno della terapia. L'idea di dipendere da qualcuno può essere per
loro intollerabile.
Spesso le brevi frasi che il paziente pronuncia dopo essersi alzato prima di uscire dalla stanza
sono particolarmente ricche di contenuti transferali: a volte costituiscono le rivelazioni più
importanti dell'intera seduta. Per il paziente può esistere, infatti, una netta distinzione tra quanto
viene detto nel corso delle sedute e le battute scambiate quando si appresta a lasciare lo studio:
egli fa questi commenti sulla porta perché vuole tenerli fuori dalla terapia. Quando il tempo a
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disposizione sta per finire nel paziente si può creare una sensazione di “ora o mai più” che lo
induce a esprimere cose che si porta dentro da tempo. Questo perché quando l'incontro si sta per
concludere il terapeuta non ha più tempo di manifestare atteggiamenti di rifiuto, il che è associato
per il paziente ad un senso di sicurezza. Per questo le frasi di commiato sono spesso ricche di
significato, e il tempo è una componente fondamentale della terapia. Le frasi di commiato possono
inoltre esprimere aggressività o rabbia.
Alcune resistenze sono legate al carattere: le difese del carattere di un individuo diventano
resistenze in terapia. Esse sono state inscritte nelle reti neurali nel corso della sua esistenza ed
entrano in gioco di fronte alla minaccia rappresentata dalla possibilità di essere comprese da
un'altra persona. Improvvisi passaggi da un argomento all'altro posso nascondere una fuga
difensiva da un tema che evoca rabbia.
Un’altra forma comune di resistenza si manifesta quando il paziente asserisce troppo
precocemente nel corso della terapia di sentirsi guarito. Questo atteggiamento è il risultato di
strategie di difesa adottate a fronte di evitare la discussione di conflitti che inducono sofferenza e
che non sono stati ancora esplorati. La prima volta che il paziente esprime il desiderio di terminare
la terapia, tale decisione svolge probabilmente le funzioni di una resistenza.
Arrivare in ritardo o assentarsi dalle sedute costituiscono inoltre due forme di resistenza molto
frequenti. Il terapeuta deve quindi valutare con attenzione i significati di questo ritardo che possono
avere per ciascun paziente e gli atteggiamenti associati ad esso; assenza o presenza di sensi di
colpa e così via. È possibile che il paziente non abbia, infatti, tenuto in considerazione
minimamente lo stato del terapeuta e le sue eventuali reazioni durante l'attesa. In ogni caso è
meglio evitare di modificare gli orari fissati dell'inizio e fine delle sedute. Non presentarsi alle
sedute è un'altra forma di resistenza ed è una delle ragioni per cui molti terapeuti richiedono il
pagamento anche delle sedute mancate. È stato, infatti, dimostrato che utilizzando questo metodo
si riducono drasticamente le assenze!! In ogni caso bisogna domandarsi se sia consigliabile o
meno tentare di mettersi in contatto con i pazienti che non si presentano ad una seduta. I pazienti
che risponderanno di aver deciso di smettere la terapia dovrebbero essere invitati a partecipare ad
un’ulteriore seduta, per valutare i pro e i contro di tale soluzione, ribadendo comunque che la
terapia è una scelta personale e spetta al paziente decidere se continuarla o no.
CAP. 7 - SOGNI E FANTASIE
Lo studio dei sogni è sempre stato considerato come una parte preziosa della psicoanalisi. Per
Freud, interpretare un sogno rappresentava la via verso l'inconscio. Quando i conflitti sono
talmente disturbanti da essere banditi dai pensieri formulati nello stato di veglia, essi possono
emergere dal materiale onirico. La mente di chi sogna usa lo stato fisiologico in cui si trova durante
il sogno per rappresentare effetti psicologici significativi. Uno degli assunti fondamentali della
psicoanalisi è che il sogno costituisce la versione mascherata di un desiderio. Secondo Freud
desideri infantili inconsci sono trasformati in simboli da processi di censura per garantire che il
sonno non venga disturbato. Il contenuto del sogno viene distinto in due livelli: quello manifesto e
quello latente, correlato a desideri inconsci che minacciano di provocare il risveglio e che devono
quindi essere deformati. Un insieme di meccanismi di difesa che operano all'interno dell'io
nascondono il contenuto onirico latente e lo trasformano in contenuto manifesto. L'esame dei
meccanismi di difesa continua ad essere utile per cercare di decifrare il significato di un sogno.
Essi sono:
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- condensazione: questo meccanismo combina in una sola immagine più di un desiderio,
sentimento o impulso.
- spostamento: l'intensità associata ad una persona viene trasferita su un altro individuo per
renderla più accettabile. Ad esempio, desideri sessuali per il terapeuta possono essere spostati nel
sogno su un'altra persona.
- rappresentazione simbolica: questo meccanismo comporta l'uso di un'immagine sensoriale
concreta semplice per rappresentare un complesso insieme di sentimenti che possono essere
carichi di significati. Ad esempio, l'interno di una casa può rappresentare l'interno della mente. Per
ogni paziente i significati possono essere compresi solo ascoltando le sue successive
associazioni rispetto al materiale onirico.
- elaborazione secondaria: l'individuo tenta di prendere le componenti irrazionali del sogno e di
sistemarle per generare una storia più razionale. Il sogno raccontato in psicoterapia può essere
quindi molto diverso dal sogno reale. Altro concetto importante è quello di residui diurni: un evento
che si è verificato in giornata può presentarsi nel sogno in vesti deformate.
Un principio fondamentale è che per comprendere un sogno sono necessarie le associazioni
che sul sogno vengono fatte dal paziente. Il terapeuta dovrebbe quindi evitare di assumere un
atteggiamento onnisciente spiegando ciò che un sogno significa, senza prima ascoltare i commenti
del paziente. È consigliabile quindi rimandare l'interpretazione finché il paziente non ne ha
commentato i contenuti, sperando essi rivelino le modalità con cui il contenuto latente è stato
trasformato in contenuto manifesto.
Anche i sogni possono essere usati come potenti forme di resistenza alla terapia. Alcuni pazienti
inondano l'intera seduta con l'esposizione dei loro sogni, non lasciando al terapeuta il tempo di
lavorare con loro. Può inoltre succedere con sogno venga menzionato solo alla fine della seduta,
quando non c'è più tempo per analizzarlo. Questo lavoro costituisce comunque solo la punta di un
iceberg perché raramente riusciamo a calarci nelle profondità di un sogno. Non possiamo dunque
pretendere di scoprirne tutti i molteplici significati, ma dobbiamo accontentarci di identificare quelli
che in quel dato momento ci sembrano più importanti.
Il sogno ad occhi aperti può creare molto più imbarazzo di quanto non lo creino i sogni notturni.
La fantasia è uno dei mezzi principali a cui ricorriamo per adattarci alle delusioni della realtà. Essa
ci fornisce gratificazioni sostitutive per i desideri che rimangono insoddisfatti nella nostra vita.
Alcune fantasie sono consce, ed hanno una trama precisa. Spesso influenzano la nostra vita con
modalità che possono sfuggire alla nostra comprensione. Altre fantasie, invece, sono inconsce e
possono emergere solo attraverso il lavoro terapeutico.
Le fantasie erotiche hanno un ruolo centrale nella vita della psiche umana e vengono esplorate in
terapia perché contengono temi che vanno oltre la sessualità. Essi rappresentano finestre che si
aprono su relazioni oggettuali interne, conflitti inconsci e traumi del passato. Le fantasie erotiche
sono di solito fonte di imbarazzo e vergogna. Ogni adulto presenta un pattern erotico specifico che
Person definisce impronta sessuale. L'eccitazione legata a tali fantasie può essere associata ad
un profondo senso di vergogna. L'impronta sessuale tipica nella maggior parte dei casi trova
origine in tematiche di potere e piacere correlate ad esperienze dei primi anni di vita e a conflitti
che coinvolgono il genere sessuale. Le fantasie possono essere considerate inaccettabili: i pazienti
possono quindi tentare di tenerle nascoste per tutto il tempo della terapia. Il terapeuta deve quindi
cercare di gestire con molto tatto il timore che ne deriva. Molti pazienti invece ne parlano
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facilmente, perché sperano di poter raggiungere attraverso l'esplorazione di tali fantasie una
maggiore conoscenza di se stessi. Poiché la fantasia è onnipresente, il terapeuta sarà immerso
nelle fantasie del paziente in ogni momento della terapia. Esse sono strettamente connesse con
quello che Luborsky ha indicato come "tema relazionale conflittuale centrale": esso coinvolge
un bisogno o un desiderio in conflitto con una funzione di controllo dell'io o del super io.
L’esplorazione delle aspettative e delle illusioni correlate agli altri generalmente fornisce una via
diretta per scoprire i dettagli della vita fantastica di un paziente. Alcuni pazienti possono assumere
un atteggiamento guardingo di fronte al termine fantasia; per questo è necessario affrontare
l'argomento con tatto. Un'altra opzione è, invece di spingere il paziente a rivelare i propri segreti, di
esaminare con lui le ansie che derivano dal fatto di dover confidare agli altri qualcosa di
estremamente personale. Spesso, infatti, quando il terapeuta spiega al paziente che non ha
intenzione di forzarlo a parlare di cose che preferisce mantenere segrete, si verifica un effetto
paradosso ed il paziente si sente improvvisamente disposto ad aprirsi. Ad ogni modo, quando il
paziente parla di fantasie erotiche, il terapeuta deve cercare di mantenere un atteggiamento che li
aiuti a superare l'umiliazione.
Le fantasie di suicidio vanno esplorate per aiutare il paziente a mentalizzare e rendersi conto delle
conseguenze concrete di tale azione. Una discussione franca con il paziente su quello che
potrebbe succedere dopo il suo eventuale suicidio può portare a temi di importanza critica che
possono essere esplorati e compresi. Per il paziente può essere quindi più facile considerare come
realistiche altre alternative e accettare l'idea che ci siano modi per continuare a convivere con la
sofferenza.
CAP.8 - LAVORARE SUL CONTROTRANSFERT
Il controtransfert è una componente costante e imprescindibile della terapia. Nello studio del
terapeuta si trovano, infatti, due soggettività, 2 esseri umani che interagiscono influenzandosi a
vicenda ed evocando continuamente nell'altro una serie di sentimenti e reazioni. I sentimenti di
controtransfert quindi sono il risultato di un processo a cui contribuiscono congiuntamente
terapeuta e paziente.
Le nozioni di identificazione proiettiva ed enactment controtransferale [si tratta dell'uso
dell'analista da parte del paziente e delle reazioni che questo fenomeno induce nell'analista
stesso] sono diventati parte integrante della psicoanalisi. I 2 concetti coinvolgono processi
all'interno del rapporto terapeutico: il primo trova le sue origini nel pensiero kleiniano e nella teoria
delle relazioni oggettuali, mentre il secondo si è sviluppato dal lavoro degli psicologi dell'io
statunitensi.
L’identificazione proiettiva prevede due fasi una rappresentazione del sé o di un oggetto viene
disconosciuta attraverso il suo spostamento su un'altra persona; dopodiché il soggetto che proietta
esercita una pressione che spinge l'altra persona a identificarsi inconsciamente con quanto è stato
proiettato su di lui. Il primo processo è un tipo di transfert, ed il secondo può essere considerato
come un controtransfert. Nel contesto di una psicoterapia, ha quindi luogo una terza fase: chi
riceve la proiezione, ossia il terapeuta, contiene e tollera la rappresentazione problematica insieme
all'affetto associato: elabora inoltre i contenuti proiettati di modo da poterli riprendere ed essere
reintroiettati da paziente. In questo senso il costrutto dell'identificazione proiettiva può essere visto
sia come una difesa sia come una comunicazione interpersonale. Quando vengono rimandati al
paziente, i contenuti inizialmente proiettati risultano modificati. La risposta controtransferale
generata nel terapeuta deve essere vista come una struttura latente che viene evocata dalla
pressione esercitata sul paziente. Un terapeuta può accorgersi di un meccanismo di identificazione
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proiettiva in atto quando si rende conto di avere comportamenti che non gli sono abituali. Egli
dovrebbe quindi esaminare attentamente ciò che sta succedendo fra lui ed il paziente. Come il
transfert, anche il controtransfert è inconscio: il terapeuta può quindi arrivare a riconoscerlo solo
attraverso il suo comportamento. L'identificazione proiettiva può coinvolgere la proiezione di
rappresentazioni del sé o di un oggetto. Quando il terapeuta si identifica con il sé si parla di
controtransfert concordante. Se invece si identifica con la rappresentazione di un oggetto, il
fenomeno viene definito controtransfert complementare. (Esempio: il paziente adulto che ha
subito maltrattamenti nell’infanzia. In lui è presente la rappresentazione dell'oggetto che commette
abusi e la rappresentazione del sé come vittima. Nel corso della terapia il terapeuta può sentirsi
come l'oggetto, e diventare violento con il paziente, oppure può sentirsi come una vittima
identificandosi con la rappresentazione del sé, mentre il paziente viene identificato con la
rappresentazione dell'oggetto che perpetra l'abuso.) Per il terapeuta, la sfida è quella di riuscire ad
identificare l'origine dei vari elementi che contribuiscono a generare un particolare contro transfert.
Consideriamo il contenimento come il processo con cui le identificazioni proiettive vengono
metabolizzate: il terapeuta torna ai propri pensieri dopo aver pensato quelli del paziente. Egli non
deve solo resistere all'attacco inconscio del paziente, ma anche tentare di distinguere i contributi
che lui stesso ha apportato da quelli del paziente ed esaminarli nell'insieme, per capire se si sono
ricreate le relazioni oggettuali interne del paziente.
Prima di poter pensare a come gestirlo, il controtransfert dev’essere identificato. Alcuni
comportamenti possono costituire i primi segnali di sentimenti che sono ancora inconsci. Uno dei
primi segni può anche essere un sogno. In ogni caso quando il terapeuta diventa consapevole
dell'esistenza di un controtransfert ha iniziato il processo di contenimento, e quindi l'esame dei
contributi apportati da entrambi i soggetti della terapia. Il terapeuta può quindi scegliere fra diverse
opzioni:
- tollerare il controtransfert: il paziente vuole distruggere il terapeuta, e questi deve sopravvivere
agli attacchi del paziente. Il rapporto tra i due si basa sulla capacità del terapeuta di resistere agli
attacchi. A volte quindi il terapeuta non deve far altro che contenere e comprendere i sentimenti
derivati dal controtransfert. Quando il paziente capisce che l’analista è in grado di tollerare
determinati sentimenti può iniziare un processo di cambiamento. Quando poi reintroietta le
rappresentazioni ed i sentimenti, il paziente può riprenderne possesso senza sentirsi incapace di
tollerarli.
- usare il controtransfert per l'interpretazione: si può utilizzare il controtransfert per formulare
un'interpretazione sul mondo interno del paziente. Infatti, ciò che viene ricreato con il terapeuta
riflette una costellazione presente nel mondo interno del paziente. D'altra parte questa strategia
può rivelarsi controproducente: il terapeuta deve riflettere e scegliere accuratamente il momento
più opportuno per proporre l'interpretazione, poiché l'interpretazione del transfert è un intervento
che può essere sia produttivo che molto rischioso, specialmente con i pazienti più disturbati.
Alcuni pazienti non sono disposti ad accettare un'interpretazione. In questo caso l'interpretazione
può essere accolta come una conferma dell'idea che il terapeuta è un aggressore che vede il
paziente con una vittima. Per questo il terapeuta deve rimandare l'interpretazione del transfert sino
a che il paziente non è in grado di gestirla. Se il terapeuta ed il paziente si trovano in uno spazio
analitico, i significati possono essere esaminati, compresi ed elaborati. La nozione di spazio
analitico deriva dal concetto di Winnicott di spazio potenziale, in cui il paziente & il terapeuta
possono percepire rispettivamente transfert e controtransfert come processi nello stesso tempo
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reali e non reali. In altre parole, nell'esperienza di tutti e due è presente la dimensione del "come
se".
Spesso, quando il lavoro interpretativo viene rimandato alla seduta successiva, si genera un
processo di raffreddamento che permette il ripristino della capacità di entrare in uno spazio
analitico. Entrambi hanno il tempo di elaborare gli intensi sentimenti nei confronti dell'altro e
l'atmosfera può diventare più adatta per portare il paziente a riconoscere che qualcosa di
incongruo è stato proiettato nel terapeuta (cit. Pine: "Batti il ferro quando è freddo").
- usare con cautela forme di self-disclosure: mostrare sentimenti che si sviluppano nel contesto
specifico della terapia può essere un modo molto efficace di aiutare il paziente a capire l'impatto
che ha sugli altri. Questa tecnica deve però essere usata con prudenza e attenzione. Il terapeuta
deve quindi sempre guardare con sospetto ai motivi che lo inducono a rivelare qualcosa di sé,
perché dietro di ciò che appare come un sincero desiderio di dare, possono celarsi impulsi molto
meno nobili. In altre parole il terapeuta deve soppesare con cura qualsiasi forma disvelamento,
perché non può mai essere completamente sicuro di ciò che ha in mente quando decide di rivelare
i suoi sentimenti al paziente. Parlarne prima con un supervisore è in generale una linea di condotta
consigliabile, soprattutto quando il disvelamento viene sollecitato dal paziente con domande
dirette. Certi sentimenti non dovrebbero comunque mai di venire rivelati al paziente, perché
rappresenterebbero per lui un peso non necessario e perché rischierebbero di far collassare lo
spazio analitico.
Tipi di controtransfert:
- il terapeuta Salvatore: tutti vorrebbero riuscire a incidere positivamente sulla vita dei loro pazienti.
La natura di simili fantasie in certi casi non viene riconosciuta dai terapeuti, perché questi desideri
sono in completa sintonia con la visione che hanno di se stessi. I pazienti che annoverano fra le
loro fantasie il desiderio di trovare in un'unica relazione perfetta la soddisfazione di tutti i loro
bisogni possono decidere di iniziare una psicoterapia con la segreta speranza di scoprire nel
terapeuta questa figura del salvatore ideale.
Quando si rendono conto che non tutte le loro fantasie possono essere realizzate, questi pazienti
possono sentirsi disperati e trasmettere al terapeuta all'idea che solo un uomo senza cuore
potrebbe negare loro questa gratificazione. Questo desiderio di essere salvati può d'altronde
combaciare perfettamente con le preesistenti fantasie di un terapeuta che vede se stesso come un
salvatore. Il terapeuta può quindi sentirsi spinto ad assumere concretamente questo ruolo e a
superare i limiti professionali…può per esempio abbracciare paziente, dargli i soldi per fare la
spesa, uscire con lui la sera e ecc. Il modo migliore per gestire queste fantasie è cercare di
identificarle precocemente, prima che si traducano in trasgressioni dei limiti. Spesso le infrazioni
ai limiti del setting terapeutico sono alimentate da un altro tipo di fantasia controtransferale: l'idea
che la mancata gratificazione di desiderio del paziente sia il riflesso di una forma di sadismo da
parte del terapeuta. A lungo termine, tuttavia, alimentare la fantasia può portare ad uno sviluppo di
false speranze che alla fine risulta ancora più deleterio per il paziente. Prima o poi il paziente deve
affrontare il LUTTO per ciò che non ha avuto nell'infanzia e che non può ora ricevere dal
terapeuta.
- il terapeuta annoiato o assonnato: ascoltare tutto il giorno i racconti dei pazienti può essere
faticoso, ma alcuni pazienti tendono più di altri a indurre reazioni di noia e stanchezza. Di fronte a
queste sensazioni i terapeuti spesso si sentono in colpa. Una componente fondamentale della
terapia psicodinamica è però quella di analizzare in maniera non giudicante i propri sentimenti di
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controtransfert che possono aiutare a comprendere significati nascosti. I pazienti possono risultare
noiosi per una serie infinita di ragioni. Alcuni sono noiosi in tutte le situazioni. Altri pazienti sono
invece vivaci, ma nel corso di una particolare seduta diventano noiosi. Come per ogni reazione
controtransferale, il terapeuta dovrebbe cercare di esaminare le sue sensazioni per identificare le
potenziali origini di queste difficoltà. Qualunque sia la causa di queste sensazioni, i terapeuti
dovrebbero resistere all'impulso di colpevolizzarsi e di ingerire quantità spropositate di caffeina.
- controtransfert erotico: il fatto di provare un'attrazione sessuale nei confronti di un determinato
paziente può essere fonte di grande turbamento per un terapeuta. I terapeuti meno esperti
possono proiettare i loro sentimenti sessuali nel paziente, che viene quindi visto come unico
responsabile di tali sentimenti. In altri casi il controtransfert erotico rimane inconscio, ma il
terapeuta nota in se stesso comportamenti che suggeriscono l'esistenza di un particolare interesse
verso un dato paziente. Il controtransfert erotico spesso si traduce nella fantasia di salvare il
paziente, che per il terapeuta risulta molto più accettabile. Lo sviluppo di tali sentimenti può venire
favorito in maniera diretta anche dalle caratteristiche di alcuni pazienti. In alcuni casi è necessario
quindi ricorrere alla supervisione di un collega o considerare la possibilità di invio ad un altro
terapeuta.
- blocco da controtransfert: a molti terapeuti capita prima o poi di sentirsi incapaci di continuare a
svolgere il proprio ruolo professionale a causa delle reazioni che provano nei confronti di un
paziente. Questi momenti di difficoltà si possono presentare nelle circostanze più varie. In alcuni
casi un terapeuta può sentirsi in pericolo. Altri pazienti possono invece avere atteggiamenti così
seduttivi da violare i limiti del setting e rendere estremamente arduo il lavoro terapeutico. La
sensazione di non essere più in grado di svolgere le proprie funzioni può provocare intense
esplosioni di rabbia. I terapeuti dovrebbero sempre tenere presente la possibilità di differire le loro
risposte a queste situazioni, finché non si sentono pronti.
CAP. 9 - RIELABORAZIONE E CONCLUSIONE DELLA TERAPIA
I terapeuti in via di formazione rimangono a volte perplessi di fronte al compito di stabilire quando
una terapia a lungo termine è durata abbastanza. In alcuni casi la fine può essere determinata da
fattori esterni, come il trasferimento in un'altra città. Secondo Freud la rielaborazione è il processo
che alla fine induce i cambiamenti che portano ad una naturale conclusione della terapia. Essa
corrisponde ad un processo attraverso cui pattern caratteristici di difese e relazioni oggettuali
interne emergono ripetutamente in contesti diversi e sono di volta in volta oggetto di
interpretazione, confrontazione e chiarificazione finché il paziente non supera le resistenze ad
accettare la comprensione dell'analista.
Rielaborare significa analizzare le resistenze con costanza attraverso una serie di ripetizioni. La
rielaborazione delle resistenze coinvolge il riconoscimento del fatto che resistenze e difese sono
fenomeni di cui il paziente è responsabile. È importante quindi che il paziente abbia sensazione di
aver un ruolo attivo nel determinare il percorso della propria vita. La rielaborazione prevede inoltre
l'identificazione delle modalità con cui la relazione con il terapeuta riflette relazioni infantili del
passato e del presente. Il triangolo dell’insight ha un ruolo cruciale nel processo sistematico di
rielaborazione delle relazioni problematiche ripetitive. Il terapeuta individua i pattern relazionali
ricorrenti. Il concetto di tema relazionale conflittuale centrale rappresenta un altro modo di
considerare questo processo ripetitivo: le aspettative dei pazienti rispetto alle reazioni degli altri e
le risposte di difesa nei confronti dalle aspettative si presentano sia nella relazione terapeutica sia
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nelle relazioni al di fuori della terapia. Il terapeuta deve riconoscere i pattern e collegarli con
l'esperienza dell'infanzia del paziente.
Il triangolo dell’insight è composto da transfert, dalle relazioni al di fuori del transfert e dalle
relazioni del passato.
Il terapeuta esamina con il paziente il tenace attaccamento ad esperienze avverse e ad oggetti
cattivi del passato. Molto del difficile lavoro di rielaborazione comporterà il fatto di aiutare paziente
a superare il lutto generato dalla perdita di sogni e fantasie irragionevoli che ostacolano il percorso
naturale verso la maturità. La resistenza all'abbandono di queste fantasie può essere intensa, ed il
paziente può combattere con il terapeuta per mantenere la sua visione di come le cose dovrebbero
essere. Accettare il punto di vista del terapeuta è parte stessa del processo di rielaborazione. È
essenziale che pazienti riproducano con il terapeuta certi pattern relazionali che hanno
caratterizzato la loro intera esistenza. Le reti neurali che rappresentano tali relazioni, infatti, si
sviluppano nel corso di una vita, per questo riuscire a modificarle in maniera duratura richiede
molto tempo. In sintesi il terapeuta funziona come un nuovo oggetto che viene interiorizzato dal
paziente ma contemporaneamente deve ricoprire il ruolo di figure problematiche del passato. Uno
scopo dei terapeuti è quindi è quello di aiutare i pazienti a capire le modalità con cui tendono a
ricreare pattern conflittuali di relazioni oggettuali all'interno dello spazio analitico.
È importante quindi operare il passaggio da una prospettiva soggettiva ad una prospettiva in terza
persona: ciò significa che il terapeuta deve validare l'esperienza del paziente ma portarlo anche ad
accettare la propria esperienza come prospettiva esterna. Gradualmente il paziente si impossessa
di ciò che è esterno, integrandolo nella sua prospettiva soggettiva nei pazienti più disturbati il
passaggio da una prospettiva esclusivamente in prima persona ad un punto di vista in terza
persona è associato ad una crescita delle capacità di mentalizzare. Se l'alleanza terapeutica è
forte, il terapeuta può esaminare le differenze tra il suo punto di vista e quelle dei pazienti per
arrivar discutere apertamente di queste differenze. In questo modo si può raggiungere l'equilibrio
che scaturisce da un senso di sicurezza nella nuova relazione di attaccamento. È importante
anche l'accettazione rispetto alle aspettative di cambiamento, per cui il terapeuta deve mostrarsi
disponibile a collaborare per individuare nuovi possibili modi di mettersi in rapporto con gli altri. Ad
alcuni pazienti si può chiedere di elaborare le loro fantasie su quanto credono stia accadendo nella
mente del terapeuta. Un'altra tecnica è quella di focalizzarsi sullo stato della mente del paziente.
Questi interventi promuovono la mentalizzazione, portando il paziente a riconoscersi
nell'esperienza del terapeuta e nello stesso tempo a vedere come la sua percezione degli altri
possa venire influenzata da uno stato emozionale. Con il tempo i pazienti iniziano a capire che il
modo in cui percepiscono la realtà coinvolge rappresentazioni interne che possono essere
esaminate e che hanno un significato specifico.
Ad un certo punto del processo di rielaborazione si può giungere con il paziente ad una situazione
di stallo da cui sembra impossibile uscire. Il terapeuta può dunque iniziare a provare un senso di
scoraggiamento o addirittura contemplare la possibilità di rinunciare a continuare il trattamento.
Bisognerebbe però ricordare che situazioni del genere spesso rivelano semplicemente la necessità
di riesaminare i meccanismi transfert e controtransfert. Quando sembra di essere arrivati un vicolo
cieco, la strategia migliore è quella di considerare la possibilità che transfert e controtransfert
abbiano ricreato le relazioni oggettuali interne del paziente. Se questa eventualità può essere
discussa con il paziente, è possibile che si aprano nuove vie per superare l'ostacolo. Una
tendenza a peggiorare di fronte ad interpretazioni corrette viene indicata come reazione
terapeutica negativa. Freud identificò questo fenomeno osservando che alcuni pazienti
rispondevano all’insight con un inasprimento dei sintomi. La nozione di reazione terapeutica
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negativa può essere applicata a tutte le situazioni in cui il paziente tende a peggiorare nonostante
l'aiuto ricevuto dal terapeuta. Le cause possono essere diverse e devono essere ricercate e
valutate con attenzione in ogni singolo caso. Allo sviluppo di queste reazioni negative spesso
contribuisce anche il terapeuta: il desiderio di aiutare il paziente può agire in maniera sinergica con
il desiderio del paziente di deludere tali aspettative. Quando il paziente vede che contrariamente
alle sue previsioni il terapeuta non sembra avvilito, ciò che almeno in parte lo spinge a resistere
alla terapia viene improvvisamente a mancare. È importante quindi valutare di volta in volta
accuratamente i fattori che possono aver contribuito a determinare lo stallo, riesaminando il ruolo
del trattamento farmacologico e consultando un supervisore.
Raramente la conclusione di una terapia avviene secondo le modalità regolari e ordinate. In una
versione mitologica ideale, terapeuta e paziente un certo punto si trovano d'accordo sul fatto che
gli obiettivi sono stati raggiunti e si sono tradotti in cambiamenti concreti. Questo quadro idilliaco di
reciproca soddisfazione si presenta effettivamente in alcune fortunate occasioni, ma in molti casi
fattori come tempo, denaro, trasferimenti o valutazioni diverse riguardo il raggiungimento degli
obiettivi non permettono una conclusione lineare della terapia. Se la durata del trattamento è
stabilita in anticipo, entrambi lavorano nella consapevolezza dell'esistenza di questi limiti temporali.
Al contrario, in una psicoterapia dinamica senza limiti la decisione di arrivare ad una conclusione
emerge solo quando la sensazione che sia giunto il momento emerge in uno o in entrambi i
membri della diade terapeutica. A volte la fine del trattamento è forzata, determinata dal
trasferimento in un'altra città. In certi casi è unilaterale: uno dei due membri della coppia vuole
porre termine alla terapia, anche se l'altro non è d'accordo. L’esame di tutte queste possibili
situazioni ci fa capire che il processo della conclusione è in genere decisamente più irregolare di
quello che sembra. La fine della terapia può inoltre non essere una vera fine, nel senso che molti
pazienti in seguito ritornano con la richiesta di un ulteriore trattamento. Sarebbe quindi più
appropriato parlare di interruzione piuttosto che di conclusione. Ci sono anche alcuni pazienti che
trovano veramente impossibile porre fine al trattamento. Alcuni possono anche ridurre
progressivamente il numero delle sedute fino ad una ogni tre, sei mesi: finché hanno la certezza di
poter vedere ancora il terapeuta va tutto bene, ma se viene prospettata l'ipotesi di una conclusione
definitiva spesso cadono a pezzi.
La richiesta da parte dei pazienti di porre fine ad una terapia deve essere approfonditamente
esplorata, in particolare per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi stabiliti nelle prime fasi
del trattamento. Nel valutare l'eventuale presenza delle condizioni per una conclusione, bisogna
verificare se il paziente ha interiorizzato in maniera sufficiente il processo terapeutico, tanto da
essere in grado di continuare ad utilizzare autonomamente le modalità di riflessione acquisite con
la terapia. Nella decisione di concludere la terapia possono entrare in gioco anche sentimenti
controtransferali negativi: alcuni pazienti suscitano nel terapeuta reazioni di noia o rabbia. Il
terapeuta può quindi provare un forte senso di sollievo quando questi pazienti manifestano il
desiderio di concludere il trattamento. Nel caso di una psicoterapia di durata prestabilita, alcuni
pazienti possono chiedere di continuare il trattamento e il terapeuta può avere la sensazione di
aver deluso le loro aspettative. I terapeuti dovrebbero però sempre ricordare a se stessi che ogni
paziente ha i suoi tempi per il superamento delle resistenze e la capacità di superare i conflitti di
lunga data. In una certa misura è comunque inevitabile che alla fine il terapeuta deluda i suoi
pazienti: costoro devono arrivare ad accettare l'idea che esistono limiti a ciò che un'altra persona
può fare per gratificare i desideri e bisogni che si sono creati il loro nel corso di una vita.
Quando esiste una scadenza già definita indipendente dalla volontà dei pazienti, ad esempio per il
trasferimento del terapeuta in un'altra città, i pazienti dovrebbero essere informati sin dall'inizio. La
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questione della fine della terapia dovrebbe poi essere periodicamente ripresa per ricordare al
paziente la presenza di un termine improrogabile. Il paziente deve quindi superare il lutto per la
perdita della fantasia di un terapeuta sempre disponibile e affrontare la realtà che tutte le
relazioni sono destinate prima o poi a finire. Molti pazienti turbati dalla fine della terapia trovano
molto difficile parlare con il terapeuta di ciò che provano. Spesso la conclusione della terapia è
associata a un ritorno dei sintomi del paziente, che in parte può essere visto come una forma di
protesta contro una perdita imposta dall'altro. Tuttavia alcuni pazienti non rispondono ad
interpretazioni sul significato dei loro comportamenti: al contrario, un terapeuta che mette
continuamente in collegamento i loro commenti e le loro azioni con la fine della terapia può
rendere la situazione ancora più difficile, perché pazienti reagiranno negando a oltranza l'esistenza
di tali collegamenti. L'idea di perdere una relazione significativa può dunque mettere in difficoltà sia
il paziente che il terapeuta: entrambi possono contribuire quindi ad un processo di diniego della
perdita che può tradursi nel fatto di fissare incontri successivi al fine della terapia o di immaginare
una relazione che continui su basi diverse. Durante il processo di conclusione i terapeuti devono
quindi prestare maggior attenzione al mantenimento dei limiti professionali. A volte i pazienti si
presentano l'ultima seduta con un regalo che il terapeuta può accettare ringraziando, anche
perché non ci sarebbe in ogni caso più tempo per esaminarne il significato. Altri pazienti possono
invece sentire l'impulso di abbracciare il terapeuta al termine della seduta: anche qui il terapeuta
deve considerare che anche se si sottrae all'abbraccio non avrà la possibilità di analizzare in
seguito l'episodio. Infine, alcuni pazienti si informeranno sulla possibilità di riprendere contatto con
il terapeuta in caso di problemi futuri. Il paziente ha quindi bisogno di sapere che la porta è sempre
aperta. L'ipotesi di contatti successivi va comunque scoraggiata quando subentra un nuovo
terapeuta.
A volte il terapeuta si sente costretto a fissare arbitrariamente un termine, perché risulta chiaro che
il paziente non sta utilizzando la terapia in modo produttivo. Definire una scadenza precisa può
essere quindi un modo per portare l'attenzione del paziente su quanto resta da fare e su ciò che
ostacola il processo di conclusione della terapia. Quando viene proposta una conclusione, talvolta i
pazienti reagiscono manifestando sintomi molto gravi: di fronte a questi pazienti il terapeuta
deve considerare la possibilità di mantenere contatti regolari per evitare fenomeni di scompenso.
In certi casi il terapeuta si trova comunque costretto a porre termine alla terapia
indipendentemente dalla volontà del paziente. Ad esempio quando i pazienti non rispettano le
condizioni il trattamento, come per esempio l'astinenza dall'uso di sostanze o la necessità di
evitare ripetute telefonate nel cuore della notte. Un altro motivo che può portare ad una decisione
unilaterale è il rifiuto da parte del paziente di pagare l'onorario pattuito, o di rispettare gli
appuntamenti. Nel caso di un paziente con tendenze suicide, il terapeuta telefonerà per verificare
le sue condizioni. Nel caso in cui paziente non si presenti a più sedute consecutive, il terapeuta
potrà raccogliere informazioni e se fornirà spiegazioni valide, potrà decidere di soprassedere. In
caso contrario potrà inviare una lettera in cui comunicherà la sua decisione di interrompere la
terapia. La lettera può comprendere anche una lista di terapeuti o servizi a cui paziente può
rivolgersi in caso di necessità.
CAP. 10 - LA SUPERVISIONE
La psicoterapia comprende una triade formata da paziente, terapeuta e supervisore. Il terapeuta
scarica il suo materiale con il paziente sul supervisore, attendendosi che esso sia capace di
aiutarlo a gestire situazioni che lo mettono in difficoltà. Il supervisore rappresenta dunque un
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modello con cui identificarsi. La supervisione individuale prevede in genere incontri settimanali,
durante i quali il terapeuta espone quanto sta succedendo con i suoi pazienti. Un buon
supervisore evita di assumere un atteggiamento autoritario e dire al terapeuta esattamente
che cosa deve fare, a meno che non si trovi davanti a errori madornali. Le modalità con cui i dati
vengono presentati al supervisore possono essere varie: registrazioni video o audio, note scritte…
Le riprese delle sedute hanno il vantaggio ovvio di mostrare direttamente le forme di
comunicazione verbale e non verbale tra terapeuta e paziente, consentendo al supervisore di farsi
un'idea più precisa degli atteggiamenti e comportamenti del terapeuta. La videoregistrazione di
una seduta comunque comporta dei problemi, perché modifica le condizioni fondamentali di
riservatezza e intimità in cui normalmente si svolge una psicoterapia. Anche l'impiego di
registrazioni audio può sembrare meno intrusivo, ma in realtà genera problemi simili. Nella
maggior parte dei casi quindi l'uso di note scritte rimane la modalità preferita nella supervisione
della psicoterapia a lungo termine. L'ostacolo principale sono note eccessivamente dettagliate su
quanto viene detto durante la seduta: il timore di poter lasciare dati importanti porta il terapeuta a
stendere resoconti simili a verbali che interferiscono con la capacità di immergersi nelle sue
esperienze terapeutiche. Il terapeuta deve, infatti, soprattutto essere presente con i pazienti e
pronto a percepire e condividere gli stati affettivi che emergono nel contesto della relazione. Per
questo sembra importante redigere note dopo la fine della seduta, riassumendo i più importanti
temi discussi. Una presentazione di questo tipo facilita il lavoro del supervisore, che può
immediatamente focalizzarsi sull'analisi dei problemi identificati al terapeuta. Anche tra terapeuta e
supervisore possiamo parlare di un'alleanza. I supervisori devono assicurare che i pazienti
riceveranno un trattamento adeguato, insegnare ai terapeuti le tecniche fondamentali, valutare le
loro capacità e i loro punti deboli. Tutto ciò può determinare un senso di inibizione, mentre il
supervisore ha il compito di creare un ambiente in cui il terapeuta si senta sicuro. Entrambi
dovrebbero essere comunque espliciti sul loro modo di intendere la supervisione e su come
pensano di poterla usare in maniera efficace. La cosa più difficile è creare un’atmosfera nella quale
il terapeuta si senta libero di rivelare al supervisore tutto quello che succede nel corso di una
terapia. I principianti spesso provano un acuto senso di vulnerabilità mentre raccontano i loro
tentativi di comportarsi come psicoterapeuti e non si sentono affatto sicuri di ciò che stanno
facendo. In molti casi, quindi, la supervisione comporta un certo grado di falsificazione dei dati e
censura sui momenti particolarmente imbarazzanti e la deliberata omissione di alcuni elementi del
processo terapeutico, per cercare l'approvazione del supervisore ed evitare di incorrere nelle sue
critiche. Il supervisore dovrebbe quindi insistere sul fatto che solo parlando apertamente delle
sue perplessità e dei suoi errori il terapeuta potrà usare in maniera davvero efficace il processo
della supervisione. A questo proposito possiamo individuare due assiomi fondamentali che i
terapeuti dovrebbero sempre avere presenti:
1. se stai facendo qualcosa che preferisci nascondere al supervisore, c'è il rischio che tu stia
violando i limiti;
2. gli argomenti più importanti di cui dovresti discutere con un supervisore sono probabilmente
proprio quelli che più desideri evitare.
Anche nella supervisione esistono regole e limiti: molte organizzazioni professionali vietano
relazioni tra terapeuta e supervisore. Il limite più delicato riguarda tuttavia il confine tra trattamento
e insegnamento. Il supervisore deve dunque prestare una particolare attenzione a non superare i
limiti della sua attività di insegnante e supervisore e a non assumere un ruolo di terapeuta nei
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confronti del supervisionato. Supervisore e terapeuta possono discutere apertamente dell'utilità di
includere nel processo di supervisione l'esame del contotransfert, ma rimane arduo delineare in
modo astratto i precisi confini di esso.
Quando nell'alleanza tra terapeuta e supervisore si sia raggiunto un buon livello di fiducia, un role
playing può costituire un modo eccellente per facilitare l'emergere di elementi controtransferali
inconsci.
Vi possono essere tuttavia alcuni problemi comuni nella supervisione:
- il supervisore chiacchierone: alcuni supervisori possono vedere gli incontri con i terapeuti come
un'opportunità per socializzare e chiacchierare invece di aiutarli a risolvere problemi legati ai
pazienti. Alcuni affrontano questa situazione semplicemente iniziando subito a discutere dei loro
pazienti, senza lasciare al supervisore il tempo di intavolare altri discorsi. Se la tattica non
funziona, può essere necessario un intervento di confrontazione, suggerendo al supervisore che si
ha davvero bisogno del suo aiuto con un paziente. Molti terapeuti possono trovare quasi
improponibile la rivendicazione aperta del diritto di ottenere una supervisione adeguata, a causa di
processi di transfert verso una persona affermata che è tenuta a fornire una valutazione sulla loro
capacità. Tuttavia, i supervisori nella maggior parte dei casi riconoscono e rispettano i loro doveri
nei confronti dei terapeuti.
- il supervisore distratto o assonnato: alcuni supervisori lavorano molto; dopo aver lavorato ore ed
ore con i pazienti è quindi possibile che negli incontri di supervisione la loro attenzione si allenti. In
questi casi il terapeuta rimane spesso sconcertato e la reazione più comune è il timore di essere
stato troppo noioso. Può essere quindi utile verificare l'eventualità che questo tipo di situazione sia
il risultato di un processo creato congiuntamente.
- il supervisore che oltrepassa i limiti: non tutti i terapeuti hanno la presenza di spirito necessaria
per porre dei limiti ad un supervisore che non intende rispettarli. Alcuni ad esempio si mostrano
eccessivamente affettuosi od eccessivamente curiosi rispetto alla vita privata del supervisionato. In
tutte le situazioni in cui supervisore oltrepassa i limiti professionali, i terapeuti devono sentirsi liberi
di esprimere apertamente il loro imbarazzo.
- il supervisore autoritario: un supervisore che sembra sempre sapere esattamente quali sono gli
interventi più opportuni può intimorire e scoraggiare il terapeuta. Un supervisore autoritario può
quindi trasmettergli l'idea che tutte le risposte ai suoi problemi si trovino in un preciso modello
teorico che rappresenta la verità assoluta e indiscutibile. Il terapeuta dovrebbe sollevare la
questione e discuterne apertamente, sentendosi libero di agire in maniera flessibile e spontanea
nella situazione terapeutica.
Molti programmi di formazione prevedono che nel corso del loro tirocinio i terapeuti cambino
supervisore spesso, traendo così vantaggio dal fatto di venire esposti a diversi stili di supervisione
e modelli teorici di psicoterapia. Alcuni possono però sviluppare un grande attaccamento nei
confronti del loro supervisore e trovare difficile abbandonarlo al termine del periodo prestabilito.
Egli potrà quindi richiedere una proroga. Il cambiamento e la conseguente possibilità di
apprendere differenti prospettive sulla psicoterapia costituisce comunque una componente
importante del processo di formazione. Anche se il terapeuta ha alle spalle una certa esperienza
deve comunque essere consapevole del fatto che non deve per forza affrontare e risolvere tutti i
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problemi da solo. Il collega consultato è ovviamente tenuto ad osservare gli stessi vincoli del
terapeuta sul segreto professionale. In alcuni casi il terapeuta può tutelare ulteriormente la
confidenzialità del rapporto con il paziente, omettendo nomi o dati specifici che ne rivelano
l'identità.
CAP.11 - COMPETENZE DI BASE NELLA PSICOTERAPIA DINAMICA A LUNGO TERMINE
Dobbiamo cercare di monitorare costantemente le nostre incertezze e insufficienze, lavorando per
porre rimedio ai danni che i nostri errori possono provocare all'alleanza terapeutica. In questo
contesto gli operatori in corso di formazione devono essere valutati in base al loro livello di
preparazione ed esperienza, stimandolo secondo criteri stabiliti dei supervisori o dei responsabili
dei programmi di formazione. La competenza in psicoterapia può essere distinta in tre aree
principali: conoscenze teoriche, capacità ed attitudini. Per “conoscenze teoriche” intendiamo il
fatto che alla fine di un programma di formazione, un terapeuta dovrebbe avere acquisito un
sufficiente livello di conoscenze sugli aspetti della psicoterapia psicodinamica a lungo termine:
teorie fondamentali, funzionamento mentale in corso, transfert, resistenze, controtransfert, idoneità
del paziente, meccanismi di difesa, disturbi psichiatrici, lavoro sui sogni e così via. Per “capacità”
intendiamo l'ascolto empatico dei racconti del paziente, il costruire un'alleanza terapeutica,
prestare attenzione alle forme di comunicazione non verbali, l'identificazione dei meccanismi di
difesa e così via. Per “attitudini” intendiamo componenti molto rilevanti per definire il ruolo
professionale del terapeuta: l'empatia, la curiosità, la ricettività, l'atteggiamento non giudicante, la
sensibilità e l'impegno etico.
Per riuscire a sviluppare conoscenze, capacità e attitudini, un terapeuta ha bisogno di molto più di
un libro di testo: non c'è niente che possa sostituire il tempo passato con i pazienti. Come sistemi
di valutazione possono essere presi in considerazione sia la presentazione scritta dei casi che la
presentazione orale, esami scritti e orali, nonché videoregistrazioni ed osservazione diretta delle
sedute di psicoterapia, audioregistrazioni e supervisione.
Tutti questi mezzi servono valutare conoscenze, capacità ed attitudini che nel loro insieme
definiscono le competenze di base del futuro analista.