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LABORATORIO DI CHIMICA ORGANICA RELAZIONE RIGUARDANTE GLI ESPERIMENTI EFFETTUATI DA
ESPERIMENTO N°1 ‐ ELUIZIONE CON METODO TLC DI SOSTANZE NOTE INTRODUZIONE Con il termine cromatografia viene indicata una serie di tecniche analitiche che permettono la separazione dei componenti chimici di una miscela che si distribuiscono in maniera differente fra due fasi: ‐ Fase Stazionaria (FS) ‐ Fase Mobile (FM) Il diverso comportamento nei confronti delle due fasi permette di caratterizzare le sostanze contenute nella miscela. Ponendo la miscela da separare ad unʹestremità della fase stazionaria e facendo scorrere attraverso essa la fase mobile si ottiene la separazione dei componenti della miscela in funzione delle differenti interazioni (legame ad idrogeno, forze di van der Waals…) tra le due fasi e i componenti. Le iterazioni provocano un rallentamento che è selettivo e caratteristico per ogni sostanza. La fase stazionaria è costituita da un letto attraverso il quale si muove la fase mobile. Con il termine banda si indica la zona di fase stazionaria occupata da uno o più componenti del campione. La fase mobile può essere in fase gassosa (gascromatografia) o in fase liquida. Solitamente la fase mobile è indicata come eluente. Eluizione è il termine che indica lʹoperazione di separazione. La cromatografia in fase liquida può essere ulteriormente suddivisa a seconda della natura della fase stazionaria. Se la fase stazionaria è costituita da un solido adsorbente si parla di cromatografia da assorbimento (LSC Liquid‐Solid Chromatography) che sfrutta la diversa solubilità della miscela da separare nei confronti sia della fase mobile sia stazionaria. In questo caso il solido può essere qualsiasi materiale che sia: ‐ Insolubile nella fase liquida; ‐ Dotato di una notevole capacità assorbente; ‐ non provochi alterazioni nelle sostanze da separare. I liquidi usati come fase mobile devono essere: ‐ Solventi nei confronti della sostanza adsorbita; ‐ Inerti nei confronti della fase stazionaria. Se la fase stazionaria è invece composta da un solvente in fase liquida supportato da una base di solido inerte (gel di silice, allumina…) si parla di cromatografia da ripartizione (LLC Liquid‐Liquid Chromatography) nella quale entrambe le fasi sono allo stato liquido. Il solvente che costituisce la fase mobile (eluente) è immiscibile con la fase stazionaria. I diversi supporti della fase stazionaria (solida) portano alla divisione in due tecniche principali di analisi cromatografia: ‐ Cromatografia su colonna;
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‐ Cromatografia su strato sottile (TLC Thin Layer Crhomatography). Nella cromatografia su strato sottile si sfruttano i principi della cromatografia da assorbimento e da ripartizione. La fase stazionaria è supportata su lastre di vetro, alluminio o plastica inerte ai solventi usati per lʹeluizione. La fase mobile è composta di solidi disciolti in un opportuno solvente. Nelle analisi da noi effettuate con il metodo TLC sono state osservate le diverse iterazioni tra otto sostanze differenti e lʹeluizione di composti presenti in pennarelli colorati di uso comune. Scopo dell’esperimento è di acquisire pratica nell’analisi TLC. Le sostanze da noi utilizzate sono tossiche, bisogna evitare il contatto con esse e l’inalazione prolungata dei vapori (soprattutto dei clorurati). ESECUZIONE Materiale occorrente: 8 provette piccole, lastra TLC 20X20 in gel di silice, capillari, contenitore di vetro richiudibile (camera di sviluppo), carta da filtro. Sostanze analizzate: 1‐ Parabenzochinone, 2‐ Anilina, 3‐ Paracloroanilina, 4‐ Parametossianilina, 5‐ Fenolo, 6‐ β Naftolo, 7‐ Naftalene, 8‐Antracene, x ‐ Pennarelli Solvente utilizzato (per la solubilizzazione delle sostanze) Diclorometano Eluente utilizzato: Etanolo Modalità di esecuzione: Nelle provette si pongono piccoli campioni delle sostanze sopra descritte (ca. 5 mg/1 goccia) e si portano in soluzione con 5 ml. di solvente (diclorometano). Si preparano due lastrine da TLC 10X5 tagliando la lastra. Si deve aver cura di non scalfire i bordi delle lastrine poiché una mancanza della fase stazionaria provocherebbe variazioni nel percorso della fase mobile. Con una matita a punta sottile è tracciata una linea a circa 2,5 cm dal bordo inferiore della lastrina. La linea tracciata costituisce la banda sulla quale sono depositati i campioni per il saggio. In un contenitore di vetro richiudibile ermeticamente vengono versati alcuni ml di eluente (etanolo) e vi si immerge una striscia di carta da filtro in modo da aumentare la superficie dellʹeluente, con conseguente formazione di vapori dellʹeluente stesso. La fase liquida e gassosa devono essere allʹequilibrio, perciò il contenitore viene chiuso per creare un ambiente saturo. Il sistema creato è detto camera di sviluppo. Con un capillare si prelevano piccole quantità delle soluzioni nelle provette e si dispongono, con un leggero tocco, sulla banda della lastrina. Ogni lastrina è utilizzata per quattro campioni. Lʹestremità inferiore è immersa nellʹeluente per essere sviluppata. Occorre mantenere una distanza di qualche cm tra la banda e la superficie dellʹeluente per evitare che i campioni entrino a contatto con il liquido e vi si disperdano.
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Lʹeluente sale per capillarità lungo la lastrina e trascina i campioni formando delle macchie. Quando lʹeluente è giunto a circa un cm dal bordo superiore della lastrina, si toglie dalla camera di sviluppo e si segna con la matita il fronte del solvente. METODI DI CARATTERIZZAZIONE DELLE SOSTANZE Lampada UV: Nella preparazione della fase stazionaria viene aggiunto un indicatore di fluorescenza (silicato di zinco Zn2SiO4 attivato con manganese o indicatore di natura organica) che permette di localizzare sulla lastra le sostanze. La lastrina assorbe i raggi UV rimettendo una fluorescenza verde, le macchie provocate dalle sostanze assumono invece colorazioni differenti. Iodio: La lastrina è posta in un recipiente contenente cristalli di iodio. Lo iodio si accumulerà nei punti in cui sono accumulati i vari composti dando colorazioni dal giallo al marrone. Blue Shift: Il ʺblue shiftʺ (molibdato d’ammonio (NH4)2MoO4) è un rivelatore che permette di individuare molto nettamente le macchie formate sulla lastrina. La lastrina viene immersa completamente nella soluzione gialla. Le macchie assumono colorazione blu. Fattore RF (Rate Flow): Nel caso di cromatografia su strato sottile lo spostamento è espresso come Rf, cioè il rapporto tra la distanza percorsa dalla sostanza rispetto alla distanza percorsa dal solvente. Il fattore Rf è caratteristico di ogni sostanza. Le lastrine sviluppate e lasciate asciugare sono saggiate con i metodi sopra descritti. Inoltre si prova a riscaldare la lastra annotando le variazioni delle macchie a caldo e a freddo. I dati ottenuti dai vari saggi sono i seguenti: 1) Parabenzochinone: SVILUPPO: Macchia circolare di color marroncino dai contorni sfumati LAMPADA UV: Macchia circolare marrone scuro dai contorni sfumati IODIO: Macchia circolare marroncino chiarissimo da contorni indefiniti BLUE SHIFT (a freddo): Macchia più scura BLUE SHIFT (a caldo): Macchia quasi invisibile con sfumature blu FATTORE RF: 0,48 2) Anilina: SVILUPPO: Macchia circolare di color giallino, più chiara al centro e dai contorni
sfumati
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LAMPADA UV: Macchia circolare marrone chiaro sfumata IODIO: Macchia circolare giallo intenso da contorni indefiniti BLUE SHIFT (a freddo): Macchia giallo scuro dai contorni definiti BLUE SHIFT (a caldo): Colorazione più scura FATTORE RF: 0,5 3) Paracloroanilina: SVILUPPO: Macchia circolare di color giallo scuro dai contorni definiti LAMPADA UV: Macchia circolare marrone scuro dai contorni definiti IODIO: Macchia circolare giallo senape da contorni indefiniti BLUE SHIFT (a freddo): Contorni più definiti BLUE SHIFT (a caldo): Colorazione più scura FATTORE RF: 0,47 4) Parametossianilina: SVILUPPO: Macchia marrone a cerchi concentrici. L’esterno più sfumato e chiaro,
lʹintermedio verde scuro più definito, lʹinterno tendente al giallo e più sfumato
LAMPADA UV: Macchia a due cerchi concentrici, interno più scuro IODIO: Macchia circolare marrone scuro dai contorni più definiti BLUE SHIFT (a freddo): Macchia marrone scuro con coda viola BLUE SHIFT (a caldo): Macchia più scura FATTORE RF: 0,42 Foto delle macchie formatisi con i procedimenti eseguiti.
IODIO: Macchia praticamente invisibile BLUE SHIFT (a freddo): Macchia quasi invisibile BLUE SHIFT (a caldo): Nessuna variazione FATTORE RF: 0,55 6) β‐Naftolo: SVILUPPO: Macchia praticamente invisibile LAMPADA UV: Macchia circolare violetta chiaro dai contorni sfumati IODIO: Macchia giallino chiaro dai contorni sfumati BLUE SHIFT (a freddo): Nessuna variazione BLUE SHIFT (a caldo): Macchia blu intenso dai contorni definiti FATTORE RF: 0,65 7) Naftalene: SVILUPPO: Macchia praticamente invisibile LAMPADA UV: Macchia circolare violetta chiaro dai contorni sfumati IODIO: Macchia praticamente invisibile BLUE SHIFT (a freddo): Macchia quasi invisibile BLUE SHIFT (a caldo): Nessuna variazione FATTORE RF: 0,66 8) Antracene: SVILUPPO: Macchia praticamente invisibile LAMPADA UV: Macchia conica violetta dai contorni definiti IODIO: Macchia conica giallina dai contorni sfumati BLUE SHIFT (a freddo): Nessuna variazione BLUE SHIFT (a caldo): Macchia conica azzurra dai contorni sfumati FATTORE RF: NON CALCOLABILE X) Pennarelli: SVILUPPO: I colori eluiti si scompongono a poco a poco. Secondo la loro
composizione avremo bande diverse. (vedi foto) LAMPADA UV: due colori presentano macchie rosa fosforescente (primo e ultimo, la
parte in fucsia nella foto). Da notare che il colore rosso viene trascinato. Questo rivela la presenza di interazioni di non legame (Van der Waals) tra la sostanza e la fase stazionaria.
Foto delle macchie formatisi con procedimenti eseguiti.
- 1 Provetta da 20ml - 1 Portaprovette - 1 Bagnomaria con piastra riscaldante - 1 Bacchetta di vetro - 1 Imbuto di Buchner - 1 carta da filtro (per imbuto) - 1 Beuta da vuoto (con gomma) - 1 Capillare
Solventi utilizzati:
- Acido Benzoico - Acqua distillata
Esecuzione dell’esperimento: Nella provetta inseriamo 120mg di acido benzoico e versiamo 4ml di acqua distillata. Scaldiamo a bagnomaria fino ad ebollizione. Riprendiamo con acqua distillata fino a completa fusione dell’acido. Togliamo la provetta dal bagnomaria e lasciamo raffreddare a temperatura ambiente. Filtriamo i cristalli formatisi meiante l’imbuto Buchner sul quale abbiamo adagiato la carta da filtro opportunamente tagliata. Con il capillare preleviamo parte dell’acido filtrato e seccato e lo poniamo nel misuratore del punto di fusione. Annotiamo il punto di fusione, se questo è più basso di 122,4°C allora bisogna ripetere la cristallizzazione. Osservazioni: A causa della mancanza di tempo non è stato possibile essiccare completamente l’acido, e quindi calcolare la temperatura di fusione di quest’ultimo. Molto probabilmente avremmo notato un
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leggero abbassamento crioscopico dovuto alle impurità catturate in fase di cristallizzazione. La temperatura di fusione si sarebbe comunque aggirata intorno ai 122°C poiché la maggior parte delle impurità è rimasta nell’acqua. Abbiamo eseguito una vera e propria pulizia del cristallo. L’acqua distillata, essendo polare, è un buon solvente per l’acido benzoico, anch’esso polare. ESPERIMENTO N°3 – RICRISTALLIZZAZIONE DEL BIFENILE PURO Strumenti utilizzati:
- 1 Provetta da 20ml - 1 Portaprovette - 1 Bagnomaria con piastra riscaldante - 1 Bacchetta di vetro - 1 Imbuto di Buchner - 1 carta da filtro (per imbuto) - 1 Beuta da vuoto (con gomma) - 1 Capillare
Solventi utilizzati: - Difenile - Cicloesano
Esecuzione dell’esperimento: Nella provetta inseriamo 120mg di difenile e versiamo 4ml di cicloesano. Scaldiamo a bagnomaria fino ad ebollizione. Riprendiamo eventualmente con cicloesano fino a completa fusione del difenile. Togliamo la provetta dal bagnomaria e lasciamo raffreddare a temperatura ambiente. Filtriamo i cristalli formatisi mediante l’imbuto Buchner sul quale abbiamo adagiato la carta da filtro opportunamente tagliata. Con il capillare preleviamo parte del difenile filtrato e seccato e lo poniamo nel misuratore del punto di fusione. Annotiamo il punto di fusione, se questo è più basso di 69°C allora bisogna ripetere la cristallizzazione. Osservazioni: A causa della mancanza di tempo non è stato possibile essiccare completamente il bifenile, e quindi calcolare la temperatura di fusione di quest’ultimo. Molto probabilmente avremmo denotato un leggero abbassamento crioscopico dovuto alle impurità catturate in fase di cristallizzazione. La temperatura di fusione si sarebbe comunque aggirata intorno ai 69°C poiché la maggior parte delle impurità è rimasta nell’acqua. Abbiamo eseguito una vera e propria pulizia del cristallo. Il cicloesano, apolare, è un buon solvente per il difenile anch’esso apolare. ESPERIMENTO N°4 – SINTESI DELL’ACETANILIDE Strumenti utilizzati:
- 1 pipetta tarata da 10ml - 1 beuta da 250ml - 1 bagno di ghiaccio
Esecuzione dell’esperimento: Preleviamo 4ml d’anilina con la pipetta tarata e li versiamo nella beuta. Aggiungiamo 30ml d’acqua distillata. Agitando la beuta aggiungiamo esattamente 5ml d’anidride acetica in aliquote di 1ml ciascuna. Annotiamo cosa accade durante la formazione d’acetanilide. Ricristallizziamo l’acetanilide immergendo la beuta nel bagno di ghiaccio. A precipitazione completata filtriamo i cristalli all’aria depositandoli sulla carta da filtro e calcoliamo il punto di fusione. Osservazioni: L’anidride acetica va versata in aliquote da 1 ml per un motivo molto semplice: l’anilina e l’acqua sono composti polari mentre l’anidride acetica non lo è, o lo è molto meno. Per questo appena versato il primo millilitro di anidride acetica nella beuta contenente anilina e acqua, si sono formate grosse gocce di anidride acetica che difficilmente avrebbero reagito con l’anilina se non avessimo creato un’emulsione agitando la beuta stessa. Se avessimo versato subito tutti e cinque i millilitri l’operazione sarebbe stata ancor più difficoltosa. Agitando abbiamo aumentato la superficie di contatto tra l’anilina e l’anidride, accelerando la reazione. Man mano che questa avviene la soluzione diviene sempre più densa e biancastra. Dopo aver filtrato l’acetanilide notiamo che il cristallo è di colore bianco beige. Inserito il campione nella macchina per calcolarne il punto di fusione, notiamo che si aggira intorno ai 115°C. Anidride acetica: + Anilina◊ Acetanilide +Acido Acetico
SAGGI DI RICONOSCIMENTO DI DIFFERENTI GRUPPI FUNZIONALI
ESPERIMENTO N°5 – RICONOSCIMENTO DEGLI ALCOLI INTRODUZIONE Il saggio impiegato per il riconoscimento degli alcoli (primari, secondari e terziari) è noto come saggio di Lucas e consiste nella seguente reazione:
HH
H
HH
H
O
O
O
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R‐OH + HCl ◊ R‐Cl + H₂O
La velocità di questa reazione dipende dalla struttura dell’alcol. ¬ Gli alcoli terziari R₃C‐OH reagiscono molto rapidamente tanto che l’alogenuro alchilico (R‐Cl) corrispondente si forma già a temperatura ambiente in pochi minuti. La reazione è una sostituzione nucleofila monomolecolare: l’ingombro sterico è ininfluente poiché l’attacco avviene sull’atomo di carbonio del carbocatione caricato positivamente, che è ibridato sp³ e quindi planare. A causa di questa caratteristica l’attacco può avvenire da entrambe le direzioni perpendicolari al piano del carbocatione: se l’atomo di carbonio legato al gruppo OH aveva tre diversi sostituenti, ed era quindi chirale, allora come prodotto della reazione avremo una miscela quasi del tutto racemizzata con una percentuale leggermente maggiore dell’enantiomero avente configurazione invertita. E’ una reazione del primo ordine e di conseguenza la velocità dipende esclusivamente dalla concentrazione dell’alcol terziario. In questa reazione il gruppo uscente dal carbocatione è l’acqua, uno dei due prodotti.
¬ Gli alcoli secondari R₂CH‐OH sono invece meno reattivi e necessitano di una base di Lewis, come per esempio ZnCl₂: l’acido è in grado di formare un legame con il doppietto elettronico dell’ossigeno alcolico. Così facendo induce una carica positiva a quest’ultimo e a sua volta parzialmente all’atomo di carbonio che può essere più facilmente attaccato dal nucleofilo. In questo caso è una sostituzione nucleofila bimolecolare (Sn2): l’entrata del nucleofilo e l’uscita del gruppo OH legato all’acido, avvengono contemporaneamente. La velocità di reazione dipende da entrambi i reagenti ed è quindi una reazione di secondo ordine. Se i due sostituenti dell’alcol sono diversi tra loro allora la reazione comporta un’inversione della configurazione rispetto all’atomo di carbonio, anche in questo caso chirale, legato al gruppo OH. L’utilizzo della base di Lewis è giustificato dal fatto che essa riesce a trasformare il cattivo gruppo uscente OH‾
CR'
R''R'''
OH ClH HO
HCR'
R''R'''
HO
HC
R'R''
R'''CR'
R''R'''
O HH
CR'
R''R'''
Cl CR'
R''R'''
Cl
CR'
ClR'''
R''
++
++ +
+ +
CR'
R''H
OH ClH HO
ZnCl2CR'
R''H
CR'
ClH
R'' HOZnCl2-ZnCl2+
++
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con il buon gruppo uscente HOZnCl₂‾.
¬ Gli alcoli primari RCH₂‐OH, meno basici, hanno il doppietto dell’ossigeno meno disponibile e, a temperatura ambiente, non reagiscono neanche col supporto dell’acido di Lewis. La reazione può avvenire solo per riscaldamento. La reazione potrebbe essere anche in questo caso di tipo Sn2: è deducibile poiché siamo in ambiente acido e a temperature non molto elevate (in ambiente basico e a temperature elevate avremmo potuto avere una reazione di eliminazione bimolecolare), inoltre il basso ingombro sterico degli alcoli primari favorisce questo tipo di reazione.
Preparazione del reattivo di Lucas: Il reattivo è composto da acido cloridrico concentrato e Cloruro di zinco. Questi sono miscelati in quantità equimolari usando HCl concentrato al 36%. Pesiamo 50gr di ZnCl₂ e aggiungiamo 39gr di HCl conc. Alcoli terziari: In una provetta introduciamo 0,2ml di ter‐butanolo che successivamente misceliamo a 2ml di reattivo. Dopo poco notiamo che la soluzione diviene opaca (2) e dopo pochi minuti osserviamo la separazione delle due fasi, una di H₂O e una di cloruro di ter‐butile. Eʹ stata effettuata una prova anche con HCl puro (1) al posto del reattivo: la reazione avviene più lentamente. Dopo pochi minuti notiamo un progressivo intorpidimento e successiva separazione delle fasi.
Saggi effettuati
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Alcoli secondari: In un’altra provetta introduciamo 0,2ml di sec‐butanolo successivamente miscelato a 2ml di reattivo. Dopo due minuti osserviamo l’intorpidimento della soluzione, più biancastro rispetto al precedente (3), e dopo una ventina di minuti avviene la separazione delle fasi. Alcoli primari: In un’altra provetta introduciamo 0,2ml di n‐butanolo seguito da 2ml di reattivo di Lucas. La provetta è posta a bagnomaria sopra una piastra riscaldante a 50°C. La reazione sembra non avvenire neanche a bagnomaria indica il fatto che a temperatura ambiente il reattivo si sia mescolato all’alcol senza reagire è indice che questo era un alcol primario.
ESPERIMENTO N°6 ‐ RICONOSCIMENTO DEI FENOLI INTRODUZIONE I fenoli possono essere riconosciuti attraverso la reazione di formazione dei coloranti azoici (copulazione con sali di diazonio di ammine aromatiche primarie). L’esperimento dev’essere effettuato sotto cappa. La reazione che avviene è la seguente:
ArN2 Cl- ArN NArOH+ +
Questa reazione avviene in ambiente leggermente alcalino e forma precipitati intensamente colorati (coloranti azoici). ESECUZIONE DEL SAGGIO Materiale utilizzato:
- 1 bagno di ghiaccio - 3 provette - 1 foglio di carta da filtro - 1 pipetta pasteur
Composti utilizzati:
- Anilina - Acido cloridrico concentrato - Soluzione acquosa di NaNO₂ (0,5gr in 2,5ml di acqua) - Fenolo - Soluzione acquosa di NaOH (1%) - Acqua distillata
Riscaldamento a bagnomaria
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Preparazione del cloruro di bendiazonio: In una provetta diluiamo 1,5ml di HCl conc. con 2,5ml di H₂O. In una seconda provetta versiamo 0,5ml di anilina. Versiamo il contenuto della prima nella seconda, miscelando così le due soluzioni. Poniamo la provetta contenente il tutto nel bagno di ghiaccio. Dopo pochi minuti (il tempo di raffreddare la soluzione) versiamo nella provetta a goccia a goccia i 2,5ml della soluzione acquosa di NaNO₂.
Preparazione dei fenati: In una terza provetta sciogliamo 0,2gr di fenolo in 2,5ml della soluzione acquosa di NaOH (1%). Reazione: Bagniamo il foglio di carta da filtro con questa soluzione e versiamo successivamente goccia a goccia la prima soluzione. Osserviamo e annotiamo. Osservazioni:
Dove cadono le gocce della soluzione contenente il sale di arendiazonio (in questo caso cloruro di bendiazonio) la carta da filtro si colora di un arancio intenso (vedi foto) per formazione dell’azocomposto. La preparazione dei fenati avviene anche in ambiente leggermente basico grazie all’elevata acidità rispetto ai corrispondenti cicloesanoli; i fenati sono, infatti, più stabili dei cicloesanati poiché la carica negativa è delocalizzata per risonanza su tutto l’anello aromatico. L’equilibrio di acidità del fenolo, confrontato con l’equilibrio del cicloesanolo, è più spostato verso la dissociazione. La reazione per la formazione del sale di diazonio è la seguente:
Il cloruro di bendiazonio così formato reagisce poi con lo ione fenato attraverso quest’altra reazione:
N N+
Cl OHN N
O
H+ ClH+ + + +
ESPERIMENTO N°7 ‐ RICONOSCIMENTO DELLE AMMINE
Preparazione cloruro di bendiazonio
Bendiazonio
NH2
ClH HNO2N N Cl
-H 2O2+ +
+ + +
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INTRODUZIONE Anche nel seguente saggio la prova va eseguita sotto cappa e con guanti di protezione. ¬ Ammine aromatiche primarie: la loro reazione caratteristica è quella che da i sali di diazonio corrispondenti facendole reagire con acido nitroso:
ArNH2NaNO2
ClH
0-5°CArN2 Cl
+
I sali di diazonio sono elettrofili deboli e possono dare reazioni di sostituzione del gruppo diazo con perdita di N₂. Possono dare inoltre reazioni di copulazione con fenoli (come già affrontato nel saggio precedente) od ammine.
¬ Ammine alifatiche primarie: agiscono con acido nitroso ma, a differenza delle aromatiche i loro sali di diazonio non sono stabili:
La stabilità del sale di diazonio è tanto maggiore quanto minore è la stabilità del carbocatione R+. I sali di diazonio alifatici sono meno stabili di quelli aromatici in quanto il carbocatione alifatico risulta essere molto più stabile del carbocatione arilico. Mentre i secondi sono più stabili e facilmente trattabili a temperature tra 0 e 5°C, i primi decompongono molto più facilmente liberando azoto molecolare e dando prodotti di sostituzione, eliminazione e riarrangiamento quali alcoli, cloruri alchilici ed alcheni:
ESECUZIONE DEL SAGGIO Materiale utilizzato:
- 1 bagno di ghiaccio e sale - 2 provette - 1 bagnomaria - 1 pipetta pasteur
Sostanze utilizzate:
- Anilina
R N+
N R+
N N+
NH2CH2
CH3 CH2 HNO2
-N2
OH2 CH2
CH3 CH2
OH OHCH3CH3 C
HCH2CH3 CH
NN+
CH2
CH3 CH2
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- N‐butilammina - Acido cloridrico concentrato - Acqua distillata - Soluzione acquosa di NaNO₂ (0,5gr in 2,5ml di acqua)
Modalità di esecuzione: ¬ Ammine aromatiche primarie: Poniamo 0,5ml di anilina in una provetta e la trattiamo con una soluzione di HCl diluito (1,5ml di HCl più 2,5ml di H₂O). Raffreddiamo la miscela in un bagno di ghiaccio e sale ad una temperatura tra 0 e 5°C. In un’altra provetta prepariamo una soluzione di NaNO₂ (0,5gr in 2,5ml di H₂O) e raffreddiamo anche questa ponendola nel bagno di ghiaccio e sale. Versiamo a goccia a goccia il contenuto della seconda provetta nella prima (NaNO₂ in anilina più HCl). Lasciamo riposare 4‐5 minuti tenendo la provetta nel bagno di ghiaccio. Successivamente dividiamo in due aliquote la soluzione di sale di diazonio così ottenuta. Scaldiamo la prima aliquota a bagnomaria. Il sale di diazonio si decompone per formare il fenolo. Trattiamo la seconda aliquota come nell’esperimento precedente per dare la formazione dello stesso azocomposto.
¬ Ammine alifatiche primarie: la modalità di esecuzione è la stessa, ma in questo caso non è necessario scaldare a bagnomaria, già a freddo osserviamo la formazione di N₂. Ne favoriamo la formazione attraverso un blando riscaldamento.
Osservazioni: La reazione effettuata per la formazione del sale è la stessa che abbiamo usato nel saggio per il riconoscimento dei fenoli:
Scaldando abbiamo liberazione di N₂ e formazione del carbocatione arilico (instabile) che legandosi agli ioni OH‾ dà il fenolo:
N N+
Cl-
H 2O N N OH ClH+ + ++
NH2
ClH HNO2N N Cl
-H 2O2+ +
+ + +
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Si nota lo sviluppo di vapori di N₂ e si osserva la separazione di due fasi. Riconosciamo la formazione del fenolo dall’odore caratteristico. La seconda aliquota è stata invece trattata con una soluzione acquosa leggermente basica contenente i fenati: bagnata la carta da filtro con quest’ultima versiamo la soluzione del sale di bendiazonio goccia a goccia
osservando la colorazione rosso intenso formatasi. La reazione è la seguente:
Se prima la colorazione era indice della presenza di fenoli ora è indice della presenza del sale di bendiazonio derivante dall’ammina aromatica.
NN+
CH2
CH3 CH2
CH2+
CH3 CH2
NN+
ESPERIMENTO N°8 ‐ RICONOSCIMENTO DELLE ALDEIDI INTRODUZIONE La reazione caratteristica per questo saggio è detta anche reazione di Tollens ed avviene sia con le aldeidi aromatiche che con le alifatiche. Bisogna fare molta attenzione: alla fine dell’esperimento bisogna diluire accuratamente il residuo ed eliminarlo. Questo perché portando a secchezza potrebbe crearsi il fulminato d’argento (CNOAg), molto sensibile agli urti ed esplosivo, ma anche lʹargento ammide (AgNH₂) e il nitruro dʹargento (Ag₃N) a loro volta esplosivi. ESECUZIONE DEL SAGGIO Materiale utilizzato:
Sostanze utilizzate: - Soluzione al 5% di AgNO₃ - Soluzione al 10% di NaOH - Soluzione al 1% di NH₃ - Benzaldeide
Modalità di esecuzione: Preparazione del reattivo di Tollens:
Formazione Fenolo
Bendiazonio
N N+
Cl OHN N
O
H+ ClH+ + + +
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Il reattivo deve essere sempre preparato al momento dell’uso. In una provetta poniamo 1ml di soluzione al 5% di AgNO₃. Aggiungiamo a goccia a goccia la soluzione al 10% di NaOH fino a quando non si forma un precipitato di nitrato d’argento. Solubilizziamo il nitrato d’argento versando a goccia a goccia la soluzione al 1% di NH₃. Otteniamo così il complesso solubile di nitrato d’argento ammoniacale.
Reazione: La benzaldeide è posta in una provetta e trattata con qualche goccia del reattivo di Tollens. Si ha rapida separazione di argento metallico che aderendo alle pareti della provetta forma uno specchio. La formazione di argento metallico è indice della presenza dell’aldeide. Osservazioni: Le reazioni riguardanti la formazione del reattivo di tollens sono le seguenti:
1) 2)
Introducendo a goccia a goccia NaOH nella soluzione di AgNO₃ mettiamo a contatto tra loro gli ioni Ag+ e OH ‾. Si instaura l’equilibrio 1) per dare la formazione di ossido di argento solido in sospensione. Inserendo anche la soluzione di ammoniaca instauriamo un secondo equilibrio (2). Questo contribuisce alla dissoluzione della sospensione di ossido di argento sottraendo al primo equilibrio gli ioni Ag+ e formando il complesso ammoniacale d’argento [Ag(NH₃)₂]+ solubile. La soluzione sarà quindi composta da questi cationi (in maggior parte quelli del complesso ammoniacale e in minor parte quelli d’argento) più l’anione NO₃‾. Non sempre questo test va a buon fine poiché un eccesso di ammoniaca spesso ne compromette la riuscita: l’argento non precipita continuando a complessarsi fino ad ottenere il complesso stabile [Ag(NH3)4]+, molto solubile. Quando la reazione avviene è di questo tipo:
R HCO
2 Ag(NH3)2 3 OH RCOO -2 Ag 4NH3 OH22+
++ + + +
E’ una reazione di ossidoriduzione. L’argento si riduce da +1 a 0, ossidando il gruppo carbonilico delle aldeidi. Nel nostro caso:
Argento metallico
Sospensione d’ossido d’argento
2 Ag+
2 OH Ag2O OH2
Ag+
2 NH3 Ag(NH3)2
+ +
+ +
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HC O
2 Ag(NH3)2 3 OH 2 Ag 4NH3 OH22
OC O
++
+ + + +
ESPERIMENTO N°9 ‐ RICONOSCIMENTO DEI CHETONI INTRODUZIONE Il seguente saggio è anche chiamato saggio dello iodoformio. La reazione è caratteristica di composti aventi gruppi metilici adiacenti alla funzione carbonilica, ed è quindi positiva per i metilchetoni. In presenza di una base il chetone reagisce con un alogeno dando una reazione di α‐alogenazione, trattando un metilchetone possiamo avere la completa sostituzione in α di 3 atomi di idrogeno con 3 atomi di alogeno, formando così un 1,1,1‐trialogenochetone. Questo composto reagisce con un equivalente di base per formare il sale dell’acido carbossilico corrispondente ed un trialometano:
C CH3RO
I2NaOH
C CRO
II
I
OH C ORO
H CI
II
+
E’ anche questa una reazione di ossidoriduzione. Lo iodio si riduce da 0 a –1 ossidando il gruppo carbonilico. Il sale dell’acido carbossilico può essere trasformato nell’acido per trattamento con HCl diluito. ESECUZIONE DEL SAGGIO Materiale utilizzato:
- 1 provetta - 1 bagnomaria
Sostanze utilizzate:
- Soluzione di I₂‐KI - Acetone - Soluzione al 10% di NaOH - Acqua distillata
Modalità di esecuzione: Dopo aver messo 1ml di acetone in una provetta versiamo all’interno di questa 5ml della soluzione 10% di NaOH. Introduciamo il reattivo I₂‐KI a goccia a goccia fino ad ottenere la persistente colorazione bruna dello iodio. Si nota la formazione di un solido giallino (qualora non dovesse vedersi, porre la provetta a bagnomaria qualche minuto e aggiungere I₂‐KI se il colore bruno
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scompare; il colore bruno deve mantenersi per almeno due minuti). Eliminiamo l’eccesso di iodio aggiungendo qualche goccia di NaOH 10%. Diluiamo la soluzione con acqua distillata e lasciamo a riposo. Separiamo e calcoliamo il punto di fusione. Osservazioni: Come si può notare dalle reazioni sotto descritte l’aggiunta di NaOH elimina lo iodio in eccesso spostando l’equilibrio verso la formazione del trialogenochetone e di conseguenza anche dello iodoformio. La soluzione contenente lo iodoformio è di un color giallino pallido e il precipitato è giallo. Lo iodoformio ha una temperatura di fusione tra i 119 e i 121°C. Se al posto dell’acetone usiamo l’acetofenone (immiscibile con NaOH) bisogna preventivamente mescolarlo a diossano fino ad ottenere una soluzione omogenea. Il diossano, avendo una polarità più vicina all’acetofenone dell’ NaOH funge da fase intermedia ponendo a contatto i due.
ARANCIO II (ARANCIO ß‐NAFTOLO) Strumenti utilizzati:
- 1 Becher da 600 cc - 1 Bagno di ghiaccio - 1 Pompa, buchner, beuta da vuoto - 1 Termometro ‐10 +100 - 1 Gocciolatore 250 cc - 1 Cilindro graduato 100/250 cc - 1 Beuta 250 cc
Modalità di esecuzione: Parte prima: preparazione del Diabenzen‐solfonato Nella beuta da 250 ml poniamo 2,6 g di acido solfanilico, 0,8 g di carbonato di sodio anidro e 50 ml di acqua. Si scalda leggermente la soluzione fino a che non sia limpida. Poniamo la soluzione in un bagno a ghiaccio e aggiungiamo una soluzione 1,1 g di nitrito di sodio in 10 ml di acqua. In un becher da 600 ml si prepara del ghiaccio tritato e 3 ml di acido cloridrico concentrato. Versiamo la soluzione precedente nel becher, lentamente e agitando di continuo. Dopo 15 min circa si saggia la soluzione per verificare la presenza di acido nitroso libero. Si utilizza una cartina con ioduro di potassio e salda d’amido che rileva la presenza di ossigeno in soluzione. Per eliminare l’eccesso di acido nitroso aggiungiamo piccole quantità di urea. Si formano dei cristalli di diazobenzen‐solfonato: questi non sono filtrati poiché saranno disciolti nelle fasi di preparazione successive. Parte seconda: cristallizzazione dell’Arancio ß‐Naftolo In un becher da 600 cc prepariamo 2,2 g di ß‐Naftolo disciolti in una soluzione contenente 1,3 g di idrossido di sodio. Raffreddare a 5°C e versare agitando la sospensione ben mescolata di acido solfanilico di azotato, precedentemente preparata. Avviene una reazione di copulazione e quasi subito si separa il colorante in pasta cristallina. Dopo aver agitato bene per almeno 10 minuti si scalda la miscela finchè tutta la parte solida si sia sciolta. Per diminuire la solubilità del prodotto di reazione si aggiungono 10 g di cloruro di sodio, scaldando per scioglierlo completamente.
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Lasciar raffreddare all’aria la soluzione per un’ora e immergere in bagno a ghiaccio fino a completa cristallizzazione. Il prodotto viene isolato sull’imbuto Buchner applicando un leggero vuoto. Lavare con una soluzione satura di sale e seccare a 80°C. Sciogliamo la sostanza grezza nel minimo volume di acqua bollente e lasciamo raffreddare fino a 80°C, aggiungendo successivamente alcol etilico 2:1 in volume: in questo modo si ottiene la cristallizzazione dell’arancio II. Quando la soluzione è fredda si filtra alla pompa, lavando il colorante puro sotto forma di diidrato con un po’ di alcol e lasciando seccare all’aria. Colorazione di un filo di lana: Utilizziamo il colorante sciolto in acqua bollente per colorare un filo di lana. Il filo di lana bianco è immerso nella soluzione, agitando di tanto in tanto. Si lava poi il filo colorato sotto acqua corrente per eliminare l’eccesso di colorante: il risultato è visibile nell’immagine. Aumentando o diminuendo la concentrazione di colorante in acqua è possibile ottenere colorazioni più o meno intense. Osservazioni: Le reazioni:
NH3+
O3S-
NaHCO3
NH2
O3S-Na
+H2CO3
NH2
O3S-
NaNO2N
O3S
N+
-
ClH
Cl
Na+
OH2
N
O3S
N+ OH O
NN
NaO3S
H
-
++
+
Filo di lana colorato
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La colorazione della lana avviene grazie ai legami ad idrogeno che si instaurano tra gli H del colorante e gli O della lana (e viceversa) in questo modo: