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PARTE PRIMA: DIRITTO PENALE E LEGGE PENALE. CAPITOLO I Caratteristiche e funzioni del diritto penale 1. PREMESSA Diritto penale: parte del diritto pubblico che disciplina i fatti costituenti di reato. Reato: sotto il punto di vista giuridico formale è definito come ogni fatto umano alla cui realizzazione la legge riconnette sanzioni penali. Sanzione penale: lo sono la pena e la misura di sicurezza. Entrambe tendono a difendere la società dal delitto e a risocializzare il delinquente. Leggi penali: riconnettono sanzioni penali alla commissione di determinati fatti. Reato, pena e misura di sicurezza costituiscono i tre pilastri su cui poggia l’edificio del moderno diritto penale. Il reato ruota intorno a tre principi cardine (secondo la concezione liberal- democratica): - cogitationis poena nemo patitur: non vi può essere reato se la volontà criminosa non si materializza in un comportamento esterno; - principio di necessaria offensività o lesività: posto che il diritto penale trova legittimazione solo nella tutela dei beni socialmente rilevanti, ai fini della sussistenza di reato, occorre che vi sia lesione di tali beni giuridici; - principio di colpevolezza: un fatto materiale lesivo di beni giuridici può essere attribuito all’autore solo se gli si possa muovere un rimprovero per averlo commesso. La necessità di ricorrere al diritto penale come strumento di tutela, è data dal fatto che i mezzi di tutela predisposti dagli altri settori dell’ordinamento spesso non sono sufficienti a prevenire la commissione di eventi socialmente dannosiè necessario impedirli in vista di una pacifica convivenza. La pena detentiva risulta, in alcuni casi, inevitabile al fine di scoraggiare le azioni dannose provocate da coloro che, con la sola condanna al risarcimento pecuniario, non le avvertirebbero. Attitudine preventiva del diritto penale : la minaccia della sanzione penale, tende a distogliere la generalità dei consociati dal commettere reati (prevenzione generale). In un secondo momento la concreta inflizione della pena cerca di non fare commettere più un determinato reato, a chi l’ha commesso (prevenzione speciale). Per quanto riguarda la pena detentiva essa funge da arma a doppio taglio, tutela dei beni giuridici attuata mediante la lesione degli stessi. Tale pena deve essere utilizzata nel modo più ponderato possibile e quindi circoscritto alla difesa dei beni fondamentali della vita in comune. 2. FUNZIONI DI TUTELA DEL DIRITTO PENALE: LA PROTEZIONE DEI BENI GIURIDICI Il bene giuridico si definisce, in modo generico, come un bene socialmente rilevante e meritevole di tutela. In questo contesto, comunque, resta fondamentale la capacità selettiva del legislatore, al momento di procedere con le scelte di tutela. Il b.g. ha un carattere dinamico”unità di funzione”: si considera b.g. un determinato interesse che raggiunge uno scopo utile per il sistema 1
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DIRITTO PENALE - PARTE GENERALE

Jan 12, 2023

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Enrico Stalio
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Page 1: DIRITTO PENALE - PARTE GENERALE

PARTE PRIMA: DIRITTO PENALE E LEGGE PENALE.

CAPITOLO ICaratteristiche e funzioni del diritto penale

1. PREMESSADiritto penale: parte del diritto pubblico che disciplina i fatti costituentidi reato. Reato: sotto il punto di vista giuridico formale è definito come ogni fattoumano alla cui realizzazione la legge riconnette sanzioni penali. Sanzione penale: lo sono la pena e la misura di sicurezza. Entrambe tendono adifendere la società dal delitto e a risocializzare il delinquente. Leggi penali: riconnettono sanzioni penali alla commissione di determinatifatti.Reato, pena e misura di sicurezza costituiscono i tre pilastri su cui poggial’edificio del moderno diritto penale.Il reato ruota intorno a tre principi cardine (secondo la concezione liberal-democratica):- cogitationis poena nemo patitur: non vi può essere reato se la volontà

criminosa non si materializza in un comportamento esterno;- principio di necessaria offensività o lesività: posto che il diritto

penale trova legittimazione solo nella tutela dei beni socialmenterilevanti, ai fini della sussistenza di reato, occorre che vi sia lesionedi tali beni giuridici;

- principio di colpevolezza: un fatto materiale lesivo di beni giuridici puòessere attribuito all’autore solo se gli si possa muovere un rimproveroper averlo commesso.

La necessità di ricorrere al diritto penale come strumento di tutela, è datadal fatto che i mezzi di tutela predisposti dagli altri settoridell’ordinamento spesso non sono sufficienti a prevenire la commissione dieventi socialmente dannosiè necessario impedirli in vista di una pacificaconvivenza. La pena detentiva risulta, in alcuni casi, inevitabile al fine discoraggiare le azioni dannose provocate da coloro che, con la sola condannaal risarcimento pecuniario, non le avvertirebbero. Attitudine preventiva del diritto penale: la minaccia della sanzione penale,tende a distogliere la generalità dei consociati dal commettere reati(prevenzione generale). In un secondo momento la concreta inflizione dellapena cerca di non fare commettere più un determinato reato, a chi l’hacommesso (prevenzione speciale). Per quanto riguarda la pena detentiva essafunge da arma a doppio taglio, tutela dei beni giuridici attuata mediante lalesione degli stessi. Tale pena deve essere utilizzata nel modo più ponderatopossibile e quindi circoscritto alla difesa dei beni fondamentali della vitain comune.

2. FUNZIONI DI TUTELA DEL DIRITTO PENALE: LA PROTEZIONE DEI BENI GIURIDICIIl bene giuridico si definisce, in modo generico, come un bene socialmenterilevante e meritevole di tutela. In questo contesto, comunque, restafondamentale la capacità selettiva del legislatore, al momento diprocedere con le scelte di tutela. Il b.g. ha un carattere dinamico”unità di funzione”: si considera b.g.un determinato interesse che raggiunge uno scopo utile per il sistema

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sociale. La determinazione dei contenuti oggetto di tutela penale, non puòcomunque prescindere da un aggancio ai valori costituzionali. VARIE CONCEZIONI DI BENE GIURIDICOConcezione illuminista: prevede razionalità strumentaleprotezione diquei beni dalla cui tutela dipende una convivenza pacifica. Si incontraanche un limite, che è quello della stretta necessità: il ricorso allasanzione punitiva in casi di tutela di beni secondari, sarebbesproporzionato per eccessoin questi casi si dovrebbero utilizzaretecniche di carattere extrapenale. Si crea una divaricazione dellaconcezione teorica tra diritto penale e realtà dell’ordinamento. Ladifficoltà resta quella di determinare il bene oggetto di tutela penale. Concezione secondo Birnbaum: si basa sulla critica della concezioneilluminista del reato come violazione del diritto soggettivo. Laconcezione precedente non è idonea a spiegare la punizione di fatti lesividi beni considerati di particolare rango, anche se non riconducibili alparadigma del diritto soggettivo. Concezione di Franz v. Liszt: è basata su interessi preesistenti allavalutazione del legislatoreidonei a garantire la corrispondenza trarealtà sociale e disciplina normativa. Concezione di Arturo Rocco: riguarda sempre l’oggetto del reato e dellatutela giuridica penale, introdotto in Italia nel 1913 da Rocco. Egli siorienta di più sul diritto positivo e al contrario delle concezioniprecedenti, la determinazione del concetto di bene giuridico non puòprescindere dalle valutazioni normative già compiute dal legislatore. Aegli risale la triplice tripartizione tra:

- oggetto giuridico formalediritto dello Stato all’obbedienza alle proprienorme da parte dei cittadini;

- oggetto giuridico sostanziale genericointeresse dello Stato allasicurezza della propria esistenza e soddisfazione;

- oggetto giuridico sostanziale specificobene o interesse di pertinenzadel soggetto passivo del reato.Concezione metodologica: muove da un pregiudiziale disinteresse neiconfronti del sostrato materiale del bene giuridicodeve essere estraneoal processo strettamente interpretativo delle norme. Secondo i metodologiil concetto di bene giuridico finirebbe con il ridursi al risultato diun’interpretazione di scopo. Concezione nazionalsocialista: cambia del tutto e fa sì che al centro delreato assurga la violazione del dovere di fedeltà nei confronti delloStato etico, impersonato dal fuhrer.Concezione del dopoguerra (anni ’60): torna l’idea di protezione del benegiuridico come scopo del diritto penale. Si ripropone una visione criticae pre-positiva del bene giuridico. Concezione liberale: vuole emancipare il diritto penale dalla morale,quindi renderlo più oggettivo. Si pensano che possano essere oggetto ditutela solo entità reali e quindi materialmente ledibili. Il limite, qui,è che l’aspetto puramente materiale restringe troppo il campo e quindi nonconsente al legislatore capacità selettiva.BENE GIURIDICO E COSTITUZIONE Si cerca di utilizzare la Costituzione come criterio di base per ciò chepuò assurgere a reato: serve per evitare il rischio di un legislatoreonnipotente. La carta costituzionale prospetta una definizione di base dibene giuridico per il legislatore ordinario, e ne approfondisce le

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caratteristiche per quello penale. Il richiamo di norme costituzionaliidentifica l’avvenuta costituzionalizzazione del principio che ammette ilricorso allo strumento penale della stretta necessità.Per questo servono riferimenti normativi (in costituzione):1. Art. 25, c. 2 Cost.: “Nessuno può essere punito se non in forza di una

legge entrata in vigore prima del fatto commesso” – principiocronologico. Si riduce il campo dell’illiceità penale;

2. Art. 27, c. 1 Cost.: “La responsabilità penale è personale”. In molticasi si vuole si cerca di attribuire responsabilità per illecito civileo responsabilità civile per rischio a certi casi di tutela, a causa ditale carattere personale della responsabilità penale;

3. Art. 27, c. 3 Cost.: “L’imputato non è considerato colpevole sino allacondanna definitiva”statuisce il principio della rieducazione: lapena ha una funzione rieducativa: si delimita l’area dell’illecitopenale ai soli fatti lesivi di quei valori che possono essere assunti ameta del processo di rieducazione del condannato;

4. Art. 13, Cost.: “La libertà personale è inviolabile”. Il ricorso allarestrizione della libertà personale con coercizione penale, va limitatoai soli casi di stretta necessità.

In ogni caso si prevede il ricorso alla coercizione penale e allarestrizione di libertà personale, nei soli limiti della stretta necessità.La pena incide anche sui valori previsti da artt. 2-3 Cost.il ricorsoalla pena trova giustificazione soltanto se diretto a tutelare benisocialmente apprezzabili dotati di rilevanza costituzionale.

In tema di rilevanza costituzionale possiamo rinvenire beni di rilevanzaimpliciti:

- può trattarsi di beni legati da un nesso funzionalela tutela finalizzataad un bene privo di salvaguardia costituzionale, può risultare funzionalealla tutela di un bene contemplato dalla Cost. (es. protezione di un benecome la fede pubblica: non la troviamo esplicitata nella Cost., ma dal suorispetto dipendono anche la tutela del patrimonio, economia, ecc.);

- può trattarsi di beni che non sono esplicitati dalla Costituzione, ma cherientrano tra quei valori considerati come “cardini” nel sistema sociale(es. pietà dei defunti). In realtà vi è contrasto fra il sistema dei valori costituzionali e latutela posta in ambito penalistico: il primo pone limiti e controlli alpotere statuale, il secondo tende a prevenire le condotte dannose per lasocietà considerata nelle sue determinazioni concrete, a prescindere dalladistanza ideale tra assetto sociale esistente e modello costituzionaleprefigurato.Una volta rilevato che si può punire, bisogna decidere sul “come e sul se”farlo. Bisogna considerare alcuni fattori:1. criterio di sussidiarietà: ci si deve accertare che la tutela del bene,

sia assicurabile anche con sanzioni non penali;2. criterio di meritevolezza della pena: è necessario che il grado

dell’aggressione renda inevitabile il ricorso alla sanzione punitiva;3. intervento del legislatore: deve bilanciare diverse esigenze, prima di

stabilire la responsabilità della decisione relativa all’an e alquomodo dell’intervento penale.

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Problema: riguarda la compatibilità tra Cost. e le figure di reatocontenute nell’attuale ordinamentoesistono due punti di vista:a) bisogna verificare se si tratta di fattispecie poste a tutela di un

bene sufficientemente definito e in armonia con la costituzionereatisenza bene giuridico;

b) bisogna controllare la conformità alla Cost. delle tecniche di tuteladel bene, adottate dal legislatoretecniche incriminatricicostituzionalmente dubbie.

REATI SENZA BENE GIURIDICO 1° problema: dall’illuminismo in poi ci si è chiesti se il diritto

penale debba tutelare anche i valori etici; 2° problema: vi è difficoltà di individuazione del bene giuridico,

quando si passi da fattispecie individuali (vita, integrità fisica,ecc.), a quelle super individuali (economia pubblica ecc.);

3° problema: “delitti omissivi”derivano dalla mera inosservanza diun obbligo di condotta penalmente sanzionata. Questo illecito trovaun limite di estromissione, quando la norma incriminatrice tenda asalvaguardare l’acquisizione di un bene futuro, non ancora venuto adesistenza (vi è una limitazione della libertà personale, a frontedell’incertezza del bene giuridico).

TECNICHE INCRIMINATRICI COSTITUZIONALMENTE DUBBIE reati di sospetto: il legislatore incrimina fatti che,

apparentemente, non ledono né pongono in pericolo il bene protetto(es. possesso ingiustificato di chiavi false). La repressione ditali comportamenti ha funzione preventiva, in quanto è volta adassicurare una tutela anticipata del patrimonio, facendo leva sullapresunta pericolosità soggettiva dell’agente;

reati ostativi: il legislatore incrimina condotte prodromicherispetto alla realizzazione dei comportamenti che effettivamenteledono o pongono in pericolo il bene giuridicosi parla di delittiostacolo, in quanto la funzione delle relative norme è quella difrapporre un impedimento al compimento di fatti concretamenteoffensivi;

reati di pericolo presunto (in senso stretto): tipicizza fatti che,secondo una regola di esperienza, presumibilmente provochino unamessa in pericolo del bene protetto. Il problema sorge quando laregola d’esperienza, non sia fondata su solide basi empiriche,pertanto l’ammissibilità di questi tipi di reato non è esclusa inpartenza, ma è subordinata alla presenza di alcune rigorosecondizioni;

delitti di attentato: è una figura di reato tipica del dirittopenale politico. Tale modello colpisce già gli atti preparatori dicondotte destinate ad offendere interessi attinenti alla personalitàdello Stato.

Reati a dolo specifico con condotta neutra: si tratta di illecitiriguardanti una condotta che, considerata in sé, costituiscel’esercizio di un diritto costituzionalmente tutelato; ma essoassume rilevanza penale in virtù del fine soggettivamente perseguito(dolo specifico) dell’agente. Il ricorso al dolo specifico qualecriterio di criminalizzazione, è inammissibile tutte le volte in cui

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esso si riduca ad una finalità meramente psicologica, che non riescead incrementare l’idoneità lesiva del fatto materiale.

INTERVENTO DEL SINDACATO DELLA CORTE COSTITUZIONALERegola di base: la valutazione della legittimità della normaincriminatrice, spetta al legislatore (opzione politica).Per quanto riguarda l’intervento della Corte Costituzionale, il timore èche questo entri troppo nel merito, violando la suddetta regola art.28,l.87/1953: “il controllo di legittimità della Cc esclude ogni valutazionedi natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale delParlamento”. Esistono, comunque, casi in cui si prevede l’intervento della Corteessiriguardano il rapporto tra le norme penali denunciate e l’esercizio dilibertà costituzionalmente garantite. Sono:1. sentenze di rigetto: sono la maggior parte. La Cc, tramite esse, salva

alcune vecchie fattispecie di reato (di matrice autoritaria) previstedal Codice Rocco, in quanto ritenute a tutela di beni di rangocostituzionale;

2. sentenze manipolative del bene protetto: vanno a modificare l’oggettodi tutela di alcune figure di reato, poiché sospettate di contraddire iprincipi costituzionali. Sorge il timore dell’horror vacui a causa ditali interventi manipolativisi crea contrasto tra i principigiuridici che prevedono un determinato tipo di tutela e le pronunced’incostituzionalità della Cc, relativamente a tali principi giuridici.Di conseguenza tali sentenze sono ammesse nei limiti di due “condizionidi ammissibilità”:

- livello di univocità del ricorso ai principi costituzionalilaridefinizione discende automaticamente dalle norme e, quindi, la nuovainterpretazione si pone quasi come obbligata. Si tratta di unareinterpretazione costituzionalmente orientata. Non si può riformularequando si aprano le strade a più soluzioni, poiché, in tal caso,entrerebbe in gioco la discrezionalità del legislatore;

- rispetto del tenore letterale della fattispecie incriminata: lariformulazione si deve essere il più compatibile possibile allo schemaformale del fatto di reato;3. sentenze di accoglimento: sono la minor parte e riguardano l’indebita

compressione di un diritto incomprimibile.Vi è il tentativo di dare volto costituzionale alla prassi legislativa egiudiziaria; a questo fine esistono delle direttive programmatiche ditutela che sono vincolanti per il legislatore e forniscono i criteri dicontrollo della legittimità della normativa penale vigente. Esse sono disue tipi ed entrambe di fonte costituzionale:a) volte a circoscrivere l’area del penalmente rilevante: innanzitutto non

può essere elevato a reato l’esercizio di libertà fondamentali previstedalla Cost. (es. diritto allo sciopero); in secondo luogo vi è maggiore“liberalizzazioneda un lato avviene tramite la soppressione o lamodifica delle fattispecie più discutibili, e dall’altro attraverso ladepenalizzazione degli illeciti bagatellari;

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b) volte a dilatare l’area dei fatti punibili: nasce dall’esigenza dirafforzare la salvaguardia di quei valori che la collettività vorrebbepiù protetti (es. salute, ambiente, ecc.).

Viene smorzata un po’ l’idea della funzione propulsiva del diritto penale,inteso come strumento che concorre alla realizzazione del modello dipromozione sociale prefigurato nella Cost. . D’altro lato, però,garantisce e rafforza la tutela di beni già venuti ad esistenza che lacoscienza sociale vede come bisognosi di protezione.

3. PRINCIPI DEL DIRITTO PENALEA. Principio di sussidiarietà : il ricorso alla pena statuale è

giustificato quando risulta anche conforme allo scopo. Sorge anchel’esigenza che la legge conosca in ambito socio-criminologico. Talecriterio è concepito in due modi:

- concezione ristretta: lo strumento penale è superfluo quando lasalvaguardia del bene viene assicurata in modo sufficiente dallo strumentoextrapenale;- concezione ampia: la sanzione penale è utile anche quando ci sia unatutela sufficiente da parte dello strumento extrapenale.

B. Principio di meritevolezza : la pena può essere applicata solo quandol’aggressione al bene giuridico risulti tale da essereintollerabile.

C. Principio di frammentarietà : opera a tre livelli1°alcune fattispecie tutelano il bene giuridico oggetto di reato,solo contro specifiche forme di aggressione;2°la sfera di ciò che rileva penalmente è molto più limitatarispetto a ciò che è considerato antigiuridico nell’ordinamento;3°l’area del penalmente rilevante, è diversa da ciò che èconsiderato riprovevole.Questo triplice modo di operare si riconduce al processo geneticodella fattispecie incriminatrice. Il legislatore, infatti, tipicizzaalcune fattispecie in quanto commesse da soggetti diversi, ma congli stessi comportamentisi delineano figure come quella del ladro,truffatore, rapinatore, ecc. . In realtà bisogna sempre effettuareuna valutazione “caso per caso”, per non fondare il diritto penalesulla pericolosità soggettiva del tipo di autore. Qui sorgono dueobiezioni:

- in vista di una prevenzione generale: la frammentarietà della tutelacontrasterebbe con l’esigenza di reprimere tutti i comportamenti chepotrebbero ledere il bene protetto, anche se non tipizzati. Perrimediarvi, la giurisprudenza interpreta in modo estensivo le fattispecieincriminatrici porta ad un rischio: la pretesa alla completezza dellatutela di determinati beni, rischia di condurre ad una sorta diassolutizzazione degli interessi;

- in vista di una prevenzione speciale: la frammentarietà contrasta conl’esigenza di risocializzazione, quale obiettivo dell’esecuzione dellapenanel senso che se la pena deve tendere ad impedire la recidiva ed ariorientare il reo secondo un sistema dei valori dominanti, sarebbe piùcoerente penalizzare tutte le condotte lesive dei beni assunti a punti diriferimento del processo rieducativo; in caso contrario saremmo davanti adun’antinomia;

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D. Principio di autonomia : si guarda alle tesi sul “ carattereaccessorio del diritto penale”, risalenti a Karl Binding e poi aGrispigni. Oggi esse non sono più accettate, in quantoequivarrebbero a dire che il diritto penale è secondario rispetto adaltri dirittisi possono accettare solo sotto il profilo politico-criminale. Il diritto penale:

- rappresenta la più antica forma di manifestazione del diritto;- è l’unico nel quale il giudice non deve tenere conto di precedenti

decisioni per valutare il caso.L’autonomia dell’illecito si manifesta sotto due profili:

- si lega al principio di frammentarietàl’illecito rimane legato allafattispecie incriminatrice, che identifica specifiche forme diaggressione. Si caratterizza come illecita modalità di lesione;

- anche se può riguardare concetti e categorie propri di altri settori,specifiche esigenze dell’imputazione vogliono una ricostruzione di taliconcezioni in via autonoma.

7. CODICE ARTURO ROCCO (p.ti precedenti 4,5,6 non importanti)Pubblicato in epoca fascista, è ancora vigente e mantiene lo stessocatalogo delle fattispecie di reato. È un codice importante perchéintroduce il sistema del doppio binario, consistente nell’introduzionedelle misure di sicurezza in aggiunta o sostituzione della pena.

INTERVENTI RIFORMATORI E LEGISLAZIONE SPECIALEPer quanto riguarda la parte speciale, sono state introdotte nuove figuredi reato. In generale, invece, gli interventi riformatori più importantisono stati:1) dagli anni ’40 agli anni ’60:

a. d.lg.lgt 14 settembre 1944, n. 288 introduce maggiori tutele peril cittadino imputato, dandogli la possibilità di provare la veritàe di reagire agli atti indebito del pubblico ufficiale. I giudicihanno il compito di individuare le circostanze non tipizzate;

b. d.lg.lgt 10 agosto 1944, n. 224 abolizione della pena di morte;c. legge 4 marzo 1958, n. 127 si riforma la responsabilità penale per

i reati commessi a mezzo stampa;d. leggi 24 aprile 1962/191 e 25 novembre/1634 modificati gli

istituti della sospensione cautelare e della liberazione cautelare,in modo più favorevole al reo;

2) leggi di depenalizzazione delle contravvenzioni punite con la sola penadell’ammenda:

- l.3 maggio 1967/317 e l. 24 dicembre 1975/706; - legge 24 novembre 1981/689 ha tentato di risolvere su basi nuove e più

organiche il problema della depenalizzazione. Introduce le sanzionisostitutive delle pene detentive brevi, detta una nuova disciplina dellapena pecuniaria e modifica in maniera significativa le pene accessorie; 3) novella del 1974: inerente le aggravanti e le attenuanti e la

disciplina del reato;4) riforma dell’ordinamento penitenziario: l. 26 luglio 1975/354 ha il

duplice obiettivo di disciplinare l’esecuzione della pena in armoniacon il principio costituzionale della rieducazione e di potenziare legaranzie dei diritti del condannato.

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CAPITOLO IILa funzione di garanzia della legge

1. PREMESSE GENERALI

A) Principio di legalità: si esprime nell’idea di tutela del cittadino versoi poteri dello Stato: si traduce in divieto di retroattività della leggepenaleesso più che alle regole di comportamento, si riferisce allasanzione. Nasce, come idea, durante l’illuminismo e si conferma nellaCostituzione. FEUERBACH traduce in termini giuridico-penali il principio dilegalità con la formula nulla poena sine lege: egli chiarisce che la minacciadella pena funziona da deterrente per distogliere i cittadini dal commetterereati, solo se essi conoscono prima quali sono i fatti che comportano inflizione pena. Basi normative del principio di legalità: vedi schema di amministrativo.

Il principio di legalità ha come destinatari:- il legislatore;- il giudice Esso si articola in 4 sottoprincipi:1) riserva di legge;2) tassatività della fattispecie penale;3) irretroattività della legge penale;4) divieto di analogia

B) Riserva di legge: il suo principio vieta di punire se il fatto commessonon è disciplinato da una legge preesistente, e se tale legge non prevede lapena (nulla poena sine lege)Il procedimento legislativo è lo strumento piùadeguato per salvaguardare la libertà personale, in quanto vanta maggioreterzietà rispetto all’esecuzione giudiziaria: infatti è più ragionevolepensare che, essendo un organo rappresentativo della volontà popolare,ricorra alla coercizione penale solo in vista della tutela di interessirilevanti della collettività. In materia penale la riserva di legge deve essere intesa come assoluta: sesi ritenesse ammissibile quella relativa, anche gli atti di legge secondari(regolamenti), contribuirebbero alla creazione della fattispecie penale. Levarie correnti inerenti la materia, hanno infine stabilito che la fonte dirango secondario, ha oggi una funzione integratrice: non ci si può basaresolo sulla riserva assoluta, poiché costituirebbe un sistema troppo rigido.

C) DECRETO LEGGE E LEGGE DELEGATA: sono fonti di diritto penale?NO: si richiedono due requisiti, affinché una fonte possa essere di dirittopenale- deve considerare le minoranze parlamentari per il sindacato sulle scelte

di criminalità del legislatore;- deve garantire la competenza penale del Parlamento.Il decreto legge non lo è in quanto si prende in casi di urgenza e necessità(quindi viene meno anche l’appropriata ponderazione) e la legge delega perchérinvia a fonti subordinate. LEGGE REGIONALE: non è fonte di diritto penale poiché i vari consigliregionali non hanno una visione generale (bensì unitaria) degli interessi edelle esigenze dell’intera società (come previsto nella sent. C.C. n.487/89). Essa può avere solo una funzione scriminante.

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C) Rapporto tra legge e fonte subordinata: tra le due esistono diversimodelli di integrazione1. La legge affida alla fonte secondaria la determinazione delle condotte

concretamente punibili: vengono chiamate norme in bianco come ad es. art650 c.p. Ciò avviene poiché la fattispecie corrispondente è moltogenerica e quindi il contenuto della regola non è conoscibile prima chel’autorità abbia emesso il provvedimento (valutazione “caso per caso”). ÈLEGITTIMO;

2. L’atto normativo subordinato assolve la funzione di specificare elementidella fattispecie legislativamente predeterminati nel nucleo essenziale.È LEGITTIMO;

3. La fonte secondaria disciplina uno o più elementi che concorrono alladescrizione dell’illecito penale, ad es. art 659 c.p. È LEGITTIMO;

4. La legge consente alla fonte secondaria di scegliere i comportamentipunibili tra quelli da essi disciplinati. È ILLEGITTIMO: il legislatoresi spoglia del suo potere devolutogli dal principio della riserva,delegandolo alla fonte secondaria.

D) Rapporto tra legge e consuetudine: in diritto penale si ammette solo lafunzione scriminante della consuetudine.

6. RISERVA DI LEGGE E NORMATIVA UEGli organi Ue sono carenti di legittimazione a creare norme incriminatrici manca la previsione di una potestà penale comune. L’Ue può solo emanaresanzioni amministrative (art. 229 Tue).D’altra parte l’Unione è interessata ad una tutela penale mediata: si trattadi una tutela di interessi comunitari, mediante:- armonizzazione di leggi penali nazionali;- assimilazione di interessi europei a quelli statali.A tal fine risulta importante il Trattato di Maastricht con il III pilastro:la finalità è quella di armonizzazione delle fattispecie penali a migliorarela cooperazione giudiziaria e di polizia. Tutto ciò è, però, carente dieffettività.La forma più importante dei casi di interazione riguarda i casi di conflittotra norme comunitarie se l’incompatibilità è evidente il giudice italianodeve disapplicare la norma in contrasto con quella di fonte europea.

7. PRINCIPIO “NULLA POENA SINE LEGE”Il principio di legittimità opera con riserva assoluta, rispetto alle pene:solo la legge o un atto normativo equiparato possono stabilire la misura e lasanzione con cui deve essere represso il comportamento criminoso. La garanziadella legalità si deve ritenere estesa alla fase di esecuzione della pena.

8. PRINCIPIO DI TASSATIVITÀ - Proiezione del principio di legalità;- costituisce il riflesso di esigenze interne alla tutela penalistica;- è complementare al criterio della frammentarietà.Il legislatore deve specificare con sufficiente precisione i comportamentiche costituiscono reato. Esiste, però, un contrasto tra ordinamento penale

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vigente e il principio di tassatività, a causa di una tendenzacompromissoria: infatti l’esigenza di bilanciamento di beni e interessi dicui sono portatrici le forze politico-sociali, spesso nascondono l’intento discaricare sul potere giudiziario il compito di mediare tra opposte esigenzedi tutela. Esistono varie tecniche di tutela della fattispecie penale:a) tecniche di legiferazione : composte da normazione descrittiva descrive il

fatto criminoso in termini che alludono alla realtà empirica; e danormazione sintetica qualificazione di sintesi mediante l’impiego di elementinormativi, rinviando a una fonte esterna rispetto a quella incriminatrice;

b) elementi normativi : sono elementi che necessitano, per la determinazionedel loro contenuto, una etero integrazione mediante il rinvio ad una normadiversa da quella incriminatrice. Si distingue in elementi normativi giuridici l’esigenza di tassatività è per lo più rispettata perché la normagiuridica richiamata è solitamente individuabile senza incertezze; elementinormativi extragiuridici rinvianti a norme sociali o di costume. In questocaso il parametro diventa incerto e sorgono forti dubbi circa il limitediscretivo tra rispetto di un sufficiente livello di determinatezza ecarattere indefinito dell’elemento del fatto del reato.

9. PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITÀIl principio di irretroattività fa divieto di applicare regole penali a fatticommessi prima della sua entrata in vigore. La ratio del principio diirretroattività è che la legge non dispone che per l’avvenire. In questo modola presa di posizione del legislatore costituente rappresenta la riprovadella matrice liberal garantistica del principio di irretroattività, comeprincipio ispirato alla garanzia di libertà personale del cittadino neiconfronti dei detentori del potere legislativo.A livello di legislazione ordinaria il principio trova riconoscimentonell’art. 2 del codice penale:- 1° COMMAribadisce l’irretroattività della norma incriminatrice.

“Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo incui fu commesso, non costituiva reato”. Disposizione che si riferisce alfenomeno della nuova incriminazione: ricorre quando la legge introduce unafigura di reato prima inesistente. Il principio di irretroattività sisalda con quello di legalità, fondendosi nella forma “nullum crimen, nullapoena sine praevia lege penali. Il primo comma contiene un riferimentoall’art. 25 della Costituzione.

- 2° COMMAispirato al diverso principio della retroattività di unaeventuale norma più favorevole, successivamente emanata (come anche ilterzo). “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una leggeposteriore, non costituisce reato; e se vi è una condanna, ne cessanol’esecuzione e gli effetti penali”. Fondamento della disposizione: sel’abrogazione di un illecito penale costituisce il risultato di unavalutazione di compatibilità tra il comportamento incriminato el’interesse collettivo, sarebbe contraddittorio e irragionevole continuarea punire l’autore per un fatto ormai tollerato dall’ordinamento giuridico.

- 3° COMMApuò accadere che una legge penale successiva riformuli ilcontenuto di una legge penale preesistente, mediante la sostituzione deglielementi costitutivi o l’aggiunta di nuovi: in questi casi il problema è

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verificare se rimanga la rilevanza penale del comportamento in questione,o sia applicabile la sanzione più favorevole (questo comma tratta inparticolare comportamenti che prima erano puniti con la detenzione e dopola riforma con la sola pena pecuniaria). Comma riformato da art. 14, L. 24febbraio 2006, n. 85.

SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI. CRITERI DI INDIVIDUAZIONE DEL FENOMENO.A riguardo, esistono due orientamenti:1. continuità del tipo di illecito: si sostiene che si ha successione quando nel

passaggio dalla vecchia alla nuova norma permane la “continuità del tempodell’illecito” come parametri di individuazione si usano sial’interesse protetto, sia le modalità di aggressione al bene: lasuccessione si verificherebbe quando questi elementi permangono identici,nonostante la novazione legislativa. Applicazione dell’orientamento: lesezioni unite di Cassazione, hanno sostenuto che sussiste un nesso dicontinuità ed omogeneità tra l’abrogata fattispecie di interesse privatoin atti di ufficio e il nuovo reato di abuso di ufficio. In realtà si èravvisata più che un’abrogazione vera e propria, una successione di leggicon conseguente applicabilità della norma incriminatrice più favorevole.Il criterio in esame, dunque, è soggetto ad un duplice rilievo critico:

- senso stretto: le due condizioni si verificherebbero soltanto in caso diperfetta identità di fatto di reato (si finisce per vanificare la utilitàpratica del criterio);

- senso lato: la tesi finisce con l’essere di incerta applicazione perchéfondata sull’indeterminatezza del peso attribuibile al criterio del bene ea quello delle modalità aggressive del fatto;

2. rapporto di continenza: occorre un rapporto strutturale tra le fattispecieastrattamente considerate, tale per cui tra le stesse possa instaurarsiuna relazione di genere e specie si verifica quando la fattispeciesuccessiva è completamente contenuta in quella precedente: si ravvisaquando la prima ha un carattere di specialità rispetto alla seconda dicontenuto più generico. La dottrina, comunque, ammette che tale criteriosi applichi anche al caso contrario (norma successiva che amplia ilcontenuto di una precedente più specifica): in questo senso èconfigurabile anche l’ipotesi in cui l’eventuale abrogazione di una normaprecedente, lasci riespandere una norma di contenuto più generalepreesistente nell’ordinamento. Questo è il metodo che spiega meglio lasuccessione modificativa. Applicazione dell’orientamento: applicabilitàdell’ipotesi della novazione legislativa del delitto di infanticidio. Lanuova norma è data dall’art. 578 CP Infanticidio in condizioni diabbandono materiale e morale. Qui non esiste un rapporto riconducibileallo schema della relazione di genere a specie, poiché, la nuova, risultauna fattispecie eterogenea rispetto al delitto di infanticidio per causad’onore. Si è fatta una valutazione più ampia alla stregua dell’interoordinamento penale e ci si è accorti che in questo caso, l’abrogazionedella norma comporta la potenziale riespansione della fattispeciedell’omicidio comune, la quale ricomprende nel suo ambito l’ipotesi piùspecifica dell’infanticidio. Esistono, quindi, le ipotesi di successione

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di legge, con applicabilità della regola del favor rei si applica lapena per il delitto di infanticidio per cause d’onore.

12. SUCCESSIONE DI LEGGI E APPLICABILITÀ DELLA DISPOSIZIONE PIÙ FAVOREVOLE ALREO- 4° COMMA “Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e leposteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono piùfavorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”.Questa norma sancisce il principio della retroattività della norma piùfavorevole al reo: il fondamento del principio è la garanzia del favorlibertatis, che assicura al cittadino il trattamento penale più mite traquello previsto dalla legge penale vigente al momento della realizzazione delfatto e quello previsto dalle leggi successive. Lo stesso principio è anchericollegabile al principio costituzionale di uguaglianza, che impone dievitare irragionevoli disparità di trattamento. L’operatività di questo commapresuppone un’ipotesi di successione tra fattispecie incriminatriciaccertabile in base al rapporto di continenza. Per stabilire se ci si trovidi fronte a una norma più favorevole basta operare un confronto tra ladisciplina prevista dalla vecchia norma e quella introdotta dalla nuova.Questo confronto va realizzato in concreto e cioè mettendo a confronto irispettivi risultati di ciascuna di esse alla situazione concreta oggetto digiudizio. Un’importante riforma è rappresentata dall’art. 14 L. 85/2006, cheha modificato il comma 3 dell’art. 2 CP. Essa ha disciplinato l’ipotesi dellamodifica nel tempo del trattamento sanzionatorio intervenuta dopo ilpassaggio in giudicato della sentenza di condanna. Questa nuova disposizioneè molto importante, perché il legislatore della riforma ha innovato rispettoal precedente principio della intangibilità del giudicato previstonell’originaria formulazione dell’art.2 CP. Nel caso di condanne precedentialla riforma: si tratta di rispettare fino in fondo, anche nella faseesecutiva della condanna, la nuova valutazione dell’ordinamento, procedendoalla conversione della vecchia pena detentiva nella nuova pena pecuniaria.

14. SUCCESSIONE DI LEGGI TEMPORANEE, ECCEZIONALI E FINANZIARIE- 5° COMMA il principio di retroattività in senso più favorevole rispettoal reo è inoperante rispetto alle leggi temporanee ed alle leggi eccezionali.Leggi eccezionali: leggi il cui ambito di operatività temporale è segnato dalpersistere di uno stato di fatto caratterizzato da accadimenti fuoridall’ordinario (guerre, epidemie, terremoti…). Leggi temporanee: leggirispetto alle quali è lo stesso legislatore a prefissare il termine didurata. In entrambi casi la ratio del comma 5 è identica in entrambi i casi:- da un lato è connaturata alle stesse caratteristiche di tali leggil’applicabilità di un regime diverso da quello reintrodotto nel momento delritorno alla normalità;- dall’altro se trovasse riconoscimento il principio del favor rei, sioffrirebbe una scomoda scappatoia per commettere violazioni con la certezzadi una futura impunità. Si può prospettare il caso in cui una legge temporanea o eccezionale risultipiù favorevole, rispetto ad una rigorosa: in questi casi i termini piùfavorevoli non si applicheranno, perché comunque legati ad una norma

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temporanea o eccezionale. Le stesse disposizioni valgono anche per le leggipenali finanziarie.

15. DECRETI-LEGGE NON CONVERTITIIl legislatore costituente ha introdotto l’opposto principio della cessazioneex tunc degli effetti del decreto non convertito (art. 77 Cost). In realtà leesigenze di questo articolo (di avere un controllo parlamentare suiprovvedimenti urgenti dell’esecutivo) devono rimanere subordinate al rispettodel principio di irretroattività della disposizione meno favorevole al reo:il decreto più favorevole al reo deve essere applicato, anche se decaduto. Inseguito con la sentenza n. 51 del 1985, la Corte aveva dichiarato laillegittimità del 6° COMMA per incostituzionalità: però nella motivazione ditale sentenza si circoscrive l’illegittimità solo a quando il decreto nonconvertito verrebbe applicato ai fatti pregressi, commessi prima della suaentrata in vigore. Questa precisazione è importante poiché, in questo modo,si continua a fare rispettare il divieto di retroattività di una legge penalesfavorevole: in caso di mancata conversione del decreto torna ad essereapplicata la legge vigente al momento del fatto. Per quanto riguarda i fatti“concomitanti” all’emissione del decreto, la Corte nella motivazionesembrerebbe più propensa all’inclusione di essi nell’applicazione delladisposizione più favorevole al reo.

16. LEGGI DICHIARATE INCOSTITUZIONALI La dichiarazione di incostituzionalità di una legge, ne produce ex nunc lacessazione di efficacia. In seguito, con l’emanazione della L. 11 marzo 1953n. 87, si è disposto che: “Le norme dichiarate incostituzionali non possonoavere applicazione dal giorno successivo alla decisione. Quando, inapplicazione di una norma incostituzionale, è stata pronunciata sentenzairrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effettipenali”. In forza di tale disposizione si ritiene, oggi, chel’incostituzionalità di una norma abbia effetto ex tunc: la legge invalidatanon può più essere applicata neppure alle situazioni verificatesi sotto lasua vigenza impossibile che si verifichi un fenomeno successorio. Allafine, però, bisogna tenere in considerazione sempre la superiorità delprincipio del favor rei la norma dichiarata incostituzionale che contengadisposizioni più favorevoli per il reo, in quel caso deve essere applicata.

17. SINDACATO DI COSTITUZIONALITÀ SULLE NORME PENALI “DI FAVORE”L’esigenza di rispettare il principio di irretroattività in materia penalepone problemi di limiti al sindacato di costituzionalità delle leggi penalidi favore (principio favor rei) l’effetto della dichiarazione diincostituzionalità potrebbe essere quello di far rivivere una precedentenorma incriminatrice più sfavorevole, sino a renderla applicabile ad un fattocommesso sotto il vigore della norma denunciata. La Corte, in alcune prese diposizione, ha però dichiarato l’inammissibilità di qualsiasi norma penale piùfavorevole al reo, per necessaria irrilevanza nel giudizio a quo. Essa haaffermato che:- il principio favor libertatis è garantito dall’art. 25 Cost. ed è da

considerarsi autonomo. Il giudice ordinario deve sempre osservarlo;- il sindacato di costituzionalità sulle leggi penali di favore, invece,

deve spettare alla Corte, altrimenti si correrebbe il rischio di“istituire zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione,

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all’interno delle quali la legislazione ordinaria diverrebbeincontrollabile”.

Dall’altra parte, però, una volta ammesso che il sindacato spetta alla Corte,bisogna anche evitare che essa cerchi di arrogarsi il potere di compierevalutazioni di merito, che per loro natura spettano al legislatore: egliinfatti, deve decidere se un fatto deve essere incriminato e in che limitidebba esserlo e se vi siano situazioni da sottrarre dalla sfera delpenalmente rilevante. Quindi il sindacato della Corte è da ritenereammissibile solo ad alcune condizioni: quando, una volta accertato che lascelta legislativa è in linea di principio quella di penalizzare un certotipo di condotte, appaia palesemente arbitraria alla stregua del principio diuguaglianza, un’eventuale discriminazione del trattamento punitivo nellecondotte appartenenti allo stesso tipo.

18. TEMPO DEL COMMESSO REATO Per capire quale legge penale applicare nel tempo, è importante determinareil tempus commissi delicti. Siccome la legge tace sull’argomento, la dottrinaha elaborato tre criteri:1. teoria della condotta : considera il reato commesso nel momento in cui si è

realizzata l’azione o l’omissione;2. teoria dell’evento : il reato si ritiene commesso quando si verifica il

risultato lesivo causalmente riconducibile alla condotta e necessario aifini della compiuta configurazione dell’illecito;

3. teoria mista : guarda sia all’azione, sia all’evento, nel senso che ilreato si considera indifferentemente commesso quando si verifichi l’uno ol’altro estremo.

La soluzione del problema del tempus commissi delicti non si può prospettarein generale in relazione a tutti gli istituti, perché bisogna operare unavalutazione caso per caso. Invece, con specifico riguardo alla successionedelle leggi, si tende ad accettare come unica teoria utilizzabile la prima:infatti, tiene in considerazione il momento nel quale il soggetto mette inatto il proposito criminoso, essendo questo un frangente temporale decisivoanche rispetto alla funzione di prevenzione generale connessa alla minacciadella sanzione punitiva. L’applicazione del criterio, comunque, vaconsiderata in modo diverso a seconda delle tipologie delittuose. Ladeterminazione del tempus commissi delicti solleva qualche problema quando siparla di reati casualmente orientati a “forma libera”, poiché manca latipizzazione legislativa di specifiche modalità di realizzazione dell’eventolesivo. Innanzitutto bisogna distinguere tra:a) reati dolosi: il tempo del reato commesso coincide con l’ultimo atto

sorretto dalla volontà del colpevole;b) reati colposi: coincide con la realizzazione di quell’atto che, nel

complesso degli atti casualmente collegati con l’evento, per primo daluogo ad una situazione di contrarietà con regole di diligenza, prudenza,ecc.;

c) reati di durata: qui si registrano opinioni divergenti. Tra questi cisono:

- reati permanenti contraddistinto dal perdurare di una situazione illecitavolontariamente rimovibile dal reo. In questo caso si ritiene applicabileun orientamento minoritario che fissa il tempo del commesso reato nelprimo atto che da avvio alla consumazione del reato permanente medesimo;

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- reati abituali reiterazione nel tempo di condotte della stessa specie.Occorre fare riferimento alla realizzazione del primo atto che, unitamenteai successivi, integra il reato abituale;

- reato continuato ci si trova in presenza di un concorso materiale direati, ciascuno dei quali presenta un proprio tempus commissi delicti;

- reati omissivi occorre fare riferimento al momento in cui scade iltermine (esplicito o implicito) utile per realizzare la condotta doverosa.

19. DIVIETO DI ANALOGIAIl ricorso all’analogia non è sempre ammissibile. Occorre, poi, distingueretra:- analogia in bonam partem: è ammessa in alcuni casi, a prescindere dal

divieto;- analogia in malam partem: è quella che andrebbe a violare il divieto di

analogia.1. L’art.14 delle disposizioni sulla legge in generale esclude infatti il

procedimento analogico in due casi, uno dei quali è costituito dalle leggipenali.

2. Questa esclusione si ricava dagli artt. 1 (nessuno può essere punito perun fatto che non sia espressamente previsto dalla legge come reato) e 119 (nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza fuori dei casi dallalegge preveduti) CP.

3. Il divieto di analogia deve ritenersi anche implicitamentecostituzionalizzato, se si considera che il criterio ispiratore deldivieto di analogia in materia penale, obbedisce alla medesima ratio digaranzia della libertà del cittadino (favor libertatis), in generalesottesa al nullum crimen sine lege, del quale il divieto in parolarappresenta una delle più importanti proiezioni. È interdetto al giudicepenale di muovere dalla ratio incriminatrice per includere nellaprevisione legale fatti simili che esplicitamente non vi rientrano.

4. Contro la concezione assoluta del divieto di analogia è da obbiettare, chel’art. 25, comma 2 Cost., sancisce il primato della libertà del cittadino:muovendo dal presupposto che la libertà è la regola e la sua limitazionel’eccezione, risulta del tutto all’art.25 Cost., un’interpretazioneanalogica che abbia come obbiettivo di estendere la portata delle normepiù favorevoli al reo.

5. Il divieto di analogia ha carattere relativo, perché concerne solol’interpretazione delle norme penali sfavorevoli: occorre precisare in chelimiti sia consentita un’interpretazione analogica in bonam partemvistol’ostacolo che ritroviamo nell’art. 14 CP, per quanto riguarda leggieccezionali, sono da ricercare quelle a cui non è applicabile analogia inbonam e malam partem: ci si trova davanti a una legge eccezionale quandoviene introdotta una disciplina che deroga rispetto a particolari casi,alla efficacia potenzialmente generale di uno o più disposizioni.

6. L’applicazione analogica è, invece, consentita nelle cause digiustificazione o di esclusione della colpevolezza, nella misura in cuicontribuiscono a determinare i presupposti di applicazione delle normeincriminatrici.

7. Il procedimento analogico è precluso rispetto a quelle cause di nonpunibilità che fanno riferimento a situazioni particolari o riflettono

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motivazioni politico criminali specifichel’analogia è inammissibilerispetto a:

- immunità: deroga al principio della generale obbligatorietà della leggepenale rispetto a tutti coloro che si trovano nel territorio dello Stato;

- cause di estinzione del reato e della pena: derogano alla normaledisciplina dell’illecito penale e delle conseguenze sanzionatorie;

- cause speciali di non punibilità: rispecchiano valutazioni politico-criminali legate alle caratteristiche specifiche della situazione presa inconsiderazione e perciò non sono estendibili ad altri casi.

CAPITOLO IIIL’interpretazione delle leggi penali

1. PREMESSALa locuzione “interpretazione della legge penale” designa il complesso delleoperazioni intellettuali finalizzate all’individuazione del significato dellenorme da applicare. Per questo l’interpretazione va considerata come un’attivitàconoscitiva di natura strumentale.

2. CLASSIFICAZIONI DELL’INTERPRETAZIONE IN BASE AI SOGGETTI TIPICISi possono individuare diversi soggetti su cui basare l’interpretazione:

a) interpretazione autentica : fornita dallo stesso organo che ha prodotto lanorma da interpretare. Solitamente è occasionata dal persistere dicontrasti interpretativi;

b) interpretazione ufficiale : viene svolta dai funzionari dello Stato,nell’ambito di competenze istituzionali;

c) interpretazione giudiziale : effettuata dai giudici nell’emanare sentenze.È quella che influenza maggiormente la concreta applicazione del diritto il diritto vivente tende spesso a coincidere con quellogiurisprudenziale;

d) interpretazione dottrinale : è quella realizzata dagli studiosi di dirittonelle opere di dottrina. È istituzionalmente e tipicamente finalizzataalla concreta decisione delle controversie. L’interpretazione dottrinaleriesce ad influenzare la concreta applicazione del diritto solo in virtùdella sua forza di persuasività.

5. I TRADIZIONALI CANONI ERMENEUTICISi tratta di canoni che concorrono all’attività ermeneutica che, comunque,rimane unitaria nel suo scopo finale: quello di individuare la portata e ilimiti della tutela apprestata dal legislatore penale nelle singole fattispecie.Tutta l’interpretazione muove da un’iniziale “ipotesi di lavoro” che vienesviluppata lungo i vari passaggi che arrivano all’interpretazione finale. I criteri interpretativi sono 5:

1. criterio semantico : tende ad individuale il significato della normafacendo leva sul tenore letterale con cui è scritta la norma stessa.L’art. 12 delle preleggi, infatti, stabilisce che la norma deve essereindividuata secondo il “significato proprio delle parole” canonizza ilcarattere grammaticale di una norma: significato proprio delle parole =significato “comune”. Questo tipo di interpretazione, però, incontra deilimiti. A) nel linguaggio concreto il significato di una parola è sempreaperto, per cui spetta all’interprete stabilire quale sia il più adattoalla situazione. B) il linguaggio legislativo adotta spesso termini

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tecnico-giuridici, che non si possono riscontrare nel linguaggio comune;in presenza di caratteri tecnico-giuridici, il significato specialisticodeve prevalere su quello comune;

2. criterio storico : mira a ricostruire la volontà del legislatore al momentodelle norme. Il concetto di volontà storica mira ad essere ricostruito indue sensi: A) volontà soggettiva del legislatore del tempo: finisce col ridurre lavolontà legislativa ad un dato psicologico, perché considera la presa diposizione di un legislatore personificato in realtà questa concezioneincontra come limite il fatto che, oggi, il legislatore è il Parlamento,che a sua volta è costituito da una pluralità di soggetti (visionepersonificata si scontra con quella pluralistica del Parlamento). B)volontà storica obbiettivata dalla legge: l’interpretazione deve tenere inconsiderazione anche il contesto storico in cui si iscrive la legge, imotivi obbiettivi che hanno dato causa alla sua emanazione e il modello didisciplina che ha finito col trovare accoglimento nella norma. Anchequesto criterio incontra alcuni ostacoli: innanzitutto la consultazionedei lavori preparatori non è resa molto agile da molti dei partecipanti alprocesso di legiferazione, poiché mancano di reale cognizione dell’oggettodi cui discutono, per mancanza di conoscenze tecniche o interesse. Insecondo luogo l’emanazione di una legge si sta riducendo sempre di più aduna contrattazione tra forze politiche, che spesso ha poco a che vederecon la materia da disciplinare. Questo criterio, però, apporta anchealcuni vantaggi interpretativi: prima di tutto se viene utilizzato comecriterio concorrente, si rivela strumento di grande utilità perl’interprete è inevitabile per le leggi di nuova emanazione, poichémancando un’elaborazione consolidata, è naturale orientare le primeinterpretazioni secondo le indicazioni desumibili dai lavori preparatori.Inoltre può rivelarsi utile utilizzarlo nel momento in cui si debbanoricostruire dettagli della fattispecie di parte speciale. Da ultimo,l’interpretazione storica è molto utile quando si tratti di risolveredelle questioni dogmatiche-interpretative molto controverse;

3. criterio logico-sistematico : tratta di cogliere le connessioni concettualiesistenti tra le norme, l’ordinamento penale e anche l’ordinamentogiuridico in generale. Il nesso tra il primo e gli altri settoridell’ordinamento risulta necessario in vari casi:

- quando la fattispecie incriminatrice contiene elementi normativi la cuideterminazione fa riferimento a norme extrapenali;

- quando si debbano risolvere situazioni di conflitto normativo determinateda cause di giustificazione, che possono trovare la loro fonte in tuttol’ordinamento giuridico.Pertanto si nota come questo criterio sia utile per determinare unamaggiore unità concettuale all’interno dell’ordinamento e, inoltre, fungeanche da mezzo di controllo affinché le nuove interpretazioni, non sidiscostino troppo da quelle consolidate;

4. criterio teleologico : è un modello di interpretazione di tipo oggettivo,aperto alla dimensione presente e futura della norma. L’interprete devesforzarsi di attualizzare il più possibile il senso della norma, nelmomento in cui si procede all’atto interpretativo. In questo criterioassume un ruolo centrale l’interpretazione del bene o oggetto protetto esso viene considerato in modo dinamico e l’interprete deve cercare diprendere in considerazione le estreme conseguenze e gli obbiettivifinalistici, al momento dell’emanazione della norma. Questo criterio

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apporta come vantaggio quello di potere sviluppare al massimo ilpotenziale della norma, inserendo anche elementi che non potevano esserepresi in considerazione al momento della sua emanazione. Risulta evidente,però, che questo vantaggio porta direttamente all’inconveniente che,l’interprete, possa inserire nella sua interpretazione troppe preferenzeideologiche e vedute personali.

Più in generale si può dire che, in vista di un’interpretazione orientatasecondo gli scopi di tutela, risulta di rilevante importanza anche unasottospecie interpretativa orientata secondo le conseguenze. Si tratta di unatipologia di interpretazione che mira alla scelta della soluzione ermeneuticameno impattante per il reo. È preferibile per evitare l’impatto negativo dicerti istituti penali, sulla realtà umana e sociale.

CAPITOLO IVAmbito di validità spaziale e personale della legge penale

SEZIONE IAmbito di validità spaziale della legge penale

1. I PRINCIPI CHE PRESIEDONO ALL’APPLICAZIONE DELLA LEGGE PENALE NELLO SPAZIOOccorre stabilire quattro principi, per determinare l’applicabilità spazialedella legge penale:

- principio di territorialità : la legge si applica a chiunque (cittadino,straniero o apolide) nel territorio dello Stato;

- principio di difesa o tutela : rende applicabile la legge dello Stato cuiappartengono i beni offesi o cui appartiene il soggetto passivo del reato;

- principio di universalità : la legge nazionale si applica a tutti i delittidovunque e da chiunque commessi;

- principio di personalità : si applica sempre la legge dello Stato diappartenenza del reo.

Nel codice penale questi principi sono individuabili nell’art. 6 e ss. Siassiste a una combinazione di questi, non essendoci superiorità tra uno el’altro.

2. REATI COMMESSI NEL TERRITORIO DELLO STATO: CONCETTO DI TERRITORIOArt. 6.1 cp: stabilisce il principio di territorialità “Chiunque commette unreato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana”. L’art. 4.2cp, invece, da una definizione di territorio: esso è costituito dalla superficiecompresa nei suoi confini politico-geografici (zona che è parte integrante delterritorio dello Stato secondo i confini stabiliti dai trattati internazionali),nonché dal mare, dallo spazio costiero e aereo.

3. LOCUS COMMISSI DELICTIArt. 6.2 cp: stabilisce il principio dell’ubiquità, che aiuta a capire quando unreato si ritiene commesso nel territorio dello Stato cioè quando l’azione oomissione vi è avvenuta in tutto o in parte, oppure quando vi si verifichil’evento che è conseguenza di tale azione od omissione. L’accoglimento del principio di ubiquità comporta che il reato si consideracommesso nel territorio dello Stato:

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- sia quando l’azione venga iniziata all’estero e proseguita in Italia (eviceversa);

- sia quando l’azione sia compiuta interamente all’estero, ma con unqualunque atto di partecipazione in Italia (e viceversa).

4. REATI COMUNI COMMESSI ALL’ESTEROGli artt. 7,9,10 Cp disciplinano le ipotesi di reati comuni commessi all’estero,differenziate in ragione del reato in questione e/o della nazionalitàdell’autore.

1. Art. 7 Cp: dei reati commessi all’estero punibili incondizionatamente sono figure di reato che sono incondizionatamente punite secondo la leggeitaliana, a prescindere dal fatto che siano compiute in Italia o da uncittadino italiano (possono anche essere commesse all’estero, da cittadinostraniero). Queste figure sono:

- delitti contro la personalità dello Stato italiano (criterio punibilità sispiega in base al principio della difesa);

- delitti di contraffazione del sigillo dello Stato italiano e di uso ditale sigillo contraffatto;

- delitti di falsità di monete avente corso legale nel territorio delloStato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano;

- delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusandodei loro poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni (anche quisi applica il principio della difesa);

- ogni altro reato per il quale speciali convenzioni di legge o convenzioniinternazionali stabiliscano l’applicabilità della legge penale italiana(principio della difesa, della universalità caso di delicti iurisgentium e della opportunità).

2. Art. 9 Cp: reati commessi all’estero punibili condizionatamente punibilità di reati diversi da quelli citati dall’art. 7, la quale èlegata all’esistenza di alcune condizioni:

- che si tratti di delitto per il quale la legge italiana stabiliscel’ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni;

- che il cittadino si trovi nel territorio dello Stato.3. Art. 10 Cp: reati commessi dallo straniero all’estero a danno dello Stato

italiano o di un cittadino italiano, ovvero a danno di uno Stato estero odi uno straniero le condizioni di punibilità, mutano in relazione alsoggetto passivo: se il reato ricorre a danno di un cittadino o delloStato italiano, occorre che si tratti di delitto punito con reclusione noninferiore a 1 anno, che il reo si trovi nel territorio dello Stato e chevi sia richiesta del ministero della giustizia, ovvero istanza o quereladella persona offesa. La perseguibilità del reato commesso all’estero èsubordinata agli stessi requisiti richiesti per il caso in cui il fattosia compiuto nello Stato italiano, per cui la proposizione, unitamentealla richiesta del Ministro, rappresenta condizione imprescindibile nelcaso in cui essa sia prevista dalla legge in via generale.

5. DELITTO POLITICO COMMESSO ALL’ESTERO: NOZIONE Art. 8.3 Cp: definisce il delitto politico commesso all’estero agli effettidella legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interessepolitico dello Stato, ovvero un delitto politico del cittadino. È altresì

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considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte,da motivi politici. Occorre fare una distinzione:

- delitto politico in senso oggettivo: offende un interesse politico delloStato considerato nella sua essenza unitaria. Rientrano nella nozione siai delitti contro la personalità dello Stato, sia quelli previsti da leggispeciali che offendono lo Stato in una delle predette componenti. Non siconsiderano tali, invece, i delitti commessi contro il potereamministrativo o giudiziario dello Stato. Rientra in questa categoriaanche il delitto che offende un diritto politico del cittadino dipartecipare alla vita dello Stato;

- delitto politico in senso soggettivo: si deve distinguere tra motivopolitico e sociale. Il primo è quel motivo del reato che determina lacondotta in funzione di una concezione ideologica relativa alla strutturadei poteri dello Stato e sui rapporti tra Stato e cittadino. Il secondo,invece, è quel motivo che orienta la condotta dell’agente in funzione diuna concezione della società che non necessariamente si riflette inmaniera immediata sulla forma politica.

Inoltre anche la Costituzione dedica una parte alla disciplina del delittopolitico. Ultimamente, anzi, risulta prevalente la tesi autonomistica secondocui la Costituzione disciplina in modo autonomo il concetto di delitto politico.La corrente prevalente assume come criterio della natura politica del delitto larelazione intercorrente tra il fatto commesso e le libertà democratichegarantite dalla Cost. italiana. Per tanto potrà avvantaggiarsi dei benefici deldivieto di estradizione o del diritto di asilo soltanto gli autori dei reaticommessi all’estero con il fine di lottare contro un regime autoritario o perfar valere i diritti fondamentali il cui esercizio viene di fatto impedito. Percontro non dovrebbero beneficiare di trattamenti di favore, tutti coloro cheabbiano commesso fatti che vanno contro le libertà democratichecostituzionalmente garantite.

Sezione IIAmbito di validità personale della legge penale

1. PREMESSAPrincipio di obbligatorietà: nello Stato moderno deve considerarsi unaproiezione del principio di uguaglianza. Nel codice è sancito all’art. 3: “ Lalegge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, sitrovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal dirittopubblico interno o internazionale”. Agli effetti della legge penale, è cittadinocolui che ha il possesso dei requisiti previsti dalla legge per conseguire lacittadinanza italiana. È straniero colui che è legato ad un rapporto dicittadinanza con uno Stato estero, oppure l’apolide residente all’estero. Invecele eccezioni di cui parla l’art. 3, si risolvono nella esenzione di un soggettodall’applicazione della sanzione penale esse sono denominate immunità penalie definiscono un complesso di situazioni unificate solo dall’effetto finaledella sottrazione al potere coercitivo dello Stato. Ci sono diversi tipi diimmunità:

- assolute: si estendono a tutti i reati, senza distinzione tra attivitàfunzionale e attività extrafunzionale;

- relative: sono riconosciute solo in costanza di carica e richiedonoun’autorizzazione al procedimento penale da parte di organi diversi dalgiudice ordinario;

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- di natura sostanziale: riferite agli atti compiuti, ai voti espressi ealle opinioni nell’esercizio di funzioni;

- di natura processuale: riferite agli atti compiuti fuori dall’eserciziodelle funzioni e perseguibili al momento della cessazione della carica.

Il riconoscimento dell’immunità penale deriva di solito dal bilanciamento tradue confliggenti interessi:

- il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento e dei dirittiinalienabili della persona richiede che l’autorità giudiziaria non rimangainerte di fronte agli illeciti per ragioni di giustizia e disoddisfacimento delle vittime;

- l’esigenza di tutela di particolari funzioni costituzionali o dellerelazioni internazionali, impone una limitazione della potestà punitivastatuale nelle forme ritenute più idonee in rapporto alla consistenzadell’interesse confliggente che si intende proteggere.

2. FONTE GIURIDICA DELL’IMMUNITÀ: vedi pg. 1393. DIRITTO INTERNAZIONALE: vedi pg. 143

4. NATURA GIURIDICA DELL’IMMUNITÀ Per valutare la natura dell’immunità, è necessario valutare due elementi:

a) effetto tipico : in tutti i casi in cui l’immunità di un soggetto èconseguenza delle sue azioni, non può contestarsi che si è in presenza diuna causa di giustificazione. In altri casi, invece, l’immunità vaspiegata con il ricorso alla categoria dell’incapacità penale oprocessuale, o va considerata come sottrazione alla potestà di coercizionepenale;

b) contesto : bisogna distinguere tra immunità di diritto interno ointernazionale. Nel primo caso la tutela degli interessi attiene adinteressi essenziali all’integrità del sistema interno e quindiprevalenti rispetto ad altri interessi. Nel secondo caso, invece,l’esistenza dell’immunità dipende dal mantenimento di relazionidiplomatico con altri Stati esteri, a garanzia di una pacifica convivenzatra i popoli. Ciò induce a ravvisare nell’immunità un mero limitegiurisdizionale.

CAPITOLO VNozioni di teoria generale del reato

Sezione IConcetti generali

1. DEFINIZIONE FORMALE DI REATONatura formale di reato = ogni fatto umano cui la legge ricollega una sanzionepenale si limita ad indicare i fatti che costituiscono reato per undeterminato ordinamento positivo. Il concetto di reato è connesso soltanto infunzione delle conseguenze giuridiche che il legislatore riconnette ai fatti inquestione. L’illecito penale (considerato sotto il punto di vista formale) presenta alcunecaratteristiche:

- creazione legislativa : solo una legge in senso stretto può disciplinaregli elementi costitutivi del reato, in virtù del principio nullum crimen

Figure soggette a immunità

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sine lege (art. 25 Cost.). Fonti di livello secondario possono soltantocontribuire a specificare elementi già legislativamente predeterminati nelnucleo legislativo essenziale;

- formulazione tassativa : la legge deve fissare con la maggioredeterminatezza possibile i fatti costituenti reato;

- carattere personale : è vietata ogni forma di responsabilità per fattopenale altrui e il reato deve atteggiarsi a fatto tendenzialmentecolpevole (art. 27, comma 1, Cost.).

2. IL PROBLEMA DELLA DEFINIZIONE SOSTANZIALE DEL REATO Con il passare del tempo la dottrina ha elaborato una definizione di reatoaccettata da tutti a livello sostanziale. Il reato, innanzitutto, va definitocome lesione o messa in pericolo di un bene giuridico, che appaia meritevole diprotezione penalistica in base alle direttive di tutela potenzialmentevincolanti desumibili dalla Costituzione. Oltre a ciò, occorre tenere contoanche dei principi di sussidiarietà e meritevolezza della pena. La definizionesostanziale che si ricava da questo insieme è, quindi, la seguente: è reato unfatto umano che aggredisce il bene giuridico ritenuto meritevole di tutela da unlegislatore che si muove nel quadro dei valori costituzionali, sempreché lamisura dell’aggressione sia tale da far apparire inevitabile il ricorso allapena e sanzioni di tipo non penale non siano sufficienti a garantire un’efficacetutela. Queste definizioni non vanno considerate in assoluto, ma come criterioguida.

3.PORTATA E LIMITI DEL PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀÈ il principio che porta a ravvisare nell’aggressione di uno più beni giuridici,il motivo il nucleo essenziale del reato. Di questo principio ne è condiviso ilsignificato ideologico, però si controverte su:

- la sua costituzionalizzazione;- la sua valenza sia sul piano della astratta strutturazione legislativa dei

fatti di reato, sia su quello della concreta interpretazione ericostruzione delle fattispecie incriminatrici ad opera dell’interpretedottrinale o giurisprudenziale.

Siccome a tutt’oggi manca una disposizione che lo enunci, bisogna enuclearlo alivello normativo. I tentativi proposti sono avvenuti su:

1) art. 49, comma 2 c.p. “ La punibilità è altresì esclusa quando, per lainidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, èimpossibile l’evento dannoso o pericoloso”. L’ interpretazione che ne èstata data prevede che “non può esservi reato senza effettiva lesione omessa in pericolo di un bene giuridico”. Su tale interpretazione (e sullastessa esistenza del principio) c’è molta divisione sia in ambitodottrinale, sia giurisprudenziale.

2) Art. 25, comma 2 e art. 27, commi 1 e 3 Cost. si tratta di disposizioninormative che hanno fornito l’appiglio per elaborare l’interpretazionecostituzionalmente orientata del principio di offensività. La dottrinamaggioritaria, sulla loro base, sostiene che: “ il reato non puòincentrarsi su un atto di infedeltà dell’autorità statale o sullapericolosità soggettiva dell’autore; esso deve, piuttosto, consistere inun fatto socialmente dannoso e cioè in un fatto oggettivamente lesivo dibeni o interessi rilevanti e, perciò meritevoli e bisognosi di tutela”.

Il principio di offensività si considera operante su due piani:

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- criterio di conformazione legislativa dei fatti punibili, a livello difattispecie incriminatrici astratte: impegna il legislatore vincolandolo acostruire i reati dal punto di vista strutturale, come fatti cheincorporano un’offesa a uno o più beni giuridici;

- criterio giudiziario – interpretativo: impegna il giudice in sedeapplicativa a qualificare come reati solo i fatti che siano idonei anchein concreto ad offendere beni giuridici.

In realtà la valenza di tale principio resta ancora dubbia, anche secondo leopinioni rilasciate dalla Corte Costituzionale, che impone di ridimensionarel’assolutezza di questo principio.

4. DELITTI E CONTRAVVENZIONILa prima distinzione tra le due fattispecie fu introdotta con il Codice Rocco: idelitti rappresentano la forma più grave di illeciti, le contravvenzioni le menogravi. In questo ambito ha avuto un’importante ruolo la circolare dellaPresidenza del Consiglio dei Ministri 5 febbraio 1986, che ha avuto il merito diinserire elementi di razionalizzazione nella scelta tra delitto econtravvenzione, ma allo stesso tempo ha il limite di essere troppo “statica”(pone delle indicazioni valenti nell’ordinamento vigente, ma che tendono adavere carattere assoluto, come se dovessero valere anche per il legislatoreassoluto). Nell’ambito del diritto positivo vigente, il criterio più sicuro didistinzione tra le due fattispecie, è quello di natura formale:

1. art. 39 c.p.: “i reati si distinguono in delitti e contravvenzioni secondola diversa specie delle pene per essi rispettivamente stabilite da questocodice”;

2. art. 17 c.p.: “le pene principali stabilite per i delitti sono:l’ergastolo, la reclusione, la multa” e “le pene principali stabilite perle contravvenzioni sono l’arresto e l’ammenda”.

La distinzione tra delitti e contravvenzioni risulta molto rilevante in rapportoa vari istituti, soprattutto relativamente all’elemento soggettivo e del reato eal tentativo (è configurabile nell’ambito dei delitti). Ulteriore distinzione,si può ravvisare nell’art. 42 c.p.:

- comma 2: i delitti, di regola, richiedono il dolo e la punibilità a titolodi colpa rappresenta l’eccezione;

- comma 4: alla contravvenzione si risponde indifferentemente a titolo dicolpa o dolo.

5. IL SOGGETTO ATTIVO DEL REATOSi tratta di colui che realizza un fatto conforme ad una fattispecie astratta direato (reo, agente, colpevole). L’autore del reato può essere soltanto unapersona umana, indipendentemente dal sesso, età o da altri requisiti. Sidifferenziano, invece, diverse specie di capacità in base alle quali si èsoggette a determinate conseguenze giuridiche:

- capacità della pena: imputabilità (da art. 85 ad art. 98 c.p.);- capacità alle misure di sicurezza: pericolosità sociale (art. 199 e ss.

c.p.);- immunità: incapacità di essere assoggettati alle conseguenze penali.

Quando soggetto del reato può essere chiunque, il reato si definisce comune. In altri casi, invece, la fattispecie incriminatrice richiede il possesso diparticolari requisiti o qualità in capo al soggetto attivo, che possono essere:

- naturalistici : es. essere madre nel delitto di infanticidio;- giuridici : es. delitto commesso da pubblico ufficiale contro la p.a.

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In questo caso si parla di reato proprio si vuole indicare lo strettorapporto che si ha tra la speciale qualifica soggettiva rivestita dal soggetto eil bene giuridico assunto a oggetto di protezione penale.

6.IL PROBLEMA DELLA RESPONSABILITÀ PENALE DELLE PERSONE GIURIDICHEIl diritto positivo italiano, a tutt’oggi, non riconosce forme di responsabilitàpenale a carico di persone giuridiche. A sostegno di questa esclusione, vi èanche l’art. 197 c.p., il quale prevede un’obbligazione civile di garanzia dellapersona giuridica, per il caso in cui colui che ne abbia la rappresentanza,commetta un reato in relazione agli obblighi inerenti alla qualità rivestita.Purtroppo questa esclusione va in controtendenza con il crescente numero diilleciti societari che vengono commessi. Si parla di criminalità di impresa osocietaria. I maggiori inconvenienti si creano quando l’illecito costituisce laconseguenza di precise scelte di politica di impresa: la mancata punizionedell’impresa si traduce in un ingiustificato accollo di responsabilità ad unaltro soggetto, il quale sembra assumere il ruolo esclusivo di capro espiatorio.Al fine di riconoscere la predisposizione di sanzioni anche a carico degli enticollettivi, si riscontrano alcuni problemi:

a. individuazione dei meccanismi sanzionatori da adottare: innanzituttobisogna sempre fare riferimento al fatto che la responsabilità non èriconosciuta in capo alle persone giuridiche. Detto ciò, si è pensato diporre a carico della persona giuridica, sanzioni aventi carattere dellamisura di sicurezza. Il problema è che il requisito della pericolositàoggettiva, nel nostro ordinamento, non tollera una ricostruzione intermini puramente oggettivi e, inoltre, la prospettiva dellarisocializzazione risulta poco plausibile nei confronti di una personagiuridica (perché è composta da tante persone fisiche);

b. compatibilità della responsabilità delle persone giuridiche con i principicostituzionali relativi alla materia penale basandosi sull’art. 27,comma 1 Cost., è esclusa la responsabilità penale delle personegiuridiche, in quanto esso stabilisce che la responsabilità penale èpersonale.

7. LA RESPONSABILITÀ DA REATO DEGLI ENTI COLLETTIVI Nonostante le difficoltà sopracitate, è stata introdotta tramite d.lgs 8 giugno2001, n. 231, una importante riforma che prevede a responsabilità amministrativadegli enti collettivi per i reati commessi dai loro organi o dai lorosottoposti. In questa riforma, in realtà, si definisce “amministrativa”, unaresponsabilità che assume volto penale è strettamente collegata allacommissione di un fatto di reato e la sede in cui essa viene accertata è ilprocesso penale. (Vedi pg. 166 e ss. e anche il punto 8).

9. IL SOGGETTO PASSIVO DEL REATOSi identifica con il titolare del bene protetto dalla singola fattispecieincriminatrice di parte speciale è la persona offesa dal reato. Bisognadistinguere la nozione di soggetto passivo, da quella di oggetto materiale delreato: esso si riferisce alla persona o cosa sulla quale materialmente ricadel’attività delittuosa. Il concetto di soggetto passivo non coincidenecessariamente con quello danneggiato dal reato colui che subisce un dannopatrimoniale o non patrimoniale risarcibile e che, pertanto, è legittimato a

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costituirsi parte civile nel processo penale. Esistono anche i reati a soggettopassivo indeterminato, per alludere ad ipotesi nelle quali l’interessedell’offeso appartiene ad una cerchia indeterminata di persone. Le caratteristiche del soggetto passivo possono assumere rilevanza penale sottodiversi profili:

- ai fini della stessa configurabilità del reato (es. qualità di minore èessenziale per delitti di corruzione del minorenne);

- le caratteristiche del soggetto passivo possono determinare il mutamentodel titolo del reato;

- hanno rilevanza anche le relazioni che legano il soggetto attivo a quellopassivo e, quindi, sotto il triplice profilo di conferire rilevanza alfatto, di determinarne all’opposto la non punibilità, oppure di applicareuna circostanza aggravante.

Il soggetto passivo può avere rilevanza anche per la condotta tenutaanteriormente, contemporaneamente, o successivamente al reato.

Sezione IIStruttura del reato

2. ANALISI DELLA STRUTTURA DEL REATOIl primo elemento essenziale per l’esistenza di una fattispecie obiettiva direato, è il fatto umano. Esistono tre presupposti di punibilità del fatto:

1. tipicità si traduce nel giudizio di corrispondenza tra il fatto e loschema legale di una specifica figura di reato;

2. antigiuridicità il fatto deve risultare conforme alla fattispecieastratta del reato e deve essere realizzato contra ius;

3. colpevolezza il fatto deve essere riconducibile alla responsabilità diun soggetto che ne risulta autore.

Queste tre caratteristiche danno vita alla concezione tripartita del fatto. Essaconvive con la concezione bipartita (che non prende in considerazionel’antigiuridicità), però la prima è quella che meglio si adatta alle esigenze diindagine del fenomeno del reato. In effetti si necessita della presenza di tuttie tre gli elementi per potere affermare la responsabilità penale dell’agente ela sussistenza del reato: ciò è previsto anche dal cp quando ricollega il fattoall’antigiuridicità o alla colpevolezza si pensi a quelle disposizioni dilegge che escludono l’antigiuridictà quando il fatto sia stato commesso per:

- legittima difesa: art. 52 cp;- stato di necessità: art. 54 cp;- altra causa di giustificazione: art. 50, 51, 53 cp.

In quanto al legame con la colpevolezza il cp stabilisce nel suo art. 42, comma2 che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come delitto,se egli non lo abbia compiuto con dolo (salvo i casi di delittopreterintenzionale o colposo previsti dalla legge). Rafforzamento di questoultimo legame è rappresentato dall’art. 27, comma 1 Costituzione laresponsabilità penale è personale.

3. FATTO TIPICOLa funzione della categoria del fatto è quella di selezionare le forme di offesameritevoli di sanzione penale.Il termine fatto o fattispecie, allude a tutti i presupposti oggettivi esoggettivi necessari a produrre la conseguenza giuridica nel diritto penaleva inteso con una concezione più ristretta: complesso degli elementi

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comprendenti il volto di uno specifico reato. Identificare il concetto di fattocon quello di reato, equivale a plasmare il primo in funzione del precettonullum crimen sine lege: si indicano ai cittadini i fatti da cui devonoastenersi per non incorrere in sanzioni. Il compito del fatto tipico è quello dicircoscrivere specifiche forme di aggressione ai bei penalmente tutelati: lacategoria della tipicità segna i limiti della tutela dei beni giuridicimeritevoli di protezione, selezionando le forme di offesa che il legislatoreritiene così intollerabili da giustificare il ricorso alla sanzione punitiva. Il fatto giuridico, inoltre, deve anche rispettare il principio di materialità,che esige che il reato si manifesti in un contegno esteriore accertabile nellarealtà fenomenica. Il fatto giuridico deve, quindi, rispettare i principi di:

- legalità;-materialità;- tipicità.

4. TIPICITÀ E OFFESA DEL BENE GIURIDICOLa tipicità del fatto si riconnette alla lesione del bene giuridico: infatti ilriferimento al bene tutelato svolge un’essenziale funzione ai fini della stessadeterminazione del concetto di tipicità. La categoria della tipicità assolvealcune importanti funzioni:

1. criterio legislativo di criminalizzazione: ruolo fondante e costitutivodella punibilità;

2. criterio ermeneutico: in prospettiva teleologica;3. funzione dogmatica: consiste nel far sì che la tipicità stessa, includa

concettualmente la lesione del bene giuridico. Esiste anche una categoria chiamata tipicità apparente: l’esteriore conformitàdel fatto ad una fattispecie di reato, non corrisponde realmente ad unaeffettiva lesione del bene protetto.

5. ANTIGIURIDICITÀ La tipicità o conformità alla fattispecie fornisce un indizio del carattereantigiuridico del fatto, dal momento che i modelli di reato della parte specialeconfigurano fatti normalmente illeciti. L’antigiuridicità è un momento diriprova del carattere illecito del fatto tipico. I conflitti fra norme e quellifra beni giuridici sono tipicamente valutati in sede di antigiuridicità sicircoscrive l’ambito di tutela della norma penale e la si pone nel complessodelle altre norme , per chiarirne il reciproco condizionamento. La rilevanzadell’ antigiuridicità in seno all’intero ordinamento è comprovata dalle normeprocessuali che regolano i rapporti tra processo penale, civile e amministrativo l’art. 651 cpp vincola il giudice civile e amministrativo al giudicato penaledi condanna “quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della suailliceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso”. Questoriferimento esplicito all’illiceità, riprova che l’antigiuridicità del fattocostituisce un requisito unitario accertabile con riguardo:

- al torto penale;- al torto civile;- al torto amministrativo.

L’antigiuridicità ha carattere oggettivo all’interno della concezione tripartitadel reato: costituisce una caratteristica oggettiva del fatto tipico e come tale

La categoria del fatto tipico dovrebbe assolvere lafunzione di ancorare modelli delittuosi a determinatitipi di comportamento, basati su categorie empirico –

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prescinde ed è distinta dalla colpevolezza. Questo suo carattere è dato anchedal suo comportamento unitario all’interno dell’ordinamento giuridico. Tuttaviauna parte della dottrina nega che l’antigiuridicità rivesta un ruolo unitarionell’ordinamento alcuni autori fanno ricorso agli elementi negativi del fattoper spiegare le cause di giustificazione (scriminanti): essi sono elementi chedevono mancare perché l’illecito penale si configuri. In realtà questa visionedottrinale non è apprezzabile ne sotto il punto di vista teleologico, ne sottoquello logico-astratto le scriminanti servono solo ad integrare il dirittopenale e per questo la tutela del bene protetto dalla norma incriminatrice devecedere rispetto alla tutela del bene contrapposto oggetto della normaextrapenale che configura la causa di giustificazione (v. es pg. 188). Dalcarattere non specificamente penale delle norme che configurano le cause digiustificazione, derivano importanti conseguenze:

- la disciplina delle situazioni che integrano scriminanti non ènecessariamente subordinata al principio di riserva di legge (quindi èammissibile che un diritto possa trovare la sua causa di giustificazionein una consuetudine). Inoltre le scriminanti sono passibili diinterpretazione analogica, essendo basate su norme autonome ed extrapenalidesumibili da tutto l’ordinamento;

- il fatto obiettivamente lecito non è punibile e, in più, è legittimorispetto ad ogni settore dell’ordinamento esso non potrà esserepresupposto di nessuna azione sanzionatoria ne civile, ne disciplinare, neamministrativa;

- il fatto obiettivamente lecito paralizza ogni forma di reazione, anchelegittima, contro di esso, per cui non è mai impedibile.

Si suole parlare anche di antigiuridicità speciale riguardo quei casi in cuila condotta tipica è contraddistinta da una nota di illiceità desumibile da unanorma diversa da quella incriminatrice. Essa consiste in un elemento diversorispetto all’antigiuridicità oggettiva, intesa come assenza di cause digiustificazione. La presenza di antigiuridicità speciale si ricava da alcuneformule, come: “illegittimamente”, “arbitrariamente”, “abusivamente”, ecc. sitratta di elementi normativi della fattispecie per la cui determinazioneconcettuale occorre fare riferimento ad una disposizione extrapenale,potenzialmente appartenente a qualsiasi ramo dell’ordinamento. Attraverso lepredette formule, il legislatore accenna nella maggior parte dei casi, lapresenza di antigiuridicità speciale.

6. COLPEVOLEZZALa colpevolezza riassume le condizioni psicologiche che consentono l’imputazionepersonale del reato all’autore. Nel giudizio di consapevolezza, rientrano:

1. la valutazione del legame psicologico o del rapporto di appartenenza trafatto e autore;

2. la valutazione delle circostanze di natura personale e non, che incidonosulle capacità di autodeterminazione del soggetto.

Concezione liberal-garantistica.Nell’attuale momento storico, però, vige il predominio della teoria preventivadella pena, per cui la colpevolezza perde in parte il tradizionale ruolo difondamento della pena stessa più precisamente cambia la ratio su cui si basaquesto suo ruolo: infatti essa va individuata nell’ambito di una prospettivaidonea a contemperare l’efficienza preventiva dell’ordinamento penale, con legaranzie di libertà fondamentali dell’individuo. La legge penale garantisce lelibertà di scelta individuali e subordina la punibilità alla presenza di

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coefficienti soggettivi (colpa e dolo) l’assumere il dolo o la colpa comepresupposti della punibilità, consente al soggetto di pianificare la propriavita senza incorrere in sanzioni penali: ad egli è permesso di conoscere ciò cheè prevedibile ed evitabile, proprio grazie a questo sistema. Parere della Corte Costituzionale.La Corte con la sent. 364/88 ha smentito la visione liberal-garantistica e haravvisato la ratio della consapevolezza nell’esigenza di garantire al privato lacertezza di libere scelte d’azione gli viene garantito che sarà chiamato arispondere solo delle azioni da lui controllabili e mai per comportamenti che,solo fortuitamente, producono azioni penalmente vietate. La colpevolezza assurge a criterio cardine cui commisurare la stessa conformitàalla Costituzione, della disciplina dei presupposti della responsabilità penale.Nella dottrina contemporanea la colpevolezza in senso dogmatico tende ad essereconcettualmente distinta a seconda che essa funga da:

- elemento costitutivo del reato si pone accanto a tipicità edantigiuridicità;

- criterio di commisurazione della pena la colpevolezza assurge acategoria di sintesi di tutti gli elementi, imputabili al soggetto, da cuidipende la gravità del singolo fatto di reato.

8. CLASSIFICAZIONE DEI TIPI DI REATO (v. pg. 106 Riz)

PARTE SECONDA: IL REATO COMMISSIVO DOLOSO

CAPITOLO ITipicità

1. PREMESSA: LA FATTISPECIE E I SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI Gli elementi costitutivi della fattispecie variano a seconda delle varietipologie delittuose. La fattispecie legale assolve, innanzitutto, ad unafunzione di garanzia: ciò che non rientra in una fattispecie legalmentetipizzata non può costituire materia di divieto e non può integrare un illecitopenale. Nella scienza penalistica si parla di fattispecie in un’accezione piùristretta , che obbedisce alle esigenze di una teoria analitica del reato: inquesto senso il concetto di fattispecie arriva a coincidere con quello di fattotipico, quale categoria distinta dall’antigiuridicità e dalla colpevolezza. Secondo la concezione oggi dominante il fatto tipico va inteso con unaconcezione ampia, poiché:

- ricomprende elementi descrittivi;- elementi normativi;- componenti soggettive, che assolvono a funzioni integratrici della

tipicità in senso rigidamente materiale.

2. CONCETTO DI AZIONE Per capire il concetto di azione, bisogna partire da quello di condotta. L’art.40 cp pone in evidenza i tre elementi fondamentali del fatto tipico:

- condotta = azione od omissione;- nesso di causalità;- evento

ha rilevanza penale quella condotta che viola un divieto o un comando impostodalla legge. Quindi la condotta è quel comportamento antidoveroso che,

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attraverso azione od omissione, si pone in contrasto con una norma penale assume ragionevole rilevanza solo se il comportamento causa un effetto giuridicooffensivo (lesione o messa in pericolo) del bene giuridico tutelato.L’azione umana rappresenta la base su cui poggia l’intera costruzione dogmaticadel reato commissivo doloso. L’azione è un comportamento attivo e operoso che sievidenzia in un movimento fisico che può essere limitato anche solo a una mossa,una parola, un gesto, un cenno. Nell’ambito del reato commissivo, la condottacorrisponde a una azione volta alla causazione di un evento lesivo. Art. 421 cp: “nessuno può essere punito per un’azione prevista dalla legge comereato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà” per rilevare penalmente,l’azione deve consistere in un movimento corporeo cosciente e volontario. Inquesto caso dobbiamo distinguere a seconda che si tratti di un reato commissivo:

doloso: qui l’azione è sempre caratterizzata dalla partecipazioneeffettiva della coscienza e volontà;

colposo: presuppone che vi siano a monte coscienza e volontà dellacondotta, però a differenza del doloso, va integrato con i vari parametridi responsabilità per negligenza, imprudenza o imperizia ecc.

3. AZIONE DETERMINATA DA FORZA MAGGIORE O DA COSTRINGIMENTO FISICO. CASOFORTUITO. L’azione punibile deve essere accompagnata dal requisito della coscienza evolontà. Vi sono situazioni, però, nelle quali non si può mai giungere ad ungiudizio di colpevolezza, perché manca già in partenza la precondizione diaddebito a titolo di dolo o colpa. Dette situazioni sono:

forza maggiore: art. 45 “ non è punibile chi ha commesso il fatto perforza maggiore”. Si riferisce a qualsiasi energia esterna contro la qualeil soggetto non è in grado di resistere e che perciò lo costringenecessariamente ad agire: il soggetto agitur, non agit (es: cause naturalidi forza maggiore). Tenere presente che non si può più parlare di forzamaggiore se l’agente dispone di un sufficiente margine di scelta: inquesto caso si applicheranno le norme sullo stato di necessità o sullacoazione morale.

costringimento fisico: art. 46 “non è punibile chi ha commesso il fattoper esservi stato da altrui costretto., mediante violenza fisica, allaquale non poteva resistere o comunque sottrarsi. In tal caso del fattocommesso dalla persona costretta, risponderà l’autore della violenza”. Ilcostringimento fisico è una specificazione della forza maggiore. Occorreche la volontà dell’agente sia coartata in maniera assoluta: se sussistonomargini di scelta, si ricade nella diversa ipotesi della coazione morale.

caso fortuito: art. 45 “non è punibile chi ha commesso il fatto per casofortuito”. Esso non sempre esclude l’esistenza dell’azione risultadall’incrocio tra un accadimento naturale e una condotta umana, da cuideriva l’imprevedibile verificarsi di un elemento lesivo. Questo istitutoassume un aspetto polivalente:

- in alcuni casi potrà essere valutato nell’ambito dell’elemento soggettivo,in quanto si presta ad esemplificare circostanze che rendono impossibilel’osservanza del dovere di diligenza richiesto nella situazione concreta:es. malore improvviso che impedisce di rispettare le norme di traffico;

- in altri potrà assumere rilevanza come fattore di esclusione del nessocausale tra condotta ed evento: es. ferito che perde la vita a causa di unfortuito incendio dell’ospedale in cui è ricoverato.

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4. PRESUPPOSTI DELL’AZIONE Sono presupposti la stessa norma penale, il bene giuridico, il soggetto attivo,il soggetto passivo ecc.Il concetto di presupposti è utile ai fini della scomposizione analiticadell’illecito, se circoscritto alle circostanze, di fatto o di diritto, che inalcuni casi devono essere concomitanti con la condotta, perché questa assuma uncarattere criminoso. I presupposti dell’azione possono riferirsi a:

- soggetto attivo specificandone un ruolo o una qualità;- oggetto materiale della condotta;- contesto che deve preesistere alla condotta;- il soggetto passivo del reato.

L’utilità pratica dei presupposti emerge soprattutto nell’ambito del dolo:trattandosi di elementi che precedono l’azione possono essere non già voluti, maconosciuti dal reo.

5. OGGETTO MATERIALE DELL’AZIONE Oggetto materiale dell’azione definisce la persona o la cosa sopra il qualericade l’attività fisica del reo: es. la cosa nel delitto di furto. L’oggetto penale dell’azione si distingue:

a) dall’oggetto giuridico dell’azione come bene protetto: es. nel delitto difalso l’oggetto materiale della condotta è costituito dal documentofalsificato, mentre il bene giuridico è la fede pubblica;

b) dal soggetto passivo del reato: es. delitto consensuale di sottrazione diminori, nel quale l’interesse protetto è la potestà di entrambi igenitori, l’oggetto dell’azione è il minore protetto.

L’oggetto materiale dell’azione può essere sia unico che plurimo.La separazione concettuale tra oggetto dell’azione e della tutela penale (benegiuridico) si accentua sempre di più, quando il bene giuridico subisce unprocesso di spiritualizzazione.L’oggetto materiale assume rilevanza quale requisito che concorre alladeterminazione e specificazione del fatto tipico.

6. EVENTOL’evento si divide in:

Evento giuridico: per tutti i reati è valido il principio di offensività ela lesione del bene tutelato costituisce quell’evento giuridico che vavisto in funzione di una determinata offesa, la quale può ancheprescindere dal verificarsi o no di un accadimento naturalistico. Siconsidera, quindi, l’evento in senso giuridico quale l’offesa del benegiuridico tutelato. All’evento giuridico bisogna fare richiamo nei reatidi pura condotta ci si trova di fronte a una condotta volontaria ecosciente, posta in essere in funzione di un’offesa del bene giuridico. Sicaratterizzano di un’offensività non solo causalmente orientata, ma anchecausalmente ricollegabile a chi l’ha posta in essere. Di conseguenza unacondotta cosciente e volontaria che provoca l’offesa del bene giuridicotutelato dalla norma penale, è già di per sé stessa un fatto tipico. Inpiù se si considera che non tutti i reati presentano un eventonaturalistico, si perviene alla conclusione che il codice si rifàall’evento in sé, senza distinguere tra reati con evento giuridico equelli con evento naturalistico.

Evento naturalistico: si realizza quando la norma tipicizza un eventoesteriore il quale, nell’ambito dello stesso fatto, è temporaneamente e

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spazialmente separato dalla condotta, ma ad essa è collegabile in forza diun rapporto di causalità. Nel sistema penale moderno non si può concepireil reato senza comprendervi quelle condotte coscienti e volontariefinalizzate a causare un’offesa al bene giuridico, anche se non siverifica una modifica al mondo esteriore bisogna tenere conto che nellanostra società si verificano sia reati con evento giuridico, sia reati conevento naturalistico.

7. RAPPORTO DI CAUSALITÀ Teorie legate alla causalità:

1. Teoria condizionalistica o della conditio sine qua non (1873). Consideracausa dell’evento ogni singola condizione, ogni antecedente senza il qualel’evento non si sarebbe verificato. Quindi è sufficiente che si siarealizzata una condizione qualsiasi dell’evento per causare responsabilità tutti coloro che hanno posto in essere un antecedente, indispensabileper il verificarsi del risultato, sono responsabili al pari di altrepersone che abbiano a loro volta posto in essere condizioni che abbianoconcorso a provocare l’evento: in questo modo in un reato di omicidiopotrebbero considerarsi colpevoli i genitori del reo, per il solo fatto diaverlo procreato. Questa teoria è in contrasto con la causalitàalternativa ipotetica; causalità addizionale e causa sopravvenuta da solasufficiente. Visto che tutte le condizioni vanno a costituire causadell’evento, si perviene a una visione eccessiva del concetto di causa e arisultati in netto contrasto con le esigenze del diritto e con il senso digiustizia perciò le si aggiungono dei correttivi:

Correttivo dolo-colpa: sul terreno penalistico si selezionano comeantecedenti causali le sole condotte che assumono rilevanza rispettoalla fattispecie incriminatrice di volta in volta considerata. Inpiù questa teoria non tiene in considerazione gli elementi del doloe della colpa, come fattori che contribuiscono a circoscriverel’ambito di rilevanza di tutti i possibili antecedenti del risultatolesivo.

Correttivo dell’evento concreto: in questo caso importa l’esistenzadi una catena causale sussistente fra l’azione dell’autore e unevento concreto, mentre è irrilevante la circostanza che potrebberoverificarsi eventi analoghi per effetto di altre cause operantiall’incirca nel medesimo momento.

2. Teoria condizionalistica orientata secondo il modello della “sussunzionesotto leggi scientifiche”. Si tratta di una più recente elaborazionedottrinale con la quale si è cercato di dare risposta alle problematichedelle teorie più antiche coniugandole con l’esigenza di pervenire ad unmetodo di spiegazione causale che consente di ricostruire il rapportoazione-evento, come modello che possa essere spiegato sulla base di leggigenerali di copertura che permettano di sussumere in se stesse l’azione el’evento concepiti come accadimenti riproducibili in presenza delricorrere di determinate condizioni e non come fenomeni singolari eirripetibili. Dette leggi di copertura si dividono in:

Leggi universali: risulta certo che da un determinatocomportamento, deriva un determinato evento, senza che sipresentino eccezioni.

Leggi statistiche: sono in grado di dimostrare sulla base diparametri razionalmente verificabili che, senza il comportamento

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dell’agente, con un alto grado di probabilità l’evento non sisarebbe verificato.

3. Teoria della causalità adeguata (1889). Parte dalla premessa che perritenere esistente il rapporto di causalità, occorre che la persona abbiadeterminato l’evento con un’azione adeguata. La condotta, così, è adeguatasolo se è idonea a causare l’effetto, basandosi su una valutazione dicomune esperienza sarà il Giudice che con un giudizio ex ante,stabilirà se si tratta di condotta adeguata o no.

In realtà nessuna tra queste due teorie (quelle più antiche) è idonea adessere applicata contemporaneamente ai reati commissivi e a quelli omissivi.

8. CONCAUSE Art. 41 cp: norma dedicata alla concause (concorso di più condizioni). Sitratta del fenomeno del ricorso di più condizioni nella produzione dello stessoevento. Esso rispecchia l’ordinario svolgimento dei decorsi casuali è normaleche alla produzione di un evento concorrano più fattori causali, mentre è moltopiù raro che la singola azione del reo esaurisca da sola il processo causativo:perché l’azione umana equivalga a causa nel senso del diritto penale, basta checostituisca una delle condizioni necessarie che concorrono a determinarel’evento tipico. Concause:

Art. 411 cp: “Il concorso di cause preesistenti o simultanee osopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione delcolpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione odomissione e l’evento”. Si tratta di una riaffermazione superflua di ciòche è stabilito nella teoria condizionalistica dell’art. 401 cp;

Art. 413 cp: “Le disposizioni precedenti si applicano anche quando lacausa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fattoillecito altrui”. Questo significa che la causa concorrente può ancheessere costituita da fatto illecito altrui.

Art. 412 cp: “Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalitàquando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”.L’interpretazione di questa norma è più problematica. In base alprincipio ermeneutico della conservazione delle norme, si impone unadiversa interpretazione, da quella che potrebbe apparire se basata sulsenso letterale dell’art. 41, secondo comma deve essere intesa comeuna norma che tende a temperare gli eccessi punitivi derivanti da unarigorosa applicazione del criterio condizionalistico. Questadisposizione rappresenta l’unica sede normativa che, nel nostroordinamento, può dare luogo a categorie causali diverse dalla condiciosine qua non. L’esigenza di temperamento emerge in rapporto a quei casiche fuoriescono dagli schemi di ordinaria prevedibilità. Secondo questocomma dell’art. 41, dunque, un nesso causale penalmente rilevantedovrebbe essere escluso in tutti i casi nei quali l’evento lesivo nonsia inquadrabile in una successione normale di accadimenti.

CAPITOLO II

Antigiuridicità e singole cause di giustificazione

CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE NEL NOSTRO ORDINAMENTO:

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Esercizio del diritto; Adempimento di un dovere; Difesa legittima; Uso delle armi; Consenso dell’interessato; Stato di necessità.

1. PREMESSACause di giustificazione = cause che escludono l’antigiuridictà del fatto. Sidefiniscono anche come cause di esclusione dell’antigiuridicità e corrispondonoa quelle situazioni normativamente previste, nelle quali viene meno il contrastotra un fatto conforme ad una fattispecie incriminatrice e l’intero ordinamentogiuridico. Siccome le cause di giustificazione sono desumibili da qualsiasi brancadell’ordinamento giuridico, la loro efficacia si estende a tutti i ramidell’ordinamento: la sua presenza rende inapplicabili anche le sanzioni civili eamministrative. In realtà l’espressione “cause di giustificazione” è estranea al codice ed è dimatrice dottrinale. Il legislatore ha, infatti, preferito parlare di“circostanze che escludono la pena”, art. 59 cp: ne esistono vari livelli e trediverse categorie. Sono:

1. cause di giustificazione in senso stretto: esercizio di un diritto;legittima difesa rendono inapplicabile qualsiasi tipo di sanzione,poiché annullano l’antigiuridicità o illiceità come contrasto tra il fattoe l’intero ordinamento giuridico. Inoltre si estendono a tutti coloro cheeventualmente prendono parte alla commissione del fatto medesimo e operanoin forza della loro obiettiva esistenza, quindi anche quando siano difatto sconosciute o per errore ritenute inesistenti.

2. Cause di esclusione della colpevolezza o scusanti: ipotesi del fattorealizzato per effetto della coazione morale esercitata da altri lasciano integra l’antigiuridicità o illiceità del fatto, ma fanno venirmeno la possibilità di poter muovere un rimprovero al suo autore: sitratta di tutte quelle situazioni nelle quali il soggetto sotto lapressione di circostanze psicologicamente coartanti che rendonodifficilmente esigibile un comportamento diverso conforme a diritto onelle quali egli agisce in difetto del richiesto elemento soggettivo.

3. Cause di esenzione della pena in senso stretto sono circostanze chelasciano sussistere sia l’antigiuridicità, sia la colpevolezza: la lorospecifica ragione d’essere consiste in valutazioni di opportunità circa lanecessità o meritevolezza della pena, avuto anche riguardo disalvaguardare contro interessi che risulterebbero altrimenti lesi daun’applicazione della pena nel caso concreto. Le circostanze del caso,però, non sono estensibili ad eventuali concorrenti del reato: es. non sipunisce il figlio che abbia rubato al padre (per considerazioni relativeall’unità della famiglia), però rimane punibile il suo complice nel furto.

Art. 50 cp: esimenti di portata generalissimi, applicabili a quasi tutti i reati cause di giustificazioni comuni.Per converso esistono anche cause di giustificazione speciali, applicabili soloa determinati tipi di reato.

2. FONDAMENTO SOSTANZIALE E LA SISTEMATICA DELLE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE

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Per spiegare il fondamento sostanziale delle cause di giustificazione, ladottrina adotta due tipi di modelli esplicativi:

Monistico secondo questo modello tutte le scriminanti andrebberoricondotte ad uno stesso principio, che può essere ravvisato, a secondadei casi, nei criteri di:

- mezzo adeguato per il raggiungimento di un fine previsto dall’ordinamento;- prevalenza del vantaggio sul danno;- bilanciamento tra beni in conflitto;- giusto contemperamento tra interesse e controinteresse.

Bisogna tenere presente, però, che ogni causa di giustificazione ha deglielementi ad essa propri ed è quindi necessario un approccio che tengapresente delle corrispondenti peculiarità contenutistiche.

Pluralistico la dottrina dominante propende per questo modello. Essotende a condurre le esimenti a principi diversi. I criteri più invocatisono:

- interesse prevalente: spiega le scriminanti dell’esercizio del diritto,dell’adempimento del dovere, dell’uso delle armi e della legittima difesa;

- interesse mancante: spiega le scriminanti del consenso dell’avente diritto edello stato di necessità.

3. DISCIPLINA DELLE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONEIl codice penale sottopone le cause di giustificazione ad alcune regole comunipreviste da:

1) art. 591 cp: rilevanza obiettiva “Le circostanze che … escludono la penasono valutate a favore dell’agente, anche se da lui non conosciute o dalui per errore ritenute inesistenti”. La dottrina italiana prevalenteritiene che le cause di giustificazione contenute nel codice operino su diun piano meramente oggettivo: vengono valutate a favore dell’agente invirtù della loro sola esistenza, a prescindere dalla consapevolezza chequest’ultimo ne abbia.

2) Art. 594 cp: rilevanza dell’errore putativo “Se l’agente ritiene pererrore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sonosempre valutate a favore di lui”. Si attribuisce valore alla scriminanteputativa, equiparando la situazione di chi agisce effettivamente inpresenza di una causa di giustificazione a quella di chi confidaerroneamente nella sua esistenza. L’errore per potere avere efficaciascusante, deve avere:

- presupposti di fatto che integrano la causa di giustificazione (es. Tizio,a causa di un errore di percezione, pensa di essere aggredito da Caio ereagisce difendendosi);

- norma extrapenale integratrice di un elemento normativo della causa digiustificazione.È da escludere, invece, la rilevanza esimente dell’errore di diritto ignorantia legis non excusat.

3) Art. 594 cp: errore colposo se l’errore sulla presenza di unascriminante è dovuto a colpa dell’agente, la punibilità non è esclusa,quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. Ladisposizione prevede un vero e proprio delitto colposo e la disciplinarelativa a questo tipo di errore, è applicabile anche allecontravvenzioni.

4) Art. 55: eccesso colposo “Quando, nel commettere alcuno dei fattipreveduti dagli artt. 51, 52, 53, 54, si eccedono colposamente i limiti

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stabiliti dalla legge o dall’ordine delle autorità ovvero imposti dallanecessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, seil fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. Si riferisce allafigura dell’eccesso colposo, che si verifica quando sussistano ipresupposti di fatto di una causa di giustificazione, ma l’agente percolpa ne supera i limiti. Questo si distingue dalla “erronea supposizione”nella quale la causa di giustificazione non esiste nella realtà, masoltanto nella mente di chi agisce. Il giudizio relativo alla naturacolposa del superamento dei limiti dell’agire consentito, si effettua allastregua dei parametri contenuti nell’art. 43. Il superamento devedipendere da:

- difetto inescusabile di coscienza della situazione concreta da parte delsoggetto;

- da altre forme di inosservanza delle regole di condotta a contenutoprecauzionale relative all’uso di mezzi o alle modalità di realizzazionedel comportamento.Ciò che conta è che la volontà dell’agente sia sempre tesa a realizzarequel fine che nella situazione concreta rende giustificato ilcomportamento e che, per cause di errore colposo, si realizza uncomportamento sproporzionato rispetto a quello che sarebbe statosufficiente produrre. Per quanto riguarda la natura giuridica dell’eccesso colposo: il delittocommesso in situazione di eccesso, deve sempre considerarsi un vero eproprio delitto colposo. La volontarietà del fatto è viziata da un erroreinescusabile, che si converte in una falsa rappresentazione dei confinientro i quali è consentito agire. Non si applica il dolo poiché mancal’elemento conoscitivo: infatti l’errore di valutazione in cui cadel’agente, potrebbe essere evitato prestando maggiore attenzione e questofa sì che sussistano i presupposti strutturali del comportamento colposo.

TIPOLOGIE 4. CONSENSO DELL’AVENTE DIRITTO Art. 50 cp: “Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consensodella persona che può validamente disporne”. Ratio: non vi è ragione che lo Stato appresti tutela penale di un interesse,alla cui salvaguardia il titolare mostra di rinunciare, consentendone lalesione. Ambito di operatività: questa norma introduce una causa di liceità, però vacircoscritto alle ipotesi nelle quali il giudice accerta un fatto tipico alcompleto dei suoi elementi nelle quali il dissenso dell’avente diritto noncostituisce un esplicito requisito del fatto di reato: il consenso dell’offesoha come requisito quello di rendere lecito o giustificare un fatto, chealtrimenti costituirebbe un illecito penale. Natura giuridica del consenso: il consenso va qualificato come semplice attogiuridico (non come negozio giuridico) esso non crea nessun vincoloobbligatorio a carico dell’avente diritto e non trasferisce nessun diritto incapo all’agente. Il consenso, perciò, è sempre revocabile. Requisiti di validità: perche esplichi efficacia scriminante:

a) deve essere libero e spontaneo: cioè immune da violenza, errore o dolo.Esso può essere prestato in qualsiasi modo, per cui è indifferente ilmezzo con cui si manifesta. Può essere tacito (si desume dal comportamentodell’avente diritto); putativo (l’agente versa in errore poiché crede che

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l’azione sia stata consentita e invece il consenso non è stato prestato);presunto ( l’agente è conscio del fatto che non è stato prestato ilconsenso, ma egli compie l’azione nell’interesse dell’avente diritto).

b) La legittimazione a prestare il consenso spetta al titolare del benepenalmente protetto: il soggetto legittimato a prestare il consenso devepossedere la capacità di agire.

Diritti disponibili: il consenso può avere ad oggetto solo diritti disponibili,poiché l’interesse alla repressione viene meno soltanto quando il consenso ha adoggetto la lesione di beni di pertinenza esclusiva o prevalente del privato chene è titolare l’art. 50 non specifica cosa significhi beni disponibili,quindi spetta all’interprete desumerli dall’intero ordinamento e dallaconsuetudine. In genere, comunque, si ritengono disponibili i beni che nonpresentano un’ immediata utilità sociale e che lo Stato riconosce esclusivamenteper riconoscerne al singolo il libero godimento beni patrimoniali e attributidella personalità. Rappresenta un caso particolare l’integrità fisica: sonoconsiderati compatibili tutti gli atti di disposizione del proprio corpo che,anche se implicano una diminuzione permanente dell’integrità, risultano tuttaviafunzionali al miglioramento complessivo della salute del disponente. Ingenerale, però, sono vietati gli atti di disposizione del proprio corpo, quando:

- cagionano una diminuzione permanente dell’integrità fisica stessa;- siano contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume.

Diritti indisponibili: tutti gli interesse che fanno capo allo Stato, agli entipubblici e alla famiglia e il bene della vita.

5. ESERCIZIO DI UN DIRITTO Art. 51 cp: “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto dauna norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude lapunibilità”.Ratio scriminante: si ravvisa nella prevalenza dell’interesse di chi agisceesercitando un diritto rispetto agli interessi eventualmente confliggenti. Laragion d’essere della non punibilità si appoggia sul principio della noncontraddizione all’interno di uno stesso ordinamento giuridico (non si puòammettere l’esercizio di un diritto e poi punirlo penalmente). Ipotesi di esercizio del diritto:

diritto di cronaca giornalistica: art. 21 Cost. manifestazione dellalibertà di opinione, può essere esercitato entro alcuni limiti anchequando lesioni l’altrui reputazione;

diritto di critica: si differenzia da quello di cronaca perché questo nonriporta una notizia, ma attraverso di esso si esprime un giudizio. Nondeve risolversi in un indebito attacco alla sfera morale della persona enon deve costituire una distorsione della verità;

diritto di educazione: i genitori hanno diritto di educazione neiconfronti dei figli. A volte essi, però, compiono azioni che, normalmente,verrebbero a costituire reato (percosse): proprio in virtù di questodiritto non lo sono, salvo che non si tratti di abuso dei mezzi dicorrezione o di disciplina o di maltrattamenti;

diritto di rimostranza: quello di protestare per un torto o un dannosubito, rivolgendosi alla persona preposta o all’associazione dicategoria;

diritto di derogare ad alcune norme sulla circolazione stradale: spetta aiconducenti di veicoli impegnati in un servizio urgente di istituto.

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6. ADEMPIMENTO DI UN DOVERE Art. 51 cp.Ratio scriminante: va individuata nel rispetto del principio di noncontraddizione all’interno di uno stesso ordinamento giuridico.Al dovere imposto da una norma giuridica, si adempie:

1) ogni qualvolta l’agente ubbidisca al precetto giuridico contenuto in unanorma, atto avente forza di legge o regolamento;

2) quando il fatto è commesso su disposizione o ordine legittimo di un’Autorità. L’ordine deve prevenire da istituzioni o enti pubblici, dapubblici ufficiali o da incaricati dei pubblici servizi, investiti delpotere istituzionale di dare ordini e disposizioni del genere. Devetrattarsi di un ordine legittimo sia sotto il profilo:

- sostanziale : quando ha tutti gli elementi e i presupposti essenziali perla sussistenza di un atto valido;

- formale : quando è emanato nelle forme prescritte e dato da un superioregerarchico o da un’autorità che abbia tale potere. Non può mai essereemanato da una fonte privata.

La manifesta arbitrarietà e criminosità dell’ordine non può essere giustificatacon richiamo all’art. 51 cp, ne sotto il profilo oggettivo, ne sotto quellooggettivo. Qualora si tratti di un ordine viziato da illegittimità formale (difetto dicompetenza, vizio formale, ecc.) l’obbligo di sindacato da parte di chi haeseguito l’ordine, è sempre dovuto e, quindi, il fatto non può essereconsiderato giustificato.

7. LEGITTIMA DIFESA Art. 52 cp: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costrettodalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericoloattuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa… esiste rapporto di proporzione … qualora taluno … usi un’arma legittimamentedetenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o altrui incolumità;b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di

aggressione.”Ratio esimente: la legittima difesa rappresenta un residuo di autotutela che loStato concede al cittadino, nel caso in cui l’intervento delle Autorità nonpossa essere tempestivo. Il fondamento dell’esimente è ravvisato nellaprevalenza attribuita all’interesse di chi sia ingiustamente aggredito rispettoall’interesse di chi si è posto fuori dalla legge. Essa può essere esercitataogni volta che si tratti di difendere un diritto proprio o altrui,indipendentemente dal fatto che sia patrimoniale o personale si estende atutti i diritti e agli interessi giuridicamente tutelati. Deve trattarsi di undiritto di chi subisce l’aggressione e non della difesa di una qualsiasiutilità. La struttura della legittima difesa ruota intorno a:

1. una condotta aggressiva e una difensiva . La prima deve provenire da unacondotta umana e la seconda deve possedere i caratteri della necessità edella proporzione (tra difesa e offesa);

2. la presenza di quattro elementi fondamentali: A. Attualità del pericolo derivante da un’offesa ingiusta. Attualità del pericolo si

identifica con la minaccia incombente di un’offesa al diritto proprio odi terzi. La contemporaneità della minaccia crea la situazione attuale

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di pericolo. Esso, quindi, deve essere tutt’ora in atto e sussistere almomento della reazione. Il pericolo può anche perdurare nel tempo efino a quando non si esaurisce l’azione dell’aggressore, il pericolo èda considerare attuale. Offesa ingiusta si tratta di un’aggressioneingiusta, tale da legittimare la reazione dell’aggressione. Quando leoffese sono reciproche né l’aggressore, né l’aggredito possono invocarela legittima difesa, in quanto entrambi versano in “re illiceità”.

B. Inevitabilità del pericolo che rende necessaria la reazione. C. Adeguatezza della reazione finalizzata alla difesa di un diritto proprio o altrui. La

legittima difesa può essere invocata solamente quando l’agente siastato costretto a difendere un diritto proprio o altrui. Quindi devesussistere una vera e propria necessità di difendersi, nel senso chel’agente non deve avere altra alternativa, salvo quella di reagire pernon subire l’aggressione ingiusta deve esservi stato costretto. Quila difesa deve apparire necessaria per la salvaguardia del bene postoin pericolo: l’aggredito, di fronte all’alternativa tra subire ereagire, non può evitare il pericolo se non reagendo control’aggressore necessità della reazione equivale a inevitabilità dellastessa. Sussiste legittima difesa se l’aggredito si mette in salvo conla fuga (commodus discessus)? Bisogna fare riferimento al bilanciamentodi interessi: il soggetto non è tenuto a fuggire in tutti quei casi neiquali la fuga esporrebbe i beni personali, suoi o di terzi, a rischimaggiori di quelli incombenti sui beni propri del soggetto contro ilquale si reagisce: es. si giustifica una reazione limitataall’immobilizzazione o alle percosse, ma non l’uccisione o ferimentodell’aggressore da parte di chi poteva benissimo fuggire.

D. Proporzione tra offesa e reazione. Profilo oggettivo Dopo l’introduzione deinuovi commi 2 e 3 dell’art. 52, introdotti dalla L. n. 59/2006, lagiusta proporzione fra i beni in conflitto si ritiene sussistente nelcaso in cui il fatto avvenga nell’ambito di una violazione deldomicilio o di ogni altro luogo dove venga esercitata un’attivitàcommerciale, professionale, imprenditoriale e che in tale ambito siconsidera giustificato l’uso di un’arma legittimamente detenuta o dialtro mezzo idoneo al fine di difendersi. Profilo soggettivo lapersona che si difende deve agire nella convinzione, sia pur erronea,di dovere reagire a scopo difensivo. È esclusa, ai fini della legittimadifesa, ogni volontà di ritorsione e risentimento. La legittima difesapuò essere invocata da chi ha causato la situazione di pericolo o dachi l’ha volontariamente causata? Il punto controverso sulla questionederiva dal fatto che, in assenza di disciplina normativa, è necessariorisolvere la questione caso per caso: non può essere invocata da chivolontariamente si mette nella situazione di pericolo (es. accettandola sfida); dall’altra parte, se il fatto presenta elementi imprevisti(la situazione di pericolo precipita e diventa più grave di quellaprospettata dai partecipanti), la legittima difesa può essere invocata.

8. USO LEGITTIMO DELLE ARMI Art. 53 cp: “ Non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere undovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi o di unaltro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretti dalla necessità direspingere una violenza o di vincere una resistenza sulle Autorità, e comunquedi impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione,

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disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a manoarmata e sequestro di persona”. Ratio scriminante: questi tipo di scriminante è stata configurata come causa digiustificazione autonoma soltanto dal legislatore degli anni ’30. La ragionedell’innovazione legislativa probabilmente è da riscontrare nell’intento dellegislatore fascista di sottolineare la prevalenza del potere di coercizionestatuale, nelle situazioni che pongono in conflitto i cittadini e l’autorità:indizio a riprova sembra ricavabile dalla mancata menzione della proporzione trai requisiti dell’esimente. Per questo dovrà essere interpretato in modorestrittivo. Questa causa di giustificazione ha natura sussidiaria, poiché siapplica solo quando difettino i presupposti di legittima difesa o adempimento diun dovere. Presupposti che consentono il ricorso all’uso delle armi:

1. L’agente deve essere un pubblico ufficiale. Non si accettal’interpretazione estensiva della disposizione, pertanto non possono fareuso legittimo delle armi le guardie del corpo, gli addetti ai servizi divigilanza notturna, le guardie giurate e simili.

2. Il pubblico ufficiale può chiedere aiuto a terzi che non possiedano talequalifica. In tal caso anche il privato chiamato a dare assistenza, puòfare uso dell’arma, pur rispettando gli stessi limiti previsti dallalegge.

3. P.u. può fare uso legittimo delle armi quando risulti costretto da statodi necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenzaall’Autorità. “Costretto dalla necessità” significa che il pubblicoufficiale deve trovarsi in una tale situazione contingente, anche di tempoe di luogo, da dovere fare uso dell’arma; d’altra parte non deve averealtra possibilità se non quella di utilizzare l’arma. L’uso dell’armadeve essere determinato dalla sola ragione di dovere adempiere a un doveredel proprio ufficio. Con il fine di respingere una violenza , nel momentoin cui si fa uso dell’arma, deve sussistere una vera e propria violenza inatto contro il pubblico ufficiale o contro le persone o cose, che lostesso ha il dovere di tutelare. Non basta la sola minaccia. Vincere unaresistenza all’Autorità significa che debba esserci una resistenza attivatale, da dover essere vinta.

Il pubblico ufficiale non è autorizzato a fare uso delle armi, se altri mezzisiano possibili per respingere la violenza o la resistenza. Deve sempre prestareattenzione a non ledere l’incolumità di terzi.

9. STATO DI NECESSITÀ Art. 54 cp: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costrettodalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno gravealla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimentievitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.Ratio scriminante: bisogna tenere presenti due fattori inesigibilitàpsicologica e il caso del soccorso di necessità. Il bilanciamento di interessispiega il primo: è necessario che il bene sacrificato sia di rango inferiore oequivalente rispetto a quello salvato. L’inesigibilità psicologica, invece, puòessere assunta a ratio dello stato di necessità cogente, nel quale il danno allapersona minaccia lo stesso autore del fatto o una persona a lui vicina. Perché tale causa di giustificazione sia ritenuta valida, occorre la presenza ditre elementi:

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1. Pericolo attuale di un danno grave alla persona: il concetto di pericolo attuale èuguale a quello richiesto per la legittima difesa. La giurisprudenzarileva che lo stato di necessità richiede la concreta attualità di unostato di pericolo per le persone, caratterizzata dall’indilazionabilità edalla cogenza, tali da non lasciare all’agente altra alternativa chequella di causare la lesione di un bene tutelato dalla norma penale. Nonha rilevanza l’origine dello stato di necessità: esso può provenire dapersone, animali, cose o eventi naturali: basta che non siavolontariamente causato dall’agente. Danno grave alla persona: il pericolodi danno grave può riguardare sia l’agente, sia un terzo. Quando si trattidi salvare un bene di altri, la dottrina parla di soccorso di necessità.

2. Necessità di salvare sé od altri dal pericolo non altrimenti evitabile: si provoca un dannoad una persona che non è l’ingiusto aggressore di cui alla legittimadifesa, ma un terzo che non sta affatto aggredendo per questo ilconcetto di necessità deve essere inteso nel modo più rigoroso possibile.Non deve esistere nessuna possibilità di sottrarsi alla situazione dipericolo. Qui vale la regola che, la fuga, è la strada che deve essereseguita piuttosto che quella di arrecare danno ad una persona totalmenteinnocente ed estranea al pericolo che si è venuto a creare.

3. Proporzione tra il fatto commesso e il pericolo: l’agente ha l’obbligo di comportarsicon la massima cautela, cercando nel limite del possibile, di nonprovocare danno a terze persone.

Ci si chiede se lo stato di bisogno economico o condizione di povertà, possacorrispondere a stato di necessità. In linea di principio no, però questoprincipio non ha valenza assoluta. Persone con particolare dovere di esporsi al pericolo: ad esse non si applica lacausa di giustificazione dello stato di necessità (vigili del fuoco,appartenenti a corpi militari e di polizia, ecc.). Costringimento psichico: lo stato di necessità è applicabile, quando sia statocausato dall’altrui minaccia.

Requisiti:a) la minaccia deve essere grave (tale da costringere la persona che la

subisce a compiere un fatto che la legge prevede quale reato), seria (ingrado di intimidire la persona, prospettandole un danno grave eoggettivamente possibile)e non evitabile (la persona aggredita non haaltra scelta che commettere il fatto voluto da terzo, per non subire ilmale minacciato);

b) devono sussistere tutte le premesse e gli elementi di uno stato dinecessità effettivo e reale e, quindi, il pericolo di un danno grave allapersona.

Differenze fra stato di necessità e legittima difesa: Stato di necessità: la condotta è rivolta contro una persona che non ha

creato la situazione di pericolo e non ha quindi nessuna colpa; difesalegittima: la reazione è diretta contro quella persona che ha posto inessere l’offesa ingiusta, cioè l’aggressione.

Stato di necessità: il fatto è giustificato, sempre che si tratti disalvare sé o altri da un danno grave alla persona; legittima difesa: sidifende qualsiasi diritto proprio o altrui.

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Stato di necessità: il pericolo non deve essere volontariamente causato,né altrimenti evitabile; quest’ultimo requisito non è richiesto per lalegittima difesa.

CAPITOLO IIILa colpevolezza

Sezione I Nozioni Generali

La colpevolezza si struttura sulle figure di:- imputabilità;- colpa o dolo;- conoscibilità del divieto penale;- assenza di cause di esenzione della colpevolezza.

1. PREMESSASi tratta del terzo elemento fondamentale costitutivo del reato. Possiamo vederela colpevolezza sotto vari punti di vista.

1. Punto di vista antropologico sulla base del principio “nulla poena sineculpa”. Si considera l’uomo come un essere in grado di controllare i suoiistinti e di reagire agli stimoli del mondo esterno in base a scelte fradiverse possibilità di condotta, nonché di orientarsi secondo sistemi divalori. Dando per presupposta questa capacità di scelta è possibileconsiderare il reato come opera dell’agente e rivolgergli un rimproveroper averlo commesso (rimproverabilità del fatto).

2. Punto di vista della sua rilevanza costituzionale: art. 271 Cost. secondo una sua ultima interpretazione, il principio della personalitàdella responsabilità penale in esso fissato va intesa nel significatominimo di “divieto della responsabilità per fatto altrui” e anche inquello di “responsabilità penale per fatto proprio colpevole”. Illegislatore nel fissare il concetto che la responsabilità penale èpersonale, ha anche stabilito quello per cui l’applicazione della penapresuppone l’attribuibilità psicologica del singolo fatto di reato allavolontà antidoverosa del soggetto.

3. Punto di vista della finalità rieducativa della pena è sancita dalcollegamento sistematico tra il comma 1 e 3 dell’art. 27 Cost. Lanecessità di rieducare il soggetto rispetto alle regole della convivenza èdata dal fatto per cui, nel soggetto, è presente quell’atteggiamentopsicologico di contrasto con le regole dell’ordinamento. La Cortecostituzionale nella sentenza 364/1988 è giunta a riconoscere il rapportotra colpevolezza e rieducazione come: “ la funzione rieducativa postula lacolpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi dellafattispecie tipica. Non avrebbe senso la rieducazione di chi, non essendoalmeno in colpa rispetto al fatto, non ha certo bisogno di essererieducato”.

Esistono alcune idee comuni di colpevolezza in seno alla dottrina:a) L’idea di colpevolezza corrisponde all’esigenza di ricondurre il fatto

criminoso ad un singolo soggetto, sotto forma di imputabilità soggettiva:qui la colpevolezza rappresenta la sede in cui spetta la funzione diattribuzione del fatto criminoso al soggetto.

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b) L’idea di colpevolezza presuppone il rifiuto di responsabilità perl’evento (c.d. responsabilità oggettiva): subordinare la punibilità allacolpevolezza corrisponde a bandire ogni forma di responsabilità peraccadimenti dovuti al caso fortuito. In questo senso l’imputazione penalesi ferma laddove il soggetto non è in grado di padroneggiare ilverificarsi degli eventi: il rimprovero della colpevolezza implica che siprospetti la possibilità di agire diversamente da parte del soggetto cuiviene attribuito il fatto.

c) L’idea di colpevolezza come parametro valutativo di distinzione tra dolo(volontarietà del fatto) e colpa (involontarietà del fatto): lariprovazione sociale dei danni causati volontariamente è molto più graverispetto a quella in cui i fatti sono dovuti a negligenza o imprudenza in diritto penale il dolo e la colpa rappresentano, rispettivamente, laforma più grave e più lieve di colpevolezza.

d) L’idea di sussistenza di un rapporto di proporzione tra forme dicolpevolezza e intensità della risposta sanzionatoria: la reazione penaledeve essere proporzionata al grado della partecipazione interiore delsoggetto.

In diritto penale, grazie al suo fondamento sopra i principi oggettivi dimaterialità e lesività, la colpevolezza può solo significare colpevolezza per ilfatto per avere commesso un fatto lesivo di un bene penalmente protetto. Sela colpevolezza ha come mero punto di riferimento il singolo fatto di reato (enon sulla propria personalità del reo), ne deriva che è inammissibile la figuradella colpa d’autore, nella figura della duplice versione della colpevolezza peril carattere e per la condotta di vita. Colpevolezza per il carattere: pretendeche all’agente si possa muovere un rimprovero di non avere frenato le pulsioniantisociali in tempo, in modo da formarsi un carattere meno malvagio e menopropenso a delinquere. Colpevolezza per la condotta di vita: pretende diincentrare il giudizio di disapprovazione sullo stesso modello o stile di vita esulle scelte esistenziali del reo, che starebbero all’origine della suainclinazione al delitto. Tradizionalmente il concetto di colpevolezza si contrappone a quello dipericolosità sociale.

- Colpevolezza: concerne solo soggetti capaci di intendere e di volere,esprime un rimprovero per la commissione di un fatto delittuoso;

- Pericolosità sociale: privilegia la personalità dell’autore e fariferimento, più che a un fatto di reato già commesso, alla possibilitàche il reo continui a delinquere in futuro.

La colpevolezza costituisce presupposto dell’applicazione della pena in sensostretto, mentre la pericolosità giustifica la applicazione di una misura disicurezza.

2. CONCEZIONI DELLA COLPEVOLEZZA: CONCEZIONE PSICOLOGICALe concezioni della colpevolezza appaiono storicamente influenzate:

- dal generale contesto politico-ideologico di riferimento;- dal modo di intendere gli scopi e le funzioni del diritto penale.1. La prima concezione psicologica della colpevolezza, fu manifestamente

influenzata dal liberalismo: la caricano di una forte valenzagarantistica.

2. La seconda (anch’essa di origine illuministico-liberale), consiste in unarelazione psicologica tra fatto e autore. essa assolve due funzioni:

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Esprime l’idea che la responsabilità penale richiede, comepresupposto indefettibile, una partecipazione psicologica allacommissione del fatto. Si tende a costruire la colpevolezza comeconcetto di genere che contiene i due caratteri fondamentalidell’imputazione soggettiva: dolo e colpa essa è il rapporto tral’agente e l’azione che cagiona un evento voluto, o non voluto,ancorchè non preveduto, ma prevedibile;

Esprime l’esigenza di circoscrivere la colpevolezza all’atto divolontà relativo al singolo reato, a prescindere da ogni valutazionedella personalità dell’agente e del processo motivazionale chesorregge la condotta.

Questa concezione ha subito due obiezioni di fondo sul piano dogmatico: difornire un concetto superiore veramente in grado di ricomprendere dolo e colpa;piano funzionale: non valorizza tutte le potenzialità della colpevolezza comeelemento di graduazione della responsabilità penale, poiché non tiene contodelle diverse motivazioni che inducono a delinquere.

3. LA CONCEZIONE NORMATIVA Essa si è sviluppata soprattutto per soddisfare le pressanti esigenze pratichedel diritto penale, causate anche dalla crisi della concezione liberaleprecedente, legata solo al disvalore obiettivo del fatto commesso. Si vuoleriportare nell’idea della colpevolezza il peso che ricoprono i motividell’azione e le circostanze in cui essa si realizza.Questa concezione riflette il modo di operare della prassi giudiziaria dellacommisurazione della pena. Da questo punto di vista, la concezione normativa sipresta a prospettare la colpevolezza come criterio di commisurazione giudizialedella pena crea un legame tra la colpevolezza intesa come:

- elemento costitutivo dell’illecito penale, accanto alla tipicità eall’antigiuridictà;

e come- criterio di commisurazione della pena.

Questa concezione introduce la valutazione delle circostanze dell’agire, delprocesso di motivazione, alla stregua di un canone normativo, trasformando lacolpevolezza in un giudizio di rimproverabilità per l’atteggiamento antidoverosodella volontà. L’atteggiamento comune al dolo e alla colpa finisce con l’esserecostituito dall’atteggiamento antidoveroso della volontà presente in entrambi icasi. La colpevolezza, quindi, si traduce in un rimprovero per il fatto di averecommesso azioni dannose socialmente.

4. ORIENTAMENTI ATTUALIIl principale tra gli orientamenti odierni, vede una frattura tra l’idea dicolpevolezza e la teoria retributiva della pena. Attualmente, infatti, ildiritto penale tende alla prevenzione e cioè a rimuovere le cause delladelinquenza. In quest’ottica, la colpevolezza è condizione necessaria, ma nonsufficiente della punibilità: una volta accertata la colpevolezza, ha sensopunire se questo serve a distogliere altri dal commettere reati (prevenzionegenerale) e, più in particolare, ad impedire che lo stesso autore del fattotorni a delinquere (prevenzione speciale).

5. STRUTTURA DELLA COLPEVOLEZZA

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La concezione normativa oggi dominante, afferma che è colpevole un soggettoimputabile, il quale abbia realizzato con dolo o colpa la fattispecie obiettivadi un reato, in assenza di circostanze tali da rendere necessaria l’azioneillecita. La colpevolezza così concepita, è un concetto complesso, con iseguenti presupposti:

- dolo o colpa;- conoscibilità del divieto penale;- assenza di cause di giustificazione.

Un problema è rappresentato dalla collocazione sistematica dell’imputabilitàall’interno del reato. La dottrina italiana più recente sostiene l’idea che unrimprovero ha senso, in quanto il destinatario abbia maturità per discernerel’illecito dal lecito e, quindi, sia adatto a conformarsi alle aspettativedell’ordinamento giuridico. Bisogna tenere presente, però, il dolo e la colpadel soggetto inimputabile non possono coincidere col dolo e la colpa delsoggetto capace di intendere e di volere.

Sezione IIL’imputabilità

Al fine dell’imputabilità risulta fondamentale il concetto di capacità diintendere e di volere:

Capacità di intendere: corrisponde all’attitudine ad orientarsi nel mondoesterno secondo una percezione non distorta della realtà, quindi è intesacome la capacità di comprendere il significato del proprio comportamento edi valutarne le possibili ripercussioni positive o negative sui terzi;

Capacità di volere: consiste nel potere di controllare i propri impulsi adagire e di determinarsi secondo il motivo che appare più ragionevole. Èl’attitudine a scegliere in modo consapevole tra motivi antagonistici. Lacapacità di volere presuppone necessariamente la capacità di intendere ipropri atti.

1. L’IMPUTABILITÀ QUALE ELEMENTO DELLA RIMPROVERABILITÀArt. 85 cp: “Nessuno po’ essere punito per un fatto preveduto dalla legge comereato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile”. Comma 2: “Èimputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”.L’imputabilità è il presupposto minimo di maturità dell’agente al quale puòessere mosso un rimprovero per il fatto commesso, solamente perché in possessodi quel tanto di capacità di intendere e di volere, da poter discernere illecito, dall’illecito. L’imputabilità è anche presupposto ed elemento essenziale dellarimproverabilità. L’agente è considerato incapace di intendere e di volere:

Se al momento del fatto esso non sia in grado di intendere il valore e la portata della sua azione o omissione, cioè della condotta che la norma

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vieta di porre in essere, considerandola in partenza antidoverosa e ingrado di offendere il bene tutelato;

Se al momento del fatto non possegga quei freni inibitori che gli consentono di non volere compiere il fatto illecito, o di astenersi dalporre in essere la condotta antigiuridica;

Vi deve essere connessione tra la sua condotta e il suo stato di incapacità.

La capacità di intendere e di volere può riguardare indifferentemente un fattocontestato a titolo di dolo, colpa, preterintenzione o di responsabilitàoggettiva. L’imputabilità deve essere riferita al momento in cui la persona ha posto inessere la condotta che le è contestata, sia al momento precedente ciò perchéil comportamento doloso e quello colposo incominciano già a differenziarsi dallastruttura della fattispecie obiettiva. Tenere presente che la presenzad’incapacità post factum, può avere rilevanza solo ai fini di attribuzione dellapena. L’incapacità di intendere e di volere esclude l’imputabilità nei reati: colposi,dolosi, a titolo di responsabilità oggettiva e preterintenzionale.L’accertamento della non imputabilità esige che ci si trovi di fronte ad unfatto antigiuridico, che di norma dovrebbe essere punito. Se al non imputabile non può rimproverarsi il fatto commesso, la sua condottanon costituisce reato e, quindi, non può essergli inflitta la pena previstadalla legge. Stabilito che il non imputabile non può essere ritenuto colpevole, deve valereanche la concezione inversa e cioè che non vi è rimproverabilità senzaimputabilità. Questa impostazione teorica ha come conseguenza che esiste solo“rimproverabilità per il fatto commesso” e non “rimproverabilità per l’autoredel fatto”.Actiones liberae in causa art. 87 cp stabilisce che la disposizione dell’art.851 cp secondo cui l’imputabilità deve esistere al momento della commissione delreato, non si applica a chi si è messo in stato di incapacità di intendere evolere al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa. Il paradigma delle actiones liberae in causa, è stato escogitato dalla teologiamorale con riferimento alle condotte peccaminose eseguite senza libera volontàal momento della loro realizzazione ma pur sempre riconducibili ad unprecedente atto di volontà dello stesso soggetto: l’azione è libera in causa,poiché l’agente aveva il potere di porsi o meno in stato di incapacità. Nel casodi incapacità procurata, il legislatore deroga alla regola generale ex art. 85cp della necessaria corrispondenza temporale tra imputabilità e commissione delfatto: l’agente preordinatamente incapace, infatti, nel momento in cui realizzail reato, ha già perduto il pieno autocontrollo sui propri atti.La legge punisce colui che determina in altri lo stato di incapacità, perché èlui che ha avuto la coscienza e la volontà della condotta (art. 42 cp) ed è luiche ha avuto la previsione e volontà dell’evento. In questo caso è lui il verocolpevole e l’incapace che ha posto in essere la condotta, è un mero strumentodell’altro.

Casi di limitazione alla capacità di intendere e di volere

2. VIZIO TOTALE DI MENTE

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Art. 88 cp: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era,per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e divolere”. In questo caso l’alterazione della mente deve dipendere da un’infermità tale, daincidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere dell’agente. Non è sufficiente la sussistenza di disturbi della personalità o di altreanomalie fisiche, se queste non rivestono il carattere di un’infermità e nonsono di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da incidereconcretamente sulla capacità di intendere e di volere prevista dagli artt. 88 e89 cp. La Suprema Corte ha stabilito che, ai fini del riconoscimento del vizio totale oparziale di mente rientrano nel concetto di infermità anche i gravi disturbidella personalità, tali da escludere o scemare enormemente la capacità diintendere e di volere e il nesso eziologico con la specifica attività criminosa.Ai fini dell’imputabilità è essenziale che la capacità di intendere e di volere:

- sussista al momento del fatto commesso relazione temporale;- sia rilevante in ordine al fatto commesso relazione causale.

Qualora il giudice dovesse accertare il vizio totale di mente dell’agente, deveassolvere l’imputato “perché il reato è stato commesso da persona nonimputabile” (art. 533 cp). N.B.: l’infermità di cui si parla in questo ambito opera su di un piano deltutto autonomo e diverso da quello a cui si riferisce il diritto civile nelladisciplina degli istituti di interdizione e riabilitazione. Se il giudice dovesse rilevare nel soggetto uno stato di pericolosità sociale,derivante dall’infermità medesima e questo persiste nel momento della decisionee della esecuzione della pena, egli dovrà disporre la misura di sicurezzaprevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente ea far fronte alla sua pericolosità sociale.

3. VIZIO PARZIALE DI MENTEArt. 89 cp: ”Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità,in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità diintendere e di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita”.L’infermità da considerare rilevante per l’applicazione dell’art. 89, è menograve di quella prevista per l’art. 85, ma deve comunque essere tale dacomportare una degenerazione della sfera volitiva ed intellettiva dell’agente,dipendente da uno stato patologico veramente serio la distinzione si basa suun criterio meramente quantitativo e non qualitativo. L’accertamento dellaseminfermità è eseguito dal giudice, il quale è libero di effettuarlo da solo esecondo il suo apprezzamento (se vuole può ricorrere a periti o psicologi): nelfarlo deve dare una motivazione esauriente, dalla quale emerga che l’agente almomento della commissione del fatto, era in uno stato di mente tale, da scemaregrandemente la sua capacità di intendere e di volere. È anche opportuno fareriferimento al comportamento dell’imputato antecedente e successivo al fatto-reato.

4. GLI STATI EMOTIVI E PASSIONALIArt. 90 cp: ”Gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuisconol’imputabilità”.Per l’esclusione o diminuzione dell’imputabilità, deve esistere un’infermità: èchiaro che gli stati emotivi o passionali non possono incideresull’imputabilità, a meno che essi non si manifestino e si qualifichino come

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infermità la non imputabilità, in tal caso, diventa operante sottoquest’ultimo profilo, quale vizio parziale o totale di mente.

5. MINORE DEGLI ANNI 14Art. 97 cp: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, nonaveva compiuto i quattordici anni”.Con la parziale riforma introdotta con l’art. 36 e ss. del DPR 22 settembre1988, n. 448, si applica in casi di particolare pericolosità del minore, ilcollocamento in comunità (prima vi era quello in riformatorio), mentre per lerestanti ipotesi si applica la libertà vigilata eseguita nelle forme delleprescrizioni o della permanenza in casa.

6. MINORE DEGLI ANNI 18 Art. 98 cp: “ È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, avevacompiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità diintendere e di volere; ma la pena è diminuita”.La pena è diminuita poiché, data l’età, la persona non ha ancora raggiunto ungrado completo di maturità e quindi non ha ancora raggiunto la completa capacitàdi determinarsi nella scelta fra bene e male. Questo accertamento deve essere realizzato e motivato, costituendo unapprezzamento di merito, per il quale il Giudice può eventualmente servirsi diuno psichiatra o uno psicologo.

7. UBRIACHEZZAL’ubriachezza trova nel codice un ampio spazio e rilievo. È individualizzabilenegli articoli:

91 derivata da caso fortuito o forza maggiore l’agente non èimputabile. Chi nel momento in cui ha commesso il fatto, non era capace diintendere e di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da casofortuito o forza maggiore, non è imputabile con un limite: che qualoral’ubriachezza non fosse piena, ma tale da scemare grandemente senzaescludere la capacità di intendere e di volere, la pena esiste ma èdiminuita;

92 volontaria o colposa ovvero preordinata non esclude l’imputabilità,ne la diminuisce. In questo caso si condanna l’agente a titolo diresponsabilità oggettiva: è vero che lo stato di ubriachezza è stato da séstesso procurato, però nel momento dell’azione o omissione era privoparzialmente o totalmente della capacità di intendere e di volere. Sel’ubriachezza è preordinata al compimento del reato, la pena è aumentata;

94 abituale la pena è aumentata. Agli effetti della legge penale èconsiderato ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcooliche ein stato di frequente ubriachezza;

95 cronica si applicano le disposizioni sull’imputabilità e sullasemimputabilità. La differenza con l’ubriachezza abituale è che, quellacronica, è un dato irreversibile.

8. ABUSO DI STUPEFACENTI

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Artt. 93, 943, 95 cp: quanto riguarda i fatti commessi sotto l’abuso distupefacenti, il codice parifica l’intossicazione da alcool a quella dastupefacenti. Vi è una differenza tra abuso di sostanze alcooliche e stupefacenti, nell’ambitodell’abitualità: infatti, per quanto riguarda gli stupefacenti, l’abitualità eil conseguente aumento di pena, si attua già per il fatto che la persona siadedita all’uso di tali sostanze. Il tossicodipendente abituale è punito, oltreche con la pena più grave, anche con l’assegnazione ad una casa di cura ocustodia, se la pericolosità persiste. Lo stesso vale per l’ubriaco abituale. Rimane aperta la questione di quali siano le sostanze stupefacenti. Non è facile stabilire, comunque, quando si tratti di abuso abituale o cronico:il problema è che da una parte vi è applicazione di una circostanza aggravante,dall’altra l’applicazione degli artt. 88-89 (inimputabilità e semimputabilità).Tale differenza deve essere colta dal giudice di merito attraverso un esameapprofondito da compiersi caso per caso, anche attraverso accertamenti di naturamedico-legale.

9. SORDISMO Art. 96 cp: “Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commessoil fatto, non aveva, per causa della sua infermità la capacità di intendere e divolere. Se la capacità di intendere e di volere era grandemente scemata, ma nonesclusa, la pena è diminuita”. Questa previsione si basa sul presupposto che la mancanza di udito e di parolapregiudichi la capacità di autodeterminazione dell’individuo. Se si accerta cheil sordo, al momento della commissione del fatto, era capace nonostante la suaaffezione congenita, l’imputabilità non è esclusa, mentre lo è in casocontrario. Dal momento che si parla di sordismo, la norma non può essereapplicata ne nei casi di solo mutismo, ne in quelli di sola sordità. Va poi distinto il sordismo congenito o precocemente acquisito, che ostacolagravemente lo sviluppo psichico, e un sordismo acquisito tardivamente, cheinsorge in una fase successiva all’apprendimento del linguaggio e che puòlasciare integro il patrimonio linguistico già conseguito. Per questo sembra chetale disposizione, faccia riferimento ai sordi dalla nascita o dalla primainfanzia.

Sezione IIIStruttura e oggetto del dolo

1. IL DOLO: FUNZIONI E DEFINIZIONE LEGISLATIVA Art. 422 cp: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge comedelitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delittopreterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge”.Da questo articolo si desume che il delitto doloso costituisce il modellofondamentale di illecito penale: il dolo rappresenta il normale criterio diimputazione soggettiva lo si vede anche dal fatto che il legislatore,attraverso questa formulazione della legge, presuppone l’esistenza del dolonella configurazione delle singole fattispecie incriminatrici, nel senso che glialtri criteri di imputazione (preterintenzione e colpa) operano solo nei casiprevisti dalla legge. Il dolo assolve varie funzioni in rapporto ai diversi piani in cui si articolala figura dell’illecito:

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1. Rappresenta un elemento costitutivo del fatto tipico la volontàcriminosa non assume rilevanza in quanto tale, ma solo quando essa sitraduce in realizzazione. Il contenuto del dolo impronta la direzionelesiva dell’azione, contribuendo a definirne la tipicità.

2. Connota la forma più grave di colpevolezza chi agisce con doloaggredisce il bene protetto in modo più grave di chi agisce con colpa. Lamaggiore carica aggressiva dell’azione dolosa viene percepita dallasingola vittima e anche dalla collettività: quest’ultima si sentirà piùminacciata quando l’attacco ai suoi beni dipende da una decisionevolontaria del delinquente e, quindi, disapproverà con maggiore intensitàle lesioni provocate con intenzione, che con colpa.

3. Rappresenta una dimensione fenomenica unitaria, data la sua (del dolo)dimensione oggettiva e soggettiva il fatto delittuoso si compone di unelemento soggettivo e di uno oggettivo che si uniscono reciprocamente.

Art. 431 cp: “Il delitto è doloso, o secondo l’intensione, quando l’eventodannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui lalegge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e volutocome conseguenza della propria azione od omissione”. Secondo la definizione legislativa di dolo, quindi, si incentra su tre elementi:

Previsione Volontà Evento pericoloso o dannoso

I primi due indicano le componenti che caratterizzano il dolo come elementopsicologico. La previsione e la volontà appartengono alla categoriadell’intenzione: questa distinzione risale alla redazione del Codice Rocco, dovesi contendevano il campo la teoria della rappresentazione e la teoria dellavolontà. La contrapposizione tra queste due teorie, venne poi superata dall’ideache la volontà criminosa va ad investire l’intero fatto di reato colto nella suaunità di significato il diritto penale considera voluto, per es., nonsoltanto l’atto iniziale di premere il grilletto, ma anche quello dell’eventoletale ad esso dovuto. Il terzo attiene all’oggetto che deve riflettersi nella volizione e nellarappresentazione. Per quanto riguarda il contenuto del dolo (“che cosa” ilsoggetto deve rappresentarsi e volere), l’art. 43 fa riferimento all’eventopericoloso o dannoso. In ogni caso la definizione prevista dall’art. 43 è soloparziale: per comprendere la disciplina normativa del dolo, bisogna fareriferimento ad un complesso di norme, che attribuiscono rilevanza allaconoscenza (o mancata conoscenza)a di determinati elementi costitutivi dellafattispecie artt. 5, 47, 59 cp.

2. STRUTTURA DEL DOLO: RAPPRESENTAZIONE E VOLONTÀ Strutturalmente, il dolo, consta di due componenti psicologiche:

1. Rappresentazione, o coscienza, o conoscenza, o previsione;2. Volontà.

Le due categorie sono distinte concettualmente, ma vanno considerate inreciproco rapporto, dal momento che una volontà non accompagnata dall’elementointellettivo finirebbe con l’essere cieca.A) Elemento intellettivo del dolo consta della rappresentazione o conoscenzadegli elementi che compongono la fattispecie oggettiva: se il soggetto nonconosce o si rappresenta erroneamente un requisito del fatto tipico, lapunibilità è esclusa per mancanza di dolo. Questa componente si comporta diversamente a secondo che si riferisca a.

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- elementi descrittivi: è sufficiente che il soggetto sia a conoscenza deglielementi del mondo esterno, così come appaiono nella loro dimensionenaturalistica per es. uomo, morte, cosa mobile ecc.;

- elementi normativi: qui non è sufficiente che l’agente sia a conoscenza dimeri dati di fatto, ma deve rappresentarsi anche gli aspetti che fondanola rilevanza giuridica delle situazioni di fatto richiamate dallafattispecie.

Previsione: essa si riferisce agli accadimenti futuri che si prospettano comerisultato della condotta criminosa. Nella previsione deve anche rientrare ilnesso causale tra azione ed evento.Stato di dubbio in ordine a uno o più elementi della fattispecie: esso nonequivale ne ad ignoranza, ne ad erronea conoscenza, in quanto il soggetto sirappresenta contemporaneamente la possibilità che un determinato evento possaaccadere o no. Normalmente lo stato di dubbio è sufficiente ad integrare il dolo(quindi non lo esclude), tranne quando la particolare struttura dellafattispecie esiga la piena conoscenza di uno o più elementi del fatto di reato.B) Elemento volitivo del dolo secondo il quale il dolo non è solo semplicerappresentazione degli elementi costitutivi della fattispecie, ma anche volontàconsapevole di realizzazione del fatto tipico. La volontà intesa in senso ampio investe l’azione come movimento corporeo e ilfatto complessivo considerato nella sua unità significativa la volontà, inquesto senso, finisce con l’abbracciare tutti gli altri elementi del fattodiversi dalla condotta. Se manca la volontà del fatto, i desideri, le speranze,le tendenze, ecc. non bastano ad integrare il dolo. Volontà del fatto ≠ motivo o movente dell’azione delittuosa: quest’ultimocorrisponde all’impulso o stimolo di natura affettiva che spinge il soggetto adagire; più che altro il dolo coesiste con esso. L’imputazione a titolo di dolo presuppone che la volontà si traduca inrealizzazione, almeno nello stadio del tentativo punibile art. 56 cp. D’altraparte sono privi di rilevanza il dolo nello stato antecedente e susseguente allarealizzazione del fatto: ciò che importa è che il dolo sussista al momentostesso del fatto e perduri per tutto il tempo in cui la condotta rientra nelpotere di signoria dell’agente. La volontà deve abbracciare la condotta tipicafino all’ultimo atto l’eventuale assenza di volontà in senso strettamentepsicologico è privo di rilevanza, quando l’agente non sia più in grado diincidere sullo svolgimento degli avvenimenti. Intensità del dolo: essa può essere diversa in rapporto al rispettivo grado diconsistenza della componente rappresentativa o volitiva di tale graduazioneterrà conto il giudice in sede di commisurazione della pena, posto che l’art.133 cp, rapporta la gravità del reato all’intensità del dolo.Per quanto riguarda la componente conoscitiva, la sua graduabilità dipende dallivello di chiarezza e certezza con cui il soggetto si rappresenta gli elementidel fatto di reato (rappresentazione in forma dubitativa = soglia più bassa;consapevolezza piena e certa = soglia più alta). Assume anche rilevanza il gradodi consapevolezza del carattere penalmente illecito del fatto. Intensità del momento volitivo: va rapportata al grado di adesione psicologicadel soggetto al fatto e alla complessità e durata del processo deliberativo deliberazione criminosa: esprime una minore gravità quando si traducaimmediatamente ed improvvisamente in azione (dolo d’impeto); al contrario saràpiù grave quando è caratterizzata da un grande stacco temporale tra il momentodella decisione e quello dell’esecuzione (dolo di proposito): una sottospecieaggravata è rappresentata dalla premeditazione che si configura quando il

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proposito criminoso perdura per un rilevante lasso di tempo e tradisceun’ostinazione criminosa particolarmente riprovevole.

3. OGGETTO DEL DOLO Art. 431 cp riferisce la volontà del colpevole all’evento dannoso o pericoloso.L’oggetto del dolo, in realtà, non è né l’evento in senso naturalistico, néquello in senso giuridico, bensì il fatto tipico. Soltanto attraverso questavisione si può ricostruire l’oggetto del dolo tenendo in considerazione,contemporaneamente, le diverse caratteristiche strutturali dei reati di azione edi quelli di evento l’oggetto del dolo è costituito da tutti gli elementiobiettivi positivamente richiesti per l’integrazione delle singole fattispeciedi reato. Questa conclusione trova riscontro nell’art. 47 cp: conferma che larappresentazione e la volontà devono avere ad oggetto il fatto tipico. Il dolo,quindi, deve abbracciare le diverse componenti in cui si può articolare il fattotipico: condotta, circostanze antecedenti o concomitanti all’azione tipizzantedella norma incriminatrice, l’evento naturalistico.Il dolo, però, deve anche riferirsi agli elementi normativi della fattispecie,cioè quelli la cui determinazione presuppone un rinvio ad una norma diversa daquella incriminatrice.

4. DOLO E COSCIENZA DELL’OFFESAIl concetto di offesa, quale oggetto del dolo, può assumere più significati:

A) antigiuridicità o illiceità penale del fatto: questa accezione esuladall’oggetto del dolo. L’assunto che la volontà del colpevole presuppongala conoscenza effettiva o attuale dell’illiceità del fatto, si scontra, alivello di diritto positivo, con l’art. 5 del cp, che stabilisce chenessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale.;

B) incidenza negativa del fatto su interessi meritevoli di tutela, la suaidoneità a ledere o esporre a pericolo beni socialmente rilevanti, aprescindere dalla conoscenza dell’esistenza o del contenuto della normaincriminatrice. Se si considera che il fatto tipico si riconnetteintimamente alla lesione del bene giuridico protetto, ciò significa che ildolo, come coscienza e volontà del fatto, deve includere anche lacoscienza della lesività del fatto. Se il dolo rappresenta la forma dioffesa più grave di colpevolezza, esso non può equivalere a un requisitopsicologico neutro: deve esistere coscienza e volontà di un puro fattomateriale, a cui si accompagni la consapevolezza che esso possapregiudicare interessi meritevoli di tutela.

In realtà, questa seconda concezione non si deve considerare in terminiassoluti: infatti in ambito extracodicistico possiamo trovare molti reati dipura creazione legislativa e sarebbe impensabile di avere la pretesa che ilnormale cittadino conosca ognuno di questi reati.

5. FORME DEL DOLO. CENNI SULLA PROBLEMATICA DELL’ACCERTAMENTO 1) Dolo intenzionale. È la forma più accentuata di dolo che ricorre quando ilsoggetto si rappresenta l’evento-offesa del bene giuridico e vuole realizzarlocome scopo preminente del suo agire. La realizzazione del fatto antigiuridico, èl’obiettivo preso di mira dall’agente. Questa forma di dolo è rappresentata dalruolo preminente della volontà, che raggiunge l’intensità massima. L’intenzioneè compatibile con la previsione dell’evento in termini di possibilità. Siamo difronte a dolo intenzionale tutte le volte in cui il dolo assume un’intensità

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accentuata, per cui il giudice dovrà tenerne conto per la valutazione dellagravità del reato e della commisurazione della pena.2) Dolo diretto. Si caratterizza per il fatto che il reo ha la rappresentazionee la volontà di realizzare con la propria condotta il fatto tipico, cagionandol’offesa del bene tutelato dalla norma. La realizzazione del reato non è loscopo primario della sua condotta, ma costituisce soltanto uno strumentonecessario perché l’agente realizzi lo scopo perseguito. In molti casi l’agentevuole provocare eventi plurimi e pone in essere la sua condotta per realizzareun reato-mezzo collegato ad un reato-fine. In questi casi ambedue gli eventisono, chiaramente, voluti e rappresentati dall’agente. 3) Dolo alternativo. Esiste quando l’agente prospetta alternativamente lapossibilità e la probabilità di realizzare, con la sua azione, più eventi, tuttida lui ugualmente voluti, previsti e perseguiti. Il colpevole si rappresenta dueo più conseguenze possibili della sua condotta ed accetta l’uno o l’altrorisultato, oppure anche entrambi. Qui non importa quale sia l’evento realizzato,egli comunque deve rispondere per dolo diretto dell’evento che è riuscito arealizzare, anche solo a titolo di tentativo. Nella prassi il dolo alternativosi basa su una visione di risultati alternativi nel senso che l’agente confida evuole che, almeno uno degli eventi, si realizzi. Se si verifica uno degli eventisperati e non importa quale, egli ne risponderà. Essenziale per la condotta èche l’agente abbia previsto o voluto uno o l’altro evento, per cui risponde peri delitti consumati o tentati che egli ha effettivamente realizzato. 4) Dolo eventuale. È il livello meno intenso delle ipotesi di dolo. Secondo lagiurisprudenza prevalente, si ha il dolo eventuale quando il soggetto sirappresenta tutti gli estremi del fatto tipico e prevede che alla sua condottapossa conseguire l’evento antigiuridico egli non solo si rappresentachiaramente la possibilità di realizzazione dell’evento, ma ne accetta in pienoil rischio che questo possa verificarsi. La differenza tra dolo eventuale e dolodiretto è stata evidenziata in varie sentenze della Suprema Corte, nel senso chesussiste il dolo eventuale quando l’agente pone in essere una condottafinalizzata ad altri scopi, rappresentandosi la concreta eventualità che possanoverificarsi altre conseguenze, ed agisce accettando il rischio del lororealizzarsi. Sussiste dolo diretto quando l’ulteriore evento si presenti comealtamente probabile, sicché il suo verificarsi appartiene direttamente al volutodell’agente.D’altra parte, se ci si rifà alla casistica, vediamo che il dolo eventuale puòspaziare da un limite minimo in cui l’agente, pur rappresentandosi e accettandoil verificarsi dell’evento, spera che esso non si verifichi, ad un limitemassimo in cui l’agente ha quasi la certezza che l’evento si realizzi, anche senon direttamente voluto. 5) Dolo generico. Si presenta quando la legge non prescrive lo scopo o lafinalità per cui il reo pone in essere la sua condotta, cioè quando la norma nonspecifica le ragioni o le finalità per le quali l’agente ha commesso il fattodoloso. In tal caso non occorre che il giudice accerti lo scopo perseguitodall’agente, poiché esso non incide sul reato base, ma eventualmente solo sullecircostanze poste in essere dal colpevole.6) Dolo specifico. La norma richiede, per la sussistenza del reato, unaspecifica finalità dell’agente uno scopo ulteriore oltre al fatto, ma che nonsempre è necessario che si realizzi perché il reato si consideri consumato. Es.art. 624 cp: “è punito chiunque si impossessi di cosa mobile sottraendola a chila detiene, al fine di trarne profitto per sé o altri”.

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7) Dolo d’impeto. Quando il reato è frutto di una decisione improvvisa eprontamente eseguita. 8) Dolo di proposito. È caratterizzato da un notevole lasso di tempo tral’ideazione e la commissione del reato. In questa categoria rientra lapremeditazione. Accertamento del dolo. la più recente giurisprudenza e dottrina, si sonoconsolidate nel senso che l’accertamento del dolo debba basarsi in particolaresulla modalità della condotta e sulla persona dell’agente. La modalità dellacondotta si desume dagli elementi oggettivi, per es. il mezzo adoperato. Perquanto riguarda l’altro indicatore si terrà presente la persona dell’agente, ilmovente, l’interesse alla perpetrazione o alla commissione del fatto, le suecognizione del luogo ed il comportamento antecedente e susseguente allacommissione del fatto.

Sezione IVLa disciplina dell’errore

1. PREMESSALa mancata rappresentazione da parte dell’agente di uno o più requisitidell’illecito penale, avrà come effetto di escludere la punibilità, per il venirmeno dell’elemento soggettivo del reato. Questa mancanza può derivare da varie possibilità:

errore di fatto; errore di diritto; ignoranza: corrisponde alla mancata conoscenza ed è equiparata all’errore,

poiché provoca la stessa conseguenza dell’erronea conoscenza e cioè quellodi impedire che l’agente si renda conto di commettere un fatto tipico;

stato di dubbio; errore su norma extrapenale: ha ad oggetto una norma penale diversa da

quella incriminatrice.

2. ERRORE DI FATTO SUL FATTO Art. 471 cp: “L’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilitàdell’agente. Nondimeno se si tratta di errore determinato da colpa, lapunibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delittocolposo”.L’errore può derivare da ignoranza o falsa rappresentazione della situazione difatto nella quale il soggetto si trova ad agire. È quell’errore che cade suglielementi oggettivi, normativi o descrittivi del fatto, che sono essenziali perla sussistenza del reato. In tal caso l’errore acquista rilevanza dominante,poiché esso esclude il dolo. All’errore stesso va equiparata l’ignoranza per l’identità di effetti che essapuò produrre in ordine alla mancata conoscenza del fatto tipico. Sia l’errore, sia l’ignoranza devono vertere su elementi essenziali del fatto:la mancanza conoscenza di essi impedisce che il soggetto si rappresenti un fattocorrispondente al modello legale. Errore tra soggetti ed errore tra oggetti. Sono errori irrilevanti quelliconseguenti allo scambio tra soggetti oppure tra oggetti, che rivestono unaposizione rilevante sul piano della fattispecie incriminatrice. Se lo scambioconcerne persone od oggetti che occupano un rango diverso di fronte al diritto,

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l’errore può avere come effetto di far venire meno il reato (Tizio si impossessadi una bicicletta di un altro senza accorgersi di rubarla, poiché identica allasua), ovvero di fare scattare l’applicabilità di un’altra figura criminosa(violenza privata piuttosto che resistenza a pubblico ufficiale) o ancora diincidere sul regime delle circostanze aggravanti o attenuanti (art. 60 cp). Errore sul decorso causale. È da ritenersi irrilevante l’errore sul nessocausale, almeno finché la divergenza fra decorso causale prefigurato e decorsocausale effettivo non sia tale, da far escludere che l’evento costituisca larealizzazione dello specifico rischio insito nell’iniziale azione del soggetto. Errore determinato da colpa. L’errore di fatto, se esclude il dolo, nonnecessariamente esclude la responsabilità penale può residuare unaresponsabilità a titolo di colpa, purché ne sussistano i presupposti e cioè:

a) errore di percezione è rimproverabile, cioè dovuto ad un’inosservanzadelle norme precauzionali di condotta imputabile all’agente;

b) il fatto sia espressamente previsto dalla legge come delitto colposo.Errore del soggetto inimputabile. Bisogna distinguere tra un errore condizionatodall’infermità mentale e uno non condizionato da essa e del tutto indipendenteda essa. Errore condizionato: non ha rilevanza scusante, anzi può portareall’applicazione di misure di sicurezza al soggetto che, affetto da graveinfermità mentale, è pericoloso per la società (es. soggetto affetto da manie dipersecuzione, che uccide il presunto persecutore). Errore incondizionato: haefficacia scusante se determinato da circostanze di fatto che avrebberopresumibilmente tratto in inganno anche una persona capace. Error aetatis. Non è invocabile perché, a norma dell’art. 609 sexies cp, ilcolpevole non può, nell’ambito dei delitti contro la libertà sessuale, invocarea propria scusa l’ignoranza dell’età dell’offeso, quando il fatto sia commessoin danno di un minore di anni 14 (si basa sul principio di protezionedell’interesse minore). Art. 472 cp: “L’errore sul fatto che costituisce un determinato reato, nonesclude la punibilità per un reato diverso”. Ne consegue che si risponde delreato cui siano stati effettivamente posti in essere gli estremi, tantopsicologici, quanto materiali.

3. ERRORE DI FATTO DETERMINATI DA ERRORE SU LEGGE EXTRAPENALEArt. 473cp: “L’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude lapunibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato”.Significato di legge extrapenale: con questo termine l’art. 47 intenderichiamare tutte le norme di natura non penale (civili, amministrative …) eanche quelle norme penali diverse da quella incriminatrice riguardante il casodi specie. Non vale, quindi, che l’errore ricada su di una norma integratricedel precetto penale o su di una norma che serva a completare la descrizione delreato: su questo tipo di norme non si ammette errore, come previsto anchedall’art. 5 cp.Esistono quattro tipologie di errore sulla legge extrapenale:

1. errore sugli elementi normativi della fattispecie penale: avrà sempreefficacia scusante. Si tratta dell’errore su quegli elementi per la cuidefinizione occorre il rinvio ad una norma diversa da quellaincriminatrice considerata. Es.: caso della norma civile che disciplinal’elemento normativo “altruità” nel delitto di furto.

2. Errore sugli elementi normativi di natura etico-sociale: se qualcunoritiene proprio il comportamento conforme al comune senso del pudore, acausa di una erronea valutazione della morale sociale dominante, non potrà

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rispondere del delitto di atti osceni, perché manca la coscienza di unfondamentale requisito di fattispecie.

3. Errore sulla norma penale in bianco: può escludere la responsabilità.Siccome l’art. 47 non fa riferimento all’ampiezza della norma extrapenalerichiamata, non avrebbe senso che l’interprete facesse differenza tranorma extrapenale integratrice della fattispecie di reato e norma penalein bianco.

4. Errore che ricade su norma extrapenale che rileva ai fini dellavalutazione del significato di un elemento costitutivo del fatto: es.errore del genitore sulle norme fiscali (inerenti il pagamento di tasseuniversitarie), le quali pur non essendo direttamente richiamate dallafattispecie di truffa, incidono sulla valutazione del caratteretruffaldino delle false dichiarazioni esibite all’Opera Universitaria.

4. ERRORE DETERMINATO DALL’ALTRUI INGANNO Art. 48 cp: “Le disposizioni dell’articolo precedente sono applicabili anche sel’errore sul fatto che costituisce reato è determinato dall’altrui inganno: main tal caso del fatto commesso dalla persona ingannata, risponde chi l’hadeterminata a commetterlo”. L’errore deve comunque ricadere su di un elemento costitutivo del reato. Sono,quindi, privi di efficacia scusante gli errori vertenti sui motivi, sullecircostanze e simili. L’inganno, come fonte dell’errore, deve consistere nell’impiego di mezzifraudolenti assimilabili agli artifici e ai raggiri nel delitto di truffa.: essopuò consistere in qualsiasi artificio o espediente adatto a sorprendere l’altruibuona fede. Ciò che conta è che l’inganno provochi nella vittima una falsarappresentazione della realtà. Al fine di affermare la responsabilità di chi pone in essere l’inganno, èsufficiente la sola condotta ingannatrice: il semplice fatto di provocare inaltri l’errore, può considerarsi un efficace mezzo di determinazione dell’altruivolontà.

5. REATO PUTATIVO Art. 491 cp: “Non è punibile chi commette un fatto non costituente reato, nellasupposizione che esso costituisca reato”.Si tratta della situazione in cui un soggetto crede di commettere un reato, main realtà questo è inesistente. L’errore di valutazione in cui incorre unsoggetto può derivare da un errore di fatto o di diritto. La natura putativa del reato, può anche derivare dall’ignoranza di compierlo inpresenza di una causa di giustificazione o di discolpa. In tutte queste ipotesi la convinzione dell’agente di commettere un fatto direato, è priva di rilevanza. È vero che l’autore del reato putativo dimostra unatendenza a delinquere, però non gli si può attribuire nessuna responsabilità, inquanto il nostro ordinamento penale si basa su un orientamento oggettivistico enon soggettivistico.

Sezione VIl reato aberrante

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1. ERRORE-INABILITÀAberratio ictus monolesiva. È un’ipotesi prevista dall’art. 821cp e consistenella divergenza tra voluto e realizzato, che può dipendere da un errore cheincide sul momento formativo della volontà, o da un errore nell’uso di mezzi diesecuzione del reato o da un errore dovuto ad altra causa: es. A vuole uccidereB ma, per un errore nella mira, fallisce il bersaglio e colpisce erroneamente C.Questa ipotesi si verifica, dunque, quando a causa di un errore esecutivo,mutano l’oggetto materiale dell’azione e il soggetto passivo, ma l’offesapermane normativamente identica e, di conseguenza, non muta il titolo del reato.Esistono diversi problemi in tema di attribuzione della responsabilità. Secondol’indirizzo dominante, la norma in esame sarebbe superflua in quanto conforme aiprincipi sugli elementi psicologici del reato. Si osserva che l’offesa ènormativamente equivalente a quella voluta dal soggetto, per questo il dolopermane poiché, per la sua configurazione basta che l’agente rappresenti glielementi del fatto rilevanti ai sensi della fattispecie incriminatriceconsiderata. Questa tesi risulta contestabile se si privilegia una ricostruzionedel dolo che esalti la componente psicologica: essa fa leva sull’esattacongruenza tra voluto e realizzato, che in questo caso manca. Se si fa propriaquesta concezione incline a ricostruire il dolo sotto un aspetto più soggettivo,risulta evidente che l’art. 82, comma 1 cp finisce col nascondere più unaipotesi di responsabilità oggettiva da qui la necessità di un interventoriformatore, volto a determinare la discrasia tra l’attuale disciplinadell’aberratio ed i principi dell’imputazione dolosa. Aberratio ictus plurilesiva. Art. 822 cp: ”Qualora, oltre alla persona diversa,sia offesa anche quella alla quale ‘offesa era diretta, il colpevole soggiacealla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino alla metà”. Si trattadi quelle situazioni in cui l’errore-inabilità, provoca un evento lesivoulteriore rispetto a quello preso di mira dall’agente. Attribuzione dellaresponsabilità: la soluzione più conforme alla volontà originaria dellegislatore prevede che, per l’ulteriore offesa provocata alla personaerroneamente colpita, si attribuisca responsabilità oggettiva. Non si richiedela sussistenza di colpa nell’ulteriore offesa provocata. Per l’offesa arrecataalla vittima designata, l’agente risponderà a titolo di dolo.

2. ABERRATIO DELICTIArt. 831 cp. La disposizione si riferisce alla figura dell’aberratio delicti chericorre nei casi in cui l’agente, per inabilità nell’esecuzione, finisce colrealizzare un reato che lede beni o interessi diversi rispetto a quelli inerential reato preso di mira inizialmente. Qui il dolo esula perché manca nel soggettola volontà dell’evento diverso. L’art. 83 afferma che l’evento cagionato inluogo di quello voluto, stia a carico dell’agente a titolo di colpa, semprechèil reato sia preveduto dalla legge come delitto colposo. In realtà secondo latesi dominante, ciò che fonda l’imputazione dell’evento dell’evento non voluto èuna responsabilità oggettiva da questo punto di vista si ricomprende siaipotesi di negligenza, imprudenza, ecc., sia ipotesi nelle quali l’evento nonvoluto sia una conseguenza meramente accidentale dell’azione dell’agente. In ogni caso, perché l’evento possa essere attribuibile all’agente, deve essernespecificamente prevista la realizzazione colposa.Aberratio delicti con pluralità di eventi. L’art. 83 cpv. prevede che “se ilcolpevole ha cagionato altresì l’evento voluto, si applicano le regole sulconcorso dei reati”. L’agente risponde di due reati uno doloso e uno colposo. In

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questo caso la colpa concerne non il fondamento della responsabilità oggettiva,bensì il piano delle sole conseguenze sanzionatorie.

Sezione VILa coscienza dell’illiceità

1. LA POSSIBILITÀ DI CONOSCERE IL PRECETTO PENALELa concezione dell’illiceità si trova dentro la categoria della colpevolezza e,qui, viene concepita come elemento costitutivo autonomo requisito distintoche si aggiunge all’imputabilità, al dolo o alla colpa e all’assenza di cause didiscolpa. L’aspetto nodale della questione riguarda la portata ed i limitidell’affermazione secondo cui “non esiste colpevolezza, senza coscienzadell’illiceità”.

1) È da escludere che la volontà colpevole richieda la piena conoscenzadell’illiceità penale: l’art. 5 cp accoglie il principio “ignorantia legisnon excusat” esso si riferisce sia al caso della mancata conoscenza,sia a quello dell’erronea conoscenza. Questo principio, però, non vaconsiderato in termini assoluti: infatti è stato l’impatto con la prassi afare apparire astratta, teorica ed iniqua, la sua pretesa assolutezza; lamassa crescente di disposizioni penali, pone il cittadino in unacondizione che favorisce l’ignoranza o l’erronea conoscenza della normaincriminatrice.

2) Un’interpretazione correttiva dell’art. 5 cp, è data dall’art. 271 Cost. questo sancisce il carattere personale della responsabilità penale eimpedisce, perciò, di ritenere irrilevante la mancata percezione deldisvalore penale inerente al fatto commesso: la compenetrazionepsicologica fatto-autore cresce quanto più l’agente è in grado di coglierela carica antigiuridica del fatto commesso. L’art. 273 Cost. apporta, poi,un’ulteriore correzione esso sancisce la funzione rieducativaattribuita alla pena e, perché essa risulti applicabile, la rispostapunitiva deve operare nei confronti di un soggetto che si trovi incondizione di avvertire il disvalore del fatto realizzato. Come si puòvedere, tra queste disposizioni, verte uno stato di compromesso: in questosenso ci si può accontentare di chiedere la possibilità di conoscenzadell’illiceità così, ai fini del rimprovero della colpevolezza, diventasufficiente esigere che l’autore del fatto prima di agire, sia in grado dipercepirne il carattere antigiuridico. La possibilità di conoscenza delcarattere illecito del fatto, rende evitabile e, quindi, inescusabilel’ignoranza o l’errore in cui il soggetto eventualmente cade. Il concettodi possibilità della conoscenza richiama due sfere concettuali: a)l’evitabilità-inescusabilità dell’ignoranza (conseguente riconoscimentodella colpevolezza e affermazione della responsabilità penale; b)inevitabilità-scusabilità dell’ignoranza (assenza di colpevolezza edesclusione della punibilità).

3) Sent. 364/1988 Corte costituzionale: questa ha dichiarato parzialmenteillegittimo l’art. 5 cp, nella parte in cui non escludeva dal principiodella inescusabilità dell’ignoranza della legge penale, i casi diignoranza inevitabile e quindi scusabile.

Quando l’ignoranza della legge risulta inevitabile?Esistono dei criteri per l’individuazione della inevitabilità dell’ignoranza

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a) criteri soggettivi puri fanno prevalentemente leva sullecaratteristiche personali del soggetto agente: livello di intelligenza,grado di scolarizzazione, ambiente sociale di provenienza, ecc.;

b) criteri oggettivi puri tengono conto di cause che rendono impossibilela conoscenza della legge penale da parte di ogni consociato, quali che nesiano le caratteristiche personali;

c) criteri misti tengono contemporaneamente conto delle circostanzeoggettive che inducono a ignorare la legge penale e delle caratteristichepersonali del soggetto agente. L’adozione di questo tipo di criteri, sicolloca sul terreno della colpevolezza che si occupa di bilanciare, inmodo equilibrato, le esigenze garantistiche dell’individuo e quellegenerali di prevenzione obbiettivo perseguito è di evitare, da un lato,l’abuso repressivo derivante dalla mancata considerazione dellapersonalità dell’agente e, dall’altro, l’eccesso di clemenza giudizialederivante dalla sola considerazione della personalità dell’agente.

L’applicazione del modello della inevitabilità-scusabiltà, viene influenzata aseconda delle concezioni di colpevolezza che si adottano. Gli esiti applicativi,quindi, mutano a seconda che si privilegi:

- colpevolezza concepita come categoria che riflette coefficientipsicologici reali qui la rimproverabilità trova fondamento nel processopsicologico che si è verificato nell’autore del reato. Secondo questaprospettiva, il comportamento dell’agente merita di essere censurato,poiché egli si è rappresentato la possibilità dell’illiceità della suaazione ma, nonostante questo, ha deciso di agire comunque.

- colpevolezza concepita come categoria accentuatamente normativa, confinalità repressivo-preventive in questo caso si rimprovera al soggettodi non avere adempiuto agli obblighi di informazione giuridica, nonostanteegli fosse in grado di adempiervi.

Sezione VIICause di esclusione della colpevolezza

1. DOLO E NORMALITÀ DEL PROCESSO MOTIVAZIONALE; LA C.D. INESIGIBILITÀ Il rimprovero della colpevolezza presuppone l’assenza di circostanze anormali,concomitanti all’azione, che rendano psicologicamente necessitato ilcomportamento delittuoso. Parte della dottrina ha fatto assurgere a causagenerale di esclusione della colpevolezza la c.d. inesigibilità.Nonostante le forti suggestioni di potere utilizzare una categoria capace direndere più elastiche e umane le regole formali che presiedono l’imputazionepenale, è da escludere che l’inesigibilità possa assumere quel ruolo ampliamentescusante ipotizzato da una parte della dottrina essa non riesce ad indicare icriteri che dovrebbero veramente presiedere alle soluzioni dei diversi casiconcreti: infatti, se ci si limita ad asserire che un comportamento non ècolpevole perché non era esigibile, rimane comunque senza rispostal’interrogativo più importante, che è quello di sapere perché non si era potutoagire diversamente. Oggi l’inesigibilità come causa di discolpa non si applica più ai reaticommissivi dolosi, però è riconosciuta nell’ambito dei reati colposi e di quelliomissivi. Circostanze anormali concomitanti e attenuazione della colpevolezza. In certicasi può esistere un grave conflitto motivazionale che affligge l’agente: ilgiudice non deve ignorarlo poiché, soprattutto nei reati commissivi dolosi, la

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presenza di circostanze anormali concomitanti, può attenuare la misura delrimprovero e questo inciderà sulla graduazione della pena. La graduabilità insenso attenuante del giudizio di colpevolezza potrà essere invocata in generale,cioè in tutti quei casi in cui le circostanze dell’agire rendonopsicologicamente poco esigibile un comportamento illecito il fatto commessodeve comunque recare una credibile impronta del conflitto motivazionaledell’agente.

2. SCUSANTI LEGALMENTE RICONOSCIUTE Il principio di inesigibilità può ottenere un riconoscimento più cautolimitatamente a quelle ipotesi di cause di esclusione della colpevolezza oscusanti, espresse dal legislatore. Esse sono riconducibili a:

1. stato di necessità scusante o cogente e la coazione morale;2. ordine criminoso insindacabile della pubblica autorità;3. ignoranza o errore inevitabile-scusabile della legge penale, a seguito

della sent. cost. 364/88.

Sezione VIIILa colpevolezza nelle contravvenzioni

1. CRITERI DI IMPUTAZIONE SOGGETTIVA Art. 424 cp: “Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione odomissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”. Il codice penaleprevede una specifica disciplina dell’elemento soggettivo nelle contravvenzioni.Inoltre, all’art. 43 ultimo comma, aggiunge “La distinzione tra reato doloso ereato colposo, stabilita … per i delitti, si applica altresì allecontravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere datale distinzione un qualsiasi effetto giuridico”.Da qui si deduce che, anche nelle contravvenzioni, devono ritenersi vigenti inormali principi relativi all’accertamento dell’elemento psicologico. Ulterioreprecisazione: esistono contravvenzioni che possono essere realizzate solo condolo o solo con colpa.

CAPITOLO IVCircostanze del reato

Norme fondamentali a riguardo: codice penale: artt. Da 59 a 70 (circostanze); codice penale: art. 133 (criteri di

commisurazione della pena); codice penale: art. 99 (recidiva); l. 251/2005, di modifica del cp e della l. 364/1975; l. 19/1990, di modifica in tema di circostanze.

Attenzione a violazione delprincipio “Ne bis in

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1. PREMESSACircostanze del reato = elementi che “stanno intorno” o accedono ad un reato giàperfetto nella struttura e la cui struttura determina soltanto una modificazionedella pena. La modificazione della pena può avvenire in termini:

- quantitativi sotto forma di modificazione proporzionale della penaedittale: aumento o diminuzione fino ad 1/3 della pena prevista per ilreato base;

- qualitativi ad esempio reclusione invece della multa, o viceversa. Le circostanze sono elementi contingenti, per cui possono anche mancare anche seil reato sussiste (cioè non costituiscono uno degli elementi sostanziali delreato). Sono oggetto di tipizzazione legislativa: attenuanti comuni, aggravantispeciali, aggravanti comuni. Prevedendo tale sistema di circostanze, il legislatore ha mirato ad un dupliceobiettivo:

a) tenere conto di un insieme di circostanze particolari che, incidendo sullafigura di reato, permettono di adeguare meglio la pena ai singoli casicriminosi che la realtà prospetta;

b) fare sì che tale sistema di adeguamento non rimanga affidato solo alladiscrezionalità del giudice, ma si attui dentro confini legislativipredeterminati.

Le circostanze rientrano negli elementi essenziali del reato, poiché ognielemento incidente sulla sanzione, rientra tra i presupposti della conseguenzagiuridica. Nell’ambito delle circostanze si possono ravvisare due problemi di rilevanzapratica:

- la determinazione dei criteri idonei a distinguere tra elementi essenzialie circostanze del reato;

- riguarda il rapporto tra le circostanze in senso stretto e i criteri dicommisurazione della pena ex art. 133 cp.

La disciplina delle circostanze è stata profondamente modificata dalla l. 5dicembre 2005, n. 51. Essa reca modifiche al codice penale e alla legge354/1975, in materia di attenuanti generiche, recidiva, giudizio di comparazionedelle circostanze per i recidivi e altro. Dal punto di vista politico-criminale si tratta di una riforma che tenta didifferenziare il rigore del trattamento penale più mite per i rei primari(incensurati che delinquono per la prima volta) e più rigido destinato airecidivi (soggetti che già hanno commesso un delitto in precedenza).

2. CLASSIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE Tipologie di circostanze:

1. circostanze aggravanti: aumento della pena prevista per il reato-base(variazione quantitativa) o modifica qualitativa della sanzione (es.passaggio da pena pecuniaria a pena detentiva);

2. circostanze attenuanti: comportano una diminuzione quantitativa della penaprevista per il reato-base, oppure una variazione qualitativa della pena avantaggio del reo;

3. circostanze comuni: sono le aggravanti o attenuanti previste nella partegenerale del codice, potenzialmente applicabili ad un insieme nonpredeterminabile di delitti;

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4. circostanze speciali: sono previste dal legislatore soltanto in relazionea determinati tipi di reato;

5. circostanze oggettive: concernono la “natura, specie, i mezzi, l’oggetto,i tempi, il luogo e ogni altra modalità dell’azione e le condizioni o lequalità dell’offeso”;

6. circostanze soggettive: riguardano “l’intensità del dolo o il grado dellacolpa, le condizioni o le qualità del colpevole, i rapporti tra offeso ecolpevole, o circostanze inerenti la persona del colpevole”. Sono inerentialla persona del colpevole l’inimputabilità e la recidiva;

7. circostanze tipiche e generiche: la loro distinzione dipende dal diversogrado di determinatezza raggiunto in sede di tipizzazione legislativadelle situazione assunte come elementi circostanziali.

Tenere presente che: a) la distinzione tra circostanze oggettive e soggettive harilevanza sotto il profilo del concorso di persone; b) vi sono ipotesi nellequali spetta al giudice concretizzare gli elementi circostanziali indicati dallegislatore in forma generica ad esempio con la frase “rilevante gravità”.

3. CRITERI DI IDENTIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZENella maggior parte dei casi, la natura circostanziale di dati elementi, risultain maniera univoca dalla formulazione legislativa (non sempre!).Per tracciare la distinzione tra circostanze ed elementi costitutivi,attualmente tende a prevalere un criterio discretivo che fa leva sul rapporto dispecialità tra l’ipotesi circostanziata e l’ipotesi semplice di reato laprima deve porsi in relazione di specie rispetto al reato semplice; mentre laseconda dovrà coincidere con il genere, poiché deve includere tutti gli elementicon l’aggiunta di uno più elementi specializzanti.In realtà la specialità è condizione necessaria, ma non sufficiente ai finidella qualificazione delle circostanze: anche una figura autonoma di reato puòrisultare speciale rispetto ad un’altra. Quindi possiamo dire che: in genere si usa il criterio del rapporto dispecialità, ma nei casi più dubbi si attenderanno i c.d. criteri ausiliari. Essicorrispondono agli indici tradizionalmente costituiti dal nomen juris, daiprecedenti storici, dalla rubrica legislativa, ecc. il risultato è chel’individuazione degli elementi circostanziali, finisce col rappresentare unproblema interpretativo da risolvere caso per caso.

4. CRITERIO DI IMPUTAZIONE DELLE CIRCOSTANZE L. 7 febbraio 1990, n. 19: ha modificato il sistema delle circostanze,attribuendo un regime di imputazione soggettiva anche alle aggravanti (prima erasolo oggettivo). Infatti il nuovo testo dell’art. 592 cp, stabilisce “lecircostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto seda lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per erroredeterminato da colpa”.Per effetto di questa disciplina è stato esteso anche alle circostanze, ilprincipio nulla poena sine culpa: affinché possano essere attribuite circostanzeaggravanti al colpevole, occorre un coefficiente soggettivo, rispettivamentecostituito dalla loro effettiva conoscenza o dalla loro colpevole ignoranza. Rimane inalterata l’imputazione obiettiva delle attenuanti.L’art. 59 cp ammette anche un’ulteriore interpretazione. Si pensa che nonimporti se la circostanza ignorata acceda ad un reato base doloso o colposo.L’importante è che egli ne abbia ignorato con colpa l’esistenza: in questo caso

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la colpevolezza relativa alle circostanze aggravanti, esige come coefficienteminimo di imputazione, la colpa. Errore sulla persona offesa. Art. 60 cp: “Nel caso di errore sulla personaoffesa da un reato, non sono poste a carico dell’agente le circostanzeaggravanti, che riguardano le condizioni o le qualità della persona offesa, o irapporti tra offeso e colpevole. Sono valutate a suo favore le circostanzeattenuanti, erroneamente supposte, che concernono le condizioni, le qualità, o irapporti predetti”. L’art. 60 prospetta una regola d’imputazione soggettiva delle circostanzeaggravanti. Una conclusione analoga vale rispetto alla rilevanza che, l’art. 60accorda alla supposizione erronea, la circostanza attenuante.

5. CRITERI DI APPLICAZIONE DEGLI AUMENTI O DELLE DIMINUZIONI DELLA PENA I criteri applicabili al regime sanzionatorio variano a seconda dellecircostanze di cui si tratta.In particolare, occorre distinguere tra:

circostanze ad efficacia comune: sono caratterizzate dal fatto che ladiminuzione o l’aumento della pena è dipendente dalla pena ordinaria sieffettua una operazione frazionaria fino a 1/3, della pena prevista per ilreato semplice;

circostanze ad efficacia speciale: l’aumento o una diminuzione per lealtre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla penastabilita per la circostanza speciale (art. 633 cp).

6. CONCORSO DI CIRCOSTANZE AGGRAVANTI E ATTENUANTIAd un determinato fatto, possono concorrere più circostanze. Si parla di

1. Concorso omogeneo: ipotesi nelle quali sono compresenti più circostanzedella stessa specie, o tutte aggravanti o tutte attenuanti. La disciplinadel concorso omogeneo si differenzia a seconda che si parli di circostanzea efficacia comune o speciale. Nel primo caso l’art. 632 cp stabilisce chese concorrono più aggravanti o più attenuanti, l’aumento o la diminuzionedella pena si opera sulla quantità di pena risultante dall’aumento odiminuzione precedente. Limiti: art. 66 cp dispone che se concorrono piùaggravanti, la pena da applicare non potrà superare il triplo del massimostabilito dalla legge. Non si posso eccedere gli anni 30 se si tratta direclusione, e degli anni 5 se si tratta di arresto.Nell’ipotesi di concorso di circostanze attenuanti la pena da applicarenon può essere inferiore ai 10 anni quando si tratti di ergastolo, mentrenegli altri casi non può essere inferiore a 1/4. Concorso omogeneo tra circostanze a efficacia speciale e comune art.633 cp: se sono ad efficacia speciale (o la legge stabilisce una pena dispecie diversa da quella ordinaria) , l’aumento o la diminuzione dellapena per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, maper la circostanza anzidetta. art. 68 cp: quando un’aggravante/attenuante comprende in sé un’altraaggravante/attenuante, è valutata a carico o a favore del colpevolesoltanto la circostanza aggravante o attenuante, la quale importa,rispettivamente, il maggiore aumento della pena o la maggiore diminuzione.Sono ipotesi che prescindono dal rapporto di specialità, l’assorbimentoopera su un giudizio di valore.

2. Concorso eterogeneo: quando ad un medesimo fatto di reato accedono,contemporaneamente, circostanze aggravanti e attenuanti. Il legislatore

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degli anni ’30 ha introdotto, a proposito, il principio del bilanciamento a norma dell’art. 69 cp il giudice deve procedere ad un giudizio diequivalenza o prevalenza tra le circostanze eterogenee: la conseguenza èdi operare un raffronto tra l’ applicazione delle sole circostanzeritenute prevalenti, oppure della pena che sarebbe stata inflitta inassenza di circostanze. Questa previsione serve per dare al giudice unavisione organica e completa del colpevole e del reato commesso, in modoche la pena da applicare in concreto, sia il più possibile “il risultatodi un giudizio complessivo e sintetico sulla personalità del reo e sullagravità del reato”. Il giudizio di bilanciamento nella prima redazionedell’art. 69, era applicabile alle sole circostanze ad efficacia comune.Con l’introduzione della riforma novellistica dell’aprile del ’74, ilgiudizio di comparazione non incontra più alcun limite: il giudizio dibilanciamento dà spazio ad un criterio discrezionale, libero da criteri-guida di fonte normativa. In realtà, con la riforma del 2005, illegislatore è intervenuto anche sull’art. 69 cp con la finalità direstringere la discrezionalità del giudice e vincolarlo ad un maggiorerigore repressivo in sede di comparazione. Questo obbiettivo, inparticolare, è stato raggiunto attraverso l’introduzione di un commaaggiuntivo nell’art. 69, il quale sancisce precisamente un divieto diprevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze aggravanti,nelle ipotesi di: a) casi di recidiva reiterata; casi previsti dagli artt.111, 112, comma 1 relativi alla determinazione al reato di personeimputabili o non punibili.

7. APPLICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE E COMMISURAZIONE DELLA PENA Le circostanze ad efficacia comune causano un aumento o diminuzione della penafino ad 1/3. Questa espressione (“fino a…”) esprime il potere discrezionale delgiudice in relazione alla determinazione del quantum ricompreso tra il minimo (1giorno) e il massimo (1/3), della variazione di pena prodotta dalle circostanze.Bisogna tenere in conto, però, che a questo momento di discrezionalità siaggiunge anche quello previsto dall’art. 133 cp, relativamente allacommisurazione giudiziale della sanzione tra il minimo e massimo edittali.Questa struttura del meccanismo di determinazione della pena in concreto, portaal rischio che si operi una valutazione di circostanze di contenuto identico,per due volte. Questa doppia valutazione è contraria al principio “Ne bis inidem” uno stesso elemento di fatto deve essere computato, in sede divalutazione, una sola volta.

8. LE SINGOLE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI COMUNIL’art. 61 contiene il catalogo delle singole circostanze aggravanti comuni (v.pg. 434 libro).

9. LE SINGOLE CIRCOSTANZE ATTENUANTI COMUNI L’art. 62 cp contiene il catalogo delle singole circostanze attenuanti comuni(v. pg. 443 libro).

10. CIRCOSTANZE ATTENUANTI GENERICHE Art. 62 bis, introdotto da d.lg.lgt. 14 settembre 1944, n. 288 reinserisce nelcodice penale le c.d. attenuanti generiche, rimosse dal legislatore del ’30.L’art. in questione, dispone “Il giudice, indipendentemente dalle circostanzepreviste dall’art. 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse,

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qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sonoconsiderate, in ogni caso, … come una sola circostanza, la quale può ancheconcorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto art. 62”.La natura e la funzione delle circostanze generiche, sono controverse. Va,comunque, preferita l’opinione che attribuisce loro una funzione autonoma,consistente nel permettere al giudice di cogliere un valore positivo del fatto,non tipizzabile a priori in linea generale ed astratta, ma desumibile solo daicasi concreti considerati nelle loro infinite sfumature. Si tratta, quindi, dicircostanze in senso tecnico, applicabili in relazione anche di un solo valoreattenuante, indipendentemente dalla valutazione complessiva del fatto e dellavalutazione dell’agente. La conseguenza più importante è che: l’art. 62 bis puòessere applicato anche quando la pena-base sia irrogata in misura superiore alminimo, il fatto criminoso sia obbiettivamente grave ed il reo abbia precedentipenali. Anche riguardo a queste circostanze vige il divieto della doppiavalutazione. I valori attenuanti espressi dal citato articolo, non sono elencati.Le circostanze generiche si considerano sempre come una sola circostanza e sonosoggette al principio del bilanciamento. In realtà la legge di riforma del 2005 ha innovato in materia di circostanzeattenuanti generiche, apportando modifiche rilevanti:

- si preclude all’organo giudicante di tenere conto dei criteri dicommisurazione giudiziale della pena che fanno riferimento all’intensitàdel dolo e alla capacità di delinquere del colpevole;

- la valutazione giudiziale dovrà incentrarsi solo sui parametri stabilitidall’art. 133 cp parametri di carattere oggettivo relativi alla gravitàdel danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato.

Queste regole sono previste dal nuovo comma dell’art. 62 bis e sono inerentialla diminuzione della pena dei recidivi e a quelle figure delittuose previstenell’art. 407 cpp. La disciplina è stata resa ancora più dura dall’introduzione di un terzo commadell’art. 62, ad opera del “decreto sicurezza” n. 92 del 2008. Essa vuolesollecitare i giudici ad un maggiore impegno nel motivare le ragioni chegiustificano la diminuzione della pena. Da questo punto di vista l’aggiuntaapportata alla disciplina precedente, si traduce in una sorta di regola delgiudizio, avente come obiettivo quello di guidare e limitare la discrezionalitàgiudiziale in chiave anti-clemenzistica.

11. LA RECIDIVARecidiva = ricaduta nel reato è stato opera di penetranti riforme ad operadella l. 251/2005. L’intenzione perseguita è quella di reagire al rischio diun’eccessiva svalutazione applicativa della recidiva, con conseguenteattenuazione della risposta punitiva, dovuta all’eccesso di discrezionalitàgiudiziale nell’applicazione dell’istituto. La prima importante modifica ha riguardato l’individuazione dei reati-presupposto, identificati solo nei delitti non colposi è recidivo chi, dopoavere commesso un delitto non colposo, ne commette un altro non colposo.La recidiva trova un nesso col concetto di capacità a delinquere nell’art. 1332

cp: da questo punto di vista essa assurge a indice della maggiore capacità adelinquere del soggetto il reo recidivo dimostrerebbe per lo stesso fatto dipersistere nell’illecito, sia una maggiore insensibilità ai dettamidell’ordinamento, sia una maggiore propensione a delinquere in futuro.

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L’art. 99 cp prevede tre forme di recidiva. Esse, nonostante la riforma, sonorimaste invariate sia nei presupposti, sia negli effetti giuridici, ma sonoregolamentate diversamente in più punti e in maniera più severa.

1. Recidiva semplice. Consiste nella commissione di un delitto non colposo, aseguito della condanna irrevocabile per un altro delitto non colposo: èindifferente il tempo trascorso dalla prima condanna. L’aumento è di 1/3della pena da infliggere, per il nuovo delitto colposo: il trattamentopunitivo è irrigidito in maniera fissa e non più graduabile dal giudice.Il presupposto dell’applicabilità dell’aggravamento della pena, è che ilprecedente delitto sia stato accertato con una sentenza definitiva dicondanna: non è necessario che la pena sia stata effettivamente scontata. La recidiva va annoverata tra i c.d. effetti penali della condanna. Aifini della sua sussistenza si tiene anche conto delle precedenti condanneper le quali sia intervenuta una causa di estinzione della pena o delreato; mentre non si considerano le precedenti condanne per le quali nonsiano intervenute cause estintive di tutti gli effetti penali;

2. Recidiva aggravata. Si presenta quando: il nuovo delitto non colposo èdella stessa indole (art. 101); è stato commesso entro 5 anni dallacondanna precedente (recidiva infraquinquennale); è stato realizzatodurante o dopo l’esecuzione della pena; durante il tempo in cui ilcondannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena stessa. Intutte queste ipotesi la pena può essere aumentata fino alla metà allamaggiorazione dell’incremento di pena, in questo caso, si accompagna ilmantenimento del suo carattere flessibile e discrezionale. Qualoraconcorrano più circostanze fra quelle che fanno da presupposto allarecidiva aggravata, l’aumento è della metà (aumento fisso). Assumerilevanza la categoria dei reati della stessa indole si configurano duepossibilità: a) la stessa indole è data da violazioni della stessadisposizione di legge (per tale è da intendere lo stesso titolo di reato,se la stessa indole ricorrerà tra la forma consumata, tentata ocircostanziata di una stessa figura criminosa) ; b) quando si tratta direati che violano disposizioni incriminatrici diverse, tra i reati stessi,dovranno intercorrere caratteri fondamentali comuni. Queste note comunivanno desunte da un confronto dei reati operato sotto un duplice aspetto:in primo luogo sotto il punto di vista della natura dei fatti che licostituiscono occorre accertare una sostanziale omogeneità dei fatticoncreti, considerati nelle effettive modalità di realizzazione e neirisultati lesivi che ne conseguono. Una tale omogeneità sussiste tral’ingiuria e il vilipendio; in secondo luogo, la stessa indole può esserericavata dai motivi che determinano la commissione dei reati bisognaverificare se alla base dei diversi fatti criminosi vi sia un’identica oanaloga motivazione psicologica (es. danneggiamento e omicidio determinatidall’intento di una vendetta mafiosa);

3. Recidiva reiterata. Se il nuovo delitto non colposo è commesso da chi ègià recidivo. La riforma del 2005 ha irrigidito gli aumenti della pena perquesta forma di recidiva: essa è aumentata della metà nel caso di recidivasemplice; di 2/3 se la precedente recidiva è aggravata specifica oinfraquinquennale, o si riferisce ad un delitto non colposo commessodurante o dopo l’esecuzione della pena, o durante il tempo in cui ilcondannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena stessa.

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4. Nuova figura di recidiva reiterata obbligatoria. È previsto dal novellatoart. 995 cp, il quale si riferisce al soggetto recidivo che commette unodei delitti previsti all’art. 407 cpp. Si tratta di un’innovazione sottopiù punti di vista: per la prima volta il citato catalogo di reati di cuiall’art. 407 cpp, viene assunto a punto di riferimento per la disciplinadi un istituto di diritto sostanziale.

Il nuovo art. 99 dispone che in nessun caso l’aumento della pena per effettodella recidiva, può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanneprecedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo. A parte l’ipotesi di recidiva reiterata obbligatoria, l’applicazione dellarecidiva in generale, resta facoltativa: la riforma del 2005 lascia inalteratol’amplissimo potere discrezionale del giudice, già previsto dalla riforma del’74. La legge omette di indicare i criteri-guida di questo potere.Natura giuridica dell’istituto. Bisogna distinguere tra tre momenti:

- riforma del ’74: parte della dottrina aveva contestato la collocazionecodicistica della recidiva nelle circostanze, sul presupposto che siaconcettualmente difficile concepire come circostanza del fatto di reato,uno status personale del soggetto derivante da una condanna per unprecedente reato;

- tesi più attuale, sostenuta dalla giurisprudenza: contesta la collocazionetra le circostanze, facendo leva sulla generalizzata facoltativitàdell’istituto. Tale carattere tende a fare apparire la recidiva come unasorta di indice di commisurazione della pena di natura analoga agli indiciprevisti dall’art. 133 cp;

- tesi di un’altra parte della dottrina: revoca la natura circostanzialedella recidiva e, allo stesso tempo, sottolinea come sia poco ragionevoleammettere che il giudice possa escludere l’effetto principale dellarecidiva e, contemporaneamente, tenerne conto per gli effetti minori.

Queste ultime conclusioni possono ritenersi ancora valide dopo la riforma del2005, perché la limitata obbligatorietà di applicazione non sembra in grado diintaccare la sostanza dell’istituto nella sua generalità.

CAPITOLO VDelitto tentato

Codice penale: art. 56

1. PREMESSA: LA CONSUMAZIONE DEL REATOConcetto di consumazione = coincide con la compiuta realizzazione di tutti glielementi costitutivi di una fattispecie criminosa si è in presenza di unreato consumato tutte le volte in cui il fatto concreto corrisponde interamenteal modello legale delineato dalla norma incriminatrice in questione. Il giudizio relativo all’avvenuta consumazione del reato, va effettuato di casoin caso, in funzione della diversità degli elementi strutturali che compongonole varie fattispecie incriminatrici. Nei reati di mera condotta, da un lato, la

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consumazione coinciderà con la compiuta realizzazione della condotta vietata;nei reati di evento, dall’altro, la consumazione presuppone oltre al compimentodell’azione, anche la produzione dell’evento. Rilevanza del momento consumativo. Essa avviene sotto diversi profili:

- in ordine all’individuazione della norma da applicare nel caso disuccessione di leggi penali nel tempo;

- rispetto all’inizio della decorrenza del termine di prescrizione;- ai fini dell’amnistia e dell’indulto, di solito concessi limitatamente ai

fatti commessi fino al giorno precedente la data della legge; - per la applicazione della legge penale italiana rispetto alla legge penale

straniera;- ai fini della competenza territoriale.

2. DELITTO TENTATO: IN GENERALEDelitto tentato (art. 56 cp) = ricorre nei casi in cui l’agente non riesce aportare a termine il delitto programmato, ma gli atti parzialmente realizzatisono tali da esteriorizzare l’intenzione criminosa. Fondamento politico-criminale della punibilità. È costituito dall’esigenza diprevenire l’esposizione a pericolo dei beni giuridicamente protetti ( teoriaoggettiva). Questa teoria è preferibile a quella soggettiva o mista, poiché siricollega in modo più coerente con i presupposti di un diritto penale del fatto:essi sono riassumibili nella fondamentale esigenza che il proposito criminoso sitraduca in un comportamento materiale che produca una effettiva lesione o almenouna messa in pericolo del bene protetto. In questo senso rilevano:

art. 56 cp menziona il requisito dell’idoneità dell’azione. Essa deveessere rapportata all’attitudine della condotta materiale ad aggredire ilbene tutelato;

art. 49 cp parlando di reato impossibile a causa di inidoneitàdell’azione, dimostra l’insussistenza del tentativo inidoneo.

Tentativo come messa in pericolo del bene protetto. La consumazione e iltentativo riflettono la lesione effettiva e potenziale del bene giuridicotutelato. Il minor grado di aggressione al bene, giustifica la minore severitàdel trattamento penale del tentativo. Dal più basso livello di offensività deriva che, il tentativo, rappresenta unasorta di delitto di minore grado rispetto al delitto consumato. Il delittotentato considerato da un punto di vista strutturale, è un delitto perfettoperché presenta tutti gli elementi necessari per l’esistenza di un reato:colpevolezza; antigiuridicità; fatto tipico. Dal punto di vista normativo, il tentativo rappresenta un titolo autonomo direato, caratterizzato da un profilo offensivo ad esso proprio, pur conservandolo stesso nomen juris della figura delittuosa a cui fa riferimento. In questosenso, la configurazione del tentativo, nasce dall’incontro o combinazione didue norme:

- norma incriminatrice di parte speciale: eleva a reato un determinatofatto;

- art. 56 cp: disciplina i requisiti del tentativo punibile e svolge unafunzione estensiva della punibilità, poiché consente di reprimerepenalmente i fatti che non pervengono alla soglia della consumazione.

Il riconoscimento dell’autonomia del delitto tentato, ha anche rilevanza sulpiano pratico: gli effetti giuridici riconnessi da una norma penale allaconsumazione di un reato, non possono essere automaticamente estesi al delittotentato.

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3. L’INIZIO DELL’ATTIVITÀ PUNIBILE L’aspetto più problematico in materia di tentativo, è la determinazionedell’inizio dell’attività punibile. In generale la soglia della punibilità sarà raggiunta soltanto in coincidenzacon la messa in pericolo del bene protetto. Quando una manifestazione di volontàcriminosa produce una situazione di pericolo per il bene tutelato?Il legislatore del ’30 ha abbandonato l’idea del tradizionale criteriodell’inizio di esecuzione. L’art. 56 cp, invece, dispone che “Chi compie attiidonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde didelitto tentato se l’azione on si compie o l’evento non si verifica”. Per rispondere alla domanda, perciò, il bene tutelato sarà messo in pericoloquando vi sia idoneità e univocità (modo non equivoco) degli atti volti a quelfine.

4. IDONEITÀ DEGLI ATTIL’idoneità è riferita all’atto. L’atto è l’impiego di un mezzo ad un mezzoinidoneo, può corrispondere un atto inidoneo e viceversa.L’idoneità ha natura oggettiva. Oggi si concorda nel ritenere che il parametrodi accertamento dell’idoneità consiste in un giudizio ex ante e in concreto:esso prende il nome di criterio della prognosi postuma. Con esso il giudice sicolloca idealmente nella stessa posizione dell’agente all’inizio dell’attivitàcriminosa, dovendo accertare con una valutazione basata sulle conoscenzedell’uomo medio, eventualmente arricchite dalle maggiori conoscenze dell’agenteconcreto, se gli atti erano in grado di sfociare nella commissione del reato.Questo criterio si chiama “prognosi postuma” perché il giudizio prognosticoviene effettuato dopo la commissione degli atti di tentativo, ma ponendosi conla mente nel momento iniziale dell’attività delittuosa. Solamente questaprognosi a posteriori consente di accertare se se l’agente concreto sia inpossesso o meno di conoscenze ulteriori rispetto a quelle tipiche dell’uomomedio. Questo criterio può essere applicato:

- su base parziale: tiene conto soltanto delle circostanze conosciute oconoscibili, al momento dell’azione, da un uomo medio al postodell’agente; mentre esso non tiene presente delle circostanze eccezionalioggettivamente presenti fin dall’inizio, ma conosciute dopo. L’utilizzo diquesto criterio consente di contemperare la dimensione di concretapericolosità del tentativo con esigenze di prevenzione generale;

- su base totale: prende in esame tutte le circostanze già presenti almomento del fatto, anche se conosciute in un momento successivo. In base aquesta conclusione, per esempio, il borseggiatore non dovrà rispondere difurto tentato, anche se era all’oscuro del fatto che la tasca dellavittima era vuota, poiché la mancanza dell’oggetto di reato rende inidoneoil tentativo di sottrazione. Questa impostazione è sostenuta da unorientamento minoritario, ma in verità è quello più coerente con ilfondamento dell’istituto del tentativo e cioè che ravvisa l’esigenza dellasua punibilità, a causa della potenziale messa in pericolo del benegiuridico protetto.

Non esiste unità di vedute sul grado di idoneità necessario ai fini dellaconfigurazione del delitto punibile. Per giungere alla conclusione più corretta,

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occorre fare riferimento al piano delle considerazioni teleologiche, il cheequivale a richiamare il fondamento sostanziale della punibilità del tentativo.Se tale fondamento va ravvisato nell’esigenza di impedire la messa in pericolodel bene giuridico, allora bisognerà escludere che il grado di sufficienzadell’idoneità coincida con la semplice “non impossibilità” di consumazione delfatto delittuoso; posto che il pericolo presuppone la “probabilità” diverificazione dell’evento lesivo, per potere affermare che gli atti deltentativo pongono in pericolo il bene protetto, è necessario rilevarne larilevante attitudine a conseguire l’obiettivo. La loro idoneità deve essere piùvicina alla probabilità, che non alla mera non impossibilità.

5. UNIVOCITÀ DEGLI ATTI Quando si può dire che un atto è diretto in modo non equivoco a commettere unreato?Esistono due tesi a riguardo:

- concezione soggettiva: fa riferimento ad un criterio di prova l’univocità degli atti indicherebbe l’esigenza che, in sede processuale,sia raggiunta la prova del proposito criminoso. La prova sarebbedesumibile oltre che nell’atto in sé considerato, anche aliunde (daiprecedenti e dalla personalità del reo, eventuale confessione …);

- concezione oggettiva: la direzione non equivoca degli atti rappresenta uncriterio di essenza. L’univocità va considerata come una caratteristicaoggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devonopossedere l’attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito,all’interno del contesto in cui sono inseriti.

L’esigenza di configurare l’univocità come caratteristica dell’azione nonesclude che la prova del fine delittuoso possa essere desunta in qualsiasi modo,facendo riferimento ai consueti canoni probatori. Tenere presente, però, che unavolta conseguita, anche aliunde, la prova del fine verso cui tende l’agente, ènecessaria anche una seconda verifica: si tratta di accertare se gli atti,considerati nella loro oggettività, riflettano in maniera sufficientementecongrua la direzione verso il fine criminoso, già accertato per altra via.

6. ELEMENTO SOGGETTIVO L’elemento soggettivo nel delitto tentato, corrisponde al dolo: infatti nelnostro ordinamento penale, il tentativo è punibile solo se commesso con dolo,mentre non è configurabile un tentativo colposo.Il dolo nel tentativo corrisponde con il dolo intenzionale e cioè quello direttoalla consumazione del delitto. Il tentativo infatti, accanto agli elementioggettivi presuppone l’univoca rappresentazione e volontà dell’agente dicommettere un determinato delitto, che non si realizza solo ed esclusivamenteper circostanze estranee a tale previsione e volontà dell’agente. Nel delitto tentato però, il dolo va accertato dal giudice con tutti i mezzi asua disposizione e non va desunto solo dalla tipicità e univocità degli attiposti in essere dall’agente: altrimenti si rischierebbe una interpretazioneestremamente limitativa. Anche nel tentativo l’elemento oggettivo (tipicità e univocità) e quellosoggettivo (dolo) hanno pari valenza giuridica. Dalla natura stessa deltentativo si evince che, l’agente, oltre a coscienza e volontà della condotta(azione od omissione), deve anche avere la rappresentazione e volizione diconsumare un determinato delitto e di realizzare, quindi, l’offesa del benegiuridico tutelato dalla norma.

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Dolo eventuale. La dottrina prevalente sostiene che non si possano configurareipotesi di tentativo basato su dolo eventuale, poiché il delitto tentato devesempre essere caratterizzato dal dolo diretto. Il soggetto deve agire concoscienza e volontà al fine di realizzare l’evento costituivo del reato. Anchela giurisprudenza appoggia questo indirizzo, precisando che se il solo deveessere diretto a consumare il delitto, non è possibile configurare un tentativoin cui il dolo sia meramente eventuale rispetto all’evento.

7. IL PROBLEMA DELLA CONFIGURABILITÀ DEL TENTATIVO NELL’AMBITO DELLE VARIETIPOLOGIE DELITTUOSEConcreta configurabilità di un delitto tentato: dipende dalla possibilità direndere compatibili i requisiti previsti nell’art. 56, con le caratteristicheoggettive delle varie figure di reato.

A) Contravvenzioni: per espressa disposizione legislativa, non è con essecompatibile. L’art. 56 si riferisce esplicitamente ai soli delitti. Afondamento di questa esclusione stanno motivazioni di ordine politico-criminale la minore gravità dei reati contravvenzionali rendeinopportuna la loro perseguibilità, a titolo di tentativo;

B) Delitti colposi: il tentativo è inammissibile, anche perché se la colpa siconnota per la mancanza della volontà delittuosa, sarebbe un controsensoammettere che possa coesistere con la mancanza dell’intenzione di compiereun reato;

C) Delitto preterintenzionale: non è ammissibile poiché, in questi delitti,l’evento realizzato deve essere più grave di quello voluto dall’agente.Dovendo necessariamente mancare la volontà dell’evento più grave, èevidente che non si può configurare l’ipotesi di tentativo;

D) Reati unisussistenti: non è con essi compatibile, perché non consentono lafrazionabilità del processo esecutivo in più atti. Infatti una voltacompiuta l’unica azione che costituisce il delitto, esso è completo;

E) Delitti di attentato e a consumazione anticipata: non è ammesso; infatti perrealizzare tali reati, è già sufficiente la condotta tipica del reato;

F) Reati di pericolo: si sostiene la tesi secondo cui non si ammette tentativo.Punire il tentativo di un reato di pericolo, equivarrebbe a reprimere ilpericolo di un pericolo, per cui si anticipa eccessivamente la soglia dipunibilità;

G) Reati aggravati dall’evento: tentativo ipotizzabile, tutte le volte in cuil’evento può realizzarsi a prescindere dal perfezionarsi della condottavietata;

H) Reati condizionati: la configurazione del tentativo dipende dalla possibilitàdel verificarsi della condizione obiettiva della punibilità,indipendentemente dal realizzarsi della condotta tipica;

I) Reati permanenti: configurabilità del tentativo possibile quando la condottapositiva è frazionabile.

8. TENTATIVO E CIRCOSTANZERapporto tra tentativo e circostanze. Normalmente si procede ad una distinzionetra:

1. tentativo circostanziato di delitto le circostanze si realizzanocompiutamente nell’ambito della stessa azione tentata. In questo casoabbiamo compatibilità strutturale tra il tentativo e le circostanze,poiché esse si sono realizzate compiutamente, prima che il reato giungessea consumazione;

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2. tentativo di delitto circostanziato si configura quando un delitto, sefosse giunto a consumazione, sarebbe stato qualificato dalla presenza diuna o più circostanze. Qui ci sono riserve sulla compatibilità, in quantola realizzazione delle circostanze è soltanto parziale.

I dubbi riguardanti la seconda ipotesi, trovano fondamento in due tipi diconsiderazioni. In primo luogo il principio di legalità, impone che lecircostanze vengano applicate soltanto in presenza di presupposti previsti dallalegge. In secondo luogo esistono limiti di ordine ontologico e strutturale: lecircostanze relative all’evento consumativo del reato, risultano compatibilisoltanto con la compiuta realizzazione dell’illecito penale. La conclusione, quindi, è che le uniche circostanze compatibili con iltentativo, saranno quelle che si realizzano compiutamente nello stesso contestodell’azione tentata.

9. DESISTENZA E RECESSO ATTIVOArt. 56 cp: “Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiacesoltanto alla pena per gli atti compiuti qualora questi costituiscano di per séun reato diverso”. “Se volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla penastabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà”.Esistono casi in cui la realizzazione del reato, viene impedita dallo stessoagente: egli muta il suo proposito, recedendo dall’azione criminosa giàintrapresa si tratta di desistenza volontaria e recesso attivo. Fondamento. I due istituti si basano su due visioni

- teoria del “ponte d’oro”: idea di ordine politico-criminale sostenutadalla dottrina. Secondo questa l’ordinamento, al fine di prevenirel’offesa ai beni giuridici, farebbe affidamento sulla promessa diimpunità, come controspinta psicologica alla spinta criminosa;

- ottica degli scopi della pena: si fonda sul duplice piano dellaprevenzione generale e di quella speciale chi torna di sua iniziativasui suoi passi, da un lato non rappresenta un pericolo per gli altri,dall’altro mostra di non possedere una volontà criminosa di tale intensitàda giustificare il ricorso ad una pena rieducativa.

La distinzione tra queste due figure si ricollega alla distinzione tra delittocompiuto e incompiuto. Esse si distinguono in base al fatto che l’azione si siaesaurita o no per questo la desistenza volontaria presuppone un’azione nonancora compiuta. Il recesso attivo presuppone un’azione compiuta, ma senzarealizzazione dell’evento.Entrambi, per essere efficaci, devono verificarsi volontariamente. Non sipretende che la rinuncia all’azione criminosa sia il frutto di un vero e proprioravvedimento, ma ci si accontenta di verificare che la scelta dell’agente nonsia imposta da circostanze esterne, che obiettivamente ostacolano larealizzazione del delitto.

10. TENTATIVO E ATTENTATOI delitti di attentato si caratterizzano per il fatto che si considerano comeperfetti, anche quando vi sia stata la sola realizzazione di “atti diretti a”offendere un bene giuridico tutelato (bene che merita una protezione anticipata,perché di rango particolarmente elevato). L’attentato è una fattispecie penaleutilizzata soprattutto nell’ambito dei delitti contro la personalità dellostato. Oggi l’opinione dominante ritiene che vi sia omogeneità strutturale tratentativo e attentato (nel senso che si considera già consumato anche allostadio precedente alla realizzazione). Per la punibilità dell’attentato, occorre

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che l’attività sia idonea a ledere il bene protetto, per cui si esclude lapunibilità delle mere attività preparatorie.

11. REATO IMPOSSIBILEArt. 492cp. Secondo l’impostazione tradizionale il reato impossibile non è altroche un tentativo impossibile l’inesistenza dell’oggetto e l’inidoneitàdell’azione, giustificherebbero l’impunità dell’azione alla stregua degli stessiprincipi regolativi del tentativo. La funzione assolta dal reato impossibile nel nostro ordinamento penale, varicercata in ragioni storiche: il legislatore del ’30, ha tentato di escludereogni dubbio relativo alla irrilevanza penale del tentativo assolutamenteinidoneo in concreto, a porre in pericolo il bene protetto. Per accertare e ilbene giuridico abbia davvero corso un pericolo, ci si basa:

- sul giudizio prognostico effettuato su base parziale, ex art. 56 cp (puntodi vista soggettivo dell’agente);

- prognosi postuma su base totale, effettuata nell’ottica della vittima cometitolare del bene posto in pericolo. Si terrà presente di tutte lecircostanze presenti nella situazione data, qualunque sia il momento incui vengono conosciute.

Le medesime considerazioni valgono rispetto al tentativo impossibile perinidoneità della condotta.I casi di tentativo inidoneo, anche se non mettono in pericolo il bene protetto,possono assurgere a indici di pericolosità sociale dell’agente; è per questaragione che il giudice può disporre che il prosciolto sia sottoposto alla misuradi sicurezza della libertà vigilata.

CAPITOLO VIConcorso di persone

Codice penale: da art. 110 ad art. 1191. PREMESSAConcorso di persone = caso in cui più persone concorrono alla realizzazione diun medesimo reato. Può essere qualificato come eventuale o necessario.

2. IL PROBLEMA DEI MODELLI DI DISCIPLINA DEL CONCORSO CRIMINOSOTra i vari modelli che disciplinano il concorso di reati nei vari ordinamentigiuridici, ce ne sono due che meritano si essere presi in considerazione

A) Modello unitario: è quello adottato dal nostro codice penale. Art. 110 cp:si limita ad usare la parola concorrere, di cui non fornisce alcunadefinizione, dando per scontato che il giudice debba basarsisull’interpretazione letterale del termine che in sostanza significa“agire insieme verso un determinato fine”. Il concorso di persone vieneconcepito come una struttura ispirata al principio delle pariresponsabilità dei concorrenti, per cui gli atti dei singoli sono alcontempo comuni anche agli altri questo modello è caratterizzato dalfatto che in esso è assente ogni diversa tipicizzazione della fattispecieconcorsuale. Per questo il trattamento sanzionatorio sarà unitario, poichéper coloro i quali concorrono nello stesso fatto, è prevista la stessapena solo all’atto di commisurazione della pena il giudice, applicandole varie circostanze aggravanti e attenuanti specificamente previste

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(artt. 112 e 114 cp), potrà tenere conto del diverso ruolo che hanno avutoi concorrenti. Il giudice dovrà accertare se il singolo abbia concorso nelmedesimo reato, verificando la determinatezza della fattispecie consumatao tentata (valutata ex post) e la tipicità causale delle condotteconcorsuali (valutate ex ante). Il fatto comune di tutti i concorrenti èconsiderato fatto proprio e peculiare di ciascuno di essi siattribuisce ad ogni singolo concorrenze l’intero fatto, così come se fossestato lui solo a commetterlo.

B) Modello differenziato: i legislatori che seguono tale modello provvedonoad una tipicizzazione autonoma delle varie forme di partecipazione secondoi diversi ruoli che i concorrenti hanno assunto nella causazione delreato, differenziando la figura degli autori da quella dei compartecipi a forme di partecipazione minori, corrispondono pene edittali minori. Levarie forme di partecipazione al reato costituiscono fattispecie tipicheautonome, che importano responsabilità e sanzioni differenziate. Questomodello opera una distinzione fra l’autore del reato, che pone in esserela fattispecie tipica e i compartecipi che pongono in essere solo condottetipiche mediante agevolazione (contributo materiale) o istigazione(contributo morale), o altra attività criminale atipica di complice. Ilmodello differenziato ha due vantaggi rispetto al modello unitario:

- distingue i diversi contributi causali che hanno una propria tipicità;- consente al legislatore di creare moduli tipici diversi di concorso di

persone nel reato, con pene differenziate in funzione del diversodisvalore delle condotte di coloro che concorrono nel reato.

Il modello differenziato con le sue diverse forme di partecipazione, fornisce algiudice dei criteri di orientamento, mentre il modello unitario accentua solo ilruolo creativo della giurisprudenza. Bisogna ammettere, però, che nella prassi e molto difficile distinguere l’autoredal compartecipe, perché non è semplice trovare un ragionevole criterio sulquale fondare tale differenziazione e in parte è addirittura impossibile quandoil fatto tipico è stato posto in essere con modalità frazionate. Nonostante ciònon si può negare che tale modello sia più aderente ai principi di legalità e dicertezza del diritto.

3. LE TEORIE SUL CONCORSO CRIMINOSO Il modello unitario ha dato vita a diverse teorie che cercano di spiegare ilfondamento, le ragioni e i limiti della punibilità delle persone che concorrononel reato. Quelle che hanno avuto maggiore seguito sono

1. La teoria causale: sostiene che il fondamento della punibilità delconcorrente vada ricercato nell’efficienza causale. Secondo questaimpostazione, non è possibile nessuna distinzione tra i concorrenti, nelsenso che tutti devono essere considerati alla stregua dei responsabilidel fatto delittuoso quando il loro contributo sia stato condicio sine quanon dell’evento. Da questa teoria si sono sviluppate quella dellacausalità agevolatrice e la teoria della causalità efficiente deicontributi causali.

2. La teoria dell’accessorietà: parte dalla premessa che i comportamentiatipici del concorso, possono anche essere ricompresi nell’ambio delconcorso punibile, solamente se si accetta il principio che il fondamentodella loro punibilità, vada individuato nella loro accessorietà allacondotta tipica dell’autore del reato. La teoria dell’accessorietà haconsentito di portare nell’ambito dei fatti penalmente rilevanti

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comportamenti che, non essendo espressamente incriminati, non potrebberoper se stessi essere oggetto di sanzione. La responsabilità penale deicompartecipi, è subordinata all’insorgere di un’offesa tipica, inclusa lafase del tentativo. Le condotte atipiche possono avere rilevanza penaleautonoma sia come offesa, sia come sanzione.

3. La teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale: questa nascedall’unione fra le norme sul concorso (art. 110 cp) e la disposizione diparte speciale che è stata violata. Secondo questa impostazione dalcollegamento fra la disposizione incriminatrice di parte speciale e lanormativa di parte generale relativa al concorso, sorge una nuovafattispecie detta “fattispecie plurisoggettiva eventuale”, che comprende epunisce condotte atipiche rispetto alla fattispecie monosoggettiva. Laresponsabilità del concorrente, così, discende dalla convergenza dicontributi dati dai concorrenti nella realizzazione del fatto tipico le singole condotte dei compartecipi, che per sé stesse in gran partemancano di tipicità, diventano parte di un tutto unitario e quindiatipiche nel loro insieme. Perdono la loro atipicità ed autonomia,entrando a far parte di una fattispecie plurisoggettiva eventuale e quindientrano a far parte di un tutto che è tipico solo se considerato nel suoinsieme. La condotta sarà considerata tipica se ha rilevanza concorsualenella nuova fattispecie che risulta dal collegamento fra l’art. 110 cp ela disposizione penale violata.

4. La teoria della fattispecie plurisoggettiva differenziata: rappresenta unosviluppo della precedente. Essa individua tante fattispecie, quanti sono iconcorrenti. La condotta di ogni singolo è caratterizzata sia per idiversi aspetti psichici, sia per la diversità del contributo materialedato al fine del reato nel concorso siamo di fronte a tante fattispecieplurisoggetive differenziate, quanti sono i concorrenti.

4. LA STRUTTURA DEL CONCORSO CRIMINOSO I requisiti strutturali del concorso di persone nel reato sono quattro:

1. la pluralità di agenti;2. la realizzazione della fattispecie oggettiva del reato;3. il contributo di ciascun concorrente alla realizzazione del reato comune;4. l’elemento soggettivo.

PLURALITÀ DI AGENTI (1° criterio)Si può parlare di concorso criminoso, se il reato è stato commesso da piùsoggetti: nei casi di realizzazione di un reato realizzabile anchemonosoggettivamente, sono necessari e sufficienti almeno due soggetti. Oggi sitende a distinguere il carattere plurisoggettivo della fattispecie concorsuale:il concorso si configura anche se qualcuno dei concorrenti non è punibile perragioni inerenti alla sua persona. L’assunto trova riscontro nella disciplinapositiva del concorso e in particolare negli artt. 112 e 119 cp. Art. 112 cp: stabilisce che gli aggravamenti di pena da esso previsti siapplicano anche se “taluno dei partecipi al fatto non è punibile o non èimputabile”: si desume che, ai fini della sussistenza del concorso criminoso, siprescinde dalla punibilità di qualcuno dei concorrenti. Art. 119 cp: “le circostanze soggettive, le quali escludono la pena per talunodi coloro che sono concorsi nel reato, hanno effetto soltanto riguardo allapersona cui si riferiscono”. Si possono ricondurre al concorso criminoso le seguenti ipotesi:

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costringimento fisico a commettere un reato (art. 46); reato commesso per un errore determinato dall’altrui inganno ( art. 48); costringimento psichico a commettere un reato o coazione morale (art. 54,

ult. comma); determinazione in altri dello stato di incapacità allo scopo di far

commettere un reato (art. 86); determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile (art.

19).

5. REALIZZAZIONE DELLA FATTISPECIE OGGETTIVA DEL REATO (2° criterio)La fattispecie concorsuale si compone di un elemento oggettivo e di un elementosoggettivo. I contributi dei singoli concorrenti devono confluire nellarealizzazione comune della fattispecie oggettiva di un reato. Non ha importanzail ruolo rivestito da ciascun partecipe, nell’esecuzione del fatto. Altroproblema è inerente all’individuazione dei coefficienti minimi della rilevanzapenale di ciascuna condotta di partecipazione: in applicazione dei principigenerali, non occorre che il fatto collettivo giunga a consumazione, ma èsufficiente che la realizzazione comune si traduca in atti idonei diretti inmodo non equivoco a commettere un delitto (nel caso di mancata consumazione siavrà delitto tentato). L’esigenza minima che siano almeno realizzati gli estremiminimi di un delitto tentato, è desumibile dall’art. 115 cp salvo che lalegge non disponga diversamente, nessuno è punibile: a) per il semplice fatto diessersi accordato con altri, qualora all’accordo non segua la realizzazione delfatto programmato; b) per il semplice fatto di avere istigato altri, qualora ilfatto non sia stato commesso. Tenere presente che, comunque, sia l’accordo che l’istigazione possono assurgerea indici di pericolosità sociale: per questo l’art. 115 attribuisce al giudicela facoltà di applicare la misura di sicurezza della libertà vigilata.

6. CONTRIBUTO DI CIASCUN CONCORRENTE (3° criterio) CONCORSO MATERIALELa responsabilità a titolo di concorso presuppone che ciascun concorrentearrechi un contributo personale al fatto delittuoso. Natura del concorsoarrecato:

- materiale: si ha quando si interviene personalmente negli atti che dannovita all’elemento materiale del reato;

- morale: esiste quando si dà un impulso psicologico alla realizzazione diun reato materialmente commesso da altri.

Il concorso materiale può essere prestato assumendo ruoli di rango diverso. Si èsoliti distinguere tra:

a) autore = è colui che compie gli atti esecutivi del reato. Esiste anche ilcoautore, che è il soggetto che interviene insieme con altri nella faseesecutiva;

b) ausiliatore o complice = è rappresentato da quel partecipe che si limitaad apportare un aiuto materiale qualsiasi nella preparazione o esecuzionedel reato. La prestazione di aiuto del complice, qualunque sia la modalitàin cui si manifesta, ricade sempre al di fuori della fattispecieincriminatrice di parte speciale.

Esistono dubbi sui criteri minimi che giustificano l’incriminazione a titolo diconcorrente nel reato. Le teorie più seguite in materia sono tre

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impostazione causale: esige che l’azione del compartecipe rappresenticondicio sine qua non del fatto punibile in particolare azione tipicanell’ambito dei reati di mera condotta; evento nei reati causalmenteorientati;

causalità agevolatrice o di rinforzo: si tratta di un nuovo modello dicausalità proposto dalla dottrina. Si ritiene penalmente rilevante sial’ausilio necessario (quello che non può essere mentalmente eliminatosenza che il reato venga meno), sia quello che si limita ad agevolare ofacilitare il conseguimento dell’obbiettivo finale;

teoria della prognosi e dell’aumento del rischio: si propone l’abbandonodell’approccio causale e la sua sostituzione con un giudizio di sempliceprognosi basterebbe che l’azione del partecipe appaia ex ante idonea afacilitare la commissione del reato, accrescendone la possibilità diverificazione.

In realtà, tra queste tre, la più adatta a risolvere il problema è quella dellacausalità agevolatrice: infatti assume rilevanza penale sia la condotta dipartecipazione che rende possibile la perpetrazione del fatto, sia quella che(alla stregua di un giudizio ex post), si limita a facilitarne o agevolarne larealizzazione. Ciò che importa ai fini dell’esistenza del nesso eziologico, è che esiste unacatena causale tra antecedente e un evento concreto: gli stessi criteri divalutazione valgono in sede di accertamento del contributo causale dellacondotta di partecipazione.

CONCORSO MORALE O PARTECIPAZIONE PSICHICAIl contributo del concorrente può anche manifestarsi sotto forma d’impulsopsicologico ad un reato materialmente commesso da altri. In questo ambito si puòdistinguere tra due figure:

determinatore: è il compartecipe che fa sorgere in altri un propositocriminoso prima inesistente;

istigatore: è colui che si limita a rafforzare o ad eccitare in altri unproposito criminoso già esistente.

A esse corrisponde un diverso disvalore. Il determinatore assume, nei confrontidella lesione di un bene, un ruolo più decisivo rispetto a chi si limita adeccitare un proposito criminoso già formato. Nel linguaggio del nostro codice penale, il termine “istigazione” vieneimpiegato come espressione comprensiva di ogni forma di partecipazione psichica.La rilevanza penale dell’istigazione è desumibile dall’art. 1153cp: essostabilisce la non imputabilità dell’istigazione rimasta sterile. In questo modola norma riconosce implicitamente che, quando l’istigazione viene accolta e ilreato è commesso, l’istigatore ne risponde a titolo di concorso. Nel nostro ordinamento assumono rilevanza le condotte istigatorie che pongono unantecedente causale del reato commesso dall’esecutore, ma anche quelle che nonsono realmente determinanti, poiché si limitano a rinforzare l’altrui propositocriminoso. In effetti, nella commissione di un delitto, non può esservicomplicità morale, se non esiste effettiva influenza sulla psiche dell’esecutoremateriale del reato. Si esclude che la connivenza o l’adesione psichica, sianosufficienti ad integrare la fattispecie criminosa. Lo stesso vale per la merapresenza sul luogo del delitto.Agente provocatore. Si tratta di una particolare forma di istigazione: colui cheprovoca un delitto, con il fine di assicurare il colpevole alla giustizia (ètipico nelle forze di polizia). L’agente provocatore non può essere punito, per

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mancanza di dolo, tutte le volte in cui egli abbia agito con lo scopo diassicurare i colpevoli alla giustizia e non abbia accettato neppure il rischiodell’effettiva consumazione del reato si basa sulla causa di giustificazionedell’adempimento di un dovere.

8. L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEL CONCORSO CRIMINOSOCiascuna condotta di partecipazione deve essere sorretta da un particolarerequisito psicologico. L’elemento soggettivo del concorso è costituito da duecomponenti:

- coscienza e volontà del fatto criminoso: è uguale al dolo nel reatomonosoggettivo;

- quid pluris: rappresentato dalla volontà di concorrere con altri nellarealizzazione del fatto comune.

Attualmente si esclude che la volontà di concorrere consista necessariamente inun previo accordo, o nella reciproca consapevolezza dell’altrui concorso. Bastache la coscienza del contributo fornito all’altrui concorso esistaunilateralmente. La coscienza può, quindi, manifestarsi o come previo accordo, ocome intesa istantanea, o come semplice adesione all’opera di un altro che nerimane ignaro. Se più soggetti operano tutti l’uno all’insaputa dell’altro, conazioni ciascuna esecutiva di una fattispecie criminosa, al posto del concorsoconfigurano distinti e autonomi reati monosoggettivi. Se la fattispecieincriminatrice monosggettiva richiede la presenza di un dolo specifico, èsufficiente ai fini della punibilità di un concorso, che la particolare finalitàsia perseguita da almeno uno dei soggetti che concorrono alla realizzazione diun fatto.

9. IL CONCORSO NELLE CONTRAVVENZIONI (PG. 516)

10. LE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI La disciplina del concorso poggia sulla parificazione del principio delleresponsabilità di ciascun concorrente. Bisogna tenere in conto, però, che allegislatore non è sfuggita la diversità dei ruoli che caratterizzano lapartecipazione criminosa.: da qui si spiega la previsione di circostanzeaggravanti e attenuanti introdotte con il fine di graduare la pena in funzionedell’effettivo contributo di ciascun soggetto alla realizzazione comune. L’applicazione delle circostanze aggravanti è obbligatoria. Esse sono previste all’art. 112 cp. Si applicano

1. Quando il numero delle persone che sono concorse nel reato, è di cinque o più, salvo che la legge disponga altrimenti. Ratio: maggiore capacità adelinquere dimostrata dai concorrenti che agiscono in numero di cinque opiù membri.

2. A chi ha promosso, organizzato, o diretto la partecipazione al reato .Ratio: il legislatore ha voluto colpire con maggiore rigore la condotta dichi assume un ruolo di preminenza e/o direzione nella preparazione oesecuzione dell’impresa delittuosa. Si distingue tra: promotore è coluiche ha ideato l’impresa criminosa, ideando l’iniziativa; organizzatore chi predispone il progetto esecutivo, scegliendo mezzi e persone che lodevono attuare; direttore è definibile in via residuale ed è colui cheassume una funzione di guida e amministrazione.

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3. A chi nell’esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza, ha determinato a commettere il reato a persone ad esso soggette. È necessarioche la persona dotata di potere di supremazia, abbia realizzato una vera epropria coazione psicologica sul soggetto sottoposto.

4. A chi ha determinato a commettere il reato a un minore di anni diciotto, o una persona in stato di infermità o di deficienza psichica, ovvero si ècomunque avvalso degli stessi nella commissione di un delitto per il qualeè previsto l’arresto in flagranza. Tale circostanza integra la disciplinaprevista nell’art. 111 (determinazione al reato di persona non imputabileo non punibile), in quanto si applica ai soggetti affetti da vizioparziale di mente.

Le leggi n. 203/91 e 172/92, hanno introdotto due nuovi commi, che stabilisconoche la pena è aumentata fino alla metà per chi si è avvalso di persona nonimputabile o non punibile, a cagione di una qualità personale, nella commissionedi un reato per cui è previsto l’arresto in flagranza.

11. LE CIRCOSTANZE ATTENUANTI E IL CONTRIBUTO DI “MINIMA IMPORTANZA”L’applicazione delle circostanze attenuanti è facoltativa. Art. 114 cp ne prevede due:

1. Il giudice può diminuire la pena qualora ritenga che l’opera prestata da taluno dei concorrenti abbia avuto minima importanza nella preparazione o esecuzione del reato. Se ricorre una delle aggravanti, non si applica.Sussiste un problema nella determinazione del concetto di minimaimportanza. Secondo l’opinione dominante, il concetto della minimaimportanza, costituisce una valutazione giudiziale sull’efficienzadell’apporto causale arrecato da ciascun singolo concorrente. In questosenso rileva anche la considerazione dei fattori ipotetici, che invece nonè rilevante al fine della considerazione del nesso causale. La minimaimportanza ricorre soltanto quando l’azione del correo può esserefacilmente sostituita con l’azione di altre persone, o con una diversadistribuzione dei compiti.

2. È detta circostanza della minorazione psichica : essa viene applicata afavore di chi è stato determinato a cooperare nel reato, quando concorronole condizioni della coercizione esercitata da un soggetto rivestito diautorità, oppure della minorità o infermità mentale.

12. LA RESPONSABILITÀ DEL PARTECIPE PER IL REATO DA QUELLO VOLUTO Art. 116 cp: disciplina una particolare ipotesi di aberratio delicti (ha unafrequente verificabilità in ambito del fenomeno concorsuale). Esso stabilisceche qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da qualcuno deiconcorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della suaazione od omissione. Inoltre se il reato commesso è più grave di quello voluto,la pena è diminuita nei confronti di colui che voleva il reato meno grave. L’art. 116 configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, infatti prescindedal dolo o dalla colpa. In un primo momento il legislatore del ’30 aveva come proposito quello diinserire un trattamento così rigoroso, da disincentivare la realizzazione inconcorso di attività criminose. Poi ci si rese conto che questo era contrariocon il principio della personalità della responsabilità ex art. 271Cost. Perquesto la Corte costituzionale, con una sentenza interpretativa di rigetto, harespinto l’eccezione asserendo che la responsabilità ex art. 116 cp poggia sullasussistenza del rapporto materiale e anche di un rapporto di causalità psichica.

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Essa è concepita nel senso che il reato più grave commesso dal concorrente,debba potersi rappresentare alla sua psiche, come sviluppo logicamenteprevedibile di quello voluto, affermandosi, in questo modo, anche la necessariapresenza di un coefficiente di colpevolezza. Dall’altra parte la giurisprudenza sostiene che i presupposti dellaresponsabilità oggettiva ex art. 116 siano:

- il rapporto di causalità tra l’azione di ogni partecipe e il reato diversoda quello programmato;

- prevedibilità del reato diverso non voluto.Per questo indirizzo deve richiedersi l’affiancamento della prevedibilità inconcreto: per stabilire se il reato in concreto realizzato rappresenti unprevedibile sviluppo di quello originariamente programmato, occorre tenere inconto di tutte le circostanze relative alla singola vicenda in concreto. Questo significa che è necessario analizzare il piano di azione dei singoliconcorrenti e, poi, su questa base verificare se le modalità concrete disvolgimento del fatto, lasciassero prevedere un esito deviante di quelloavveratosi. In virtù di questa impostazione, la responsabilità ex art. 116 perdei suoi connotati rigidamente oggettivo-casuali tendendo ad orientarsi secondo ilmodello dell’imputazione colposa, pur non integrandone tutti i requisiti. Secondo l’opinione dominante, la disposizione in questione, si applica siaquando vi sia realizzazione di un reato diverso da quello voluto, sia quandoinsieme con il reato concordato, se ne realizza un altro che costituisce unprevedibile sviluppo del primo. Per reato diverso, si intende quello con nomenjuris diverso.

13. CONCORSO NEL REATO PROPRIO E MUTAMENTO DEL TITOLO DEL REATO PER TALUNO DEICONCORRENTIConcorso nel reato proprio. Un soggetto privo della qualità personale(extraneus) può concorrere nella commissione di un delitto realizzabilemonosoggettivamente, soltanto da un soggetto qualificato (intraneus) es.cittadino comune che istiga il militare alla diserzione.Rientra nella disciplina dell’art. 110: nonostante non rivesta la qualificarichiesta, l’estraneo contribuisce col suo comportamento di partecipe allalesione del bene protetto. La sua responsabilità presuppone la consapevolezza diconcorrere ad un reato proprio: questo presuppone che egli sia a conoscenzadella qualifica dell’intraneus si configura una partecipazione nel reatoproprio ai sensi dell’art. 110 cp. Art. 117 cp: “Se, per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o peri rapporti fra il colpevole e l’offeso, muta il titolo del reato per taluno dicoloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato”. Sitratta di una disciplina che permette di estendere l’incriminazione a titolo direato proprio anche a soggetti che non potrebbero risponderne in base aiprincipi generali sul presupposto che sia opportuno evitare che alcuniconcorrenti rispondano di un certo reato ed altri di un reato diverso, soloperché interferiscono particolari qualità o rapporti con la persona offesa. Questo articolo regola una ipotesi di reato diversa dovuta alla particolareposizione soggettiva di alcuni dei concorrenti. Anche questa norma introduce unaforma di responsabilità oggettiva. In realtà contrasta con i principidell’imputazione dolosa, secondo cui un partecipe debba rispondere di unconcorso in un reato proprio, pur ignorando la qualifica posseduta dal soggettoo dei soggetti rispetto ai quali muta il titolo di reato per questo riformadel 1973 propone che il titolo si estenda soltanto a coloro che hanno avuto

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conoscenza delle condizioni, delle qualità e dei rapporti tra il colpevole el’offeso. L’art. 117 cp, inoltre, stabilisce una circostanza attenuante facoltativa di chivolle il reato meno grave. Questa attenuante è applicabile soltanto l soggettoignaro della qualifica.

14. LA COMUNICABILITÀ DELLE CIRCOSTANZEL. 19/1990 modifica il regime della comunicabilità (o estensibilità) dellecircostanze ai soggetti agenti in concorso. Il modificato art. 118 cp stabilisce che “Le circostanze che aggravano odiminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, l’intensità e il dolo,il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole sonovalutate solo secondo la persona cui si riferiscono” vige la regola dellainestensibilità delle circostanze attenuante e aggravanti a i compartecipi. Però, a quale tipo di disciplina sono sottoposte le circostanze diverse daquelle citate? Si ritiene applicabile il regime generale d’imputazione, dal momento che l’art.59 cp, afferma il principio di colpevolezza anche in ambito di concorso direati: in applicazione di questa norma vale la persistente rilevanza oggettivadelle circostanze attenuanti e la loro conseguente estensibilità a tutti icompartecipi. Per quanto riguarda le circostanze aggravanti, esse possono essere applicatesoltanto se conosciute o conoscibili dal reo si applicano solo aicompartecipi che ne abbiano avuto conoscenza effettiva o soltanto potenziale; atutti solo quando queste erano da tutti i compartecipi conosciute o conoscibili.

15. LA COMUNICAZIONE DELLE CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA PENA Art. 119 cp: si estendono a tutti i concorrenti le circostanze oggettive diesclusione della pena circostanze scriminanti o cause di giustificazione. D’altra parte, le circostanze soggettive di esclusione della pena, si applicanosolo ai correi cui si riferiscono.

16. DESISTENZA VOLONTARIA E PENTIMENTO OPEROSOLa desistenza dell’esecutore, in quanto proviene dal soggetto che possiede ilmassimo dominio sull’accadere, produce nello stesso tempo l’effetto di impedirela consumazione del reato. La desistenza del partecipe è configurabile anche quando si limiti aneutralizzare la condotta già realizzata, elidendone gli effetti rispetto allaproduzione collettiva dell’evento. Se riesce a produrre la realizzazione comunedel proprio apporto, il complice si emancipa dalla commissione di un fatto che,in quanto viene posto in essere solamente dagli altri correi, non può più essereconsiderato opera sua. La desistenza non si estende a tutti i correi, poiché si tratta di una causapersonale di esclusione della pena. Il pentimento operoso presuppone che l’azione collettiva sia già giunta adesaurimento e che uno dei concorrenti riesca ad impedire l’evento lesivo.Anch’esso ha natura di circostanza attenuante soggettiva.

17. ESTENSIBILITÀ DELLA DISCIPLINA DEL CONCORSO EVENTUALE AL CONCORSO NECESSARIO

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Concorso necessario: quando è la stessa figura di parte speciale a richiedere lapresenza di più soggetti per l’integrazione del reato. I reati che non sonorealizzabili monosoggettivamente, si distinguono in:

plurisoggettivi propri: vengono assoggettati alla pena tutti i coagenti; plurisoggettivi impropri: la norma incriminatrice dichiara punibili

soltanto uno o alcuni dei partecipanti al fatto. Se una norma di partespeciale non incrimina espressamente uno dei partecipanti al fatto (anchese potrebbe essere ritenuta esistente la sua responsabilità), questo nonpuò comunque essere punito, per quanto necessaria possa essere la suacondotta, poiché si rischierebbe di disattendere il principio del nullumcrimen sine lege.

Un concorso eventuale è ammissibile anche nella realizzazione di un reatonecessariamente plurisoggettivo: la partecipazione eventuale si potràconfigurare da parte di soggetti diversi dai concorrenti necessari.

18. CONCORSO EVENTUALE E REATI ASSOCIATIVIOccorre stabilire quando e in presenza di quali condizioni, i membri diun’associazione criminosa, rispondano a titolo di concorso eventuale, anche deireati-scopo materialmente eseguiti da altri associati si tratta dideterminare se sia configurabile un concorso esterno ex art. 110 cp e ss. adun’associazione criminale da parte di soggetti estranei all’associazionemedesima. Responsabilità dei capi per i reati-scopo. In applicazione delle regole generaliche presiedono alla disciplina del concorso morale, occorrono anche alcunipresupposti minimi, da accertare in concreto caso per caso, perché i verticidelle associazioni criminose assumano il ruolo di determinatori o istigatori deivari illeciti, rientranti nel programma criminoso delle associazioni stesse.Innanzitutto è necessario che le direttrici generali del programma criminosodell’associazione, contengano almeno i tratti essenziali dei singolicomportamenti delittuosi realizzati dai compartecipi una responsabilitàconcorsuale a titolo di dolo, dovrebbe riconoscersi anche nell’ipotesi in cui ivertici lancino agli altri associati inviti all’azione apparentementeindeterminati, ma in realtà idonei a concretizzarsi soltanto in un numerocircoscritto di reati.Il concorso esterno. Si ammette la legittimità di un concorso eventuale inassociazione essa è data dal fatto che possono aprirsi dei vuoti di tutela inquei casi in cui il soggetto, che attua comportamenti vantaggiosi perl’associazione, non ne faccia parte integrante, ma sia estraneo ad essa. Percolmare questi vuoti di tutela si potrà solo fare riferimento al concorsoeventuale esterno ex art. 110 e ss, nel reato associativo che di volta in voltaviene in questione. Definizioni. La Cassazione ha tentato di determinare presupposti e limiti ditale concorso eventuale, attraverso quattro pronunce a sezioni unite,distinguendo tra:

a) Partecipe interno: è colui che risulta in rapporto stabile e in organicacompenetrazione nel tessuto organizzativo, tale da implicare l’assunzionedi un ruolo dinamico e funzionale (è colui che prende parte al fenomenoassociativo). Si distingue anche perché è un soggetto che rimane adisposizione dell’ente per il perseguimento degli scopi criminosi comuni.Ai fini dell’assunzione di un simile ruolo, sono sufficienti factaconcludentia.

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b) Concorrente esterno: non è un soggetto inserito stabilmente nellastruttura associativa, però fornisce ad essa un “concreto, specifico,consapevole, volontario contributo” esso deve esplicare una effettivarilevanza causale e, quindi, deve configurarsi come condizione necessariaper la conservazione o il rafforzamento della capacità operativadell’associazione.

Il fondamento della rilevanza penale sul concorso esterno tende ad incentrarsisoprattutto sull’efficacia causale del contributo fornito dall’extraneus. Taleefficacia eziologica deve essere accertata ex post, secondo i criteri chegeneralmente si utilizzano per dimostrare il nesso di condizionamento secondo ilmodello di sussunzione sotto leggi scientifiche.

PARTE TERZA: IL REATO COMMISSIVO COLPOSO

CAPITOLO 1Il reato commissivo colposo

Codice penale: art. 42 e ss.

Sezione ITipicità

1. IL FATTO COMMISSIVO COLPOSO TIPICO: AZIONEGli elementi della fattispecie commissiva colposa, sono più complessi rispetto aquelli che si presentano nel reato doloso deriva dal ritardo con cui ladisciplina penalistica ha iniziato lo studio di questa materia.Rilevanza pratica. Il significato pratico del concetto di azione, deriva dallasua funzione selettiva dei comportamenti penalmente rilevanti: nel delittocolposo assumono rilevanza anche comportamenti che non corrispondono al concettodi azione quale dato sorretto da coscienza e volontà.Cosa significa azione “cosciente e volontaria” (art. 42) nel delitto colposo?Bisogna tenere presente che, nell’ambito del delitto colposo, vi è azionepenalmente rilevante, finché è possibile muovere un rimprovero a titolo di colpa i presupposti coincidono con le condizioni che rendono possibilel’imputazione colposa. Per questo bisogna differenziare, per quanto riguardal’espressione “coscienza e volontà” ex art. 42, a seconda che si tratti di:

Delitti colposi coscienza e volontà si identificano con un dato opsicologico (colpa cosciente) o normativo (colpa incosciente)

Delitti dolosi coscienza e volontà rappresentano un coefficientepsicologico effettivo.

Si rimprovera il fatto colposo all’agente, per non avere attivato quei poteri dicontrollo che doveva e poteva attivare, per scongiurare l’evento giudiziosulla volontarietà: in questi casi assume un carattere normativo, poiché ilrimprovero si fonda sul fatto che l’agente non ha rispettato lo standard didiligenza richiesto nella situazione concreta.

2. INOSSERVANZA DELLE REGOLE PRECAUZIONALI DI CONDOTTAArt. 43 cp: vi è il “delitto colposo o contro l’intenzione, quando l’evento,anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenzao imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi regolamenti, ordini odiscipline”.

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Questa disposizione richiama gli elementi: Strutturali; A carattere normativo; A carattere psicologico

del delitto colposo.La violazione delle norme a contenuto precauzionale caratterizza il reatocolposo sotto un duplice punto di vista:

- integra una specifica forma di colpevolezza;- rileva già sul piano della tipicità: ogni illecito colposo si forma sulla

base del rapporto intercorrente tra la trasgressione del dovere oggettivo di diligenza e gli altri elementi della fattispecie incriminatrice.

Per questo il contenuto del dovere di diligenza muta in funzione del tipo difattispecie che viene in questione. Il reato causalmente orientato con evento naturalistico, rappresenta il modellopiù importante di responsabilità colposa qui il contenuto della regolacautelare si specifica in relazione al comportamento da evitare: l’azione tipicaè quella che per prima da luogo ad una situazione di contrarietà con la regoladi condotta a contenuto preventivo. La determinazione dei limiti della responsabilità permette di evitare chepossano pretendersi dal singolo, comportamenti che vanno al di là delle normalicapacità di prestazione proprie dell’uomo medio rispetto del principio diuguaglianza tra tutti i cittadini.

3. CRITERI DI INDIVIDUAZIONE DELLE REGOLE DI CONDOTTA: PREVEDIBILITÀ EDEVITABILITÀ DELL’EVENTO. IL LIMITE DEL CASO FORTUITOLa prevedibilità e l’evitabilità sono i criteri di individuazione delle misureprecauzionali da adottare nelle situazioni concrete, una volta insorta (o quandosta per insorgere) una situazione di pericolo. Regole cautelari consolidate. Esistono situazioni di pericolo sperimentate giàda tempo, nelle quali l’agente può ricorrere all’adozione di regole di condottasocialmente diffuse, che suggeriscono gli strumenti da adottare per prevenire oridurre determinate conseguenze dannose. Non è sempre così: può accadere che unaregola di condotta, benchè socialmente accettata, si riveli spesso inadeguata afar conseguire l’obbiettivo precauzionale preso di mira per questo l’agentedovrà, di volta in volta, emettere un nuovo giudizio di evitabilità eprevedibilità in relazione all’adeguatezza della regola di condotta inquestione. Regole cautelari e attività di sperimentazione. Il richiamo alle regoleprecauzionali sperimentate nella prassi è escluso nelle situazioni in cui l’usosociale non si è ancora pronunciato cioè nell’ambito delle attività disperimentazione. In questi casi mancano regole preesistenti di condotta e ilsoggetto si trova costretto a compiere un giudizio ex novo, relativamente allapericolosità dell’attività in questione. Il giudizio dovrà essere emesso inrelazione alle conoscenze possedute dagli stessi sperimentatori, sulla naturadel pericolo che la loro attività comporta. Principio di precauzione. Le società attuali (dette del rischio) tendono adaumentare le situazioni nelle quali la pericolosità o la dannosità dideterminate attività, risulta ancora scientificamente incerta il dubbio non èvincibile sulla base delle conoscenze scientifiche in atto disponibili. È inqueste situaizoni che viene in rilievo il principio di precauzione: taleprincipio funge da criterio atto a sollecitare un rafforzamento dei doveri di

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attenzione e informazione, necessari per verificare con scrupolo la fondatezzadei pericoli o dei rischi paventabili. Il criterio della prevedibilità ed evitabilità opera anche nell’ambito dellacolpa specifica, dovuta all’inosservanza di regole scritte di condotta ilgiudizio prognostico sul pericolo e sui mezzi adatti ad evitarlo, non lo compiel’agente ma l’autorità che pone la norma scritta. Caso fortuito. Il caso fortuito esclude la colpa perché consiste in unaccadimento imprevedibile, che fuoriesce dal novero di quegli accadimentipreventivamente rappresentabili, cui soltanto possono riferirsi le regole dicondotta a contenuto precauzionale.

4. FONTI E SPECIE DELLE QUALIFICHE NORMATIVE RELATIVE ALLA FATTISPECIE COLPOSA Le regole precauzionali hanno due tipi di fonti.

1. Sociali = imperizia, imprudenza, negligenza. Le regole di perizia,diligenza e prudenza non si ricavano dalla legge, ma sono ricavabilidall’esperienza della vita sociale. Distinzione:

- negligenza si ha quando la regola di condotta violata prescriveun’attività positiva. Esempio:controllare la chiusura dell’apparecchio delgas prima di andare a dormire;

- imprudenza trasgressione di una regola di condotta da cui discendel’obbligo di non realizzare un determinato comportamento. Esempio: nonmettersi alla guida in stato di profonda stanchezza;

- imperizia forma di imprudenza o negligenza “qualificata”, poiché siriferisce ad attività che necessitano determinate conoscenze tecniche.

2. Giuridica = leggi, regolamenti, ordini o discipline. Distinzione:- leggi nel nostro ordinamento la colpa consiste nella trasgressione di

una norma avente una specifica finalità cautelare e cioè, di una normaavente a contenuto l’impedimento di eventi involontari connesse allosvolgimento di attività lecite. Nel concetto di leggi può rientraresoltanto quella legge penale che abbia una specifica funzione cautelarenel senso anzidetto;

- regolamenti, ordini e discipline i regolamenti contengono norme acarattere generale e predisposte per le autorità pubbliche, per regolarelo svolgimento di determinate attività. Gli ordini e le disciplinecontengono norme indirizzate ad una cerchia specifica di destinatari epossono essere emanati sia da autorità pubbliche, sia private. Laresponsabilità colposa non viene meno, neanche quando la disposizionecontenuta in un regolamento o altra fonte scritta, sia viziata dainvalidità formale. Al contrario l’osservanza di dette norme, esclude laresponsabilità penale. Le norme giuridiche, poi, si dividono a loro volta in:

elastiche: per essere applicate presuppongono che la regoladi condotta sia specificata in relazione alle circostanze delcaso concreto;

rigide: predeterminano in modo assoluto la regola di condottada adottare.

5. CONTENUTO DELLA REGOLA DI CONDOTTAObbligo di astensione. Il dovere obiettivo di diligenza impone al soggetto diastenersi dal compiere una determinata azione compierla comporterebbe unrischio troppo alto di realizzazione della fattispecie colposa.

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Un rischio simile grava anche su coloro che non sono abbastanza esperti perespletare prestazioni che richiedono particolari cognizioni tecniche. Se non sirispetterà l’obbligo, si andrà incontro a una colpa per assunzione.Obbligo di adottare misure cautelari. Il dovere di diligenza impone direalizzare l’azione in questione, adottando determinate misure cautelari.Obbligo di preventiva informazione. Il dovere di diligenza può avere ad oggettoanche questo tipo di obbligo.Obbligo di controllo sull’operato altrui. Principio della divisione del lavoro colui che riveste una posizione gerarchicamente sovraordinata, ha l’obbligodi scegliere con avvedutezza i propri collaboratori, di istruirli e controllarnel’operato. D’altra parte i dipendenti devono attenersi scrupolosamente alleistruzioni loro impartite.

6. STANDARD OGGETTIVO DEL DOVERE DI DILIGENZAIl giudizio di prevedibilità e di evitabilità va effettuato ex ante, sulla basedel parametro oggettivo dell’homo eiusdem professionis et condicionis = la misuraoggettiva della perizia, diligenza e prudenza, sarà quella del modello di agenteche svolga la stessa professione, mestiere o ufficio dell’attività dell’agentereale. All’interno di una stessa categoria sociale di appartenenza è enucleabile unapluralità di tipi agenti-modello.Agente dotato di conoscenze superiori. L’utilizzazione di un tipo oggettivo diagente modello, non impedisce in certi casi di individualizzare ulteriormente lamisura della diligenza imposta: infatti se l’agente reale possiede conoscenzesuperiori rispetto a quelle proprie del tipo di appartenenza, queste dovrannoessere tenute in conto nel ricostruire l’obbligo di diligenza da osservare.

7. LIMITI AL DOVERE DI DILIGENZA: IL RISCHIO CONSENTITOIl giudizio di colpa presuppone che sia oltrepassato un limite: quellodell’adeguatezza sociale o del rischio consentito. Vi sono attivitàintrinsecamente pericolose, che vengono consentite in quanto indispensabili ocomunque utili alla vita sociale. Si sostiene che, qualora si verifichi un dannononostante il diligente svolgimento di suddette attività, ciò che manca è ildisvalore tipico dell’illecito colposo. Le formule come quelle del rischioconsentito e dell’adeguatezza sociale, costituiscono il risultato di unavalutazione operata secondo i criteri meramente fattuali: si ritiene consentitociò che, di fatto, è tollerato dalla comunità sociale conseguenza dilegittimare una prassi il cui grado di pericolosità dei comportamenti tollerati,supera il gradi di utilità che essi producono a beneficio della collettività.

8. SEGUE: PRINCIPIO DELL’AFFIDAMENTO E COMPORTAMENTO DEL TERZODall’esistenza di un dovere di diligenza a carico di ciascun consociato,derivano anche obblighi a contenuto cautelare, relativi alla condotta di terzepersone?Innanzitutto occorre distinguere se se la regola che i presume violata, sia:

- norma scritta: si tratta di accertare se nello scopo perseguito dalladisposizione scritta, rientri anche l’impedimento di eventi cagionati daterze persone;

- norma desumibile dagli usi sociali: occorre distinguere se la condotta dialuogo ad una responsabilità

Colposa la semplice circostanza di potere prevedere o prevedereche una nostra condotta agevola il comportamento colposo di un’altra

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persona, non è ancora sufficiente a farci incorrere inresponsabilità. Il fatto di orientarsi sugli standards di diligenzadegli agenti modello, suscita un’aspettativa sociale che prende ilnome di principio di affidamento: ogni consociato può confidare checiascuno si comporti adottando le regole precauzionali normalmenteriferibili al modello di agente proprio dell’attività che, di voltain volta, viene in questione. Il principio di affidamento è impostodall’esigenza di circoscrivere l’ambito del dovere di diligenzaincombente su ciascuno, entro limiti il più possibile compatibilicon il carattere personale della responsabilità penale. Ognuno deveevitare soltanto i pericoli scaturenti dalla propria condotta; nonsi ha l’obbligo di impedire che terze persone realizzinocomportamenti pericolosi. Esse, infatti, sono altrettanto capaci diprevedere la pericolosità della condotta che stanno per porre inessere.

Dolosa ipotesi in cui la misura cautelare ha ad oggetto unacondotta dolosa del terzo. Quando l’azione dolosa è frutto di unalibera scelta del soggetto che ne è autore, vale il principiodell’autoresponsabilità: ciascuno risponde delle proprie azionideliberate in modo libero e responsabile.

9. CAUSAZIONE DELL’EVENTO Nel reato colposo di evento il risultato lesivo rappresenta la conseguenza dellacondotta illecita il nesso di causalità si accerta secondo la teoriacondizionalistica. Sul terreno della responsabilità colposa, l’evento deve causare una conseguenzanecessaria, causata da un’azione connotata da caratteristiche specifiche.L’evento deve apparire come una concretizzazione del rischio che la norma dicondotta violata tendeva a prevenire. L’evento lesivo cagionato, deve appartenere al tipo di quelli che la norma dicondotta mira a prevenire: se non fosse così, la responsabilità colposa siridurrebbe a mera responsabilità oggettiva. Esistono due modi (sui quali si dibatte) di verificare la prevedibilitàdell’evento:

- in astratto ai fini dell’attribuzione della responsabilità bastaaccertare l’avvenuta violazione della norma cautelare, nella presunzioneche la sua osservanza avrebbe impedito il verificarsi dell’evento. Graziea questa presunzione, si rafforza la funzione preventiva della normacautelare, posto che a ogni violazione di essa segue la responsabilitàpenale. In realtà, seguendo questo modello, si rischia di trasformare laresponsabilità colposa in responsabilità oggettiva: infatti in alcuni casiconcreti, l’osservanza della norma preventiva non sarebbe sufficiente adimpedire il verificarsi dell’evento lesivo. Si rischia di incorrere introppa oggettività;

- in concreto questa tesi appare spesso preferibile. Essa prevede che laresponsabilità venga meno, in tutti quei casi in cui sia fondatamentesostenibile che l’evento lesivo si verifichi ugualmente, pur osservando lacondotta prescritta.

Sezione IIAntigiuridicità

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1. PREMESSANell’ambito del reato colposo, la tipicità ha una funzione indiziante rispettoall’antigiuridicità concepita come assenza di cause di giustificazione se siaccerta l’esistenza di un’esimente il fatto commesso non costituisce reato. Nelreato colposo non sono prospettabili tutte le scriminanti esistenti in quellodoloso.

2. CONSENSO DELL’AVENTE DIRITTOArt. 5 codice civile: “Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietatiquando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quandosiano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”.La giurisprudenza prevalente esclude l’efficacia scriminante del consenso neireati colposi, per due motivi:

a) a causa della natura indisponibile dei beni della vita e dell’integritàfisica (eccedenti quelle previste dall’art. 5 cc).;

b) a causa dell’incompatibilità tra il consenso concepito come volontà dilesione e il carattere involontario del reato colposo.

In questo senso, il consenso dell’avente diritto si può avere solo nei casi direato doloso, poiché il consenso è “manifestazione di volontà dell’aventediritto, la quale aderisce alla volontà dell’agente diretta a ledere o porre inpericolo il bene giuridico”. Obiezioni alle due tesi. La portata limitata dell’art. 50 cp. Prima tesi èsenza dubbio impeccabile, solo che non vale a dimostrare la inconciliabilità diprincipio tra esimente del consenso e reato colposo; più che altro dimostra chela tesi della compatibilità ha una portata pratica molto limitata, consideratolo scarso numero di reati colposi posti a tutela di interessi disponibili. Seconda tesi bisogna obiettare che si può consentire ad un’attivitàpericolosa senza, per questo, volere l’effettiva verificazione dell’eventolesivo. La volontaria assunzione del rischio da parte del titolare del bene,varrà a scagionare l’agente tutte le volte in cui la lesione che si verificarientri nell’area di disponibilità dell’art. 5 cc tenere sempre presente chel’obbligo di non esporre in pericolo la vita altrui, trova sempre un limite nelriconoscimento del principio di autodeterminazione del responsabile (es. delpeschereccio pg. 565).

3. LEGITTIMA DIFESAEntro lo spazio occupato dall’azione difensiva, risulta legittimo provocare unevento lesivo che l’agente in realtà non ha voluto e che avrebbe dovuto evitarecon l’uso della diligenza dovuta.

4. STATO DI NECESSITÀ La configurabilità dello stato di necessità è generalmente ammessa sia indottrina, sia in giurisprudenza. Lo stato di necessità ricorre solo quandol’azione necessitata viola il dovere di diligenza. In realtà possono anche sussistere casi in cui l’azione necessitata soloapparentemente viola il dovere di diligenza: sono le situazioni in cui ilcomportamento del soggetto, essendo diretto a tutelare anche il bene dellapersona che ne risulta offesa, realizza in concreto il migliore deicomportamenti assumibili.

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La violazione o meno del dovere di diligenza, rileva ai fini dell’esistenza delfatto tipico: se quest’ultimo non sussiste, non si potrà invocare ilrisarcimento del danno previsto dall’art. 2045 cc.

Sezione IIIColpevolezza

1. STRUTTURA PSICOLOGICA DELLA COLPA La colpevolezza ha la funzione di racchiudere i presupposti dell’azionesoggettiva del fatto al soggetto agente. Possiamo incontrare due categorie:

- colpa cosciente: vi è compatibilità tra la previsione dell’evento e lacolpa (art.433). Si parla di colpa cosciente in quelle ipotesi in cuil’agente non vuole commettere il reato, ma si rappresenta l’evento comepossibile conseguenza della sua azione;

- colpa incosciente: il soggetto non si rende conto di poter ledere, con ilproprio comportamento, i beni giuridici altrui. In questi casi,all’agente, si muove il rimprovero di non avere prestato abbastanzaattenzione alla situazione pericolosa. In questa situazione si pone ilproblema dell’elemento psicologico della colpa incosciente essa, ineffetti, non essendo caratterizzata da coscienza e volontà, difetta di unelemento psicologico reale. Perciò il giudizio d’imputazione che si basasu di essa, diventa di natura schiettamente normativa.

2. LA MISURA SOGGETTIVA DEL DOVERE DI DILIGENZAIl rimprovero di colpevolezza si ha quando:

1. si accerta, in sede di tipicità, la violazione del dovere obiettivo didiligenza secondo il principio dell’homo eiusdem condicionis etprofessionis;

2. dipende dall’accertamento dell’attitudine del soggetto che ha in concretoagito, ad uniformare il proprio comportamento alla regola di condottaviolata.

Per quanto riguarda il secondo requisito, si pensa che esso dovrebbe tenereconto del livello individuale di capacità, esperienza e conoscenza del singoloagente. Qui si pone un problema: se si pretendesse di tenere conto di tutte lecaratteristiche personali dell’agente, si finirebbe col giustificare ognicondotta colposa comporterebbe una rinuncia alle esigenze di prevenzione sulterreno della responsabilità colposa. Per le ragioni sopra esplicate, si pone una soluzione prendendo come punto diriferimento un soggetto ideale, per prescindere da alcune della caratteristichedell’agente in concreto lo scopo è di dare un giudizio il più possibilepersonalizzato, senza rinunciare a un certo grado di oggettivizzazione egeneralizzazione. Il vero problema, ora, consiste nella scelta delle qualità personali che devonorientrare nella base del giudizio ai fini della soggettivizzazione:

- si esclude che assumano rilevanza i tratti caratteriali o le disposizioniemotive (indifferenza, insensibilità, superficialità, avventatezza);

- rilevano, invece, le caratteristiche fisiche e/o intellettuali: infattipuò apparire ingiusto accollare al soggetto le conseguenze di limitifisici o intellettuali a lui non imputabili. Secondo un giustobilanciamento tra difesa sociale e principio di colpevolezza, è giustoevitare che si risponda penalmente al di là dei limiti fisico-intellettuali di qualcuno.

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3. IL GRADO DELLA COLPA Art. 133 cp: fra gli indici di commisurazione della pena, menziona il gradodella colpa il legislatore, quindi, ammette che sia possibile una graduazionedella colpa, anche s e non si esplicitano i criteri in base ai quali il giudicedebba effettuare tale valutazione. L’essenza della colpa consiste nella violazione del dovere di diligenza: perquesto, per stabilire quanto sia grave la colpa, si deve accertare la misura didivergenza tra la condotta effettivamente tenuta dall’agente e quella che era datenere secondo ciò che dispongono le norme cautelari in materia. Ai fini della verifica di questo grado di divergenza, occorrono:

criterio di valutazione oggettivo: si accerta di quanto il comportamentoconcretamente realizzato si allontani dallo standard oggettivo didiligenza richiesto;

criterio di valutazione soggettivo: si cercano le cause soggettivedell’agente, che hanno fatto sì che egli non rispettasse il dovere didiligenza richiesto.

In sede di valutazione i due criteri si integrano reciprocamente.

4. CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZAL’adempimento del dovere di diligenza, presuppone che l’agente possieda quelleattitudini psico-fisiche che gli permettano di realizzarlo. Vi sono casi in cui,però, queste attitudini possono subire una menomazione in presenza di causeparticolari capaci di avere un’incidenza sulla normalità del processo volitivo. Alcune di queste cause sono quelle relative al caso fortuito, costringimentofisico, forza maggiore. Ne esistono, però, alcune che non sono legalmente tipizzate sono quelle chehanno più rilevanza pratica. La loro rilevanza scusante deriva daun’interpretazione dell’art. 421cp. Questo stabilisce che: “nessuno può esserepunito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’hacommessa con coscienza e volontà”. Questa disposizione è idonea a fungere daclausola generale idonea a ricomprendere tutte le circostanze anormali nontipizzate stati di errore, stati ipnotici, ecc. che escludono lacolpevolezza, poiché inibiscono i poteri di orientamento cosciente e volontariodell’agente.

Sezione IVLa cooperazione colposa

1. LA DISCIPLINA PREVISTA DALL’ART. 113 CPArt. 113 cp: “(1) Nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dallacooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite peril delitto stesso. (2) La pena per chi ha determinato altri a cooperare neldelitto …”.Si tratta di una scelta politico-criminale improntata ad un orientamento di tiporepressivo, sollecitato dalla preoccupazione di colmare le lacune di tutela chesarebbero conseguite all’eventuale prevalere dell’incompatibilità traresponsabilità colposa e concorso. La dottrina si è concentrata sulla distinzione tra:

- concorso di cause colpose indipendenti;- cooperazione colposa.

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Il discrimine tra queste due dipende dall’esistenza o no di un legamepsicologico tra i vari soggetti agenti. In ogni caso la consapevolezza di collaborare varrebbe a fare incriminare unacondotta di cooperazione che, in se stessa considerata, può anche non essere incontrasto con nessuna regola cautelare riceve la qualifica di colposa soloper il riflesso dell’altrui negligenza, imprudenza, imperizia a cui ci si limitavolontariamente ad aderire. L’art. 113 assolve due funzioni:

di disciplina; incriminatrice.

Esso serve ad attribuire rilevanza penale a comportamenti colposi atipicirispetto alle fattispecie monosoggettive si parte speciale, come tali nonpunibili in assenza di una norma ad hoc estensiva della punibilità.

PARTE QUARTA: IL REATO OMISSIVO

CAPITOLO I

Codice penale: art. 40

Sezione INozioni generali

1. PREMESSAIl modello tipico di reato penale è costituito dal reato di azione: per questoil modello della responsabilità omissiva costituisce un’ eccezione è dovutoal fatto che essa presuppone l’affermarsi di un principio diverso, quellosolidaristico. Esso risponde a due obblighi:

- astenersi dal compiere azioni lesive ;- attivarsi per la salvaguardia di beni altrui posti in pericolo .

Si sente l’esigenza di affinare l’elaborazione degli illeciti di omissione equesto è dovuto al parallelo incremento subito dagli obblighi di agire dotati dirilevanza penale. Si dedica particolare attenzione alla responsabilità penale per omessoimpedimento dell’evento, sia sotto il profilo delle condizioni che giustificanol’equiparazione tra cagionare e non impedire un evento lesivo; sia dal punto divista di utilizzare tale forma di responsabilità come moderno strumento dipolitica criminale.

2. DIRITTO PENALE DELL’OMISSIONE E BENE GIURIDICOIl frequente ricorso alle fattispecie omissive proprie, ha sollevato il problemadella compatibilità tra la punibilità delle omissioni e l’idea di protezione deibeni giuridici. Infatti dobbiamo sempre tenere presente la distinzione tra:

- diritto penale dell’azione reprime la modificazione in peggio di unasituazione preesistente;

- diritto penale dell’omissione tende a promuovere il benesserecollettivo.

Da questo punto di vista le fattispecie omissive proprie costituiscono lostrumento tecnico-legislativo privilegiato, per realizzare la funzionepropulsiva del diritto penale. Il disvalore dell’illecito omissivo consistenella mancata produzione di un bene o utilità futura In linea di principio

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nulla impedisce che sia proprio l’interesse attuale a conseguire un’utilitàfutura, a rappresentare il bene giuridico protetto: si verifica nei casi deibeni prestazione, costituiti dalle disponibilità economico-finanziarienecessarie per assolvere le funzioni tipiche di uno Stato sociale di diritto. Il problema in questi casi è quello di verificare, di volta in volta, sel’interesse tutelabile mediante la creazione di una fattispecie omissiva abbiaraggiunto nella coscienza sociale, un livello tale di consolidamento da fareapparire necessario e legittimo il ricorso alla tutela penale.

3. LA BIPARTIZIONE DEI REATI OMISSIVI PROPRI E IMPROPRI Criterio di distinzione tradizionale. Il criterio tradizionale fa leva sullanecessità della presenza di un evento, come requisito strutturale del fatto direato. I reati omissivi si suddividono in due gruppi:

reati omissivi puri o propri: sono i delitti che consistono nel mancato compimento diun’azione che la legge penale comanda di realizzare. All’omittente si fa carico di nonavere posto in essere l’azione doverosa come tale. Essi tendono adaumentare in corrispondenza al crescere degli scopi promozionalidell’attività statale. Si esauriscono nel mancato compimento di un’azionedoverosa e, perciò, sono complementari ai reati di mera azione;

reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione: consistono nellaviolazione dell’obbligo di impedire il verificarsi di un evento tipico ai sensi di una fattispeciecommissiva base. L’omittente, in questi casi, assume il ruolo di garantedella salvaguardia del bene protetto e risponde dei risultati connessi alsuo mancato attivarsi. I reati omissivi impropri, invece, sonocomplementari ai reati di evento commessi mediante azione.

Criterio basato sulla tecnica di tipizzazione. Fa riferimento al reato omissivoimproprio. Questo tipo delittuoso è carente di una tecnica legislativa espressa.La fattispecie di reato omissivo improprio nasce, nel nostro ordinamento, dallacombinazione della clausola generale ex art. 40 cpv con le norme di partespeciale incentrate su di un reato di azione e trasformate in fattispecieomissive per via di interpretazione giudiziale. È preferibile adottare latecnica di distinzione tra reati omissivi propri e impropri in funzione delladiversa tecnica di tipizzazione adottata dal legislatore:

reati omissivi propri: sono quelli direttamente configurati come tali dal legislatore penale(sia o no presente un evento naturalistico nella loro struttura);

reati omissivi impropri: sono quelli carenti di espressa previsione legislativa e, perciò,vengono ricavati dalla conversione di fattispecie create in origine perincriminare comportamenti positivi.

Sezione IIStruttura del reato omissivo

TIPICITÀ

A) La fattispecie del reato omissivo proprio

1. SITUAZIONE TIPICAGli elementi del reato omissivo proprio sono fissati dal legislatore (comeaccade anche per tutti i reati di azione). La figura di illecito in esame è costituita dalla situazione tipica insiemedei presupposti da cui scaturisce l’obbligo di attivarsi. Nel descrivere la

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situazione tipica, la norma incriminatrice indica anche il fine cui deve tendereil compimento dell’azione comandata. La descrizione legislativa della situazione tipica può fare uso di:

- elementi descrittivi in quanto rinviano alla realtà naturalistica;- elementi giuridici.

Nel tempo è andata aumentando la tendenza ad impiegare la tecnica normativa chefa uso di concetti di tipo giuridico; questo ha fatto sì che l’ambito del reatoomissivo proprio sia sempre meno collegato con la realtà naturale e sociale.Esso è pieno di richiami a dati tecnici e anche di matrice extrapenale. Le fattispecie omissive proprie possono essere divise in altre due sotto-categorie, in riferimento alla volontà colpevole:

- pregnante l’obbligo di attivarsi ha per oggetto una realtà sociale onaturalistica immediatamente percepibile dal soggetto, a prescindere dalfatto che conosca o meno l’obbligo di agire esistente;

- neutra è difficile che il soggetto sia cosciente di trovarsi nellasituazione che lo obbliga a comportarsi in un determinato modo, se nonconosce previamente la regola che gli impone un certo obbligo di agire.

2. CONDOTTA OMISSIVA TIPICA E POSSIBILITÀ DI AGIRELa condotta omissiva è un’altra componente fondamentale di questa fattispecie.Secondo la teoria normativa (Grispigni) possiamo definire l’omissione come: noncompimento di una determinata azione, che era da attendersi in base ad unanorma. La condotta omissiva tipica è quella che consiste nel mancato compimentodell’azione richiesta, in presenza della situazione conforme alla fattispecieincriminatrice.Possibilità materiale di agire. Il compimento dell’azione comandata presupponeche il soggetto abbia la possibilità di agire nel senso normativamente richiesto va intesa nel senso di possibilità materiale di adempiere al comando:significa che può essere esclusa in mancanza delle necessarie attitudini psico-fisiche e dalla mancanza delle condizioni esterne indispensabili per compierel’azione doverosa. Di ulteriori elementi si terrà in considerazione in sede dicolpevolezza. Tenere presente che il reato viene meno se il soggetto ha compiutoun serio sforzo di adempiere all’obbligo di agire e l’insuccesso è dovuto acircostanze esterne. Se si tratta di dovere di agire che incombe su più soggetti l’attivarsi diuno, può far venire meno i presupposti della situazione tipica e, quindi, puòrendere penalmente irrilevante l’omissione di coloro che rimangonosuccessivamente inattivi.

B) La fattispecie obiettiva del reato omissivo improprio

3. PREMESSA: AUTONOMIA DELLA FATTISPECIE OMISSIVA IMPROPRIA E PRINCIPIO DILEGALITÀ Il reato omissivo improprio contravviene all’obbligo di impedire un determinatoevento lesivo. L’evento a cui si è chiamati a rispondere, è quello tipico aisensi di una fattispecie commissiva sorta in origine per incriminare un fattoincentrato su di un comportamento positivo: infatti, in alcuni casi, il nonimpedire eguaglia quanto a disvalore, la corrispondente ipotesi di commissionedel reato mediante azione positiva. Il codice penale italiano si limita a regolare l’illecito omissivo improprionella parte generale, mediante una clausola di equivalenza: “non impedire un

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evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” art. 40 cpv. In questo modo il reato omissivo improprio viene ricostruitodall’interprete in base all’innesto della disposizione di cui all’art. 40 sullenorme di parte speciale, che prevedono le ipotesi di reato commissivo suscettivedi essere convertite in corrispondenti ipotesi omissive. Da questo innesto sorgeuna nuova fattispecie incentrata sul mancato impedimento dell’evento: essa hacarattere autonomo, poiché si fonda su di una norma di comando in quanto siincrimina l’inosservanza di un obbligo di impedire un evento. Differenza:

- divieto esige l’omissione;- comando esige il compimento di un’azione.

La norma violata da un’omissione, è un comando di azione. Esistono vari dubbi sulla compatibilità di questo modello di illecito, con iprincipi di legalità e sufficiente determinatezza della fattispecie, poiché lamaggior parte degli elementi di cui si compone la nuova fattispecie normativa,spesso vengono ricostruiti dal giudice. Motivi dell’incertezza:

- al giudice spetta il complesso compito di selezionare le fattispecie diazione legalmente tipizzate da convertire in corrispondenti ipotesiomissive. Inoltre deve individuare gli obblighi di agire, la cuiviolazione giustifichi una responsabilità penale per omesso impedimentodell’evento;

- l’art. 40 cpv non fornisce una direttiva-guida efficace e sicuraall’interprete.

4. LA SFERA DI OPERATIVITÀ DELL’ART. 40 CPV CPL’art. 40 cpv da luogo ad un fenomeno di estensione della punibilità: si trattadi accertare se l’operatività della regola sia generale o vada limitata solo adalcuni tipi di reato. La norma in questione si trova inserita nella rubrica del rapporto di causalità il rapporto tra causalità dell’evento e regola dell’equivalenza serve adelimitare il campo di azione dell’art. 40 cpv a quei casi in cui affiora ilproblema del nesso causale tra condotta ed evento lesivo: per questo èapplicabile soltanto ai reati di evento. Occorre scartare dal novero dei reatidi evento quelli caratterizzati da elementi strutturali che possono accederesolo a una condotta positiva. Si applica, invece, alla categoria dei reati causali puri: si tratta di reati dievento la cui carica di disvalore si concentra nella produzione del risultatolesivo, mentre appaiono insufficienti le specifiche modalità comportamentali cheinnescano il processo causale. L’ambito dei reati di evento caratterizzati dalla mera attitudine causale dellacondotta tende a circoscriversi intorno a due ipotesi:

a) delitti contro la vita e l’incolumità individuale omicidio; b) determinati reati contro l’incolumità pubblica .

Si tratta di fattispecie penali finalizzate alla protezione della persona umana,sia come individualità singola e determinata, sia come membro qualunque dellacollettività, contro le aggressioni ai beni della vita e dell’integrità fisica.

5. SITUAZIONE TIPICA La fattispecie obiettiva equivale al complesso dei presupposti di fatto chedanno vita ad una situazione di pericolo per il bene da proteggere e che rendonoattuale l’obbligo di attivarsi del garante. La mancanza di una previsione legaleespressa, fa sì che il contenuto e lo scopo del dovere di agire del garante,possano specificarsi soltanto in rapporto alle circostanze del caso concreto.

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6. OMESSO IMPEDIMENTO DELL’EVENTO ED EQUIVALENTE NORMATIVO DELLA CAUSALITÀUlteriori elementi costitutivi della fattispecie omissiva impropria:

condotta omissiva di mancato impedimento; l’evento non impedito: nei casi di rato monosoggettivo è rappresentato

dall’evento naturalistico prevista dalla fattispecie commissiva base; neicasi di concorso mediante omissione, dal reato che si aveva l’obbligo diimpedire.

Qual è la natura del rapporto tra mancato compimento dell’azione impeditiva edevento lesivo? Nei reati omissivi si emette un giudizio prognostico o ipotetico: l’organogiudicante suppone come mentalmente realizzata l’azione doverosa omessa e sichiede se, in presenza di essa, l’evento lesivo sarebbe venuto meno. I criteridi giudizio da adottare sono quelli del modello della sussunzione sotto leggi. Dopo avere individuato la legge di copertura per la quale si consente diaffermare che al verificarsi di certi antecedenti vengono generalmente menocerte conseguenze, si potrà poi utilizzare come test di controllo la formuladella “condicio sine qua non” l’omissione è causa dell’evento quando non puòessere mentalmente sostituita dall’azione doverosa, senza che l’evento vengameno: l’omissione è dunque causale. Si parla di causalità ipotetica quando ciò che rileva è che si sia consapevoliche si tratta non di un rapporto causale vero e proprio, bensì di un suoequivalente ai fini dell’imputazione giuridica al soggetto garante dell’eventonon impedito. Si pone in evidenza il fatto che dai giudizi prognostici, esula ogni certezzaassoluta.

7. LA POSIZIONE DI GARANZIA La causalità ipotetica possiede qualcosa in meno rispetto a quella reale: questoulteriore elemento consiste nella violazione di un obbligo giuridico di impedirel’evento (secondo art. 40 cpv). Il dovere di impedire la lesione di beni altrui rappresenta un’eccezione, chesolo si riterrà ammissibile in presenza di un obbligo giuridico art. 40 cpvstabilisce che si tratta di obblighi giuridicamente rilevanti: il compito diindividuarli è devoluto di volta in volta a dottrina e giurisprudenza. Questoporta alcuni svantaggi e vantaggi:

- Innanzitutto il fatto che manchi un numero preciso di obblighi di impedirel’evento prefissati dalla legge, dovrebbe consentire alla giurisprudenzadi far fronte alle nuove esigenze di tutela eventualmente emergenti dallaprassi. D’altra parte, però, l’affidarsi alla prassi fa sì che il settoredei reati omissivi impropri viva entro limiti incerti.

- In più la dottrina tradizionale si limita a richiamare la teoria formaledell’obbligo di impedire l’evento, risalente ai primi del ‘900. Questaconcezione individua le situazioni tipiche di obbligo penalmente rilevanti(posizioni di garanzia), nella fonte formale della loro rilevanzagiuridica, individuata alla stregua dell’ordinamento.

Rilievi critici. La posizione della dottrina non è in grado di spiegare inmaniera soddisfacente perché il diritto penale assimili l’omissione nonimpeditiva, all’azione causale teoria formale insufficiente; per questo ladottrina più recente ha cercato di approfondire il problema del fondamentopenalistico della regola dell’equivalenza ex art. 40 cpv. Da qui emergonoapprocci tendenti a sostituire o integrare i tradizionali criteri giuridico-

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formali di individuazione degli obblighi di garanzia, con criteri materialidesunti dalla funzione della responsabilità per omesso impedimento dell’evento. A fondamento del meccanismo di responsabilità troviamo la necessità diassicurare a determinati beni una tutela rafforzata, poiché vi possono esseresituazioni di incapacità (totale o parziale) dei loro titolari a proteggerliadeguatamente per questo si affida ad alcuni soggetti la speciale posizionedi garanti dell’integrità dei beni che si ha interesse a salvaguardare. Ilprincipio di equivalenza tra l’omissione non impeditiva e l’azione causaleprevede, quindi, una posizione di garanzia nei confronti del bene protetto sidefinisce come uno speciale vincolo esistente tra un soggetto garante ed un benegiuridico, determinato dall’incapacità del titolare a proteggerlo autonomamente.La posizione di garante è rivolta a riequilibrare la situazione di inferioritàdi determinati soggetti, attraverso l’instaurazione di un rapporto di dipendenzaa scopo protettivo. Gli obblighi di garanzia hanno un carattere speciale, perché incombono soltantosu alcuni soggetti e non sulla generalità dei cittadini. Le posizioni di garanzia si suddividono in:

Posizione di protezione scopo di preservare determinati beni giuridicida tutti i pericoli che possono minacciarne l’integrità, qualunque sia lafonte da cui scaturiscono ;

Posizione di controllo scopo di neutralizzare determinate fonti dipericolo, in modo da garantire l‘integrità di tutti i beni giuridici chepossono risultarne minacciati.

A loro volta le posizioni di controllo o protezione, si possono dividere in:- originarie nascono in capo a determinati soggetti, in considerazione

della loro particolare posizione o ruolo;- derivative trapassano dal titolare originario ad uno diverso, mediante

un atto di trasferimento negoziale: spesso assume le vesti giuridiche diun contratto (es. baby sitter che ha l’obbligo di vegliare su minori).

Gli obblighi di garanzia penalmente rilevanti possono derivare da un’assunzionevolontaria della posizione di garante: si tratta di ipotesi in cui il garantesvolge spontaneamente compiti di protezione di determinati beni, stantel’incapacità di protezione da parte del loro titolare originario. L’aspetto più rilevante, è che la posizione del garante determini o accentuiun’esposizione a pericolo del bene da proteggere, nel senso che tale interventoinduce ad affrontare un pericolo che altrimenti non si sarebbe corso o perchéimpedisce l’attivarsi di istanze di protezione alternative.

8. DISTINZIONE TRA AGIRE ED OMETTERE NEI CASI PARTICOLARINormalmente la distinzione tra azione e omissione è pacifica, però esistonoipotesi nelle quali la condotta assume una forma ambivalente: in questi casi ilgiudice potrebbe, in base ai criteri tipici di valutazione, ravvisare tanto unacondotta omissiva, quanto una condotta attiva. Possiamo incontrare queste situazioni nell’ambito di

illecito colposo: di solito si fonda su un’azione. Bisogna tenerepresente, però, che nella colpa è sempre insito un momento omissivo:infatti si potrebbe sempre cancellare il dato commissivo, incentrando ilsignificato della condotta sempre sul difetto di diligenza;

reato doloso: soprattutto nei casi si impedimento di azioni soccorritricialtrui e interruzione di un personale evento di soccorritore.

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ANTIGIURIDICITÀ

Come avviene nel reato commissivo, se sussiste una causa di giustificazione,l’omissione tipica non risulta antigiuridica e la punibilità viene meno. Tenerein conto che le cause di giustificazione che si applicano in ambito di reatoomissivo, sono inferiori rispetto a quelle che troviamo nel campo dei reati diazione. Nell’illecito omissivo è più facile configurare omissioni causate dallostato di necessità.

COLPEVOLEZZA

1. PREMESSABasicamente il trattamento in ambito di colpevolezza è lo stesso dei reatid’azione. Qui, però, si pone il problema della graduazione della colpevolezza,sulla base del principio di equiparabilità del “cagionare” al “non impedire”(art. 40 cpv) , sotto il profilo del trattamento sanzionatorio. In generale si ammette che la minore quantità di energia fisica e il minoresforzo richiesto dalla decisione intesa a lasciare le cose nello stato in cui sitrovano, implicano una minore carica di pericolosità da qui si deduce che idelinquenti per omissione meritano un trattamento punitivo meno severo.

2. DOLO OMISSIVO Reato omissivo proprio. Si tratta di una questione complessa soprattuttonell’ambito del reato omissivo proprio, poiché è caratterizzato dall’assenza diuna condotta positiva e di un evento naturalistico percepibile. Qui è l’essenzadel tutto normativa del reato a creare interferenza tra dolo e conoscenza dellalegge penale fino a che punto è possibile avere la coscienza e volontà diomettere, se non si conosce previamente la legge penale che impone di attivarsiin un determinato modo?Per rispondere bisogna distinguere i reati omissivi propri in due categorie:

a) Fattispecie con situazione tipica pregnante ha come presupposto unarealtà naturalistica o sociale, immediatamente percepibile dal soggetto, aprescindere dalla sua conoscenza dell’obbligo giuridico di agire. In casidi questo genere la coscienza e la volontà di omettere, può fare a menodella conoscenza dell’obbligo giuridico di attivarsi penalmente sanzionato:nel senso che qualunque soggetto di medie conoscenze è in grado dicapire, data la situazione, che si necessita di un suo comportamentoattivo (es. vedere un uomo gravemente ferito lungo la strada).

b) Fattispecie con situazione tipica neutra sono di creazione puramentelegislativa e quindi ad esse non preesiste un disvalore socialmentepercepibile o diffuso. In questi casi il presupposto dell’obbligo diagire, non dice nulla al soggetto se egli non conosce: egli non ha ragionedi sospettare l’esistenza di una norma giuridica che vi riconnetterilevanza.

In generale, però, si può affermare che l’omittente risponde di dolo quando:- possiede la conoscenza dei presupposti (situazione tipica) del dovere di

attivarsi;- ha consapevolezza della possibilità di agire nella direzione voluta dalla

norma: senza questo requisito l’omissione non può mai esprimere ilsignificato di una risoluzione.

Reato omissivo improprio. Qui il dolo abbraccia i presupposto di fatto tipicidella posizione di garanzia, poiché essa rappresenta un elemento fondamentale

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costitutivo del fatto tipico. Qui il dolo deriva dalla conoscenza dell’obbligoextrapenale di agire (in virtù dell’atto di trasferimento); tale conoscenzacostituisce un presupposto indispensabile perché il soggetto si renda conto dirivestire una posizione di garanzia infatti l’errore in tal caso, si tramutain errore sulla situazione tipica e finisce con l’acquisire efficacia scusante(errore sul fatto ex art. 47 cp).Ai fini della configurabilità del dolo, non si richiede che l’omittente sappiache la violazione dell’obbligo di garanzia è penalmente sanzionata applicazione della regola generale che stabilisce che non si necessita dellaconoscenza attuale della norma trasgredita.

3. COLPARicostruzione della colpa nel reato omissivo va riferito al difetti didiligenza. Esso si può riferire, prima di tutto, al mancato riconoscimento della situazionetipica da parte dell’omittente. L’adempimento del dovere di diligenza presupponeche il soggetto obbligato abbia la possibilità di agire in senso fisico.Requisiti nei quali si articola la possibilità di agire:

- conoscenza o conoscibilità della situazione tipica;- possibilità obiettiva di agire;- conoscenza o riconoscibilità del fine dell’azione doverosa;- conoscenza o riconoscibilità dei mezzi necessari al raggiungimento del

fine medesimo.Per accertare l’esistenza della possibilità di agire, basta eseguire unavalutazione alla stregua di un modello di agente avveduto che, posto nellasituazione data, sia in grado di riconoscere la situazione tipica e si agire nelsenso voluto dall’ordinamento. Dopodiché, in un momento successivo (in sede dicolpevolezza), si effettueranno le indagini relative all’esistenza dell’idoneitàpsico-fisica. La verifica si fa con riferimento ad un determinato momentospazio-temporale: cioè relativamente al momento in cui il comportamento è statoeffettivamente tenuto dall’omittente infatti si può stabilire l’effettivaesistenza di ulteriori fattori eccezionali in grado di inibire la volontarietàdel fatto, solamente accertando le concrete modalità di tenuta della condotta. Questi criteri risultano utili soprattutto in ambito di casi di colpaincosciente: la gran parte di essi si caratterizza per un tipo di colpainconsapevole, che difetta degli elementi psicologici reali di coscienza evolontà. Il giudizio di imputazione, qui, diventa solamente di natura normativa rimprovero all’omittente per non avere agito nella maniera richiesta, ancheperché non sussistevano cause che lo impedissero nella situazione data. Delitti omissivi impropri. In questo caso il dovere di diligenza e l’obbligo diimpedire l’evento si intersecano e coincidono: il garante deve fare ciò cheimpone la regola di diligenza imposta dalla situazione data, in modo da evitarela verificazione di determinati eventi. L’obbligo di diligenza deve basarsisulla posizione di garanzia dell’omittente, poiché la misura di diligenzaimposta, non può oltrepassare quella cui egli è obbligato come garante.

4. COSCIENZA DELL’ILLICEITÀ Nell’ambito del reato omissivo ai fini della sussistenza della colpevolezza, èsufficiente conoscere il precetto penale costituito dal comando di agirepenalmente sanzionato: detta conoscenza va sempre accertata con criteriparticolari. Nei reati omissivi la possibilità di non conoscere il precetto

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penale va sempre presa in considerazione, poiché spesso esulano dall’ambitodella conoscenza morale media.

TENTATIVO

1. IL TENTATIVOSi ammette la sua configurabilità nei reati omissivi impropri: infatti talidelitti si atteggiano a reati di evento è possibile ipotizzare il tentativoin tutti i casi nei quali la condotta omissiva volontaria non è seguita percircostanze fortuite dalla verificazione dell’evento. L’omissione tentata assumerilevanza nel momento in cui il ritardo nell’azione di salvataggio provoca unpericolo diretto per il bene tutelato o aggrava una situazione di pericolopreesistente.Ci si troverà di fronte a tentativo tutte le volte che il soggetto obbligatoprecostituisca una situazione tale da rendere impossibile l’ottemperanza allapretesa normativa.I requisiti dell’idoneità e dell’univocità previsti dall’art. 56 risulterannomeglio apprezzabili a misura che gli atti del reo si avvicinino alla sogliadell’impossibilità di adempiere.

PARTECIPAZIONE CRIMINOSA

1. PARTECIPAZIONE NEL REATO OMISSIVO I principi del concorso di persone sono indifferentemente applicabili tantoall’azione, quanto all’omissione. Distinzione

a) concorso mediante omissione in un reato omissivo: ammissibile quando piùsoggetti obbligati decidano, di comune accordo, che ciascuno non adempiràal suo obbligo di condotta. Per arrivare all’affermazione dellaresponsabilità, in realtà, basterà tenere conto della singola condottaomissiva idonea a integrare tutta la fattispecie di reato;

b) concorso mediante azione in un reato omissivo: vedi esempio pg. 629.

2. PRESUPPOSTI E LIMITI DELLA PARTECIPAZIONE MEDIANTE OMISSIONE NEL REATOCOMMISSIVO Si può concorrere mediante omissione alla partecipazione di un reato commissivosolo a condizione che l’omittente sia garante dell’impedimento dell’evento questa volta è costituito dal reato direttamente commesso da terzi soggetti. In questo ambito occorre individuare i presupposti in presenza dei quali si puòaffermare che sussiste un obbligo di impedire un determinato evento-reato, acarico di un determinato soggetto. Al fine di qualificare il reato commesso da un terzo come concetto di evento nonimpedito, la dottrina e la giurisprudenza prescindono dalla circostanza che talereato presenti o meno un evento naturalistico. Problema di limiti alla responsabilità in tema di posizione di protezione: inquesto caso il soggetto che è titolare di una posizione di protezione, èvincolato all’impedimento di eventi lesivi al bene soggetto a tutela, dovuti siaad eventi naturali che cagionati da terzo. Vi sono varie oscillazione di orientamento nella prassi applicativa pericoloche il giudizio (anche penale) sulla condotta del garante finisca con lostaccarsi dal singolo fatto di trasgressione, per giungere a coinvolgere il

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comportamento del garante inteso nella sua globalità, alla luce di modelliirrazionali, soggettivizzati e incerti.

PARTE QUINTA: LA RESPONSABILITÀ OGGETTIVA

CAPITOLO I La responsabilità oggettiva

1. PREMESSAArt. 423 cp: “La legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti acarico dell’agente, come conseguenza della sua azione od omissione”. L’avverbioaltrimenti indica la responsabilità oggettiva. Responsabilità oggettiva = un determinato evento viene posto a caricodell’autore in base al solo rapporto di causalità materiale. Non si richiede:

- che l’evento costituisca oggetto di volontà colpevole dolo;- che sia conseguenza di una condotta contraria a regole sociali o scritte,

di diligenza colpa.

La responsabilità oggettiva assolve diverse funzioni di natura politico-criminale.

1. Principio “versari in re illicita” è di matrice canonistico-medievale.In una tendenziale identificazione tra delitto e peccato, si riteneva cheil delinquente-peccatore dovesse rispondere di tutte le conseguenzeoggettivamente cagionate dalla sua precedente azione criminosa, nonimporta se volute o non volute, prevedibili o fortuite. Questo principiolo possiamo ritrovare anche oggi nei casi di delitto preterintenzionale enei reati aggravati dall’evento: in questi casi si attribuisce all’agentela responsabilità per l’evento più grave oggettivamente causato derivanteda una precedente azione diretta alla causazione di un evento meno grave,sulla base del mero nesso di causalità materiale.

2. Prevenzione generale in epoca illuministica il principio del versari inre illicita, viene reinterpretato in chiave di prevenzione generale.

3. Funzione probatoria la funzione della responsabilità oggettivaacquisisce rilevanza anche sul terreno processuale. Il ricorso ad essa puòservire ad eliminare le difficoltà probatorie, con riguardo a quei casi incui risulta particolarmente complesso l’accertamento giudiziale del dolo odella colpa.

L’agente, come si vede da queste funzioni, è chiamato a rispondere a prescinderedal legame psicologico con l’evento di cui trattasi; quindi la responsabilitàoggettiva costituisce vistose eccezioni al principio di colpevolezza. Si trattadi eccezioni a tutt’oggi giustificabili?Innanzitutto né ragioni di prevenzione generale, né di semplificazioneprobatoria, costituiscono motivi decisivi per giustificare deroghe al principiodi colpevolezza. La responsabilità oggettiva non costituisce un modellodelittuoso autonomo e nel nostro ordinamenti si innesta strutturalmente nellediverse tipologie di reato: reati dolosi e colposi, commissivi e omissivi.

2. RESPONSABILITÀ OGGETTIVA E PRINCIPI COSTITUZIONALILa responsabilità oggettiva si concilia con le norme che la Costituzione dettain materia penale?Esistono obiezioni in materia date da:

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1. Art. 271 Cost carattere personale della responsabilità penale. Questoprincipio si pone in contrasto con l’ammissibilità della responsabilitàpenale per due ordini di principi:

Nullum crimen sine culpa: per fondare un rimprovero è necessariaalmeno la presenza di un comportamento contrario alle norme chestabiliscono il dovere di diligenza (colpa). La responsabilitàoggettiva si fonda sul mero nesso di causalità materiale, per cuiin tale ambito non si può parlare di colpevolezza. Lacostituzionalizzazione di tale principio, quindi, si pone incontraddizione con le norme vigenti che continuano a prevedereipotesi di responsabilità oggettiva.

Funzione rieducativa della pena (terzo comma): prevede che la penasia psichicamente riportabile al soggetto da rieducare, quantomenonella forma della colpa. Da questo punto di vista, non avrebbesenso infliggere una pena rieducativa per un fatto che non puòessere oggetto di disapprovazione.

2. Sentenze C. Cost. 364/88 e 1085/88 la tesi della costituzionalizzazionedel principio di colpevolezza è stata recepita da queste due sentenze.Rappresentano una svolta nella giurisprudenza costituzionale, in quantoappoggiano la tesi di incostituzionalità della responsabilità oggettiva.In particolare:

364/88: qui la Corte sostiene che il dolo o la colpa devonoimmancabilmente coprire gli elementi più significativi dellafattispecie incriminatrice;

1085/88: stabilisce che è indispensabile che tutti e ciascuno deglielementi che concorrono a contrassegnare il disvalore dellafattispecie siano soggettivamente collegati all’agente, ed èindispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allostesso agente rimproverabili e cioè anche soggettivamentedisapprovati.

Alla stregua di simili conclusioni, risultano costituzionalmente illegittimetutte le principali ipotesi codicistiche di responsabilità oggettiva.Nonostante ciò, sono state realizzate interpretazioni adeguatrici in materia sentenza a sezioni unite della Corte di Cassazione 22 gennaio 2009, ha affermatoalcuni principi generali: la responsabilità per l’evento non voluto presuppone,oltre al nesso di causalità con la condotta dell’agente, che sia accertata incapo a quest’ultimo la presenza di un elemento soggettivo costituito dalla colpain concreto, a sua volta ancorata ad un coefficiente di prevedibilità edevitabilità dell’evento valutate dal punto di vista di un razionale agentemodello, il quale si trovi nella concreta situazione dell’agente reale, e allastregua di tutte le circostanze del caso concreto conosciute o conoscibilidall’agente reale medesimo. Si tratta di un’interpretazione costituzionalmente orientata, la quale prevedeche il giudizio di colpa in concreto potrà includere anche rischi meno evidenti,ma suscettibili di rientrare nella prevedibilità soggettiva dell’agente allastregua delle circostanze da lui conosciute o conoscibili. In realtà questainterpretazione è meno risolutiva di quanto sembri, per sue ordini di motivi:

dal punto di vista della prassi di fronte ad una disciplina che permaneimmutata, nulla garantisce che la strada dell’interpretazione adeguatricevenga percorsa dalla prassi applicativa, soprattutto nella situazioneattuale, dove si vedono riemergere forti istanze di difesa sociale;

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dal punto di vista della dottrina non è unanime il convincimento cheuna generalizzata conversione delle ipotesi di responsabilità oggettiva inipotesi di responsabilità colposa corrisponda davvero alla scelta piùrazionale ed opportuna sul terreno politico-criminale.

3. CASI DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA PURALa responsabilità oggettiva si manifesta secondo combinazioni strutturalidiverse: si distinguono casi di responsabilità oggettiva

- pura;- mista a dolo o a colpa.

I casi di responsabilità oggettiva pura li possiamo riscontrare1. Aberratio delicti art. 83 cp: stabilisce che se per errore nell’uso di

mezzi di esecuzione del reato, o per altra causa, si cagiona un eventodiverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa,dell’evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge comedelitto colposo. La formula “a titolo di colpa” si riferisce al pianodelle conseguenze sanzionatorie: si applicano le stesse pene previste peril reato colposo, mentre il criterio di attribuzione della responsabilitàrimane di natura obiettiva;

2. Responsabilità del partecipe per reato diverso da quello voluto art.116 cp: stabilisce che qualora il reato commesso sia diverso da quellovoluto da qualcuno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’eventoè conseguenza della sua azione. Il legislatore attribuisce il diversoreato realizzato anche al partecipe che non lo ha voluto, in base alsemplice nesso di causalità materiale.

4. SEGUE: I REATI DI STAMPAArt. 57 cp. Ha subito una modifica da parte della legge 4 marzo 1958, n. 127 edispone “salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione, e fuori daicasi di concorso, il direttore o il vicedirettore responsabile, il quale omettedi esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessarioad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito atitolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reatodiminuita in misura non eccedente un terzo”. La dottrina e la giurisprudenza considerano la figura del reato di stampa comecolposa a tutti gli effetti: non basta accertare che il direttore ha violatoobiettivamente l’obbligo di controllo, ma è necessario verificare se taleomissione sia dovuto ad un atteggiamento di negligenza. Questa interpretazionesi colloca idealmente in linea con il principio della responsabilità colpevole,poiché corrisponde meglio all’effettivo intento del legislatore della riforma.

Al direttore deve potersi rivolgere l’addebito di: - non avere controllato il contenuto dell’articolo a causa di un

comportamento negligente;o

- di averne superficialmente valutato la liceità penale.Si vuole evitare il rischio che la responsabilità del direttore si trasformi inuna responsabilità dovuta alla sua posizione: per questo occorre precisare ilpiù precisamente possibile la portata e i limiti dell’obbligo di controllo. Contenuto del dovere di controllo. Il direttore è tenuto a fare tutto ilpossibile per evitare che con il mezzo della stampa si commettano reati: in

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realtà attraverso questa presunzione, si corre il rischio di pretendere unadiligenza eccessiva contrasto con la necessità di bilanciare l’esigenza diprevenire reati, con quella di non comprimere troppo gli spazi di libertàindispensabili all’informazione giornalistica. In questa prospettiva dibilanciamento, l’ambito dei doveri di controllo del direttore dovrà esserecircoscritto tenendo conto di un duplice aspetto:

delle modalità di funzionamento della struttura e dell’articolazionedei ruoli all’interno delle moderne aziende giornalistiche;

della natura informativa o valutativa dello scritto da controllare. Qualora l’omesso controllo del direttore dipenda dalla precisa volontà diassecondare la pubblicazione di un articolo si contenuto penalmente illecito, siconfigura una normale ipotesi di concorso doloso del direttore nel fatto dolosodell’autore dello scritto.

5. CASI DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA MISTA Si tratta di ipotesi di responsabilità oggettiva connesse ad una fattispecie-base colposa e corrispondono a:

- preterintenzione;- reati aggravati dall’evento.

Preterintenzione. La disciplina di questa figura si trova nell’art. 422 cp, dalquale si deduce che il legislatore la considera come una forma di ascrizionedella responsabilità autonoma. Ipotesi di preterintenzione:

a) omicidio preterintenzionale: si realizza quando un soggetto, con atti diretti apercuotere o ledere, cagiona involontariamente la morte di un uomo (art.584 cp);

b) aborto preterintenzionale: ricorre quando, con azioni dirette a provocarelesioni, si cagiona come effetto non voluto l’interruzione dellagravidanza (art. 182 l. 194/78).

Il delitto preterintenzionale costituisce un’ipotesi di dolo misto aresponsabilità oggettiva. Art. 432 cp: il delitto è “preterintenzionale o oltrel’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso opericoloso più grave di quello voluto dall’agente”. Si tratta di unacombinazione tra:

- un’azione diretta a commettere un evento meno grave ha natura dolosa;e

- l’effettiva realizzazione di un evento più grave di quello voluto lalegge si limita ad affermare che deve essere conseguenza della condotta,ma non richiede espressamente che sia commesso con colpa: da qui si deduceche l’evento più grave si attribuisce all’agente solamente in base alsemplice nesso di causalità materiale e, quindi, in base al criterio diresponsabilità oggettiva.

6. SEGUE: REATI AGGRAVATI DALL’EVENTO Si definiscono tali i reati che subiscono un aumento della pena per ilverificarsi di un evento ulteriore rispetto ad un fatto-base che già costituiscereato. Il fenomeno dei delitti aggravati dall’evento, è riscontrabilesoprattutto nell’ambito dei reati commissivi dolosi. Questa tipologia di delitti risponde al principio del principio “versari in reillicita”: l’evento aggravatore, infatti, viene attribuito all’agente in base almero nesso causale e perciò prescinde da qualsiasi requisito di colpevolezza.

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Si distinguono due categorie di reati aggravati dall’evento, che rimangonocomunque tali a prescindere dal fatto che l’evento aggravante sia voluto o no:

a) delitto di calunnia: art. 368 cp;b) delitti di falsità in valori pubblici: artt. 453 e 455 cp.

Natura giuridica. È difficile stabilirla, poiché mancano di un’espressaqualificazione legislativa. Il dibattito teorico è andato incentrandosi sulproblema del loro inquadramento formale tra le figure di reato circostanziato otra le fattispecie autonome di reato.

7. CONDIZIONI OBIETTIVE DI PUNIBILITÀ Art. 44 cp: dispone che quando, per la punibilità del reato, la legge richiedeil verificarsi di una condizione, il colpevole risponderà del reato, anche sel’evento da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto. La relazione tra la responsabilità oggettiva e le condizioni oggettive diresponsabilità, è data dal fatto che l’evento può realizzarsi a prescindere daqualsiasi relazione psicologica col soggetto. Questa relazione sussiste solo inpresenza di due condizioni:

1. condizioni di punibilità causalmente ricollegabili all’azione tipica ;2. condizioni di punibilità non estrinseche, ma che incidono sulla lesione

del bene protetto. Occorre fare due precisazioni a riguardo:

- dal punto di vista del rapporto tra fatto tipico e condizioni oggettive dipunibilità, esse non sono necessariamente legate da un nesso di causalitàmateriale con l’azione illecita (per questo, invece, deve sussistere perpoter attribuire l’evento a titolo di responsabilità oggettiva);

- le condizioni oggettive di punibilità si dividono in intrinseche edestrinseche, a seconda che contribuiscano o no ad aggravare la lesionedell’interesse protetto.

PARTE SESTA: CONCORSO DI REATI E CONCORSO DI NORME

CAPITOLO I

Codice penale: artt. 71 e ss.

Concorso di reati

1. PREMESSAAd una condotta umana corrisponde un reato; a più condotte umane corrispondonopiù reati. Può accadere che ad una medesima condotta confluiscano più normeincriminatrici può dare luogo a:

- concorso di reati;- concorso apparente di norme.

Il concorso di reati si distingue in: materiale: si realizza quando uno stesso soggetto, con più azioni od

omissioni, realizza più reati; formale: si realizza quando uno stesso soggetto commette più reato con una

sola azione od omissione. In queste due ipotesi si registra uno stesso fenomeno: l’esistenza di unapluralità di reati.

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A seconda che si realizzi l’uno o l’altro concorso, abbiamo una differenza didisciplina: concorso materiale si applicano tante pene quanti sono i reati; concorsoformale si applica la pena prevista per la violazione più grave, aumentatafino al triplo. Questa differenza di disciplina poggia sul principio dellarelativa differenziazione tra unità e pluralità di azione. Il concorso di norme apparente, invece, lo riscontriamo quando una medesimacondotta risulta riconducibile a più fattispecie incriminatrici soltanto inapparenza, poiché realmente integra un solo reato.

2. UNITÀ E PLURALITÀ DI AZIONE Per la teoria del concorso di reati il punto di partenza è la distinzione traunità e pluralità di azione. Quando si è in presenza di un’unica azione?Innanzitutto bisogna valutare la fattispecie legale che viene di volta in voltain questione casi in cui si verifica un’unica azione:

a) quando si realizzano i presupposti minimi che integrano la fattispecieincriminatrice, anche se la condotta risulta dal compimento di più atti;

b) quando la fattispecie richiede la realizzazione di più atti ai fini dellasussistenza del reato;

c) quando si verifica un delitto di durata, anche se a volte si realizzanocon molteplicità di azioni.

Da qui possiamo dedurre che: - unità dell’azione ≠ una azione;

MA- unità dell’azione = contestualità degli atti e unicità del fine.

Più azioni si possono ricondurre ad una sola, se vi è un unico scopo che lesorregge e se queste si susseguono nel tempo, senza apprezzabile interruzione.

3. CONCORSO MATERIALE Concorso materiale. Si verifica quando un soggetto realizza, con più azioni odomissioni, più violazioni della stessa (concorso materiale omogeneo) o didiverse norme incriminatrici (concorso materiale eterogeneo).Al concorso materiale si riferiscono due norme:

art. 71 cp: tratta dell’ipotesi in cui con una sentenza o con un solodecreto si deve pronunciare condanna per più reati contro la stessapersona;

art. 80 cp: si riferisce all’ipotesi in cui, dopo una sentenza dicondanna, si deve giudicare un'altra persona per un altro reato commessoanteriormente o posteriormente alla condanna medesima, o quando contro lastessa persona si devono eseguire più sentenze o decreti di condanna.

Il codice Rocco ha voluto rendere più rigoroso il trattamento sanzionatorio delconcorso materiale introducendo il principio del cumulo materiale: si cumulanole pene previste per ciascuno dei delitti commessi. Il legislatore del ’30 havoluto introdurre, però, un temperamento a questo sistema e per questo ha postodei limiti di pena che non si possono oltrepassare es. concorso di reati checomportano l’ergastolo e reati che comportano pene detentive temporanee. L’area di operatività del concorso materiale, però, tende a ridursi rispetto alpassato conseguenza: se i diversi reati commessi dallo stesso soggetto sonolegati dallo stesso disegno criminoso, allora si applica il regime del cumulogiuridico ex art. 81 cp.

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Regola: normalmente, in presenza di concorso materiale, si applica il regime delcumulo materiale. PERÒ se succede che i reati sono accomunati da unicità discopo cumulo giuridico. Il concorso di reati è rilevante al fine dell’unificazione delle sanzioniapplicabili al soggetto, sotto il profilo esecutivo.

4. CONCORSO FORMALERequisiti. Si verifica concorso formale quando un soggetto, con una sola azioneod omissione, realizza una pluralità di violazioni. Il concorso formale, come nel caso del materiale, si distingue in:

- eterogeneo: la pluralità di violazioni riguarda diverse disposizioniincriminatrici;

- omogeneo: la pluralità di violazioni ha per oggetto la stessa disposizioneincriminatrice.

Questo tipo di concorso si ha sia rispetto agli illeciti dolosi, sia rispetto aquelli colposi. Il requisito fondamentale per l’esistenza del concorso di reati, è l’unicità diazioni od omissioni non è sempre agevole capire quando questa corrisponda aduna pluralità di reati e per questo bisogna considerare separatamente concorsoeterogeneo e concorso omogeneo. Concorso eterogeneo. Si verifica nei casi in cui una stessa condotta realizzacontemporaneamente ipotesi riconducibili a più fattispecie incriminatrici. Inquesto caso è importante che la confluenza di più fattispecie verso la stessacondotta sia effettiva. Concorso omogeneo. Per la sua configurazione, occorre verificare quante volte unamedesima azione violi una stessa disposizione incriminatrice. A proposito apparedeterminante la distinzione tra fattispecie incriminatrici che tutelano:

- beni personalissimi vita, integrità fisica, libertà personale, onore… .In questo caso si configura una pluralità di reati, nel momento in cui siledono soggetti passivi diversi;

- beni non personali in questo caso non sempre si configura unapluralità di reati, anche se vi è una sola azione che lede più soggettipassivi diversi.

Disciplina giuridica. Art. 81 cp stabilisce che chi con una sola azione odomissione viola diverse disposizioni di legge o commette più violazioni dellastessa disposizione, è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per laviolazione più grave aumentata fino al triplo. La riforma del 1974 ha disposto l’imposizione del regime del cumulo giuridico:consiste nella applicazione della pena prevista per il reato più grave con unaumento corrispondente ad una quota proporzionale prefissata dalla legge.

7. REATO CONTINUATORappresenta una particolare figura di concorso materiale disciplinata in modoautonomo, poiché la pluralità dei reati commessi dalla stessa persona appareemanazione di uno stesso disegno criminoso ciò dimostrerebbe una minoreriprovevolezza dell’agente e, per questo, giustificherebbe un trattamentosanzionatorio più mite che non nei normali casi di concorso materiale di reati. La riforma del 1974 ammette il reato continuato anche in presenza dellaviolazione di norme incriminatrici eterogenee: si ha reato continuato anchequando più violazioni di una stessa o più disposizioni di legge, avviene con

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azioni od omissioni orientate alla realizzazione di uno stesso disegnocriminoso, in tempi diversi. Attualmente l’unico elemento caratterizzante del reato continuato, loriscontriamo nell’unità del disegno criminoso. Il modo di intendere il concettodi disegno criminoso è importante al fine di stabilire quali sono i limiti darispettare nel reato continuato più si estende la nozione di disegnocriminoso, più si restringono i confini del concorso materiale di reati. Lariforma del ’74, invece, non ha introdotto nessuna modifica al regimesanzionatorio, che rimane sempre quello del cumulo giuridico.

8. ELEMENTI COSTITUTIVI DEL REATO CONTINUATO Sono tre.

1. Pluralità di azioni od omissioni . Secondo ciò che stabilisce l’art. 81 cp,si tratta di una pluralità di condotte autonome, che devono ricondurre auna pluralità di episodi criminosi. Le diverse azioni devono essereunificabili nel quadro di un’azione unitaria. Lo stesso art. 81 disponeanche che le varie azioni od omissioni possono essere commesse in tempidiversi: tra loro, può anche trascorrere un lasso di tempo notevole tenere presente che, più il lasso di tempo che trascorre è ampio, più saràdifficile dimostrare l’unità del disegno criminoso.

2. Pluralità delle disposizioni di legge violate . Con la riforma del 1974 siammette la configurabilità del reato anche in presenza della commissionedi reati diversi, non importa se dotati di caratteri comuni: l’importanteè che possano essere ricondotti allo stesso disegno criminoso.

3. Stesso disegno criminoso . Vi sono due orientamenti ermeneutici che siesprimono a riguardo: uno è incline ad ampliare e l’altro a restringere ilsignificato del medesimo disegno criminoso. Da prendere in considerazione,è quello che vede il concetto di disegno criminoso = unicità di scopo.L’unicità dello scopo del disegno criminoso, prevede sia l’elementointellettivo della rappresentazione anticipata, sia l’elemento finalisticocostituito dall’unicità dello scopo per l’esistenza del reatocontinuato, bisogna che i vari episodi delittuosi costituiscano attuazionedi un preciso e concreto programma, diretto alla realizzazione di undisegno unitario. L’unicità di scopo costituisce proprio la ratio delladiminuzione della pena, stabilita ex art. 81 cpv.Il disegno criminoso può avere ad oggetto solamente atti sorretti davolontà di commetterli. da qui si può dedurre che le norme sul reatocontinuato, non sono applicabili al delitto colposo: infatti si richiedonoespressamente unicità del programma e volontà rispetto ad uno o piùepisodi delittuosi, perché si abbia continuazione di reati. Il reatocontinuato, invece, si può applicare alle contravvenzioni che simanifestano con forma dolosa.

9. REGIME SANZIONATORIOArt. 81 cpv: al reato continuato si applica la pena che dovrebbe infliggersi peril reato più grave, aumentata fino al triplo REGIME DEL CUMULO GIURIDICO.Lo stesso articolo, all’ultimo comma, stabilisce che la pena non può comunqueessere superiore a quella che sarebbe applicabile sommando le singole pene per ivari reati commessi. Riguardo il regime sanzionatorio nel reato continuato, si pongono alcuniproblemi.

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a) Concetto di violazione più grave. Esistono due orientamenti contrapposti:uno fa riferimento all’individuazione della pena in astratto (comminatanella norma incriminatrice) e, l’altro, alla determinazione della pena inconcreto (applicazione degli indici ex art. 133 cp).Quello da prendere in considerazione è il secondo dei due (piùtradizionale) per accertare la violazione più grave, occorre fareriferimento all’astratta previsione legislativa e cioè alla qualità edentità delle sanzioni applicabili per i singoli reati in continuazione. Laviolazione più grave è quella per cui è prevista una pena qualitativamentee quantitativamente più grave. Nella valutazione astratta si fannorientrare:

- tutti gli elementi previsti dall’art. 133 cp;- le circostanze aggravanti e attenuanti e il loro reciproco bilanciamento;- la recidiva;- stadio di consumazione del delitto o tentativo.

Sostanzialmente questa tesi ravvisa la violazione più grave, in quellapunita in modo più grave in astratto.

b) Cumulo giuridico e pene eterogenee. Il cumulo giuridico appare di dubbiaapplicazione, nei casi in cui i reati commessi siano puniti con peneeterogenee. Occorre distinguere tra:

Reati puniti con pene di specie diversa la Corte Cost. ha confermato,con sent. 312/88, l’applicazione dell’orientamento estensivo, affermandoche non esiste nessuna ragione di principio per cui non si possa daremassima espansione all’istituto del reato continuato e ai relativibenefici.

Reati puniti con pene di genere diverso si tratta di reati punitirispettivamente con pene detentive (arresto o reclusione) o con penepecuniarie (multa o ammenda). Il problema, in questo caso, continua apersistere e attiene all’individuazione dei criteri sui quali operarel’aumento di pena prevista per il reato ritenuto più grave.

10. NATURA GIURIDICAVi sono tesi contrastanti a riguardo. Tuttavia è da ritenere valida la tesi cheidentifica il reato continuato = reato unico o pluralità di reati, in funzionedel carattere più o meno favorevole degli effetti che dall’accoglimento dell’unoo dell’altro punto di vista, discendono nei confronti del reo quindi lo sideve considerare:

- reato unico ai fini della dichiarazione di abitualità eprofessionalità;

- reato plurimo ai fini di . amnistia propria;. computo della durata del tempo necessario a prescrivere;. responsabilità dei concorrenti nell’ambito del concorso di persone;. applicabilità delle circostanze

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