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Esame di Stato per Psicologi 2011 1 Materiale protetto dall’Autore. Tutti i diritti riservati. Vendita, Distribuzione e Duplicazioni vietate. per contatti: [email protected] INTRODUZIONE ALLA PSICOTERAPIA PSICODINAMICA CAP 1 - CONCETTI CHIAVE La psicoterapia psicodinamica a lungo termine può essere definita come un trattamento centrato sull'interpretazione del transfert e della resistenza secondo tempi accuratamente definiti e su un'attenta valutazione delle modalità con cui il terapeuta contribuisce all'interazione. Essa si basa su un insieme di modelli teorici fondamentali che includono la psicologia dell'io, la teoria delle relazioni oggettuali, la psicologia del sé e la teoria dell'attaccamento. Il bisogno di capire e conoscere se stessi è un'esigenza fondamentale: i pazienti che vogliono arrivare a comprendere se stessi possono essere disposti a sostenere una terapia, anche se richiede anni. Vi sono comuni concezioni errate circa la psicoterapia dinamica: il terapeuta non parla quasi mai, la terapia si focalizza principalmente sulla sessualità del paziente, l'analisi è interminabile e così via. Oggi i terapeuti a orientamento dinamico tendono ad essere attivamente coinvolti. La psicoterapia psicodinamica è una terapia che rivolge una profonda attenzione alla relazione tra terapeuta e paziente, con interpretazioni del transfert e della resistenza. Definiamo a lungo termine le terapie con più di 24 sedute o di durata superiore ai 6 mesi. Vi sono alcuni concetti chiave della psicoterapia psicodinamica: - funzionamento mentale inconscio : Freud ha elaborato una teoria che attribuisce all'inconscio un'importanza centrale. Inizialmente egli si focalizzò sul modello topografico della mente, che prevede una gerarchia di ambiti consci, preconsci e inconsci. L’approccio iniziale di Freud consisteva dunque nel cercare di riportare i contenuti inconsci alla superficie, superando la barriera della rimozione. Progressivamente il modello si complicò, arrivando all'introduzione del modello strutturale composto da es, io e super io. L’io è considerato come distinto dalle pulsioni aggressive e sessuali ed i suoi aspetti consci includono le funzioni esecutive della mente. L’io necessita di sforzi difensivi per impedire che sessualità e aggressività diventino distruttive rispetto al funzionamento dell'individuo. L’es è totalmente inconscio ed è controllato sia dagli aspetti inconsci dell’io sia da una terza entità chiamata super io. Il super io è prevalentemente inconscio e rappresenta l'interiorizzazione dei valori morali derivati dei genitori e dall'ambiente sociale dell'individuo. Laddove la coscienza morale proscrive, l'ideale dell’io prescrive. Le tre istanze psichiche sono in perenne conflitto sull'espressione di sessualità e aggressività, conflitto che genera angoscia sollecitando l’io a mobilitare i meccanismi di difesa per frenare le espressioni che sembrano proibite. Il sintomo può essere pertanto considerato con una formazione di compromesso che difende da un desiderio e contemporaneamente lo soddisfa in forma mascherata. - una prospettiva evolutiva : le esperienze infantili, insieme alle caratteristiche dell'individuo a livello genetico, plasmano la persona adulta. Caratteristiche ereditarie evocano risposte specifiche, ed il comportamento dei genitori plasma lo sviluppo della personalità del bambino. All'inizio la teoria psicoanalitica prevedeva una comprensione dello sviluppo basata sulle zone libidiche, secondo cui la pulsione sessuale del bambino è legata alle regioni corporee anale, orale e fallica. Lo sviluppo del super io veniva considerato come risultato finale della fase edipica. Il bambino teme che il padre possa vendicarsi del suo amore per la madre, attaccando i suoi genitali: si identifica così con il padre e cerca una donna simile alla madre, rinunciando a competere direttamente con i genitori di sesso opposto. Un'altra componente centrale nella teoria evolutiva è la nozione che le esperienze precoci del sé con gli altri vengono interiorizzate assieme agli stati affettivi ad essi
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Esame di Stato per Psicologi 2011

Feb 08, 2023

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1 Materiale protetto dall’Autore. Tutti i diritti riservati. Vendita, Distribuzione e Duplicazioni vietate. per contatti: [email protected]

INTRODUZIONE ALLA PSICOTERAPIA PSICODINAMICA

CAP 1 - CONCETTI CHIAVE

La psicoterapia psicodinamica a lungo termine può essere definita come un trattamento centrato

sull'interpretazione del transfert e della resistenza secondo tempi accuratamente definiti e su

un'attenta valutazione delle modalità con cui il terapeuta contribuisce all'interazione. Essa si basa

su un insieme di modelli teorici fondamentali che includono la psicologia dell'io, la teoria delle

relazioni oggettuali, la psicologia del sé e la teoria dell'attaccamento.

Il bisogno di capire e conoscere se stessi è un'esigenza fondamentale: i pazienti che vogliono

arrivare a comprendere se stessi possono essere disposti a sostenere una terapia, anche se

richiede anni. Vi sono comuni concezioni errate circa la psicoterapia dinamica: il terapeuta non

parla quasi mai, la terapia si focalizza principalmente sulla sessualità del paziente, l'analisi è

interminabile e così via. Oggi i terapeuti a orientamento dinamico tendono ad essere attivamente

coinvolti. La psicoterapia psicodinamica è una terapia che rivolge una profonda attenzione alla

relazione tra terapeuta e paziente, con interpretazioni del transfert e della resistenza. Definiamo a

lungo termine le terapie con più di 24 sedute o di durata superiore ai 6 mesi.

Vi sono alcuni concetti chiave della psicoterapia psicodinamica:

- funzionamento mentale inconscio: Freud ha elaborato una teoria che attribuisce all'inconscio

un'importanza centrale. Inizialmente egli si focalizzò sul modello topografico della mente, che

prevede una gerarchia di ambiti consci, preconsci e inconsci. L’approccio iniziale di Freud

consisteva dunque nel cercare di riportare i contenuti inconsci alla superficie, superando la barriera

della rimozione. Progressivamente il modello si complicò, arrivando all'introduzione del modello

strutturale composto da es, io e super io. L’io è considerato come distinto dalle pulsioni aggressive

e sessuali ed i suoi aspetti consci includono le funzioni esecutive della mente. L’io necessita di

sforzi difensivi per impedire che sessualità e aggressività diventino distruttive rispetto al

funzionamento dell'individuo. L’es è totalmente inconscio ed è controllato sia dagli aspetti inconsci

dell’io sia da una terza entità chiamata super io. Il super io è prevalentemente inconscio e

rappresenta l'interiorizzazione dei valori morali derivati dei genitori e dall'ambiente sociale

dell'individuo. Laddove la coscienza morale proscrive, l'ideale dell’io prescrive. Le tre istanze

psichiche sono in perenne conflitto sull'espressione di sessualità e aggressività, conflitto che

genera angoscia sollecitando l’io a mobilitare i meccanismi di difesa per frenare le espressioni che

sembrano proibite. Il sintomo può essere pertanto considerato con una formazione di

compromesso che difende da un desiderio e contemporaneamente lo soddisfa in forma

mascherata.

- una prospettiva evolutiva: le esperienze infantili, insieme alle caratteristiche dell'individuo a livello

genetico, plasmano la persona adulta. Caratteristiche ereditarie evocano risposte specifiche, ed il

comportamento dei genitori plasma lo sviluppo della personalità del bambino. All'inizio la teoria

psicoanalitica prevedeva una comprensione dello sviluppo basata sulle zone libidiche, secondo cui

la pulsione sessuale del bambino è legata alle regioni corporee anale, orale e fallica. Lo sviluppo

del super io veniva considerato come risultato finale della fase edipica. Il bambino teme che il

padre possa vendicarsi del suo amore per la madre, attaccando i suoi genitali: si identifica così con

il padre e cerca una donna simile alla madre, rinunciando a competere direttamente con i genitori

di sesso opposto. Un'altra componente centrale nella teoria evolutiva è la nozione che le

esperienze precoci del sé con gli altri vengono interiorizzate assieme agli stati affettivi ad essi

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2 Materiale protetto dall’Autore. Tutti i diritti riservati. Vendita, Distribuzione e Duplicazioni vietate. per contatti: [email protected]

associati, generando rappresentazioni di tali interazioni interpersonali definite relazioni oggettuali.

Queste relazioni vengono continuamente riprodotte nel corso della vita.

La teoria delle relazioni oggettuali si è sviluppata in Gran Bretagna dove Melanie Klein ha cercato

di integrare teoria pulsionale e relazioni oggettuali interne. Mentre la psicologia dell’io enfatizza

l'importanza del conflitto, nel modello proposto dalla psicologia del sé di Kohut lo sviluppo si

basa sull'esistenza di un deficit. Secondo l'autore, molti individui non hanno sufficiente contatto con

la madre durante l’infanzia: questa carenza li lascia con un senso di mancanza che li spinge a

cercare negli altri risposte in grado di compensare funzioni che non trovano in se stessi. Tali

funzioni vengono definite funzioni oggetto-sè. In questo quadro, lo sviluppo dipende da un

processo in cui il sé è reso progressivamente più coerente attraverso le risposte oggetto-sé fornite

dagli altri. Secondo Stern, risposte positive di conferma da parte della madre sono cruciali per lo

sviluppo del sé del bambino. In mancanza di simili risposte il sé tende a frammentarsi, dando

origine a un quadro clinico di estrema vulnerabilità narcisistica.

La teoria dell'attaccamento si è sviluppata in contrasto con il pensiero della Klein, a partire da

Bowlby. Secondo questo autore, nel bambino è presente un intero sistema comportamentale

diretto a mantenere la prossimità con la madre. Questo affinché il bambino possa raggiungere uno

stato di sicurezza e conforto che deriva dalla vicinanza della figura di accudimento. Differenti

categorie di attaccamento sono state definite in base alla strange situation, che prevede brevi

separazioni dalla madre. Il bambino può reagire secondo quattro categorie di attaccamento: sicuro,

ansioso evitante, ansioso ambivalente, disorganizzato e disorientato. Un attaccamento insicuro

associato a traumi o comportamenti di rifiuto e trascuratezza può compromettere lo sviluppo della

capacità di mentalizzare, ossia di concepire la mente propria e altrui. L'approccio psicodinamico

considera dunque il soggetto adulto come prodotto di esperienze infantili importanti che

continuano, nel presente, ad essere riprodotte con gli altri.

- transfert: nel transfert, pattern tipici delle relazioni infantili si ripetono nel presente con il

terapeuta. Al terapeuta vengono attribuite caratteristiche proprie di figure del passato, e sentimenti

associati a questa figura vengono vissuti con il terapeuta secondo le stesse modalità. I kleiniani

hanno esteso questo concetto attraverso quello di identificazione proiettiva, secondo cui il paziente

proietta inconsciamente sul terapeuta una rappresentazione del sé o dell'oggetto: quindi egli forza

il terapeuta ad assumere caratteristiche simili a quelle della rappresentazione proiettata.

L'esperienza che i pazienti hanno del terapeuta è sempre dunque una miscela di caratteristiche

reali del terapeuta e di aspetti di figure del passato.

- controtransfert: il paziente ed il terapeuta sono due soggettività distinte che interagiscono in

maniera significativa nel corso della terapia. Il controtransfert include tutto l'insieme delle reazioni

emotive che il terapeuta ha verso il paziente. Esso è oggetto della terapia come preziosa fonte di

informazioni e strumento diagnostico e terapeutico fondamentale.

- resistenza: il paziente è ambivalente rispetto al cambiamento. Il suo equilibrio è stato raggiunto

dopo anni di impiego di specifici meccanismi di difesa per tenere a bada fatti dolorosi. Tali

meccanismi sono diretti a gestire ed evitare emozioni spiacevoli e vengono attivati dalla terapia

sotto forma di resistenze. La differenza tra resistenze e meccanismi di difesa è semplicemente che

le prime possono essere osservate, mentre i secondi devono essere dedotti. Molte sono resistenze

da transfert nel caso in cui i pazienti si oppongono al trattamento a causa di specifiche fantasie

relative alla percezione che il terapeuta avrebbe di loro. Il terapeuta cercherà di aiutare il paziente

a comprendere gli elementi del passato che vengono ricreati nel presente.

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- determinismo psichico: si riferisce alla nozione che ciò che facciamo della nostra vita è plasmato

da forze inconsce in relazione dinamica tra loro. Sintomi e comportamenti assolvono diverse

funzioni e risolvono molti problemi. Comportamenti o sintomi sono causati da una specifica

costellazione intrapsichica di fattori che interagiscono per produrre il risultato finale.

- La soggettività unica del paziente: noi non sappiamo veramente chi siamo; a causa di una varietà

di conflitti, ansie e difese, tendiamo nasconderci da noi stessi. Secondo Winnicott, i bambini le cui

iniziative vengono costantemente distorte dai genitori troveranno poi modi alternativi per entrare in

connessione con loro sviluppando un falso sé che i genitori apprezzano. La terapia a

orientamento psicodinamico cerca in ogni paziente il vero sé, che può comportare lo

smascheramento degli autoinganni e la coraggiosa esplorazione dei desideri e delle fantasie più

recondite del paziente.

Gli studi sugli esiti dei trattamenti psicoanalitici e psicodinamici sono relativamente scarsi a

causa di diversi fattori che rendono estremamente difficile la conduzione di studi sui trattamenti. Il

trattamento psicoterapeutico è stato comunque reso credibile da diversi studi di follow-up, che

hanno dimostrato miglioramenti significativi in tutti gli esiti valutati. Tuttavia i soggetti trattati con

terapia cognitiva non riportavano un cambiamento significativo del disagio, rispetto ai pazienti

trattati con terapia dinamica.

CAP 2 - VALUTAZIONE, INDICAZIONI E FORMULAZIONE

Il successo di una psicoterapia dipende in parte dal processo di valutazione iniziale, che consente

di selezionare i pazienti realmente idonei ad intraprendere la terapia. La valutazione inizia con il

primo colloquio, in cui ai pazienti viene chiesto di raccontare la loro storia. I colloqui iniziali

hanno quindi come scopo essenziale quello di definire un'accurata diagnosi psicodinamica.

Il terapeuta può inoltre fornire al paziente indicazioni sugli scopi della valutazione. Nel colloquio

psicodinamico il paziente deve essere un collaboratore, non l'oggetto passivo di un attivo

intervento del terapeuta. L'attenzione va riposta anche nei confronti delle forme non verbali di

comunicazione, usate dal paziente durante i colloqui. Nel 1914 Freud aveva notato che ciò che il

paziente non ricorda e non verbalizza durante le sedute viene espresso dalle sue azioni. Durante il

colloquio le manifestazioni dell'inconscio affiorano nei gesti del paziente, nel tono di voce, nel

modo di parlare e così via. Transfert e controtransfert iniziano a prendere forma anche prima

dell'intervista: ognuno ha aspettative nei confronti dell'altro.

La valutazione della personalità è un elemento centrale nel determinare l'idoneità del paziente ad

una psicoterapia psicodinamica. Una moderna concezione della personalità include 4 elementi

fondamentali: un temperamento basato su componenti biologiche; una costellazione di

rappresentazioni interne di sé e degli altri che sono collegate a stati affettivi; un insieme

caratteristico di meccanismi di difesa; uno stile cognitivo correlato.

Bisogna anche valutare la particolare costellazione di meccanismi di difesa che sono diretti a

preservare un senso di autostima di fronte a vergogna e vulnerabilità. Essi cambiano anche la

relazione tra il sé e l'oggetto e possono consentire al paziente di gestire i conflitti non risolti

correlati a oggetti interni del passato o ad altri significati. Difese specifiche sono legate a tipi di

personalità o disturbi di personalità specifici. Essi possono essere considerati secondo

un'organizzazione gerarchica che va dai più primitivi ai più maturi.

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Difese primitive: scissione, identificazione proiettiva, proiezione, diniego, dissociazione,

idealizzazione, ACTING OUT, somatizzazione, regressione, fantasia schizoide.

Difese nevrotiche: introiezione, identificazione, spostamento, intellettualizzazione,

isolamento dell'affetto, razionalizzazione, sessualizzazione, formazione reattiva, rimozione,

annullamento retroattivo.

Difese mature: umorismo, repressione, ascetismo, altruismo, anticipazione, sublimazione.

I concetti di funzione riflessiva e mentalizzazione forniscono alla valutazione psicodinamica una

dimensione che aiuta a definire il livello di organizzazione del carattere o della personalità del

paziente. La funzione riflessiva viene definita come l'acquisizione evolutiva che permette al

bambino di rispondere al comportamento degli altri e alla sua concezione dei loro sentimenti. La

funzione riflessiva dipende dalla capacità di mentalizzare. Quando l'attaccamento è sicuro la

mentalizzazione è un processo automatico: essa è quindi una capacità che permette al bambino di

percepire il mondo interno da cui derivano le motivazioni dei comportamenti propri e altrui.

Per determinare il livello di organizzazione della personalità si prendono in esame un insieme di

componenti che comprendono meccanismi di difesa, relazioni concettuali interne, forze e

debolezze dell’io e funzione riflessiva. Questo tipo di valutazione è diverso da un approccio basato

sulle categorie del D.S.M. e comporta una comprensione diagnostica piuttosto che una

classificazione. La valutazione del livello di organizzazione del paziente è estremamente

importante per determinare la sua idoneità alla psicoterapia psicodinamica. Nello stabilire l'idoneità

è importante valutare se vi sia una forte motivazione, un significativo grado di sofferenza, una

buona tolleranza alla frustrazione, una mentalità psicologica che renda possibile l'insight, la

capacità di pensare in termini di analogie e metafore. Quando la diagnosi si presenta

particolarmente difficile si possono impiegare i test psicologici. Infine, gli incontri con i familiari

spesso contribuiscono in maniera significativa alla comprensione dei fattori culturali e sociali che

svolgono un ruolo rilevante del quadro clinico del paziente.

I colloqui psicodinamici iniziali prevedono dunque una valutazione della struttura del soggetto

diretta a determinare la sua idoneità e ad accertare la presenza di disturbi o sintomi clinici.

Psicoanalisi & psicoterapia psicodinamica a lungo termine possono avere effetti positivi su pazienti

con disturbi di personalità che hanno un'organizzazione nevrotica del carattere. Inoltre possono

aiutare alcuni pazienti con disturbo d’ansia generalizzato a raggiungere una buona

consapevolezza dei fattori che contribuiscono generare l'ansia ai fini di tollerarla. Costituiscono

inoltre indicazioni alla psicoterapia psicodinamica tre disturbi di personalità del gruppo B:

narcisistico, istrionico, borderline. Le controindicazioni includono il trattamento diretto di sintomi del

disturbo ossessivo compulsivo.

Per quanto riguarda i pazienti con livello di organizzazione psicotico, i principi della psicoterapia

psicodinamica possono essere di aiuto nell'ambito del programma complessivo di trattamento che

comprende farmaci, trattamenti ospedalieri eccetera. Dopo la valutazione del paziente, per

pianificare il trattamento è utile elaborare una formulazione psicodinamica. Essa è una breve

sintesi di tutte le componenti che contribuiscono alla comprensione del paziente, che spiega il

quadro clinico e guida il trattamento. Per prima cosa deve essere presente una breve descrizione

della natura del quadro clinico. In secondo luogo la formulazione deve contenere un insieme di

ipotesi esplicative. Infine, nella formulazione deve essere spiegato come ciò che viene descritto nei

primi due punti influenza il programma terapeutico e la prognosi.

CAP.3 - LE BASI PRATICHE DELLA PSICOTERAPIA

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Alcuni pazienti iniziano la terapia con lo stesso terapeuta che ha condotto i colloqui di valutazione

iniziale. Se invece è stato inviato da un collega, possiamo ricavare dati dalle modalità con cui

quest'ultimo lo descrive. Ogni volta che un paziente viene presentato da un collega come una

persona speciale, il terapeuta deve stare in guardia dall’idealizzazione controtransferale, che

rappresenta l'accordo inconscio di tenere al di fuori della diade tutti i sentimenti aggressivi e

negativi. Nel corso delle prime sedute dovrebbero essere esaminate le varie reazioni che il

processo di valutazione e l'invio a un altro terapeuta hanno suscitato nel paziente. In ogni caso

durante le prime sedute paziente & terapeuta sono coinvolti in un processo di conoscenza

reciproca che determinerà se alla fine i due lavoreranno insieme o no.

Lo sviluppo di un'alleanza tra paziente e terapeuta è favorito da un ascolto caratterizzato da

empatia e partecipazione. L'alleanza è il fattore più importante nel determinare il risultato.

L'alleanza è presente quando il paziente si sente aiutato e quando sente che il terapeuta partecipa

ad una collaborazione diretta a raggiungere obiettivi comuni. Una componente importante è

rappresentata da uno sforzo collaborativo teso ad identificare obiettivi del trattamento

ragionevoli. Gli psicoterapeuti devono essere pronti a discutere con i loro pazienti su che cosa sia

e cosa non sia la psicoterapia. Ad alcuni può rivelarsi opportuno offrire la possibilità di un

trattamento di prova della durata di circa tre mesi, per verificare la validità del processo e di

esaminare la situazione alla fine di tale periodo. Nel corso dei primi colloqui deve inoltre essere

definita chiaramente la natura collaborativa della psicoterapia: i pazienti stabiliranno obiettivi,

forniranno materiale rilevante su cui lavorare e aiuteranno il terapeuta a comprendere come attuali

modelli di comportamento siano in relazione con il loro passato. Con i pazienti ambivalenti rispetto

al fatto di iniziare una terapia è raramente utile utilizzare un approccio troppo deciso. Al contrario,

un eccesso di zelo spesso risulta controproducente. Se il paziente insiste per iniziare, il

terapeuta deve comunque mantenersi cauto e dedicare molto tempo a definire con lui quali siano

gli obiettivi realistici della terapia.

Molti terapeuti si trovano di fronte a una serie di quesiti pratici che raramente vengono presi in

esame: ad esempio come salutare il nuovo paziente, o come comportarsi se il paziente inizia il

colloquio al di fuori dello studio. Una buona regola è quella di essere spontanei e non

eccessivamente formali. Per quanto riguarda le domande personali, i terapeuti possono avere

atteggiamenti diversi. Esistono comunque questioni specifiche sulle quali il paziente ha il diritto di

ricevere informazioni, come ad esempio se il terapeuta è in tirocinio, i costi della terapia e così via.

Molti altri aspetti entrano invece in un'area poco definita, nella quale non è possibile stabilire regole

univoche e precise. Età, situazione familiare e sentimentale sono questioni spinose ed è

opportuno che il terapeuta esplori le ragioni che spingono il paziente a porre domande così

personali. Anche la sistemazione delle sedie o poltrone nello studio del terapeuta deve essere

funzionale e non inculcare nel soggetto una sensazione di soggezione. Per questo può essere utile

posizionare le due sedie una di fronte all'altra, in modo da formare un angolo di 45° con la parete,

così che il paziente possa scegliere se guardare o meno il terapeuta direttamente. Per quanto

riguarda l'orologio, esso può disturbare il paziente che si può sentire trascurato o ferito pensando

che il terapeuta non presti attenzione, sia annoiato o abbia fretta.

La psicoterapia, inoltre, opera all'interno di una cornice (setting) formata da un insieme di regole e

limiti professionali: ne fanno parte il luogo dove si svolgono le sedute e la loro durata, il

pagamento, l'assenza di contatto fisico, la riservatezza e la confidenza, eccetera. L'intero sistema

è costruito per essere asimmetrico, di modo che lo scopo del terapeuta sia chiaramente quello di

aiutare il paziente. I limiti sono posti quindi per definire un'area all'interno della quale il terapeuta

può essere disponibile e comprensivo. I limiti della terapia creano un contesto sicuro in cui

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paziente e terapeuta possono esplorare, ricordare, rielaborare così via. Vi sono alcuni superamenti

dei limiti benigni e lievi, a volte utili, che si verificano in maniera episodica e possono essere

discussi nell'ambito della terapia, come uno sporadico abbraccio. Diverse sono le violazioni dei

limiti, come le relazioni sessuali.

Un altro punto importante è se prendere o meno appunti durante il colloquio: prendere appunti è

spesso utile durante la fase della valutazione, mentre può interferire con le dinamiche transferali

durante una seduta terapeutica. Per questo il terapeuta potrebbe redigere brevi note, tenute

separate dalla cartella clinica del paziente e considerate come proprietà del terapeuta.

Le parcelle rappresentano uno dei problemi più difficili. Molti pensano di non meritare un

compenso ed è possibile che i conti in sospeso si accumulino perché il terapeuta è riluttante a

sollevare la questione. Dietro il problema dei pagamenti si celano sentimenti di rabbia e

aggressività. Il paziente può sentire le parcelle del terapeuta come il riflesso di un atteggiamento

ostile nei suoi confronti. Se il terapeuta non si fa pagare possono pensare di aver trovato la figura

idealizzata che si occupi di loro senza richiedere un compenso. Alcuni possono cercare di trarre

vantaggio dall'imbarazzo del terapeuta nel fissare un onorario ragionevole.

Per quanto riguarda i regali, spesso i pazienti provano il desiderio di farne ai loro terapeuti. In

passato ricevere doni era considerato assolutamente vietato, ma con il tempo le opinioni sono,

almeno in parte, cambiate. Regali poco costosi od oggetti fatti dagli stessi pazienti possono essere

accettati con gratitudine. Qualora il terapeuta ritenesse che regalo sia stato utilizzato come mezzo

per manipolarlo, può decidere di discuterne nel corso della terapia. In tutte le circostanze che

generano ambiguità è probabilmente consigliabile rimandare le decisioni, dicendo al paziente che

prima di accettare il dono deve discuterne con il suo supervisore.

Un altro punto importante è il segreto professionale: un terapeuta non deve parlare dei suoi

pazienti con il coniuge o con altri membri della sua famiglia. Se presenta un caso clinico

nell'ambito di una lezione deve omettere tutti i dati che potrebbero portare al riconoscimento

dell'identità del paziente.

CAP. 4 - INTERVENTI TERAPEUTICI

Tre principi di tecnica attribuiti a Freud - neutralità, riservatezza e astinenza - venivano applicati

rigidamente dagli psicoanalisti del passato, nel timore che i discepoli si avventurassero in

situazioni che potevano rovinare la reputazione della psicanalisi. Tutti e tre principi sono utili in

senso relativo.

1. neutralità: non è sinonimo di freddezza o distacco. Il significato di neutralità corrisponde al

mantenimento di una posizione equidistante dalle istanze psichiche e dalle richieste del

paziente. Per comprendere i pazienti, il terapeuta deve mantenere una posizione non

giudicante.

2. riservatezza: gli terapeuti rivelano costantemente informazioni sulla propria persona nei

modi più disparati. I quadri o le fotografie sulle pareti, le espressioni facciali, le scelte

rispetto quando fare commenti nel corso una seduta sono tutti elementi che dicono molte

cose su di lui. Il terapeuta tuttavia non parla della propria vita privata o della propria

famiglia, perché è necessario preservare l’asimmetria che caratterizza la relazione

terapeutica.

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3. astinenza: rappresenta la raccomandazione di evitare una gratificazione eccessiva dei

desideri del paziente. I terapeuti possono fornire un notevole grado di gratificazione

semplicemente ascoltando con attenzione le parole del paziente. Nello stesso tempo

devono rispettare il principio dell'astinenza senza deroga per quanto riguarda la

gratificazione sessuale.

I commenti che il terapeuta fa al paziente vengono tradizionalmente raggruppati in una serie di

categorie di interventi:

Interpretazione: è lo strumento principale del terapeuta per fornire insight e comprensione al

paziente. L'intento è quello di rendere il paziente consapevole di elementi che si trovano al di fuori

della sua coscienza. Esso ha anche una valenza esplicativa: il terapeuta cerca di aiutare il

paziente ad acquisire insight spiegando motivi e significati. Con l'interpretazione il terapeuta

stabilisce un collegamento tra quello che il paziente racconta e la possibilità di comprenderne le

ragioni inconsce sottostanti. Il transfert deve essere interpretato quando diventa una resistenza al

processo. A volte, quindi, è preferibile astenersi dal fornire interpretazioni del transfert. Alcuni

preferiranno il volgere maggiore attenzione a situazioni al di fuori del transfert: molti dei conflitti che

emergono all'interno della relazione sono presenti anche in altri rapporti interpersonali. Enfatizzare

l'importanza del lavoro sul transfert conduce però a forzare l'esame di temi transferali in pazienti

che non sono ancora pronti a farlo. Per alcuni pazienti può essere, infatti, fonte di eccessivo

disagio e di imbarazzo esprimere i sentimenti di fronte al terapeuta.

Osservazione: si differenzia dall'interpretazione in quanto non include il tentativo di fornire

spiegazioni. Il terapeuta semplicemente nota un comportamento senza menzionarlo, nella

speranza che il paziente in seguito possa riflettere sul significato dell'osservazione.

Confrontazione: comporta il tentativo di portare l'attenzione del paziente sui temi che

tendenzialmente evita.

Chiarificazione: il suo obiettivo è di portare chiarezza in temi che appaiono validi, confusi o

sconnessi.

Incoraggiamento ad elaborare e validazione empatica: entrambi gli interventi possono essere

utilizzati per raccogliere informazioni e per rendere più solida l'alleanza terapeutica.

L'incoraggiamento a elaborare può venire da semplici commenti atti a spingere il paziente a

continuare il suo racconto. La validazione riflette invece il tentativo del terapeuta di immergersi

nello stato interno del paziente vedendo le cose dal suo punto di vista. I terapeuti spesso imparano

a proprie spese che non è consigliabile forzare i tempi e iniziare troppo precocemente a utilizzare i

metodi interpretativi. Molti pazienti dovranno essere preparati al lavoro sul transfert attraverso l'uso

di altri interventi.

Interventi psicoeducazionali, consigli ed elogi: sono interventi molto frequenti nella psicoterapia

supportiva, in cui il terapeuta fornisce ai pazienti informazioni specifiche correlate alla sua

formazione professionale. Gli elogi sono diretti a rinforzare comportamenti e atteggiamenti positivi.

Con i consigli, il terapeuta esprime opinioni su questioni che sono oggetto di preoccupazione per

lui o per il paziente.

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Anche se in passato si riteneva che il sesso del terapeuta non fosse importante, esiste attualmente

consenso sul fatto che il genere può influenzare in maniera significativa lo svolgimento della

psicoterapia. Il fatto che il terapeuta sia maschio o femmina farà una grande differenza rispetto allo

sviluppo del transfert da parte del paziente. Molti pazienti richiedono in maniera specifica un

terapeuta maschio o femmina perché sanno intuitivamente che in terapia potrebbero trovarsi

meglio con l'uno o con l'altro. Nella terapia si attivano quindi stereotipi di natura culturale legati al

genere.

CAP. 5 - OBIETTIVI E AZIONE TERAPEUTICA

È importante cercare di definire i meccanismi dell'azione terapeutica. Studi di follow-up con i

pazienti dimostrano che normalmente questi non danno molto peso agli interventi interpretativi, e

che per loro i ricordi più cari della terapia si riferiscono ad eventi casuali. Molti dei cambiamenti che

riguardano i pazienti dunque si verificano probabilmente a livello inconscio. Per questo può essere

difficile identificare quali specifici interventi hanno avuto un ruolo critico nel processo di

cambiamento. Il ricercatore ha poi l'ulteriore svantaggio di dover osservare dall'esterno la matrice

della diade terapeutica. Nonostante le difficoltà, le conoscenze su questi meccanismi stanno

crescendo grazie alle più recenti ricerche nel campo della psicoterapia e delle neuroscienze e

grazie all'attento studio del processo terapeutico. Il tentativo di determinare quali siano gli specifici

meccanismi d'azione è complesso, perché per definire l'azione terapeutica è necessario

uniformare gli scopi e gli obiettivi della terapia psicodinamica. Gli obiettivi vengono però influenzati

e plasmati dalla visione del terapeuta rispetto al modo in cui funziona la terapia rispetto al

paziente. Per comprendere come gli obiettivi del trattamento vengono generalmente costruiti può

essere utile una breve rassegna di esempi alcuni obiettivi quindi sono:

- La risoluzione del conflitto: lo scopo della terapia è quello di esplorare la natura dei conflitti consci

e inconsci e risolvere i sintomi che si producono. I conflitti non vengono completamente eliminati,

ma si instaurano formazioni di compromesso più efficaci.

- La ricerca della verità: per alcuni nel processo terapeutico è essenziale la profonda conoscenza

di sé. Il risultato della terapia dovrebbe essere la distinzione tra vero e falso sé, e quindi un senso

di autenticità.

- migliore capacità di cercare oggetti sé appropriati: Kohut sostiene che non superiamo mai il

bisogno che gli altri svolgano per noi funzioni oggetto-sé, che sono necessarie della nostra

sopravvivenza. L'obiettivo della terapia sarebbe quindi quello di aiutare i pazienti che utilizzano

oggetti sé in maniera immatura ad usarli in modo più maturo ed appropriato.

- miglioramento delle relazioni interpersonali come risultato di una maggiore comprensione delle

proprie relazioni oggettuali interne: l'obiettivo primario sarà quello di aiutare il paziente a capire

come le rappresentazioni interne di sé e degli altri influenzano le sue relazioni interpersonali.

- creazione di significato all'interno del dialogo terapeutico: dall'esplorazione terapeutica emergono

nuovi significati. Il risultato è una persona con una maggiore padronanza di significati che in

precedenza rimanevano al di fuori della sua consapevolezza.

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- miglioramento della funzione riflessiva: può costituire uno degli obiettivi principali con i pazienti in

cui lo sviluppo della capacità di mentalizzazione è stato compromesso da esperienze traumatiche.

Alla fine della terapia il paziente dovrebbe essere in grado di operare una distinzione tra la

rappresentazione interna e la realtà.

I pazienti che iniziano una terapia possono avere obiettivi che, dal punto di vista del

terapeuta, non sono realistici. Molti pazienti, infatti, si avvicinano alla terapia con l'idea che il

terapeuta sarà in grado di rimetterli in sesto. I terapeuti devono quindi ridimensionare queste

aspettative, facendo capire ai pazienti che gli obiettivi della terapia devono essere definiti e

raggiunti insieme. Mentre la terapia procede, inoltre, terapeuta e paziente devono periodicamente

ridefinire gli obiettivi. Nel corso della terapia può essere anche utile lasciare che i pazienti

rimangano in qualche modo privi di scopi e obiettivi anche per periodi lunghi, per mantenere un

clima terapeutico ottimale.

L’azione terapeutica si esplica attraverso molteplici meccanismi. Un terapeuta esperto sarà

flessibile ed in grado di modificare gli approcci utilizzati nei vari processi in funzione delle necessità

dei pazienti. Blatt ha diviso gli approcci in base ai pazienti: in una prima categoria rientrano

individui con una patologia introiettiva, più concentrati sui processi ideativi e sul mantenimento del

concetto di sé. Alla seconda appartengono gli individui con una patologia anaclitica, molto più

preoccupati da problemi relazionali che dallo sviluppo del sé. Analizzando i trattamenti compiuti sui

due gruppi egli ha riscontrato che i pazienti con patologia anaclitica sembravano essere meno

responsivi all’insight attraverso l'interpretazione, ma traevano beneficio dalla relazione terapeutica.

Al contrario, i pazienti con patologia introiettiva sembravano rispondere in maniera positiva ad

insight e interpretazione. Molti pazienti presentano inoltre una miscela di queste caratteristiche, e

traggono vantaggio sia dalla relazione sia dall’insight. Jones ha quindi proposto un modello

integrato dell'azione terapeutica che considera entrambe le componenti e che si basa sull'azione

terapeutica svolta attraverso il riconoscimento, la comprensione e l'esperienza di un pattern

ripetitivo di interazioni.

Recenti sviluppi nel campo delle neuroscienze cognitive aiutano a verificare il cambiamento e che

cosa deve fare il terapeuta per facilitarlo. Un ovvio bersaglio dei processi di cambiamento saranno

quindi le connessioni inconsce tra uno stato emozionale e una rappresentazione oggettuale. Un

secondo tipo di reti associative coinvolge desideri inconsci che gli altri si comportino in un certo

modo. Dai circuiti associativi possono derivare credenze patogene che esercitano un controllo

sulle azioni di un individuo. Il cambiamento può inoltre riguardare le reti associative alla base dei

meccanismi di difesa. Indipendentemente dall'obiettivo, il cambiamento nel funzionamento delle

reti associative normalmente coinvolge due processi specifici. Il primo è un indebolimento dei

legami esistenti tra le componenti del circuito; il secondo è una riduzione generale del loro livello di

attivazione cronica. Questo perché le rappresentazioni sono potenziali di riattivazione che

vengono evocati in determinate circostanze in base al loro livello di attivazione. Una

rappresentazione di sé o di un oggetto è un pattern di eccitazione che in precedenza sarà attivato

molte volte. Un trattamento che produce un cambiamento strutturale non elimina

completamente i vecchi circuiti ma li disattiva, e aumenta connessioni nuove che permettano

al paziente di sperimentare nuove soluzioni. I processi impliciti, infatti, sono psicologicamente

diversi anche a livello neurologico: per questo una terapia diretta solo ai processi lascia invariati

molti circuiti associativi rilevanti. Altri oggetti da esaminare possono essere i pensieri che

influenzano profondamente la vita delle persone, gli stati affettivi e l'esame degli stili di coping. In

qualsiasi area dell'azione terapeutica è necessario modificare determinate reti associative consce

ed inconsce che fanno parte del processo di cambiamento.

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I modi utilizzabili per facilitare il cambiamento rientrano in tre categorie di interventi:

1. Alimentare l'insight: vengono privilegiate due tecniche: libere associazioni e

interpretazione. Le libere associazioni forniscono la possibilità di vedere le difese in azione,

e quella di cogliere ciò che sta dietro alle difese. Dalle libere associazioni il terapeuta può

trarre una considerevole quantità di informazioni su quali argomenti portano il paziente ad

interrompere il processo o cambiare improvvisamente soggetto. L'interpretazione può

avere in oggetto tutta una serie di processi mentali tra loro connessi: paure, fantasie,

desideri, aspettative, difese, transfert eccetera. Oltre che da libere associazioni e

interpretazioni, lo sviluppo di un insight può essere facilitato da osservazioni fatte da una

prospettiva esterna. Uno dei motivi principali per cui la psicoterapia è utile è che il terapeuta

fornisce al paziente un punto di vista esterno. Molti di noi non hanno una visione chiara di

come appaiono gli altri; il terapeuta può fare osservazioni utili semplicemente in quanto il

suo punto di vista è diverso da quello del paziente.

2. Aspetti dell'azione terapeutica che derivano dalla relazione: la relazione può favorire

processi di cambiamento in molti modi diversi. In termini neurobiologici potremo dire che

l'esperienza di una nuova relazione può modificare i circuiti associativi che sono associati a

rappresentazioni oggettuali. La comprensione e la trasformazione di questi pattern può

essere estremamente importante per il paziente. Se l'analista non può essere percepito

come un nuovo oggetto l'analisi non ha mai inizio; se non può essere percepito come un

vecchio oggetto, l'analisi non ha mai fine. I pazienti possono inoltre interiorizzare strategie

di riflessione diventando “terapeuti di se stessi”.

3. Strategie secondarie: ci si riferisce ai numerosi interventi che tradizionalmente vengono

considerati come non propriamente psicoanalitici. Ad un primo gruppo di strategie

secondarie appartiene l'uso della suggestione. Un'altra strategia è costituita dalla

confrontazione di credenze disfunzionali: il terapeuta aiuta il paziente a riconoscere che gli

stati ansiosi sono associati a modi di pensare che perpetuano la disforia e che devono

quindi essere affrontati direttamente. Un terzo gruppo di strategie secondarie coinvolge

l'esame delle strategie consce che il paziente utilizza per prendere decisioni e risolvere

problemi. L'esposizione ha un ruolo primario nell'azione terapeutica dei trattamenti

comportamentali. Essa consiste nel porre il paziente di fronte ad uno stimolo che provoca

ansia, spingendolo a confrontarsi con tale stimolo finché l'ansia non scompare. Nel

trattamento dei disturbi da attacchi di panico, terapeuti cognitivo - comportamentali hanno

riportato considerevoli successi nell'affrontare la paura della paura che si sviluppa negli

individui affetti da tale disturbo. L'ansia viene inscritta a livello sottocorticale in circuiti

neurali che coinvolgono il talamo e l'amigdala; difficilmente quindi simili legami associativi

rispondono a trattamenti esclusivamente verbali. La progressiva riduzione dell'ansia è

quindi in parte dovuta ad un processo di esposizione, anche per quanto riguarda il transfert:

il paziente si abitua tollerare l'ansia nel corso dei ripetuti colloqui. Un quinto tipo di strategie

secondarie coinvolge forme di self-disclosure. Un limitato autodisvelamento da parte del

terapeuta può essere utile per aiutare i pazienti ad imparare a comprendere il mondo

interiore degli altri, favorendo i processi di mentalizzazione e lo sviluppo della funzione

riflessiva. Un'altra strategia secondaria è la conferma, e cioè la validazione ed accettazione

dei racconti del paziente. Un ultimo gruppo di strategie secondarie vengono definite

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tecniche facilitatorie e si riferiscono ad interventi diretti a far sentire paziente più a suo agio

ed a facilitare la sua collaborazione con il terapeuta nel processo di comprensione dei

meccanismi della mente.

CAP. 6 - LAVORARE CON LA RESISTENZA

La resistenza è il fulcro del lavoro quotidiano del terapeuta a orientamento dinamico. Essa

accompagna il trattamento in ogni passo. Spesso emerge come resistenza alla terapia: le modalità

con cui paziente si pone con il terapeuta forniscono quindi una notevole mole di informazioni sulla

sua vita psichica. I pazienti rimangono ancorati ai loro modi di affrontare il mondo anche quando

soffrono: hanno comunque raggiunto un equilibrio interno che viene minacciato dall'inizio della

terapia. La possibilità di un cambiamento minaccia l'equilibrio raggiunto. I pazienti possono

manifestare la loro resistenza con le modalità più disparate: arrivando in ritardo, dimenticando di

pagare e così via. La resistenza è dunque un ostacolo che deve essere rimosso. Il terapeuta può

sentire la necessità di sferrare un attacco frontale per poter procedere con una terapia, ma

attaccare direttamente la resistenza spesso serve a rinforzarla. Lo stesso transfert, secondo

Freud, era una resistenza che frenava l'analisi ma anche un processo straordinariamente

informativo. Il transfert è una forma perfetta di resistenza in quanto determina un arresto nel

dialogo, ma rappresenta anche uno strumento necessario che porta materiale inconscio nel campo

del processo analitico. L'obiettivo non è dunque annullare la resistenza ma aiutare i pazienti ad

essere in grado di osservare e riflettere sulle loro aspirazioni nei confronti dell'analista. Il terapeuta

deve calarsi profondamente nella resistenza anziché cercare di annullarla.

Il significato originale di ACTING OUT si può trovare nel classico lavoro "Ricordare, ripetere e

rielaborare" in cui Freud sostiene che l'analizzato non ricorda nulla di ciò che ha rimosso ma lo

mette in atto producendo quegli elementi non sotto forma di ricordi ma sotto forma di azioni, senza

rendersene conto. Questi fenomeni sono definiti come acting in, in quanto si verificano nell'ambito

del setting terapeutico. Il termine acting out viene invece utilizzato in riferimento ad eventi che

hanno luogo al di fuori della terapia.

L’acting in è definito da tre caratteristiche: è una forma di azione che coinvolge la muscolatura

somatica; è associato ad un’intenzionalità conscia o inconscia; l'azione e le sue conseguenze si

verificano durante le sedute e il terapeuta le può osservare direttamente. Tra gli esempi più comuni

l'addormentarsi durante una seduta. Comportamenti di acting in / out non devono essere criticati

o giudicati negativamente ma richiedono una comprensione, poiché sono manifestazioni che

possono fornire informazioni preziose. Secondo Kohut, bisogna vedere le resistenze come il

risultato dei tentativi del paziente di salvare almeno un settore del sé; per questo il terapeuta

dovrebbe avere un atteggiamento di empatia e rispetto di fronte al bisogno di difese del paziente,

anziché tentare di attaccarle direttamente.

Alcuni pazienti presentano forme di esistenza in cui l’importanza del terapeuta viene ripetutamente

negata. Questi individui possono avere croniche difficoltà nell'instaurare relazioni significative e tali

problemi emergono anche all'interno della terapia. L'idea di dipendere da qualcuno può essere per

loro intollerabile.

Spesso le brevi frasi che il paziente pronuncia dopo essersi alzato prima di uscire dalla stanza

sono particolarmente ricche di contenuti transferali: a volte costituiscono le rivelazioni più

importanti dell'intera seduta. Per il paziente può esistere, infatti, una netta distinzione tra quanto

viene detto nel corso delle sedute e le battute scambiate quando si appresta a lasciare lo studio:

egli fa questi commenti sulla porta perché vuole tenerli fuori dalla terapia. Quando il tempo a

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disposizione sta per finire nel paziente si può creare una sensazione di “ora o mai più” che lo

induce a esprimere cose che si porta dentro da tempo. Questo perché quando l'incontro si sta per

concludere il terapeuta non ha più tempo di manifestare atteggiamenti di rifiuto, il che è associato

per il paziente ad un senso di sicurezza. Per questo le frasi di commiato sono spesso ricche di

significato, e il tempo è una componente fondamentale della terapia. Le frasi di commiato possono

inoltre esprimere aggressività o rabbia.

Alcune resistenze sono legate al carattere: le difese del carattere di un individuo diventano

resistenze in terapia. Esse sono state inscritte nelle reti neurali nel corso della sua esistenza ed

entrano in gioco di fronte alla minaccia rappresentata dalla possibilità di essere comprese da

un'altra persona. Improvvisi passaggi da un argomento all'altro posso nascondere una fuga

difensiva da un tema che evoca rabbia.

Un’altra forma comune di resistenza si manifesta quando il paziente asserisce troppo

precocemente nel corso della terapia di sentirsi guarito. Questo atteggiamento è il risultato di

strategie di difesa adottate a fronte di evitare la discussione di conflitti che inducono sofferenza e

che non sono stati ancora esplorati. La prima volta che il paziente esprime il desiderio di terminare

la terapia, tale decisione svolge probabilmente le funzioni di una resistenza.

Arrivare in ritardo o assentarsi dalle sedute costituiscono inoltre due forme di resistenza molto

frequenti. Il terapeuta deve quindi valutare con attenzione i significati di questo ritardo che possono

avere per ciascun paziente e gli atteggiamenti associati ad esso; assenza o presenza di sensi di

colpa e così via. È possibile che il paziente non abbia, infatti, tenuto in considerazione

minimamente lo stato del terapeuta e le sue eventuali reazioni durante l'attesa. In ogni caso è

meglio evitare di modificare gli orari fissati dell'inizio e fine delle sedute. Non presentarsi alle

sedute è un'altra forma di resistenza ed è una delle ragioni per cui molti terapeuti richiedono il

pagamento anche delle sedute mancate. È stato, infatti, dimostrato che utilizzando questo metodo

si riducono drasticamente le assenze!! In ogni caso bisogna domandarsi se sia consigliabile o

meno tentare di mettersi in contatto con i pazienti che non si presentano ad una seduta. I pazienti

che risponderanno di aver deciso di smettere la terapia dovrebbero essere invitati a partecipare ad

un’ulteriore seduta, per valutare i pro e i contro di tale soluzione, ribadendo comunque che la

terapia è una scelta personale e spetta al paziente decidere se continuarla o no.

CAP. 7 - SOGNI E FANTASIE

Lo studio dei sogni è sempre stato considerato come una parte preziosa della psicoanalisi. Per

Freud, interpretare un sogno rappresentava la via verso l'inconscio. Quando i conflitti sono

talmente disturbanti da essere banditi dai pensieri formulati nello stato di veglia, essi possono

emergere dal materiale onirico. La mente di chi sogna usa lo stato fisiologico in cui si trova durante

il sogno per rappresentare effetti psicologici significativi. Uno degli assunti fondamentali della

psicoanalisi è che il sogno costituisce la versione mascherata di un desiderio. Secondo Freud

desideri infantili inconsci sono trasformati in simboli da processi di censura per garantire che il

sonno non venga disturbato. Il contenuto del sogno viene distinto in due livelli: quello manifesto e

quello latente, correlato a desideri inconsci che minacciano di provocare il risveglio e che devono

quindi essere deformati. Un insieme di meccanismi di difesa che operano all'interno dell'io

nascondono il contenuto onirico latente e lo trasformano in contenuto manifesto. L'esame dei

meccanismi di difesa continua ad essere utile per cercare di decifrare il significato di un sogno.

Essi sono:

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- condensazione: questo meccanismo combina in una sola immagine più di un desiderio,

sentimento o impulso.

- spostamento: l'intensità associata ad una persona viene trasferita su un altro individuo per

renderla più accettabile. Ad esempio, desideri sessuali per il terapeuta possono essere spostati nel

sogno su un'altra persona.

- rappresentazione simbolica: questo meccanismo comporta l'uso di un'immagine sensoriale

concreta semplice per rappresentare un complesso insieme di sentimenti che possono essere

carichi di significati. Ad esempio, l'interno di una casa può rappresentare l'interno della mente. Per

ogni paziente i significati possono essere compresi solo ascoltando le sue successive

associazioni rispetto al materiale onirico.

- elaborazione secondaria: l'individuo tenta di prendere le componenti irrazionali del sogno e di

sistemarle per generare una storia più razionale. Il sogno raccontato in psicoterapia può essere

quindi molto diverso dal sogno reale. Altro concetto importante è quello di residui diurni: un evento

che si è verificato in giornata può presentarsi nel sogno in vesti deformate.

Un principio fondamentale è che per comprendere un sogno sono necessarie le associazioni

che sul sogno vengono fatte dal paziente. Il terapeuta dovrebbe quindi evitare di assumere un

atteggiamento onnisciente spiegando ciò che un sogno significa, senza prima ascoltare i commenti

del paziente. È consigliabile quindi rimandare l'interpretazione finché il paziente non ne ha

commentato i contenuti, sperando essi rivelino le modalità con cui il contenuto latente è stato

trasformato in contenuto manifesto.

Anche i sogni possono essere usati come potenti forme di resistenza alla terapia. Alcuni pazienti

inondano l'intera seduta con l'esposizione dei loro sogni, non lasciando al terapeuta il tempo di

lavorare con loro. Può inoltre succedere con sogno venga menzionato solo alla fine della seduta,

quando non c'è più tempo per analizzarlo. Questo lavoro costituisce comunque solo la punta di un

iceberg perché raramente riusciamo a calarci nelle profondità di un sogno. Non possiamo dunque

pretendere di scoprirne tutti i molteplici significati, ma dobbiamo accontentarci di identificare quelli

che in quel dato momento ci sembrano più importanti.

Il sogno ad occhi aperti può creare molto più imbarazzo di quanto non lo creino i sogni notturni.

La fantasia è uno dei mezzi principali a cui ricorriamo per adattarci alle delusioni della realtà. Essa

ci fornisce gratificazioni sostitutive per i desideri che rimangono insoddisfatti nella nostra vita.

Alcune fantasie sono consce, ed hanno una trama precisa. Spesso influenzano la nostra vita con

modalità che possono sfuggire alla nostra comprensione. Altre fantasie, invece, sono inconsce e

possono emergere solo attraverso il lavoro terapeutico.

Le fantasie erotiche hanno un ruolo centrale nella vita della psiche umana e vengono esplorate in

terapia perché contengono temi che vanno oltre la sessualità. Essi rappresentano finestre che si

aprono su relazioni oggettuali interne, conflitti inconsci e traumi del passato. Le fantasie erotiche

sono di solito fonte di imbarazzo e vergogna. Ogni adulto presenta un pattern erotico specifico che

Person definisce impronta sessuale. L'eccitazione legata a tali fantasie può essere associata ad

un profondo senso di vergogna. L'impronta sessuale tipica nella maggior parte dei casi trova

origine in tematiche di potere e piacere correlate ad esperienze dei primi anni di vita e a conflitti

che coinvolgono il genere sessuale. Le fantasie possono essere considerate inaccettabili: i pazienti

possono quindi tentare di tenerle nascoste per tutto il tempo della terapia. Il terapeuta deve quindi

cercare di gestire con molto tatto il timore che ne deriva. Molti pazienti invece ne parlano

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facilmente, perché sperano di poter raggiungere attraverso l'esplorazione di tali fantasie una

maggiore conoscenza di se stessi. Poiché la fantasia è onnipresente, il terapeuta sarà immerso

nelle fantasie del paziente in ogni momento della terapia. Esse sono strettamente connesse con

quello che Luborsky ha indicato come "tema relazionale conflittuale centrale": esso coinvolge

un bisogno o un desiderio in conflitto con una funzione di controllo dell'io o del super io.

L’esplorazione delle aspettative e delle illusioni correlate agli altri generalmente fornisce una via

diretta per scoprire i dettagli della vita fantastica di un paziente. Alcuni pazienti possono assumere

un atteggiamento guardingo di fronte al termine fantasia; per questo è necessario affrontare

l'argomento con tatto. Un'altra opzione è, invece di spingere il paziente a rivelare i propri segreti, di

esaminare con lui le ansie che derivano dal fatto di dover confidare agli altri qualcosa di

estremamente personale. Spesso, infatti, quando il terapeuta spiega al paziente che non ha

intenzione di forzarlo a parlare di cose che preferisce mantenere segrete, si verifica un effetto

paradosso ed il paziente si sente improvvisamente disposto ad aprirsi. Ad ogni modo, quando il

paziente parla di fantasie erotiche, il terapeuta deve cercare di mantenere un atteggiamento che li

aiuti a superare l'umiliazione.

Le fantasie di suicidio vanno esplorate per aiutare il paziente a mentalizzare e rendersi conto delle

conseguenze concrete di tale azione. Una discussione franca con il paziente su quello che

potrebbe succedere dopo il suo eventuale suicidio può portare a temi di importanza critica che

possono essere esplorati e compresi. Per il paziente può essere quindi più facile considerare come

realistiche altre alternative e accettare l'idea che ci siano modi per continuare a convivere con la

sofferenza.

CAP.8 - LAVORARE SUL CONTROTRANSFERT

Il controtransfert è una componente costante e imprescindibile della terapia. Nello studio del

terapeuta si trovano, infatti, due soggettività, 2 esseri umani che interagiscono influenzandosi a

vicenda ed evocando continuamente nell'altro una serie di sentimenti e reazioni. I sentimenti di

controtransfert quindi sono il risultato di un processo a cui contribuiscono congiuntamente

terapeuta e paziente.

Le nozioni di identificazione proiettiva ed enactment controtransferale [si tratta dell'uso

dell'analista da parte del paziente e delle reazioni che questo fenomeno induce nell'analista

stesso] sono diventati parte integrante della psicoanalisi. I 2 concetti coinvolgono processi

all'interno del rapporto terapeutico: il primo trova le sue origini nel pensiero kleiniano e nella teoria

delle relazioni oggettuali, mentre il secondo si è sviluppato dal lavoro degli psicologi dell'io

statunitensi.

L’identificazione proiettiva prevede due fasi una rappresentazione del sé o di un oggetto viene

disconosciuta attraverso il suo spostamento su un'altra persona; dopodiché il soggetto che proietta

esercita una pressione che spinge l'altra persona a identificarsi inconsciamente con quanto è stato

proiettato su di lui. Il primo processo è un tipo di transfert, ed il secondo può essere considerato

come un controtransfert. Nel contesto di una psicoterapia, ha quindi luogo una terza fase: chi

riceve la proiezione, ossia il terapeuta, contiene e tollera la rappresentazione problematica insieme

all'affetto associato: elabora inoltre i contenuti proiettati di modo da poterli riprendere ed essere

reintroiettati da paziente. In questo senso il costrutto dell'identificazione proiettiva può essere visto

sia come una difesa sia come una comunicazione interpersonale. Quando vengono rimandati al

paziente, i contenuti inizialmente proiettati risultano modificati. La risposta controtransferale

generata nel terapeuta deve essere vista come una struttura latente che viene evocata dalla

pressione esercitata sul paziente. Un terapeuta può accorgersi di un meccanismo di identificazione

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proiettiva in atto quando si rende conto di avere comportamenti che non gli sono abituali. Egli

dovrebbe quindi esaminare attentamente ciò che sta succedendo fra lui ed il paziente. Come il

transfert, anche il controtransfert è inconscio: il terapeuta può quindi arrivare a riconoscerlo solo

attraverso il suo comportamento. L'identificazione proiettiva può coinvolgere la proiezione di

rappresentazioni del sé o di un oggetto. Quando il terapeuta si identifica con il sé si parla di

controtransfert concordante. Se invece si identifica con la rappresentazione di un oggetto, il

fenomeno viene definito controtransfert complementare. (Esempio: il paziente adulto che ha

subito maltrattamenti nell’infanzia. In lui è presente la rappresentazione dell'oggetto che commette

abusi e la rappresentazione del sé come vittima. Nel corso della terapia il terapeuta può sentirsi

come l'oggetto, e diventare violento con il paziente, oppure può sentirsi come una vittima

identificandosi con la rappresentazione del sé, mentre il paziente viene identificato con la

rappresentazione dell'oggetto che perpetra l'abuso.) Per il terapeuta, la sfida è quella di riuscire ad

identificare l'origine dei vari elementi che contribuiscono a generare un particolare contro transfert.

Consideriamo il contenimento come il processo con cui le identificazioni proiettive vengono

metabolizzate: il terapeuta torna ai propri pensieri dopo aver pensato quelli del paziente. Egli non

deve solo resistere all'attacco inconscio del paziente, ma anche tentare di distinguere i contributi

che lui stesso ha apportato da quelli del paziente ed esaminarli nell'insieme, per capire se si sono

ricreate le relazioni oggettuali interne del paziente.

Prima di poter pensare a come gestirlo, il controtransfert dev’essere identificato. Alcuni

comportamenti possono costituire i primi segnali di sentimenti che sono ancora inconsci. Uno dei

primi segni può anche essere un sogno. In ogni caso quando il terapeuta diventa consapevole

dell'esistenza di un controtransfert ha iniziato il processo di contenimento, e quindi l'esame dei

contributi apportati da entrambi i soggetti della terapia. Il terapeuta può quindi scegliere fra diverse

opzioni:

- tollerare il controtransfert: il paziente vuole distruggere il terapeuta, e questi deve sopravvivere

agli attacchi del paziente. Il rapporto tra i due si basa sulla capacità del terapeuta di resistere agli

attacchi. A volte quindi il terapeuta non deve far altro che contenere e comprendere i sentimenti

derivati dal controtransfert. Quando il paziente capisce che l’analista è in grado di tollerare

determinati sentimenti può iniziare un processo di cambiamento. Quando poi reintroietta le

rappresentazioni ed i sentimenti, il paziente può riprenderne possesso senza sentirsi incapace di

tollerarli.

- usare il controtransfert per l'interpretazione: si può utilizzare il controtransfert per formulare

un'interpretazione sul mondo interno del paziente. Infatti, ciò che viene ricreato con il terapeuta

riflette una costellazione presente nel mondo interno del paziente. D'altra parte questa strategia

può rivelarsi controproducente: il terapeuta deve riflettere e scegliere accuratamente il momento

più opportuno per proporre l'interpretazione, poiché l'interpretazione del transfert è un intervento

che può essere sia produttivo che molto rischioso, specialmente con i pazienti più disturbati.

Alcuni pazienti non sono disposti ad accettare un'interpretazione. In questo caso l'interpretazione

può essere accolta come una conferma dell'idea che il terapeuta è un aggressore che vede il

paziente con una vittima. Per questo il terapeuta deve rimandare l'interpretazione del transfert sino

a che il paziente non è in grado di gestirla. Se il terapeuta ed il paziente si trovano in uno spazio

analitico, i significati possono essere esaminati, compresi ed elaborati. La nozione di spazio

analitico deriva dal concetto di Winnicott di spazio potenziale, in cui il paziente & il terapeuta

possono percepire rispettivamente transfert e controtransfert come processi nello stesso tempo

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reali e non reali. In altre parole, nell'esperienza di tutti e due è presente la dimensione del "come

se".

Spesso, quando il lavoro interpretativo viene rimandato alla seduta successiva, si genera un

processo di raffreddamento che permette il ripristino della capacità di entrare in uno spazio

analitico. Entrambi hanno il tempo di elaborare gli intensi sentimenti nei confronti dell'altro e

l'atmosfera può diventare più adatta per portare il paziente a riconoscere che qualcosa di

incongruo è stato proiettato nel terapeuta (cit. Pine: "Batti il ferro quando è freddo").

- usare con cautela forme di self-disclosure: mostrare sentimenti che si sviluppano nel contesto

specifico della terapia può essere un modo molto efficace di aiutare il paziente a capire l'impatto

che ha sugli altri. Questa tecnica deve però essere usata con prudenza e attenzione. Il terapeuta

deve quindi sempre guardare con sospetto ai motivi che lo inducono a rivelare qualcosa di sé,

perché dietro di ciò che appare come un sincero desiderio di dare, possono celarsi impulsi molto

meno nobili. In altre parole il terapeuta deve soppesare con cura qualsiasi forma disvelamento,

perché non può mai essere completamente sicuro di ciò che ha in mente quando decide di rivelare

i suoi sentimenti al paziente. Parlarne prima con un supervisore è in generale una linea di condotta

consigliabile, soprattutto quando il disvelamento viene sollecitato dal paziente con domande

dirette. Certi sentimenti non dovrebbero comunque mai di venire rivelati al paziente, perché

rappresenterebbero per lui un peso non necessario e perché rischierebbero di far collassare lo

spazio analitico.

Tipi di controtransfert:

- il terapeuta Salvatore: tutti vorrebbero riuscire a incidere positivamente sulla vita dei loro pazienti.

La natura di simili fantasie in certi casi non viene riconosciuta dai terapeuti, perché questi desideri

sono in completa sintonia con la visione che hanno di se stessi. I pazienti che annoverano fra le

loro fantasie il desiderio di trovare in un'unica relazione perfetta la soddisfazione di tutti i loro

bisogni possono decidere di iniziare una psicoterapia con la segreta speranza di scoprire nel

terapeuta questa figura del salvatore ideale.

Quando si rendono conto che non tutte le loro fantasie possono essere realizzate, questi pazienti

possono sentirsi disperati e trasmettere al terapeuta all'idea che solo un uomo senza cuore

potrebbe negare loro questa gratificazione. Questo desiderio di essere salvati può d'altronde

combaciare perfettamente con le preesistenti fantasie di un terapeuta che vede se stesso come un

salvatore. Il terapeuta può quindi sentirsi spinto ad assumere concretamente questo ruolo e a

superare i limiti professionali…può per esempio abbracciare paziente, dargli i soldi per fare la

spesa, uscire con lui la sera e ecc. Il modo migliore per gestire queste fantasie è cercare di

identificarle precocemente, prima che si traducano in trasgressioni dei limiti. Spesso le infrazioni

ai limiti del setting terapeutico sono alimentate da un altro tipo di fantasia controtransferale: l'idea

che la mancata gratificazione di desiderio del paziente sia il riflesso di una forma di sadismo da

parte del terapeuta. A lungo termine, tuttavia, alimentare la fantasia può portare ad uno sviluppo di

false speranze che alla fine risulta ancora più deleterio per il paziente. Prima o poi il paziente deve

affrontare il LUTTO per ciò che non ha avuto nell'infanzia e che non può ora ricevere dal

terapeuta.

- il terapeuta annoiato o assonnato: ascoltare tutto il giorno i racconti dei pazienti può essere

faticoso, ma alcuni pazienti tendono più di altri a indurre reazioni di noia e stanchezza. Di fronte a

queste sensazioni i terapeuti spesso si sentono in colpa. Una componente fondamentale della

terapia psicodinamica è però quella di analizzare in maniera non giudicante i propri sentimenti di

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controtransfert che possono aiutare a comprendere significati nascosti. I pazienti possono risultare

noiosi per una serie infinita di ragioni. Alcuni sono noiosi in tutte le situazioni. Altri pazienti sono

invece vivaci, ma nel corso di una particolare seduta diventano noiosi. Come per ogni reazione

controtransferale, il terapeuta dovrebbe cercare di esaminare le sue sensazioni per identificare le

potenziali origini di queste difficoltà. Qualunque sia la causa di queste sensazioni, i terapeuti

dovrebbero resistere all'impulso di colpevolizzarsi e di ingerire quantità spropositate di caffeina.

- controtransfert erotico: il fatto di provare un'attrazione sessuale nei confronti di un determinato

paziente può essere fonte di grande turbamento per un terapeuta. I terapeuti meno esperti

possono proiettare i loro sentimenti sessuali nel paziente, che viene quindi visto come unico

responsabile di tali sentimenti. In altri casi il controtransfert erotico rimane inconscio, ma il

terapeuta nota in se stesso comportamenti che suggeriscono l'esistenza di un particolare interesse

verso un dato paziente. Il controtransfert erotico spesso si traduce nella fantasia di salvare il

paziente, che per il terapeuta risulta molto più accettabile. Lo sviluppo di tali sentimenti può venire

favorito in maniera diretta anche dalle caratteristiche di alcuni pazienti. In alcuni casi è necessario

quindi ricorrere alla supervisione di un collega o considerare la possibilità di invio ad un altro

terapeuta.

- blocco da controtransfert: a molti terapeuti capita prima o poi di sentirsi incapaci di continuare a

svolgere il proprio ruolo professionale a causa delle reazioni che provano nei confronti di un

paziente. Questi momenti di difficoltà si possono presentare nelle circostanze più varie. In alcuni

casi un terapeuta può sentirsi in pericolo. Altri pazienti possono invece avere atteggiamenti così

seduttivi da violare i limiti del setting e rendere estremamente arduo il lavoro terapeutico. La

sensazione di non essere più in grado di svolgere le proprie funzioni può provocare intense

esplosioni di rabbia. I terapeuti dovrebbero sempre tenere presente la possibilità di differire le loro

risposte a queste situazioni, finché non si sentono pronti.

CAP. 9 - RIELABORAZIONE E CONCLUSIONE DELLA TERAPIA

I terapeuti in via di formazione rimangono a volte perplessi di fronte al compito di stabilire quando

una terapia a lungo termine è durata abbastanza. In alcuni casi la fine può essere determinata da

fattori esterni, come il trasferimento in un'altra città. Secondo Freud la rielaborazione è il processo

che alla fine induce i cambiamenti che portano ad una naturale conclusione della terapia. Essa

corrisponde ad un processo attraverso cui pattern caratteristici di difese e relazioni oggettuali

interne emergono ripetutamente in contesti diversi e sono di volta in volta oggetto di

interpretazione, confrontazione e chiarificazione finché il paziente non supera le resistenze ad

accettare la comprensione dell'analista.

Rielaborare significa analizzare le resistenze con costanza attraverso una serie di ripetizioni. La

rielaborazione delle resistenze coinvolge il riconoscimento del fatto che resistenze e difese sono

fenomeni di cui il paziente è responsabile. È importante quindi che il paziente abbia sensazione di

aver un ruolo attivo nel determinare il percorso della propria vita. La rielaborazione prevede inoltre

l'identificazione delle modalità con cui la relazione con il terapeuta riflette relazioni infantili del

passato e del presente. Il triangolo dell’insight ha un ruolo cruciale nel processo sistematico di

rielaborazione delle relazioni problematiche ripetitive. Il terapeuta individua i pattern relazionali

ricorrenti. Il concetto di tema relazionale conflittuale centrale rappresenta un altro modo di

considerare questo processo ripetitivo: le aspettative dei pazienti rispetto alle reazioni degli altri e

le risposte di difesa nei confronti dalle aspettative si presentano sia nella relazione terapeutica sia

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nelle relazioni al di fuori della terapia. Il terapeuta deve riconoscere i pattern e collegarli con

l'esperienza dell'infanzia del paziente.

Il triangolo dell’insight è composto da transfert, dalle relazioni al di fuori del transfert e dalle

relazioni del passato.

Il terapeuta esamina con il paziente il tenace attaccamento ad esperienze avverse e ad oggetti

cattivi del passato. Molto del difficile lavoro di rielaborazione comporterà il fatto di aiutare paziente

a superare il lutto generato dalla perdita di sogni e fantasie irragionevoli che ostacolano il percorso

naturale verso la maturità. La resistenza all'abbandono di queste fantasie può essere intensa, ed il

paziente può combattere con il terapeuta per mantenere la sua visione di come le cose dovrebbero

essere. Accettare il punto di vista del terapeuta è parte stessa del processo di rielaborazione. È

essenziale che pazienti riproducano con il terapeuta certi pattern relazionali che hanno

caratterizzato la loro intera esistenza. Le reti neurali che rappresentano tali relazioni, infatti, si

sviluppano nel corso di una vita, per questo riuscire a modificarle in maniera duratura richiede

molto tempo. In sintesi il terapeuta funziona come un nuovo oggetto che viene interiorizzato dal

paziente ma contemporaneamente deve ricoprire il ruolo di figure problematiche del passato. Uno

scopo dei terapeuti è quindi è quello di aiutare i pazienti a capire le modalità con cui tendono a

ricreare pattern conflittuali di relazioni oggettuali all'interno dello spazio analitico.

È importante quindi operare il passaggio da una prospettiva soggettiva ad una prospettiva in terza

persona: ciò significa che il terapeuta deve validare l'esperienza del paziente ma portarlo anche ad

accettare la propria esperienza come prospettiva esterna. Gradualmente il paziente si impossessa

di ciò che è esterno, integrandolo nella sua prospettiva soggettiva nei pazienti più disturbati il

passaggio da una prospettiva esclusivamente in prima persona ad un punto di vista in terza

persona è associato ad una crescita delle capacità di mentalizzare. Se l'alleanza terapeutica è

forte, il terapeuta può esaminare le differenze tra il suo punto di vista e quelle dei pazienti per

arrivar discutere apertamente di queste differenze. In questo modo si può raggiungere l'equilibrio

che scaturisce da un senso di sicurezza nella nuova relazione di attaccamento. È importante

anche l'accettazione rispetto alle aspettative di cambiamento, per cui il terapeuta deve mostrarsi

disponibile a collaborare per individuare nuovi possibili modi di mettersi in rapporto con gli altri. Ad

alcuni pazienti si può chiedere di elaborare le loro fantasie su quanto credono stia accadendo nella

mente del terapeuta. Un'altra tecnica è quella di focalizzarsi sullo stato della mente del paziente.

Questi interventi promuovono la mentalizzazione, portando il paziente a riconoscersi

nell'esperienza del terapeuta e nello stesso tempo a vedere come la sua percezione degli altri

possa venire influenzata da uno stato emozionale. Con il tempo i pazienti iniziano a capire che il

modo in cui percepiscono la realtà coinvolge rappresentazioni interne che possono essere

esaminate e che hanno un significato specifico.

Ad un certo punto del processo di rielaborazione si può giungere con il paziente ad una situazione

di stallo da cui sembra impossibile uscire. Il terapeuta può dunque iniziare a provare un senso di

scoraggiamento o addirittura contemplare la possibilità di rinunciare a continuare il trattamento.

Bisognerebbe però ricordare che situazioni del genere spesso rivelano semplicemente la necessità

di riesaminare i meccanismi transfert e controtransfert. Quando sembra di essere arrivati un vicolo

cieco, la strategia migliore è quella di considerare la possibilità che transfert e controtransfert

abbiano ricreato le relazioni oggettuali interne del paziente. Se questa eventualità può essere

discussa con il paziente, è possibile che si aprano nuove vie per superare l'ostacolo. Una

tendenza a peggiorare di fronte ad interpretazioni corrette viene indicata come reazione

terapeutica negativa. Freud identificò questo fenomeno osservando che alcuni pazienti

rispondevano all’insight con un inasprimento dei sintomi. La nozione di reazione terapeutica

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negativa può essere applicata a tutte le situazioni in cui il paziente tende a peggiorare nonostante

l'aiuto ricevuto dal terapeuta. Le cause possono essere diverse e devono essere ricercate e

valutate con attenzione in ogni singolo caso. Allo sviluppo di queste reazioni negative spesso

contribuisce anche il terapeuta: il desiderio di aiutare il paziente può agire in maniera sinergica con

il desiderio del paziente di deludere tali aspettative. Quando il paziente vede che contrariamente

alle sue previsioni il terapeuta non sembra avvilito, ciò che almeno in parte lo spinge a resistere

alla terapia viene improvvisamente a mancare. È importante quindi valutare di volta in volta

accuratamente i fattori che possono aver contribuito a determinare lo stallo, riesaminando il ruolo

del trattamento farmacologico e consultando un supervisore.

Raramente la conclusione di una terapia avviene secondo le modalità regolari e ordinate. In una

versione mitologica ideale, terapeuta e paziente un certo punto si trovano d'accordo sul fatto che

gli obiettivi sono stati raggiunti e si sono tradotti in cambiamenti concreti. Questo quadro idilliaco di

reciproca soddisfazione si presenta effettivamente in alcune fortunate occasioni, ma in molti casi

fattori come tempo, denaro, trasferimenti o valutazioni diverse riguardo il raggiungimento degli

obiettivi non permettono una conclusione lineare della terapia. Se la durata del trattamento è

stabilita in anticipo, entrambi lavorano nella consapevolezza dell'esistenza di questi limiti temporali.

Al contrario, in una psicoterapia dinamica senza limiti la decisione di arrivare ad una conclusione

emerge solo quando la sensazione che sia giunto il momento emerge in uno o in entrambi i

membri della diade terapeutica. A volte la fine del trattamento è forzata, determinata dal

trasferimento in un'altra città. In certi casi è unilaterale: uno dei due membri della coppia vuole

porre termine alla terapia, anche se l'altro non è d'accordo. L’esame di tutte queste possibili

situazioni ci fa capire che il processo della conclusione è in genere decisamente più irregolare di

quello che sembra. La fine della terapia può inoltre non essere una vera fine, nel senso che molti

pazienti in seguito ritornano con la richiesta di un ulteriore trattamento. Sarebbe quindi più

appropriato parlare di interruzione piuttosto che di conclusione. Ci sono anche alcuni pazienti che

trovano veramente impossibile porre fine al trattamento. Alcuni possono anche ridurre

progressivamente il numero delle sedute fino ad una ogni tre, sei mesi: finché hanno la certezza di

poter vedere ancora il terapeuta va tutto bene, ma se viene prospettata l'ipotesi di una conclusione

definitiva spesso cadono a pezzi.

La richiesta da parte dei pazienti di porre fine ad una terapia deve essere approfonditamente

esplorata, in particolare per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi stabiliti nelle prime fasi

del trattamento. Nel valutare l'eventuale presenza delle condizioni per una conclusione, bisogna

verificare se il paziente ha interiorizzato in maniera sufficiente il processo terapeutico, tanto da

essere in grado di continuare ad utilizzare autonomamente le modalità di riflessione acquisite con

la terapia. Nella decisione di concludere la terapia possono entrare in gioco anche sentimenti

controtransferali negativi: alcuni pazienti suscitano nel terapeuta reazioni di noia o rabbia. Il

terapeuta può quindi provare un forte senso di sollievo quando questi pazienti manifestano il

desiderio di concludere il trattamento. Nel caso di una psicoterapia di durata prestabilita, alcuni

pazienti possono chiedere di continuare il trattamento e il terapeuta può avere la sensazione di

aver deluso le loro aspettative. I terapeuti dovrebbero però sempre ricordare a se stessi che ogni

paziente ha i suoi tempi per il superamento delle resistenze e la capacità di superare i conflitti di

lunga data. In una certa misura è comunque inevitabile che alla fine il terapeuta deluda i suoi

pazienti: costoro devono arrivare ad accettare l'idea che esistono limiti a ciò che un'altra persona

può fare per gratificare i desideri e bisogni che si sono creati il loro nel corso di una vita.

Quando esiste una scadenza già definita indipendente dalla volontà dei pazienti, ad esempio per il

trasferimento del terapeuta in un'altra città, i pazienti dovrebbero essere informati sin dall'inizio. La

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questione della fine della terapia dovrebbe poi essere periodicamente ripresa per ricordare al

paziente la presenza di un termine improrogabile. Il paziente deve quindi superare il lutto per la

perdita della fantasia di un terapeuta sempre disponibile e affrontare la realtà che tutte le

relazioni sono destinate prima o poi a finire. Molti pazienti turbati dalla fine della terapia trovano

molto difficile parlare con il terapeuta di ciò che provano. Spesso la conclusione della terapia è

associata a un ritorno dei sintomi del paziente, che in parte può essere visto come una forma di

protesta contro una perdita imposta dall'altro. Tuttavia alcuni pazienti non rispondono ad

interpretazioni sul significato dei loro comportamenti: al contrario, un terapeuta che mette

continuamente in collegamento i loro commenti e le loro azioni con la fine della terapia può

rendere la situazione ancora più difficile, perché pazienti reagiranno negando a oltranza l'esistenza

di tali collegamenti. L'idea di perdere una relazione significativa può dunque mettere in difficoltà sia

il paziente che il terapeuta: entrambi possono contribuire quindi ad un processo di diniego della

perdita che può tradursi nel fatto di fissare incontri successivi al fine della terapia o di immaginare

una relazione che continui su basi diverse. Durante il processo di conclusione i terapeuti devono

quindi prestare maggior attenzione al mantenimento dei limiti professionali. A volte i pazienti si

presentano l'ultima seduta con un regalo che il terapeuta può accettare ringraziando, anche

perché non ci sarebbe in ogni caso più tempo per esaminarne il significato. Altri pazienti possono

invece sentire l'impulso di abbracciare il terapeuta al termine della seduta: anche qui il terapeuta

deve considerare che anche se si sottrae all'abbraccio non avrà la possibilità di analizzare in

seguito l'episodio. Infine, alcuni pazienti si informeranno sulla possibilità di riprendere contatto con

il terapeuta in caso di problemi futuri. Il paziente ha quindi bisogno di sapere che la porta è sempre

aperta. L'ipotesi di contatti successivi va comunque scoraggiata quando subentra un nuovo

terapeuta.

A volte il terapeuta si sente costretto a fissare arbitrariamente un termine, perché risulta chiaro che

il paziente non sta utilizzando la terapia in modo produttivo. Definire una scadenza precisa può

essere quindi un modo per portare l'attenzione del paziente su quanto resta da fare e su ciò che

ostacola il processo di conclusione della terapia. Quando viene proposta una conclusione, talvolta i

pazienti reagiscono manifestando sintomi molto gravi: di fronte a questi pazienti il terapeuta

deve considerare la possibilità di mantenere contatti regolari per evitare fenomeni di scompenso.

In certi casi il terapeuta si trova comunque costretto a porre termine alla terapia

indipendentemente dalla volontà del paziente. Ad esempio quando i pazienti non rispettano le

condizioni il trattamento, come per esempio l'astinenza dall'uso di sostanze o la necessità di

evitare ripetute telefonate nel cuore della notte. Un altro motivo che può portare ad una decisione

unilaterale è il rifiuto da parte del paziente di pagare l'onorario pattuito, o di rispettare gli

appuntamenti. Nel caso di un paziente con tendenze suicide, il terapeuta telefonerà per verificare

le sue condizioni. Nel caso in cui paziente non si presenti a più sedute consecutive, il terapeuta

potrà raccogliere informazioni e se fornirà spiegazioni valide, potrà decidere di soprassedere. In

caso contrario potrà inviare una lettera in cui comunicherà la sua decisione di interrompere la

terapia. La lettera può comprendere anche una lista di terapeuti o servizi a cui paziente può

rivolgersi in caso di necessità.

CAP. 10 - LA SUPERVISIONE

La psicoterapia comprende una triade formata da paziente, terapeuta e supervisore. Il terapeuta

scarica il suo materiale con il paziente sul supervisore, attendendosi che esso sia capace di

aiutarlo a gestire situazioni che lo mettono in difficoltà. Il supervisore rappresenta dunque un

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modello con cui identificarsi. La supervisione individuale prevede in genere incontri settimanali,

durante i quali il terapeuta espone quanto sta succedendo con i suoi pazienti. Un buon

supervisore evita di assumere un atteggiamento autoritario e dire al terapeuta esattamente

che cosa deve fare, a meno che non si trovi davanti a errori madornali. Le modalità con cui i dati

vengono presentati al supervisore possono essere varie: registrazioni video o audio, note scritte…

Le riprese delle sedute hanno il vantaggio ovvio di mostrare direttamente le forme di

comunicazione verbale e non verbale tra terapeuta e paziente, consentendo al supervisore di farsi

un'idea più precisa degli atteggiamenti e comportamenti del terapeuta. La videoregistrazione di

una seduta comunque comporta dei problemi, perché modifica le condizioni fondamentali di

riservatezza e intimità in cui normalmente si svolge una psicoterapia. Anche l'impiego di

registrazioni audio può sembrare meno intrusivo, ma in realtà genera problemi simili. Nella

maggior parte dei casi quindi l'uso di note scritte rimane la modalità preferita nella supervisione

della psicoterapia a lungo termine. L'ostacolo principale sono note eccessivamente dettagliate su

quanto viene detto durante la seduta: il timore di poter lasciare dati importanti porta il terapeuta a

stendere resoconti simili a verbali che interferiscono con la capacità di immergersi nelle sue

esperienze terapeutiche. Il terapeuta deve, infatti, soprattutto essere presente con i pazienti e

pronto a percepire e condividere gli stati affettivi che emergono nel contesto della relazione. Per

questo sembra importante redigere note dopo la fine della seduta, riassumendo i più importanti

temi discussi. Una presentazione di questo tipo facilita il lavoro del supervisore, che può

immediatamente focalizzarsi sull'analisi dei problemi identificati al terapeuta. Anche tra terapeuta e

supervisore possiamo parlare di un'alleanza. I supervisori devono assicurare che i pazienti

riceveranno un trattamento adeguato, insegnare ai terapeuti le tecniche fondamentali, valutare le

loro capacità e i loro punti deboli. Tutto ciò può determinare un senso di inibizione, mentre il

supervisore ha il compito di creare un ambiente in cui il terapeuta si senta sicuro. Entrambi

dovrebbero essere comunque espliciti sul loro modo di intendere la supervisione e su come

pensano di poterla usare in maniera efficace. La cosa più difficile è creare un’atmosfera nella quale

il terapeuta si senta libero di rivelare al supervisore tutto quello che succede nel corso di una

terapia. I principianti spesso provano un acuto senso di vulnerabilità mentre raccontano i loro

tentativi di comportarsi come psicoterapeuti e non si sentono affatto sicuri di ciò che stanno

facendo. In molti casi, quindi, la supervisione comporta un certo grado di falsificazione dei dati e

censura sui momenti particolarmente imbarazzanti e la deliberata omissione di alcuni elementi del

processo terapeutico, per cercare l'approvazione del supervisore ed evitare di incorrere nelle sue

critiche. Il supervisore dovrebbe quindi insistere sul fatto che solo parlando apertamente delle

sue perplessità e dei suoi errori il terapeuta potrà usare in maniera davvero efficace il processo

della supervisione. A questo proposito possiamo individuare due assiomi fondamentali che i

terapeuti dovrebbero sempre avere presenti:

1. se stai facendo qualcosa che preferisci nascondere al supervisore, c'è il rischio che tu stia

violando i limiti;

2. gli argomenti più importanti di cui dovresti discutere con un supervisore sono probabilmente

proprio quelli che più desideri evitare.

Anche nella supervisione esistono regole e limiti: molte organizzazioni professionali vietano

relazioni tra terapeuta e supervisore. Il limite più delicato riguarda tuttavia il confine tra trattamento

e insegnamento. Il supervisore deve dunque prestare una particolare attenzione a non superare i

limiti della sua attività di insegnante e supervisore e a non assumere un ruolo di terapeuta nei

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confronti del supervisionato. Supervisore e terapeuta possono discutere apertamente dell'utilità di

includere nel processo di supervisione l'esame del contotransfert, ma rimane arduo delineare in

modo astratto i precisi confini di esso.

Quando nell'alleanza tra terapeuta e supervisore si sia raggiunto un buon livello di fiducia, un role

playing può costituire un modo eccellente per facilitare l'emergere di elementi controtransferali

inconsci.

Vi possono essere tuttavia alcuni problemi comuni nella supervisione:

- il supervisore chiacchierone: alcuni supervisori possono vedere gli incontri con i terapeuti come

un'opportunità per socializzare e chiacchierare invece di aiutarli a risolvere problemi legati ai

pazienti. Alcuni affrontano questa situazione semplicemente iniziando subito a discutere dei loro

pazienti, senza lasciare al supervisore il tempo di intavolare altri discorsi. Se la tattica non

funziona, può essere necessario un intervento di confrontazione, suggerendo al supervisore che si

ha davvero bisogno del suo aiuto con un paziente. Molti terapeuti possono trovare quasi

improponibile la rivendicazione aperta del diritto di ottenere una supervisione adeguata, a causa di

processi di transfert verso una persona affermata che è tenuta a fornire una valutazione sulla loro

capacità. Tuttavia, i supervisori nella maggior parte dei casi riconoscono e rispettano i loro doveri

nei confronti dei terapeuti.

- il supervisore distratto o assonnato: alcuni supervisori lavorano molto; dopo aver lavorato ore ed

ore con i pazienti è quindi possibile che negli incontri di supervisione la loro attenzione si allenti. In

questi casi il terapeuta rimane spesso sconcertato e la reazione più comune è il timore di essere

stato troppo noioso. Può essere quindi utile verificare l'eventualità che questo tipo di situazione sia

il risultato di un processo creato congiuntamente.

- il supervisore che oltrepassa i limiti: non tutti i terapeuti hanno la presenza di spirito necessaria

per porre dei limiti ad un supervisore che non intende rispettarli. Alcuni ad esempio si mostrano

eccessivamente affettuosi od eccessivamente curiosi rispetto alla vita privata del supervisionato. In

tutte le situazioni in cui supervisore oltrepassa i limiti professionali, i terapeuti devono sentirsi liberi

di esprimere apertamente il loro imbarazzo.

- il supervisore autoritario: un supervisore che sembra sempre sapere esattamente quali sono gli

interventi più opportuni può intimorire e scoraggiare il terapeuta. Un supervisore autoritario può

quindi trasmettergli l'idea che tutte le risposte ai suoi problemi si trovino in un preciso modello

teorico che rappresenta la verità assoluta e indiscutibile. Il terapeuta dovrebbe sollevare la

questione e discuterne apertamente, sentendosi libero di agire in maniera flessibile e spontanea

nella situazione terapeutica.

Molti programmi di formazione prevedono che nel corso del loro tirocinio i terapeuti cambino

supervisore spesso, traendo così vantaggio dal fatto di venire esposti a diversi stili di supervisione

e modelli teorici di psicoterapia. Alcuni possono però sviluppare un grande attaccamento nei

confronti del loro supervisore e trovare difficile abbandonarlo al termine del periodo prestabilito.

Egli potrà quindi richiedere una proroga. Il cambiamento e la conseguente possibilità di

apprendere differenti prospettive sulla psicoterapia costituisce comunque una componente

importante del processo di formazione. Anche se il terapeuta ha alle spalle una certa esperienza

deve comunque essere consapevole del fatto che non deve per forza affrontare e risolvere tutti i

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problemi da solo. Il collega consultato è ovviamente tenuto ad osservare gli stessi vincoli del

terapeuta sul segreto professionale. In alcuni casi il terapeuta può tutelare ulteriormente la

confidenzialità del rapporto con il paziente, omettendo nomi o dati specifici che ne rivelano

l'identità.

CAP.11 - COMPETENZE DI BASE NELLA PSICOTERAPIA DINAMICA A LUNGO TERMINE

Dobbiamo cercare di monitorare costantemente le nostre incertezze e insufficienze, lavorando per

porre rimedio ai danni che i nostri errori possono provocare all'alleanza terapeutica. In questo

contesto gli operatori in corso di formazione devono essere valutati in base al loro livello di

preparazione ed esperienza, stimandolo secondo criteri stabiliti dei supervisori o dei responsabili

dei programmi di formazione. La competenza in psicoterapia può essere distinta in tre aree

principali: conoscenze teoriche, capacità ed attitudini. Per “conoscenze teoriche” intendiamo il

fatto che alla fine di un programma di formazione, un terapeuta dovrebbe avere acquisito un

sufficiente livello di conoscenze sugli aspetti della psicoterapia psicodinamica a lungo termine:

teorie fondamentali, funzionamento mentale in corso, transfert, resistenze, controtransfert, idoneità

del paziente, meccanismi di difesa, disturbi psichiatrici, lavoro sui sogni e così via. Per “capacità”

intendiamo l'ascolto empatico dei racconti del paziente, il costruire un'alleanza terapeutica,

prestare attenzione alle forme di comunicazione non verbali, l'identificazione dei meccanismi di

difesa e così via. Per “attitudini” intendiamo componenti molto rilevanti per definire il ruolo

professionale del terapeuta: l'empatia, la curiosità, la ricettività, l'atteggiamento non giudicante, la

sensibilità e l'impegno etico.

Per riuscire a sviluppare conoscenze, capacità e attitudini, un terapeuta ha bisogno di molto più di

un libro di testo: non c'è niente che possa sostituire il tempo passato con i pazienti. Come sistemi

di valutazione possono essere presi in considerazione sia la presentazione scritta dei casi che la

presentazione orale, esami scritti e orali, nonché videoregistrazioni ed osservazione diretta delle

sedute di psicoterapia, audioregistrazioni e supervisione.

Tutti questi mezzi servono valutare conoscenze, capacità ed attitudini che nel loro insieme

definiscono le competenze di base del futuro analista.