X* DODICI OMELIE DI S. GIOVANNI CRISOSTOMO M. 5»DI?D(LI) ^39Tl®-»eiSia-9 volgarizzate DALL 9 AB, JACOPO BERNARDI, VENEZIA, ro’ TIPI DI PIETRO 1URATOVIC1I. 1845. Digitized by Google
X*
DODICI OMELIE
DI
S. GIOVANNI CRISOSTOMO
M. 5»DI?D(LI) ^39Tl®-»eiSia-9
volgarizzate
DALL9AB, JACOPO BERNARDI,
VENEZIA,ro’ TIPI DI PIETRO 1URATOVIC1I.
1845.
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2 suo (fcccllfttjtt ttaicrcnìósaiimi
FILIPPO ARTICOVESCOVO D’ASTI E PRINCIPE
PRELATO DOMESTICO ASSISTENTE AL SOLIO PONTIFICIO
COMMENDATORE DEL SACRO MILITARE ORDINE
DE’ SS. MiUìlXIO E LAZZARO EC. EO.
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Def C^iiòoàtomo af popofo (flutto cl> eoo, cxpo-fxooto Deff efocjueu-
tiAAuuo ‘laDte, uu Dà il metto Di/ xDempicte x coDe.lto voto Del
mio cuoce.
trulli oeOtxuuo fe costoni Detta uux DeDicx, cD io lite uè
auDtò fitto Dt xoet potuto tuo Aitate di DxpptcAAo Due uoiui efir
iieffx Aoaoitx Def Dite <*L DxppteAAo Ai xecotDxuo
.
^ìlti totueix poi Def titanio te condotto if veDcte, Aeuipte
die x c|ticote px^iue titouu, off f &cee£feurx ^oòtex coff occfno
Deffx .jcitetoAx Pernottila Aux oetAo Di lue fe ^uatDxox.
AD. GIACOMO BERNARDI.«
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OMELIA I.
Esortazione al Popolo perchè generosamente si leggo nelle
soprastanti minacele, mentre da guel che avvenne a
Giobbe e a ’ Niniviti, può trarre baslevoli esempi a non
temere la morte. Che cosa vogliasi dire morir malamente,
e come devansi evitare con ogni sollecitudine i giura-
menti.
Parve che ieri la narrazione dei tre fanciulli e della
fornace di Babilonia la carità vostra alquanto riconfor-
tasse : mi si aggiunse poi l1
esempio di Giobbe ed il suo
mondezzajo d1
ogni regai trono più rispettato : che dalla
vista di un regai trono non ne viene alcun profitto ai
riguardanti, ove tolgasi quell’ unico terreno allettamento
che non dà frutto di sorta, mentre la contemplazione del
putrescente letto di Giobbe tornerà utile assai, e sarà
di molta filosofia c di molti conforti ad una saggia pazienza
feconda. V’hanno infatti non pochi di presente che dagli
ultimi confini della terra imprendono il lungo viaggio ma-
rittimo dell’Arabia per mirare quel sudiciume e, poiché
la viddero, baciar la terra spettatrice degli aspri combat-
timenti di quel trionfatore e sparsa della tabe di ogni oro
più prezioso; chè la porpora non darebbe certamente uno
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splendore pari allo splendore eli1
emetteva allora quel
corpo non dell’altrui, ma del proprio sangue rosseggiante.
Il valore poi di quell’ ulcere a quello di ogni altra ma-niera di gemme grandemente soprastava
3poiché le
margarite, nè tornano ad alcun reale profitto della nostra
vita, nè valgono ad alcuno degli usi necessarii per coloro
che le posseggono3e le ulceri invece riescono a conforto
d’ogni tristezza. E perchè apprendiate come questo sia
vero, ponete che alcuno perda 1’ unigenito amatissimo
figlio, schierategli dinanzi quante più gemme volete nonritrarrà perciò ne consolazione al dolore, nè all’angoscia
alleviamento3ma se lo richiamerete alla ricordanza delle
piaghe di Giobbe vi sarà facile di spargere sovr’ esso unbalsamo risanatore, ove così a parlar vi facciate: a che
piagni, o mortale? tu perdesti un sol figlio: ah! ti ri-
corda di lui che nei giorni della sua felicità non venne
unicamente privato della numerosa sua prole, ma fu di
piaghe colpito nella stessa sua carne, e gettato nudo a
penare nel fracidume, coperto tutto di marcie cancrenose
che grado grado gli corrodeano le membra3eppur era
giusto, veritiero, pietoso verso il Signore, schivo d’ogni
Opera malvagia, e che aveva Dio a testimonio delle pro-
prie virtudi. Se pronuncierete cotesle parole ogni tri-
stezza andrà lunge da chi struggevasi in lagrime, ed
ogni dolore dileguerassi : di tal guisa le piaghe del giusto
hanno in se quel vantaggio che aver non possono le
gemme. Raffiguratevi pertanto quell’ atleta, e fate che vi
paja d» vedere quell’ immondezze ed egli starsene in
mezzo. Io non saprei trovare una statua d’oro o di
gemme screziata che sapesse reggere al paragone,poiché
ciascuna materia, per preziosa che sia, di gran lunga da
quel corpo cruentato si riman vinta. Per tal modo la
condizione di quella carne era sopra ogni altro oggetto
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il più ricerco pregevole, e quell1
ulceri appariaoo de raggi
solari più sfolgoranti ; che questi allumano gli occhi del
corpo, quelle gli occhi dell’anima rischiarano e valsero
ad acciecare pienamente il demonio -, mentr’ egli dopo il
mostrarsi di quelle piaghe si ritrasse, nè più comparve.
Imparate dunque anche da ciò, o miei diletti, quanta
ullità dalla tribolazione derivi, se dalle ricchezze e dalia
pace di che godeva trarre il demonio argomento d’ac-
cusa contro del giusto, e quantunque falsamente, pur
ebbe onde esclamare: Giobbe onora egliJorse il Si-
gnore senza profitto? Ma dappoi che lo spogliò di
lutto e Io trasse alla miseria non ardì fiatare ne anco.
Nei giorni delle dovizie si accigneva a combattere con-
tr’esso e minacciava espugnarlo, ma volse il tergo allora
che il vide povero, e nello estremo del bisogno e della
angoscia ridotto. Com’era pieno di vigore il corpo di lui,
gli ponea d’ attorno le mani, ma tosto che la carne fu
adempiuta di piaghe, si diè per vinto e fuggissi Com-prendeste come la povertà prevalga alle ricchezze, la
fralezza e l’ infarmitade alla salute, come la tentazione
torni a’ vigili più conveniente e vantaggiosa ed a com-
1 «altere più forti e valorosi li renda? Chi vide, od intese
a parlarle di sì mirabili pugne? I lottatori ne’ profani
combattimenti, com1abbian ferito il capo degli avversarli
si gridano vincitori, ed hanno la palma: qui invece,
poich’ ebbe piagato il corpo del giusto d’ ogni maniera
d’ ulceri coprendolo, e poiché l’ebbe estremamente af-
fievolito, allora fu vinto e rilirossi dal campo. Come gli
traforò di spessi colpi i fianchi non ne trasse alcun utile
perchè non giunse a rapirgli il tesoro ben custodito •, ed
anzi in maggior luce lo pose, mentre pur mezzo di
quelle trafitture fece in guisa che tutti veder potessero
r uomo dal di dentro e tutti conoscere le sue ricchezze
A
d’ onde ue venne che allorquando sperava di vincere fu
costretto con assai vergogna a dipartirsene, c a non dar
più una parola. Che mai accadde, o spirito delle tene-
bre? Perchè ten fuggi? forse non ottenesti tulio che
bramavi, forse al giusto non uccidesti le greggie, gli
armenti, le torme de’ cavalli e dei muli? Non Io facesti
orbo de’ molti snoi figli e lacero in tutta la sua carne?
Perchè adunque ne andasti lunge? Perchè, risponde,
avvennero sì tutti gl’infortunii eh’ io volli; ma ciò che
il più bramosamente anelava, al cui fine ogn’ altro infor-
tunio era da me diretto, non avvenne. Egli infatti non
bestemmiò, e questo era il frutto che da’ molti miei ten-
tativi desiderava raccogliere; e non avendolo conseguito,
non trassi alcun vantaggio nè dalla dispersion dei tesori,
nè dall’ uccisione dei figli, nè dai laceramenti del corpo;
anzi accadde il contrario delle mie speranze, poiché fui
stromeuto ad accrescere i trionfi e le glorie del mio
nemico. Comprendeste dunque, o carissimi, quanto sia
grande il profitto della tribolazione. Era pur vago ed
integro il corpo di Giobbe, ma d’assai più pregevole
apparve allora che fu di tante ferite coperto. Non e al-
trimenti della lana eh’ è bella anche prima che la si tin-
ga, ma non può gareggiare colla bellezza ed il prezzo
che assume quando abbia tratto in se il color della
porpora. Che se il demonio non l’avesse dispogliato
non avrem potuto conoscere a prova la maschia tempra
del vincitore; se di spessi colpi non avesse trapassato il
suo corpo, gl’interni raggi non avrebbero fuor lancialo
la propria luce, e se non lo avesse gettato nel lezzo
non sarebbersi mai falle palesi le sue ricchezze; chè
di certo non havvi re sul proprio trono sfolgorante
circondato di quell’ onore e di quella gloria che ador-
nava Giobbe nel sudiciume, poiché dietro il regai
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trono vi sta la morte, e dietro il sudiciume il reguo
de’ cieli.
Richiamandoci dunque a mente codeste verità
nella tristezza che ne opprime riconfortiamci;eh’ io non
vi pongo innanzi questi fatti perchè abbiate a lodare le
mie parole;sibbene perchè cerchiate d’ imitare la virtù
e la pazienza de’ magnanimi personaggi, ed apprendiate
dallé opere loro che niun danno terreno è grave, ove si
tolga il peccato. Non è grave la povertà, non lo sono le
malattie, le contumelie, le calunnie, le ignominie, non lo
è la morte che sembra l’estremo di tutti i mali. I nomi
infatti di codeste calamità per chi vi inedita sopra son
nomi privi di soggetto*, ma una vera calamitade si è
l’ offendere Iddio, e adempiere alcun atto ebe a lui non
piace. Mi si dica : la morte propriamente che cosa ha in
se stessa di crudele? forse il tradurre che faccia cou
troppa sollecitudine ad un porto tranquillo e ad una
vita felice ? Concediamo che i giorni dell’ uomo non si
troncassero 5 v’ ha nientemeno una legge di natura che
grado grado insinuandosi dovrà quando che sia il corpo
dadi’ anima disciogliere: e parlo di questa guisa non già
reggendo nella morte alcun che di spaventevole e crur
dele, ma vergognandomi per coloro che la paventano.
Se te ne stai, o mortale, aspettando que’beni che occhio
non vide, orecchio non ascoltò, nè al cuore d’ alcu-
no manifestaronsi,perchè dilazioni, a goderne, li ne-
gligi e intorpidisci? Nè intorpidisci soltanto ma ti
lasci cogliere dal timore e dallo spavento. E comenon devi credere che sia per te disonorevol cosa l’at-
tristarti in faccia alla morte, se invece lamentavasi
l’apostolo Paolo di questa vita, e scrìvendo ai Ro-mani diceva : Gemono le create cose ed io pureportando in me le primizie dello spirito m addolo-
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ro(i)?ed esprimeasl così non per condanna che lanciasse
contro alla vita presente, ma per desiderio della futura.
Ho gustato, esclamava, la grazia e non soffro indugio,
possedo le primizie dello spirito e m’affretto di giugnere
all’intero conseguimento: salii fino atterzo cielo, hoveduto quella gloria ineffabile e lo splendore di quella
regia, ho appreso di quali beni men vada privo rima-
nendo quaggiù, ed è perciò che m’addoloro di rima-
nerci. Ditemi, se alcuno conducendovi entro a regali
stanze, vi avesse mostrato le pareti d’ oro ovunque sfol-
goreggianti ed ogni altro ricco adornamento;indi, co-
stringendovi a rimanere in una povera casuccia, vi avesse
promesso di ricondurvi fra breve in quella regia e di
assegnarvi in essa un’ immortale dimora, non sareste
travagliati da continui desiderii e per quanto pochi fos-
sero i giorni non vi tornerebbero tormentosi. E d’uopo
che pensiate lo stesso rispetto il cielo e la terra e v’ ad-
doloriate con Paolo non per la morte, ma per la vita
presente. Ma voi soggiugncrete, fateci simili a Paolo ed
allora non temeremo la morte. E che v’impedisce di
farvi simili a Paolo? Forse ch’egli non era povero, ac-
conciatore di stuoje, idiota ? Se fosse stalo nobile e do-
vizioso i poveri per avventura avrebbero potuto addurre
a scusa la propria povertade, ove chiamati venissero ad
imitamelo,ma ciò non ha luogo ora che sapete eh’ egli
era un operajo e che traeva dalle giornaliere fatiche il
proprio sostentamento. Voi fin dalla culla beeste da’ pa-
dri vostri il latte della pietade, e foste da’ primi anni
educati negli ammaestramenti delle sacre scritture, ed
egli per lo contrario fu l’ uomo delle bestemmie, delle
persecuzioni, delle contumelie e dei guasti arrecati alla
chiesajpure di un tratto cangiossi in guisa da lasciarsi
(1) Ai Romani VITI. V. 22.
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addietro ogn’ altro nella operosità e nel fervore, sino ad
esclamare : Siate miei imitatori,eom’ io lo sono di Cri-
sto (i). Egli imitò il padrone, e voi non imilarete un
vostro conservo? Voi che da prima attigneste alle fonti
della verità non imiterete colai che per un mutamento
avvenuto in appresso alla verità s’accostava? Non cono-
scete che quelli che trovasi in peccato, quantunque vi-
vano, tuttavia son morti? ed invece nella morte si adem-
pian di vita quegli altri che adorni son di giustizia ? Nèquesta maniera di parlare è mia
jè una sentenza di Cri-
sto che disse a Marta : Ognuno che in me s' affidi, ben-
ché sia morto,
vivrà (a). E i nostri donami sarebbero
forse altrettante favole ? Se tu se’ cristiano, abbi fede in
Cristo, e se in Cristo hai fede, appalesa cotesta fede
coll’ opere. E di che guisa appaleserai nell’opera la tua
fede ? se ti dimostrerai superiore alla morte. È questa la
principal prova in che ci mostriamo dagl’infedeli dis-
giunti. Non a torto paventano la morte coloro che non
hanno alcuna speranza di risorgimento : ma voi che per
miglior sentiero v’indirizzate, voi che valete a profondarvi
nella meditazione delle speranze avvenire, voi che nel
risorgimento futuro confidate di quale scusa mai sarete
meritevoli, ove temiate la morte al par di quelli che nel
risorgimento non credono. Pur voi soggiugnerete, nontemiamo la morte
;che in sè il morir non ne accuora,
sibbene il morir tristamente e il sentirci la scure
in sul capo. Dunque la morte di Giovanni fu tri-
ste ? Eppure gli si recise la lesta. Fu triste la
morte di Stefano ? Eppur lapidossi. Dunque secondo
il parer vostro i martiri tutti miseramente perirono,
perchè al fuoco o al ferro soggiacquero, e questi lan-
ci ) 1 a’ Corinti XI. 1
.
(2) S. Giovanni c. XI. v. 25.
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s
ciati nel mare, quelli giù volti da un precipizio, que-
gli altri offerti ai denti bramosi delle fiere vi trovaron
la morte? Ah! miei figliuoli, il compiere per altrui vio-
lenza i suoi giorni non è un infelice morire, sibbene il
morir nella colpi. Ascoltate non pertanto il Profeta che
a questo proposito egregiamente filosofando esclama:
La morte de'peccatori sarà pessima (i). Non disse che
sarà pessima la morte violenta, ma quella invece dei
peccatori. E giustamente, poiché partitisi di questa vita,
li attende una pena insoffribile, un sempiterno cruccio,
un verme corroditore, un’inestinguibile fiamma, una
tenebria la più fitta, e catene indissolubili, e stridore
di denti, e tribolazioni e angustie e dannazione eterna.
Che se tanti sono i tormenti che aspettano i pec-
catori, qual utilitade per essi quand’anche la vita abbia
il suo fine fra le domestiche pareti e sul proprio lor letto?
Mentre per lo contrario niun danno ne viene ai giusti
perchè dal foco o dal ferro sieu tronchi i giorni dell’esi-
stenza loro terrena, se di qui passar deggiono all’ irn-
mortalitadc felice. Dunque veramente pessima è la morte
dei peccatori. Tale si fu la morte del ricco insolente
sprezzatore di Lazzaro che, dopo di aver Gno all’ ultimo
compiuto il novero de’proprii giorni nelle sue stanze, in
sul proprio letto, e d’ogni maniera di soccorso provveduto
se ne moriva per andarsene ad ardere eternamente senza
che dai molli agi di questa vita potesse ritrarre il minimo
refrigerio. Pur lo stesso a Lazzaro non accadde; a Lazzaro,
che giacea fuor dell’uscio sul nudo pavimento, cho aspetta-
va a corteggio i cani che gli lambisser le piaghe, che finiva
di una morte violenta: poiché il morir di fame è lungo e
penoso a preferenza d’ogni altro, ma levato di là era
(J) Salmo XXXIII. 22.
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lietamente accolto nel sen d’Àbramo perchè avesse a
fruire dei beni eterni. Di qual nocumento gli tornò
adunque la violenza del suo morire? Di qual profitto al
dovizioso tornò invece la niuna offesa. Ma voi soggiun-
gerete: noi ci accuoriarno di morir per violenza, sibbene
per ingiustizia, e ci duole d’ esser puniti insieme a’ rei,
non avendo tentato nulla di quello che ci sospettano.
Che dite mai ? Yi accuora l’ingiustizia della morte? Vor-
reste dunque meritamente morire? S’è duopo temer la
morte, è duopo temerla allora che giustamente ne minac-
ciasse, mentre coluiche alla morte ètrascinato ingiustamen-
te per ciò stesso verrà messo a parte della gloria dei beati.
Nè son pochi gl’ illustri personaggi accetti al Signore che
ad un’ ingiusta morte dovettero soggiacere, e Abele pri-
ma degli altri : egli che non avea commesso errore con-
tro al fratello, nè offeso in guisa alcuna Caino, ma che
fu scannato soltanto perchè onorava il Signore. E Iddio
lo permise forse per amore, o per odio che avesse con-
tro di lui? Per amor certamente, perchè cioè gli venisse
la più bella delle palme dalla più ingiusta delle uccisioni.
Comprendete quindi come non sia da temersi il morir
per violenza o per altrui ingiustizia, ma sibben nella
colpa. Abele moriasi ingiustamente: visse Caino fra la
trepidazione ed i gemiti. E d’ essi due qual più felice ?
Quegli che avea sortito il riposo de’ giusti, o l’ altro che
vivevasi nella colpa ? quegli che soggiacque ad una mor-
te immeritata, o l’altro che soffriva i meritati gastighi?
Volete forse che per vostro bene vi dica la causa per cui
paventiamo la morte ? L’ amore del regno eterno non ne
commuove, il desiderio della futura felicità non ne in-
fiamma, poiché allora ad imitazione di Paolo tutte dis-
petteremmo le lusinghe di questa vita. Dopo questo non
temiamo lo inferno e perciò temiamo la morte : non co-
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nosciamo la gravezza iotollerabile di que’ tormenti ed
abbiam paura di dar la vita io soddisfazion delle colpe,
che se il timore de’ futuri giudicii le nostr’anime per-
vadesse, il presente non troverebbe alcun modo ad insi-
nuarsi. Nè del mio asserto andrò a cercarne lunge le
prove che le trarrò dappresso, e adoprerommi farvelo
manifesto da quel che avvenne di questi giorni tra noi.
Non appena infatti promulgossi l’imperiale editto che ne
imponeva il pagamento d’ un tributo a giudicio vostro
insopportabile che tutti si diedero a tumultuare e con-
tendere, e tutti lamentevoli e sdegnosi al primo scon-
trarsi che facessero, esclamavano: È egli propriamente
un vivere il nostro ? la città è ammulinata e non trove-
rassi chi possa reggere all’ impostaci gravezza, e tutti si
addolorano come se corressero il danno estremo. Ora
poi che que’temerarii concetti si consumarono, ed alcu-
ni crudeli e malvagissimi uomini calpestaron le leggi,
infransero le statue, e sul capo di tulli provocarono il
pericolo della morte; ora che nell’ irritato animo del-
l’ imperatore ci sta la minaccia delia nostra vita mede-
sima, più non ne stringe d’angoscia la perdita del di-
naro, ed ascolto invece che dalle labbra comuni se ne
escono quest’ altre parole dalle prime ben diverse : ab-
biasi pure l’imperatore le sostanze nostre, nè ci dorrà
lo spogliarci de’ campi e delle nostre suppellettili, ove
alcuno soltanto ne guarentisca la vita. Di tal guisa, comeprima della minaccia della morte la pena pecuniaria
crucciavane, ma lo spavento della morte, pegli orribili
misfatti che si commisero sopravvenuto, spense il dolor
del dinaro ; cosi, dove il timor dello inferno colto avesse
l’anime nostre, più non avria trovato luogo quel della
morte, e sarebbe avvenuto di noi quel che suole av-
venire nei corpi allorché due sono i dolori che li
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*<
il
travagliano,
e sembra che il minore dal più acu-
to soprovanzato sen taccia : ciò sarebbe di presente
avvenuto, dicea, e se la paura degli eterni supplicii
non si fosse dilungala dalla nostr’ anima, quella dei
terreni non avrebbe avuto il mezzo di farsi inten-
dere. Quindi è che se alcuno farà di tenersi in-
nanzi agli occhi della mente sempre l’ inferno, disprez-
zerà la morte, e non solo andrà immune dalle angustie
di questa vita ma toglierassi alle fiamme dell’avvenire;
poiché quel desso che di continuo paventa lo inferno,
non ne proverà il rigore, gastigato abbastanza dalla con-
tinua tema che n’ebbe. Concedetemi adunque che oppor-
tunamente in questo luogo vi dica : O fratelli non
vogliate farvi fanciulli nelle sensitive impressioni,
sib-
bene siatelo nella malizia, (i) Ed è veramente puerile
timor nostro, quando paventiamo la morte e non il
peccato. Difatto i pargoletti temono delle larve ma non
del foco, e se avvenga che lor si metta dinanzi una lu-
cerna accesa sporgono sconsideratamente le mani alla
lucerna insieme c alla fiamma. Non altrimenti anche
noi temiamo la morte eh’ è larva degna di spregio, nè
temiamo la colpa che esser dovrebbe duddovero temuta
e che a guisa di foco logora la coscienza. Questo poi non
ci accade per legge di natura, ma per nostra ignoranza :
che se pensassimo bene ciò eh’ è la morte non la paven-
teremmo giammai. E che cosa è dessa propriamente?
Nell’altro che la deposizion d’un vestito; poiché alla fog-
gia di un vestito il corpo all’anima sta d’ intorno, e come
sia deposto per breve tempo, lo riassumeremo, e più
splendido d’assai. E che cosa è la morte? Un passeggero
pellegrinaggio, un sonno dell’ ordinario più lungo. Se
(1) S. Paolo 1 a’ Cor. XIV. 10.
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12
paventate la morie, paventate dunque anche il sonno, e
se vi dolete per que1
che muojono, doletevi ancora per
que1
che mangiano e beeono, mentre l’una cosa e l’ al-
tre son proprie della natura, nè gli effetti naturali de-
vono contristarvi, ma bensì quelli che derivano dalla
malvagità del volere, e non già chi muore ma piangete
colui che vive in peccato.
Volete che vi ricordi un’ altra causa che ne fa te-
mere la morte? Non viviamo colla rettitudine necessaria,
nè possiam vantarci di una coscienza pura *, che se ciò
fosse, nè la morte, nè la fame, nè la perdita del dinaro,
nè alcun altro infortunio varrebbe a spaventarci. Niuna
avversità basta ad offendere chi ha la virtude per com-pagna della sua vita, nè può toglierlo alPintime compia-
cenze cui prova, mentre, pasciuto coni1è di grandi
speranze, sta in sicuro affatto d1
ogni assalto della tri-
stezza. E vi è chi valga a prostrare il magnanimo uomonello avvilimento? Gli si rapiranno i dinari? Ma egli
ha riposto in cielo le sue ricchezze. Lo si caccierà dalla
patria? ma egli seguirà il suo viaggio alla superna città
permanente. Lo si porrà in catene? ma è sciolta la sua
coscienza e non s’accorge dei legami esterni. Priverassi
della vita il suo corpo? ma sorgerà nuovamente. Quindi
è che al modo stesso di chi s’adopra a menar contro
l’ombra o Paria fierissimi colpi non percuote nessuno j
così quegli che contro al giusto combatte, combatte colla
ombra unicamente e sperde le proprie forze senza che
arrecar possa la minima ferita. Pertanto fate eh1
io mitrovi nella piena fiducia di ottenere il regno de’ cieli, e
se volete uccidetemi tosto, eh’ io sarovvi dell1
uccisione
riconoscente, perchè aprirammi la via più sollecita a
quella felicitade. Ma qui ripiglierete : l’oggetto principale
delle lagrime anche per noi, è, che la moltitudine delle
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colpe ne impedisce di conseguire il regno di Dio : ces-
sate adunque di piagnere la morte e piagnete le colpe
vostre per cancellamele. Poiché a pensar bene la tri-
stezza non è già ordinata in noi a lamentare la perdita
delle ricchezze, la morte od altra sventura di simil fatta,
ma propriamente a distruggere le colpe, e che ciò sia
vero vel dichiari il seguente esempio. Gli apparecchi
medicinali valgono per que’ morbi soltanto che posson
guarire, non per quegli altri cui non tornano a giova-
mento di sorta. Imaginatevi, voglio rendere ancor più
chiaro il mio linguaggio, imaginatevi un medicamento
che sol possa giovare a colui ch’è infermo d’occhi, e
non ad altro qual sia genere di malije potremo allora
dir con ragione che cotesto medicamento è fatto per la
•ola infermità d’occhi non già per lo stomaco, nè per le
mani, nè per alcun altro membro. Volgasi ora il nostro
discorso alla tristezza, e troveremo eh’ ella non può soc-
correrci in alcuno degli avvenimenti di questa vita, ove
si tolga la correzion delle colpe;dunque potrassi con-
chiudere che ei si diede a quest’ uopo unicamente. Per-
corriamo la famiglia innumerevole dei mali che ne mi-
nacciano, mettiamei sopra la tristezza e vediamo il
profitto eh’ ella ne arreca. Si costrinse alcuno ad una
pena in dinaro? attristossì, ma per questo non pagò il
debito: perdette il figlio ? sen dolse, ma per questo non
resuscitò il morto, nè gli tornò di vantaggio che fosse*
Alcuno fu percosso di flagelli, di schiaffi, di contumelie ?
rammaricossi, ma non trovò nel rammarico un riparo
alle ingiurie. Tal altro fu colto da malattia e malattia
gravissima? angustiossi, ma non tolse il male, che il
fece anzi più grave. Vedete come a ninno di costoro
fosse P affliggersi vantaggioso. Vi fu invece un colpevole
che provò dolore ? Egli ha cancellata la colpa e pagato
3
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1À
il debito. Chi ne assicura di tanto? la parola del Signore,
che intorno a tal uomo che avea prevaricato, disse: Cercai
di rattristarlo un poco per le suecolpe, e poiché vidi che
attristassi realmente e se ne dolse,lo richiamai sul sen-
tiero della virtude ( i ). Quindi anche Paolo scrisse: Quella
tristezza che viene da Dio è operatrice di penitenza aristabilirne in salute (a). Avendo pertanto l’orazion no-
stra dimostrato che la tristezza non apporta rimedio nè
alla perdita dei dinari, nè alle contumelie, nè alle calun-
nie, nè alle percosse, nè alle malattie, nè alla morte, nè
ad alcun altro simile infortunio e che sol basta a can-
cellar le colpe e distruggerle*, rimane che sia per questo
fine unicamente creata. Non rammarichiamci più adun-
que sulle perdute ricchezze, ma rammarichiamci allor
che pecchiamo, mentre grande è il profitto che di qui ne
deriva. Soggiacesti ad una multa? non dolerti, chè il
dolor non ti giova. Hai tu peccato? ten duoli, che utile
sarà il dolerti, e pensa alla prudenza ed alla divina sag-
gezza. Il peccato ne diè questi due frutti, il dolore e la
morte. Qualunque giorno, disse Iddio,
ti ciberai d'esso
sarai colpito dalla morte (3) : e alla donna: Partorirai
nel dolore li tuoi figliuoli (4), e si valse dell
1
uno e
l’altro di questi frutti per distruggere il peccato, e volle
che dai figli si togliesse di mezzo la madre. Che poi dal
dolore e dalla morte distruggere il peccato appare chia-
ramente anche dai martiri, appar dalla maniera di favel-
lare che tiene Paolo coi peccatori, ove dice : Per ciò ve
ne hanno mollo tra di voi che sono infermi ed imbecilli
(1) Isaia LVH. 17.
(2; S. Paolo II a’ Cor. VII. 10.
(3) Genesi li, 1 7.
(1) Genesi HI, 1 6.
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e dormienti (i)j d’uopo è dunque che ciascuno sen
inuoja pe’ suoi peccati, affinchè il debito dei peccati
paghisi colla morte: e ripiglia dicendo: Se noi di per
noi stessi ci giudicheremmo,non sarem giudicati : nè
altra cosa verso di noi è il giudizio di Dio quaggiù che
un correggerne perchè non andiam dannati col mon-
do. E come avviene del verme che nasce dal legno e
poi Io corrode, e della tignuola che logora la lana da cui
ripete l’origin sua*, Jo stesso è del dolore e della morte
che nacquero dal peccato ed il peccato distruggono. Nonpaventiam dunque la morte, ma il peccato, e sia per
esso il dolor nostro. Sia lunge che con queste parole in-
tenda aggravare il timor vostro, intendo solo di profit-
tarne in guisa di rendervi persuasi che dovete coll’opere
adempiere la legge di Cristo. Se v'ha diss’Egli, chi non
tolga sopra di se la sua croce e mi segua,non è degno
di me (a). Nè dicea questo, perchè su delle spalle por-
tassimo un legno, ma perchè avessimo sempre dinanzi
gli occhi la morte;ciò che ben fece Paolo morivasi cia-
scun giorno e disprezzava la morte, nè curavasi nulla
affatto di questa vita. Tu sei un soldato sempre sul campodella battaglia*, nè il soldato che ha timor della morte potrà
mai portarsi da valoroso. Sappi adunque che l’ uom cri-
stiano che nei pericoli è pavido non vale a fornire alcu-
n’azione magnanima ed onorata, ma sarà sconfitto facil-
mente, mentre l’ intrepido e di gran cuore rimarrassi
fermo ed inespugnato. Di quel modo che i tre fanciulli
che non temetter le fiamme alle fiamme si sottrassero $
così anche noi non tementi della morte alla morte ci
sottraremo. Que’ fanciulli infatti non paventaron del
(1) S. Paolo I a* Cor. XI. 30.
(2) S. Matteo X.
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«-V
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fuoco, perche Tesser arsi noo era un delitto, ma ebber
timore della colpa, e tale era T accondiscendere alle bra-
me dell’ empietade. Imiliamli ancor noi, e diverrem
tutti simili ad essi, e andremo illesi dalle minaccie per
ciò che non le temiamo.
Non son io Profeta, nè figliuol di profeta: non
pertanto conosco apertamente il futuro e ad alta voce e
chiarissima grido, che se muterem di costume, e ci fa-
remo solleciti di provvedere al bene della nostr’ anima
non avremo a temer nulla d’ increscioso ed avverso che
ne sopravvenga, ed ho ben motivo di argomentarlo dalla
divina misericordia e dal modo che tenne cogli uomini
partitamente, con le città, con le provincie, con le intere
popolazioni. Minacciò infatti la città de’Niniviti e disse:
ancor tre giorni e Ninive cadrà distrutta ( i ). Rispon-
detemi: cadde per questo Ninive nella distruzion mi-
nacciata ? No : che avvenne anzi il contrario, e sorse più
bella e vigorosa a tale, che sì gran tempo trascorso non
potè distruggere la sua gloria, ed è tuttavia T oggetto
degli encomii e della comun meraviglia. Ebbero allora
que’peccatori tutti un porto sicuro a ricovrarsi, che alla
disperazione li tolse, che li chiamò a penitenza; per cui
quel che fece, e quel che ottenne codesta città dalla
misericordia di Dio ne persuade a non deporre giammai
la lusinga della propria salvezza, ma sì raccogliendoci
a miglior vita, e migliori speranze nutrendo, guardar
con tutta fiducia nella meta un bene che sta per succe-
derne. Chi dunque, per quanto accidioso egli sia, nou
ritrarrà dall’esempio de’Niniviti un forte eccitamento ?
Iddio, anziché permettere la distruzione di quella città,
permise che fallisce il suo vaticinio, ma nè anco il vati-
fi) Giona HI. 5.
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ciaio andò fallito: poiché taluno potrebbe sorgere nella
accusa del vaticinio che non ottenne lo avveramento al-
lora che avessero quegli uomini nella primiera malvagità
perseverato ma dove mutaron essi, e dalla malvagità si
ritrassero, deponendo anche il Signore il giusto suo sde-
gno, qual v’ ha ragione di riprendere la profezia ed ac-
cusamela di menzogna? Iddio non le che adempiere an-
che di que’ giorni il patto che fin dal principio avea
conchiuso con tutti gli uommi per bocca del suo Profe-
ta. E qual è cotesto patto ? Eccolo: Alla perfine par-
lerò allepopolazioni ed ai regni per distruggerli, schian-
tarli,
disperderli ; ma verrà che se farami essi peni-
tenza delle proprie colpe pentiiommi aneli io deli ira
che ho minacciato di consumare sopra di loro (i). Fe-
dele pertanto a questo patto salvò i pentiti, e tolse l’ira
dal capo di quelli che dal vizio si dilungarono. Conoscea
bene quanto valesse l’energia di quel popolo feroce e
perciò infiammava l’ animo del suo veggente e nell’ udir
la parola profetica si commosse, com’ ora, la città tutta,
ma dal timore non trasse offesa, sibben giovamento; chè
il timore fu principio di salvezza, la minaccia liberò dal
pericolo, e la sentenza di sovvertimento al sovvertimento
fu scudo. O cosa ammirabile veramente ed inaudita ! una
denuncia che portava con se la morte per effetto ebbe la
vita;ed una sentenza, poiché promulgossi, divenne inva-
lida, al contrario di quello che nei giudizii forensi acco-
stumasi. Ne’giudicii terreni infatti, come proclamisi la
sentenza sortir deve l’effetto : ma la cosa è diversa pres-
so il Signore che il proferirsi della sentenza ne toglie lo
avveramento, chè se stata non fosse proferita i peccatori
non l’avrebbero intesa, se non l’avessero intesa non si sa-
(1) Geremia XVIII. 7 .
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rebber pentiti, nè avrebbero dilungata la pena, nè avreb-
bero ottenuto quell’ ammirabile conversione a salvezza.
E come non ammirabile se il giudice fulminò la senten-
za ed i rei col pentimento la cancellarono? Non pensa-
rono ad abbandonar la città com’or facciam noi, ma ri-
manendovi, com’ era vacillante, l’ assodarono. Era un
agguato, e la convertirono in luogo di sicurezza, era una
voragine ed un precipizio e la fecero torre ioespugna-
bile. Udirono che gli ediflcii loro cadrebbero, ma non
fuggirono gli edificii, sibbene i peccati, non dilungaronsi
dalle proprie abitazioni, come facciam noi,ma ciascuno
dilungossi dalla via dell’iniqnitade, e andava sciamando:
furon’esse per avventura le muraglie che sopra ne pro-
vocarono lo sdegno di Dio? Noi fummo gli autori della
ferita, noi dunque dobbiamo apparecchiare la medicina:
quindi appoggiarono le speranze della propria salute,
anziché al mutamento di luogo, alla conversion dei co-
stumi.
Uomini barbari diportaronsi in questa guisa •, e noi
non proviamo vergogna, e non cerchiamo di toglierci
alla considerazion di noi stessi, sapendo eh’ essi cangia-
rono di costumi e noi cangiamo invece di sito, e, non
altrimenti che fossimo inebbriali, ci portiam dietro gli
averi nostri. Il Signore si adira contro di noi, e noi,
cessando di estinguere l’ira di lui, muoviamo in giro
cogli addobbi di nostra casa, e audiam qua e là erranti
in traccia di un luogo ove deporre il nostro equipaggio,
se dovremmo cercar quello ove deporre l’anima nostra:
ma non sarebbe d’ uopo neppure di cercar questo, comeci assicurassimo col ritorno alla virtù e colla rettitudine
della vita. Che se avvenisse a noi, montati in cruccio e
indignazione contro di un servo, ch’egli nulla affatto
curando di scusarsi discendesse nella sua stanza, raccat-
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tasse i vestiti ed ogni altro fardello e si mettesse in sulla
fuga;non perdoneremo così facilmente a cotesto nuovo
disprezzo. Cessiamo dunque dallo affannarci in simil
guisa improvvidissima, e ciascuno si rivolga al Signore
dicendo : Dove me ri andrò lunge dal tuo potere e dove
rnai sarammi dato nascondermi alla tua vista (i)? Imi-
tiamo la sapienza dei barbari', eglino alla penitenza ap-
pigliaronsi in tutta la incertezza dell’avvenire : chè non
dicea già la diviua minaccia : se vi convertirete ad opere
di pentimento, rassoderò la città *, ma semplicemente :
Ancor tre giorni e Ninive sarà distrutta. Ed essi di ris-
contro: Chi sa poi se pentirassi il Signore del gastigo
di cui ne ha minacciato (a). Chi sa ? Non conoscono il
(ine, eppur fanno penitenza : ignorano il costume della
divina misericordia, e nella incertezza si cangiano: nè
avean sott’ occhio degli altri Ninivita, a cui riguardare,
salvati dalla penitenza che fecero : non avean letto i Pro-
feti, non ascoltato i patriarchi, non seguito il consiglio
di alcuno. Non avea ritrovato chi facesse lor securtade,
e nè anco di per se stessi avean potuto persuadersi che
di certo a mezzo della penitenza sarebbesi Iddio placato;
che questo non conteneva in se la sentenza, e quindi
tementi erano e dubbiosi, nullameno con tutto il fervore
si raccolsero a penitenza. Qual vi sarà dunque scusa in
prò nostro, se coloro che pur non aveano donde ripro-
mettersi la sicurezza del fine offersero un sì mirabile
mutamento e noi invece che pienamente potremmo ap-
poggiarci alla divina misericordia e che frequenti e
grandi caparre abbiam ricevuto dell’ amor suo, noi che
udimmo i profeti e gli apostoli, e ch’ebbimo gli avveni-
(1) Salmo CXXXVIII. 7.
(2) Giona III. g. .
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2.J*
f 20
menti stessi a maestri noi ci adopreremo di toccare
quella meta di virtù cui toccarono i Niniviti. Fu grande
la virtù di quel popolo, ma fu maggiore di molto la mi-
sericordia di Dio, come ben puossi argomentare dal ri-
gore medesimo delle minaccie. Iddio poi nella sentenza
non aggiunse : Perdonerò se farete penitenza;perchè
promulgando una minaccia senza limite alcuno, e con
ciò accrescendo il timore, fossero più celeremente ridotti
a pentirsi. 11 Profeta che prevede il futuro e coughiet-
tura che non si awerebbero i suoi detti un pò si rat-
trista*, ma non s'attrista il Signore che una sol cosa
addimanda, ed è la salvezza degli uomini, e corregge il
suo servo. Non sì tosto mis’ egli infatti il piede in sulla
nave che si fé’ gonfio e tempestoso l’ oceano per inse-
gnarne che dove trovasi il peccato, ivi pur trovasi la
tempesta, ove l’inobbedienza, ivi l'agitazione. Traballava
la città per le colpe dei Niniviti, e parimenti traballava
la nave per la disobbedienza del Profeta. I naviganti
adunque lanciaron Giona nel mare ed il naviglio acque-
tossi : noi pure anneghiamo le colpe e la città rimarrassi
del tutto in sicuro;che non ne può venir dalla fuga
vantaggio alcuno a quel modo che non ne venne al pro-
feta eh’ ebbe anzi dalla fuga non lieve danno. Sottraevasi
alla terra non già allo sdegno di Dio : sottraevasi
alla terra e portò la tempesta nel mare; c tanto fu
lunge dal trovar sicurezza nella sua diserzione che
trasse in gravissimo pericolo que’medesimi che l’ebbero
accolto. Quando stavasi assiso nella nave circondato dai
nocchieri, dai piloti, e da ogni nautico apparecchio mi-
nacciato era dal pericolo estremo; ma quando poi fu
lanciato nel mare e depose per la sofferta pena la colpa,
benché sortisse un naviglio daddovero disadatto, qual
erasi il ventre di una balena, pure godeva di maggiore
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tranquillilade: da cui (leggiamo apprendere che se non
basla il naviglio a salvare il colpevole, chi scevro è dalle
colpe non dee lemero nè il mar che lo ingoja, nè i mo-
stri che lo divorino. Lo accolsero pertanto t onde e noi
soffocarono, lo inghiottì la balena e non l’uccise; mal’animale e l’elemento a Dio ritornarono indenne il de-
posito loro affidato. Di tal guisa ammaeslravasi il Pro-
feta a diportarsi con pietà e mansuetudine ed a non
essere più crudele degli stolti nocchieri dell’ onde indo-
mite e delle bestie. I nocchieri infatti noi gettarono in
sulle prime dal naviglio, ma soltanto allora che toccava-
no il pericolo estremo, il mare poi e l’immane cetaceo
con molla sollecitudine, giusta la volontà divina, il cu-
stodirono. Fece dunque il suo ritorno, la sua predicazion
le minaccio, e persuase a salvezza e spaventò e corresse,
e ciò tutto nella prima ed unica predica ottenne. Nonebbe d’uopo di molti giorni, non di lunghe disamine;
ma quelle nude parole ch’egli annunciò bastarono a
convertir tutti a penitenza. Vedete poi come Dio nou rab-
bia tolto di un tratto dalla nave e alla citlade condotto,
mentre invece i nocchieri lo diedero al mare, il mare
alla balena, la balena a Dio, Iddio a Ninivili; sicché
fornì un lungo giro pria che sen ritornasse il fuggitivo,
per cui tutti possono apprendere eh’ è impossibile sot-
trarsi alla destra dell’onnipotente. E certo che dovunque
muoviamo, portando con noi la colpa, saremo soggetti a
patimenti infiniti, e quand’anche ci dilungassimo da ogni
faccia d’ uomo, ci staranno d’ intorno tutte le altre crea-
ture e con assidue minaccia ne incalzeranno. Non ripo-
niamo adunque la salvezza nostra nella fuga, bensì nella
mutazion dei costumi. E d’onde avviene che voi fuggi-
te? forse perchè dal rimaner vostro in cittade lo sdegno
di Dio s’accende ? ah! che lo sdeguo di Dio dalle colpe
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vostre deriva. Spogliatevi dunque della colpa, c nella
causa della ferita la sorgente pure d’ogni danno si chiu-
da. Impongono anch’-essi i medici che le malattie pei
contrarii rimedii guariscansi. Riconosce la febbre dalla
intemperanza l’origin sua? tolgasi col digiuno. Nacque
in tal altro da tristezza l’ infermitade ? Abbiasi medicina
opportunissima nella gioja. E duopo che nell’ infermità
dell' anime usiamo del medesimo accorgimento. L’infin-
gardaggine fè di noi altrettanti oggetti di sdegno? Siamo
dunque operosamente solleciti ad allontanarlo e un
grande mutamento ne preceda. II digiuno esser può il
principale nostro soccorritore e compagno, e dietro il
digiuno le presenti angustie ed il timor del perìcolo.
Questo dunque è il tempo di attendere all’anima e fa-
cilmente poterne persuadere a noi stessi tutto che me-
glio vorremo;poiché il pauroso, trepidante, lunge trat-
to da’ terreni allettamenti, e viveutesi con in faccia la
minacciosa fortuna vale a raccogliersi in alte medita-
zioni sopra se stesso e mettersi con assai fervore in sul
sentiero della virtude.
E primieramente cercherò persuadervi a dar prin-
cipio alla riforma vostra dalla fuga de’ giuramenti. Quan-
tunque ieri e ier l’altro v’abbia di cotesto argomento
parlato, pure uè quest’oggi, nè l’ indimane, nè il giorno
appresso cesserò di parlarne. E che mai dico l’indimane
o il giorno che verrà appresso ? Non cesserò fin a che
voi nou vi sarete emendati; che se coloro che infrangon
la legge non si fan riguardo alcuno di peccare contr’essa,
molto meno dobbiam farcelo noi di reodervene frequen-
temente avvertiti, noi che vi annunciamo il comando di
non infrangerla. Le continue ammonizioni poi sulle me-
desime colpe non tornano ad accusa di chi parla, sibbeue
di que’ che ascoltano, mentre ciò manifesta che han
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d’ uopo di essere incessantemente richiamati all’ adem-
pimento de’ più semplici e facili precetti. Qual cosa più
facile dello schivare i giuramenti ? Si richiede soltanto l’a-
bitudine: qui non fa di mestieri alcun travaglio di corpo
o sacrificio alcuno in dinaro. Volete apprendere la ma-
niera di vincere cotesto vizio, e sciogliervi dalla malva-
gia abitudine contratta? io ve l’additerò ed agevole di
molto; e vi assicuro che osservandola ne otterrete pie-
nissimo trionfo. Quando vedrete voi stessi od alcun
altro, come il servo, il figliuolo, la moglie vostra lasciarsi
andare a codesta colpa, e benché di spesso avvertiti pur
non correggersi coslringansi a porsi a letto senza la cena,
e sia questa la condanna imposta a voi medesimi e agli
altri, condanna che non riesce di perdita ma di profitto.
Di simil guisa d’ordinario procedono la modificazion
dello spirito e ne viene sollecito perfezionamento e van-
taggio. La lingua infatti, ove patisca alcun poco, per
quantunque manchi ogn’ altro ammaestramento, pur si
ammaestra abbastanza di per se stessa mentre angoscia
per sete o per fame addolorasi, e quand’ anco fossimo
ignorantissimi, nullameno incalzati di continuo dalla
forza di quest’avviso non avrem d’uopo d’altri consi-
glieri o maestri. Approvaste le cose dette: ma dimostra-
tene coi fatti l’approvazione. Se non è questo, qual al-
tro frutto da’miei discorsi ? Se un giovanetto va ciascun
giorno alla scuola ma non impara nulla, varrà forse a
scusamelo in faccia nostra l’essere stato uditore di cia-
scun giorno ? o piuttosto non penseremo aggravarsi
grandemente il suo difetto per ciò che portandosi quo-
tidianamente alla scuola, il faccia indarno? Questo pen-
siero medesimo ritorni sopra di noi, e diciam tra noi
stessi: se da lungo tempo accorrendo alla chiesa ed en-
trando a parte de’giudicii terribilissimi ch’esser dovreb-
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bero del massimo profilio, usciam della chiesa gli stessi
che siamo entrati senza 1’ emendazione di alcun difetto
qual è il vantaggio del nostro accorrere? V’hanno di
molte cose adempiute non già per se stesse, ma pel
frutto che ne deriva. JNe volete uu esempio? Il semina-
tore non semina per seminare soltanto, ma per racco-
gliere. Dove poi questo non avvenisse ne avrebbe il
danno della semente gettata indarno in balia della putre-
fazione. Il mercatante non solca il mare per solcarlo
soltanto ma per accrescere colle sue peregrinazioni il
patrimonio. Come ciò non accada, soffriranno assai le
sue sostanze e il mercantile suo viaggio tornerà danno-
so. Giudichisi» lo stesso di noi: di noi, die non venia-
mo in chiesa per venirci soltanto, e per qui trattenerci,
ma per dipartircene forniti di qualche grande spirituale
vantaggio. Che se per lo contrario ce ne usciremo vuoti
affatto e senza nulla aver conseguito il nostro accorrere
servirà ad argomento di condanna. Perchè ciò adunque
non avvenga e per togliere da voi la minaccia di sì gran
danno, come ve ne uscirete di qua e gli amici tra loro,
e i genitori co' figli, ed i padroni co’ servi fatevi a medi-
tare e adopratevi a compiere quello che vi s’ impone :
acciò qui ritornando, ed ascoltandomi ad insistere sul-
l’argomento di prima, non abbiate, pe1
rimorsi della co-
scienza, a prendere vergogna di voi medesimi, sibbene
ad esultare e consolarvi con voi conoscendo che di già
poneste la massima parte dell’ammaestramento a profitto.
Nè basta che a ciò sentitamente si pensi in questo luo-
go, chè la prova di pochi istanti non può svellere il reo
germoglio; ma conviene che nella famiglia, il marito
dalla moglie e la moglie dal marito ascoltino ripetersi
le medesime cose, e nasca da tutti che desiderano di
giugnerc alla pratica di questa legge una scambievole
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emulazione e chi primo valse a praticamela, 6Ìa di rim-
provero a lui che trova di aver mancato e gli serva di
maggiore eccitamento: chi poi falba nella impresa, e non
raggiunse ancora la meta, guardi a quello che gli va in-
nanzi, e s’affretti a mettersi di paro con esso celere-
mente. Ove i nostri pensieri in ciò si raccolgano, ove a
ciò tendano le sollecitudini nostre, in breve piegherassi
a buon fine tutto che ne risguarda. Voi pensate alle cose
di Dio e Dio penserà di provvedere alle vostre. Nè mivenite a dire : che faremo se alcuno ne imponga la ne-
cessità di giurare? Se non ci crede altrimenti? Il fatto
è questo: che dove si tratta di violare la legge non vale
metterle innanzi necessitade che sia. La necessità unica
ed inevitabile è di non offendere Iddio. Tuttavia di
presente v'adoprate a questo di recidere i giuramenti
inutili e proferiti in casa fra gli amici ed i servi all’im-
pazzata e senza bisogno di sorta, chè se varrete a libe-
rarvi da cjuesti pegli altri non avrete più d’ uopo di me.
Tosto infatti che avremo avvezze le nostre labbra a te-
mere c fuggire la frequenza del giuramento, non ritor-
neremo a quell’ abitudine, nè anco *se alcuno in mille
modi ne provochi *, e se di presente a gran fatica e con
indicibile turbamento, usando d’ogni maniera di terrori,
minaccia, avvertimenti e consigli pur non abbiamo otte-
nuto di cangiare la malvagia consuetudine antica, anche
allora non vi sarà forza per quantunque imperiosa e
veementissima che trascinar ne possa ad infrangere la
legge divina. E di quella guisa che non vi sarebbe uomoche discendesse a trangujar volentieri il veleno sotto alla
più forte minaccia, così non vorrà discendere a’ giura-
menti. Se ciò otterrete vi servirà di conforto e di grande
sprone ad eseguire gli altri precetti della virtude. Chi
non fa nulla intorpidisce, e si perde ben presto d’ ani-
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mo; ma chi rende conto a se stesso di aver adempiuto
anche un sol precetto, da ciò piglia argomento a sperar
bene, e con maggior lena imprende l’adempimento degli
altri : come poi sia giunto a compierne un secondo con
tutta sollecitudine perviene al terzo, ed arresterassi al-
lora soltanto che avrà toccata la cima. Che se nelle ric-
chezze avviene clic più ne desideri quegli che più ne
ammassa ; vedrete che questo ha luogo massimamente
nei beni spirituali. Quindi è ch’io mi affretto ed incalzo
perchè diassi mano a principii, e negli animi vostri si
gettino le fondamenta della virtù, e vi supplico e vi
scongiuro che siate ricordevoli delle mie parole non
adesso e in questo luogo unicamente, ma in casa, nel
foro e dovunque vi troverete. Se mi fosse concesso di
conversare con voi non avrei avuto mestieri di sì lungo
discorso : non potendo adunque conseguire codesto
desiderio,
richiamate voi a memoria le mie parole
quando sarò lontano, e allor che sedete a mensa imma-
ginatevi di vedermi entrare, pormi a voi dappresso e
ripetervi quelle cose tutte ch’ora v’annuncio, e sempre
che di me favelliate sopra tutto ricordatevi del precetto
che vi diedi, e questa sia la ricompensa dell’ amore
ch’io nutro per voi; che ove intendiate a ciò ottenni il
tutto e la mercede delle mie fatiche è compiuta. Per ac-
crescere dunque in me le sollecitudini più amorose, in
voi le speranze più belle, ed apparecchiarvi più facile il
mezzo alla pratica degli altri precetti, imprimete opero-
samente nel vostro cuore la legge non ha guari insinua-
tavi, e ne vedrete della legge il vantaggio. Un’ aurea
veste sembra bella anche di per se stessa, ma ne apparirà
più bella come sia posta d’intorno al nostro corpo;non
altrimenti i precetti divini son belli anche allor che si
enunciano, ma son più belli quando mostransi in atto
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e si adempiono: che loderete sì la verità delle nostre
parole nel breve spazio di tempo in che furono pronun-
ciate, ma se le proverete coll’opera, avrete in ciascun
giorno e sempre da lodarvi di me e di voi stessi. Nèil lodarci scambievolmente è gran cosa, sibbene è gran-
de il compiacersene che farà il Signore, nè solamente
compiacerassi, ma ne ricambierà di sublimi ed ineffabili
doni. Perchè dunque tutti noi possiamo conseguirli ne
valga la grazia di Gesù Cristo nostro Signore, pel quale
e col quale sia gloria al Padre, insieme ed allo Spirito
Santo, ora e sempre e per tutti i secoli de’ secoli.
Così sia.
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OMELIA II.
Dimostra primieramente come torni utile il timore de ma-gistrati, poi narra gtimpedimenti che si frapposero a
(puellì che portavano l'annuncio della sedizione all'Im-
peratore, e ripetendoli da Dio, conforta alla speranza
del perdono il popolo antiocheno. Segue a provare che i
patimenti sofferti generosamente valgono a sodisfazione
delle colpe commesse, parla di nuovo intorno a'fanciulli
della fornace Babilonica, e conchiudc insistendo sopra i
giuramenti.
Ho consecrali molti giorni a consolare la fedele
adunanza vostra, nè tuttavia smetterò codesto argomen-
to, e finché rimanga la piaga della tristezza, adoprerom-
mi ad apprestare il rimedio della consolazione. E se i
medici lasciano di curare le ferite ilei corpo allora solo
che veggano del tutto estinto il dolore: questo con più
ragione convien si faccia nelle ferite dell anima. E una
ferita dellaniina la tristezza, dunque è d’uopo di con-
tinuo con affettuose parole addolcirla. Nè poi la virtù
delle calde acque tanto giova d’ammorzare l’enfiagione
delle carni, quanto la soave abbondevolezza di favella
consolatrice ad allenire le angosce dello spirito. Qui non
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è d’uopo della spugna usata da’medici, ma della spugna
tien le veci la liugua;non è d’ uopo della fiamma che
l’ acqua riscaldi, ma invece della fiamma adopreremo la
grazia dello spirito. Su dunque sia questo lo scopo an-
che dell’ odierno ragionamento;che s’ io non valgo ad
arrecarvi alcun conforto, d’ onde avranno il conveniente
sollievo le vostre angosce? I giudici spaventano consolino
dunque i sacerdoti : minacciano i magistrati, dunque la
chiesa rassicuri. Questo è quel clic avvien dei fanciulli:
i maestri li sgridano, li percuotono e li rimandano la-
gninosi alte proprie madri*, le madri poi accogliendoli
al seno e affettuosamente comprimendoli, tergendo loro
dagli occhi il pianto, li baciano e la dolente lor anima
racconsolano, cercando persuaderli del vantaggio che ri-
trar possono dal timor dei precetti. Poiché dunque i
magistrati v’intimorirono, e vi gettarono nell’ambascia*,
la chiesa eh’ è nostra madre comune ne dischiuse il suo
seno, e stendendo ciascun giorno le sue braccia amore-
voli, ne aspetta a ricevere i suoi conforti, e ne dice es-
ser utile lo spavento destatoci dai magistrati, utili le
consolazioni che di qui ne derivano;chè il timore non
permette che nella infingardaggine ci stemperiamo, le
consolazioni non ci lasciano soggiacere alla tristezza, e
Iddio, che servesi di quello, e di queste, va preparan-
doci alla salvezza. Ch’ egli il Signore armò i magistrali a
spavento dei temerarii, elesse i sacerdoti a consolazion
degli afflitti : e che ciò sia vero, gli esempi delle scritture
e la continua esperienza cel provano. Che se trovandosi
i magistrati con le milizie loro in sull’ armi, pure il
furore di pochi rivoltosi e di alcuni stranieri in brevi
istanti valse ad eccitare un vastissimo incendio e solle-
varne d’ attorno sì gran procella, da farci temere, l’ uni-
versale naufragio; a che mai non sarebbero que’furibondi
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pervenuti, come avesser potuto dal timore de’magistrati
francarsi interamente ? avrebbero fino dalle fondamenta
sovvertita questa ciltade, e, ponendo tutto a soqquadro,
ci avrebbero alla per fine privati della esistenza. Se to-
gliete infatti i giudicii do’tribunali togliete con essi l’or-
dine intero della società *, come se levate dalla nave il
pilota la sommergete, e se dispogliate l’esercito del ca-
pitano è lo stesso che dar i soldati in balìa dell’inimico.
Così è: manchino le città di magistrature e noi condur-
remo vita più irragionevole delle irragionevoli fiere, la-
cerandoci gli uni gli altri, essendo dal più potente il
più povero, dal più temerario il più mansueto divorato.
Di questi giorni però niuna di simili ingiustizie si com-
mette, che, ove ci raccogliamo in braccio della religione,
non abbiam d’uopo d’altro freno che ne governi: poiché
sta scritto: che la legge non sì promulga pei giusti (i).
Non pochi tuttavia inchinevoli al male, se colti non erano
dallo spavento della soprastante minaccia, avrebbero tutta
con gravissimi danni la città desolata. Nè codeste con-
seguenze sfuggivano all’apostolo Paolo allor che disse :
Non v è potere che non venga da Dio,e qualunque
legittima sovranitade ritrovasi è da Dio costituita (2).
Quel vantaggio che porta l’ union delle travi negli edifi-
co, lo portano i magistrati nelle città;e di quella guisa
che al togliersi delle travi, le disciolte pareti ripiombano
sopra se 6lesse -, non altrimenti, se tolgansi i magistrati
ed il timore che incutono, c le famiglie, e le città e le
nazioni licenziosamente disfrenandosi si sfascieranno,
non essendovi alcuno che valga a contenerle, a correg-
gerle, a persuadernele ad achetarsi sotto il timor del ga-
stigo. Non corrucciamoci adunque, o miei diletti, per la
(1) S. Paolo a Timoleo I, c. 3, v. 9.
(2) S- Paolo ai Romani XIII. 1.
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SI
tema che ne viene dai magistrati, ma rendiam grazie »
Dio che n’ abbia désto dall’ infingardaggine nostra, e ne
abbia fatto operosi nel bene. Qual danno infatti deri*
varne dalla diligenza e dalla sollecitudine usata? Siam
divenuti più onesti, più mansueti, più raccolti ed atten*
ti: non vediam più alcun ubbriaco intuonare oscene
canzoni, ma invece un continuo avvicendarsi di voti, di
lagrime, di preghiere: cessarono le risa importune, le
sconcie parole ad ogni maniera d’impudicizia, e la don-
na modesta e saggia è l’esempio della cittade intera
imitato. Vi dolete forse per questo? ma è d’ uopo per
lo contrario che vi rallegriate, a Dio offerendo i vostri
ringraziamenti, perchè sotto alla minaccia di pochi gior-
ni ha dileguato quel torpore che su di voi grandemente
pesava. Ciò non possiam negare, soggiugnerete, ma per
nostro profitto sarebbe stato bastevole lo arrestarci al
timor del pericolo, ora poi paventiamo il progredire
della minaccia e il rischio estremo a cui siamo esposti :
ma, perchè non temiate, l’apostolo Paolo vi conforta
col dirvi : Iddio vi dàfedele promessa che non permet-
terà che le prove superino le vostreforze,ma farà in
modo che negli assalti delle tentazioni crescano, affin-
chè possiate sostenerli,mentre fu egli che disse non ti
lascierò,nè ti abbandonerò giammai ( i ). Che s’ egli
avesse voluto, servendosi di questi mezzi, farne cadere
sotto alla gravezza dei mali minacciati, non ci avrebbe
per tanti giorni lasciati in preda al timore;poich’egli
spaventa allora che non vuole che soccombiamo al ga-
sligo. Come infatti avesse propriamente deciso di puni-
re, a che varrebbero i timori, a che le minaccie? Noi
da qualche tempo abbiam trascinato una vita peggiore
(1) S. Paolo ai Corinti X. 13.
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di mille morti, e durammo gl’interi giorni nella paura,
nel tremito, nel paventare le stesse ombre, pagando la
pena medesima di Caino e sorgendo di mezzo al sonno per
la continua angoscia che ne opprimeva;cosicché, quan-
d’anche avessimo irritato il Signore, col pagarne un
fio si amaro, ce lo avrem ritornato propizio;e se tutta-
via la soddisfazione non fosse pari alla colpa, pur baste-
vole sarebbe alla divina clemenza.
Nè sopra di ciò soltanto, ma sopra ben altri motivi
molti fondar si deve la confidenza nostra; che a quest’ora
il Signore ne offerse caparre non lievi di consolazione, e
la prima di tutte si è che i portatori dell’ infausta no-
vella partitisi di qui come avessero l’ ale a’ fianchi,
credevano di giugnere in breve al campo, e invece
indugiano tuttora circa la metà della strada;
tanti
furono gli ostacoli e gl’ impedimenti che lor si frap-
posero;ond’ è che, lasciati i cavalli, or vengono por-
tati innanzi da traini, per cui è d’ uopo che il loro viag-
gio sia ritardato di molto. Poiché infatti il Signore ecci-
tò il nostro vescovo e cornun padre, e lo persuase ad im-
prendere ed assumere sopra se stesso un’ambasciata a
nostro favore, ritenne gli altri a mezzo il viaggio, affin-
chè prevenendolo non accendessero il foco, e non faces-
sero che tornasse inutile ogni rimostranza del nostro
proteggitore alle regali orecchie di già infiammate. Che
poi cotesto ritardo fosse posto propriamente da Dio, si
appalesa da ciò, che degli uomini che in simili pellegri-
naggi tutta trascorrono la propria vita, ed hanno per
continua occupazione il maneggiar de’ cavalli, ora venis-
ser meno per istancliezza del cavalcare, e succedesse
tutto il contrario di quello che avvenne a Giona;men-
tr’esso fu spinto da Dio quando ricusava d’ andarsene,
e questi che andar vorrebbero sono impediti. O nuovo
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prodigio ed ammirabile veramente! Quegli non voleva
predicare un sovvertimento e il Signore contro sua vo-
glia vel trasse, questi affrettano, onde recare l’annuncio
di sovversione, e il Signore loro malgrado li ferma. Equal n’è il motivo pertanto? che qui la sollecitudine
convertivasi in danno, là invece portava conforto, e quin-
di Giona per mezzo della balena affrettossi ed i messag-
geri furono da’ cavalli arrestati. Vedete sapienza di Dio!
Quel mezzo, per cui ciascuno la maggior celeritade at-
tendessi,
fu causa a ciascuno d’ impedimento. Giona
pensò di sottrarsi valendosi di una nave, e la nave,
divenne suo inciampo;questi sperarono di presentarsi
più presto allo imperatore portati da’cavalii, ed i ca-
valli servirono di ostacolo-, anzi non i cavalli a questi,
come a Giona non fu la nave, sibbene la provvidenza
divina, che a seconda del suo sapere infinito ordina tut-
te cose. Esaminate poi le vie per cui la provvidenza ne
apportò spavento e consolazione; il giorno in che si com-
misero tapti delitti permise a’ messaggeri di uscirsene,
come fossero per raccontar tutto allo imperatore, e per
ciò atterrì ciascuno colla celerità della lor dipartita. Madove se n’andarono, e due e tre giorni trascorsero, sì
che giudicavano inutile l’ ambasciata del nostro vescovo,
come quegli ch’.era per giugnere dopo di essi, allora di-
leguò in parte, confortandone, lo spavento, e li tratten-
ne, come dissi, a metà del viaggio; facendosi che quelli
che a noi sen venivano ci fossero annunciatori delle tra-
versie che loro avvennero per istrada, affinchè respiras-
simo un poco; e ciò appunto veriGcossi mentre d’assai
si acchetarono le nostre angosce. Inteso appena cotesto
annuncio, riconosceremmo Iddio per autore di tutto,
Iddio che più sollecito di qualunque padre agli avveni-
menti provvide che ci risguardano col suo potere invi-
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sibile, que’ messaggeri funesti soffermando e solo rite-
nendosi dall’ esclamare : A che vi affrettate ? Perchè af-
faticarvi cotanto a distruggere volonterosi mia tale città ?
Forse è lieto l’ annuncio che al re vi porta ? Costì fer-
matevi, fin a che ottenga dal mio servo che quasi medico
all’uopo opportunissimo lasciandovi addietro nel viaggio,
vi prevenga. Che se, allorquando inaspriva la piaga della
prevaricazione, ci venne offerto sì gran pegno di prov-
videnza •, è facile argomentare che maggior calma conce-
derassi dopo la conversione,dopo la penitenza, lo spavento,
le lagrime e le preghiere. A Giona tornava opportunissi-
mo lo sprone, perchè doveva richiamare a penitenza, mavoi già offriste un grand’ esempio di penitenza e di con-
versione*, quindi abbisognate di couforto, e non d’ unmessaggere che vi minacci. A quest’uopo pertanto il co-
mun nostro proteggitore eccitava, e lo eccitava quando
molti erano gli ostacoli: che se non avesse avuto riguar-
do alla nostra salvezza non lo avrebbe tratto a determi-
narsi ma gli avrebbe anzi impedito di uscire quando
pur egli il volesse.
JVli soccorre un terzo argomento che può destarvi
a speranza, ed è la presente solennità (i), che quasi
tutti gl’ infedeli medesimi rispettano, e il nostro religio-
so imperatore osservata la volle ed onorata in guisa da
superare in questa parte nella pietà quanti imperatori
lo precedettero. Di questi giorni infatti avendoci inviata
una lettera a maggior decoro di tanta festa, volle con es-
sa che si ponessero in libertà quasi tutti coloro che sta-
vano in carcere; e, tosto che gli sarà data udienza, il
nostro vescovo leggerà questa lettera all’imperatore, e,
richiamandolo a’ suoi proprii statuti, diràgli : Prendi da
(1) Ricorrevano allora le feste Pasquali.
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le consiglio, e di te stesso ricordati, che ti sta dappres-
so un esempio di misericordia, per cui, non volendo che
una giusta uccisione si consumasse, soffrirai che un in-
giusta s’ adempia ? Per molto rispetto alla solennità la*
sciasti liberi que’ eh’ erano convinti e condannati;c con-
dannerai gl’innocenti che nulla osarono in special guisa
ne’ giorni stessi solenni ? Questo non avverrà, o impe-
ratore.
Tu nell’ inviare cotesta lettera a tutte le città di-
cevi: Oh mi fosse dato di far si che risorgessero ancora
t morti ! adesso di sì grande pietade e di queste ma-
gnifiche parole abbisogniamo. I re nel vincere gl’inimici
non acquistano gloria pari a quella che hanno nel domar
le passioni e gli accessi del proprio sdegno*,che là ri-
chiedesi il soccorso dell’ armi e de’ soldati, qui invece
tutto è trionfo di un solo, e non v’è alcuno che venga
a dividere la gloria della sapienza col vincitore. Sape-
sti frenare le barbariche rivolte, frena dunque anco
la regai ira;ed apprendano gl’ infedeli tutti che il
timore di Cristo basta a tener soggetta ogni potenza.
Rendi gloria al tuo Signore, perdonando le colpe
de’ tuoi fratelli, affiuch’egli pure ti faccia più sempre
glorioso, e nel giorno del giudicio ricordevole della tua
clemenza ti volga uno sguardo pacifico e benigno. Que-
ste ed altre più cose dirà egli, ed interamente ci sot-
trarrà allo sdegno regale. Per quanto poi riguarda noi
stessi, non solo questo digiuno ci è di grandissimo aju-
to a persuadere l’imperatore, ma ne giova anco a sop-
portare con generosità le presenti sventure;mentre non
è lieve il conforto che dalle odierne pratiche riceviamo.
Molle angosce infatti ci vengono scemate dall’ unirci
che facciamo in ciascun giorno, dal fruire della spiega-
zione delle divine scritture, dal vederci e piagnere e
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pregare a vicenda, e dal ritornarcene a casa dopo la
ricevuta benedizione. Non ci lasciamo adunque cadere
di animo, nè ci spinga il timore a tradire noi stessi-, masoffermiamci nella speranza del bene e prestiamo orec-
chio agl’insegnamenti*, poiché oggi pure bramo discor-
rervi nuovamente intorno al disprezzo della morte. Ie-
ri vi dissi che temiamo la morte, non già perch’essa
è terribile, sibbene perchè 1’ amore del regno di Dio
non c’ inGamma nè lo spavento dello inferno ci assa-
le ed anche perchè non abbiamo una retta coscienza.
Volete forse che ricordi il quarto motivo di un’ angoscia
così importuna non meno verace degli accennati? Nonsi vive con quella austerità che ad uomini cristiani con-
verrebbe, ed amiamo invece una vita facile, molle, dis-
soluta-, quindi è che agevolmente le cose di quaggiù
ne lusingano. Che se invece trascorressimo i nostri
giorni fra i digiuni, le veglie, la scarsezza del cibo-, se
troncassimo le brutali nostre cupidigie, se allontanassi-
mo la volultade e reggessimo ai sudori delle virtù, se ad
esempio di Paolo, gastigando il nostro corpo e riducen-
dolo in servitude, non giudicassimo che la carne ci
fosse data a sfogo de’ malvagi desidero, ma tenessimo
UDa strada scabrosa ed angusta assai, tosto colle brame
ci affretteremo all’avvenire, anelando di liberarci dalle
molte angustie presenti. E a comprendere che non è
fallace il mio linguaggio,
vi basti di salire sulle vette
de’ monti, e considerar ivi que’cenobiti che vestono di
sacco, che vivono in mezzo a cilicii, a digiuni, a tenebre
e li vedrete tutti desiderosi della morte chiamandola il
proprio riposo. Conciossiacbè di quella guisa che il
pugnatore è sollecito di uscir dall’agone, per sottrarsi
alle percosse, e l’ atleta brama che sorgano gli spettatori
per cessare dalle durissime sue fatichej
così quegli che
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virtuosamente vive di una vita aspra ed austera, guarda
con piacere al suo fine, perchè viene tolto alle presenti
angustie, adergendosi nella confidenza delle preparate
corone;mentre si dirige ad un porto tranquillo, ed ap-
proda là dove non v’ è più da temere alcuu naufragio.
Quindi è che Dio ci preparò quaggiù una vita natural-
mente faticosa e grave, affinchè, dai travagli d’ogni di
stimolati, del desiderio c’ infiammassimo del futuro. Che
se, mentre incorriamo con tanta frequenza nelle sventu-
re, nei pericoli, nei timori, nelle sollecitudini che ovun-
que ne circondano, sì volentieri ci tratteniamo in questa
vita;dove non vi fosse nulla di tutto questo, dove sen-
za alcuna tristezza e travaglio tutti discorressero i nostri
giorni, quando mai nascerebbe in noi la brama dell’ av-
venire ?
Iddio non diportossi altrimenti cogli ebrei, poiché
volendoli trarre al desiderio della partenza e persuadere
all’abborrimento dell7
Egitto, permise che condannati
fossero a’ lavori de' mattoni e della creta;
acciò dalla
gravezza travagliati di tante tribolazioni e fatiche, di
nuovo a Dio convertendosi, lui chiamassero in ajuto.
Che se, di là usciti dopo le sofferte ambasce, pur si
richiamarono alla memoria dell’ Egitto e della schiavitù
primitiva, e avrebbero voluto piegar di nuovo il collo a
quel tirannico giogo; quando mai, se non avessero spe-
rimentato la fierezza di que’ barbari, sarebbersi persuasi
ad abbandonare quella regione straniera ? Perchè dunque
anche noi attaccati alla terra ed avidi del presente non
avessimo a marcire nella infingardaggine ed obbliare il
futuro, ci fu dal Signore dato in retaggio un vivere
pieno d'angustie. Lo attendere pertanto alle cose di
quaggiù non oltrepassi i limiti prescritti. Infatti, qual
mai profitto cen viene ? quale ricchezza maggiore dalla
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soverchia bramosìa del presente ? Volete sapere coinè
giovi la vita d’ oggidì? Giova in quanto si fa argomento
ed occasione della futura, ed è come uno stadio per
l’acquisto delle corone; che se non avesse questo di
bene, sarebbe di mille morti più triste, e se vivendo
non avessimo a meritarci l’amicizia di Dio, sarebbe d’as-
sai meglio il morire. Che v’ha di più? che ci resta di
avvantaggio? Non è forse il medesimo sole e la mede-
sima luna che noi veggiamo? Il verno e la state non si
succedono forse ad un medesimo modo ? Non è lo stesso
il corso di nostra vita? Che cosa è mai ciò che fa? Lostesso di quello che sarà ? Quali sono le sofferte vicen-
de ? le medesime di quelle che avverranno ( i ). Non è
dunque che abbiamo a stimare felici que’ che vivono e
a piagnere sopra i morenti;invece le nostre lagrime si
riservino per coloro, che, sien vivi o morti, soggiacciono
al peso delle colpe;e giudichiamo felici, ovunque si
trovino, coloro che vivono nella giustizia. Voi trepidate
e piagnete per una sol morte : ma Paolo che moria cia-
scun giorno, invece di versar lagrime, rompeva in gau-
dio ed esultazione. Oh mi fosse dato, esclamava Egli, di
espormi per Iddio a più gravi cimenti e non prenderne
alcun pensiero! E perciò che neppur voi di presente
dovete affliggervi, mentre non è solo colui che soffre
per Iddio che meriti premio, ma sì lo merita que-
gli pure che, soggetto ad ingiuste persecuzioni, le sop-
porta generosamente,
e rende grazie a Dio che le
permette*, poich’Egli non ò per nulla meno stimabile di
colui che in accrescimento della divina gloria patisce.
Anche il bealo Giobbe fu colpito di molle, intollerabili
tribolazioni che indarno, e impudentemente, e senza
(1) L’ Ecclesiaste I. 9.
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motivo insidiavanlo;ma perchè fu pazientissimo nel
soffrire, perchè ringraziò Dio, senza cui permissione
nulla avea luogo, così intatta fu la corona eh’ egli mer-
cossi. Non vi rattristate pertanto della morte, ch’ella è
necessario effetto della natura; sì rattristatevi dei peccati
che sono altrettanti mancamenti di volontà. Che se volete
piagnere sopra i morti, piagnete pur anco sopra quelli
che nascono; mentre questo, come l’altro, è un fatto
puramente naturale. Quindi, ove succeda che alcuno vi
minacci della morte, rispondetegli : Cristo c’ insegnò di
non temere coloro che tolgono al corpo la vita, ma poi
togliere non la possono all’ anima. Ove della perdita vi
minacci delle sostanze, rispondete: Nudo. me ne uscii
dal ventre di mia madre, e nudo ritornerovvi ( i ). Connoi non abbiam nulla portato in questo mondo, ed è
certo che non potremmo portare nulla fuori di esso.
Che se non vi dispoglierete di per voi, verrà a dispo-
gliarvene la morte;se non morrete in faccia a voi stes-
si, la legge della natura verrà portando seco il vostro
fine. Cessi adunque il timore di ciò che naturalmente
succede, e quello temiamo che dalla volontà malvagia
deriva; poiché per questo ci è preparato il gastigo. Ein quelle sventure che d’improvviso ci piomban sopra
pensiamo di continuo che, quand’ anche ci lasciassimo
cogliere per esse dalla più grave angoscia, non le ren-
diara più miti, e quindi cesserem d’ angustiarci;inoltre
pensiamo ancora che se ora sopportiamo ingiustamen-
te alcun male, nella sofferenza ci è dato di purgare
le nostre colpe. È senza dubbio un grande vantaggio il
poter soddisfare alla pena quaggiù, anziché nell’ altra
(1) Giobbe II. 21. Dove nella Volgala ci stanno le parole adtumulum, mancano al Crisostomo che dice unicamente: x*c yupyft
«7U>t-J50uai
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vita *, poiché quel ricco che qui non avea nulla sofferto,
era di là crucciato. E che questo fosse veramente il mo-tivo per cui non godeva conforto alcuno è Abramo che
ve lo dice, ascoltatelo: Figliuolo ricevesti i beni che ti
spettavano,ora dunque ricevi i tormenti (i). Che poi
Lazzaro fosse ricolmo di beni per ciò che pazientemente
avea sofferto i mali innumerevoli. Di questa vita è il
patriarca medesimo che ne lo accenna. Poiché infatti
egli disse al ricco : Ricevesti i beni che li spettavano :
soggiunse, e Lazzaro i mali,quindi ora ne ricevi i
conforti. Ed è pur vero, che, dove gli uomini che vivo-
no nelle tribolazioni e nella virtù si procacciano undoppio premio, quelli per lo contrario che fruiscono dei
piaceri e sono viziosi avranno un doppio gastigo. Ripi-
glio pertanto, non accusando i fuggitivi, poiché sta scrit-
to: Non conturberai F anima afflitta (2); non per bra-
ma di rimproverarvi, poiché 1’ ammalato ha d’ uopo di
consolazione}ma sì per desiderio di correggervi, che
non dobbiamo riporre la nostra salvezza nel darci alla
fuga, ma nella fuga sibbene delle colpe e nel richiamo
dalle vie della iniquitade. Se farem ciò, per quantunque
fossimo cinti da schiere innumerevoli, non temeremo
offesa che sia : ma se ricuseremo di farlo, quando ascen-
dessimo in sulla vetta dei monti, numerosissimi anche
là ci si farebbero contro i nemici. Di nuovo adunque
ricordatevi di que’ tre fanciulli che, posti in mezzo alla
fornace, non provarono patimento alcuno, e di coloro che
ve li aveano lanciati, i quali rimanendo fuori della forna-
ce, vennero tutti quant’erano dalle damme consunti. V’è
forse alcun fatto più maraviglioso di questo? Il foco lasciò
(1) S. Luca XVI. 25.
(2) L’ Ecclesiastico IV. 3.
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intatti coloro che ardevano nel suo seno, e gli altri, che
erano esclusi consunse! perchè dunque apprendiate che
non il luogo, ma la qualità de’ costumi è causa di sal-
vezza o gastigo, per ciò si sottrassero gli ardenti nel
mezzo e furono arsi quelli che se ne stavano al di fuori.
E gli uni e gli altri aveano i corpi medesimi, non però
i medesimi sentimenti, dunque non doveano esser pari
le tribolazioni. Di fatto, ove si ponga il fieno allo intor-
no, anche ad una qualche distanza celeremente divam-
pa;ma l’ oro per lo contrario, benché lanciato nel cen-
tro, più brillante apparisce.
Dove son ora que’ che vanno dicendo : l’ impera-
tore si pigli tutto, purché lasci libero il nostro corpo?
apprendan essi che cosa vogliasi dire cotesta libertà del
corpo;poiché non è l’andar immuni dal supplicio che
renda libero il corpo, sibbene il vivere continuamente
nella giustizia. I corpi adunque di que’fanciulli erano li-
beri, anche lanciati nella lomace, mentre non erano op-
pressi dalla schiavitù della colpa. E questa la sola vera-
ce libertà, non quella di schivare un supplicio, o di non
soffrire alcuu che di penoso. Quando poi udite il nomedi fornace ricordatevi il torrente di fuoco in quei dì tre-
mendo apparecchiato*, e come nella fornace gli uni fu-
rono arsi, gli altri rispettati,così avverrà di que’ torrenti
e se ritroverassi chi abbia delle legna, del fieno, delle
stoppie, questi sarà materia di foco; se invece porterà
seco dell’oro e dell’argento diverrà più raggiante. Que-
sta sia dunque la materia da noi raccolta, sopportando
generosamente le angustie ch’ora ci affliggono, sapendo,
se vogliam ragionare davvero, che le tribolazioni di
quaggiù ne liberano da’ gastighi eterni, c, se attendiam
bene, rendono migliori non solo noi, ma di spesso quelli
ancor che ne crucciano. E sì grande il potere di questa
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A 2
filosofia, potere che anco allora in quel tiranno verificos-
si. Udite, com’Egli, poiché vide che non aveano sofferto
alcun danno, si cangiasse. O servi deir Altissimo Iddio,
esclamò, uscite e fatevi innanzi (i). Forse non era lo
stesso che poco prima diceva: Qual v'ha Dio che vi
possa togliere dalle mie mani? Che avvenne inai ? d’on-
de tal mutamento? Vedesti divorati coloro che fuor se
ne stavano, e chiami quelli eh’ eran posti uel mezzo?
Qual mai fantastico sogno ti coglie? Pensaste bene al
cangiamento nel Re operato ? Allorché non aveali ancora
avvinti, bestemmiava; poiché li ebbe nelle fiamme lan-
ciati, s’accinse a pensare maturamente. Iddio quindi
permise che si adempiesse quel tutto che voleva il ti-
ranno, affinchè apparisce chiaramente che niuno poteva
offendere coloro che raccolti erano sotto alla sua custo-
dia, e rinnovò con essi quanto aveva operato con Giobbe.
Lasciò infatti che il demonio contro di lui tutta esauris-
se la sua potenza, e posciachè vuotò gli strali e non gli
rimase più mezzo alcuno alle insidie, allora trasse dall’a-
rena il pugillatore, onde rendere incontrastabile e lumi-
nosa la sua vittoria, nè diversamente diportossi co’ tre
fanciulli. Volle il tiranno sovvertire la città loro, e Iddio
noi vietò : volle condurli captivi e non lo impedì: volle
circondarli di funi e il concesse: lanciar li volle nella for-
nace e il permise : volle che sì accendessero oltre misura
le fiamme e non si oppose : ma quando null’allro rima-
neva, e vuotato si era interamente il vase della vendetta
allora Iddio fe’ trionfare la sua potenza e la virtù de’fan-
ciulli. Conoscete pertanto che il Signore tollerò che fino
all’estremo giugnessero le tribolazioni, affinchè agl’insi-
diatori la sapienza degl’ insidiali si manifestasse e la
(1) Daniele III, 27.
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provvidenza sua. E l’una e l’altra ben apprendeva il ti-
ranno esclamando: O servi delF Altissimo iddio uscite
e fatevi innanzi. Voi però attendete al magnanimo di
portarsi di que’ fanciulli : Pria d1
allora non diedero un
grido per non far credere che temessero il foco, chiamali
entro non si trattennero d’ avvantaggio per non parere
colerici ed ambiziosi. Poiché, ripetono, apprendesti di
chi siam servi, poiché tu hai conosciuto il nostro padro-
ne, usciamo al cospetto di tutti, ond’ essere i banditori
della divina onnipotenza : nè soltanto essi lo furono, cliò
l’inimico medesimo con le proprie esclamazioni e paro-
le e per via di lettere ovunque predicava la costanza
de’ campioni e la virtù de’ combattenti. E come i ban-
ditori nel proferire in mezzo del circo il nome degli at-
leti vittoriosi, quello pure del lor paese ricordano, allor-
ché dicono che alia tal cittade appartiene *, non altrimenti
anche il tiranno il nome del Signore loro annunciava c-
sclamando: O Sidrach,Misach
,Abdenago servi deliAl-
tissimo Iddio uscite e fatevi innanzi. E perchè mai tu
li chiami servi del Signore? non eran forse tuoi ser-
vi ? Ma, soggiugni, distrussero il mio regno, calcarono
la mia superbia, e fecero col fatto palese il vero Iddio
loro. Se fossero stati i servi degli uomini il foco non li
avrebbe temuti, la fiamma non avrebbeli rispettati, che
le create cose prestar non saono riverenza ed onore ai
servi degli uomini. Quindi ripete di nuovo: Benedetto
il Signore di Sidrach,Misach
,ed Abdenago. Voi però
osservate come dapprima celebri il proteggilore : Bene-
detto il Dio che mandò il suo angelo e fa salvi i fi-
gliuoli suoi. E questa l’opera della potenza divina, masia glorificata anco la virtù degli atleti. Perchè confida-
rono in esso, al rogai comando non si piegarono,ed
offersero il proprio corpo in balia dei tormenti per non
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servire agii dei stranieri (i). E v’ha forse cosa che reg-
ger possa al paraggio della virtude ? Allor che dissero in
pria: Non serviamo agli dei stranieri,
si accese con
maggiore intensità la fornace;ora poi che il dimostraron
col l'atto non solo non isdegnossi, ma soggetto li fe’d’en-
comio ed ammi razione, perchè non obbedirono a’ suoi
comandi. La virtù adunque è sì gran bene che si cattiva
gli elogi e le meraviglie de’ suoi nemici medesimi. Essi
pugnarono e vinsero, ed il Re vinto rendeva grazie, per-
chè la vista delle fiamme non li avesse atterriti, ma in-
vece nella speranza del Signore si fossero confortati : e
dai tre fanciulli apprende a chiamarlo il Signore dell’ u-
niverso, senza por limite alcuno al suo impero, quasiché
tre fanciulli fossero il mondo tutto. Quindi lasciando ad-
dietro i tiranni, i re, i principi tutti che al suo cenno
aveano obbedito, ammira tre servi e prigionieri che di-
sprezzarono la tirannica sua potenza. Nè questo era il frut-
to delle contese, ma della sapienza loro, non dell’ arro-
ganza, ma della religione, non di un eccesso di superbia
ma di una profonda penetrazione di carità. Oh adunque
il gran bene eh’ è quello di sperar nel Signore ! Lo co-
nobbe pur egli il crudele tiranno, e dimostrando che per
questo eransi all’ imminente pericolo sottratti, esclamò :
Sottraronsi perchè in Dio confidarono.
Di presente cotcste cose io v’accenno, e percorro
tutte le storie nelle quali si parla di tentazioni, di sven-
ture, di regali ire e d’ insidie, affinchè nuli’ altro temia-
mo che l’offesa di Dio. Anche allora accesa era una for-
nace •, ma l’accesa fornace disprezzarono, e temettero
in quella vece la colpa, sapendo, che, quando pure fos-
sero orsi, non avrebbero nulla di male veramente pali-
ci )Daniele III, 19.
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10 ;mentre, operando la iniquitade, meritato avrebbero
11 daDno estremo. Se tuttavia non soffrissimo gastigo di
sorta, pure il peccato sarebbe un grave snppIicio di per
se stesso; di quella guisa che sotto ai patimenti medesi-
mi ritrovasi la gloria e la tranquillità più invidiabile nel
vivere virtuosamente. Le colpe infatti ne separano da
Dio, com’egli medesimo il dice: forse le vostre colpe
tra me e voi non pongono il muro della separazione (i )?
I patimenti per lo contrario ne riconducono a Dio, di-
cendo per la stessa sua bocca : Donaci al/in la pace chè
ormai ci guidasti per ogni via (2). Se v’ha chi afflitto sia
d’una piaga, deve temere la putrescenza, o il taglio della
mano chirurgica? il ferro, o il continuo rodere della cancre-
na? Il peccato è la marcia corrompitrice, il gastigo è il ferro
medicinale. Allo stesso modo pertanto che malamente la
si comporta colui che ha una putrida piaga per quan-
tunque non se la tagli, e piega alla peggio allora appun-
to che non la taglia;anche quegli che pecca, per quan-
tunque nou venga punito, è tra gli uomini un infelice,
e più infelice è allora che non soffre nè patimento, nè
gastigo che sia. E come quelli che penano d’idrope o di
milza, quando siedono a larga mensa e con fredde be-
vande e dilicati e saporosi manicaretti si ristorano, ag-
gravano le proprie miserie, accrescendo con tali appe-
titose imbandigioni la malattia *, chè se invece obbedienti
alle mediche prescrizioni reggessero agli stimoli della
fame e della sete, avrebbero una qualche speranza di
guarigione; non altrimenti quelli che vivono nella mali-
zia, se vengano puniti aver possono una qualche lusinga
di riparare in salvo; ma se nella iniquitade vengono ab-
(1) Isaia LIX. 2.
(2) Isaia XXVI. 12.
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bandonali ai piaceri ed alla dissolutezza, sono più infe-
lici degl’idropici che si danno allo stravizzo; e tanto più
10 sono quanto l’anima è del corpo assai più preziosa.
Se pertanto vedrai degli uomini in braccio alle medesi-
me colpe, ed alcuni dalla continua fame, e da mali in-
numerevoli travagliati, altri ubbriaconi, baldanzosi, goz-
zoviglianti, pensa che di loro stan meglio quelli che più
patiscono;conciossiachè le fiamme de’ piaceri in mezzo
alle angustie si estinguono, e si raccoglieranno forse con
qualche confidenza, come si vedranno dappresso al fu-
turo giudicio ed al terribile tribunale di Dio, avendo
espiate molte iniquità nei patimenti di questa vita. Mabasta quel che dissi a vostro conforto; or è d’uopo con-
secrare ciò che resta del tempo nelle riflessioni intorno
alla fuga dei giuramenti, onde togliere quelle freddissime
ed inutili scuse, che addur sogliono gli spergiuri. Allor-
ché infatti ci facciamo a riprenderli, ne mettono innanzi
molti altri che fanno lo stesso, e dicono: e questi, e quelli
giurano anch’essi. E noi ripiglieremo controdi loro:
ma v’hanno e questi e quelli che non giurano. Il Signo-
re poi nel suo giudicio metterà in piena luce coloro che
operarono il bene, e dove i peccatori che furono mal-
vagio esempio d’ iniquità non possono giovare di nulla
que’ tutti che l’ imitarono; gli altri, che rettamente vis-
sero, serviranno ai peccatori medesimi di condanna.
Furon molti quelli che non diedero da mangiare e da
bere a Cristo; ma perciò non si prestarono alcun soccor-
so a vicenda;di quella guisa che nè anco le cinque ver-
gini non poterono 1’ una per l’altra ottenere il perdono,
mentre fu diversa la condizione di chi diportossi giusta
11 dovere; e quindi le imprudenti egli avari soggiacquero
al gasligo ed alla meritata condanna. Francali adunque
da questa miserabile scusa, non guardiamo a coloro che
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caddero, sibbeue a quelli che si tennero diritti, e cer-
chiamo di profittare del digiuno di questi giorni. E sic-
come non di rado ci risovviene il tempo in che abbiam
fatto acquisto d1
una veste, d’ un servo, d’ un vase pre-
zioso, e andiam tratto tratto dicendo: nella tal festa ho
comperato quel servo, nel tal giorno mi sou provveduto
di quel vestito: non altrimenti, allorché sarà per noi
adempiuta cotesta legge, andremo dicendo. In questa
quaresima appresi a correggere i giuramenti, fino ad
essa ho giurato, ma tosto che udii le giuste riprensioni,
mi astenni dalla colpa. Pure è cosa assai difficile a cor-
reggersi la consuetudine. Lo conosco anch’io, e perciò
vi affretto ad assumere un’altra consuetudine che sia
buona e vi apporti grande vantaggio. Àllor che dite : è
cosa ardua molto lasciare la consuetudine, procurate in-
siemi di lasciarla, sapendo che, se incontrerete 1’ altra
consuetudine di non giurare giammai, non avrete più
d’ uopo di fatica che sia. È più difficile il non giurare, o
reggere ai latrati della fame per tutto un giorno, e rima-
nersi col bever acqua ed assaggiar poco cibo ? Certo è
che questa è maggior pena di quella : eppure la consue-
tudine torna agevole e pronta sì che al sopravvenir del
digiuno, per quantunque ripetutamente veniamo solle-
citati anco a forza a prendere un po’ di vino, o a gu-
stare alcun che dalla legge proibito, siamo disposti a
soffrir tutto, anziché approfittarci del vietato nutrimen-
to. E quand’ anco siamo tratti dal piacere sensibile verso
le imbandigioni, nullameno per consuetudine che ne
viene dalla coscienza, resistiamo nostro malgrado a tutto
generosamente. Lo stesso avverrà pure nei giuramenti;
e com’ ora conservate la consuetudine vostra sotto alla
più grande necessità che in contrario alcuno mai v’ im-
ponesse-, così in appresso dalla consuetudine non vi
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richiamante,quando pur foste le mille volte solleci-
tati.
Portatevi frattanto a casa e ripetete quello che
udiste a’ vostri famigliari tutti;e come spesso molti ri-
tornando dai prati colgono una rosa, una viola od alcun
altro fiore, e sen vanno portandolo fra le dita} altri poi,
uscendo dal recinto delle piante, svelgono qualche ramo
di dove pendano le fruita, ed altri infine, levandosi dai
sontuosi banchetti, raccolgono pei congiunti ciò che del-
P apparecchio posero in serbo; così parimenti ancor voi,
allontanandovi di qua, riportate a’ figli, alla moglie, ai
vicini i ricevuti ammaestramenti; che questi ammaestra-
menti souo più utili dei prati, dei frutteti e della men-
sa. Queste rose non marciscono mai, queste frutta non
avvizzano, queste imbandigioni non si corrompono. Che
se dai fiori, dalle frutta e dalla mensa si coglie un tem-
poraneo diletto, qui è continua l’utilitade che ne deri-
va; nè il piacere della virtù nasce dopo l’adempimento,
ma nell’ atto medesimo di adempierla. Pensate adunque
che cosa vogliasi dir propriamente lasciar addietro tutte
le occupazioni e pubbliche e private per attendere uni-
camente alla legge di Dio e nella mensa, e nel foro, e
negli altri convegni. Se ci consacreremo a ciò, non vi
sarà per noi più nulla di periglioso e di nocevole, nè,
contro la volontà, peccheremo;e mentre la sventura ne
minaccia, profittando di questa maniera di ammaestra-
menti, potremo alla salvezza dell’ anima provvedere; nò
ci terrà più angustiati quella sollecitudine con che an-
davamo chiedendoci a vicenda. Le cose operate giunsero
ancora all’ orecchio dell’imperatore ? Si adirò egli? Qual
è mai la sentenza eh’ emise ? Trovossi alcuno che implo-
rasse mercè? Soffrirà poi che una città sì magnifica c
popolata si schianti interamente? Lasciamo la cura di
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queste ed altre simili cose a Dio e procuriam solo di
adempiere i suoi precetti. Di questa guisa toglieremo
dal nostro capo ogni minaccia, e, quando fossero dieci
soltanto quelli che tra noi operassero il bene, in breve
que’ dieci diverran venti, i venti cinquanta, i cinquanta
cento, i cento diverran mille, i mille la città intera. Ecome dieci lampane accese potrebbero agevolmente dif-
fondere la luce per tutta la casa;non altrimenti nelle
cose dello spirito, se dieci soli vivranno da giusti, ba-
steranno ad accendere per tutta la cittade una pira di
tanta luce, che varrà ad apportare la sicurezza comune.
La natura infatti della Gamma non è sì pronta ad ac-
cendere le materie combustibili a cui dappresso si appi-
glia, come l’amore della virtù appigliatosi a poche anime
grado grado insinuandosi è pronto a pervadere la città
tutta. Concedetemi dunque eh’ io possa gloriarmi di voi
e nella vita presente e nella iutura, a cui, proGttandovi
degli affidati talenti verrete ammessi. A me delle fatiche
è bastevole mercede la vostra palma, e, se vedrovvi
tradurre i giorni vostri nella pietà religiosa, io ricevetti
tutto che mai sperava. Adempiete quindi ciò che jeri
vi annunciava, che oggi ripiglio, che non cesserò di
ripetervi mai : imponendo un’ equa ammenda contro a
quelli che giurano, un’ ammenda che vi torni non già
di danno, ma di vantaggio; preparatevi a darmi una
caparra del proGtto che traeste. Finita questa ora-
zione procurerò di portare in lungo un qualche discorso
con ciaccuno di voi, per vedere nelle molte parole se vi
siete corretti;e dove ne trovassi alcuno che tuttavia
giurasse, lo manifesterò a que’ tutti che si emendarono,
affinchè riprendendolo, sgridandolo, correggendolo, lo
si tolga in breve alla malvagia abitudine sua. È meglio
assai che rimproverato si richiami quaggiù, di quello che
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sia confuso e punito pubblicamente in quel giorno in
che alla presenza di tutto il mondo saranno svelate le
nostre colpe. Ma tolga il cielo che alcuno di questa
adunanza quel giorno si mostri in tante augosce: invece
mercè le preghiere de’ santi Padri cerchiamo convertirci
da tutte le nostre colpe, ed offrire copiose frutta di
virtù, onde partircene fiduciosi da questa vita per gra-
zia e misericordia del nostro Signor Gesù Cristo pel
quale e col quale insieme sia gloria al Padre ed allo
Spirito Santo per tutti i secoli de’ secoli. Così sia.
s
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OMELIA III
Fa conoscere come la tristezza torni soltanto profittevole a
cancellare le colpe, indi dopo di at>er accennato che le
Sante Scritture ammaestrano insieme e confortano, si
trattiene sopra quelle parole : Nel principio creò Iddio il
cielo e la terra; e sopra quelle altre Adamo dove sei? ed
in sul fine parla dei giuramenti.
Ieri e alla dilunga, e intorno a molti argomentitrattenni la pietosa adunanza vostra, che se, di tante cose
che si dissero, vi è difficile il ritenerle tutte, vi pregoalmeno di non dimenticarvi principalmente che Iddionon per altro ci volle afflitti, che per causa delle nostre
colpe, dimostrandocelo apertamente co’ medesimi fatti»
Ove il dolore e le nostre lagrime avessero per iscopo le
pene pecuniarie, le malattie, la morte ed altre sventuredi simil genere, non solo non ne ritrarremmo alcun con-
forto, ma per ciò stesso sarebbero aggravate di molto;mentre per lo contrario il dolore e le lagrime sopra le
nostre colpe, diminuiscono la grandezza delle colpe me-desime, e riduciamo a poco quello eh’ era gravissimo, e
non di rado Io cancelliamo interamente. Compiacetemi
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r,2
nel ricordarvi ciò di continuo, affinchè il dolor vostro
miri sempre il peccato senza eh’ abbia riguardo ad altra
cosa che sia, oltre a ciò guardate come il peccato, che
porta la tristezza e la morte in questa vita, venga dal-
l’una e l’altra distruttojlo che abbiam dimostrato colla
maggiore chiarezza superiormente. Non siavi pertanto
cosa da temersi come la prevaricazione e la colpa. Nontemiamo la pena per sottrarci alla per\a-i< in quella guisa
che i tre fanciulli non temettero la fori# ce, e andaron
salvi dalla fornace : chè tali conviene che siano i veri
servi di Dio. Che se coloro che furono ammaestrati nel
veochio testamento, quando non era ancor doma la
morte, nè infrante le porte di bronzo, nè stritolati i
ferrei cardini, offersero l’esempio di tanta eroica gene-
rosità in faccia alla morte;quale scusa avrem noi o qual
mai perdono, noi che dopo di aver ottenute grazie così
solenni, dopo che la morte rimase un nome ignudo
senza soggetto, non arriviamo ad uguagliare nella virtù
quegli antichi ? La morte infatti altro non è che un
sonno, un passaggio, una dipartila, un riposo, un tran-
quillo porto, una calma dai turbamenti, un disciogli-
mento dai travagli di questa vita. Ma qui si lascino le
parole di conforto, essendo già cinque giorni che mi
adopro a temperare il duolo della pietosa adunanza
vostra, sicché sembrerovvi molesto anche di troppo. Aque’ che sentono bene, è bastevole ciò che dissi, ma i
poveri di spirito non profitteranno, quand’ anche molte
altre cose potessi aggiugnere, ed è ornai tempo che
volgasi il mio discorso alla spiegazione delle sacre Scrit-
ture, poiché di quella guisa che taluno mi avrebbe dato
il nome di crudele ed inumano, se detto non avessi al-
cuna cosa intorno alla presente angustia, così il discor-
rere sempre di essa mi varrebbe a condanna di pusilla-
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dime. Affiliando pertauto a Dio i vostri cuori, a qual
Dio che può parlare al vostro intelletto e bandire dal
rostro seno ogni tristezza, passiamo a9solili insegna-
menti, in ispecial guisa dove la spiegazione di tutta la
Scrittura è un aiuto ed un continuo conforto.
Quindi, per quantunque sembri che cessi dal con-
solare, pure, venendo alla esposizione degli argomenti
scritturali, è d’ (,apo che alla materia stessa me ne ri-
torni. Ora poi i farò manifestamente conoscere cometutta la Scrittura serva di continua consolazione a quel-
li che ben vi pensano y nè volgendo qua e là le storie
scritturali, andrommi cercando o questo o quel sermoneconsolatorio, ma, per mettervi più evidentemente sotr
t’ occhio la proya dell’ assunto, sceglierò il libro che
abbiamo letto quest’ oggi, e se vi piace il principio edil proemio dello stesso, che a prima giunta parrebbe
non offrire vestigio alcuno di coasolazione, nè contene-
re in se un germe di confortevoli parole; e, tosto ?dr
docendolo, cercherò convincervi di quanto affermo. £qual è infatti codesto proemio? Eccolo: Nel principio
Iddio creò il cielo e la terra,ma questa era invisibile
e disadorna,e le tenebre si distendeano sopra F abis-
so (i). Di queste parole ve ne ha pur una che sembri
a voi contenere qualche alleviamento alla tristezza.9
Non è forse una narrazione isterica ed uno sviluppo
della creazione?
Bramate adunque che vi dimostri ove in queste
voci nascosto trovisi il conforto? Sorgete e fatevi dietro
attentamente a ciò ch'io sono per dire. Allor che venite
a conoscere che il cielo, la terra, il mare, P aria, le ac-,
quo, le innumerevoli stelle, i due lumi maggiori, le pian-
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(1 )Genesi, I. 1
.
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te, i quadrupedi, i pesci, i volatili, e tutto ciò che uni-
versalmente si vede è per voi creato da Dio e a vostra
gloria e salvezza, non è forse questo un grande motivo
di consolazione, e non ne deriva una grandissima prova
dell’amore di Dio, quando si pensa che un mondo per
siffatta guisa e bello, e vasto, e meraviglioso, per noi
picciole creature fu tratto dal nulla ? Come dunque
udrete : Iddio nel principio creò il cielo e la terra, non
oltrepassate senza rifletterci le parole, ma scorrete colla
immaginazione l’ampiezza della terra, e guardate a qual
mensa e copiosa e ricchissima ne invitasse, e quanti in
essa ne apparecchiasse argomenti di gioia. Quello poi
che massimamente dobbiamo attendere è che non c’ im-
partì a mercè di nostre fatiche, nè in premio de’ nostri
ineriti uu mondo di tale e tanta magnificenza, ma con
esso creò pur noi, e volle di questo impero onorata la
nostra stirpe, dicendo: Facciamo I uomo ad immagine
e similitudine nostra (i). E che vuoisi dire: ad imma-
gine e similitudine nostra? L’ immagine vuoisi dire del
Principato, poiché siccome in cielo non evvi cosa al-
cuna a Dio superiore, così anco in terra non ve ne ha
alcuna superiore all’ uomo. E prima e principalmente
glorificò 1’ uomo formandolo ad immagine sua;
poscia
offrendogli un impero che non era premio di nostre fa-
tiche, sibbene manifestazione della generosa benignità
sua;iu terzo luogo che di questo gli fè tal dono, che
divenne diritto della natura umana. L’impero infatti o
dalla natura o dall’elezione deriva: dalla natura quello
del leone sopra i quadrupedi, dell’aquila sopra gli uc-
cellijderiva dall’ elezione quello del nostro imperatore;
e come quest’ultimo impero sopra i proprii confratelli
(1) Genesi, I. 2.
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non procede dalla natura, così avviene tal fiala che si
può perdere, che tutto ciò che non si appoggia alla na-
tura è tale da ammettere in se facilmente una variazio-
ne ed un travolgimento. Non è però così del leone che
per natura sortì il dominio dei quadrupedi, nè dell’a-
quila che sopra i volatili medesimamente l’ottenne;che
sempre alla propria specie va congiunta la forma del
regno che hanno, nè alcuno vedrà il leone perdere que-
sta maniera di principato. Un simile impero fu da Dio
concesso agli uomini fin da principio, preponendoli a
tutte cose, nè questo fu il solo onore che alla nostra
natura elargiva; chè le assegnò un luogo di distinzione
coll’ offrirle a dimora un magnifico paradiso, col fre-
giarla della ragione, coll’ inspirarle un’anima immortale.
Nè qui s’arrestano gli argomenti; poiché affermo: tanta
essere la sovrabbondanza di amor divino, che non solo
da ciò che fece a nostro vanto, ma da quello che diede
a nostro gastigo, possiamo egualmente far conoscere la
bontà c la misericordia di lui.
E vi prego a diligentemente osservare questo fat-
to principalissimo : che Dio è buono allora non solo che
dispensa grazie ed onori, ma quand’anche ne gasliga e
flagella. Quindi è che io dimostrerò la clemenza di lui
non solamente in quello che fece a nostro favore, nia a
nostra punizione, quand’anco venir dovessi a gravi
contese e combattimenti contro gli eretici intorno alla
bontà di Dio. Che s’egli fosse buono allora solo che lar-
gheggia in premi!, noi fosse allor che gastiga, sarebbe
buono a metà ; ma che sia così in fatto essenzialmente
ripugna. Non è (unge dal vero che ciò avvenga negli
uomini, che dalla passione e dall’ ira infiammati andar
sì lasciano a’gaslighi; ma Iddio che non è soggetto n
passione alcuna, sia che benefichi, sia che punisca, è
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sempre egualmente buono : nè, meno del regno eterno,
la minaccia della eterna condanna è argomento delta
bontà di lui;ed esporrò la ragione di questo. Se non
avesse minaccialo le fiamme infernali, se non avesse
preparato la punizione, non sarebbero molti quelli che
avessero potuto conseguire l’ eterno regnojchè la pro-
messa dei beni non alletta gli uomini alla pratica della
virtù, di quella guisa che l’aspetto dei mali col suo ti-
more gli sprona e gli eccita a prendersi qualche cura del-
l’ anima. Per quantunque infatti lo inferno sia diretta-
mente opposto al regno de’ cieli, pure e l’ lino e P altro
tèndono al medesimo fine, ch’è la salvezza degli uomi-
ni, il primo invitando, il Secortdq respingendo verso
del primo, e stimolando i più infingardi collo spavento.
Nè crediate che indarno io porti a lungo questo
discorso, mentre spesso al sopràggiugnere della fame e
delle siccità, all"* infierir delle guerre e degli sdegni re-
gali, e ad altre simili disavventure, molti de’ meno ac-
corti s’ ingannano, dicendo che cotest£ cose non sono
degne della provvidenza di Dio, Per non lasciarci illu-
dere adunque, e per assicurarci che, quando Iddio
chiama sopra di noi la fame, la guerra od altro gastigo
di simil genere, anche ciò è effetto di sua clemenza e
«lei sommo amor che ne porla, ho dovuto trattenermi
in questo argomento;poiché i padri medesimi, che più
degli altri amano i proprii figli, col tenerli lontani dalla
mensa, col percuoterli, coll’ aggravarli di una qualche
vergogna, o con alcun altro di questi mezzi, che sono
pressoché innumerevoli, correggono l’ imbaldanzir loro :
tuttavia sono padri non mica soltanto allora che pre-
miano, ma quand’anche adempiono tutto questo, e
quando lo adempiono sono padri massimamente. E se
crediamo che gli uomini, i quali ppr isdegno e furore
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spesso dal giusto se ne dipartono, puniscano coloro che
amano non già per barbaro sentimento e crudele, ma
per premura o caritade ehe hanno, quanto più vera-
mente conviene che ciò si pensi di Dio, che nella gran-
dezza della sua bontà di gran lunga ogni paterna bene-
voglienza sorpassa ! Perchè poi non crediate ch’io dica
COnghielturando codeste cose, ritorniam tosto alle pa-
role della Scrittura. Vediamo di qual guisa Iddio, dap-
poiché 1’ uomo fu sedotto ed ingannato dalla malvagità
del demonio, si diportasse verso di lui, subito che di-
venne reo di tanta colpa. Forse lo volle interametlte
perduto? Eppur dimandava giustizia per suo diritto che
fosse tolto di mezzo e senz’ altro disperso colui, che non
avendo nulla operato di bene, dopo aver ricevuto i trat-
ti dell’amore il più generoso, fino da’ primi istanti ri-
belloSsi : Iddio però noi permise, nè fè oggetto d’ abbo-
minio e di vendetta la creatura che si mostrò cotanto
ingrata verso del suo creatore;ma venne ad essa, come
sen viene il medico all’ammalato. Nè vogliate passar
oltre senza attenzione cotesto fatto, o carissimi;pensate
che non fu spedito un Angelo, un Arcangelo, nè alcun
altro di quelle schiere, ma che venne Iddio stesso al
prevaricatore, onde rialzarlo caduto, ed accostossi da
solo a solo, come un amico ad altro amico sventurato e
che fii ridotto allo estremo della miseria. Che poi ciò
egli facesse per molto amore, lo dichiarano le parole me-
desime d’ ineffabile misericordia che gli rivolse. E' d’ uo-
po forse che tutte io le ripeta ? Bastano certamente le
prime a far palese l’ infinita demenza di Dio. Non disse
infatti quello che ben sarebbesi convenuto a tale che
avea sofferto un’ingiuria, non disse : O scellerato o mal-
vagissimo uomo, tu eh’ eri di tanta mia benevoglienza
onorato, ad un regno sì mirabile assunto, a tutte cose
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terrestri senza tuo merito che fosse preposto, tu che
avevi ricevuto tanti pegni della mia sollecitudine e tante
prove reali della mia provvidenza verso di te, tu, più
presto che il tuo signore e custode amoroso, credesti il
demonio, abborrito e crudele nemico di tua salvezza,
meritevole della tua confidenza? Che mai ti diede egli
di quel che feci per tuo vantaggio? Non ho forse creato
il cielo per te? non la terra, il mare, il sole, la luna, le
stelle tutte? Gli angeli non avean certamente d’uopo di
eodest’ opere della creazione, ma per tuo pacifico seggio
e profitto formai un mondo di sì grand’ordine e mole;
pur tu giudicasti «Ielle sterili parole, ed una promessa
ingannevole cd una lusinga piena di frode, poste a con-
fronto con beneficii c dimostrazioni singolari di provvi-
denza, più degne d’ esser credute; e per lui guisa ab-
bandonasti in sua balìa te medesimo, e conculcasti i
miei precetti. Questi ed altri rimproveri assai, offeso
coni era, avrebbe potuto ripetere; nulla meno Iddio
non diportossi così; ma invece tutto il contrario, poiché
fin dalla prima parola ricoufortollo, ed avvilito, e pau-
roso, e trepidante, com’era, il trasse a speranza, chia-
mandolo egli il primo. Nè già chiamandolo solo, ma nel
chiamarlo impartendogli il proprio suo nome, e dicendo :
.
Adamo,ove sei? manifestò l’amore e la premura che
in onta all’ avvenuto ei si prendeva di lui. E che questo
sia un pegno sicurissimo di amicizia tutti ve lo sapete %
abbastanza. Un egual modo tengono infatti coloro che
richiamano i proprii morti, ripetendone con frequenza
i lor nomi;come a rincontro quelli eh’ odiano alcuno e
nutrono contro di Ini sensi di nimistade, non soffrono
che neppure il nome si ricordi dell’offensore. Quindi
Saule, che pur non uvea ricevuto alcun’ ingiuria, masibbene mollissime e gravi ne aveva ordite a Davidde,
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posciaehò lasciò libero il freno all’ inimicizia e all’odio
contr’esso, neppur soffriva che si rammentasse il suo no-
me, ma quando furono tutti raccolti, e vide eh’ ei non
veniva, che disse? Non disse: dove sei, o Davidde? masibbene : dov è il figliuolo di Jesse (
i) ? dal nome
chiamandolo di suo padre. Ed i Giudei fecero lo stesso
di Cristo; allora infatti che gli spiravano contro sde-
gno e Vendetta, non dissero : dov’ è Cristo ? ma dove è
colui (2) ?
Iddio però volendo palesare anche in questo che il
peccato non aveva spento il suo amore, e la disobbe-
dienza non avea tolta di mezzo la sua misericordia,
ch’era tuttavia intesa a provvedere e vegliare sopra il
caduto, disse-: Adamo,dove sei? non ignorando ov’egli -
si nascondesse, ma ben sapendo che i delinquenti hanno
le labbra chiuse, perchè la colpa è un grave impedi-
mento alla lingua, e la coscienza la tien legata, c sen ri-
mangono istupiditi e stretti dal silenzio, come fosse una
catena che gli opprimesse. Volendo per tanto il Signore
metterlo in qualche confidenza e libertà di parlare, e
provocarlo alla confessione di ciò che aveva commesso,
onde meritarsi un qualche perdono, lo chiamò egli il
primo, troncandogli nel chiamarlo una gran parte del-
I’ angoscia, togliendogli il timore, ed aprendogli per così
dire la bocca. Pertanto ripeteva: Adamo,dove sei
?
Evoleasi dire, in altro stato io ti lasciai ed in altro or ti
ritrovo. Ti lasciai nella sicurtà e nella gloria, e ti ritrovo
ora nel silenzio e nella confusione. E qui considerate la
cura eh’ Iddio si prende. Non chiamò Èva, non il ser-
pente; ma fè comparire il primo dinanzi al suo giudicio
(1) 1. dei Re XX. 27.
(2) S. Giovanni VII. 2.
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no
quegli che più leggermente d’ ogni altro ave» peccato,
affinchè da lui cominciando che potea ripromettersi una
qualche maggior facilità nel perdono, potesse indi pro-
ferire una sentenza più mite contro colei che avea più
gravemente peccato. I nostri giudici, ove si tratta dei
proprii confratelli c di coloro che partecipano alla me-
desima natura, non si abbassano u sostenerne lo esame,
ma invece eleggono un qualche ministro che serva loro
di mezzo, ed impongono eh’ egli porti al reo le interro-
gazioni che dettai) essi, e per questo tramite lutto che
loro aggrada dicono ed ascoltano, mentre istituiscono
il criminale processo (i). Iddio invece non appigliossi a
mediatore alcuno coll’ uomo, ma viene ei medesimo a
stendere il giudicio e a consolarlo. Nè la meraviglia sta
in ciò unicamente, che di più egli corregge le colpe. I
giudici, se catturarono de’ladri o de’ sacrileghi, non pen-
sano al modo di renderli migliori, ma di far loro pagare
il Co dei commessi delitti (a). Iddio poi, come raggiun-
ga un qualche peccatore, non pensa già al supplicio da
imporgli, ma alla maniera di correggerlo, di renderlo mi-
gliore, e in appresso alla colpa inaccessibile. Dunque Id-
dio nel medesimo tempo è un giudice, un medico, un
precettore •, e qual giudice esamina, qual medico risana,
qual precettore insegna, additando a’ prevaricali le vie
tutte della sua legge. E se una brevissima parola dimo-
stra tanta sollecitudine in Dio, che ne verrebbe se tutto
discorressimo il processo, e tutte spiegassimo le inspi-
rale espressioni? Vedete voi come tutta la Scrittura al-
tro non sia che un ammaestramento c un conforto ?
Ma ciò sarà spiegato a suo tempo, per ora è neces-
(1) P.irc die questo fosse allora il modo d'instituire i processi.
(2) Se i giudici nell’ imporre la pena ai rei uou guardavano a
correggerli, a ebe fjrnc delle carceri?
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sano dire quando siasi promulgato codesto libro. Que-
ste cose noti si scrissero dapprincipio, non subito dietro
Adamo, ma dopo molte generazioni;ed è prezzo del-
l’opera il ricercare perchè si dettassero dopo molte gene-
razioni, e, alla fine, pegli Ebrei solamente e non per tutti
gli uomini. Perchè nella lingua ebraica, perchè nel de-
serto di Sina? Nè già l’Apostolo all’impensata oltrepassa
cotesto luogo; ma ne richiama sovr’esso ad una seria
attenzione, dicendo: Due sono i patti,ìun del monte
Sina che genera a servitude (i).
Gioverebbe pur muovere le nostre incideste intor-
no a molti altri argomenti, ma veggo che il tempo non
ne concede di spiegare a tanto oceano le vele dell’orazio-
ne. Rimettendo adunque tutto questo ad altra circostan-
za più opportuna, vengo a parlarvi di nuovo intorno al
divieto di giurare, e pregherò la religiosa attenzion vostra
che sopra di ciò con molta diligenza raccolgasi. Non sarà
forse un assurdo che il servo non osi chiamar a nome il
padrone Senza premettere una significazione d’ossequio;
e che noi qua e là temerariamente e a disprezzo lancia-
mo il nome del Sovrano dominatore degli angeli ? Se vi
convenga prender fra mani il Vangelo, in pria le lavate,
indi paurosi e trepidanti il prendete con molta diligenza
e religioso rispetto, e dimenerete impudentemente per
la bocca ad ogn’istante il padrone dello stesso Vangelo?
Volete apprendere come lo appellino e con qual tremito,
con quale riverenza, con quanta ammirazione le virtù
celesti? Vidi il Signore che sedeva, dice Isaia, sopra di
un trono magnifico ed elevato,
i Serafini gli stavano
allo intorno,e gli uni agli altri faceano intendere la
propria voce,ed esclamavano
,Santo, Santo
,Santo il
(1) S. Paolo ai Galali, IV. 24.
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62
Signore Iddio degli eserciti,tutta la terra è piena della
sua gloria (i). Comprendeste con quanta riverenza e ti-
more lo chiamino, benedicendolo e glorificandolo, a no-
me? Voi per lo contrario nei voti e nelle vostre preghie-
re, in cui dovreste trepidar per ossequio, essere vigilanti
e sobrii,lo invocate con molta tiepidezzajma nel giurare,
allorché sarebbe d’uopo ommettere del tutto codesto
nome ammirabile, a più riprese e l’un sopra l'altro riu-
versando i giuramenti, lo profanate. E qual perdono e
quale scusa meriteremo, per quantunque adduciamo le
mille volle iu favor nostro la consuetudine? Di certo
oratore profano, che per istraua abitudine di continuo
l’omero destro innalzava, dicesi che da celesta abitudine
si togliesse col porre quinci e quindi sopra degli omeri
due spade acutissime, affinchè dui timore della trafittura
fosse contenuta la spalla che iu modo ridicolo si move-
va (a). Fate voi pure lo stesso colla lingua, e invece del-
la spada poneteci il timore del supplicio eterno, e così
giugnerele a correggervi finalmente. E' impossibile, è im-
possibile, ripeto, che, ove si usi d’una seria meditazione
e diligenza, ove si adempia quant’io prescrissi, ci lascia-
mo vincer gianunui. Or fate plauso olle cose esposte, mail farete maggiore, quando vi sarete corretti, e allora
encomierete non solo noi, ma voi stessi, e sarà più dolce
il piacere che dalle sacre orazioni coglierete, e da una
coscienza pura saliranno u Dio le vostre preghiere, a quel
Dio che lauta si prende cura di voi da prescrivervi che
non giuriate nè anco pel vostro capoìmentre voi lo dis-
prezzale così da giurare per la stessa sua gloria. E elio
farò io, ripiglierà taluno, contro coloro che necessariamen-
(1; Ts.iia, VI. I.
(2) Drmoslcno.
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le mi provocano? Qual mai necessità, o uomo? Sappianotutti cbe tu vuoi piuttosto reggere ad ogni offesa, chetrasgredire la legge di Dio, e dall
1
indurti alla vantata ne-cessità cesseranno. INè poi sono i giuramenti cbe-rendanogli uomini meritevoli dell’altrui fede, sibbene la testimo-
nianza della vita, l’integrità del conversare e l’equità del-
1 animo;poiché lalfiata molti si disciolsero in giuramenti
e non persuasero mai, mentre allo incontro alcuni altri af-
fermarono solo e furono creduti meritevoli di maggior fe-
de. Conoscendo pertanto tutto questo, e avendo innanzi
agli occhi la pena stabilita a coloro che rompono in giura-
menti e spergiuri, resistiamo alla malvagia abitudine,
affinchè avviandoci quaggiù al perfezionamento d’ogn’o-
pera virtuosa, possiamo giugnere al conseguimento della
felicità avvenire, cui ci si conceda ottenere per la grazia
e misericordia del Signor nostro Gesù Cristo, pel quale
e col quale insieme al Padre ed allo Spirito Santo sia
gloria, impero ed onore, ora e sempre e per tutti i se-
coli de’secoli. Così sia.
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OMELIA IV.
Dà molti ammaestramenti e stimoli alla virtù, indi spie*?»
quelle parole della Genesi: Presso jl meriggio iddio cam-
mina lungo il paradiso, e conchiude col pqrlare dei giu-
ramenti.
Udiste non ha guari come tutta la Scrittura, an-
che allora che in racconti istorici si diffonde, apporli
refrigerio e consolazione. Infatti quelle parole : Nel prin-
cìpio Iddio creò il cielo e la terra,altro non erano che
«no storico svolgimento;ma il discorso ebbe a provar-
vi che que’ detti abbondavano di conforti, di quella
guisa che sono gli altri con cui si narra che Dio appre-
stò un doppio argomento di utilitade ( i)per noi creando
(t)Nel testo greco si legge (JijrXfiy rpoine&v che corrispondereb-
be all’italiano doppia mensa, la qual mensa quand'anche potesse ac-
cordarsi col mare e colla terra per la ragione dei pesci e degli animali
che nutrono, non s’ accorda poi nè co* due luminari, nè col giorno
e colla notte;quindi avendo trovato, che anco Aristofane usò della
parola vrpotne^a in senso che sion è quello di mensa, la spiegavo anche
io a seconda di quello che mi parve richiedesse il contesto.
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OS
insieme la terra e il mare, facendo splendere dall’ alto i
due gran luminari che sono il sole e la luna, e stabilen-
do al tempo un corso Ira se diverso, ch’è quello del
giorno e della notte, perchè l’ uno servisse all’ opera,
l’altra al riposo. Nè di certo la cede al giorno, ne’ van-
taggi di che è ministra, la notte, ed avvien quello che
altrove intorno alle piante ho dichiarato, che cioè le in-
feconde nell’utilità pareggiano le fruttifere, facendo si
che possiamo lasciar intatte le dimestiche nella costru-
zione degli edificii$
lo che avvien pure degli animali
mansueti, di cui non è minore il profitto che ne deriva
da’ selvaggi e feroci, che per tema di loro entro ne spin-
gono alle città, ne rendono più accorti, ne affratellano
insieme, e servono a tenere in esercizio la robustezza
di alcuni, a sciogliere d’ altri le malattie, chè da essi i
medici traggono molti rimedii •, e di più valgono a te-
nerci viva la rimembranza della colpa antica. Di fatto
allorché mi ricordi: Timide e trepidanti stiano dinanzi
a voi tutte le bestie della terra (a), e poi vegga per-
duto codesto onore, mi sovverrà della colpa, che agli
animali tolse la soggezione, e scemò la nostra sovranila-
de;e quind^ com’ abbia considerato i danni che nacque-
ro dalla colpa, diverrò più mite e prudente. A quel mo-do adunque, come dissi in pria, che tutte l’esposte cose
tornano a vantaggio della vita, nè soltanto 1* esposte, maben altre molte conosciute da Dio che le fece
;così an-
che la notte uguaglia nel giovamento che ne arreca il
giorno, mentre serve a riposo dalle fatiche e a medicina
dei mali. Conciossiachè non di rado i medici con molti
tentativi, e coll’ uso d’ innumerevoli rimedii non pote-
rono togliere dall’ infermo la malattia, e il sonno, che
(1) Genesi, IX. ’L
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spontaneamente sen venne, fu causa di guarigione, e li-
berò gli ammalati dalla gravissima ambascia che gli op-
primeva*, nè soltanto ai dolori del corpo, ma a quelli
pure dell’anima è medicina la notte, acchetando le fiere
angosce dello spirito. Tal fiata alcuno che avea perduto
il proprio figliuolo non valse a ricevere i conforti d’ in-
finiti consolatori, e a temperare i gemiti e i pianti*, quan-
do al sorvenir della notte, vinto, cesse allo impero della
stanchezza, chiuse le palpebre al sonno, e trasse unqualche alienimerito alle afflizioni della giornata. Ormai
però è tempo da ritornarsene là dove F orazion nostra
dipartissi3 poiché m’ avveggo che voi tutti a questo ane-
lale, volendo ciascuno apprendere per qual motivo co-
testo libro non si promulgasse fin dal principio3per cui
sembra che neppur questa sia la circostanza opportuna
all’ uopo. E perchè mai ? Perchè la settimana già volge
al suo termine, ed io mi trattengo dal toccare una ma-
teria di cui dovrei tosto interrompere lo svolgimen-
to. Il soggetto abbisogna della fatica di molti giorni, e a
dilungo richiede che ci fermiamo sovr5esso, quindi pen-
so che lo abbiamo a differir nuovamente. Perchè poi
non vel portiate a disgrado, vi prometto che verrò a
pagare il debito con usura, mentre ciò anche a me che
sono il debitore è spcdiente. Oggi per tanto esporrò
quello che jeri si lasciò addietro. E che dunque si lasciò
addietro ? Presso il meriggio,sta scritto, Iddio cammi-
nava lungo il paradiso (1). Che mai si dice : Iddio cam-
minava? Non già camminava al modo eh’ egli è dovun-
que presente, e di se stesso adempie tutte cofce, ma de-
stando in Adamo un sentimento di simil fatta3
affinchè
egli stesso, onde non essere all’istante annichilato, aves-
(1 ) Genesi III. 8.
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se ad imporsi un qualche gastigo, e col fuggire e col
nascondersi dar luogo ad una scusa compassionevole pria
che pure si pronunciasse una parola. E di quella guisa
che i rei di gravissimi delitti, che vengono tratti ad udi-
re la propria sentenza, si mostrano laceri, squallidi, me-
sti, e nello abbandono di se agli occhi dei giudici, onde
coll’ atteggiamento stesso trarneli a compassione, a mi-
sericordia e perdono;non fu altrimenti di Adamo. Era
d’ uopo che fosse tratto ad ascoltare la sua sentenza,
perciò Iddio lo prevenne e lo corresse. Ma perchè s’ac-
corse del camminare d’ alcuno,d’ onde ne avvenne che
pensasse essere Iddio quello che camminava ? E' questa
la consuetudine dei peccatori : sospettano di tutto, te-
mono l’ ombre, paventano ogni strepito, e credono che
tutti vengano contro di loro. Sempre infatti, come veg-
gano alcuni che al proprio ufficio s’ affrettino, pensano
i peccatori che sovr’ essi si scaglino, e, come osservino
degli altri a discorrer tra loro, consapevoli che sono del-
le proprie colpe, credono d’ entrar essi a soggetto di
que’ discorsi. .
Il peccato propriamente è tal cosa che senza 1’ al-
trui deposizione si manifesta, senza le altrui accuse si
condanna, rende pauroso e trepidante il peccatore, a quel
modo «he succede il contrario della giustizia. Attendete
pertanto come la Scrittura ponga sott’ occhio il timore
dell’ uno e la franchezza dell’altra: L' empio,disse,Jug-
ge senta che alcuno il persegua ( i ). Come sen fugge
zenz’ essere perseguito ? Ha dentro di sè un vivo accu-
satore nella coscienza, e lo porla ovunque, e di quella
maniera che non può fuggire se stesso, così uè anche lo
stimolo che iulernamenlc Io preme;ma dappertutto che
(1) Proverbi! XXY'IT, 1.
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discorra ne prova i flagelli, e sente i morsi dell' insana"
bile piaga. Non è cosi del giusto: come adunque? ascol-
tate. Sta scritto, il giusto è confidente al par d'uri leo-
ne. Tale crasi Elia, che vide il He che veniva a lui, di-
cendogli : A che sovverti tutto Israello ? E soggiugneva :
lo non sovverto Israello,ma ben tu e la casa del pa-
dre tuo ( i ). Sì veramente, il giusto al par li un leone
confida, poiché al par di un leone si aderse contro del
Re, come fosse un vii cagnolino, e benché quegli si a-
vesse la regai porpora, questi coperto era di una pelle
di pecora più venerabile assai della porpora; mentre
quella porpora fu causa d’ una gravissima carestia, e
questa pelle di pecora raltenne il corso alle sventure,
divise il Giordano, e d’ Eliseo fece un secondo Elia. Ocom’ è grande la virtù dei santi ! Non solo i corpi e le
parole, ma le medesime lor vestimenla sono in perpe-
tua venerazione delle creature. Questa pelle di pecora
divise il Giordano, e i calzari de’ tre fanciulli conculca-
rono il foco. Il bastone «li Eliseo cangiò la natura delle
acque e fe1
che portassero il ferro alla superficie;
la
verga di Mose separò il Mar Rosso e franse la pietra; la
veste di Paolo guarì dalle malattie; 1’ ombra di Pietro
fugò la morte, e le ceneri de’ santi Martiri lunge cac-
ciarono i demonii. Quindi è che i giusti tutte cose for-
niscono fiduciosi, lo che avvenne di Elia, che non guar-
dando nè al diadema, nè alla esterna regale magnificenza
del Re, sibbene all’anima cenciosa, piena di squallidezza
e sozzura, e in atteggiamento più compassionevole d’ogni
reo, come quella che dentro era captivi e schiava de’pro-
prii viziì, per questo ne dispettò la grandezza;
concios-
siaché gli parve di ve«lere non già un He di fatto, ma in
(i) III dei Rr, XVIII. 17.
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sulla scena. A che far della molta ricchezza esteriore,
quando dentro di noi fossimo poverissimi ? E qual dan-
no dalla miseria se i tesori fossero nell anima nostra rac-
colti ? Tal leone si era anche san Paolo : infatti non entrò
appena le carceri, che al suono delle sue parole tutte si
scossero le fondamenta, e caddero le catene lacere nongià per forza dei denti, ma della voce *, quindi conviene
che non solamente leoni si chiamino i giusti, ma qualche
cosa ancora più dei leoni, chè il leone lulfìata caduto
nelle reti s’impiglia, e i santi avvinti che siano crescono
in fortezza, come lo diede a conoscere allora Paolo nella
carcere, che disciolsc gl’iucatenati, sgominò le pareti, e
legò il carceriere strigncndolo colla forza della religione
cristiana. Il leone rugghia e mette in fuga tulle le bestie:
grida anche il santo e scaccia da tulle parli gli spiriti
infernali. Le armi del leone sono l orror della giubba, la
ferocia delle tigne adunche, e l’acutezza dei denti;le armi
dei giusti sono il vero sapere, la temperanza, la pazien-
za e il disprezzo di tutte cose presenti. Chiunque sia
fornito di codeste difese, non è che sia maggiore soltan-
to agli assalti di tutti gli uomini malvagi, ma a quelli pur
anco di tutte le potestà nemiche. Cerca pertanto, o uomo,
di vivere giusta il volere di Dio, e non vi sarà alcuno
che valga a domarti, e, quantunque tu sembrassi il più
vile di tutti, pure sarai di tutti il più potente, di quella
guisa che tenendo in non cale la virtù dell’animo, quan-
tunque fossi agli altri superiore in potenza, pure pofrai
essere facilmente espugnato da chi li assalga: e ben gli
accennati esempli lo dimostrarono. Che se il volete pro-
curerò di farvi conoscere coi fatti clic indomabile è la
forza dei giusti, come facile ad esser vinta quella dei
peccatori. Osservate pertanto in che modo il Profeta ce
le dipinga : Non così,non così gli empi
,ma quasi poi
-
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vere che il vento caccia a fior di terra (i). Alla manie-
ra infatti che la polvere è apparecchiata ad esser sospin-
ta da ogni soffio di vento, anche il peccatore viene da
ogni tentazione espugnato. Che s’egli è in contrasto con
sè medesimo, e porta seco di continuo cotesta pugna,
qual v’ha speranza di salvezza per colui ch’è assalilo in
propria casa, e nella coscienza trascinasi dietro sempre
il proprio nemico ? Non avviene però lo stesso del giu-
sto. E che cosa è egli adunque ? Udite il medesimo Pro-
feta ch’esclama : Quelli che confidano nel Signore sono
come il monte di Sionne. E che vuol dire essere come il
monte di Sionne ? Che non si smuove in eterno (2), sog-
giugne. Adoprinsi quante macchine si vogliano, si lanci-
no tutte offese volendo scassinare il monte, e il monte
rimarrassi insuperabile. Che adunque ? Chi in ciò si ado-
pra vedrà cader infranti gli ordigni suoi e dispersa la
propria forza. Non è altrimenti del giusto, che da qua-
lunque trama venga assalito egli non soffre nulla per
questo, e fa tornar vuoti i tentativi degli insidiatori, nè
degli uomini solo, ma degli stessi demoni. Udiste altre
volte quante insidie usasse con Giobbe lo spirito infer-
nale, ma non solo non ottenne nulla contro di quel mon-
te, che dovette ritirarsi stanco, con gli strali spezzati, e
con le macchine rese inoperose da quel conflitto.
Ammaestrati pertanto di tutto questo, al bene at-
tendiamo di nostra vita, senza perderci nè dietro le ric-
chezze che ci abbandonano, nè dietro la gloria che man-ca, nè dietro il corpo che invecchia, nè dietro la bellezza
che guastasi, nè dietro i piaceri che si dileguano, mavolgendo ogui nostra cura all’anima e interamente ad
essa consecraudoci. Il risanare le membra inferme non
{ 1 ) SjIido I. (.
,q) Salmo GX XIV. t.
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è cosa da tutti, ma per tutti è facilissimo l'apprestare un
qualche rimedio all'anima afflitta;la guarigione del corpo
addiraanda medicamenti e danaro onde procacciarli; maquella dell'anima è d’un acquisto facile a tutti e senza spesa
di sorta. È proprietà naturale della carne, che a molta fa-
tica si rimargina dalle ferite che la corrodono, abbisognan-
do spesso l’uso del ferro e delle medicine più amare, do-
ve nell’anima non richiedesi nulla di tutto questo, poiché
basta vojere e desiderare e con ciò si ottiene ogni cosa.
E questa fu opera provvidenlissima del Signore, poiché
dalle infermità del corpo non può venirne un gran danno,
mentre quand'anche non ammalassimo mai, pur la mor-
te, che deve arrivarci, fia che disciolga e corrompa inte-
ramente le membra nostre;ma per lo contrario tutto è
riposto nella salute della nostr’anima:perciò Iddio fece
sì che agevolissima fosse la cura della parte più utile e
sola necessaria, e che potesse imprendersi senza spesa e
dolore. Quale scusa addurremo adunque, e quale merite-
remo perdono se del corpo, per cui dobbiamo sborsare
danaro, chiamare i medici, e reggere a’ dolori più acuti,
ci prendiam tanta cura, dove pure non è grave il danno
che dalla infermità sua ne deriva, ed invece non faccia-
mo conto alcuno dell'anima, per cui non è mestieri nè
trar fuori l’argento, nè rompere l'altrui riposo, nè prova-
re trafitta alcuna;per cui si addimanda solo che a risa-
narla del tutto adopriamo il proponimento e la volontà,
e sappiamo davvero che, se ciò non adempiremo, ci at-
tenderà il novissimo dei gastighi, ove tormenti e suppli-
cii che non finiscono mai ? Ditemi in vostra fede, se al-
cuno per qualche istante promettesse d’insegnarvi l’arte
medica senza vostro dispendio e fatica, noi credereste un
grande benefattore? Non vi assoggettereste a fare e sof-
frire tutto ch’egli dopo queste solenni promesse vi coman-
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classe? Eccovi adunque l’istante in clie senza patimenti
di sorta v’è concesso di trovare i rimedii alle piaghe non
già del corpo, ma dell’anima vostra, e ricondurla a per-
fetta sanitade senza sperimentare un’angoscia che sia-,
deh! non lasciamo per negligenza trascorrere codesto 1-
stante. Qual angoscia infatti, mostratemela, nel perdonare
all offensore? L’angoscia sta nel ricordare le ingiurie, non
già nel conchiuder la pace. Qual fatica nel pregare e chie-
dere dal Signore quegl’ innumerevoli doni ch’agli e di-
sposto a concedere? Qual fatica per non detrarre
alla fama altrui? Quale difficoltà a smettere l invidia ed
il livore? Quale molestia ad amare il prossimo? Qual
danno per non proferire sconcie parole, e non lasciarsi
andare alle villanie cd alle ingiurie contro degli altri ?
Qual penoso assunto per non giurare? Ed eccomi aver
tocco di nuovo il solito avvertimento. Anzi pena gravissi-
ma nel giurare -,poiché spesso per ira e per furore bol-
lenti abbiam giurato di non venire a patti più mai con
alcuno di quelli che ci davano travaglio, ma poscia allo
estinguersi dell’ira e all' acchetarsi del furore, volendoci
rappacificare con esso, e trovandoci impediti dalla neces-
sità clic ci ponemmo nel giuramento, ci siam doluti assai,
come fossimo stretti da un laccio e da catene indissolu-
bili avvinti. Nè ciò sfuggiva al demonio, che avendo co-
nosciuto appieno che l’ira è un foco facile ad estinguersi,
e che, estinta l’ira, ne segue la brama della riconciliazione
e dell'amicizia-, desiderando che codesto loco sen rimanes-
se inest inguibile, ne impacciò non di rado nel giuramento -,
affinché, quand'anche cessasse l'ira, sussistendola necessi-
tà della cosa giurata, fosse dentro di noi alimentatoli con-
cepito ardore, e dovessimo rompere ad uno di due scogli,
ch’è, od essere spergiuri riconciliandoci, o costituirci rei
ilei peccato di odio tenendoci da ogni conciliazione lontani.
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Poiché ciò apprendemmo, apprendici pure a schi-
vare i giuramenli, e la nostre labbra si adoprino a ripe-
tere spesso Credi: e sarà principalissimo argomento del-
la religion nostra.. La lingua infatti, ch'è avvezza a pro-
nunciare questa parola, si vergogna e confondesi a pro-
nunciarne dell’ altre sconcie ed assurde, e se inanellerà
di nuovo all’abitudine impresa, avendo moltissimi accu-
satori, richiamerassi. Couciossiacliè dove alcuno udrà chi
non giura aprire a discorsi immondi le labbra, è facile
che lo rampogni, il derida, e riprendendolo dica: O tu
che vai ripetendo sempre Credi,ned osi pronunciare un
giuramento, perchè mai con parlari osceni contamini la
tua lingua? Quindi è che anco nostro malgrado, eccitati
da’ circostanti, ritorneremo alla pietà religiosa. Ma qui,
soggiugne taluno, a che ci appiglieremo se v’abbia la
necessità di giurare? Oh! non v è necessità dove la vio-
lazion della legge. Ed è possibile, tuttavia ripiglia,
il non
giurare interamente? Che dici? Lo impose Iddio c ar-
disci richiedere s é possibile l’adempimento della legge ?
Anzi è impossibile il non adempierlo; e a persuadervi
che non è impossibile il non giurare, ma sibbene il giu-
rare, voglio trarne le prove dalle presenti aogustie. Aquelli che dimorano in città fu imposto l’esborso di tal
somma di danaro che sembra ecceda il potere di molti-,
eppure la maggior parte è già raccolta, e possiamo lutto
giorno ascoltare i gabellieri che a questo c a quello vnn
ripetendo: a che più ritardi? a che ne tieni di giorno
io giorno sospesi? Già non puoi scapparla: è legge del-
1 imperatore, e non patisce indugio, (die si va dicendo
pertanto? L’imperatore prescrisse di pagar la gabella e
non può avvenire che non la paghi, e Iddio prescrisse
di fuggire i giuramenti, e si ripete: Non possiamo fug-
girli? E’ questo il sesto giorno che vi trattengo intorno
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74.
a questo precetto, in seguito vorrò venire agli accordi di
pace, facendo grado grado mostra di ritirarmi, perchè
vi ritiriate ancor voi. Non vi avrete più scusa, non più
perdono, in ispecial guisa essendo certo che, quando
pure io non vi avessi parlato, dovevate correggervi di
per voi stessi •, cliè non è poi cosa sottile nè bisognevole
di molta preparazione. Che se vi furono dati tanti av-
vertimenti e consigli, a quale scampo vi appiglierete come
deporrassi contro di voi dinanzi il terribile tribunale di
Dio, allorché dovrete ricevere la condauna di questa
colpa?. Non vi si offrirà scusa di sorta, e sarà d'uopo, o
andarne assolti, perchè emendati, o non emendati sog-
giacere alla pena e piombare nel supplicio estremo. Ri-
pensate a quel che vi dissi, e partendovi di qua con mol-
to raccoglimento, cercate di soccorrervi a vicenda, onde
serbare diligentemente nel vostro spirilo le verità che vi
furono esposte in questi giorni, acciò, quand’ anche io
mi tacessi, possiate farvi l’un l’altro da maestri, e, ser-
vendovi di edificazione e stimolo al bene, abbiate a far
palese il mollo profitto che traeste; e quinci, adempien-
do gli altri precetti della legge, giugniate finalmente alle
corone eterne, cui ne sia concesso di conseguire median-
te la grazia e la misericordia del Signor nostro GesùCristo, pel quale e col quale si renda gloria al Padre in-
sieme ed allo Spirito santo per lutti i secoli de’ secoli.
Cosi sia.
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;.v
OMELIA V.
Loda quelli che s’ erano dispogliati dell'abitudine di giurare,
indi viene a distruggere la superstizione di quelli che
dopo il cibo ricusavano di portarsi in chiesa ad ascolta-
re il discorso;passa poi alla questione che per lo innan-
zi si avea proposto intorno al ritardo che occorse nella
promulgazione delle Scritture. Spiega le parole del Sal-
mista : I Cieli narrano la gloria di Dio, e conchiude col
precetto di non giurare.
Non ha guari io vi parlai ed ora torno a parlarvi
di nuovo. Oh!potessi trattenermi sempre con voi, ma
con voi ci sarò sempre, se non colla presenza corporale,
collo spirito almeno di carità: che la mia vita siete voi
propriamente c la sollecitudine della vostra salvezza. Edi quella guisa che il colono tutte volge le sue cure alle
sementi ed a’ maggesi, ed il nocchiere all1
acque ed ai
porli; così quegli che parla lutto si lascia andare a’pro-
prii uditori, e cerca il loro profitto, come di presente lo
cerco io. Quindi è che vi porto quanti siete nella mia
mente, nè qui soltanto, ma nelle domestiche mie pareti
pur anco. Che se numeroso è il popolo e breve assai la
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misura del mio cuore, tuttavia è abbastanza ampia la
curiladc, e dentro di me l’un I altro non vi premete;
nè dirò di più, poiché so che neppur io sono angustialo
dentro di voi. Ma d onde m’è ciò palese? Vidi molti che
mi dissero, abbiamo eseguito il datoci consiglio, e ci sia-
mo imposti delle leggi collo stabilire una pena a quelli
che giurano c col dimandare soddisfazione a tulli che la
legge imposta violassero: pena è questa opportunissima
all’uopo e indino di carità ferventissima. Nè mi vergo-
gno di tener dietro a codesto fallo, poiché in esso non
v è curiosità di sorta, sibbene desiderio di provvidenza;
e dove non disdice al medico rintracciare la condizione
deH'uinmuIalo, nou disdirà uè anco a me il muovere
continue inchieste sopra un delitto di’ è tanto nocevole
alia vostra salvezza. Di (al maniera avvertili di ciò clic
avole impreso, e di ciò che avete trascurato, mi sarà
concesso di apprestare dietro un ordine conveniente i
rimedii che tuttavia rimangono. Dopo di aver pertanto
diligentemente investigato, conobbi tulio questo o ren-
detti grazie a Dio, perchè non seminai sulla pietra, uè
ho sparso i germi fra le spine, nè ci fu d’uopo di lunga
stagione o di molto indugio alla raccolta delle messi.O O
Quindi è che vi trovo sempre nel cuor mio, e rinfran-
calo dal profitto degli uditori, non m’accorgo della fa-
lica nell istruirli. E questa la sola mercede che può ri-
parare le perdute forze ed accrescerle, e tenermi sempre
in veglia c pronto a superare in prò’ vostro ogni osta-
colo per arduo che fosse. Poiché dunque voi mi deste
molli contrassegni di gratitudine, vengo anch’io a pa-
garvi quel debito che non ha guari mi sono assunto,
benché non vegga presenti coloro tulli che mi stavano
intorno allora che vi feci la solenne promessa. E di ciò
qual n’ è il motivo? Che mai li tenne lungo dal nostro
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banchetto? Pare che mi giudichi indegno di accostarse-
ne chiunque sedette alla mensa terrena, come fosse dis-
dicevole il porgere ascolto alle verità celesti dopo di a-
ver pasciuto il corpo. Ma in ciò non pensano bene, poi-
ché, quando fosse un assurdo, Cristo non avrebbe di
tanto prolungato i suoi discorsi dopo quella mistica ce-
na, nè, quando disdicesse, avrebbe sì ripetute volte ri-
storata di cibo la moltitudine nel deserto, seguendo,
come pasciuta l’ ebbe, ad ammaestramela. Che se mi si
concedesse dire alcuna cosa fuor dell’ opinione comune,
direi anzi che in simili circostanze torna vantaggiosissimo
il dover poi ascoltare la parola di Dio -, mentre, ove sap-
piate, che dopo di aver mangiato e beuto v’è mestieri
intervenire all’adunanza della chiesa, anche vostro mal-
grado userete di molta sobrietà, nè vi abbandonerete al-
la gozzoviglia ed all’ebbrezzajchè la sollecitudine e l’at-
tenzione di portarsi al tempio, fa che si mangi e si be-
va con assai temperanza, affinchè entrando e mescen-
dosi a'compagni, il grave odore del vino e gl'immodesti
gemiti dello stomaco non ci rendano oggetto di de-
risione ai vicini. E questo il dico non già a voi che in-
terveniste, sibbene a quelli che mancano, e il dico per-
chè Io riportiate ad essi. Loro adunque riporterete, che
non il cibo, ma il torpore è d’impedimento ad ascoltare.
Voi che giudicate esser delitto il non digiunare, incor-
rete in un altro d’ assai più grave, che ricusate di par-
tecipare alla sacra mensa, e, mentre nudrite il corpo,
lasciate perir di fame l’anima vostra. E qual mai scam-
po vi avrete? Nel digiuno forse varravvi a scusa la fisi-
ca debolezza;ma circa l’udire la parola di Dio che cosa
potrete addurre? La debolezza del corpo non è l’impedi-
mento che basii a tenervi lunge dagli spirituali discorsi.
Se aveste detto niuno intervenga dopo di aver pranzato,
11
1 8
ninno ascolti dopo del cibo, v’avreste una qualche ra-
gione-, ma ora invece che foste scopo alle chiamate, agli
allettamenti, agli stimoli nostri, quale scusa avete per
riGutarvi ? Sarebbe uditore inopportuno, non già colui
che ha mangiato e bevuto, ma sibben quegli che non
porgesse orecchio alle parole, che se ne stesse peritoso
e distratto, che, mentre colla persona è qui, va errando
altrove colla mente; questi, per quantunque digiuni, non
può trar dal sermone proGlto alcuno. Quegli allo incon-
tro che stassene desto, pronto e collo spirito ioteso, ò
fra tutti gli uditori il migliore. Che se ne’tribunali e nel
foro ebbe giustamente luogo la contraria legge, questo
avvenne, perchè gli uomini mal sauno governarsi a se-
conda della ragione, e mangiano non già per vivere, maper iscoppiare, e bevono oltre misura, rendendosi per
tal guisa inetti all’amministrazione della pubblica cosa;
quindi sul mezzogiorno e sulla sera non occupano nè il
senato, nè il foro, Tolga Iddio che qui sia lo stesso di
noi. Quegli che mangia deve nella moderazione dell’animo
essere eguale a chi digiuna*, poiché mangia e beve, non
perchè gliene scoppii il ventre e s intenebri la ragione, maperchè le membra affievolite si riconfortino.
Qui abbia Gne la riprensione, eh’ è ornai tempo di
passare all’ argomento proposto, quantunque il pensier
mio rifugga ed esiti in parte circa la dottrina da esporsi,
e ciò a motivo di quelli che non intervennero. E comeè di una madre amorevole che se dopo di aver imban-
dita la mensa non vede presenti tutti i suoi Ggliuoli,
s’addolora e geme; tal è di me che ora soffro, e pen-
sando alla mancanza de’ nostri G-atelli, per poco mi riti-
rerei dall' adempiere le promesse, uia voi potete toglier-
mi a questa incertezza : mentre se mi promettete di
riportare esattamente ad essi tutto che io dirò, allora
d by Goosle
V 9
li
Vengo a soddisfarvi pienamente;che le mie parole saran-
no conforto alla loro assenza, ammaestramento alla vo-
stra carità, e voi mi ascolterete più attentamente sapen-
do che v’è d’uopo riferire agli altri le cose esposte. Af*
finche però più chiaro proceda il mio discorso, giovi ri-
chiamarlo a quello che si disse superiormente. Testé
chiedevamo per qual motivo le Scritture fossero pro-
mulgate tanti anni dappoi*, chè non a’ tempi di Adamo,di Noè, di Abramo, sibbene a quelli di Mose venne in
luce cotesto libro;ed ascolto ripetersi da molti, che se
quel libro era utile, doveva essere promulgalo da prin-
cipio, se inutile non facea di bisogno neppure appresso.
Ma il ragionamento è affatto assurdo*, poiché quella cosa,
che piò tornare in seguito proGttevole, non dev’ esser
data assolutamente da principio*, nè se dapprima conce-
desi alcuna cosa, è assolutamente necessario che sempre
sussista. E' utile anche il latte, pure non ci si dà di con-*
linuo, ma quando siamo bambini : sono utili anche le
solide sustanze nutrienti, pure non v’ ha chi ce le porga
da bambini, sibbene allora che siamo usciti dell’ eluda
infantile. Di più: è utile la state, ma non dura sempre)
è vantaggioso il verno, ma passa anch’ esso, E perchè a-
dunque, ripiglierà alcuno, non sono utili la Scritture?Cer-
to utilissime, anzi necessarie. Ma insisterà egli: dove sien
utili, per qual ragione non si promulgarono fin dal prin-
cipio? perchè non a mezzo della parola scritta, ma sì dei
fatti voleva Iddio ammaestrare la natura umana. E che
cosa vuoisi dire a mezzo dei fatti ? a mezzo delle mede-
sime creature. Uscendo in questo sentimento l’Apostolo,
e scagliandosi contro i Gentili che dicevano : Da princi*»
pio non apprendersi la cognizione di Dio dalle Scritture)
udite ciò che dà loro in risposta. Dopo di aver detto i
Dal cielo manifesterassi l'ira del Signore sopra ogni
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empietà ed ingiustìzia di quegli uomini che volgono adopere inique la verità di lui (i), ed accorgendosi del-
l’obiezione che gli potea venire a rincontro, e di molti
che avrebbero potuto chiedere, d’onde i Gentili avessero
conosciuto la verità di Dio, insiste dicendo : Perchè tut-
to di è noto di Dio è pur manifesto in essi. E in qual
maniera è manifesto in essi ? In qual maniera potevano
conoscere Iddio? INè di’ : Chi ad essi lo insegnava ? Iddio
stesso 1 ha manifestato loro,soggiunge. E con qual mez-
zo? Quale inviò Profeta, quale Evangelista? Qual dot-
tore, se le Scritture ancora non esistevano? he invisibili
cose di lui,ripiglia, dalla creatura terrena per via di
quelle che si veggono,a mezzo della intelligenza
,si
percepiscono e con esse la sua virtù sempiterna e la
divinitade. E tale è veramente la cosa, come la dimostrò;
poiché Iddio pose dinanzi agli occhi di tutti le create
cose, affinchè dalle create cose argomentassero del Crea-
tore*, quindi è che im altro ripeteva: Dalla grandezza
e venustà delle creature con giusta proporzione si ascen-
de all’ autor delle stesse (2). Ne vedeste la grandezza ?
Considerate, meravigliando, la potenza di chi le creava.
Ne vedeste la venustà? Magnificate adunque la sapienza
di chi le adornava;lo che ebbe a notare il Profeta, di-
cendo : I cieli narrano la gloria di Dio (3). Ma come, io
chiedo, la narrano ? Non ban voce, non hanno bocca, non
lingua, come narrano adunque? Col mostrarsi che fanno.
Allorché infatti scorgete la bellezza, la magnificenza, l’ele-
vatezza, il sito, la forma loro sussistere per sì gran tem-
po, di là se n’ esce quasi una voce che grida e ma-..
...
(1) S. Paolo ai Romani t, 1 8, e seguenti.
(2) Sapienza, XIII, !».
(5) Salmo XVIII, 1.
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nifestandosi v’ apprende ad adorare colui che corpi si
vaghi e meravigliosi creava. Tace il cielo, ma la sua
presenza emette un suono di quello d’ ogni squilla più
acuto, che, per le orecchie non già, ma ne ammaestra
pegli occhi;e questo senso è per legge di natura del-
l’ altro assai più certo e più chiaro. Se ci avesse insegna-
to per via di lettere e di libri, avrebbe dagli scritti ap-
preso chi n’ è conoscitore, ma l’ ignorante se ne sarebbe
andato senza profitto alcuno, quando non avesse chiamato
in suo soccorso alcun altro. Pel ricco sarebbe stalo facile
il comperare il libro, ma il povero non avrebbe potuto
fare altrettanto. Indi quegli che conosceva le voci espres-
se a mezzo delle lettere ne penetrava pur anco il senso,
ma lo Scita, il Barbaro, l’ Indiano, l’ Egizio e tulli gl' i-
gnari di quella lingua non avrebbero inteso nulla. Que-
sto però non puossi dire del cielo -, che lo Scita, il Bar-
baro, l’ Indiano, l'Egizio, ciascun uomo che cammina so-
pra la terra vale a comprenderne la parola -, chè invece
dell’ orecchie usa degli occhi onde entrare nella nostr’ a-
niina, e in un modo medesimo entriamo a parte delle
cose visibili, non già diverso, com’è quel delle lingue.
Nel libro del cielo può leggere egualmente e l’ idiota, e
il saggio, e il povero, e il ricco, e qualunque altro ap-
presterassi a guardamelo, ne trarrà dalla sua vista gli op-
portuni ammaestramentijed a ciò alludendo il Profeta, e
dimostrando, che le create cose fanno udire la propria
voce a’popoli barbari e civili e a tutti che vivono nel-
l’universo, voce facile ad essere intesa, diceva: Non v'ha
discorso o parola in che non suonino le lor voci ( i ). Eciò eh
1
ei dice è verissimo, poiché non evvi nazione o
favella che non comprenda il linguaggio dei cieli, linguag-«
(1) Stimo XVIII, 3.
àoogle
•I
gio che si guadagna ascolto dagli nomini tutti : e tale si
è non già soltanto quello de’ cieli, ma del giorno e della
notte ancora. E in qual maniera quello del giorno e della
notte? I cieli colpiscono colla bellezza, colla magnificenza
e con le altre lor meraviglie gli spettatori, e li traggono
a glorificare chi li creò;ma il giorno e la notte che cosa
possono mostrar mai? Nulla di tutto questo, ma ben al-*
tri prodigii degli accennati non inferiori. Che, dove pen-
serete, come ciascuna cosa venga nell’annuo corso distri-
buita, c come apparisca quasi da lina misura e bilancia
la lunghezza dell’intero spazio divisa, ammirerete certa-
mente Quegli che a codest’ ordine ha preseduto. Non al-
trimenti infatti da quelle germane che divisa abbiano
tra loro 1’ eredità paterna senza lasciarsi andare ad alcu-
na offesa; così anche il giorno e la notte egualmente dis-
trihuironsi con tutta esattezza l’ intero corso dell anno,
ed osservano i propini limiti, nè a vicenda si usurpano
mai ciò che loro individualmente appartiene. Nel verno il
giorno non fu mai lungo, nè mai lunga la notte nella
state per quante furono le generazioni che ne precedet-
tero;ma nella stagione e nel medesimo punto 1’ uno non
ebbe più dell’ altra, nè una mezz’ ora, nè un briciol di
tempo, nè un batter di ciglio-
Quindi anco il Salmista meravigliato di tanta ag-
giustatezza esclamava, dicendo : La notte è alla notte di
sapienza dichiaratricej e dove ben sapeste ragionare so-
pra di ciò, sareste presi di riverenza verso Colui che fin
da principio pose que’ limiti inviolabili. Codesti latti li
osservino gli ai-ari ed anelanti aU'altrui roba, ed imitino
1* eguale giustizia del giorno e della notte. Li osservino i
vanitosi che superbamente si adergono, nè vogliono ce-
dere agli altri il primato;veggano come il giorno si ri-
tira in faccia alla notte senza oltrepassare i proprii con-
85
fini, e si vergognino di non volere impartir mai a' proprii
fratelli quell’onore di che essi godono sempre. Considerate
d’ avvantaggio con meco la sapienza del supremo Legis-
latore : volle che le notti fossero luogbe nel verno, quan-
do le sementi sou molli e di refrigerarsi abbisognano, nè
reggerebbero al sole troppo infuocato; ma come sien cre-
sciute, con esse va pure crescendo il giorno, e diviene
più lungo allora che più sode sono le frutte, Nè questo
conviene soltanto ai seminati, che ne profittano i corpi
stessi : poiché nel verno il nocchiere, il pilota, il vian-
dante, il soldato e l’ agricoltore se ne stanno alla dilunga
in casa impediti dal ghiaccio, per cui il verno è la sta-
gione dell’ ozio; perciò Iddio stabilì che nella notte il
maggior tempo si consumasse, affinchè non tornasse inu-
tile la maggior lunghezza del giorno agli uomini inope-
rosi. Chi poi varrebbe a descriver V ordine delle stagioni
dell’anno? Com’esse, al par di altrettante vergini che
danzino in giro, con molta accortezza si avvicendino, e
come grado grado senza la minima alterazione quelle di
mezzo non cessino di dar mano all’ opposte? Quinci dal
verno la state non ne riceve, nè il verno immediatamente
dalla state che passò;ma frapposta è la primavera, affin-
chè, l’un l’allro mitemente succedendosi i giorni, i con-
densali nostri coipi vengano senza offesa condotti alla
stagione estiva;e mentre i repentini e conlrarii muta-
menti porterebbero cou sè e danni e malattie gravissime;
così il Signore ordinò che dal verno ne ricevesse la pri-
mavera, dalla primavera 1’ estate, e dalla state l’ autunno
che dovea ricondurne di nuovo allo inverno. Per cui
succedendosi a poco a poco gl' indenni mutamenti delle
contrarie stagioni dell’anno, vengono dalle intermedie
condotti in giro. E qual havvi uomo sì miserabile ed in-
felice, che guardando al cielo, guardando al mare, alla
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terra, olle stagioni che in sì mirabil modo si attemprano, '
guardando all’ ordine inalterabile del dì e della notte, si
pensi che queste cose avvengano all* impazzata, nè adori
Colui che con sapientissimo accorgimento le dispose? Ep-
pure ho da dirvi qualch’altra cosa di più;chè uon la sola
magnificenza c bellezza, ma il modo stesso della creazio-
ne dimostra come il sovrano ordinatore sia grande. Perchè
adunque non eravamo presenti a Lui che da principio
creava e poneva il tutto a suo luogo, e nè anco, se fos-
simo stali presenti, avremmo potuto conoscere come
Egli facesse, chè ciascuna cosa per invisibile virtù com-
ponevasi;così lasciò che il processo della creazione ne
valesse il miglior maestro, mostrandoci come tutto che si
formava traesse da una soprannatural conseguenza l’o-
rigin sua. Forse quello che dissi è soverchiamente o-
seuro: è d’uopo adunque che si venga ad una più chia-
ra dimostrazione. Tutti confessar devono eli’ è una con-
seguenza naturale, che l’ acqua sopra la terra, non già
che la terra sia portata dall’acqua, mentre la terra densa,
compatta, non cedevole, e solida com’ è, può facilmente
sostenere la natura acquea’, ma l’acqua ch’è liquida, fie-
vole, labile, sfuggevolissima e dividentesi ad ogni osta-
colo che le sorvenga, non varrebbe a sorreggere alcun
corpo per quantunque leggerissimo ei fosse; poiché di
spesso, ove le cada sopra una pietruceia, cede e si riti-
ra c la lascia cadere sino al suo fondo. Allorché pertanto
vedete non una picciola pietra ma tutta la terra esser por-
tata sovra dell’ acque senza sommergersi, ammirate la po-
tenza soprannaturale che prodigiosamente opera tutto
questo. E d’onde rilevasi che la terra si porti sopra del-
l’ acque? Dal Profeta che dice: Ei sovra dentari pose
le suefondamenta,e sovra dei fiumi innaìzolla (>). E
(1) Salmo XXIir, ..
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di nuovo:Quegli che stabilì sopra dell' acque la terra .
Che di tu, o Profeta? L’acqua non può sostenere alla
sua superficie un sassolino, e sorregge poi una mole co-
sì vasta coni è la terra co’ suoi monti, e colli, e città, e
piante, ed uomini, ed animali, c non si sommerge ? Eche dico soltanto non si sommerge ? Per qual ragione
dall’ acqua che da sì gran tempo le sta al di sotto non
fu disciolta e non cangiossi in fango? Se la natura lignea,
per poco che rimanga nell’acqua, s infracida e si corrom-
pe: ma che parlai della natura lignea, se non v’ha cosa
più resistente «lei ferro? Eppure anch’esso affralisce come
sempre giaccia entro all’acqua, e nou a torto, traendo
dalla terra l’essenza sua. Quindi alcuni degli schiavi che
disertarono, poiché si trassero lungamente addietro i
ceppi e le catene, dove giungano alla riva di qualche fiu-
me, calano giù nell’ acque gli avvinti piedi, e, ammol-
lendo il ferro di questa guisa, lo sbattono poi co macigni,
e lo spezzano. Dunque per mezzo della sostanza acquea
il ferro affievolisce, imputridiscono i legni, corromponsi
le pietre, e la vasta mole della terra, sovrapposta da tauli
secoli all’ acque, non è sommersa, non disciolta, non au-
cor dileguata ( i)?
Chi non islupisce e non si meraviglia di ciò, c con-
fidentemente non esclama, che non può essere l’opera
della natura, ma sibbene d una provvidenza alla natura
di mollo superiore? Quindi è che un altro disse di Dio:
(1 ) Lo sviluppo di lutto questo argomento, ove il Ciisoslomo
vuol dichiarare che con una conseguenza sovrannaturale la lena fu
posta sopra dell' acque, s’appoggia alle teorie di que’ giorni, cui al pi-
gliare clic (accasi dalla Scrittura i testi a spiegazione delle verità fisiche
in que’ luoghi ove la Scrittura non intende scicntificamcutc .spiegamele,
sibbene enfaticamente rappresentarle. Quindi cotesto sviluppo e le se-
guenti deduzioni mancano di quel vigore di che ordinariamente abbon-
da il Padre deli' eloquenza cristiana,
12
v-..
yf
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Che sospese la terra sopra del nulla (i); e il primo an-
cora: Stanno in sue mani i cardini della terra (a), e al-
trove : Sopra dei mari l'aderse (3). I quali detti, mentre
sembrano esser contrarii tra loro, s’accordano perfetta-
mente, Quegl’ infatti che disse: che taderse sovra dei
mari,non disse diversamente da quello ch’esclamò: a-
verla Iddio posta sopra del nulla;che il porla sopra del-
l’acque è lo stesso che sopra il nulla, Dov’è adunque po-
sta e sospesa? Si ascolti il medesimo che soggiugne : Nel-
le mani di Dio stanno i cardini della terra;non perchè
Iddio abbia mani, ma perchè apprendiate che provvede
a tutto quella potenza che la terrena mole porta e con-
tiene. E se non credete alle parole, credete almeno a
quello che vedesi, e vi sarà dato di trovare in un altro
elemento una simile meraviglia. E” natura del foco quella
di tendere in alto, e di salire sublimemente, e per salire
ha ricevuto la forza dalla natura;quindi per quanti osta-
coli si frappongano c lo premano, egli non soffre d' es-
ser cacciato allo ingiù. Epperò tal fiata, prendendo fra
mani una face accesa, c rovesciandola col lucignolo, uon
iuforziam mica il foco a giù volgere il proprio empito,
ma di là allo in su si raddrizza, e s’ affretta a guadagna-
re precipitosamente la cima. Iddio nullameno fè tutto il
contrario nel sole che volge i propri! raggi alla terra,
sicché allo ingiù rinversa la luce,per cui nel fatto ap-
pare, benché non suonino le parole, che Iddio gli dices-
se: Guarda a te di sotto, c manda la tua luce agli uomi-
ni, mentre per essi fosti crealo. E dove la fiamma d’una
lucerna non può essere costretta a tanto, un astro si
grande e mera\iglioso inferiormente si volge e guarda alla
(1) Giobbe XXVI, 7.
(2) Salmo XCIV, <.
(5) Salmo XXIII, 2.
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lerra contro la potenza del foco, ma per quella ili chi
glielo impose. Volete che vi richiami ad altro prodigio
di simil l'atta? Le volte di questo cielo che noi reggiamo
sono dalle acque ovunque recinte, acque che non Scor-
rono, che non traboccano, quantunque veramente la na-
tura dell1
acque non sia tale, poiché vanno spontanea-
mente a metter capo nei bacini, e dove s" abbattano in
qualche corpo convesso giù colano da tutte parti, men-
tre in alcun luogo sovr’csso non possono trattenersi. Macotesto miracolo fu operalo nel cielo, c quindi il Profe-
ta, accennandolo, diceva: Lodale il Signore voi,accjue
,
che siete sopra del ciclo (i). Nè le acque spensero il
sole, nè il sole percorrendo la prossima region sottopo-
sta asciugò le acque clic gli stan sopra (2). Ma deside-
rate forse di ritornar sulla terra, c di trar quinci gli og-
getti delle meraviglie vostre? Non vedete codesto mare
da fiotti c da furiosi venti agitato? Ma cotesto mare ed
ampio, e profondo, e burrascoso è ritenuto da un am-
masso di lievissima arena. Ed ammirate la sapienza di
Dio, la quale non permise che stesse piano e sen rima-
nesse in calma, affinchè non si pensasse esser questa la
condizione della natura sua; ma fermandosi entro a po-
sti confini mormora, si conturba, altamente ruggisce, c
solleva a smisurate altezze i proprii flutti: quaudo poi
presso il lido giugno a toccare la fragilissima arena, si
frange ritornando in se stesso, c per l’uno c l’altro di
questi fatti ne insegna che non è opera della natura lo
starsene di’ ei fa ne’limiti segnati, ma potenza di colui
(1) Satino CLXXXIV, 4.
(2) Questo sistema c l’altro esposto superiormente intorno al
Sole sono a dir vero singolari. Noi profittammo, noi niego, d’assai
nelle conoscenze fisiche; ma quelli die vcrran dietro rideranno forse
di molte nostre opinioni.
*
9*
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clic il raffrena. Quindi è che innalzò una diga delude as%
sai, non opponendo nè travi, nè macigni, nè monti dap-
presso ai lidi, acciò non si credesse che il terribile ele-
mento fosse per essi tenuto in freno. Quindi è che il Si-
gnore un tempo rimproverando gli Ebrei sciamava : Nonavete paura di me, che ho dato per confine al mareVarena, e il mare non oltrepasseral/a (i). Ne il mera-
viglioso, o nomo, si limita a ciò, che il Signore abbia
latto cotesto mondo e grande e magnifico, che l’abbia
creato per via di sovrannaturali conseguenze, ma di più,
che stabilito lo abbia su principii in opposizione tra loro,
che sono il caldo e il freddo, la siccità e 1’ umido, il foco
e l’acqua, la terra e l'aria, e questi contrarii elementi,
da cui l’universo è formato, mentre pugnan fra loro, fra
loro non si consumano, e il foco non sorviene a discio-
gliere in cenere, e l’ acqua non si versa a sommergere
l’orbe intero. Pure succede ne’nostri corpi die le accre-
sciute concrezioni biliari generino la febre, e tutto al-
terino il sistema animale, e dagl’ indigesti alimenti, ove
soverchiino, hanno origine moltissime malattie, e corrom-
pono le forze della vita. Nell’universo però non avvien
nulla di tutto questo, ma ciascifha cosa, come governata
fòsse da un freno e dalle proprie sue briglie, si ferma
per voler del creatore a guardia de’proprii conGni, e dal
vicendevole combattimento nasce per P universo la ra-
gione della pace. Forse anche il cieco non vede, e P i-
diota non comprende che nelle cose creale ci volle una
provvidenza a formarle ed a reggerle ? Havvi uomo sì
pazzo c stupido che volgendo gli sguardi ad una mole sì
vasta, e tanta bellezza, ed ordine, e continua pugna di
elementi, ed opposizione, c perseveranza contemplando,
(1) Geremia, V, 22.
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non ragioni seco stesso ed esclami : 0\e non esistesse
una provvidenza forte abbastanza per governare la gran-
dezza di tonti corpi ed impedire che si disciogliessero,
non avrebbero avuto nè sussistenza, nè durata che fosse?
Tant’ ordine nelle stagioni dell’anno, tanto accordo del
giorno c «Iella notte, tante specie di animali irragione-
voli, di piante, d’erbe, serbano tuttavia la propria na-
tura, e nulla fino a quest’oggi andò perduto, Giulia fu in-
teramente consumato !
Nè qui farebbe sosta l1
orazione, cbè si avrebbe
potuto narrare altre cose sublimi assai, e discorrere anco
intorno all’ uomo', ma, differendo all’ indomane, cerchia-
mo di scolpire ben addentro nell’anima ciò clic si disse,
e riferirnelo agli altri. So che le orecchie vostre non sono
avvezze alla profondità delle sentenze scritturali*, ma, per
poco che attendiate, ne piglierete la consuetudine, e po-
trete divenire maestri altrui. Frattanto è d’uopo clic
la religiosa vostra pietà dica a se stessa : di quella guisa
che Iddio volle glorificare 1’ uomo per mezzo di tante
cose create, conviene che noi rendiamo onore a lui nei
nostri discorsi. I Cieli narrano la gloria di Dio col solo
mostrarsi che fanno, e noi pure celebriamo la magnifi-
cenza di Dio non solo parlando, ma tacendo ancora, e
procuriamo di trarre tulli gli uomini ad ammirarne colla
santità della nostra vita: Risplendala vostra luce infac-cia agli uomini
,affinchè veggano le vostre opere buone
e glorifichino il Padre vostro c/tè nel cielo ( i). Allorché
iufalli T infedele vedrà voi credenti composti, modesti,
adorni di virtù, raccoglierassi sopra se stesso e (lira : Ohsì, eh’ è veramente grande il Dio dei Cristiani ! Quali
uomini formossi Egli mai? E quanto diversi da quel
(1) S. Malico, V, 16.
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eh’ erano li fece? D’uomini in angeli si cangiarono. Se
alcuno li oltraggia, non rompono in ischiatnazzi;se li
percuote, mostrano di non accorgersi; se li caricano
d’ingiurie, pregano per quelli che li offesero;non hanno
alcun inimico, non nutrono odio di sorta, non sanno fol-
leggiare, non appresero a dir menzogne, non si lasciano
andare a spergiuri, anzi neppure a giuramenti;che voi'*
rebbero cadesse loro di bocca la lingua più presto che
usar di essa a giurare. Diamo ad essi motivo di dir tut-
to questo, c togliamo da noi la malvagia abitudine di giu-
rare, e concediamo almeno a Dio quell'onore medesimo
che a' nostri più preziosi vestili. E non è forse assurdo
l’astenersi dal pori aite con frequenza una veste eh’ è mi-
gliore delle altre, e poi temerariamente e dovunque
strapazzare così alla ventura il santo noine di Dio? Vi
prego pertanto e vi scongiuro di non tenere sì a vile la
vostra salvezza; e la cura che usavain da principio in-
torno a questo precetto, sino al termine si prolunghi.
E' perciò che di continuo io vi parlo de giuramenti, non
a condanna della infingardaggine vostra, ma perchè so
che vi siete per la massima parte corretti, e bramo ed
affretto 1 istante in che tutto si compia, ed abbiasi il fi-
ne desiderato. Non altrimenti diportansi gli spettatori
ch’eccitan quelli che stanno dappresso al palio. Non i-
slauchiamoci adunque, giacché siamo presso il termine
della correzione, c la difficoltà trovavasi nel principio.
Come iufatti si tolse il maggior nerbo alla consuetudine,
e ne rimane assai poco; non v ha neppure mestieri di
gran fatica, ma di un po' d attenzione, e con qualche di-
ligenza otterremo in breve d essere corretti noi medesimi
per far da maestri agli altri, onde celebrar fiduciosi le
sacre feste pasquali e con la più dolce compiacenza al-
legrarci due c tre volle più dell usato. Che la gioia non
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r *'•
91
dee venirci tanto dall' essere ornai liberi dal peso e dalla
diflicollà del digiuno, quanto dal farci incontro a code-
sta eccelsa solcnnitade cou qualche merito cd una qual-
che spiendida corona, corono che non sarà per infraci-
dirc giammai. Per emendarvi poi più presto fate quel
che vi dico: Ritraete sulle pareli di vostra casa, e in
ispccial guisa sulle pareli del vostro cuore, quella l’alce
che volando ruota, e pensale che ruota a maledizione (i ).
Meditatela spesso, e se udrete alcun altro a giurare, cor-
reggetelo, raltcuetelo, e prendetevi cura de' vostri servi.
E se ci studieremo non solo ad operar noi rettamente,
ma a trarre gli altri nel medesimo proposito, presto
ghigneremo al fine : poiché facendoci a correggere gli
altri, proveremo confusione e vergogna se tralasciassimo
di far noi quello che agli altri imponiamo. Né si richie-
dono più parole, ché molte già se ne dissero per lo in-
nanzi, e queste furono ripetute soltanto ad eccitamento
della memoria. Iddio pertanto, che assai più di noi al
bene della nostr anima provvede, ed in questa ed in o-
gni altra virtù ne faccia pcriclii, affinchè, dopo di aver
prodotto ogni frutto di giustizia, possiamo esser fatti de-
gni del regno de’ cicli per la grazia e la misericordia del
nostro Signor Gesù Cristo, pel quale e eoi quale al Pa-
dre insieme ed allo Spirilo Santo sia gloria per tutti i
secoli de secoli. Così sia.
(i) 1/ imaginc è del Profeta Zaccaria, V, 1.
l'Or
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«
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ju. -'ifj uè ^
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OMELIA VI.
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Loda cortesemente coloro che dopo il cibo vennero ad ascoi-
tarlo, segue la narrazione della magnificenza e bellezza
delle cose create ; poscia si volge contro i Gentili che «-
doravano come l)io le creature, e finisce col parlare de
giuramenti.
Mi raìlegro con tutti voi e vi ringrazio perchè a-
dempieste col fatto l’ avvertimento che testé vi porgeva
intorno a coloro che non digiunando si tenevano pur
lontani dalle nostre adunanze. Mi penso eh oggi saranno
intervenuti molti di quelli che già pranzarono a rende-
re gradevole ed affollata codesta udienza, e di questo
n’è indicio il maggiore spazio occupato che mi si offre,
e il numero accresciuto degli uditori. Non indarno per-
tanto, come scorgesi, consecrai molte parole per essi
esortando la carità vostra a trarneli in seno alla madre
e persuaderneli che dopo anche il nutrimento del corpo
lor si concede entrare a parte della mensa spirituale.
Quando poi per vostra fede, o miei cari, vi diportaste
meglio? Nell adunanza passata, allorché dopo la mensa
vi abbandonaste al sonno, od ora che dopo la mensa ad
ascoltare i divini precetti conveniste? Allorché vi Ira t-
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tenevate nel foro unendovi a que’convegni ehc non avean
nulla di buono, ed ora che vi associaste a’vostri fratelli,
onde porgere orecchio alle senteuze profetiche ? Non è
vergogna il mangiare, o miei diletti, sibbene il fermarvi
in casa dopo di aver mangiato, e l’andar privi di questa
sacra funzione. Trattenendovi in casa più e più vi stem-
prerete nell’ozio e nella infingardaggine;qua accorren-
do il sonno ed il torpore partirassi da voi, nè il torpore
soltanto, ma deporrete ogni tristezza e vi troverete più
lieti ed agili ad ogni evento. Non è mestieri dirvi «li
più. State dappresso a quelli che digiunano e sentirete
come olezzino soavemente. Chi digiuna infatti è un un-
guento spirituale, e dagli occhi, dalla lingua, dappertut-
to traspira la santa attitudine di quell'anima. Nè questo
io dissi ad accusa di quelli che si cibarono, sibbene a
dimostrare quali vantaggi derivino dal digiuno. Nè chia-
mo digiuno solamente l’astinenza dai cibi, ma, più che
questa, la fuga delle colpe •, mentre anche quegli che,
pasciuto, interviene colla modestia che gli si addice, da
chi digiuna non è superato di molto;come per lo con-
trario il digiunatore che non attende con diligenza ed
amore alle cose che qui si dicono, non trarrà certo gran
profitto dal suo digiuno. £ chi piglia cibo e si accosta
con la richiesta compostezza al sacro sermone, è di mol-
to preferibile all’altro che non mangia e si sta lontano;
chè non ci può tanto giovare la fame, quanto ne giova-
no e si tramutano in nostro bene gli ammaestramenti
dello spirito. Dove per vostra fede udrete le cose che
si ragionano in questo luogo? Se andrete nelle piazze,
troverete delle risse e delle contese: se nella curia, la
sollecitudine delle cose civili;se in casa, vi preme ovun-
que l’amministrazione delle sostanze private; se ne’ cir-
coli e nc consessi del foro, udrete che sol d oggetti ter-
1
5
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[)A
reni e corruttibili si parla*, cioè di merci, di tributi, di
laute mense, di rendite di campi o simili contralti, di
testamenti, di eredità, e d’altre cose di questa fatta che
vanno per la bocca di que’ch’ivi s’adunano. Che se po-
neste piede nella medesima reggia, ascoltereste ciascuno
anche là parlar di danaro, di potenza e di quella gloria
che pone ivi il suo seggio, ma di spirito nulla. Qui per
lo contrario si parla unicamente di oggetti celesti*, del-
l’anima e della vera nostra vita;e perchè siara creati,
perchè dimoriam tanto tempo quaggiù *, dove ce ne an-
dremojquinci dipartendoci che cosa apparecchicrassi
per noi dopo questo pellegrinaggio, per qual motivo
sono fragili le membra, qual sia la natura della morte,
e quale finalmente la vita d’oggidì e l’avvenire: nè di
terra v ha discorso, sibbene son tutti spirituali ed offe-
renti una buona provvista pel viaggio alla nostra eterna
salvezza, per cui di qui confortali dalla più felice spe-
ranza cen partiremo.
Poiché adunque non gettammo indarno le seinem
ti, e come io vi esortava avete guadagnato que’tutti eh*'
nella trascorsa adunanza mancavano, permettete che
dopo avervi retribuito della gratitudine che meritate, e
dopo avervi richiamato a memoria alcune delle cose già
esposte, vi soddisfaccia di ciò che resta. Quali sonopertanto
le cose esposte? Indagammo la ragione e il modo con
che Dio provvide al nostro ammaestramento prima che si
promulgassero le Scritture, e abbiam detto che a mez-
zo delle create cose erudì il genere umano, dispiegando
sovra di noi il cielo e ponendolo innanzi a tutti, perchè
fosse il libro massimamente utile agl idioti, ai saggi, ai
poveri, ai doviziosi, agli Sciti, ai barbari, a quanti abi-
tano l’universo, utile più assai d’ogni moltitudine di
precettori. Discorremmo lungamente ancora intorno al
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dì ed alla notte, allonimo ed ulluccordo che con tutta
esattezza serbano tra di loro;discorremmo del numero
delle stagioni e dell' equabile avvicendamento che han-
noj e come il dì e la notte ueU iutero annuo corso non
profittano d’uua mezz’ora che loro individualmente
non appartenga;
così anco le stagioni egualmente si di-
visero i giorni tutti. Quindi inferiva, che non la magni-
ficenza soltanto e la bellezza delle cose create manife-
stavano il proprio facitore, ma la maniera dell union
loro, e l’essere la creazione una conseguenza sovra l’or-
dine della natura. Era cioè naturai conseguenza che
l’acqua sovra la terrestre mole ondeggiasse, e nel latto
invece vedcsi il contrario, poiché la terra è portata dal-
le acque.
Era naturai conseguenza che il loco temiesse allo
insù, e nel fatto vedesi il contrario, poiché i raggi solari
volti sono verso la terra. Sovra del cielo v’hanno delle
acque che non si consumano mai, e il sole che sull’esse
si volge non si spegne, come la sovrastante umidità non si
asciutta (i). Aggiugnemmo che l’universo è composto da
quattro elementi tra se stessi in opposizione ed in lotta,
e che 1 uno l’altro non distrugge, per quantunque l’uno
dall’altro dovesse essere annichilato; ond’è chiaro che
una virtù invisibile tutte cose rattiene ed annoda, ed è
questa la volontà di Dio. Bramo raccogliervi oggi più a
lungo sopra questo argomento, ma voi statevene in ve-
glia e porgetemi diligente attenzione. Perchè poi la me-
raviglia apparisca più luminosa, prenderò a soggetto di
queste indagini il nostro corpo. Il nostro corpo infatti
ch’è pur picciolo e ristretto, è composto da’quattro ele-
(1) nielliamo a <|uc>lo luogo le note apposte all’ Omelia prece-
dente.
96
menti, cioè dall’igneo eh’ è il sangue, dal secco che il
fiele, dall’umido ch’è la flemma, dal freddo cb’è f atra-
bile (i). JNè v’abbia ebi pensi inopportuno questo par-
lare, poiché : IjO spirituale giudica dogni cosa e non è
giudicato da alcuno (2). Quindi anche Paolo, ove ne
parla della Risurrezione, piglia dalfagricoltura 1 imma-
gine, dicendo. Stolto : non vedi che non si riproducono
le sementi se pria non muoiono (3) ? Che se all’Apostolo
valeva ad argomento l’agricoltura, non v’abbia chi miaccusi, dov’io me ne profitti dell’arte medica, mentre il
nostro discorso ora volge intorno alla creazione, e le me-diche dottrine ci si rendono indispensabili. Di quella
guisa pertanto che accennai di sopra, il nostro corpo è
composto di quattro elementi, e se discordi una parte
dall’insieme, da questa opposizione si genera la morte,
e ciò, a mo’di esempio, avviene quaudo per la sovrab-
bondauza della bile producesi la febre, la quale, dove
prevalga oltre il limite stabilito, tronca repentinamente
la vita. Lo stesso ha luogo nella copia soverchia del-
l’umor freddo, poiché allora nascono le paralisi, i tre-
miti, le apoplessie ed altri innumerevoli morbi, per cui
l’eccedere di cotesti elementi è la causa di tutte le sva-
riate forme dei mali, allorché 1 un d essi uscendo dai
proprii confini, insorge contro degli altri, e rompe il se-
gnato accordo. Volgetevi ora e addiinandate colui che
(1 )La bile che, secondo l’opinione degli antichi, componeva due
degli elementi del corpo, distinguevasi co’due epiteti di flava ed atra.
Eccone la definizione forre! liniana : « Ilumor qui calidus est et siccus,
ab aureo colore flava bitis appellatur, est que idem acfet, praecipuatn
in vasis hepatis sedei» babens: alter qui frigidus est atra-bilis: quam-» vis aterque bilis sarpius dicitur. « Clic dicono i moderni seguaci di
Esculapio di rodeste dottrine?
(2) S. Paolo I. ai Corintii II. 1 5.
^3) S. Paolo I. ai Corintii XV. 56.
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afferma, tufi e cose prendere da se il nascimento e da se
medesime conservarsi;addimandatelo diceva : Se il no-
stro corpo, ch'è picciolo e ristretto, ch’è dalle medicine
e dall’arte che le prescrive soccorso, che ha l’anima che
10 informa e della filosofia e d’altri moltissimi aiuti sen
vale, pur di continuo non conserva nel proprio vigore
l’essere suo, ma si logora c si corrompe dai turbamenti
che in esso avvengono, come l’universo ch e tanto va-
sto, e in se contiene corpi di sì gran mole e de mede-
simi elementi composti, potrebbe da lunghi secoli ri-
manersi imperturbato, dove una mirabile provvidenza
non lo reggesse ? Nè vi sarebbe certamente ragione che
11 nostro corpo d" interiore ed esterna provvidenza for-
nito, non bastasse alla conservazion di se stesso*, e il
mondo senza provvedimento alcuno, vasto com è, e da
tanti anni, non soffrisse nulla di quello a cui il corpo
nostro è soggetto, di qual maniera mai, chiedo io, niu-
no di codesti elementi non varcò oltre i propri i confini,
nè mise gli altri tutti a soqquadro ? Chi dapprincipio
li univa, li accordava, infrenavali ? Chi da sì gran tem-
po li governa? Se la mole dell’universo fosse semplice
ed uniforme, non sembrerebbe nè anco impossibile ciò
che si afferma*, ma, se dapprima vi fu tanta lotta negli
elementi, chi è sì pazzo da credere che si accordassero
insieme, e nel convenuto accordo si conservassero, sen-
za un principio che li governi ? Che se noi, non già per
natura, ma ridotti ad una vicendevole contraddizione
di per noi stessi, non corriamo ad unirci, fiuch’è viva la
nimistade, e nell’animo alimentiamo la concepita di-
scordia, ed abbiain d’uopo d’un terzo che ne avvicini,
ed avvicinati che n’abbia, ne rannodi e ne persuada a
mantenere la pace e non dilungarci di nuovo,
in che
guisa mai gli elementi che non sono forniti nè di ragio-
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>t' J
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ne, uè di sensibilità alcuna, ma son nemici e j>er na-
tura in opposizione tra loro, avrebbero potuto strignersi
in amichevole nodo, e l’un l'altro rimanere congiunti,
se stata non vi fosse una potenza ineffabile che posti li
avesse in accordo e nel medesimo accordo con perenue
vincolo conservati ?
Non v1
accorgete voi come codesto corpo al di-
partirsene dell anima si scomponga, s’infracidi, si dis-
perda, e ciascun elemenlo alla primiera sua condizione
ritorni ? Anche nell’universo avverrebbe lo stesso, ove la
virtù che di continuo lo governa, de’suoi provvedimen-
ti lo dispogliasse. E se la nave senza pilota non dura,
ma sommergesi facilmente*, come varrebbe a sussistere
il mondo da tanti secoli, privo ch’ei fosse d’un reggito-
re? E per non usare d’altre imagini, fingetevi che il
mondo sia appunto una nave, che ha .per carena la ter-
ra soggetta, per vele il ciclo, per viaggiatori gli uomini,
per mare l'abisso che le sta sotto :perchè adunque da
mollo non gli toccò un naufragio? Lasciate il naviglio
per un sol giorno senza pilota e nocchieri, e lo vedrete
tosto pericolatoj
il mondo invece non ruppe in alcuna
di queste disavventure, benché annoveri cinque mila
anni e più. Ma a che vi parlo io d’un naviglio? Havvi
chi rassettasi una capannuccia nella propria vigna, e
tosto che si raccolsero i frutti abbandonolla, e non pas-
sano di spesso due giorni eh' è disciolta e caduta. Untugurio pertanto senza alcuno che gli proveda non si
conserva;
e una creatura sì bella, grande e meraviglio-
sa, le invariabili leggi del dì e della notte, le alterne
danze dell ore, e il corso della natura sì vario e multi-
forme nella terra, nel mare, nell’aria, nel cielo, nelle
piante, ne’ volatili, nei pesci, ne’quadrupedi, nei rettili
c nell umana specie che avanza le altre tulle per sì gran
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trailo, avrebber durato sì a lungo senza chi loro peren-
nemente provvedesse ? Inoltre meco percorrete colla vo-
stra imaginazione i prati, i giardini, i generi de’ fiori,
l’orbe tutte e gli usi loro, la soavità, le forme, i soli no-
mi, le piante fruttifere ed infeconde, la natura de’ me-
talli, degli ammali terrestri, marini, fluviatili e che vo-
lan per l’ariajpercorrete i monti, i colli, i boschi, e
dopo il prato soggetto anco il superiore, chè v’ han due
prati, l’uno in terra, nel cielo l’altro, ove a’ Cori valgo-
no le stelle, e mentre al di sotto s’incappellan le rose, al
di sopra l’iride si distende. E volete forse vedere un
prato anco negli uccelli? Considerate il corpo del pa-
vone svariatissimo, ch’eccede ogn’ altro colore, e con es-
so i minori uccelli porporeggianti. Osservate di grazia
la bellezza del cielo che pur è vecchia, uè perciò alte-
rata menomamente, ma come fosse nata oggi, è nitida e
lucentissima. E il ventre della terra che da tanti secoli
partorisce, come non islancò ancora la sua virtude ?
Pensate al modo corf che le sorgenti d’ acqua scaturi-
scono, e da allora che furon create uon manchino, ma dì
e notte continuamente discorrano. Pensate al mare che
nel suo seno tanti fiumi accogliendo, i proprii limiti non
trascende: e quando cesserera di aggirarci per codesti
misteri incomprensibili ? In ciascuna delle cose accen-
nate è d uopo esclamare: Oh quanto sono magnifiche
le tue opere,o Signore : tu ordinasti giusta la tua sa-
pienza V universo Ma che sogliono gl’infedeli get-
tarci rincontro a questi fatti, quantunque volte ricor-
diam loro la magnificeuza, l’ adornamento, la grandezza
dell universo, e la dovizia che in tutte cose dimostrasi ?
Ciò stesso, ripigliano, eh’ è lo aver fallo il mondo sì
(1) Salmo OHI, 24.
t
100
/o*
magnifico e bello, è iu Dio gravissimo argomento di col-
pa; perchè, ove sì magnifico e bello non lo avesse crea-
to, non avrem detto che il medesimo è Dio, ma ora
scossi dalla sua magnificenza e dalla sua bellezza mara-
vigliati, ci siam compiaciuti di ritenerlo per tale. Ma co-
desto parlare è affatto ridicolo : e che la maestà e l’a-
dornamento dell’universo non sieno il motivo alla ini-
quiladc, ma invece la loro ignoranza, lo proviam noi,
che non pensiamo allo stesso modo. Per qual ragione
non gl’impartimmo divini onori? Forse non lo guardia-
mo con gli occhi medesimi ? Forse non ci serviamo
quant’ essi delle medesime cose create ? Non abbiamo
l’ anima stessa? Non possediamo lo stesso corpo? Noncalchiamo la medesima terra ? Perchè dunque la ma-
gnificenza e bellezza del mondo non ne trasse a’ mede-
simi sentimenti ? Nè questa conseguenza fuor esce da
ciò unicamente, ma da ben altre cose moltissime, e se
1’ hanno divinizzato per la sua bellezza, non già per la
loro propria ridicolaggine, ne dicano poi il motivo, per
cui adorarono le simie, i coccodrilli, i cani e gli altri a-
nimali più abbietti ? Oh sì, che andarono errando nei
proprii pensamenti,ottenebrassi lo stolto loro cuore
,e
mentre dissero (f esser saggi,
impazzirono (i). Nulla-
meno la risposta non sarà questa sola, chè ci occorrono
molti altri argomenti da sviluppare.
Iddio che fin da principio previde questo, e troncar
volle secondo la sua sapienza ogn’ adito agl’ infedeli, gran-
de creò l’universo e meraviglioso, ma insieme il fé’ cor-
ruttibile e perituro, ponendo in esso molli segni di sua
fralezza;e non diportossi col mondo diversamente da
quello che usò cogli apostoli. E qual fu la maniera che
(1} S. Paolo ai Romani, I. 21.
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101
tenne Iddio cogli apostoli? Poiché operavan essi molti
prodigi e grandi e meravigliosi miracoli, perciò permise
che non di rado fossero percossi, scacciati, tradotti in
carcere, soggetti a gravissime malattie, ed in continue
tribolazioni ; e perchè la grandezza delle operate cose
non li facesse credere altrettanti dei in fàccia agli uomi-
ni, volle che nel fornirli di tante grazie rimanessero
mortali le membra loro, e mentre impartivano la salute
agli altri, essi le proprie infermità conservassero, acciò
fossero della fragile lor natura avvertiti. Nè questa ma-
niera di parlare è mia, sibbenc dell’apostolo Paolo, che
dice: Ove intendessi di gloriarmi, non sarei pazzo', ces-
so non pertanto,avvegnaché niuno stimi di me sopra
ciò eli egli mi vede essere,ovvero ascolta da me (i)j
e in altro luogo : Portiamo il nostro tesoro entro a vasi
di creta (a). E che cosa vogliono dire questi vasi di
creta? Il nostro corpo, soggiugne, eh’ è mortale e cor-
ruttibile. Come di fatto per mezzo del fango e del foco
si compongono i vasi, non altrimenti il corpo di quei
santi divenuto era un vase, perchè, essendo composto
di creta, avea ricevuto in se il foco spirituale. E per
qual ragione mai un simile tesoro e tanta copia di gra-
zie s' infusero io un corpo oorrultibile e mortale ? affin-
chè si vegga che ogni virtù non già da noi, ma dal Si-
gnore deriva. Quando infatti vi si offrono gli apostoli
che risuscitano i morti ed essi poi sono ammalati, uè
valgono a risanarsi, conoscerete chiaramente che il ri-
sorgimento da morte non avvenne per la virtù di chi
suscitava, ma sibbene dello spirito operatore. Che poi
ammalassero di frequente n’è testimonio 1 Apostolo, che
(i) S. Paolo II. ai Corinlii XII. 6.
(i) Ivi IV. 7.
14
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10%
così parla del suo Timoteo: Usa di poco vino a cagio-
ne dello stomaco e delle spesse tue in/ermiladi (i); a
altrove: Lasciai Troftno eh’ era infermo a Milelo (2);
e scrivendo a’ Filippesi, aggiugneva: Epafrodito am-malò presso a morte (3 ). Che se in onta a tutto questo
li credevano altrettanti numi, e si apprestavano a por-
ger loro dei sacrifico, esclamando: Vennero a noi de-
gli uomini simili agli dei (4) *, a qual grado d’ empietà
in vista di tanti miracoli sarebbero pervenuti, ove non
fossero stati a tanti mali soggetti ? Come adunque negli
apostoli per la grandezza dei lor prodigi permise Iddio
che perseverassero nelle infermità della natura, e nella
frequenza delle tentazioni, affinchè non si ritenessero
per altrettanti dei, così alcun che di simigliante operava
nelle terrene cose create$chè belle e magnifiche le for-
mò,ma corruttibili ad un istante. E le Scritture l’ uno
e l’altro fatto ne mostrano; poiché in un luogo descri-
vendo la maestà dei cieli ripetono : I Cieli narrano la
gloria di Dio (5 ); e di nuovo : Iddio svolse il cielo co-
me una tela,
e lo distese a foggia di un padiglione
sovra la terra (6); e di nuovo ancora: Iddio sostiene
la volta del cielo (7). Dimostrando poi che, per quan-
tunque grande e bello, pur è corruttibile, soggiunse:
Dapprincipio,o Signore, tu hai stabilita la terra
,ed i
cieli sono ! opera delle tue mani. Ma essi periranno e
tu rimarrai lo stesso, invecchieranno come un vestilo ;
(1)S. Paolo I. a Timoteo V. 23.
() S. Paolo II. a Timoteo IV. 20.
(3) S. Paolo ai Filippesi II. 27.
(4) Adi degli Apostoli XIV. 15.
(5) Salmo XVIII. 1.
() Isaia XI. . 22.
(?) Ecclesiastico X l.l II.
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103
vorrai che si cangino a guisa di una coperta,e si can-
gieranno (i). Alludendo al sole il medesimo Davidde
ripigliava : Come uno sposo ei s' alza dal proprio tala-
mo, e come un gigante anela a percorrere la p>-opria
strada (a). Udiste il modo con die vi pose sottocchio
la maestà e la bellezza di codest astro? Come uno spo-
so che fuori sbalzi dal nuzial Ietto, cosi anche il sole
presso l’aurora emette i suoi raggi, adorna il cielo quasi
d’un croceo velo, imporpora le nubi, c corre impertur-
bato il dì intero, senza interrompere per ostacolo che
sia il proprio viaggio. Udiste pertanto la descrizione di
sua bellezza, udiste quella di sua magnificenza;
udite
pur anco quella di sua fragilità. Mettendocela infatti
dinanzi un noni sapiente diceva : Che cosa v ha più
sfolgorante del sole? Eppure vien meno aneli esso (3).
Nè la fralezza del sole iu ciò unicamente si manifesta,
che n’ è prova lo stesso accalcarsi delle nubi;mentre
avviene che le nubi gli corran di sotto, ed ei vibri i
suoi raggi sforzandosi di romperle, ma non ottenga nul-
la, perchè le nubi sono più dense e ricusano di cedere
alla sua forza. Voi perù soggiugnete: il sole nutre le se-
menti, ed io ripiglio non è unicamente il sole che le nu-
tra, ma abbisogna della terra c della rugiada, e delle
pioggie e de’ venti, e del corso felice delle stagioni: poi-
ché, ove tutto ciò non concorra, anche l’opera del sole
tornasi vana. Non è poi attributo di Dio aver mestieri
dell’opera altrui alla formazione di ciò che vuole; che a
lui massimamente si addice il non abbisognare di chi si
sia. Egli non trasse dalla terra le sementi, ma comandò,
.?! .uv/x.i fit
,( ? ,t!l// limmi) f*|
.».// ««kfc e>
(i) Salmo CI. 26.
(a) Salmo XVIII. 6.
(3) Ecrlciiaftico XVII. 30.
,
-.i
uULi
//t.
104
e la germogliazione fu piena. E per far Conoscere anco
dappoi che non la natura degli elementi, ma la forza
de’ suoi precetti produce ogni cosa, lasciò senz altro ca-
der la manna ai Giudei, e sta scritto ch’egli diede loro
il pane del cielo (i). Ma che dico io il sole abbisognare
degli altri elementi per la germogliazione e il tramuta-
mento dei frutti, mentre di molti ha d’uopo a sostenere
se stesso, non potendo egli a se stesso bastare? Per
correre la sua via ha mestieri del cielo, che gli serve
come di pavimento, ed a risplendere dell’aria che sia
rara e purissima. Che se questa oltre misura si addensi,
egli non può far pompa della sua luce, e per non essere
insopportabile a tutti, e tutte cose non abbruciare, gli
viene opportunissima la rugiada e il raffreddamento.
Che se il sole è superato dagli elementi che vengono a
sopperire all’impotenza sua, se riman superato dalle
nubi, dalle muraglie e da molli altri corpi che non
permettono il passaggio alla luce-, se ve n hanno di
quelli che temprano l’ eccessivo ardore, come le rugia-
de, le fonti e il rinfrescamento dell’aria, in che modopuò egli mai essere un Dio ? E d’ uopo che Iddio non
abbia nè difetto, nè bisogno di nulla: è d’ uopo che sia
1’ autor d’ogni bene e non soffra ostacolo di sorta : è
d’uopo che si riconosca quale ce lo dipingono l’apostolo
Paolo ed il profeta Geremia. Questi infatti nella perso-
na del medesimo Dio esclama: Jo riempio il cielo e la
terra,dice il Signore (2)5 e di nuovo : Jo sono il Dio
che sta dappresso,non già il Dio che sta lontano ; e
Davidde ripigliava : Dissi al Signore : Tu sei il mio
Dio,perchè de* miei beni non abbisogni (3 ). Paolo poi
(i) Salmo LXXVII. 28.
(a) Geremia XXIII. 24.
(5) Salmo XV. 1.
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105
dimostrando che la ricchezza di lui non patisce difetto
alcuno, e mettendo soli occhio che a Dio massimamen-
te convengono i due attributi,di non aver mestieri di
nulla e d’impartire a tutti ogni bene, ripete: Iddio che
fece il cielo,la terra e il mare
,a cui nulla manca
,
egli dona a ciascuno la vita,
lo spirito e tutto che
ha (i).
Potevamo discorrere per gli altri elementi ancora,
e far palese come il cielo, l’aria, la terra e il mare sieno
manchevoli, come ciascuno abbisogni del suo vicino, e
senz' esso venga meno e disciolgasi. La terra, ove andas-
se priva delle fonti e dell1
umidità che dal mare e dai
fiumi le si trasfonde, arsa in breve disperderebbesi;si-
milmente gli altri elementi a vicenda, come l'aria dal so-
le e il sole dall'aria, si soccorrono;ma per non prolun-
gare di molto il discorso, basti nelle cose accennate aver
offerto a que’ che vogliono argomenti non pochi di lun-
ghe meditazioni. Che se il sole, più meraviglioso d’ ogni
altra cosa creata, tuttavia si manifesta e povero e frale,
lo saranno a maggior ragione le altre parli del mondo *,
e queste cose io ricordava per offrimele a soggetto delle
ricerche de1
più studiosi, ch’io frattanto verrò a mostrar-
vi con le parole della Scrittura, che non il sole unica-
mente, ma il mondo intero è corruttibile. L1
un f altro
infatti venendo a distruggersi gli elementi, sì che F ac-
cresciuto freddo che sopravviene smorza la potenza del
sole, c il caldo che invigorisce alla sua volta discaccia il
freddo, e ciò perla natura e qualità contrarie che hanno
le sostanze elementari che tendono ad opporsi e nuocersi
a vicenda, n’esce quindi l'argomento della universal cor-
ruzione in ciò tutto che si vede, poiché tutto è sostanza
(i) Ani degli Apostoli XVII.
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•"t
106
corporea. Ma perchè codeslo parlare eccede la brevità
dell’ ingegno nostro, così richiamandovi alle dolcissime
fonti delle Scritture, cercherò di allettare con esse le vo-
stre orecchie. Non vi parlerò esclusivamente del cielo e
della terra, sibbene di tutte insieme le creature, poiché
di tutte ne parla anco fApostolo, ed apertamente ne mo-stra che ogni cosa creata è soggetta a corruzione, e per-
chè Io sia, e quando cangierassi, e in quale natura. Dap-
poi che disse infatti: Che le sofferenze del tempo pre-
sente non sono alte ad uguagliare la gloria avvenire
che mani/èslerassi in noi,soggiunse: avvegnaché il de-
siderio della creatura è in attesa della rivelazione de’
figliuoli di Dio,che la creatura è soggetta a venir me-
no,e questo
,per suo volere non già
,ma per volere di
lui che ve la sottopose nella speranza ( i ). Ciò poi che
disse è un fatto, poiché la creatura ha sortito un essere
corruttibile, e questo voglionsi dire quelle parole: è sog-
getta a venir meno. Formossi poi corruttibile per co-
mando di Dio, e Dio lo volle in riguardo dell’ amati ge-
nere, poiché dovendo nutrire l’ uomo eh’ è corruttibile,
doveva anclt ella esser tale5ned era conveniente che dei
corpi manchevoli vivessero in mezzo ad incorruttibili
creature. Ripiglia dunque l'Apostolo, che tale non rimar-
ra ssi, ma la medesima creatura sarà tolta al servaggio
della corruzione (2). Indi alludendo al tempo in che ciò
avverrà ed al motivo pur anco, va ripetendo: Come giun-
ga alla sua pienezza la gloria de'figliuoli di Dio. Al-
lorché risorgeremo, ei dice, riprendendo i nostri corpi
falli incorruttibili, lo stesso corpo del cielo, della terra c
di tutto il mondo immanchevole pur esso diverrà ed in-
(1)S. Paolo ai fi nmnni Vili. 1 8.
(a) S. Paolo ai Romani Vili. 21.
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1 07
corrotto (i). Dove pertanto voi veggiate il sole che na-
sce, date gloria al creatore; dove il veggiate quando si
cela e dagli occhi vostri dileguasi, apprendete la fralez-
za di sua natura per non adorarlo quasi egli fosse unDio. Questa fralezza poi di natura che v’ è negli elemen-
ti, non solo in ciò che dissi fin qui Iddio si compiacque
manifestamela, ma nel precetto ancora che diede agli
uomini suoi servi di comandare agli elementi;affinchè
se ricusassimo di conoscere la lor soggezione solo a ve-
demeli, apprendessimo da chi loro comanda che sono
altrettanti nostri conservi. Quindi Giosuè dice: Sifermiil Sole contro di Gabaon
,e la lana contro la valle
(fElon (2). Ed Isaia profeta a’ tempi del re Ezechia
fe che il sole tornasse addietro, e Mosè anch’ esso co-
mandò all’ aria, al mare, alla terra, ai macigni;Eliseo
cangiò la natura dell’ acque, e i tre fanciulli vinsero il
foco. Vedete voi dunque come il Signore ne mostrasse
doppiamente la sua provvidenza, invitandone colla bel-
lezza degli elementi a glorificare la divinità sua, e per
la fralezza loro vietando che li adorassimo ?
Celebriamo pertanto in tutte queste maraviglie il
nostro reggitore supi*emo, nè lo dichiarino le parole sola-
mente, ma le opere e le abitudini nostre, come in tutto il
resto, così pure nello astenerci dai giuramenti. Non ogni
peccato è soggetto alla medesima pena, chè quelli, che so-
no più facili a correggersi, avran la più grave. Lo che avver-
tendo il medesimo Salomone diceva : Non islupisco se
il ladro venga sorpreso,allorché ruba per satollare la
(«) Questa opinione era invalsa appresso di molti. Se dopo l'uni-
versale sfar mento della natura in parte risorgerà aneli’ essa incorrotta
lu conosce Iddio, a cui c possibile tulio che non inchiuda un’ esscnrialc
contraddizione.
(?) Giosuè X. 12.
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108
//
propria fame ; ma quegli che commette adulterio, per-
chè scemo di mente,va a procacciarsi la ruina delPa-
nima sua. E la cusa è tale propriamente. 11 ladro è di
certo un uomo abbominevole, ma non però abbomi-
nevole come l’adultero. Quegli infatti, per quantunque
sia lieve il motivo, tuttavolta può sempre addurre a scu-
sa la necessità che nasce dall’ esser povero: questi inve-
ce, senza necessità che lo sproni, va per sola stoltezza a
cacciarsi entro alla voragine del peccato. Dicasi lo stesso
di que’che giurano*, poiché essi pure, ove si tolga il dis-
prezzo, non possono mettere innanzi pretesto di sorta
alcuna. Anch io Io conosco che sembrerò soverchiamente
importuno c noioso, e coll’ assiduità di codesta ripren-
sione pesante: tuttavolta non cesso, affinchè, se non
d altro, staochi dell’ importunità mia, abbiate ad aste-
nervi dall iniqua consuetudine di giurare. Che se quel
giudice indomabile e severo stimolalo dalle pertinaci in-
chieste della vedova cangiò costume, molto più lo farete
voi, ed allora massimamente che sappiate muovermi sup-
plichevole a ciò non per mio vantaggio, ma per la vo-
stra salvezza : anzi non nicgherò di farlo anche per la
salvezza mia, confidando che il vostro bene a mio me-rito si converta. Vorrei che come io di presente mi ado-
pro ed affatico per la felicità vostra, così voi pure vi
prendeste un’egual cura della vostr’ anima;avverrebbe
allora il conseguimento del Gne grandemente desiderato.
Occorrono forse altre parole ancora ? Se non vi fosse un
inferno, una pena pei contumaci, una mercede pe' con-
vertiti, ed io presentandomi a voi ve lo chiedessi in gra-
zia, perchè non dovreste accordarmela ? Come rifiutare
a chi ve lo chiede un favore che vi costa sì poco? Edove è Dio che la chiede, e il fa per dare a voi un pre-
mio, non già per ricever egli un vantaggio, troverassi
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alcuno si ingrato,miserabile ed infelice che a Dio che
addimanda quest’ opera beneOca,
la dinieghi,mentre
quegli che la concede sarà per godere interamente del
beneficio. Pensando adunque a ciò, e dentro a voi stessi
raccogliendovi, ripetete quel tutto che udiste, e per o-
gni guisa adoperatevi a correggere i pertinaci, onde rice-
vere la retribuzione de’ vostri e degli altrui meriti per la
grazia e misericordia del nostro Signor Gesù Gristo, pel
quale e col quale sia gloria al Padre insieme ed allo
Spirito Santo ora e sempre, e per tutti i secoli de’ se-
coli. Così sia.
.V -Ài —
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f/\S
OMELIA VII.
Rrndc grazie a Dio pei conforti eh’ erano venuti al popolo
antiocheno nelle me gravissime angustie, che sono con
molta delicatezza e tivacità ricordate, indi prosegue Par-
gomento della creazione dell'uomo, fermandosi in ispe-
cial guisa a descrivere, clocfuentemerite gli organi prin-
cipali del corpo, e in fine ritorna ai giuramenti.
Pensando all ornai trascorsa tempesta ed alla tran-
quillità presente, non cesso dallo esclamare : Sia bene-
detto quegli che ordina tutte cose e le trasmuta, che
fé’ nascere la luce dalle tenebre, che guida fino alle
porte dello inferno e ne ritraggo, che gastiga e non
ispegne: c voglio che ripetiate ciò stesso anche voi,
nè vi stanchiate giammai. Che s'egli ne porse insigni
benefici! coll’opera, di qual perdono potrem essere me-
ritevoli dove non gli corrispondiamo almeno con le pa-
role? Pertanto io vi scongiuro a non ristare dal ringra-
ziarlo. Che se gli mostrerem gratitudine de’ primi favori,
di certo ne otterremo degli altri più magnifici anco-
ra. Ripetiamo dunque incessantemente: Benedetto il
Siguore, che a noi concesse d’ imbandirvi con gaudio
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111
l’ usata mensa, e a voi d'ascoltare con sicurezza i nostri
discorsi. Benedetto Iddio, perchè non più coll’ ansia de-
gli esterni pericoli, ma col desiderio della sua parola
qua tulli ci raccogliamo: non più accorrendo con dub-
bii, c spavento, e vicendevoli angosce, ma con fidu-
cia, e deposti que’ fieri crucci da che eravamo ne’ giorni
addietro dilacerati, non altrimenti che fossimo di mezzo
al mare travolti, e vedessimo d ora in ora minaccioso il
naufragio. Sì, innumerevoli erano le agitazioni che ci te-
neano sospesi, travagliati, e ci assediavan dovunque, e,
affrettando ciascun giorno che passava, andavamo chie-
dendo bramosamente: Venne alcuno dal campo? E ve-
nendo qual mai nuova arreconne? E vero o falso quel
che si dice? E trascorrendo iutanto le notti insonni,
guardavamo lagrimosi alla città, quasi dovesse schian-
tarsi in breve. Quindi è eh’ io pure ne passati giorni mi
tacqui, poiché la città era pressoché tutta deserta, men-
tre la massima parte cercato aveva un rifugio nella soli-
tudine, e gli altri da tenebrosa nube di tristezza giaceansi
oppressi5nè I anima una volta che sia ripiena d'angu-
stie è atta a porgere ascolto. Per cui anche gli amici che
si appressarono a Giobbe, come videro tutta sangue la
casa sua, e quel giusto tutto coperto di ulceri, starsi
nel mondezzaio, stracciamosi le vesti, gemettero, e senza
altro gli si posero accosto seduti, volendo con ciò si-
gnificare, che niuna cosa tornava a mesti di quella fatta
più conveniente del riposo e del silenzio, che d'ogni
consolazione era maggiore la tristezza. Similmente anco
i Giudei, costretti a faticare intorno alla creta ed s mat-
toni, quando scorsero Mosè che veniva alla lor volta,
non potevano intendere ciò ch’egli diceva per la fiac-
chezza e le tribolazioni sotto alle quali gemevano. Equal meraviglia se giunsero a tanto degli uomini di po-
Ito
112
co spirito, dove troviamo che i discepoli medesimi di
Cristo toccarono a questo estremo? Dopo infatti la misti-
ca cena, allorché Cristo, trattili in disparte, parlava agli
eletti alla gran missione, dapprima gli chiedevano, dove
ten vai ? ma posciachè annunciò loro i mali che dietro
tosto attendeanli, le guerre, le persecuzioni, le nimistà
generali, i flagelli, le carceri, le condanne e gli esigli,
sentironsi cader l'animo oppresso quasi da peso insop-
portabile, che poi sotto allo spavento di questi annunci
ed ali’ angoscia de' futuri danni rimase istupidito. Quindi
è che il Maestro divino veggendoli così afllitti e di ciò
rimproverandoli, soggiugneva: Sono per andarmi al
Padre mio, e niuno di voi m interroga, dove ten vai ?
Ma perchè diedi a voi questi annunci,
la tristezza ha
di già riempiuto il cuor vostro ( i ). Per questa ragion»*
ho taciuto anch'io ne’ trascorsi giorni, attendendo la
circostanza. Che se quegli che dee chiedere istantemen-
te, quantunque abbia a proporre cosa che alla lagion si
conformi, pure aspetta l’ occasione opportuna a discor-
rere, onde ritrovare d’ animo tranquillo e ben disposto
colui dal quale dipende il pieno adempimento alla in-
chiesta, e di tal guisa cerca il soccorso del tempo per
ottenere ciò che desidera -, a più forte ragione codesto
tempo opportuno richiedesi dall’oratore per volgere sue
parole ad un uditorio che ben gli si appresti, e sciolto
sia d’ogni ansia e d’ogni tristezzaj lo che non ha guaii
io medesimo adempieva.
Or adunque, giacché ebber tregua le angosce, vo-
glio richiamarvi dapprima alla memoria delle cose eh»*
si discorsero, acciò più chiara vi giunga l’orazion mia.
Ricordivi pertanto che parlando della creazione del
(i) S. Giovanni nel Vangelo XVI. 5.
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113
mondo dicemmo, che Iddio noi fece solo vago, magni-
fico e grande, ma fragile insieme e corruttibile;dicem-
mo che di ciò ne offerse mollissime pruove, mettendoci
le una e le altre dinanzi unicamente a nostro vantaggio,
facendone per via della bellezza salire alla contempla-
zione della maestà del Creatore, rivocandone per la man-
chevol natura dal tributare un culto alle cose create, e
questo si appalesa nel nostro corpo medesimo;
alcuni
poi tra’ nemici della verità e tra’ Cristiani pur anco, ove
di esso discorrano, indagano per qual ragione mortale e
corruttibile si creasse. Molli però degli eretici e de' pa-
gani affermano che il corpo non è formato da Dio, che
pensano cosa indegna della creazione divina le immon-
dezze, i sudori, le lagrime, le fatiche, le malattie e gli
altri disagi che al corpo umano s’appigliano. Io pertan-
to, poiché si toccò questo argomento, potrei fin dalle
prime rispondere : Non mi ponete sotl’ occhio f uomoche prevaricò, che dispogliossi della natia grandezza,
che ricevè la condanna: ma, se volete conoscere qual
ibsse veramente il corpo che Iddio da principio creava,
è d’ uopo che ce ne andiamo nel paradiso, ed ivi con-
templiamo f uomo come uscì dal volere supremo. 11
corpo allora non era corruttibile, qual di presente, e
mortale, ma simile ad una statua d’oro tratta non ha
guari dalla fornace, e nitida e sfolgorante. Quel corpo
andar dovea scevro di tutte corruzioni, nè provare i
travagli della fatica, nè i danni del sudore, nè le cure
insidiose, nè le ansie della tristezza, nè alcuu’altra offeso
che fosse. Poiché dunque nella sua felicitade non tem-
perossi, e recò grave ingiuria al suo benefattore, e giu-
dicò il menzognero demonio più meritevole di credenza,
che non fosse Iddio suo reggitore e che in tanta gloria
nvealo costituito, e ardì sperare di farsi Dio egli stesso,
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114
concependo un'opinione d'assai maggiore dell'essenzia-
le sua dignità: allora, sì allora Iddio, ammaestrandolo
col fatto, il fece corruttibile e mortale e di tanti bisogni
circondollo, non per odio e per abominio, ma per prov-
vedere al suo bene e per correggere fin da’ primordii
quella pestifera ed iniqua superbia che in lui s’aderse;
non permettendo che procedesse oltre, e col mezzo dei
fatti avvertendolo eh’ era corruttibile e mortale, affinchè
avesse a persuadersi che non erano per lui que' pensieri
e que’ sogni. Il demonio avea detto: Sarete altrettanti
dei ( i),
e Dio, volendo svellere dalle radici codesta opi-
nione, gli fè tosto provare difetti e malattie nel corpo,
acciò dalla medesima natura apprendesse a tenersi lunge
sempre dall’ empio vaneggiamento. Che poi ciò sia vero,
si conosce apertissimamente da quanto accadde;mentre
la pena venne dietro all’aspettazione in che s’era posto.
E considerate meco il procedere sapientissimo di Dio:
non permise ch’egli il primo morisse, sibbene che il suo
figliuolo vi soggiacesse, affinchè, guardando a quel corpo
sanguinoso e fracido, una grande lezione di sapienza ap-
prendesse da quella vista, conoscesse a prova il danno
operato, e così da questo mondo fortemente corretto sen
dipartisse. Tutto che dissi impertanto e dagli esposti av-
venimenti in principal modo deriva, e da quello che si
dirà in appresso maggiormente confermerassi. Che se,
per quantunque da codesta necessità nel corpo nostro
costretti, per quantunque ciascuno sen muoia, distem-
prisi in corruzione, sotto gli occhi di tutti imputridisca,
e ritorni finalmente in polvere; per quantunque i filoso-
fi comprendano in una sola definizione tutto il genere
umano, e, richiesti che cosa sia l’uomo, rispondano:
(i;Grnrsi III, 5.
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115
Uu animale ragionevole e soggetto a morte;se per quan-
tunque tutti convengano in questo fatto, pure trovaronsi
alcuni che osarono farsi credere immortali nell’opinione
di molti, e mentre gli occhi erano testimoni i della mor-
te, ottennero di essere celebrati come dei, e come tali
con religioso culto riveritij dove non si fosse fatta in-
nanzi la morte, c avesse predicato la fralezza e corrutti-
bilità universale della natura, a qual estremo d’iniquità
non avrebber prorotto moltissimi degli uomini ? Ascol-
tate ciò che dice il Profeta di un re barbaro colto da si-
mile frenesia: Innalzerò sopra gli astri il mio solio, e
diverrò eguale alF Altissimo (i). Umiliandolo poi ed il
suo fine manifestando, esclama: La putredine sarà il
tuo letto,e da coltre ti serviranno i vermini : nè in ciò
v:
ha nulla eh’ ecceda. E l’ uomo che deve attendersi que-
sto fine osò montare in pensamenti sì alteri. E d’altro
re parimente, quello de Sirii, reo della medesima ini-
quità, e che voleva essere tenuto in conto di Dio, sta
scritto: Tu non sei Dio,ma uomo diran coloro che ti
feriranno a morte (•2 ). Quindi il Signore ne diede un
corpo sì fragile per toglierne fin da principio e del tutto
un argomento di superbia e d idolatria. E qual meravi-
glia se tanto opcrossi nel corpo, dove si attenda a ciò
che 1 anima stessa sofferse? Iddio non la fé’ già mortale,
sibbene lasciò che godesse della immortalità sua *, pure
la fé’ soggetta all obblio, all’ ignoranza, alla tristezza, ed
alle sollecitudini d’ogni maniera, e volle che così fosse,
perchè guardando alle proprie doti, l’ uomo non si for-
masse un concetto soverchiamente altero della sua digni-
tade. E se con tutto ciò nuilauicno alcuni osarono dire,
( 1)Imù XIV. 1 5.
(•j) Etcchiclc XXVIII. 9.
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tVy
esser ella parte della divina sostane, dove scevra andas-
se degli accennati difetti, a qual grado di temerità non
avrebbero portate le proprie dottrine? Tuttavia quel
che diceva della creazione del mondo, intorno al corpo
il ripeto, e nell’ una e nell’altra proprietà di che lo for-
niva ammiro egualmente la provvidenza di Dio, e per-
chè il fé’ corruttibile, e perchè nella corruzione tanto
raggio v’infuse di sua virtù e di sapienza. Che poi for-
mar lo potesse d’ una miglior materia, ne sono prova i
corpi celesti, ed il sole massimamente5poich’egli che
di simil tempra creò que’corpi, come lo avesse voluto,
poteva crear eguale anche il corpo dell’uomo, ma la cau-
sa della fragilità sua è quella che sopra esponevamo. Nèquesto toglie nulla alla potenza mirabile del Creatore,
anzi più lumioosa la manifesta;chè la materia vile è ai*-
gomeoto della destrezza e del sovrano magistero nell’ar-
te se alla cenere ed alla creta impartiva tanta armonia,
0 sentimenti si multiformi e svariati, e capaci di reggere
e di servire a tanta forza della ragione.
Per cui quando più accusaste la fralezza della sostan-
za, più grand’elogio tributereste al meraviglioso artificio di
Dio; mentre non ammiro così lo scultore che trae dall’ 010
una vaga statua; come l’altro che vale a rappresentare
una figura di nuova ed inconcepibil bellezza, e tutto per
fino magistero dell’ arte nella friabilissima creta. Il primo
ha la materia che anch’ essa all’ opera corrisponde, que-
sti non mostra che l’arte affatto ignuda. E voi come vo-
gliale apprendere quanto sia grande la sapienza di lui
che ne formò, pensate che cosa alla per fine traggasi
dalla creta. Non altro che delle pentole e dei mattoni.
Ma Dio supremo artefice della materia, d’onde si trag-
gono le pentole ed i mattoni soltanto, valse a trarre un
occhio sì bello che tutti, che il veggano, rimangono sba-
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117
lorditi, e valse ad infondere in esso tanta forza da lan-
ciarsi via per l’inimensnrubile altezza dell’ aria, e col soc-
corso di minutissima pupilla abbracciare tanti corpi ad
un punto, e monti, e boschi, e colli, e mari, e cielo. Nòmi opporrete gli occhi loschi e cisposi, che codesti di-
fetti vennero dietro alla vostra colpa;ma invece racco-
glietevi sulla bellezza e sul nerbo della vista, e considera-
le com’ ella percorrendo sì lunghi tratti dell’etereo vano,
non si dolga, nè s affatichi •, e mentre i piedi per poco
che procedano s’addolorano c stancano, l’occhio per lo
contrario, che a tanta altezza trasvola e sì ampiamente
discorre, da ciò non riceve danno che sia. E poiché d’ ti-
gni altro membro è l’occhio il più necessario, così Diti
noi fe’ soggetto sì facilmente alla stanchezza, acciò l’oflì-
cio suo ne tornasse e libero e speditissimo. Chi poi var-
rebbe a dipingere con parole la piena virtù di quest’or-
gano? Che dir dovrebbesi della pupilla e della poteuza
di vedere? Che se vi fermaste od osservare soltanto le
palpebre dell’occhio, che sembrano uno tra più vili stra-
nienti, anche in esse grande vi apparirebbe la provvi-
denza divina. Di quella guisa infatti che nelle spiche le
reste, come altrettanti sparsi pungiglioni, tengono lunge
gli uccelli, non permettendo che si posin sul frutto e in-
frangano il debolissimo stelo: non altrimenti anche negli
occhi, a foggia delle reste c de’ pungiglioni, dispiegansi
i peli delle palpebre, tenendo fuori degli occhi la polve-
re, i fuscellini e tutto che potesse lor nuocere, nè per-
mettendo che le palpebre medesime vengano offese. Os-
servereste anco un’altra provvidenza non minore di que-
sta nelle sopracciglio. Non c forse oggetto da ammirarsi
la posizion loro, mentre nè si protendono oltre la giusta
misura ad offuscare la vista, nè più di quello convenga
5 accorciano; ma, come una grondaia della casa, sporgo-
1 0
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flt
•
118
no un po fuori al di sopra, onde segnare il corso al su-
dore che stilla dal capo, impedendo ogni disturbo degli
occhi? Quindi è che anco alle sopracciglie stanno af-
fissi dei peli che per la densità loro respingono ciò che
giù cola, proteggono accuratamente gli occhi c servo-
no loro di bellissimo decoro. Nè dobbiamo fermarci qui,
cbè v’ hanno altre cose meritevoli di non minor mera-
viglia. Per qual ragione, chiedo io, crescono e si tosano i
capelli in sul capo, non mai le sopracciglie ? Nè questo
dev’essere avvenuto ciecamente e alla ventura, ma per-
chè prolungandosi non intenebrassero gli occhi, incomo-
do che provano coloro che toccano alla decrepitezza.
Qual uomo sentirehbesi poi atto a descrivere la sapienza
tutta che nel cerebro si appalesa ? Primieramente Iddio
lo fè molle, poiché in esso v’ ha f origine di tutti i sen-
si; poscia, acciò non patisse danno la naturai sua costi-
tuzione, quinci e quindi lo assicurò delle ossa; ma per-
chè dall’asprezza loro attrito non si schiacciasse, vi
distese una membrana frammezzi) : c che dissi una sola ?
una prima, e una seconda; quella perchè sottesa fosse
al teschio sovrastante, questa perchè superiormente la
carne del cerebro ravvolgesse, e la prima è assai più
dura della seconda. E in tal guisa fu disposto, sì per la
causa accennata, come per la ragione che subito il cere-
bro non venisse offeso dalle ferite che si facessero al ca-
po, ma, frapponendosi codeste membrane al colpo, dis-
perdessero la violenta impressione, e indenne lo con-
servassero. Di più: non essendo il cerebro continuo, nè
uno soltanto l’osso che lo ricopre, così po’ varii connet-
timenli che nascono dalle molte sue parli sorge un
motivo di maggior sicurezza per esso. Per mezzo poi di
que’ connoti imeni i che lo rattengonn, possono a tutto
agio uscire colla respirazione i vapori, acciò non restino
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Ili)
a soffocarlo, c se gli cada sopra una qualche offesa, non
ne provi un danno universale;mentre, dove l’osseo in-
volucro fosse un solo e continuo, la ferita scagliata iu
una parte tutto I* offenderebbe;lo che non può avvenir
ora che in molte parti è diviso. Come avvenga infatti il
laceramento d1
una qualche porzione, riman colpito l’os-
so che in quella determinata porzione è posto, conser-
vandosi illese le altre circostanti;poiché con la division
delle ossa fu tolto il progredir dell’ offesa, che non valse
ad estendersi nella porzione vicina. Ecco quindi il mo-
tivo per cui Dio compose di molte parti il cerebrale av-
volgimento, e di quel modo che v’ hanno alcuni che
nell’ edificare una casa al tettole tegole sovrimpongono:
non altrimenti anche il Signore sopra il cerebro piantò
fossa, indi vi fe spuntare i capegli, acciò per molti te-
nessero luogo di caschetto. Nè fu dissimile la sapienza
usata da Dio intorno al cuore. Essendo infatti il cuore
tra gli organi nostri il principalissimo, a cui il sussistere
di tutta la nostra vita è affidato, e succedendo la morte
alla più lieve percossa eh’ ei soffra : così aneli’ esso fu
circoscritto ovunque da spesse e durissime ossa, e quin-
ci assicuralo dalle prominenze del petto, quiudi dalle
scapole della schiena; e quanto accorgimento si tenue
nelle membrane cerebrali, se ne mostra altrettanto in
quelle del cuore. Conciossiachè a prevenire i colpi e le
offese che potesse ricevere dall’irtezza delle vicine ossa
ne1
palpiti frequenti e ne’ moti accelerali dell ira, sopra
vi stese molte membrane, c sotto vi pose il polmone,
che quasi mollissimo strato a’ battiti si prestasse, per
guisa che potesse a suo piacimento crescere in essi sen-
za provarne alcun danno. Ma che dire del cervello e del
cuore, se chi tenesse dietro anche alle ragioni dell’ un-
ghie, chiara ivi pure troverebbe una manifestazione del-
120
la sapienza di Dio sì dalla forma loro, che dalla natura
e dal sito? Avrem potuto anche rintracciare, per che
siano in grandezza tra lor disuguali le dita, e molle ai
tre cose u queste somiglianti; ma per que’ che voglion
pensarci, le cose dette bastano a far palese come in lut-
to rifulga la sapienza di Dio nostro creatore, per cui,
lasciando questa parte libera alle diligenti ricerche de-
gli studiosi, passo a ribattere un’altra obbiezione che
ne si adduce.
Trovansi molli che, non paghi di ciò che opposero
finora, nuovamente insistono, dicendo: se )' uomo è il
sovrano degli animali irragionevoli, perchè in forza,
snellezza e celerità è da non pochi tra loro superato ? E'
più veloce dell’uomo il cavallo, più tollerante delle fati-
che il bue, l’ aquila più snella ed il leone più forte. Eche possiamo rispondere a quest’ obbietto ? Che da ciò
stesso appare la sapienza di Dio, e l’ onore di che siamo
insigniti. Il cavallo è sì più veloce dell’ uomo, ma per
fornire un lungo pellegrinaggio 1’ uomo è del cavallo
più adatto. Infatti il cavallo più 'celere e robusto che
siavi può appena correre in un giorno duecento stadii,
mentre f uomo aggiogando successivamente molti ca-
valli al suo cocchio, potrà farne due mila. Quindi, se la
velocità al cavallo, impartì all’uomo la ragione e l’arte
con misura abbondevole assai;
e, dove certamente non
ha i piedi celeri a! par del cavallo, pure ha i suoi pro-
prii e quelli del cavallo insieme che gli si prestano mi-
rabilmente. Non evvi infatti animale irragionevole che
al suo servigio assoggettar ne possa alcun altro, ma l’tio-
mo a tulle cose si arcigne, e per quell’artificio svaria-
tissimo che Iddio gli concesse, cattivasi in obbedienza
que’ bruti che piu valgano a’ suoi bisogni. Che se i piè
degli uomini lusserò stali forti come quelli de’ cavalli,
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prestato non si avrebbero ad altri offìcii. a superare l'a-
sprezza de1luoghi, le vette dei monti, le salite degli al-
beri; che la sodezza dell' unghia suol essere d’ostacolo
a chi si mette in simili imprese. Laonde, quantunque i
piedi umani siano più dilicati,
tuttavia tornano profit-
tevoli in più maniere assai, e la delicatezza loro non
riesce a danno, mentre si valgono della virtù dei caval-
li, e nella varietà del cammino sopra i cavalli stessi pri-
meggiano. L aquila è fornita d’ale più agili certamente,
ina noi abbiamo la ragione e 1 arte, per cui possiam
trur giù tutti gli animali e pigliarli. Che se poi vogliate
vedere l’ ale di che son io armato, conoscerete che ne
ho di molto più snelle, che volano, non già per dieci
stadii, nè per venti, nè fino al cielo, ma sopra il cielo
del cielo dov’ è Cristo assiso alla destra del Padre. I
bruti d’avvanlaggio portan l’armi nel proprio corpo,
come il bue le corna, il cignale i denti, il leone, le un-
ghie*, a noi invece Iddio non diede le armi naturalmente
infisse nel corpo, ma ne le offerse al di fuori, mostran-
do che l’uomo tra gli animali è mite, e che non deve
usar sempre di codest’armi: di fatto frequentemente le
deponiamo, prendendole talvolta di nuovo. Perchè si
vegga adunque che siamo liberi e sciolti, e non costretti
a portar l’ anni continuamente, perciò volle Iddio che
andassero separate dalla nostra natura. Nè l’essenza no-
stra ragionevole è la sola che ne rende superiori ai bru-
ti; sibbene stiamo sovr’ essi anche pel corpo, corpo che
alla generosità dell’ anima nostra conviene, ed è atto a
raggiugnere il fine per cui Dio lo concesse. Nè possiam
credere che ciecamente si formasse codesto corpo, sib-
bene quale era d’ uopo che fosse un ministro della ra-
gione; e se di tal guisa non si attemperasse, rimarreb-
bero grandemente impedite le operazioni dell’anima, e
nr
122
ciò ben si scorge nelle infermitadi. Avvegnaché, dove
Io stato della carne dall ordinaria sua costituzion si tra-
muti, anche le operazioni dell’ anima rimangono sospe-
se, come quando più dell’ usato si riscaldi o raffreddi il
cervello. Inoltre la provvidenza di Dio nel corpo umano
rilevasi ancora, più presto che dal considerare come da
principio fosse creato migliore di quello che ora è, dalla
gloria assai più grande, per cui trarrassi dal sepolcro.
Volendo poi conoscere d’altronde quanta sapienza ab-
bia Iddio dimostrato intorno al corpo, dirò quello che
sembra fosse da Paolo fatto oggetto principale delle sue
meraviglie. Ed è? Che volle Iddio o per questa o per
quella virtù si distinguessero individualmente le mem-bra, non concedendo mai tutto ad un solo
\e quindi
prescrisse che queste avvantaggiassero le altre nella bel-
lezza, quelle nella forza}come son belli gli occhi, ma
più forti i piedi;prezioso il capo, ma non può dire alle
gambe : Io non ho bisogno di voi ’, c questo si manifesta
anco nei bruti, e parimenti in tutta la vita. Il re per-
tanto ha d uopo dei sudditi, ed i sudditi del re, non
altrimenti che il capo dei piedi. E venendo ai bruti, gli
uni sono più forti, gli altri più vaghi, questi ne alletta-
no, quelli ne ammantano: ne alletta il pavone, ci nutro-
no le galline ed i maiali, ne vestono le pecore e le ca-
pre, ne giovano delle loro fatiche f asino ed il bue. V e
ne hanno poi degli altri che non ci prestano alcuno de-
gli accennali vantaggi, ma servono di sprone alla nostra,
virtù, confò delle fiere che crescono fortezza ai caccia-
tori, e colla paura rendono più saggia e prudente la no-
stra specie, e porgono anche non lieve tributo alla me-
dicina colle proprie membra. Quando peiù alcuno vi
addiinandi : come siate i dominatori dei bruti voi che
temete il leone? rispondete, ehe da principio a questi
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125
termini ridotte non erano le cose, allorché gli uomini
da Dio si tenevano in pregio ed abitavano il paradiso;
ma poiché si offese il Signore, demmo nelle insidie «lei
nostri servi; non del tutto però, poiché ne rimase un’
arte per cui superiamo di gran lunga le fiere. Accade lo
stesso ne’ palagi dei grandi, ove i figli, per quantunque
nobili, finché hanno pochissima autorità si fan paura di
molti servi, e la paura cresce quando vengano in qual-
che fallo scoperti. Dicasi pertanto lo stesso delle serpi,
degli scorpioni, delle vipere, che per la nostra colpa di-
vennero formidabili.
Nè solamente nel nostro corpo, nella multiforme
eondizion naturale, e nei bruti, ma nelle piante ancora
n è dato di riscontrare codesta varietà in guisa che tale
vilissima all’aspetto non di rado supera la più bella;
affinchè si vegga, che tutto in ciascuna paratamente non
si raccoglie, ed abbiam mestieri di tutte, e da tutte
possiam conoscere quanto sia feconda la potenza crea-
trice. Non vogliate pertanto volgere ad argomento d ac-
cusa in Dio la «irruzione del corpo, sibbene per <-iù
stesso apprendete a maggiormente adorarlo, ed ammirare
la saggezza e provvidenza di lui. La saggezza, perchè
valse ad offrire in un corpo cotanto facile a corrompersi
un’armonia sì prodigiosa; la provvidenza perchè lo for-
mò corruttibile a vantaggio dell anima, onde compri-
mere i gonfi desiderii, e gastigare la sua superbia. Qui
jierò soggiugnerà alcuno:perchè Iddio noi lece così da
principio? Ed egli giustificandosi, o uomo, in tàccia tua,
se non a parole, va con le opere stesse dicendoli : lo ti
avea destinato un più onorevole posto, ma tu medesi-
mo li rendesti indegno di tanto dono, escludendoti
dal paradiso; tuttavia nè anco in tal condizione li ho
reietto,- chè per mezzo della pena venuta dietro alla tua
/;z
124
colpa, Ijo cercalo di ricondurli al cielo. V olli per quello
che grado grado e per molli anni si andassero logoran-
do e corrompendo le lue forze, affinchè sì lungo tempo
di corruzione ti valesse a continua scuola di umiltà, e
ad impedire che in te sorgessero i primi affetti malvagi.
Rendiamo dunque grazie al clementissimo Iddio per
queste opere tutte, e rispondiamo co’ falli alla sollecitu-
dine che si prese di noi,sollecitudine che torna a tanto
nostro vantaggio; e cerchiamo di adempiere esattamente
quel precetto di che spesso io vi parlai, nè cesserò di
parlarvi fino a che voi non vi avrete perfettamente cor-
retto : mentre da me non si chiede, se vi avrò con molte
o poche parole ripreso, ma se tanto vi avrò ripreso che
bastasse a persuadervi. Quindi il Signore a Giudei per
mezzo del suo Profeta diceva : Se digiunale a liti ed a
contese, a che digiunate mai (i)? E per mio mezzo vi
dice: Se digiunate a giuramenti e spergiuri, a che di-
giunate mai? Qual maniera di prepararsi alla Pasqua
è mai cotesla ? Come ci accosteremo al santo olocausto ?
Come avrem f ardire di comunicare a’ celesti misteri
con quella lingua che di spesso ha conculcato la legge
di Dio? Con quella lingua che sì bruttamente ha mac-
chialo l’ anima? Che se ci tratterremmo dal toccare la
regia porpora, ove immonde fossero le nostre mani, co-
me riceveremo il corpo del Signore su d una lingua
eh’ è lorda? Il giuramento sarà pel malignatore demonio,
il sacrificio poi pel Signore? Qual v’ è comunanza tra
le tenebre e la luce,qual accordo tra fìelial e Cri-
sto (2)? Conosco apertamente che tutti v adoprale a
spogliarvi di questa colpa, ma, poiché ciascuno di per
(1) K-»i.» I.VIII, 1(2) S. l’agio, Il ai Corioti VI. 1 (»,
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I2r>
se slesso non potrà ghignerò ad ottenere il fine brama-
to, così facciamo delle società e delle classi: e in quella
guisa che si diportano i poveri nel fornire un banchetto,
allorché niuno da se solo potrebbe compiutamente im-
bandirlo, e invece nel presentarsi che fanno lutti porta-
no secondo il patto la propria porzione*, diportiamoci
anche noi, e dove ci sentiamo nn po’ tardi, dhidiam le
sollecitudini, ed accordiamoci di raccogliere in comunei particolari consigli, gli avvisi, le esortazioni, i rimpro-
veri, le minaccie, affinchè per l'opera di ciascuno lutti
facciamo il bene. E se noi siamo più avveduti a notare
i difetti del prossimo che i nostri proprii, vegliamo ai-
fi altrui custodia, c a vicenda affidiamo agli altri la no-
stra*, e nasca in questo modo un utije gara tra noi, ac-
ciò, vinta la malvagia consuetudine di giurare, confidenti
possiamo alla prossima solennità apparecchiarci, ed es-
ser fatti partecipi del santo sacrificio nella pace della
coscienza e nelle speranze più liete per la grazia e mi-
sericordia del nostro Signor Gesù Cristo, pel qnale e
col quale sia gloria al Padre insieme ed allo Spirilo
santo pei secoli de' secoli. Così sia.
AltlCiitrO i)/C Nttwihiin.u
• i A v I: Wv! li!;' -a ;q «fi-' ivu u.c> àa i/vpaui*
fljji IjTkl :j>>’- iUC-Zìl '->
17
OMELIA AHI.
— -
Rinnova i rendimenti di grazie a Dio per gli ottenuti benefi-
di, richiama per poco il discorso intorno alla creazione
del mondo, indi passa all' argomento della legge na-
turale da Dio infusa nelF nrnan cuore,
e termina col
parlare intorno a' giuramenti.
Dissi anco ieri: sia benedetto Iddio, cd oggi ri-
petei ò lo stesso. Quantunque cessarono le angoscio,
pure non cessi dell’ angoscio provate la rimembranza,
non per dolercene, ma per mostrarci riconoscenti. Che
se la memoria dei mali trascorsi rimarrà con noi, non
avrem d’ uopo di nuovi che vengano ad eccitarne. Fa
di mestieri forse 1 esperienza, ove la memoria basti a
correggere? Di quella guisa pertanto che Dio non per-
mise che la procella ne sommergesse ; così anche noi,
acchetale le minaccia, che ne stempri la infingardaggine
non permettiamo. Ne confortò allora eli’ eravam mesti,
ora che siamo lieti rendiamogli grazie}ne porse conso-
lazioni in mezzo ai sospiri, e non ci lasciò abbandonati-,
dunque nè anco noi nella prosperità non dubbiar» tra-
dire noi stessi, e lasciarci cader nell'accidia', poiché sta
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I
127
scrillo: NelP abbondanza ricordatevi del tempo dedia
fame (i). Conviene perciò clic noi pure ci ricordiamo
i giorni della tentazione in que’ di salvezza, e ci appi-
gliarne alla pratica medesima nei peccali. Conciossiachè,
se cadrete in qualche colpa, e Dio ve la farà perdonata;
ricevetene il perdono e ringraziatelo;tuttavia serbate la
rimembranza della colpa, non per logorare in codesto
pensiero voi stessi, ma per temperare il soverchio rigo-
glio dell’anima, e non cadere negli errori di prima. Félo stesso anche Paolo, il quale dopo di aver detto: Id-
dio m' ha credulofedele coll affidare a me il ministe-
ro apostolico ;soggiunse, a me chefui da prima reo
di bestemmie,di persecuzioni^ d'insulti (2). Espongasi,
«lice, la vita del servo, affinchè la misericordia del pa-
drone si manifesti, e se m’ebbi il perdono delle mie
colpe, sappiasi clic non ne I10 cancellata la memoria.
Nè ciò valeva solo a celebrare la bontà di Dio, ma sì
anco a maggior gloria del convertito. Come infatti avre-
te appreso quello ch’egli era dapprima, vi desterà mag-
gior meraviglia dappoi;e come veggiale qual divenisse
da quello che era, saran più magniGci gli elogi che gli
darete; e quand'anche state fossero innumerevoli le
vostre colpe, dopo il mutamento a belle speranze rina-
scerete; poiché, oltre a ciò che si disse, codest’ esempio
è sprone a1
medesimi disperali e a miglior vita li tragge.
E ciò otterrassi pure in questa nostra città, mentre i
fatti che accaddero dimostrano c la virtù di voi che a
mezzo della penitenza valeste a divertire tanto sdegno
dal vostro capo, e predicano la clemenza di Dio, che
per sì poco tempo di conversione, disciolse le minaccie
di sì terribile tempesta. Quindi bastano a destare coloro
(1 )EcrlcsiaMieo XVItT, 25.
(2) S. Paolo t, a Timoteo 13.
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f
128
medesimi die giacessero disperati, facendo ad essi co-
noscere dall esperienza nostra, che quegli, che guarda
al cielo ed al soccorso che viene da Dio, benché dovun-
que intorno gli s'accavallino innumerevoli flutti, tutta-
via non può sommergersi. Chi vide, chi intese mai
avvenimenti simili ai nostri? Temevamo ciascun giorno
che la nostra città fosse per essere co’ suoi abitatori di-
strutta;pure, allorché il demonio sperava che la nave
se n’andasse a fondo, Iddio ritornò serenissima la cal-
ma. Non poniamo dunque in dimenticanza la gravezza
dei mali, onde ricordarci la grandezza dei beneficii che
Iddio ne concesse;avvegnaché colui che ignora 1 indole
della malattia, ignorerà pur anco il merito eh1
ebbe il
medico nel guarirla. Questi avvenimenti ripeteteli a' fi-
gli vostri, e tramandateli a mille generazioni future;
affinché tutti apprendano come lo spirilo infernale cer-
casse distruggere la città, e come Iddio dallo stalo di
suo abbattimento e prostrazione si adoprassc ad eriger-
la di bel nuovo, non permettendo che soffrisse alcun
danno, togliendole ogni timore, e dal minacciato peri-
colo allontanandola celeremente. La settimana infatti
ornai trascorsa, aspettavamo lo spoglio d’ogni aver no-
stro, e ci parea di vedere starne sopra le soldatesche c
con esse molti altri indicibili danni;ma già quelle ango-
scie tutte passarono a foggia di nube od ombra che si
dilegua, e fummo abbastanza puniti colfansia delle te-
mute calamiladi, né puniti soltanto, ina corretti e can-
giati in migliori di prima; perchè Iddio franse l’animo
dell’imperatore. Ripetiam dunque ciascun dì e senza
tregua : Sia benedetto il nostro Padre celeste, e con più
diligenza frequentiamo le religiose adunanze ed accor-
riamo alla chiesa, d’onde ne venne sì gran vantaggio.
Voi sapete ove dapprima vi rifuggiste, ove foste raccol-
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li, ove s aprirono le fonti della vostra salvezza. Appi-
gliamoci pertanto a quest àncora, e coni’ ella non ne fallì
il giorno del pericolo, similmente anco noi non abban-
doniamola in quelli del perdono; ma stiamo fermi, e
sien perenni le adunanze c le nostre preghiere, ed a-
scolliamo spesso la parola di Dio; e il tempo che per-
devamo nell’ inquietudine, nel chiedere bramosamente,
nel correr d’ attorno a que’che venivano dal campo, e
nel tener dietro a’ pensieri delle sovrastanti tribolazioni,
occupiambio lutto nello ascoltare i divini precetti, schi-
vando ogni tumulto inutile ed importuno per non es-
sere alle strettezze de’ primieri affanni novellamente ri-
dotti.
Ne’ tre giorni passati spiegavamo una delle manie-
re proposte alla conoscenza di Dio, e cercavamo svol-
gerla pienamente, interpretando come i cieli narrino
la gloria di Dio,e come si debba intendere quella sen-
tenza di Paolo: Le invisibili cose di Lui,per via di
quelle che si veggono^ a mezzo della intelligenza si
percepiscono; c dimostrammo di qual maniera pel ma-
gistero del mondo creato, del cielo, della terra, del ma-
re diasi gloria al creatore. Oggi pertanto dopo di aver
ancora per poco ragionalo sopra questo argomento, ad
altro volgeremo il discorso : che Iddio non creò soltanto
P universo, ma creato che f ebbe, gli diè un impulso
agli effetti che produr dovea conveniente, non lascian-
dolo del tutto immoto, nè del tutto comandando che si
movesse; poiché se ne stette immobile il cielo, secondo
ciò che ne dice il Profeta : Iddio pose il cielo a Joggiadi un arco
,e quasi un padiglione lo distese sopra la
terra (i); mentre il sole invece colf altre stelle fornisce
(1) Isaia Xb, 22.
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1 50
ni
ciascun dì il proprio corso. Tnollrc anco la terra è fissa,
e le acque di continuo si muovono : nè giù le acque sol-
tanto, ma le nubi, le pioggie che alla propria stagione
copiose e successivamente ritornano,e la sostanza delle
* pioggie è una sola, ma negli efielli trasformasi diversa-
niente. Essa infatti nella vite cangiasi in vino, negli olivi
in olio, e in ciascuna pianta negli umori che le son pro-
prii; anche il ventre della terra è un solo, ma come son
^arii i .frutti ch’egli dà fuori? Una sola è la luce c la
virtù calorifica del sole, ma in guisa assai diversa traggo
i prodotti a maturazione, e compie l’opera propria dap-
prima in questi, in quegli altri dappoi. E chi in veduta di
tutto ciò non è collo da meraviglia c stupore? Pure il
meraviglioso non islù solamente in questo: che abbia
formalo il mondo e diverso tra se e svariatissimo, sib-
bene ancora che lo rendesse comune a tutti, ai ricchi,
ai poveri, ai peccatori, ai giusti. Lo che esprimevasi da
Cristo medesimo, dicendo che il Padre: Fa spuntare il
suo sole sopra i buoni ed i malvagi, e piove egualmen-
te sopra gf innocenti ed i rei (t). Empiendo poi code-
sto mondo d innumerevoli specie di animali, ed a cia-
scuna i suoi proprii costumi impartendo, volle che que-
ste nc provocassero all'imitazione, quelle per lo contrario
alla fuga. E a mo’ d’esempio, la formica è animale di
molta industria, e compie un lavoro faticoso assai. Ovedunque bene la consideriate, da essa trarrete una gran
lezione per non poltrire nell’ inerzia e sottrarvi all’opera
ed al sudore. Quindi è che la medesima Scrittura man-
da a lei I infingardo e dice: Fa alla formica ,o pigro
,
imita le vie di ella tiene e. sii al par di quella sapien-
te (2). E ciò vuoisi dire: Non vi curate di apprendere
(1) S. Malico V. 45.
(2) I’roitrhii VI. G.
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dalle Scritture, che l’ operare è un gran bene, c che
non dee mangiare nè anco quegli che ricusa il lavoro?
Ricusale di porgere ascolto a que’che v'insegnano? Ap-
prendete adunque dai bruti. Usiamo di sovente lo stesso
nelle nostre famiglie : allorché, dando in qualche fallo i
maggiori e que che sembrano i più assennati, li inviliamo
ad osservare i lanciullelti più attenti, dicendo: Guarda-
te questi che son minori di voi, quanto siano più indu-
striosi ed assidui. Anche voi pertanto da codesto anima-
luccio imparate ad essere operosi, e celebrale il vostro
Dio, non solamente perchè fece il sole ed il cielo, maperchè insieme fa la formica, eh’ è sì picciolissimo ani-
male, ma basta ad una sublime dimostrazione della sa-
pienza di Dio. Considerate alla saggezza di lei, e mera-
vigliatevi come il Siguore abbia potuto infondere in un
corpo sì breve tanta c sì continua brama di faticare. Ela formica varravvi a scuola di lavoro, come la pecchia
di mondezza, diligenza ed amore5poich'ella non s’ado-
pra più per se stessa, di quello che ciascun giorno s’nf-
làlichi per noi: e cercare, nou il proprio vantaggio, maquel d’altrui, è ufficio che massimamente ad uoin cristia-
no appartiene. Come poi la pecchia vola d’intorno ad
ogni prato onde apprestare ad altri una lieta mensa *, co-
sì tu pure non diportarti altrimenti, o uomo, c sia che
raguni danaro, lo consacra ad altrui vantaggio •, sia che
pronte le parole ti soccorrano della sapienza, non met-
terle sotterra, ma le svolgi dinanzi a chi ne abbisognaj
sia che tu possegga qualch’aitra cosa, cerca sempre l’u-
tile di coloro a cui posson giovare le tue fatiche. Nonvedete voi come la pecchia abbia tra gli animali il più
magnifico elogio, non perchè lavora, sibbeoe perchè la-
vora pcgli altri? Anche il ragno è operoso, paziente del-
la fatica, e dispiega le proprie tessiture lungo le pareti
132
con tale artificio, che supera di molto ogni maestria fem-
minile
1
,pure è un animale tenuto a vile, avvegnaché l’o-
pera sua non ha per noi vantaggio di sorta alcuna; e gli
assomigliano coloro che sostengono veglie e sudori per
se unicamente. Imitate la semplicità della colomba, se-
guite l’amore dell'asino e del bue verso il padrone, fate
vostra la confidenza degli uccelli;ehè molto è il profitto
che trar potete dai bruti a correggimenlo de'vostri co-
stumi. Cristo medesimo prese dagli animali degli argo-
menti a nostra istruzione*, poiché disse: Siate prudenti
come le serpi e semplici al par delle colombe ( i) j
e di
nuovo : Guardate a'volatili del cielo che non seminano,
nè raccolgono ed il padre vostro celeste li pasce. E il
Profeta, a vergogna della ingratitudine de’Giudei, escla-
ma : II bue conosce il suo mandriano,e 1asino la stalla
del suo padrone,ma il popolo cC Israele non conosce
Iddio (2 ). Ed un altro Profeta ancora : La tortorella e
la rondine osservano il tempo della loro venula,e il
mio popolo non ha conosciuto il giudicio del suo Signo-
re (3). Da questi ed altri somiglianti animali apprendi
l'esercizio della virtù, da que’ohe fanno il contrario la
fuga de’ vizi i. Conciossiachè, se la pecchia è benefica,
l’aspide è pernicioso;quindi fa di mestieri tenerci lun-
go dalla malizia per non udirci ripetere : Sotto alle vo-
stre labbra sta il veleno degli aspidi (4). Il cane è im-
pudente, aborrite adunque l’ iniquità sua. La volpe è
ingannatrice e fraudolenta, sbandite per ciò da voi code-
sto difetto*, e a quella guisa che la pecchia sorvolando
a prati non raccoglie da lutti i fiori, ma appigliandosi
(1) S. Malico X. 17.
(2) Isaia I. 4-
(3) Ci et ernia Vili. 7.
(4) Salmo CXXXIX. 5.
1 55
a'profittevoli, lascia gli altrijcosì farete voi pure, schie-
raiulovisi dinanzi le varie specie dei bruii. Di ciò die
hanno di vantaggioso profittatovi, e per mezzo del libe-
ro arbitrio ricopiale quelle prerogative che ricevettero
dalla natura;giacché dal creatore distinti foste per mo-
do che, per libera volontà adornandovi di molti pregi
che riscontrami nell’ istinto degli animali irragionevoli,
ne avrete poi la giusta mercede: mentre i bruti le utili
opere adempiono non per iscelta e ragione, ma per solo
impulso della natura. Infittii la pecdiia raccoglie il miele,
non a ciò tratta dalla intelligenza, sì dallo istinto istrui-
ta: che se non fosse dono delia natura, non sarebbe
proprio di tutta la specie, e converrebbe che se ne tro-
vassero alcune di codesùuie ignoranti affatto’, ma inve-
ce, d allora che fu creato il mondo fino al dì d'oggi, non
si trovò dii vedesse le api in riposo, o senza attendere
alla raccolta del mele. Così è: i pregi che vengono dalla
natura son comuni a tutta la specie, ma non io sono
quelli che dipendono dal libero arbitrio ed lianno d'uo-
po di fatica, perchè ne corrano a seconda.
Su dunque pigliale a vostro adornamento tutto
ch’è migliore nei bruti. Voi siete i sovrani delle creatu-
re irragionevoli, ed i sovrani, se v’ha qualche cosa di
prezioso nei sudditi, d’oro, d’argento, di gemme, di
magnifiche vesti, essi ne posseggono d’ avvantaggio, e
vuoisi sempre dalla creatura prendere argomento ad
ammirare il creatore. Che se alcuui oggetti visibili sor-
passano fi intelligenza vostra, e non basta la ragione a
scrutameli, rendete in essi gloria al creatore, che portò
la sapienza del suo magistero oltre i confini della vostra
mente. Nè state a dire: perchè ciò? e a quale scopo?
Tutto è utile, benché noi non ne comprendiam la ra-
gione. Entrando infatti nel gabinetto di un medico, e
18
Iti z
13/i
veggcndo schierali iolorno molli stromcnti, ammiriamo
la varietà loro, per quantunque ne ignoriam 1’ uso : nè
abbiamo a diportarci diversamente riguardo alle creatu-
re, e veggendo molti generi d’animali, d’ erbe, eli piante
e d’ altri oggetti svariatissimi di cui disconoscete i
vantaggi, considerate la mirabile diversità loro, celebra-
tene il creatore e il sommo artefice,Iddio, anche per
ciò che non volle tutte cose vi fossero manifeste od
iguote. Non volle tutte vi fossero ignote, perchè non
aveste a dire ch’egli nella creazione del mondo non fu
provvidente •, non volle tutte vi fossero manifeste, per-
chè la vastezza di tante cognizioni non vi levasse in
superbia;chè il primo uomo fu dall’ iniquo spirito in-
fernale tradito sotto alia lusinga di una scienza maggio-
re, con cui gli tolse in parte anche quella di che godeva.
Quindi il Sapiente ne fa avvertiti, dicendo: Non vi ac-
cignetc a ciò che supera le vostre forze,e non vogliate
svelare le cose più sublimi di voi ( i) : sibbene meditate
quello che a meditar v’ è prescritto. Molte delle cose
create staunosi chiuse ancora nel proprio secreto, tutta-
via: Molle eh eccedono f intelligenza umana ciJuronodimostrale. E ciò ei disse a conforto di coloro che rat-
tristavansi e si dolevano perchè non potean giugnere a
conoscimento di lutto, volendo chiamarli a riflettere che
gran parte del saper loro stava sopra alle forze dell’ in-
telletto umano, c conchiudere, che se non f aveano
scoperto da se, fu d’uopo che Iddio lo rivelasse. Siate per-
tanto paghi delle ricchezze concedutevi, e non ne ricer-
cate di più, sibbene rendete grazie per quelle che rice-
veste. Non vogliale sdegnarvi per ciò che vi fu uiegato,
e per ciò che Iddio vi manifestava glorificatelo, senza
(1) Erclcsiasficw III. 22.
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punto pigliarvi a scandalo quello che voi non conoscete,
poiché I una e 1 altra cosa ordinossi a vostro vantaggio,
e per- mezzo della rivelazione e per quello de’ misteri si
provvide alla salvezza vostra. Ma per tornare a noi : una
maniera anche sola di conoscere Iddio pel magistero
della creazione varrebbe a consumar molli giorni, per
non discorrere poi soltanto con qualche diligenza della
formazion dell’ uomo; e s'intende con quella diligenza
per noi possibile, non già coll’esattissima, poiché quan-
d’ anche avessimo rintraccialo molte ragioni dell’ opera,
ne rimarrebbero assai più di arcane e conosciute da Dio
che la fece, mentre noi non possiam giugnerà al fondo.
Per indagare adunque diligentemente I’ intera tessitura
dell’ uomo, e rilevare da ciascun organo la sapienza crea-
trice, dai nervi, dalle vene, dalla distribuzion dell’arle-
rie, dal sito e dalla considerazione delle singole parti, ne
basterebbe appena il corso di un anno per quanto è lun-
go. Qui dunque facciam sosta a questo argomento, e
lasciando a’diiigenti e desiderosi di più apprendere nel-
le cose esposte il modo onde scrutare le altre parti della
creazione, convertiamo il nostro discorso ad un altro
assunto, che dimostri pur esso come sia grande la prov-
videnza di Dio. £ qual é adunque codesto secondo as-
sunto ? Che Iddio dapprincipio formando l’uomo, scol-
piva in esso la legge naturale. E che mai vuoisi dire lo
averci la legge naturale scolpito? Lo averci dato una
coscienza, nella quale volle che per forza di natura fosse
vivo il conoscimento del bene e del male. Nè certamen-
te abbiano d’uopo d’un maestro che ne insegni la forni-
cazione essere un male, un bene la continenza, perchè
fin dal primo esistere lo sappiamo. Quindi è che il Le-
gislatore medesimo, dettando in seguito i suoi precetti,
per farne avvertiti di quello che già fin do principio c<-
1 56
noscevamo, disse: Non ucciderai (i), seni’aggitingere :
l’uccisione è un male. E semplicemente disse non ucci-
derai, perchè proibiva il peccato, ommettendo lo addi-
tarcelo come tale. E per qual motivo adunque Colui che
disse : Non ucciderai,non soggiunse pure : perchè l’uc-
cisione è un peccato? Perchè la coscienza ce lo aveva
insegnato sin dalle prime, e così ne parla come di cosa
conosciuta ed intesa. Quando poi viene a stabilire un
precetto dalla coscienza ignorato, non lo enuncia già uni-
camente, ma vi appone pur anco il motivo. Segnando
infatti la legge intorno al sabato, e dicendo : Il settimo
giorno non imprenderai alcun lavoro (2 ),addusse an-
che il motivo di tal sospensione. E quale? Perchè il
settimo giorno anche Dio riposò da tutte le opere sue
che uvea cominciato a creare ; e in altro luogo: Perchè
il popolo d’israelloJu schiavo nella terra (fEgitto (3).
Ditemi adunque, perchè nel sabato espose il motivo,
ciò che non avea fatto quando trattossi dell’uccisione?
Perchè il precetto del sabato non era de’ principali, nè
di quelli che ci vengono suggeriti dalla coscienza, sib-
bene particolare e temporaneo, per cui nella legge di
grazia mutossi, mentre i precetti necessarii, ne’quali sta
il freno di tutta la nostra vita, sono: Non ucciderai, non
commetterai furto, non adulterio. E perciò che in essi
nè adduce il motivo, nè pone 1 ammaestramento, mapensa che basti la proibizione soltanto.
Nè da ciò unicamente, ma d'altronde pur mostre-
rovvi come l’uomo dalla natura fosse educato al cono-
scimento della virtù. Adamo commise prima la colpa, e
tosto dopo la colpa si nascose. Se non conosceva di aver
, (1) Esodo XX. 15.
(2) Esodo XX. 10.
(5) Deuteronomio XXIV. 18.
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137
commesso un qualche male, per qual motivo nasconder-
si ? Non v'erano scritture, non la legge, non Mosè : d’on-
de pertanto il conoscimento del fallo sino a nascondersi ?
Nè si nasconde solo, ma, ripreso, s’adopra a rinversarne
sulle altrui spalle la causa, dicendo : 1m donna,che tu
mi desti,mi porse ella di quellalbero
,e ne ho man-
piato (i). Ed ella pure cercò subito d’imporre ad altri,
cioè al serpente, il delitto. E qui considerate la divina
sapienza di Dio. Non appena Adamo esclamò: Intesi la
tua voce eJ'ui colto da spavento^ perdi ero nudo e minascosi ; che Iddio noi rimproverò del fallo, nè disse :
Perchè mangiasti di quell’albero? ma sì lo addimanda
dei come della colpa sua s’accorgesse: Chi,
ripigliava
egli, ti mostrò ch'eri nudo,se non Taver mangiato del-
ralbero di cui ti acero imposto che non mangiassi ? Nèquesto fu un tacere, nè un aperto rimproverarlo. Nontacque per dargli un eccitamento a confessare la colpa,
noi riprese apertamente, affinché tutta l’opera non fosse
sua, e l'uomo andasse privo di quel perdono, che dalla
confessione deriva. Quindi è che non isvelò schiettamen-
te il motivo, da cui gli venne la cognizion della colpa,
ma sotto forma d’interrogazione gli parla per dischiu-
dergli l’adito a confessare. Caino poi ed Abele vengono
anch’essi a prova di questo fatto della coscuuiza. Daprincipio offersero a Dio le primizie delle loro iàliche:
c ne giova parlare non solo del peccato, ma della virtù
pur anco, affinchè si conosca che l’uomo è fornito del-
l una e dell’altra scienza. Adamo inlatti ne mostrò saper
esso che il peccato era male, ed ora ne mostra Abele
che sapeva la virtù essere un bene *, chè non ammaestra-
to da chi si sia, nè intesa ancora la legge che trattasse
(1) Genesi IH.
158
IU h
dello primizie, ma spinto unicamente dalla sua coscien-
za, offerse quel sacrificio. Ed io non mi dilungo nei po-
steri, sibbene co’primi nomini m’arresto, allorché non
v erano ancora nè Scritture, nè Legge, nè Profeti, nè
Giudici, ma il solo Adamo co’figli suoi, acciò possiate
apprendere che il conoscimento dei beni e dei mali dap-
prima riposto era nella natura. Di fatto, d’onde imparò
ALele ch’era un bene il sacrifizio, un bene il venerare
Iddio e rendergli grazie in tutte cose? E che pertanto,
Caino non offerse il suo sacrificio? L’offerse anch’egli,
non però alla stessa maniera. E da questo pure l’effetto
del sentimento morale si manifesta. Perchè lo cuoceva
l’invidia dell’onore concesso al fratei suo, va macchinan-
do la morte di lui, ma il pensiero iniquo nasconde: e
che dice? Su presto,portiamoci alla campagna ( i). Al-
tra è l’apparenza: una simulazione di carità. Altro il
sentimento: il consiglio di uccidere il fratello. E, se non
lo avesse creduto un consiglio iniquo, per qual motivo
celarlo? per qual motivo, dopo l’uccisione commessa,
interrogalo da Dio: Dovè Abele il tuofratello ?, rispo-
se : Noi so,forse ch'io sia la guardia del mio fratello ?
Ma perchè il niega? Non appar egli da ciò che grande-
mente si condannava ? Dove infatti suo padre s’era na-
scosto, cpicsti mentisce5ma dopo le nuove interrogazio-
ni di Dio esclama : ha mia iniquità è maggiore di quel
che possa comportarla il perdono. I Gentili però non
ammettono codesti fatti : parliamo dunque anche ad es-
si, e come nella creazione non ci siam solo usati della
Scritture, chè abbiam ricorso anche alla ragione onde
combatterli; così ora facciam lo stesso riguardo alla co-
scienza;poiché il medesimo Paolo si appiglia a quest’ar-
(1) (iencsi IV. 8.
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159
ma, ove sorge contro di loro. Ma si oda alla fine die
cosa dicano. Dicono, clic nella coscienza di per se non
c’è posta legge di sorta alcuna, nè ce la infuse il Dio
della natura. Come dunque, io ripiglio, i loro legislatori
dettarono precetti intorno alle nozze, alle uccisioni, a’te-
stamenti, ai depositi, al non opprimere il prossimo, e ad
altri argomenti innumerevoli ? Soggiugneranno per av-
ventura che i viventi li appresero da’ più vecchi, quelli
ila’ più vecchi ancora, e così fino ai primi. Essendo poi
che anco i primi diedero delle leggi; d’onde, io ripeto, le
appresero ? Forse fuori della coscienza ? ma non potran-
no dire che sieno stati con Mosè, ch’abbiano inteso i
Profeti, poiché ciò di qual modo s’eran Gentili ? Rima-
ne quindi ch’abbiano derivato le proprie leggi da quella
che Iddio pose nell’uomo allora che Io creò, e che per
essa trovassero le arti, ed ogni altro vantaggio della
vita; mentre anche le arti nacquero dall’attendere che
quegli antichi vi fecero spinti dal proprio ingegno. Per
questa guisa i tribunali, per questa furono stabilite le
(iene;
lo che afferma l’Apostolo stesso. Prevedendo egli
che i Gentili sarebbero surti a contraddire e ripetere:
Come Iddio giudicherà quegli uomini che prima di Mosèhanno esistito ? Non diede un Legislatore, non promul-
gò un codice, non le vedere un Profeta, un Apostolo, •
un Evangelista e vorrà poi assoggettameli ad un gastigo?
Ciò prevedendo, dicea, e bramando mostrare che dalla
natura erano ammaestrati nella legge, e da lei aveano un’
evidente regola delle azioni, ascoltate che cosa ei dica :
Allorché i Gentili che non han legge adempiono senz'al-
tro naturalmente i dettali della legge } mentre non han-
no legge,sono legge a se stessi e mostrano le opere del-
la legge scritte nel proprio cuore. Ma come senza Scrit-
ture? Pel testimonio che rende a ciascuno la coscienza,
/4 V
140
per quei pensieri che si accusano o si approvano tra
di loro, avuto riguardo al giorno in c/te Dio giudicherà
i segreti degli uomini secondo il Vangelo che annun-
cio per Gesù Cristo. E di nuovo : Tulli che peccheran-
nofuor della legge,fuor della legge periranno, e tutti
che peccheranno entro alla legge,saranno giusta la
legge giudicati ( « ). E che dir si vuole:perire fuor della
legge ? Senza le accuse della legge, ina per condanna del-
la coscienza e dello intelletto. Che, se non avessero avu-
to la legge della coscienza, era d’uopo che, quand’anco
fossero caduti in peccato, non perissero. Perchè dunque
dice che peccarono fuor della legge ? Allorché dice fuor
della legge, non dice che non avessero legge, sibbene
che non avevano legge scritta, ina inveì» la legge della
natura. Quindi in altro luogo ripete : Sia gloria,onore
e pace a tutti che operarono il bene,
a' Giudei prima
ed ai Greci (a).
Paolo diceva questo, alludendo ai tempi primitivi
che furono avanti di Cristo;e chiama Greco non l’ido-
latra, ma quegli che adorava un Dio solo, quantunque
non obbedisse alla necessità dette pratiche giudaiche,
a’ sabatismi
,
alla circoncisione, alle varie usanze purifi-
catrici, e tuttavia saggio fosse e religiosamente pietoso.
Seguendo poi il medesimo argomento, soggiugne : L'ira,
la vendetta,
i dolori,le ambasce aspettano le anime
degli uomini che operano il male,de'Giudei principal-
mente e de'Grcci (3) ;ed ecco che qui torna a ricorda-
re i Greci, benché fossero dalle cerimonie giudaiche
liberi affatto. Che se non intesero a parlar della legge,
se non conversarono co’Giudei, come l’ira, la vendetta,
(1) S. Paolo ai Romani 11. 14 c seguenti.
(2) S. Paolo ai Romani li. 1.
(!S) S. Paolo ai Romani IP 9-
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Ili
lo tribolazioni ilo mabagi piombar «lovoano so\ ressi?
Perchè portavano (lenirò di so la coscienza a maestra, a
correllriee, a guida in tulio coso. Ma donde olla si lo
palese? da ciò che valse ad imporro i gastighi a’dolin-
quenti, a promulgare lo leggi, a stabilire i giudicii. E lo
mette in chiara luce 1 Apostolo, allorché guardando a co-
loro che vivono nel vizio, diceva: Questi sono </urlìi
che conobbero /u giustizia ili Dio,o suuno che merita-
no la morte coloro che adempiono colali cose, eppure
non è che le adempiano essi soltanto,ma negli altri
prevaricatori ancora le approvano (i). E (fonde seppe-
ro, si ripiglia, essere volontà di Dio che sieno puniti
que tulli che vivono da malvagi? Donde? da quel prin-
cipio medesimo dietro cui giudicavano i delitti degli al-
tri. Inibiti, se non giudicaste 1 uccisione un male, dove
da voi fosse colto un omicida, per sentenza vostra noi
punireste: se non giudicaste 1 adulterio un male, comevi si presenti un adultero, liberatelo dalla pena. Che se
contro alle colpe altrui prescrivete le leggi, ordinate i
gastighi, e siete giudici severi, quale scusa v avrete mai
di quelle colpe in che voi medesimi cadete dicendo che
le commetteste per ignoranza? foste adulteri e voi e gli
altri. Ma perchè punite gli altri, e stimate voi meritevo-
li di perdono ? Dove non sapeste che I adulterio è unpeccato, e a voi e agli altri conveniva la iinmunitade. Mase punite gli altri, e credete andar voi scevri dalla pena
,
in che modo accordar puossi colla ragione che a rei del
medesimo delitto non si aspettino i gastighi medesimi?
Quindi è che sopra il medesimo argomento l*aolo di
questa guisa insisteva: Credi tu. o uomo,che pronunci
i tuoi giudicii sopra coloro che rei sono di tuli colpe
,
(1) S. Paulo ai Romani I. 52.
10
é*
i
U2
!?V
e ad fisse li lasci andare,credi tu difuggire il giudicio
di Dio (i)? T'inganni, oh! sì, t'inganni;poiché del giu-
dicio che pronunciasti contro degli altri Iddio giudiche-
rà te stesso, non essendo conveniente che tu sii giusto
ed ingiusto il Signore. E se tu tieni conto d’un1
ingiuria
recata al prossimo, non lo terrà forse Iddio ? Se tu cor-
reggi gli altrui peccati, come Iddio potrà non correg-
gerli? Se poi subito dopo la colpa non ti punisce, non
confidare per ciò, ma temi anzi maggiormente. Ciò ne
viene prescritto da Paolo, che dice: Disprezziforse i te-
sori della bontà,della pazienza e della divina lentezza
nello adirarsi,ignorando che la misericordia di Dio
t'invita a penitenza? Quindi egli soffre, non già perchè
tu divenga peggiore, ina perchè li converta; dove poi
tu resista, conservandoti impenitente sotto a sì grande
benignità di Dio, ti prepari un argomento di più severa
condanna. E Paolo dichiarò questo ancora, ripigliando;
Secondo poi la tua durezza e Timpenitente tuo cuore,
ti vai tesoreggiando la vendetta nel giorno della ven-
detta e della manifestazione del giusto giudicio di Dio
che renderà a ciascuno la mercè delle opere sue. Poiché
adunque renderassi la mercede alle opere di ciascuno,
perciò Iddio ne infuse dapprima la legge naturale, ne
diede appresso la scritta, onde irnpor giustamente i ga-
stighi alle colpe e coronare le opere buone. Con ogni di-
ligenza pertanto componiamo le nostre azioni, quasi
fossimo per comparire innanzi al tremendo giudicio di
Dio, sapendo che non vi sarà per noi scusa di sorta, se
dopo la legge naturale e la scritta, dopo tanti ammae-
stramenti e continue riprensioni non ci prenderemo
pensiero alcuno dell’elema nostra salvezza.
(1) S. Paolo ai Romani il. 2 c seguenti.
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14 j
Vorrei parlarvi ili nuovo intorno ai giuramenti, maun po’ arrossisco . A ine non è grave lo insistere dì e
notte sul medesimo argomento; pure temo, dopo le
molle ammonizioni de’trascorsi giorni, di mostrare con-
dannevole troppo la vostra tiepidezza, ove abbisogniate
in un impresa cotanto facile d essere incessantemente
richiamati. Nè solo arrossisco, ma pavento per voi, men-
tre i continui ammaestramenti tornano utili c salutevoli
a que’che vi attendono, ma di gran pericolo e danno
agl infingardi. Quegli infatti ch’è di spesso avvertito, ove
non adempia le cose raccomandate, chiamerà sopra di
se una maggior punizione. E ciò che Dio rimproverava
a’ Giudei, dicendo: Destai i miei Profeti sino dai sor-
gere de'primi albori e li ho inviati a voi,e in onta a
ciò non li ascoltaste (i). Io fungo codesta parte pel mol-
to amore che vi porto, ma temo che i miei consigli e le
riprensioni tornino di danno a voi tutti nel dì terribile
del giudicio. Poiché se l’opera buona è facile, e v’ha chi
non cessa dall avvisarvene, qual mai scusa potrete ad-
durre? Qual argomento potrà sottrarne *al gastigo? Se
vi avvenga di dare a prestito del dinaro, ditemi, sem-
pre che vi soccorra il tardo debitore,non lo avvertite
della prestanza che gli faceste? Fate lo stesso anco di
presente, e ciascuno creda che il prossimo gli debba una
qualche somma, gli debba l’adempimento di questo pre-
cetto, e facendosegli incontro lo tenga avvisato del debi-
to suo, conoscendo d incorrere in un grave pericolo an-
cor noi, ove non ci prendiamo cura de’nostri fratelli.
Questa è la ragione per cui non cesso aneli io di parlar-
vi. Conciossiaehè temo di noa ascoltare anch’io in quel
giorno : O malvagio servo ed infingardo, era d’uopo che
(1; Geremia XXV. 4-
/tt
i uanche In ponessi in snl banco i I noi dinari. Ecco io li
Imposti non ima volta, nè due, ina ripetutamente;toc-
ca ora a voi trame il conveniente interesse. L’usura poi
sta nel mettere in pratica il ricevuto ammaestramento,
che i prestiti di simil l’atta appartengono in line al Si-
gnore, e il dico, allineile non siamo a riceverli negligen-
ti, e infedeli nella custodia;ina si possiamo in quel di
con moltissimo profitto al padrone restituirli; mentre,
dove non giovaste agli altri, ascoltereste quelle parole
che rivolte furono al servo seppellitore del tesoro affida-
togli. A voi però sia dato di udire, non già questo, sib-
bene l’altro discorso, indiritlo da Cristo a colui che avea
saputo lucrare assai, al quale disse : Su via9o mio buon
servo e fedele,giacche fosti fedele nel poco sarai da
me fatto padrone di molto (i). Queste soavi espressioni
faranno anche per noi, se imiteremo la diligenza di co-
desto servo, e la imiteremo adempiendo ciò ch'io vi
prescrissi. Come l orazion mia vi suoni ancor nell’orec-
chio ed uscirete di qua, eccitatevi a vicenda; e se prima
di separarvi scambievolmente vi salutate, così col saluto
porti ciascuno a casa l’avvertimento, e dica al suo pros-
simo: Considera e ti ricorda di vegliare con attenzione
all'adempimento del precetto, e adempierassi di certo.
Avvegnaché dove gli amici vi lascino con quest’avviso,
dove la moglie, ritornati in casa, ve lo richiami alla me-moria, dove il mio discorso, come siate soli, vi stia di-
nanzi a frenarvi, ghigneremo senz altro a cacciare da noi
codesta iniqua abitudine. So che voi vi meravigliate,
perch io mi adopri con tanta sollecitudine intorno a que-
sto precetto, adempietelo, ed io vi dirò la ragione. Di
presente vi dico, ch’osso è legge di Dio, e perciò non
(1) S. Malie.» XXV. 21.
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abitiamo alcun dirillo ili trasgredirne]»: tosto poi che lo
vedrò adempiuto vi porrò solt’occhio un altro motivo
che non è da tenersi in conto minore, affinchè appren-
diate che giustamente in ciò vi mostrai tanta sollecitu-
dine. Rimane ora di por fine al discorso colla preghiera.
Rivolgiamoci adunque a Dio e tutti d’accordo ripetiamo:
Tu che non vuoi la morte del peccatore, ma che si con-
verta e che viva, fa che dopo di essere stati fedeli a
questa ed allallre tue leggi tutte, possiamo presentarci
confidenti al tribunale del tuo Cristo, ed entrare a parte
della tua gloria in paradiso, poiché a te si addice la glo-
ria insieme alfunigenito Figliuol tuo, ed allo Spirito
Santo, ora e sempre, e nei secoli de’secoli. Cosi sia.
OMELIA IX.
Liberato che fu il popolo dalle angustie e ritornato in gual-
che confidenza,alcuni sparsero di nuovo per In città
dei falsi roviori spaventevoli, ma furono gastigati. Da
ciò dunque prende le mosse la presente Omelia, entran-
do tosto a parlare della necessità di ostinerei dai giu-
ramenti: si narra quindi la storia di Gionafa e di Sali-
le, e di Jeflc; e si dimostra che. da un solo giuramento
nascono moltissimi spergiuri.
Fu grande il turbamento in che ieri il demonio
pose la nostra cittade, ma del pari fu grande la consola-
zione che dal Signore ne venne, sì che ciascuno di noi
può a buon diritto ripetere ciò che disse il Profeta : Se-
condo la gravezza delle angosce che dilaceravano il
cuore,discesero pure le consolazioni ad allegrare il mio
spirilo (Sai. 29. 19.). E di fatti non è solo nel consolar-
ne che Iddio ne dimostri la sua provvidenza, ma nel
permettere ancora che siamo travagliati;quindi è che
andrò ripetendo anche oggi quello stesso che non ho mai
cessato di ripetervi : essere prova dell amore divino sì
la libcrazion delle angustie, come la loro permissione.
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No segue da ciò clic non sì tosto ne scorge inchinare
alla rilassatezza, allontanarci dall amicizia di lui, e non
tenere in conto alcuno i beni spirituali,
ci abbando-
na per poco, afìinchè, gastigati di questa guisa, abbiamo
ad infervorarci onde riedere a lui. E a che ci meravi-
gliamo se il Signore di questa maniera diportasi con
noi, mentre 1’ apostolo Paolo ne dice eh’ egli ed i suoi
discepoli furono a coteste prove (i) medesime sogget-
ti? Ecco come si esprimeva nella seconda lettera indi-
ritta ai Corinti: Non voglio che vi sia ignota,ofratelli
mici,la tribolazione
,che ci Jtt sollevata contro nellA-
sia. e come siamo stati sommamente aggravati sopra
le nostreforzefino a venirci a noia la vita,ed avere
dentro di noi stessi il presentimento della morte (a. Cor.
I. 8.): ch’è quanto dicesse, sì gravi furono i timori che
si rovesciarono sopra di noi, ch’avemmo in disgrado la
vita, e, disperando di ogni felice mutamento, credevamo
doverci attendere una morte inevitabile: che nuli altro
vuoisi dir certamente quéHabbiamo avuto dentro di noi
stessi il presentimento della morte. Pure dopo tanta de-
solazione Iddio acchetò la procella, disperse le nubi, e
fuor ne trasse dalle terribili zanne di morte. Indi facen-
dosi l’Apostolo a dimostrare, che il permettere l’incontro
di sì fieri pericoli era lavoro di somma provvidenza, ri-
corda il vantaggio che ne venia dai travagli, ed era la
necessità di tenere gli occhi fissi in Dio, di non elevarsi,
di non credere di saper molto. Oud’è che avendo detto
abbiamo avuto dentro di noi stessi il presentimento
della morte,ne addusse anche il motivo. E qual è mai
cotesto motivo? Che non abbiamo,soggiunse, a confi-
dare in noi stessi,sìbbene in Dio che suscita i morti.
(1) Ove la traduzione Ialina legge lentnlhnum, nel testo greco
sta icritto neifixSuMv
14R
/cfi
Suol dunque Iddio e desiare e scuotere noi caduti nel
sonno, e sull’orlo dei precipizii 5
e richiamarne per mez-
zo delle disavvenlure alla pietà religiosa. Come pertanto
vedrai, o mio diletto, la prova dei travagli ora spegnersi,
ora infiammarsi «li nuovo, non cadere «li animo nè di-
sperare (1); ma nudri lusinga di un felice avvenire, loco
stesso pensando, che Dio non voglia per odio o disdegno
darci in braccio agl’inimici, sibbene che voglia invece
renderci più fervorosi e a se più vicini. Non lasciamci
dunque andare allo avvilimento e alla disperazione di
miglior fortuna in appresso, e piuttosto lusinghiamei di
vederne in breve tranquilli, e riponendo in Dio il fine
di que’lumulti onde tuttavia siamo agitali, riprendiamo
il consueto nostro esercizio, e facciamoci innanzi nello
sviluppo dell argomento intrapreso, che di nuovo intor-
no ad esso io voglio trattenervi affinchè si steqii intera-
mente di mezzo a voi la malvagia abitudine di giurare.
Mi è d uopo pertanto ricorrere di nuovo a quella
medesima supplica che vi mossi, quando non ha guari
vi pregai di prendere in mano la tronca testa di Giovan-
ni stillante ancora tiepido sangue, di ritornarvene con
essa ciascuno alla casa vostra, e di avernclo sempre di-
nanzi agli occhi con una voce che grida : odiate il giura-
mento, che fu il mio carnefice. Ciò che gli acerbi rim-
brotti non fecero, fu dal giuramento adempiuto, e la ne-
cessità dello spergiuro giunse a quell estremo, a cui lo
sdegno tirannico non era pervenuto. Infatti allorché ven-
ne francamente ripreso in mezzo al popolo circostante,
sopportò generosamente il rimprovero*, ma quando tro-
vossi stretto dalla violenza del fatto giuramento, allora
quella beala testa divelse. Ora pertanto io chiedo, nè
(1) Ove nella traduzione latina ci sta refugiat, il testo greco
legge <XT:<x-/cfi 'suTr,q
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ì 1
cesserò uiai di chiedere, clic dovunque andremo, andiam
sempre portando colesto capo, e lo mostriamo a tulli
rompendo in alte grida, e vituperando i giuramenti.
Poiché, per quanto siam torpidi e negligenti, fissando
le pupille di quella fronte, pupille che terribilmente ne
guatano e minacciano gli spergiuri, non potremo per
timore di esse, non altrimenti che fossimo da validissi-
mo morso contenuti, non ralfrcnarci e togliere la lingua,
comunque sdrucciolevole fosse, all abitudine di giurare.
E in pria perch'egli clic giura di spesso e lo voglia e meno,
e si accorga e lo ignori, e in sul serio e per gioco, e
dall'ira e da molte altre passioni infiammato, cadrà facil-
mente negli spergiuri. Nè vi sarà chi osi contraddirlo,
essendo ben dimostrato e a tulli palese, che di necessi-
tà è spergiuro colui che giura di spesso. E poi, benché
trascinalo, o contro sua voglia, od ignaro uol l'accia*, tro-
vasi tal fiata per suo volere e avvertitamente indotto a
spergiurare dalle stesse circostanze dei fatti. Non avvien
di sovente che, pranzando in nostra casa, allorché alcuno
dei servi commetta un qualche fallo, la moglie giuri di
percuoterlo, e insieme giuri il contrario il marito, c re-
sista e noi permetta ? Che che sien essi per lare, è d uo-
po che ne succeda uno spergiuro *,poiché per quanto
lo bramino, per quanto anche si adopriuo onde mante-
nere il giuramento, è impossibile il farlo: c qualunque
sia il partito a cui si appigliano, o I uno o 1 altro sarà
reo di spergiuro, o piuttosto tutti e due nel modo eh io
sto per esporre e merita la vostra attenzione. Quegli che
giurò di percuotere il servo o I aucella, e poscia ne fu
impedito, è spergiuro^ perchè non ha il giuramento a-
dempiuto, e fé che seco della medesima colpa si mac-
chiasse colui che tenne il contrario, ed alla verificazione
del fatto giuramento si opposejmentre non è che solo
20
4
150
di cotesto delitto si facciano rei gli spergiuri, ma quelli
ancora che allo spergiuro costringono. Nè ciò avviene
unicamente in casa, ma può ciascuno vederlo in pubbli-
co e nelle zuffe massimamente, ove gli antagonisti giu-
rano il contrario •, cioè quando l uno giura di percuotere,
l’altro che non sarà percosso;questi di strappare la ve-
ste, quegli di non permetterlo$questi di trovare il modo
di riscuotere il suo danaro, quegli di non restituirglielo;
in breve sempre che i litiganti prorompono in giuramen-
ti di simil fatta. E non si vede forse succedere lo stesso
nelle officine e nelle palestre scolastiche? L’artefice non
di rado giura che non sarà per concedere che il garzone
mangi e beva prima di compiere interamente il lavoro
assegnatogli. Lo stesso fa sovente il maestro col suo di-
scepolo, la padrona colla sua fanticella;ed al sopravve-
nir della sera, ove rimanga l’opera imperfetta, è d’uopo
che, o gli uni che lasciarono sospeso il lavoro sen muo-
iano dalla fame, o gli altri che giurarono divengano
spergiuri. Nè dobbiamo obbliare che ne sta dappresso
il demonio, quel perfido insidiatore di tutti i nostri be-
ni, e non appena intese la necessità de’giuramenti che
adduce la torpidezza in coloro che ne sono lo scopo, od
alcun altro ostacolo ordisce, affiucbè non potendo ridur-
si l incominciata opera al termine, si raddoppi ino le per-
cosse, le contumelie, gli spergiuri ed altri danni infiniti.
Infatti non diversamente da’lanciuUi che tirando in con-
trario senso e con grand’impeto una lunga e logora funi-
cella, spezzanla a mezzo e cadono rovescioni rompendosi
questi il capo, quelli alcun’altra parte del corpo;anche
que’tulti che giurano cose tra loro opposte, come di ne-
cessità viene a frangersi il giuramento, così gli uni e gli
altri cadono nel baratro dello spergiuro: questi spergi u-
rando, quelli offrendo agli altri il motivo dello spergiuro.
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E perchè ciò apparisca manifesto non solo da
quanto avvien tutto giorno fra le domestiche pareti e
nelle piazze, ma ancora dalle medesime Scritture,
vi
racconterò un fatto antico, che viene a’miei detti oppor-
tunissimo (i). I Giudei furono da nemica oste assaliti,
con essa venne ad affrontarsi Gionata il figlio di Saule,
e parte ne trucidò, parte ne volse in fuga. Volendo Sauj
le più e più aizzare 1’ esercito contro di quelli che sor-
vivevano, e far sì che non ristessero pria di averneli
tutti scannati, operò il contrario di ciò che volle, giurato
ch’ebbe, che niuno avria preso cibo (a) prima della se-
ra e dell1
intero eccidio de1
suoi nemici. E poteva far
cosa alcuna più all1
impazzata di questa? Dovendo infatti
riconfortare i guerrieri stanchi e dalla lunga fatica op-
pressi, per dirigerli poi più vigorosi contro degl1
ini-
mici, li trattò più crudelmente degl1inimici stessi, la-
sciandoli per l’obbligo contratto nel giuramento in pre-
da alla fame più desolante. V’è del pericolo non poco
nell* obbligare con giuramento se stesso, poiché non di
rado veniam trascinati al contrario dalla violenza delle
circostanze -, vi sarà adunque maggior pericolo legando
l’altrui volere alla necessità de’ nostri giuramenti, e in
ispecial guisa allora che non si giuri per solo un altro o
per due o per tre, ma per una moltitudine infinita : co-
me sconsideratamente fece Saule, non soccorrendogli al
pensiero, che verisimilmente di numero sì grande almcn
uno sarebbe per infrangere il giuramento, nè conside-
rando, che soldati e soldati che combattevano, e che
erano ad ogni virtù, che ne venga dalla filosofìa, stra-
nieri, mal avrebbero saputo frenare i latrali del proprio
ventre, richiedendosi a ciò massimamente mollissima
(i) 1. dei Re XIV. a5.
(a) Il greco legge xpz.v, e il latino a torto panetti.
/f’o
152
fatica. Ma lasciando tutte coleste considerazioni addie-
tro, come si trattasse di giurare per un solo servo, che
può esser tenuto facilmente a freno, così pensò che av-
venir dovesse di un esercito intero : e quindi al demo-nio un tal adito dischiuse, che non già e due e tre e
quattro, ma in brevissimo tempo germogliar facesse da
cotesto giuramento innumerevoli spergiuri. Che se noi
medesimi non giurando per guisa alcuna, chiudiamo
ogni possibile accesso, gli prepariamo invece ampia tela
da ordire influiti spergiuri, ove ci lasciassimo sfuggir di
bocca un giuramento solo. E come quelli che aggrup-
pano le funi, con facilità ed esattezza forniscono la lun-
ga serie dei nodi se v’abbia chi le tenga dall’un de’ ca-
pije se poi non si trovi alcuno che il faccia, non pos-
sono nè anco incominciare : non altrimenti il demonio
che aggruppa le funi delle nostre colpe, non può darvi
principio se non prenda le mosse dalla nostra lingua;
ma se noi vi apriremo l’adito solo a cominciare, rite-
nendo per nostra parte colla lingua, che sarebbe quanto
la mano, il giuramento; allora il demonio con molta li-
bertade usa de’ suoi maliziosi artiGcii, fabbricando sopra
di un sol giuramento indicibile un numero di spergiuri,
il che propriamente fece in Saule di cui vi parlo. At-
tendete pertanto qual fosse il laccio leso all’ espostovi
giuramento. L’esercito a dar venne in una selva, dove
le api aveano i proprii favi deposto, e quell apparecchio
stavagli di fronte : ora la moltitudine passò di mezzo al-
la raccolta del mele, e muoveva innanzi parlando. Ve-
deste qual mai inciampo vi si ponesse di mezzo? Unconvito estemporaneo, dove e la facilità di esserne am-
messi, e la dolcezza del nutrimento, c la lusinga di po-
tersi nascondere allettavano alla violazione del giuramen-
to. Di più la fame, la fatica, il tempo in che ogni vivente
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sulla tetra prendea ristoro, provocavano allora a fran-
gere il divieto. V era anche la vista del favore inaspet-
tato che scemando la naturale energia di quegli animi
guerrieri, li seduceva colf esterne attrattive. A dir vero
la ilarità della mensa, la schiettezza delle imbandigioni,
la difficoltà di scoprire il furto avrebber fatto prevarica-
re la filosbfia più severa. Se vi si fosser trovale delle
carni da gettarsi entro le caldaie o conficcar negli spiedi,
le loro brame non avrebbero potuto essere sì fattamente
allettate •, mentre nel cuocerle e nell’ imbandirle v’ era
d’uopo di tal sospensione ed indugio, per cui sarebbero
stati sorpresi quelli che rimanevano addietro •, ma in ciò
non v’era nulla di simile: v’era soltanto mele, intorno
a cui non si richiedeva opera alcuna : bastava soltanto
trar di soppiatto dalla mensa l'estremità delle dita dopo
di averla tocca. Pur essi raffrenarono la propria cupidi-
gia, nè dissero fra di loro : E che ne importa ? Forse
abbiam noi giurato cotesta cosa? Paghi egli il fio del-
1 imprudente suo giuramento. Noi non sappiamo veder-
ci perchè giurasse. Non dissero nulla di ciò, ma grande
era il riserbo che usavano nel passare, e in mezzo a tinti
allettamenti da cui erano attratti, conservavano la disci-
plina più rigorosa, e il popolo muoveva innanzi parlan-
do. E che vuoisi dire cotesto parlare ? Parlavano confoi'-
tandosi a vicenda nelle proprie angustie.
Poiché dunque la moltitudine mantenne la militar
•disciplina, non successe alcuna cosa di nuovo? Forse il
giuramento adempiessi? Non adempiessi altrimenti in
onta a ciò tutto, ma si violò. Ne udirete tosto i mezzi
e la maniera, affinchè abbiale a conoscere le arti tutto
del demonio : donala,che non aveva udito il giura-
mento di suo padre,
stese il bastone del comando cui
teneva in mano,
e ne intinse la cima in un favo di
154
jM
mele, e si recò la mano alla bocca,ed i suoi occhifu-
rono rischiarali. Vedete il triste, che indusse allo sper-
giuro non già uno dei soldati, ma il figlio stesso del re
che giurò; nè voleva solo che si commettesse uno sper-
giuro, che ordiva insieme l’ uccisione del figlio, ed essa
ebbe principalmente di mira, apprestandosi a far sì che
la natura si rivolgesse contro di se medesima, sperando
che sarebbe per ottenere ed ora ed in avvenire ciò stes-
so che ottenne di Jefte. Avendo egli infatti promesso di
sacrificare ciò che dopo il trionfo di quella guerra gli si
offrisse dinanzi, dovette soggiacere al sacrificio della fi-
glia;poiché immolò la figliuola che gli si fé incontro la
prima, e Dio lo permise. So che molti degl’ infedeli col-
gono da cotesto sacrifìcio occasione di rimproverarne
d'inumana barbarie: io però direi invece che il permet-
tersi del sacrificio di Jefte fu in Dio dimostrazione di
somma provvidenza e misericordia, e non vietò quel-
l’uccisione che per amore che avea dell’ umana specie.
Che se, dopo la promessa ed il voto, avesse proibito il
sacrificio,dietro di Jefte non pochi, sperando che Iddio
non sarebbe per accettarli, avrebbero fatti molti simili
voti, e grado grado all uccisione de’proprii figli sareb-
bero pervenuti; ond’ è che il Signore, permettendo che
si compiesse quell uno, impedì gli altri tutti in appres-
so. E di questo vero n’ è prova, che dopo il sacrificio
della figlia di Jefte, perchè tanta disavventura fosse og-
getto di memoria sempiterna, e mai in tempo alcuno
non si dimenticasse, promulgossi dagli Ebrei una legge,
con che si obbligavano le vergini che contavano gli anni
della sacrificata a piangerne l’ uccisione pel corso di qua-
ranta giorni; affinchè ridestando colla cerimonia luttuo-
sa la memoria del sacrificio, rendessero più prudenti i
posteri tutti, ed apprendessero loro che non era già del
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volere di Dio che rinovassero cotesto esempio, altri-
menti non avrebbe permesso il dolore ed il pianto delle
vergini. E che non sia soltanto una congettura ciò che
ore si dice, lo dimostra refletto, essendo certo che dopo
il sacriGcio di Jefte non vi fu chi facesse un egual voto
al Signore. Perciò dunque Iddio noi vietava, come vietò
quel d’ Isacco ch’egli medesimo aveva imposto, sicché
nell uno e nell’altro fece palesemente conoscere, che a
lui non piacciono simili sacrificii. Il demonio però che
anelava di riprodurre tale una scena sanguinosa, provocò
Gionata alla violazione del giuramento. Che se lo avesse
violato alcun altro guerriero, non gli sembrava poi un
danno sì grave;ma insaziabile di umana strage, e non
mai pago delle nostre miserie, pensò che non farebbe
alcuna cosa di grande se ordisse una semplice uccisio-
nejvolea che la destra del re si macchiasse del sangue
del proprio figlio, e allora si credeva di aver ottenuto
qualche cosa davvero. Ma che dico la sola uccisione del
figlio? Pensò lo scelerato di tramare una morte ancora
più esecrabile. Se il figlio avesse avvertitamente violato
il divieto, e per ciò il re avesselo ucciso, poteva allora
non darsi che 1 uccisione del figlio*, ma il figlio peccò
per ignoranza, non aveva neppur udito il giuramento,
e fu ucciso? dunque doppia amarezza pel padre, che
sarebbe per immolare un figlio, ed un figlio che non
aveva peccato alcuno. Ma già dobbiamo compiere l’ isto-
ria incominciata. Dappoiché gustò il mele furono,
sta
scritto, furono rischiarati gii occhi di lui. E anche ciò
accusa maggiormente l’imprudenza deire, dimostran-
do che la fame aveva quasi acciecato tutti i guerrieri, o
almeno aveva sparso di molla caligine i loro occhi. Co-
me poi dell avvenuto si accorse uno de’ soldati, disse a
Gionata : Tuo padre haJ'alto espressamente giurare il
f»7-
1 56
popolo dicendo : Maledetto sia colui che gusterà oggi
alcun cibo ;perciò il popolo venne meno. E Gionata
soggiunse : Ah ! mio padre mise in desolazione tutto il
paese. E che mai vuoisi dire colesta desolazion del pae-
se ? Vuoisi dire la perdila, la corruzione comune. Vio-
lato adunque che fu il giuramento, tutti tacevano, e non
vi era chi osasse tradurre nel mezzo il prevaricatore: uè
fu lieve anche quest altro delitto che si commise; poi-
ché non è solo gli spergiuri che pecchino, ma i conscii
del delitto e quelli che li tengono occulti. Pure proce-
diamo oltre.
Saule disse : Scendiamo dietro a' Filistei e sac-
cheggiamoli;ma ripigliò il sacerdote: accostiamoci
t/ua al Signore. Poiché un tempo Iddio era il capitano
dei combattimenti, nè avrebbero mai osato di accingersi
a guerra alcuna senza il comando di lui, di guisa che la
guerra convcrtivasi per essi in argomento di pietà, e se
tal fiata furono vinti, ciò non si dovette alla fisica debo-
lezza delle schiere, sibbene ai loro peccati;nè sempre
che vincessero, vince* ano per naturale fortezza o per
coraggio, ma per divina provvidenza, e le vittorie e le
sconfitte diventano per essi esercizio ed ammaestramen-
to di virtù;nè per essi soltanto, ma pei medesimi loro
avversar»; essendo loro palese che le battaglie contro
a’ Giudei si decidevano più che dalla potenza delle armi,
dalla virtù e dai meriti dei combattenti. Ond’ è che di
ciò avvisati i Madianiti, conoscendo che cotesta nazione
era inespugnabile, poiché contr’ essa non valevano nè
armi, nò macchine guerresche, e che poteva solo facil-
mente esser doma dalle colpe, adomando leggiadramen-
te delle vergini e ponendole dinanzi 1 accampamento
degli Ebrei, provocarono i soldati alle carnali immon-
dezze, cercando di toglier loro con le opere di fornica-
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zìone il soccorso di Dio: e ciò avvenne. Poiché infatti
caddero nella colpa, apersero facile 1 adito ai comuni
trionfi, e la forza dei peccali diede captivi in mano de-
gl inimici coloro, cui tentarono indarno di vincere le ar-
mi, i cavalli, i soldati e gli altri tulli apparecchi militari.
Gli scudi, le aste, le saette tornavano affatto inutili con-
tro colesta schiatta, ed era invece la bellezza del volto e
delle forme, e le inclinazioni voluttuose dell’animo che
espugnavano questi altrimenti valorosi guerrieri. E' per-
ciò che un illustre scrittore ne avvisa, dicendo: Nonmirate studiosamente una beltade straniera
,e non vo-
gliate fan’i incontro ad una donnafornicatrice;poiché
le labbra della donna fornicatrice stillano mele,che
per alcun tempo adempie di dolcezza la vostra gola,
ma in appresso il troverete' più amaro delfiele,e più
acuto di una spada a due tagli. Conciossiachè donna
mere! rida non sa amare, ma tessere insidie, ed ha ne'suoi
baci veleno, e nella sua bocca tossico micidiale. Che se
tale non si mostra fui sulle prime, conviene maggior-
mente fuggirla, perchè nasconde i danni, tieu celata la
morte, nè dai principii si manifesta così malvagia, com e.
Pertanto se alcuno corre dietro al piacere e ad una vita
piena di allegrezza, schivi il consorzio di femine forni-
catrici. Esse empiono gli animi de proprii amanti di
guerre e di tumulti innumerevoli, eccitandoli colle pa-
role ed ogni maniera di opere malvagie, a contese ed a
zuffe. E coinè farebbero alcuni contro dei maggiori loro
nemici,così aneli esse, cotesle femine, l'anno di lutto, c
aduprnno ogni modo per ridurre i proprii amorosi al-
l’ ignominia, alla povertà, agli estremi della sventura. Edi quella guisa, che i cacciatori dopo che lesero le reti
cercano di spingervi entro gli animali della foresta per
ucciderli5non altrimenti elleno pure, poiché distesero
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ovunque le ali dell# propria libidine, negli occhi, nel
portamento, nelle parole, vi caccian entri) i proprii, a-
manli e li incatenano, nè li lasciano prima di aver bevuto
il loro sangue, riserbandosi poi d insultarli, di ripren-
dere la loro stoltezza, di ridersi grandemente di essi.
Nè degno certo di compassione è colui, che si mostra
affatto stordito con una donna, e donna meretricia, mapiù presto merita di essere deriso e rampognato acer-
bamente. Quindi è che di nuovo ci reode avvertiti quel
saggio, allorché dice: Bevete T acqua dai vostri nappi e
dalla scaturigine de' l'ostri pozzi-, e altrove : Stieno sem-
pre con voi il cervo di vostra conoscenza e il cavriuolo
oggetto delle vostre delizie ( i) ;
e ciò dicea della moglie
che per nuziale contratto ha sortito una medesima di-
mora. E perchè abbandonate la soccorritrice, e correte
in braccio alla insidiatrice vostra ? A che odiate la com-
pagna di vostra vita, e ne seguite la terribile sovverti-
trice? Quella è porzione delle membra vostre, è una
stessa carne con voi;questa una spada acutissima. Fug-
gite dunque, o miei diletti, la fornicazione pei mali pre-
senti, e pel fio che ne pagherete in appresso. Per av-
ventura vi parrà che siamo usciti dalfargomento : maquesto non è uscire
jchè non è mio divisamento di rac-
contarvi semplicemente le nude storie, ma di corregge-
re ciascuno di voi dai vizii che vi perseguono, quindi
è che di frequente c’ innesto gli opportuni rimedii, e
così vengo a comporre un discorso, ch’è vario secondo
le varie infermità ch’è verisimile si trovino in mezzo
a tanta moltitudine. Più che una sola ferita io mi sono
proposto di medicarne molte e d’indole diversa, per cui
è d’ uopo che siano anche diverse le medicine degli acu-
ti) Pro*. V.
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(—
159
maestramenti. Ma torniam per ora là d onde siamo parliti,
al line di progredire con quelle parole: E il sacerdote
soggiunse: accostiamoci a Dio. E Saule domandò il
Signore, dicendo: Scenderò io dietro a' Filistei? gli
darai tu nelle mia mani? Ma il Signore non gli diede
in qiud dì alcuna risposta (i). Guardate benignità e
mansuetudine del dementissimo Iddio! Non iscagliò un
fulmine, non iscosse la terra, ma fece verso del suo ser-
vo quello stesso che far sogliono gli amici verso dei lo-
ro amici, ove siano offesi da qualche ingiuria : tacque
soltanto, onde parlar col silenzio, e dimostrare per si-
mil guisa il suo sdegno. Se n accorse Saule e disse:
/ V accostate,o tribù tutte del popolo
,esaminatevi e
vedete in che oggi si è commesso il peccato : poiché
come vive il Signore, che fe andar salvo Israele,cosi
se quel peccato si trovi in Gionafa mio figliuolo,an-
eli egli morrà. Intendeste temerità singolare! Conoscen-
bjeach’era trasgredito il primo giuramento, ancora non
psicorregge, ina ne aggiunge un altro «li nuovo. E no-
ale perversità del demonio. Conoscendo che il giova-
ne, come altra fiala colto in errore e condotto innanzi
ilei padre, poteva colla presenza soltanto allenirlo e pla-
carne il regale sdegno;prevenne la sentenza colla ne-
cessità di un secondo giuramento, stringendo il padre
quasi di una doppia catena, nè concedendogli più di es-
sere l
1
arbitro de suoi decreti •, sì che tutto inducevalo a
quella crudele carnilìcina (2). Ancora non gli era palese
chi fosse il prevaricatore, e senza conoscere il reo il
(1) I. R. XIV.
(2) 1/ edizione del Regola. Veneti* 1754, ri appone in que-
sto luogo una nota, ove dice: Sententia imperfrcln l'idetur, seti
omnia cxempltiria sic luìbent. Io confesso il vero non so trovai ci
questa mancanza.
I
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ino
giudicio era pronunciato, c il decreto era di morte, fi
padre già divenne il carnefice di suo figlio, e senza esa-
me che fosse, proferì la sentenza di sua condanna. Può
darsi cosa alcuna più irragionevole di questa?
Poiché dunque Saule ebbe ciò detto, il popolo
inorridì, e furono tutti sopraffatti da grande timore e
trepidazione. Nelle angustie comuni solo si allegrava il
demonio: Aè di tanta moltitudine,dice la Scrittura, vi
fu alcuno che rispondesse. Allora ripigliò Saule: dun-
que vorrete darvi tutti in Lidia degli inimici,ed io e
donata il mio figliuolo saremo schiavi? E le sue paro-
le esprimono il vero •, ei dice infatti : non altro procurate
che «larvi in preda degl’inimici, e di liberi che siete di-
venire schiavi irritando contro di voi il Signore col na-
scondere il reo. Ma vedete un’altra contraddizione che
dal fatto giuramento deriva. D uopo essendo, qualora
bramava trovare il reo, non prorompere in tali minaccio,
nè rendere con un giuramento necessaria la vendetta;
affinchè divenuti meno tementi avessero da tradur tosto
innanzi il prevaricatore; fa invece tutto il contrario di
ciò che dovrebbe, e si lascia andare all'ira e al furore
persistendo nella primiera stoltezza. E che dobbiamo
aggiugnere di più? 11 fatto dev’essere deciso dalla sorte,
e nell’urna si pongono i nomi di Gionata e di Saule. Ei
fu Saule che disse : Traete la sortefra me e Gionata
mio figliuolo,e Gionata fu preso. Allora Saule si ri-
volse a lui,esclamando : Dichiarami ciò che hai fatto.
E Gionata gliel dichiarò,e disse : Io ho assaggiato con
la cima del bastone,cui teneva in mano
,un poco di
mele: eccomi,ho io da morire? Chi mai coleste parole
non avrebbero piegato, chi non persuaso alla compassio-
ne? Non vogliate passar oltre senza riflettere alla fiera
tempesta che agitar doveva l’animo di Saule, allo scop-
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16»
piare delle sue \iscero per doglia, al precipizio profon-
dissimo che aveasi dall'ima e dall'altra parte dischiuso:
ma nè anco per ciò si ritrasse. Che disse adunque? Il
Signore a meJarcìa e questo e peggio, sa oggi tu, o
donata, non andrai alla morte. Ecco il terzo giura-
mento che fece, nè semplicemente il fece, ma ne restrin-
se ad un tempo assai breve 1 adempimento : che non
disse solo andrai alla morte, ma vi aggiunse, oggi. Eben il demonio affrettava d indurlo e spignerlo a cotesto
crudelissimo eccidiojper cui non concedeva che si dif-
ferisse neppure del giorno richiesto l'esecuzione della
sentenza, acciò l'indugio non apportasse alcun rimedio
al delitto. Ma il popolo replicò a Saule: Il Signore far-
cia a noi questo e peggio, se andrà Gioitala alla mor-
te, egli per cui Israello ottenne si luminoso trionfo. Co-
me vive il Signore,così non gli cadrà nè anco un ca-
pello della testa ;poiché ha operato in quest’ oggi con
r aiuto di Dio. Giurò dunque anche il popolo per la
seconda volta, e giurò il contrario del re. Ricordatevi
ora della fune tirala io contrario senso da’ giovani, che
si spezza, e lascia che cadano rovescioni quelli che la
traevano. Giurò Saule non una volta, nè due, ma repli-
catamene. Giurò il popolo il contrario, e già era per ri-
bellarsi. Duopo è dunque che rimanga violato il giura-
mento, conciossiachè è impossibile che tutti abbiano le-
gittimamente giurato. Nè qui mi opporrete 1 avvenuto,
ma invece pensale a ciò che poteva avvenire, e come il
demonio tramasse ora quella medesima calamità e quei
feroci tumulti che nacquero in appresso ai giorni di
Assalonne. Se il re avesse voluto resistere e procedere
alla esecuzione del giuramento, avrebbe anche il popolo
resistito, e quiaci sarebbe insorta una ribellione sangui-
nosissima. e se il figlio per provvedere alla sua indenni-
l
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1C.2
lade si fosse appiglialo al parlilo preso dall esercito, non
sarebbe tosto divenuto parricida? Vedete dunque da un
solo giuramento germogliar la rivolta, l’uccisione del
figlio, il parricidio, la guerra civile, i combattimenti, le
stragi, il sangue, e moltiplicarsi il numero dei cadaveri.
E se fosser venuti alle inani, forse sarebbero stati uccisi
e Gionata e Saule, e con essi molti altri soldati, a cui
per certo il giuramento non sarebbe tornato che a gra-
vissimo danno. Pertanto, piuttosto che a ciò che non av-
venne, ponete a ciò che portava con se la natura stessa
delle cose. La vinse il popolo. Ebbene numeriamo ora
gli spergiuri commessi. Il primo giuramento di Saule
s infranse dal figliuol suo; furono parimenti violati e il
secondo e il terzo intorno alla uccisione del figlio;sem-
bra dunque che il popolo legittimamente giurasse: mase alcuno esamini attentamente la cosa, vedrà che anche
tutti del popolo si fecero rei di spergiuro; poiché co-
strinsero il padre di Gionata a spergiurare, non conce-
dendo al padre il figliuolo. Vedete quindi come un solo
giuramento addusse nello spergiuro tanti uomini sì vo-
lontariamente, che contro il lor proprio volere. Oh quanti
mali non ne derivarono, quante non ne furou le vittime !
Cominciando il mio discorso io promisi dimo-
strarvi che da’ contrarii giuramenti di necessità nascono
gli spergiuri; progredendo però nella materia, m’accor-
go di aver dimostrato più che io non proponeva;che
ci si offersero non uno, due, tre uomini divenuti rei,
ma un popolo intero; non uno, due o tre, ma assai più
giuramenti violati. Poteva forse ripetervi auche una se-
conda istoria, e dimostrarvi con essa che da un sol giu-
ramento ne venne una calamità ben più dolorosa e gran-
de di questa;poiché fu un solo giuramento che portò
seco la devastazione della città e la schiavitù delle eon-
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1 (55
6orti e (le’ figli; che fé’ piombare gl' incendi i, le barbare
6tragi, i sacrilegi, e la schiera innumerevole di altri a-
cerbissimi danni sopra il popolo Ebreo. Ma veggo che
soverchiamente lunga riuscirebbe la mia orazione, ond’è
che qui troncando il racconto di cotesta istoria, esortan-
dovi a rammentarvi spesso della testa di Giovanni, della
fatai sentenza di Gionata, della strage di tutto un popo-
lo, che quantunque non si commettesse, pure alla ne-
cessità legavasi de’ fatti giuramenti, vi esorto insieme a
prendere sopra di voi intorno al grave argomento una
qualche sollecitudine nella famiglia, nel foro, appresso
le consorti, gli amici, i vicini, appresso tutti general-
mente*, nè credere che sia bastevole a guarentirci la
scusa dell’ abitudine che adduciamo. E che ciò sia una
scusa ed un pretesto, ed una colpa di accidia, non già di
abitudine cercherò di persuadetelo coi fatti, che di già
accaddero. L.1
imperatore chiuse i bagni della città, ed
impose che ninno si portasse ivi a lavarsi; nè si trovò
chi osasse frangere l'editto, biasimare la presa determi-
nazione, addurre a sua scusa la consuetudine;ma e gli
uomini malaticci, e le donne, e i fanciulli ed i vecchi,
ed assai mogli di fresco liberate dai dolori del parto, e
quanti in breve avrebber d’uopo di un tale rimedio, il
vogliano o no, obbediscono tutti alla legge emanata,
nè portano in mezzo la infermità del corpo, la violenza
dell’abiludine, f ingiustizia della punizione per le altrui
colpe, od altro simile pretesto: ma in sileuzio piegano
il capo a cotesta pena, perchè ne aspettano «li più gravi,
e pregano incessantemente che qui si arresti lo sdegno
del re. E chiaro adunque che là ov’ entra il timore fa-
cilmente cede la consuetudine, per quantunque ella sia
lunga e quasi ne abbia indotto alla necessilade. Pure il
non poter discendere nei bagni è grave a sopportarsi,
«
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/ ? 7
164
o per quanto «li spesso ricorriamo alle teorie filosofiche,
le naturali inclinazioni del corpo si fanno innanzi, e la
filosofia della niente poco giova alla maggior robustezza
delie membra. 11 non giurare però è una cosa facile assai,
non porta alcun danno nè al corpo, nè allo spirito}
sib-
bene molto profitto, molta sicurtà e ricchezza. E come è
dunque che possiamo adempiere i più difficili precetti,
ove lo imperatore il comandi, e gettiamo lo sprezzo e la
derisione, e adilueiamo la consuetudine a pretesto contro
di ciò che Iddio ne comanda, per quantunque non sia
nè grave, nè difficile a compiersi ? Deh non vogliamo
essere sì trascurati nella grand’opera della nostra sal-
vezza, ma di quella guisa che temiamo un uomo, temia-
mo anche il Signore. Conosco che voi inorridite a cote-
sta conclusione, e sì che il nostro inorridir si conviene,
ove consideriamo che non si rende a Dio quell’onore
che viene agli uomini attribuito;che osserviamo esatta-
mente i decreti dell’imperatore, mentre conculchiam
quelli che Iddio ne inviò dal cielo, e giudichiamo inu-
tile ogni nostra sollecitudine intorno ad essi. E dopo ciò
«piai mai scusa avrem noi? Qual perdono se in onta a
tanto avviso ricevuto persistiamo nelle medesime colpe?
Voi sapete che io ho cominciato a rendervi avvertiti di
ciò sul primo sorgere della tribolazione, che tuttavia
travaglia la nostra cittade. Ed ella pur deve giugnere al
suo termine;mentre noi non siamo per anco giunti alla
mela di un solo comandamento. In che guisa adunque
potremo chiedere perdono delle moltissime colpe che
c’ incatenano, se non abbiam potuto ancora vedere il
fine di un solo precetto? D’onde attenderemo la felice
«'onversion nostra? Quali saranno le nostre suppliche?
Quale il linguaggio che noi terremo con Dio? Al con-
ciliarsi che tàccia l’imperatore colla cittade proveremo
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grande allegrezza, divenuti che siamo solleciti nell’adem-
pimento della legge : ma, se persisteremo tuttavia nella
colpa, grande sarà la vergogna c la nostra infamia, per-
chè il Siguore allontanò il pericolo senza che noi ci de-
stassimo dall assopimento. Oli mi fosse lecito di spoglia-
re di spesso le anime di quelli che giurano, e ollrir loro
dinanzi agli occhi le piaghe e le cicatrici di che pei giu-
ramenti si coprono tultogiorno, e non avrei d'uopo di
altre ammonizioni e cousigli;poiché la vista delle ferite
più energica di ogni discorso, potrebbe togliere dalla pro-
pria malvagità anche quelli che più in cotesta riprove-
vole abitudine s’impigliarono. Che se agli occhi no, al
pensiero almeno n’ è dato di porre innanzi la miseria
della lor anima, e mostrarla tutta piena di labe e di cor-
ruzione. Come il servo, sta scritto, che di continuo si
percuote non rimarginerà mai le proprie cicatrici ; cosi
colui che giura ed ha sempre in bocca il nome di Dio,
non andrà scevro da peccato ( i ). E' impossibile, sì im-
possibile che le labbra usate a giurare frequentemente
non Spergiurino. Quindi è che vi scongiuro tutti a de-
porre con fermo proponimento questa consueludiue mal-
vagia e perniciosa assai, c meritarvi invece un’altra im-
inarcescibil corona. E se ovunque si va dicendo, che la
nostra città fu la prima in tutta la terra che assumesse
il nome cristiano;
fate ancora che universalmente si
dica, che sola fra tutte al mondo Antiochia ha cacciato
lungo da’ suoi confini il giuramento. Ed avverrà che fa-
cendolo, non ella solo ottenga sì bel trionfo, ma non po-
che altre s’ infiammino onde emulamela. E di quel modoche il nome cristiano non altrimenti clic un fiume, co-
minciando di qua iuondò tutto il mondo;
così questo
(1) Ecclesiastico.
90m» ««
166
n'±
gran bene, di qua pure prendendo e principio c nutri-
mento, renderà tutti gli abitanti della terra vostri disce-
poli, e diverrà doppia per voi c tripla la mercede, sì pei
meriti vostri, come pegl1
insegnamenti che altrui porge-
ste. Ciò sarà per noi un diadema di qualunque altro più
sfolgorante, ciò renderà la vostra città una metropoli non
in terra solamente, ma in cielo: per ciò troveremo nel
giorno terribile un patrocinio; e ci si appresterà una co-
rona di giustizia, al cui conseguimento ne scorga tutti la
grazia e la benignità del nostro Signor Gesù Cristo, al
quale sia gloria insieme col Padre e lo Spirito Santo,
ora e sempre e in tutti i secoli de’ secoli. Così sia.
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« Il B L I A X .
(kuest ' omelia si lenite dopo che sparsati la fama del saerheg-
i/in,e funi pensando di sottrarsi rolla fnrja ,
entrò il
Prefetto nella Chiesa, e volse parole di conforto ai fedeli
ivi raccolti. Si discorre intorno alla necessità di schi-
vare i giuramenti,e a (pici detto dell'Apostolo : Paolo
prigioniero di Gesù Cristo.
llmcomiai la prudente sollecitudine del Prefetto,
clic vedendo la città in tumulto mentre tutti pensavate
alla fuga, presentossi a voi per confortarvi e per indurre
a liete speranze il vostro animo: mentre per voi mi sen-
tii colto da rossore e da vergogna, perchè dopo epici
molli e lunghi discorsi abbisognavate ancora di esterna
consola/.iooe. Ilo desiderato che la terra mi si aprisse
sotto de’ piedi ed ivi seppellirmi quando lo udii par-
larvi, ed ora porgervi conforto, or accusare il vostro ino|i-
portuno e irragionevole spavento. Piuttosto che voi ri-
cevere insegnamenti ila lui, conveniva che foste i mae-
stri di tulli gl infedeli. L’apostolo Paolo non permise
neppure d’esser giudicato dagl infedeli : e voi dopo tanti
ammaestramenti de’ Padri aveste bisogno di stranieri
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168
precettori, ed alcuni schiavi raminghi cd nomini da fru-
sta posero di nuovo in tumulto una città sì grande, c la
persuasero alla fuga. Con quali occhi guarderemo ap-
presso gl’infedeli essendo noi tanto timidi e paurosi? Edivenuti nella presente angustia più trepidanti d’ una
lepre, con che lingua parlerein loro, e li consiglieremo a
non disperare negl imminenti lor danni ? Ma, essendo
noi pure uomini, ci risponderete, come possiara fare
altrimenti? Anzi, soggiungo io, non ci dobbiam porre
in agitazione per ciò stesso che siamo uomini e non
animali irragionevoli. Le bestie perché non hanno la
ragione, con cui sottrarsi alla paura, si turbano ad ogni
strepito, ad ogni grido: e tu, o uomo fornito d' intelli-
genza e di consiglio, perchè ti lasci andare alle stupi-
dezze dei bruti? Entrò d'improvviso alcuno? Ti die’
l’annuncio del militare saccheggio? Non Spaventarti
per ciò; ma lasciando che sen ritorni, piega a terra le
ginocchia, supplica il tuo Signore, gemi amaramente, e
saprà egli allontanar la sventura. Poi non intesa appena
la voce dell'invasione della soldatesca, vi credeste im-
minente lo scioglimento della vita; e il beato Giobbe
invece al continuo sovvenire de messaggeri, che gli ar-
recavano funestissime nuove, a cui si aggiunse per fine
quella della perdita de’ figli, delle altre tutte la più in-
sopportabile, non die’ una parola di lamento, non un
gemilo; ma voltosi alla preghiera, rendeva grazie al Si-
gnore. Imitatelo anche voi, c come venga taluno ad
annunciarvi che i soldati girano d intorno la città, 1 asse-
diano, e stanno per manomettere tutte le vostre sostan-
ze, ricorrete al Signor Iddio vostro, e dite: Il Signore
ci avea donato lutto che possedevamoìfu egli che ce
lo ha tolto, e avvenne ciò che a lui piacque: sia
dunque eternamente benedetto il nome del Signo-
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169
re (i). Egli non fu spaventalo dalla prova delle disav-
venture, e voi vi lasciate spaventare dal solo nome? Ohquanto poca è la nostra virtù se mentre siam comandati
di andar coraggiosi incontro anche alla morte, un solo e
falso annuncio tanto ci scuora. Quegli, che si agita ad un
tratto, fa suo il timore che non ha fondamento alcuno,
e dà luogo ad un reale tumulto dentro di se; mentre chi
conserva il pacifico dominio e la tranquillità dello spirilo,
dilegua anche quel timore ch’ebbe origine dal fallo. ÌNon
vedete i piloti che al fremere dell7
onde, all’ addensarsi
dei nembi, allo scrosciare de’ fulmini, e all’universale
tumulto che regna nella nave, stanno senza timore e tre-
pidazione al governo, e attendono al proprio ufficio, per
deludere le minaccio della procella ? Anche voi imitateli,
e abbracciando la sacra àncora della speranza in Dio, siale
costanti ed immutabili. Chi ascolta le mie parole,dice
il divino Maestro, e non le adempie,è simile a quello
stollo che fabbricò la sua casa sopra la sabbia,e come
sen cadde la pioggia già discorsero i fiumi,soffiarono
i venliìe vennero a dare contro di essa
,la casa preci-
pitò,
sicché enorme era P ammasso di sue ruine (2).
Conoscete dunque s'clla sia grande la stupidezza di la-
sciarsi travolgere e di cadere! Pur v’ è di più; chè noi
non solo siam divenuti simili allo stollo, cui vi descris-
si, ma con assai nien di ragione della sua precipitam-
mo;poiché la casa di lui cadde dopo i cresciuti fiumi,
dopo le dirotte pioggie, dopo gli scatenali venti;c uni
fummo abbattuti senza una stilla di pioggia, senza che i
fiumi uscissero dalle lor dighe, senza un soffio di vento,
e vedemmo dileguarsi in un punto tutto che filosofando
avevamo proposto. Quale pensate voi che ora sia il scuti-
(l)Job. I. 21. (2) Matt., VII, 26.
23
Il
170
mento dell’animo mio? Quale la vergogna, 1* umiliazio-
ne, il rossore? Se non avessero i rispettabili seniori tra
voi usalo molta forza, oppresso com’ero da dolore sopra
la viltà dello spirito vostro, nè sarei qua salito, nè avrei
pur aperto la bocca : e il cruccio e la tristezza dell’ ani-
ma mia è tale, che nè anco adesso valgo a raccogliermi
in me medesimo. E chi non accenderebbesi di sdegno,
chi non angustierebbesi in pensando, che dopo tanti
insegnamenti aveste d’uopo di maestri pagani, che vi
ammonissero e vi rincorassero a sopportare da generosi
il timor che vi colse? Pregate adunque, che, come si
apriranno le mie labbra, così alle labbra mi corrano le
parole; affinchè possa togliermi almen per poco a cote-
sta tristezza, e sollevare lo spirito abbattuto, che geme
assai sotto il peso, ch'egli provò, della vostra vigliac-
cheria.
Non ha guari io per amore della vostra salvezza vi
dissi molle cose intorno a lacci che ne son tesi dovunque,
intorno alla paura, alla tristezza, al dolore ed al piacere;
e intorno alla falce che ruota sopra le case di que’ che
giurano. Fra coleste cose tutte però bramerei che vi ri-
cordaste particolarmente di quelle che vi furono dette
intorno alla falce che ruota e piomba sopra la famiglia
di ciascuno che giura, ne infrange insieme le pietre e le
travi, c consuma lutto che trova. Con ciò pure persua-
detevi, che è somma pazzia servirsi per giurare dell’E-
vangelo, e far che valga in luogo di giuramento la legge
che di giurare proibisce; e di più, che è meglio assogget-
tarsi ad una pena in danaro, che prestare a’n ostri pros-
simi il giuramento; poiché questo è grande onore che a
Dio si porge. Quando infatti voi direte al Signore: per
amor tuo non ho con giuramento deposto contro colui
che avea rubato o commesso altro delitto, ve ne saprà
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171
egli grado in questa e nella vita avvenire per l'onore
che gli rendeste. Importa adunque che ripetiate agli altri
colesti ammaestramenti, e voi li adempiate i primi. So
che qui dentro ci componiamo ad una riverenza mag-
giore, e deponiamo per poco ogni abitudine malvagia :
ma quello che richiedesi è, che non qui soltanto ragio-
niamo da saggi, sibbene che, dopo aver appreso nel tem-
pio i precetti della pietà, fuori del tempio, dove in ispe-
cial guisa ci occorrono, li osserviamo. Non è che i por-
tatori di acqua abbiano i vasi ripieni presso la fonte u-
nicamente e li vuotino nel ritornarsene a casa; che anzi
con somma avvertenza ivi li dispongono, acciò non tor-
ni inutile la fatica che fecero. Imitiamoli dunque ancor
noi, e, ritornati a casa, adopriamoci a custodire diligen-
temente le cose impartite. Conciossiachè, se qui vi sazie-
rete, per ritomarvene poscia alla famiglia vostra digiuni
riportando vuoti d'ogni ammaestramento i vasi della vo-
stra anima, da cotesto pascolo non ritrarrete vantag-
gio alcuno. Non mi mostrate fatleta nella palestra, manel certame; che io non vi dimando di sua bravura nel
tempo della scuola, sibbene sul campo dell’azione. Che
se ora approvate quel che si dice, dunque di tutto ricor-
datevi quando venga il momento di giurare. Che se adem-
pierete la legge fino ad ora spiegatavi, più e più cerche-
rò di farvi progredire nello studio della perfezione. E"
questo il secondo anno in che parlo alla religiosa vostra
pietade, e non ancora vi esposi cento versetti delle Scrit-
ture. E la causa è che avete d’uopo d’apprendere dalla
mia bocca ciò che far potreste di per voi stessi, e nelle
famiglie vostre, e quindi la massima parte de’ miei di-
scorsi è consecrala a morali ammaestramenti. E ciò non
mi aspettava di fare; perchè dovete voi esser solleciti
intorno a’ vostri costumi, ed io rintracciare il senso e la
172
spiegazione «Ielle Scritture;che se conveniva che uilisle
pur qualche cosa anche da me, non conveniva però che
pel seguilo di molli giorni mi trattenessi. Nè poi con-
tiene in se gran fatto di varietadc, nè a trovarsi è dif-
ficile, nè quel che si dice abbisogna di molta prepara-
zione, mentre, quando è precetto di Dio, sta sopra le
pruove di tutti gli argomenti umani. Disse Iddio: Nongiurare. Ciò basta, nè dovete chiedermene d’ avvantaggio
i motivi. La legge è veramente sovrana: chi la promulgò
ne conobbe pur la ragione, e non 1’ avrebbe, se non era
utile, promulgata. Promulgano leggi anche i re della ter-
ra, ma noi fanno sempre utilmente, perchè sono uomini
e non possono, egualmente che Dio, trovar ciò che è
utile; pure ci mostriam soggetti, e sia che si prenda mo-
glie, si scrivano testamenti, si comprino dei servi, delle
case, dei campi, o si faccia alcuna altra cosa di simil
fatta, non la facciamo ad arbitrio nostro, ma a seconda
di ciò che ne comandano i re, nè siamo in pienissima li-
bertà di dispor delle cose nostre, come più ne attalenta,
che è duopo obbedire agli editti loro; di guisa che se
facciamo alcuna cosa contraria alle loro disposizioni, per-
ciò stesso si rende invalida e nulla. E fia dunque vero
che rispettiamo cotanto le leggi degli uomini, e concul-
chiamo quelle di Dio? E che addurremo a nostra dife-
sa ? E quale è il perdono che meritiamo? Iddio disse:
Non giurerete
;
perchè non abbiate da violentare le ope-
re vostre con una legge in opposizione alla sua, e perchè
nelle opere e nei discorsi possiate conservare la maggior
possibile sicurezza.
Basti intorno a ciò il fin qui detto: ora passiamo
a quello che abbiamo letto in quest’oggi, e terminiamo
il discorso con una sentenza che fa propriamente per
voi. Paolo,sta scritto, prigioniero di Gesù Cristo
,ed il
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1 73
fratello Timoteo a Filemone (i). Magnifico nome di
Paolo, nome non di principato e di onore, ma di car-
cere e di catene, veramente magnifico! Quantunque ci
fosse glorioso per molti altri pregi singolarissimi:perchè
fu rapilo ben tre volte al terzo cielo, fu trasportato in
paradiso, e vi udì arcane parole; pure di colesti pregi
non disse nulla: espose in luogo di tutti le catene, clic
queste, più che ogni altra virtude, lo rendevano illustre
e glorioso. E perchè mai? Perchè gli altri sono doni
gratuiti della bontà del Signore, e le catene invece di-
mostrano i patimenti e 1 umile soggezione di un serro;
ed è costumo degli amanti che si gloriino più di ciò che
soffrono pegli amati, che non di quel bene che da essi
ricevono in ricambio. Nè al certo un re si vanta del suo
diadema con quel piacere che Paolo si vanta di sue ca-
tene: c a buon diritto, poiché il diadema serve di ador-
namento al capo cui cigne mentre le catene ci tornano
di adornamento e di sicurezza maggiore. Infatti la regai
corona spesso ha tradito il capo che la cigneva allettan-
do innumerevoli insidiatori, e provocandoli al desiderio
della tirannide: e colesto fregio è di tal guisa pericoloso
nelle battaglie, che lo si getta da un canto e lo si nascon-
de. Quindi nelle battaglie avviene non di rado, che i re
per venire alle mani cogl inimici si cangino di vestito, e
temano grandemente di essere traditi dalla corona che
mai portassero. Non avviene cosi delle catene per quel-
li che mai ne fossero circondati: anzi lutto il contrario;
poiché, dovendo combattere e resistere agli assalti del
demonio e delle potenze nemiche, basta che quegli che
nè cinto, mostri loro le catene, perchè lunge nc respin-
ga i crudeli attentali. Di più : alcuni de civili magistrati,
(1 } A Filcmonf. I.
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1 *?
174
non solo allora che ne fungono gli ulficii, ma quand’an-
che venga a cessare la magistratura, pur tuttavia ne ri-
tengono il nome, csi chiamano quegli FExconsole, FEx-prefetto quell altro: l’Apostolo poi in luogo di tutti gli
onori si dice Paolo il prigioniero,e molto opportuna-
mente. Conciossiachè mentre le altre magistrature non
sono per nulla il segnale delle interne virtù che vi cor-
rispondano; c sono invece di molto acccssibilial danaro
cd alle officiose pratiche degli amici;questa per lo con-
Irario, che ne deriva dalle catene, è certa dimostrazione
di una indeclinabile costanza d animo, e luminosa testi-
monianza di un amore ardentissimo a Gesù Cristo; e se
di quelfaltrc magistrature veniamo in breve dispogliali,
non riconosciamo in questa successore di sorta. Vedete
infatti quanto sia il tempo clic da quel giorno fino al
presente è trascorso; eppure il nome di questo prigio-
niero divenne sempre più illustre. I consoli pressoché
tutti che fiorirono ne’passati secoli, ormai dormono nel-
l’oblio, e il volgo non ne conosce né anco il nome;mentre il nome di san Paolo il prigioniero è celebratis-
simo, non solo qui tra di noi, ma appresso i barbari me-desimi, appresso gli Sciti e gl Indiani, e, se ci porteremo
agli ultimi estremi della terra, ivi ancora udremo cote-
sto nome, poiché non vi è alcuno che possa in parte che
sia del conosciuto orbe pervenire, che uon oda ovunquerisuonare il nome di Paolo. E qual meraviglia se il no-
me di Paolo in terra e in mare è sì grande, mentre è
pur grande in cielo, appresso gli Angeli, gli Arcangeli,
le superne Virtudi, e il loro sovrano Iddio? Ma quali
erano, voi direte, quelle catene che tornarono di tanta
gloria a lui che fu cinto? Forse non erano fabbricale di
ferro? Sì, di ferro : ma contenevano in se una grazia spi-
rituale fecondissima, essendosi per amore di Gesù Cristo
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175
assoggettato al loro peso. O grande miracolo! I servi
sono incatenali, il Padrone crocefisso, e la didusioa del
Vangelo va di giorno in giorno crescendo, e lopera ri-
ceve alimento da que’mezzi che furono usali onde spe-
gnerla. Già la croce e le catene che sembravano dover
essere oggetti di abominio, divennero segni di salvez-
za : e quel ferro è per noi più prezioso di qualunque
oro, non per la natura sua propria,sibbene per la causa
che ce lo appresta, e pel fine a cui ne prepara. Ma sento
qui fermisi innanzi una dimanda, e la risposta pur anco.
E che è dunque ciò che si chiede? Introdotto una volta
appresso di Feslo, discorrendo seco lui, e giustificandosi
delle accuse che gli erano opposte da Giudei, e dicen-
dogli come vide Gesù, come ascoltò quella voce che ve-
niva dal cielo, come riacquistò dopo la cecilade nuo-
vamente la vista, come cadde e risorse, come entrò
prigioniero in Damasco, incatenato senza catene, e
così via via parlandogli de'Profeti e della legge, e mo-strandogli che essi aveano tutte codeste cose predetto,
vinse il giudice, e quasi lo persuase a farsi del suo par-
tito.
Le anime de' Santi adoprano di questa guisa allor-
ché si trovino ne’ frangenti più formidabili; non guar-
dano no al modo di sottrarsi da’ pericoli, ma fanno di
tutto per guadagnare i loro persecutori come avvenne
anche allora. Entrò per difendersi, e se ne partì dopo
di aver trionfato del giudice, c ciò per testimonianza
del giudice stesso, che disse: Per poco tu mi persuade-
resti aJanni cristiano (i). Forse non era d uopo che
altrettanto si facesse in quest’ oggi ? E clic il prefetto
meravigliandosi del vostro coraggio, della sapienza, della
(1) Alii degli Apos’. XXVI. 7.
&
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/Yif-
1.6
tranquillità imperturbata, apprendesse le regole della
disciplina dall’ ordine che regnava tra voi, e partendosi
ammirasse il vostro concorso, encomiasse il raccogli-
mento, e conoscesse dal fatto quanto sia grande la dif-
ferenza che passa tra i Gentili ed i Cristiani. Ma per
tornare a ciò che proponeva, dopo che Paolo ebbe trion-
fato di lui che disse : Per poco tu mi persuaderesti a
farmi cristiano, Paolo ripigliò : Piacesse a Dio che e
per poco ed affatto non solamente tu, ma ancora tutti
coloro che oggi mi ascoltano,divenissero Cristiani qua-
le son io, da questi legami in fuori (i). Come ti espri-
mi, o Paolo? Non sei tu che scrivendo agli Efesii dici:
lo prigioniero nel Signore vi prego di camminare a
seconda della vocazione a cui foste eletti (2)? E a Ti-
moteo non soggiungesti: E per amore di Gesù Cristo
eli io soffro patimenti fino ad essere incatenalo a guisa
di un malfattore (3)? E a Filomene di nuovo: Paolo
prigioniero di Gesù Cristo? E disputando co’ Giudei
non esclami forse: Per la speranza della conversion
cCIsraele io sono da queste catene circondato (4) ? Ea’ Filippesi non iscrivevi: Avvenne che molti de' nostri
fratelli da' miei legami prendessero maggior coraggio
onde predicare la parola di Dio (5) ? Dovunque tra-
scini dietro le tue catene, le metti innanzi dovunque,
e te ne glorii cotanto per poi tradire la tua sapiente fer-
mezza al cospetto de' tribunali, allorché in ispecial guisa
richiedevasi che fossi superiore ad ogni riguardo, e vai
ripetendo al giudice: Desidererei che tufossi Cristiano
(1) Ani degli Apost. XXVI. 29.
(2) Agli Etesii IV. 1.
( 5 ) A Timoteo H. Cap. II. v. 9.
(4) Atti degli Apost. XXVHI. 20.
(5) Ai Filippesi I. 14.
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da questi miei legami infuori? Che se i legami sono
un bene,
e tal bene che adempie anche gli altri di
coraggio nel predicare la fede, essendo tu quello che
dicesti : Molli de'fratelli rassicurati dalle mie catene
prendevano coraggio a parlare ; perchè, invece di van-
tarti di ciò anche in faccia del giudice, operi tutto il
contrario? E che, non vi sembrano forse fondate le in-
terrogazioni che io muovo? Attendete però, che ne ad-
duco tosto lo scioglimento. Non diportavasi Paolo in
questa maniera per ambascia o timore alcuno che si
avesse, ma secondo il molto sapere e il suo finissimo ac-
corgimento spirituale, e ve ne dirò la ragione. Parlava
ad un gentile, ad un incredulo, e che non ne sapeva
nulla dell’ ammirabile economia della nostra fede. Nonvolendo adunque condurlo per le vie più scabre, ridur
lo si vide al fatto anche qui ciò che altrove diceva. Aquelli che sono senza legge
,mi sono mostrato aneh’ io
come se fossi senza legge (i). Se gli parlassi di lancio,
avrà detto a se medesimo, di catene e di tribolazioni,
tosto si ritrarrebbe, perchè non conosce la virtù delle
catene; dunque si faccia prima fedele, cominci a gusta-
re i divini ammaestramenti, e allora correrà aneli’ egli a
queste catene. Io ho udito il mio Siguore a dire: Cheninno rattoppa con un pezzo di panno tuttavia ruvido
un %'eslimenlo vecchio,perciocché quella giunta si trae
dietro anche la parte non rotta del vestito, e l'apertu-
ra si fa maggiore : nè si mette il vin nuovo in otri che
siano vecchi, altrimenti scoppiano (2). L’ anima di co-
stui è un vestito vecchio, cd un otre decrepito: non è
rinova lo dalla fede, nè rigenerato dalla grazia dello spi-
(1)Ai Corinti! IX. 21
.
(a) S. Matteo IX. Iti.
/v/t
170
rito di Dio, è ancora assai debole, e giù volto alla terra,
le mondane cose lo allettano, si pasce attonito lo sguar-
do delle immagini lusinghiere del secolo, ed ama la glo-
ria di quaggiù; e se fin dalle prime ascolti, clic, divenuto
cristiano, sarei tosto cacciato in carcere e cinto di cate-
ne,vergognoso, indispettito volgerà le spallo alla predi-
cazione. Fu perciò che disse: da questi legami inJ'uo-
ri; non riGutandoli, chè da ciò era ben lontano, ma ri-
spettando, sarei per dire, la fralezza di lui. Del resto
donna amica dello abbigliarsi non amerebbe e bacie-
rebbe degli aurei adornamenti, come Paolo quelle cate-
ne. E d’ onde ciò si rileva ? Di là ove dice: Esulto nelle
mie tribolazioni,e supplisco così al difetto
,che provo
nella mia carne, dei patimenti di Cristo (i). E di nuo-
vo : A voi (Filippesi) è concesso per la grazia di Gesù
Cristo non solo di credere in lui,ma di patire con es-
so (2 ). E di nuovo ancora: Non solo di questo (di tro-
varsi cioè nella speranza della gloria di Dio)ma ci glo-
riamo delle stesse afflizioni (3). Che se di ciò vantasi e
si allegra, c lo chiama un dono della grazia, è manifesto
il motivo per cui di quella guisa in faccia del giudice si
espresse : nè lo appalesa nei preaccennati luoghi soltan-
to, chè di nuovo trovatosi nella necessità di gloriarsi,
esclama: Molto volentieri mi glorierò delle mie debo-
lezze,delle necessità degli oltraggi
,delle persecuzioni
c delle angustie,acciocché in me si dimostri la poten-
za di Gesù Cristo (4). Indi ripete : Se convien che mivanti
,io mi vanterò della mia debolezza. E altrove pa-
ragonando cogli altri se stesso, e per cotesta compara*
(1) Ai Coloss. I. 24.
(1)Ai l*'ili|>prsi. I. 29.
(3) Ai Romani V. 3.
(t) Ai Coiintii XH, 9.
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179
zione mostrandone I’ eccellenza nostra, dice: Sono mi-
nistri di Cristo : parlo con poca avvedutezza ; io lo son
più di loto (i). E volendo far conoscere ove superi gli
altri, non dice nel resuscitare de1
morti, nello scacciar
dei demonii, nel mondare i leprosi, o in alcun altro si-
mile portento. E che dice adunque? Dice di aver sof-
ferto indicibili travagli, e dopo di aver ripetuto, io più
degli altri, ne pone soli’ occhio la moltitudine: Nelle
battiture oltre modo,frequentemente in mezzo alle
morti, molto più nelle prigionie; da' Giudei ho ricevu-
to quaranta colpi meno uno ; tre volte fui battuto con
le verghe, uno lapidato,tre naufragai, ed una notte e
un giorno stetti nel profondo del mare (2) ;e ciò che
segue dappoi. Non altrimenti l’apostolo Paolo si gloria
dappertutto delle proprie tribolazioni, e stima ciò esse-
re di suo grande adornamento, e n’ ha ben d" onde ;
poiché sta in questo massimamente le virtù di GesùCristo
jche gli argomenti, pel cui mezzo vinsero gli A-
postoli, furono le catene, i travagli, i flagelli, i tormenti
più dolorosi. Da Cristo infatti vennero cotesto due cose
annunciate, la tribolazione e il perdono, le fatiche e la
corona, i sudori ed i prendi, le amarezze ed il gaudio ;
ma ne lasciò in retaggio le amarezze nella vita presente,
e riserbò il gaudio nella futura, dimostrando così che
non vuole ingannare per guisa alcuna gli uomini, e ado-
prandosi di scemar loro grado grado il peso della sven-
tura, essendo proprio di que' tutti che ingannano pre-
sentar prima le cose dolci per prepararne poi alle amare.
Lo che vediamo avvenire negli incettatori di schiavi
,
che s|>esso assalgono c derubano i teneri fanciulli. Essi
(1 ) li. Ai Cor. XI. 25.
(•») Ai Corinlii XI. 25.1 ;
180
non li minacciano già colle fruste, ma presentano loro e
focaccie e frutta ed altri dolci conditi, di cui gli anni
fanciulleschi si allettano*, affinchè tratti a questa pania,
perdono la libertade, e precipitino nell’estremo dei dan-
ni. I predatori poi degli uccelli e de’ pesci, offrendo in
prima agli animali, di cui vanno in traccia, f usata loro
giocondissima esca, e nascondendo soli’ essa il laccio, li
attraggono. Così è: gl ingannatori usano delia più fina
delle arti nel presentare sul principio le cose dolci per
poi rovesciarne sopra le amare *, mentre adoprano tutto
il contrario que che son provvidi, e ci amano veramente.
Quindi è che in modo ben diverso dagl’ incettatori di
schiavi, si diportano i padri i quali, allorché mandano
alla scuola i propri i figliuoli, li affidano a vigili custodi, li
minacciano della frusta, li tengono col timore soggetti;
ma passata che abbiano Petà prima, e indossata la viril
toga, rinunciano ad essi gli onori, il comando, le giocon-
dità della vita, e tutte le lor ricchezze.
Non altrimenti Iddio, non da incettatore di schiavi,
ma la fece con noi da padre, e padre assai premuroso,
e mandò innanzi le avversità e le tristezze, e ci affidò
alle tribolazioni presenti, come ad altrettanti mentori e
precettori, affinchè educati e corretti per loro mezzo, e
giunti dopo aver appreso ogni disciplina e sapienza al-
idade perfetta, avessimo da conseguire in retaggio il re-
gno dei cieli. Pria dunque ci rende atti a ricevere le do-
vizie, cui c’ impartisce, e ce le impartisce tosto che il
siamo ; e dove ciò non avesse fatto, la dispensa di sue
ricchezze sarebbe divenuta per noi non un dono, mauna vendetta e una pena. E di necessità sarebbe av-
venuto di noi, come d’un fanciullo, che prodigo ed ine-
sperto entrasse nell’ eredità di suo padre*, poiché, privo,
come sarebbe, d una provvida economia corrispondente
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1
ai conseguili tesoli, diverrebbero essi per lui motivo di
mina. Che se invece fosse prudente, saggio, temperato,
modesto, e tale che consecrasse ad imprese veramente
utili i beoi paterni,crescerebbe allora nella gloria e nel-
l’approvazione di tutti. Quindi è che a noi pure come
avremo acquistata la spirituale prudenza, come sarem
giunti alla misura della etade e dell’uomo perfetto, allora
concederanne ciò che ne ha promesso;e intanto a guisa
di fanciulli n’esorta e ne anima a proseguire. Nè que-
sto solo è il vantaggio che nasce dalle precedenti tribo-
lazioni, che ve ne ha un altro per nulla a questo inferio-
re. Di fatto: chi prima si trova nelle delizie, e dopo le
delizie attende il giorno della vendetta, non può neppu-
re in cotesta espilazione delle future amarezze godere
de’ beni presentijmentre chi, trovandosi ora nelle an-
gustie, sa di dover entrare a parte di molto gaudio in
appresso, è maggiore di tutte le traversie che lo pre-
mono per la speranza che ha nei beni avvenire. Non è
solo adunque per nostra sicurezza, ma pur anco per no-
stra maggior consolazione, che Iddio ha ordinato che le
cose di questa vita ci tornino gravi acciò, confortali nell ì
lusinga delle future, non avessimo ad attaccarci a cotesti
sensibili allettamenti. £ ciò stesso andava Paolo espri-
mendo allor che diceva : le passeggere e lievi tribola-
zioni di questa vita ne preparano ad un premio grande
sopra misura ed eterno nella gloria del paradiso,pur-
ché non attendiamo alle cose che ora ne cadono sotto
gliocchi, e ci affidiamo a quelle che non si veggono (i).
Egli poi chiamò leggiere le tribolazioni, non già riguar-
dando propriamente all'indole dei mali, sibbene alla spe-
ranza delle ricompense future. G di quella guisa che il
(1) li. ai Corintii IV. 1 7.
182
mercatante non sente il peso della navigazione rincoralo
dalla lusinga del guadagno, e lo atleta, avendo di mira
la corona, resiste vigorosamente ai colpi che gli ferisco-
no il capo: così noi, non perdendo di vista mai il cielo,
c la mercede che ivi ne aspello, sopportiamo coraggio-
samente tutto che ne avvenga in contrario, animali dalla
confidenza nei beni eterni. Impresso che ne sia molto
addentro nel cuore cotesto vero, possiamo andarcene,
poiché, per quantunque semplice e breve, contiene in se
una gran parte della cristiana sapienza, e vale ad oppor-
tuno conforto per quelli che si trovano nelle angustie e
nelle tribolazioni, e a sommo argomento di temperanza
per quegli altri che vivono in mezzo alle delizie ed al
lusso. Quando infatti sedendoti a mensa ti ricorderai
di questo vero, troverai tosto un freno alla ubriachez-
za ed alla crapula, imparando che noi dobbiamo essere
pronti sempre al travaglio, e teco stesso dicendo: Paolo
in carcere e circondato da catene, ed io fra laute im-
bandigioni e in braccio alfebrietade ? e qual perdono ot-
terrò mai? E quanto oppoiluuo non tornerà alle donne
questo pensiero! Schiave che fossero dell’ambizione e del
lusso per guisa che d’aurei frastagli tutta si adornassero
la persona, al rammentarsi di coleste catene, forsechè,
cd io lo so bene, non s infiammassero d'odio e disprezzo
contro quegli abbigliamenti, e non corressero alle cate-
ne? Poiché, lo conoscono a prova, che quegli abbiglia-
menti furono la causa di molti mali, che molte liti su-
scitarono nel seno delle famiglie, che molti livori, e in-
vidie, e sdegni partorirono, mentre queste catene pur-
garono il mondo dalle colpe, spaventarono i demonii, e
li posero in fuga. Fu per esse che Paolo trattenuto in
• carcere convinse il custode, trionfò d'Agrippa, c procac-
ciossi innumerevoli discepolijquindi è che dice\a: E
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per amore di Cristo che io soffro patimentifino ad es-
sere incatenato,ma non è già impedita la parola di
Dio. E di quel modo che non è possibile raccogliere un
raggio e rinchiuderlo tra le pareli d’una casa, lo stesso
avviene pur anco della parola che si annuncia. Ma ciò
che merita maggior attenzione si è che il maestro era
incatenato, c la parola volava, eh1
egli era chiuso nella
prigione, e la sua dottrina via via spiegava le sue gnra-
d’ali per tutto il mondo.
Sapendo dunque tutto questo, nou cadiamo sotto
il peso delle sventure, ma diveniamo in mezzo ad esse
più coraggiosi e più forti. Poiché dalle tribolazioni na-
sce in noi la costanza nei patimenti : per cui non dob-
biamo lamentarci delle avversità, che mai ci sorvenisse-
ro;ma invece rendere in tutto grazie al Signore. Abbiam
già compiuta la seconda settimana del prescritto digiu-
no, ma non dobbiamo a ciò considerare, poiché non
avremo soddisfatto all’obbligo del digiuno col solo tras-
correre del tempo, ma colPavernelo consecrato ad ope-
rare il bene. Esaminiamo tra di noi se divenimmo più
fervorosi nella pietà, se abbiam corretto alcuno de noslri
vizj, se lavammo le nostre colpe. Quasi lutti nel tempoquaresimale sogliono ricercar quanti giorni ciascuno ab-
bia digiunato, e s’ode ripetere: che questi digiunarono
per due settimane, quelli per tre, quegli altri per tutte.
Ma qual mai vantaggio se privi di buone opere passere-
mo i giorni al digiuno assegnati? Se v'ha chi ti dica, io
digiunai la quaresima intera, e tu gli rispondi, io aveva
un nemico, ed ho cercato riconciliarmelo; avevo l’ abitu-
dine di mormorare, e mi corressi*, ero facile a trascorrere
in giuramenti, c ho già deposto il malvagio costume. Ecerto che niun profitto ritrarrebbero i mercatanti, quan-
d’anche solcassero un lungo trailo di mure, ove navi-
I
184
gasserò senza bogaglio e senza fare inedia di merci : lo
stesso è del digiuno per noi: che non ci sarà utile a
nulla, qualora nella nudità sua superGciultnente Io tras-
corriamo. Se digiuniamo col solo astenerci dai cibi, pas-
sali che siano quaranta giorni, sarà passato anche il di-
giuno: ma se ci asterremo dalle colpe, quand'anche sia
trascorso il digiuno, pure godremo dei beneGci effetti :
il vantaggio sarà permanente, e prima di giungere al re-
gno de’ cieli ne avremo anche qui in terra una ricom-
pensa non lieve. E siccome colui che vive nel delitto
prova nei rimorsi della coscienza una punizione che
quella precede dello inferno: cosi quegli che abonda
in meriti, pascendosi nella speranza di futura felicilade,
proverà somma allegrezza prima anche di pervenire alla
gloria. Perciò Cristo disse : Io vi vedrò di nuovo, e vi
allegrerete,e niuno vi torrà la vostra letizia (i). Le
parole son brevi, ma contengono un conforto ch’è grande.
E che cosa vuoisi dir mai quel ninno vi torrà la vostra
letizia? Se possedete danari, molti possono togliervi il
godimento che ve ne ridonda, e il ladro che fora la pa-
rete, e il servo che deruba quanto gli si affida, e l'im-
peratore col fisco, e 1 invidioso colle calunnie. Se siete
saliti in potenza, molli possono togliervi il godimento
che da ciò pur vi risulta; e finito che sia il principato
finisce anche la gioia, che anzi cotesta gioia è tronca in
gran parte dalle molte difficoltà e travagli che insorgono
nel principato medesimo. Se siete robusti della persona,
sorviene una violenta malattia e seco sen porla il gaudio
che vi fioriva in froule. Se per bellezza risplendete c per
grazia, viensi la vecchiaia a distruggere le carni, e con
esse le compiacenze vostre. Se godete di un lauto bau-
fi) S. Giovanni XVI. 22.
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u \
•. <ìr
185
chetto;
al cadere del vespro cesseranno le gioie della
mensa. In breve tutte le cose di questo inondo possono
esserci tolte a tutto agio, nè ci apportano inai una gioia
permanente, e solo avviene il contrario della pietà reli-
giosa e della virtude. Se farete elemosina, niuno potrà
levarvene il merito. Sia che dovunque gli eserciti, i re,
ed innumerevoli fabbri di calunnie e d invidia v incalzi-
no, non possono rapirvi un tesoro che avete riposto nel
cielo, e vi darà la mercede d uo gaudio eternamente du-
raturo; poiché sta scritto : Egli ha sparso i suoi benefi-
cie, egli ha donato ai bisognosi, e le opere di sua giu-
stizia rimarranno in eterno ( i ). Nè a torlo, che stanno
raccolte ue’celesti ripostigli, ove l'assassino non entra, il
ladro non fura, la tignuola non apre il dente. Se vi scio-
glierete in continue e fervorose preghiere, non vi sarà
chi possa rapircene il trullo, e cotesto frutto ha le sue
radici nel cielo, quindi in securo da tutte le calunnie, e
inespugnabile ad ogni assalto. Se renderai per oftese be-
neficenze; se provocato con maledizioni sopporterai pa-
zientemente; se oppresso da improperi, benedirai, co-
testi meriti saranno immanchevoli;
e I allegrezza che
quinci deriveranno non potrà essere scemala giammai,
poiché, quantunque volle ti sovverrai di essi, ritornerai
sempre alla gioia ed al godimento primiero, e riposerai
tranquillo nella soddisfazione del tuo cuore. Così in fine,
se olterrem d’evitare i giuramenti, e persuaderemo alia
nostra lingua di trattenersi da colesta abitudine malva-
gia, in breve la fatica d'un’opra sì vantaggiosa sarà com-
piuta, e l'allegrezza di tanto merito sarà perseverante ed
eterna. Del resto voi dovete essere i maestri, i condot-
tieri, gli amici del vostro prossimo: i conservi devono
(1) Salmo CM. tftf riq fi rrflfflt
' 25
k
186
prender cura, inslruire, esortare i loro conservi, i gio-
vani i proprii compagni. Non è forse vero che se alcuno
vi promellesse una moneta d oro per ciascun uomo che
convertiste, usereste d’ogni sollecitudine, e sempre sare-
ste d’ attorno or a questo or a quello per persuaderne!!
ed esortarli? Ma non è poi che una sola moneta d’oro,
nè dieci, nè cento, nè mille, nè tutta la terra Iddio vi
prometta in mercede di vostre fatiche; chè vi offre in-
vece un premio infinitamente più ricco dell’orbe tutto,
il regno dei cieli. Nè ciò soltanto, ma vi è qualche cosa
di più. E che vi sarà mai ? Chi tragge,sta scritto, da
vii materia alcun che di prezioso,sarà stimato al pari
della mia bocca. E qual altra cosa può in gloria e sicu-
rezza reggere al pareggio di questa? E dopo sì magnifi-
ca promessa, qual v’ha scusa, quale perdono per coloro
che trascurano la salute de’proprii fratelli ? Se voi vedete
un cieco che sta per precipitare entro ad una voragioe
gli stendete la mano, e riterreste per atto assai crudele
l’abbandono di un uomo in pericolo: ma perchè adun-
que, vedendo precipitar tutlogiorno i vostri fratelli nel-
l’empia consuetudine di giurare, non osale proferire
un accento solo ? Parlaste una volta, e non vi ascoltaro-
no;parlatene due, tre, e tante che valgano a persuader-
ncli. Iddio ci parla pur di continuo, e noi non lo ascol-
tiamo; eppure egli non cessa di parlarci : imitatelo dun-
que anche voi nella premura verso del vostro prossimo.
E per qual altro motivo siamo uniti tra noi, abitiamo le
città, e ci raccogliam nelle chiese, se non per soccorrerci
l’un 1 altro, l’un l’altro per correggere i nostri peccati?
A quella foggia che molti, che ad un medesimo emporio
mercantile appartengono, per quantunque e questi e
qqelli si appiglino a negozi tra loro diversi, pure depon-
gono in comune lutto il profitto che ne ritraggono: non
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• J *\ •
187«
altrimenti facciamo anche noi : e non c’incresca, nè rifiu-
tiamci di apportare al prossimo la maggior copia di be-
ni che n è possibile. Addivenga per questa come raccol-
ta o mercatura spirituale, che ciascuno, portando tutto il
suo nel comune depisilo, dopo di aver ragunate molte
ricchezze e conseguito un grande tesoro, abbiamo a tro-
varci lutti nel regno de’cieli per la grazia e misericordia
di Gesù Cristo nostro Signore, pel quale e col quale in- ^
sierae sia gloria al Padre ed allo Spirito Santo, ed ora,
e sempre, e ne secoli de’secoli. Così sia.
)
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ri b
OMELIA XI.
Varia prima agli abitatori tirila campagna concorsi in An-*
fiocina, indi prosegue intorno alla necessità di evitare
il giuramento.
Accolti che foste ne’ trascorsi giorni alle nozze
ile1
Santi Martiri, pascendovi nel gaudio purissimo di
una solennità tutta spirituale, vi allegraste. Vedeste fian-
chi aperti, coscio spezzate, sangue da tutte parti gron-
dante, forme innumerevoli di tormenti: vedeste la natu-
ra umana presentare de’ ditti di gran lunga alla propria
virtù superiori, e delle corone tutte intrise di sangue vi
si offerirono innanzi. Belli furono i cori che menaste per
ogni parte della ciltade sotto alla scorta di questo rispet-
tabile condottiero, ed io soffrii di mal animo che avesse
la infermità a trattenermi fra le domestiche pareli. Pure,
per quantunque tenuto lontano dalla festa, ho partecipa-
to alla gioia, e sebbene non entrassi a parte del frutto
della conciono, tuttavia ebbi con voi comuni gli affetti
più soavi, le rimembranze più care. Tale infatti è la for-
za della carilade che, persuadendoci a credere comuni i
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18y
Leni de nostri prossimi, ci III, benché non parlccipianio
propriamente di essi, entrare con quelli che ne parteci-
pano a parte del godimento. Quindi é che seduto nelle
mie stanze io godeva con voi, e non ancora sciolto afflit-
to dal male, uscii di casa e tnen corsi a voi per vedere
la desiderata vostra faccia, e partecipare con voi della
solennità di quest’oggi. E credo che sia veramente gran-
de la solennità di quest’oggi per la presenza de’nostri
fratelli, che vennero ad accrescere il decoro della cittade
c a far più onorala l’adunanza di questa Chiesa (i). Co-
testo popolo adunque, eli è da noi diverso nel linguag-
gio, è consono nella fede, e passa una vita modesta e
grave nella tranquillità de' suoi campi. Appresso di lui
non v’hanno spettacoli scellerati, non giostre, non donne
vendereccio, non gli altri tumulti cittadini, che anzi ogni
maniera d impudicizia è interamente sbandila, e regna
dappertutto una verecondia commendevole assai. IN’
è
poi cagioue la vita laboriosa che menano, eia coltivazio-
ne della terra ch’è loro maestra di grande virtù e tem-
peranza, trattando essi quell’arte cui prima delle altre
ebbe Dio agli uomini insegnato. Egli è certo che Adamoprima del peccato, allorché fruiva di una libertà ancora
integra, ricevette il comando di attendere all agricoltura
faticosa non già, nè da fortune avverse turbata, ma fe-
conda per lui di molta sapienza*, poiché lo pose,sta
scritto, ad operare e custodire il Paradiso assegnatogli.
\ edrete ciascun d’essi ora aggiogare i buoi, trarsi dietro
l’aratro, spezzare in profondi solchi il terreno;ora salir
la sacra tribuna e preparare per la semente le anime
(i) Era la quinta domenica dopo Pasqua, o, secondo l'Aliazio,
la Festa dell’ Ascensione, nella quale concorrevano alia città gli abita-
tori dell'Atjro Antiocheno, nomini dediti all’ agricoltura c rhr parla-
vano il siriaco.
190
de .soggetti;
li vedreste ora tagliar colla falce le spine che
ingombrano il campo, ora cogli ammaestramenti lunge
cacciar dallo spirito l’ignoranza colpevole. Essi non si
vergognano della fatica,come si vergognerebbero gli
abitatori della nostra città;ma piuttosto si vergognano
dell’ozio, poiché appresero ch’egli è ceppo di ogni mali-
zia, e che a que’tutti che lo amarono fu fin da principio
maestro di delitti. E questi in ispecial guisa a mio cre-
dere son coloro che ne insegnano la migliore delle filo-
sofie, offrendoci la virtù non già nel portamento esterno,
sibbene nei propri lor fatti. Per tanto, mentre i filosofi
del portamento esterno, per nulla preferibili agl’ istrioni
che rappresentano sulle scene la propria parte, non han-
no da offrirci che un pallio, della barba ed una veste ta-
lare;questi al contrario, dato un solenne addio al basto-
ne, alla barba e ad ogni altra insegna filosofica, adorna-
rono la propria anima dei precetti della vera sapienza,
nè dei precetti soltanto, ma ciò che più importa, delle o-
pere. E se interrogaste alcun di costoro che vivono al-
l’agricoltura, che attendono alla marra ed all’aratro, dei
dogmi intorno a cui i filosofi profani rompono in que-
stioni infinite, e danno in lunghissimi discorsi da cui non
puossi ritrar nulla di vero, egli vi risponderà a tutto con
molla chiarezza ed intelligenza. Ciò che ha poi del me-raviglioso si è, che per mezzo delle opere si rassodano
nella credenza dei domtni. Conoscereste infatti che ben
addentro scolpironsi nell’anima la persuasione che abbia-
mo uno spirito immortale, che dobbiam rendere stret-
tissimo conto di ogni azione che si feccia quaggiù, e che
ci si appresta un giudizio terrìbile;quindi dietro di
queste norme composero la vita, e fatti maggiori di ogni
allettamento del secolo, ed illuminati dalla divina scrit-
tura, quaggiù darsi vanità di vanità ed ogni cosa essere
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vanità, non appetirono niuno «li <|ucgli oggetti che si mo-
strano assai lusinghevoli;e così è clic intorno a Dio sap-
piano tutto che Dio impose che si sapesse — Prendete
uno di essi, e fate che ora qui dinanzi ne venga pure
alcun filosofo profano : ina che dissi, se di presente non
possiamo trovarne alcuno? Ebbene pigliate, io ripeto,
uno di essi, e scorrete dall'altro canto i libri tutti dei
filosofi antichi, e con diligente esame ponete a confronto
ciò die questi adesso rispondono, ciò che quelli ragio-
narono allora, e vedrete come di questi sia grande la
sapienza, come grande di quelli la follia ! Dicendo infat-
ti or fimo or l'altro di loro che nella disposizion delle
cose non vi è provvidenza, che il mondo non è crealo
da Dio, che niuno trova in se una virtù sufficiente a se
stesso, ma che ha d'uopo del dinaro, della nobiltà, della
gloria esteriore;dicendo altre innumerabili stranezze
ancor maggiori delle accennate;e questi invece che nien-
te attinsero alle fonti profane della dottrina, discorrendo
saggiamente della provvidenza, dei giudicii dopo di que-
sta vita, della creazione di Dio che trasse tutte cose dal
nulla, non danno in ciò a conoscere la potenza di Cristo
che fa gl' idioti ed i rozzi tanto più saggi di quelli che
si vantano di sapere, quanto possiam vedere gli uomini
maturi nella prudenza essere superiori ai teneri fanciul-
li? E qual mai danno può venir loro dalla ignoranza del
linguaggio, mentre la iutelligenza è adorna del sapere
più eletto? Qual profitto trar possono i profani dal co-
noscimento della lingua se l'intelletto è privo di senno?
E lo stesso che vi fosse taluno che portasse una spada
colf elsa d' argento e colla lamina più fragile dell’ infe-
riore Ira il piombo. Han dessi i filosofi profani una lin-
gua adorna di parole e di nomi, ma che cou una mente
ripiena d’ infermilade torna loro inutile affatto : non e
192
però così di questi alili filosofi, anzi tulio il contrario.
La loro monte è fornita a dovizia di spirituale filosofia,
e le azioni loro si conformano allo dottrine. Appo di essi
non \i sono nè donne impudiche, nè strani abbigliamen-
ti, ne colori c vernici, ma lungi è cacciato tutto cotesto
ammasso di abitudini corruttrici. Ond’ è che più facil-
mente assai si persuade la temperanza alla soggetta mol-
titudine, e si conserva perseverante nell esatto adempi-
mento del precetto di l’aolo, che avendo un vestilo e
un po di cibo, non si deve chieder nulla di più. Nonfanno essi uso alcuno di unguenti snervatori degli animi;
ina la terra della moltiplice famiglia dell’ erbe produt-
trice, con maggior avvedutezza di qualunque fabbricatore
d’ unguenti, appresta loro il soavissimo e vario olezzo
de’ fiori. Quindi è che godono di un perfetto vigore di
spirito e di corpo, perchè si tolsero ad ogni mollezza,
ogni funestissimo stemperamento della ebrietade abbor-
rirono, e tanto mangiano quanto basta alla vita. Nonprendiam dunque motivo a disprezzarli dall esterno lor
portamento, e più- presto ammiriamo il loro intelletto.
Poiché qual pregio dal vestito esterno, ove 1 anima fosse
coperta più miseramente del più ceusioso mendico? Knoi sappiatn bene che non dobbiamo le nostre ammira-
zioni e gli encomii nè alle vesti, uè al corpo, ma sibbe-
ue all umina dell uomo. Ci si mostrino spoglie del corpo
le anime di costoro, e ne vedremo la bellezza ed i tesori
nelle opere, nei donimi, nelle regole dei costumi.
Si vergognino pertanto i gentili de’ propri filosofi, e
della loro sapienza, di ogni stoltezza più miserabile, si
ritirino, si nascondano. In mezzo di essi alcuni che
amici si dissero del supere nel corso della lor vita valsero
appena ad insegnare le proprie dottrine ad uno stuolo
assai raro di discepoli che poteano a luti agio essere
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Idi
numerati, e perdettero anche questi alla più lieve mi-
naccia di alcun pericolo. Mentre i discepoli di Cristo
pescatori,publicaui, fabbricatori di stuoie convertirono
alla verità tutto il mondo, e allo insorgere di sempre
nuovi pericoli, non è che venisse meno la predicazione,
che anzi divenne sempre più fiorente e più bella, ed
ammaestrarono quindi nella sapienza più sublime gl’ i-
dioti, gli agricoltori, i mandriani. Questi uomini rozzi
adunque, avendo colle altre virtù profondamente radicata
nell’ animo la carità, madre «li ogni bene, si affrettarono
verso di noi per sì lungo tratto di cammino onde veni-
re ad abbracciare le proprie membra, i propri fratelli.
Su dunque anche noi dal nostro canto prima che sen par-
tano, su dicca diamo loro colla medesima sincerità di
cuore ed affetto alcuna provigione pel viaggio, in ricam-
bio dei preseuti che fecero a noi, e tratteniamoci di nuo-
vo intorno ai giuramenti affinchè questa malvagia con-
suetudine si divelga interamente dal vostro cuore.Prima
però voglio che oggi ci fermiamo un poco intorno alle
cose «li cui precedentemente vi dissi. Allorché si lasciò
che i Giudei partissero dalla Persia, e furono quindi da
quella schiavitù liberati col ritorno che fecero alla Pa-
tria : Vidi,esclama il Profeta, una falce che via si di-
stendeva pel cielo,e la sua lunghezza era di venti cu-
biti,e la larghezza di dieci (j); e ne appresero tosto
dalle profetiche labbra la spiegazione: Quest'è, soggiun-
geva egli, f esecrazione eh' esce sopra la faccia della
terra, e che entra nella casa dello spergiuro, e la spez-
zerà a mezzo Jrangendone le travi e le pietre tutte.
Poiché leggemmo coteste parole, rintracciavamo il nioli-
•utuM dì
(1) Zaccaria V. I. Ove il greco legge ipiitatìio c !j Vulgata
Fnlccnt alni col terto ebreo vorrebbero leggere ruttimeli.
1 9A
vo per cui non sulo lo spergiuro, ina con esso andrà in
mina anche la casa di lui, e dicevamo il motivo esser
questo;che Iddio vuole che i gaslighi dei delitti più
gravi sicno lungamente visibili, affinché lutti abbiano per
essi a correggersi. Essendo pertanto d’uopo di seppelli-
re, dopo la sua morte, lo spergiuro e cacciarlo giù in
seno della terra, acciò col corpo di lui non si seppelli-
sca pur anco la memoria della sua iniquità, così fu con-
versa in un mucchio di macerie la casa ch’egli abitava,
perchè lutti che passassero a quella volta, vedendola e
informandosi della causa di quelle ruine, evitassero d'i-
mitarne la colpa. Ciò avvenne anche di Sodoma. Difatto,
arsi che furono gli abitatori in pena della mutua bruta-
le compiacenza, anche la terra che sosleneali fu dalle
fiamme che piovvero dal cielo consunta;poiché voleva
il Signore che rimanesse perpetua la ricordanza dell i ti-
farne delitto. Considerate poi anche in ciò la misericor-
dia di Dio; non fece che ardessero continuamente fino
al dì d’oggi i corpi dei delinquenti; ma bruciali una
volta, li nascose, lasciando che la superficie della terra
ardente al cospetto di tutti quelli che non ricusasse-
ro di volger ivi gli sguardi, rendesse avvertite le future
umane generazioni : che non commettessero il delitto
dei Sodomiti per non incontrare dei Sodomiti il gastigo.
INè poi il linguaggio è così presto ad aprirci la strada
alla intelligenza,' come lo è una terribile rappresentazio-
ne postaci innanzi agli occhi che di continuo iu se mo-strasse i vestigi deli infortunio. E ben lo attestano colo-
ro che si portarono a vedere que’luoghi;
i quali mentre
prima ascoltavano senza timore la lettura de’libri sautì
che parlan di spesso del terribile avvenimento, poiché
là pervennero e sulla faccia del luogo si trovarono, e vi-
dero tutta quell" ampia superficie consunta, e le tracrie
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mirarono dello incendio, ove non vestigio alcuno di ter-
ra che apparisca, ma invece tutto cenere e faville, di là
si tolsero atterriti in guisa ch’ebbero da quella vista una
grande scuola di temperanza:poiché sempre la misura
della vendetta quella eguaglia della colpa : e coinè que-
gli empi trovarono un congiungimento infecondo ed
inetto alla procreazione de’figli, così Iddio dal suo canto
trovò un gastigo che rendesse infecondo il grembo della
terra e privo affatto di germoglio. Quindi è clic minac-
ciò distruggere le case di que’che giurano, per far sì che
la pena di essi tornasse a scuola di ravvedimento negli
altri.
Io poi oggi ho divisato mostrarvi che non una, due
o tre case furono dai giuramenti distrutte, ma una città
intera, un popolo religioso, una nazione usa a goder
sempre dei benefìcii della provvidenza, uno stuolo a mol-
ti pericoli sottratto. Gerusalemme non era dessa la città
di Dio,
ricca del tempio santo e di tutti i tesori della
religione i più preziosi, dov’ ebbero stanza i profeti,
la
grazia dello spirito di Dio, l’arca, le tavole del testamen-
to, e i vasi d’oro ? dove gli angeli non di rado discende-
vano? Questa città in molte guerre impegnata, e assali-
ta dalle incursioni di molli barbari, cinta come da una
muraglia adamantina, sempre derise gl’ imitili loro sfor-
zi, e nella distruzione universale de’paesi circostanti non
sofferse alcun grave infortunio. Nè di ciò solo dobbiamo
meravigliarci, ma v’ha di più, che quantunque volte im-
pugnò le armi a danno degl’ inimici, altrettante intera-
mente gli sconfisse, e sì grande era a favore di lei la
provvidenza di Dio, eh’ egli stesso ebbe a dire: Ho ri-
trovato Israele come delluva nel deserto,ed ho riguar-
dato i suoi padri come i fruiti primaticci delfico (i).
(1) Ose» IX. io.
196
E altrove parlando della stessa città, soggiunse: ella è
come le bacche deltolivo che dipendono dalle estremi-
tà de'suoi rami,e diranno non vi sia chi porti loro no-
cumento di sorta (i). Pure una città a Dio tanto cara,
sottratta a lauti pericoli, che ottenne di tante colpe per-
dono, e che una e due e innumerabili fiate potè fra tut-
te andar libera dalla schiavitù, trovò in un solo giura-
mento la propria ruina, e come ciò avvenisse dirollo. Fra
gl Israeliti vYbbc un certo Sederia: cotesto Sedecia le-
gossi in giuramento con Nabueodonosor re de’barbari,
che manterrebbe sempre con esso alleanza in tempo di
guerra,* indi, poco badando al fatto giuramento, il vio-
lò seguendo le parli del re di Egitto, ed ebbe quindi a
soffrire ciò che tosto udirete. Conviene però che prima
io vi esponga la parabola del Profeta con che tutte le fu-
ture vicende prediceva : avvenne, dic’egli, che la parola
del Signore si facesse da me intendere in questi accen-
ti : figliuolo deiruomo,proponi un racconto
,descrivi
una parabola,e di': Così ha parlalo il Signore Iddio :
venne una grandaquila con grandi ale e lunghe pen-
ne,e fornita di molte unghie (2). Egli diede il nome
di aquila al re di Babilonia, e lo chiamò Aquila grande,
e dalle grandi ale, e dalle lunghe penne, e dalle molte
unghie, pel numero considerevole di guerrieri, per l'e-
stensione di sua potenza, per la celerità delle sue spedi-
zioni•, poiché di quella guisa che le ali e le unghie sono
le armi delle aquile, così i soldati e i cavalli lo sono dei
re. Cotesta aquila pertanto prende il volt» per entrare
nel Libano. E che cosa è cotesto volo? Il consiglio, il
divisamenlo. Chiamò poi Libano la Giudea, perchè si-
fi ) Isaia !,XV. 8.
(2; Eteditele 17.
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197
luata non lunge ila quel molile. Volendo poi significare
i falli giuramenti e la concimisi! alleanza ripigliò : Prese
del seme di quella terra e In trasportò in un campo at-
to alla seminagione,acciò gettasse le sue radici sopra
grandi acque,e lo pose ivi perchè fosse veduto
,e il
seme avendo germogliato crebbe in una vite inferma e
poco elevata,• e i suoi tralci erano verso delfAquila ri-
volti, e le sue radici si protendevano sotto di essa. Qui
chiamò vile la città di Gerusalemme: dicendo poi che i
rami di essa erano all’aquila rivolti, e che le radici le sta-
vano sottoposte, indicar volle i patti e l'alleanza conchiu-
sa, con che diede se stessa in balia dello straniero. Indi
venuto a farne palese il delitto, disse: E viJu un'altra
Aquila,
parla del re Egiziano, grande anch1
ella e di
grandi ale,e di molte unghie
,e la vite impigliassi in
essa,
le rivolse i suoi tralci,e stese verso di lei i suoi
rami per essere irrigata : oncTè eliio esclamai: Eccoquello che dice il Signore : Prospererà ella
,che non
osservò il giuramento, nè mantenne 1 alleanza, potrà sus-
sistere,andar salva e non cadere? Facendone poscia
conoscere che ciò non sarà per avverarsi, dia che pel
giuramento che fece dovrà interamente perire, discorre
intorno alla punizione, e ne accenna il motivo, dicendo:
Ee sue radici tenerelle e le frutte imputridiranno,e ina-
ridiransi i suoi germogli. E ponendoci soli’ occhio che
non sarà umana la forza che distruggerallajma che si
trasse sul capo la inimicizia di Dio pei giuramenti che
fece, soggiunse : Non sarà robustezza di braccia d'uomo
nè moltitudine di popolo che schianterallu dalle radici.
Fin qui la_ parabola : ma viene poscia alla spiegazione,
parlando così: Ecco verrà il Re di Babilonia in Geru-
salemme,e dopo di aver esposte alcune altre coso di-
scorre del giuramento c dell'alleanza: c il Re d'israelh
'i.fé
198
conchiuderà con esso dei palli dichiarandone indi la vio-
lazione, ripiglia : Ma riticerassi da lui e manderà suoi
messaggi in Egitto,perchè ne sieno di là spediti e cavalli
e molte milizie. E di qui viene a conchiudere che dal
giuramento fu provocata sì grande irreparabil ruina : Nel
paese soltanto del Re che lo avea posto sul trono (poi-
ché tenne in non cale la mia maledizione e violò la mia
legge) nel mezzo di Babilonia ei morrà,non combat-
tuto da poderoso esercito,nè dalla moltitudine oppres-
so»,ma perchèJranse il giuramento e violò la mia leg-
ge. Tenne in non cale il giuramento e ruppe talleanza ?
dunque io glielofarò ripiombare sul capo,e stenderò
sopra di lui la mia rete. Attendeste come non una e
due volte il Signore, ma di spesso ripeta, ch’egli provò
pel solo giuramento il peso di tante disavventure ? E in-
fai li il Signore è implacabile contro degli spergiuri. Nèlo interesse che pigliasi Iddio perchè non si violino i
giuramenti ci si dà a divedere soltanto dalla vendetta che
pel fatto spergiuro prese dell.» cittade, ma dal ritardo
ben anco e dal differirla che fece. Accadde,dic egli, che
nel nono anno del suo regno,nel decimo giorno del
secondo mese venne Nabucodonosor,
il Re di Babilo-
nia e tutto Tesercito di lui sopra Gerusalemme:fu po-
sto il campo sotto alle mura,dogni intorno si fabbri-
carono de'bastioni contro ad essa,e la città fu chiusa
dovunque ed assediata fino al nono giorno del quarto
mese nedurulecimo anno del Re Scdecia. Prevalse al-
lora neir interno della cittade la fame,
tal che non
v era pane che sen>isse al popolo di cibo,e la città ri-
bellassi (i). Non valeva Iddio forse a far sì che fino dal
primo giorno cadessero sconfitti, o fossero dati in pote-
(1) IV dei Re. XXV. i.
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r Vii*
199
re degl' inimici ? Volle però che fossero invece pel corso
intero di tre anni sminuzzali e stretti da fierissimo as-
sedio, e puniti al di fuori dal terribile ceffo de1
soldati,
al di dentro dalla fame che teneva la città in grandi an-
gustie, sforzassero il re suo malgrado a darsi in manodei barbari, a pagare così il fio del proprio delitto. INè
è già una mia congettura cotesla: se volete convincervi
della verità, udite ciò che per bocca del Profeta si dica :
Se pur tu uscirai fuori a Capitani dei re di Babilonia,
vivrà Fanima tua,e questa citlade non sarà incendiala
,
e andrai salvo tu e la tua, famiglia. Se poi non uscirai
a’capitani del Be di Babilonia,questa città sarà data
in potere de'Caldei che la consumeranno colfuoco,e
tu non iscamperai dalle lor mani. E il Re Sedecia dis-
se al Profeta : Io sono in angustie per causa di quegli
Israeliti che ripararono tra1
Caldei,temendo di esser
dato in man loro,e che mi abbiano a coprire di scher-
ni. E Geremia rispose.fdicendogli : Non ti daranno in
loro potere ; ascolta la voce del Signore in ciò che io
ti parlo,e ti tornerà in bene
,e salverai t anima tua.
Che se tu ricusi duscire,
il linguaggio cui mi fece in-
tendere il Signore, è questo : Tutte le donne che rima-
sero nella casa del Ile di Giuda saran trattefuori ai
Capitani del Re di Babilonia ed elle diranno: Ti han
sedotto e t hanno vinta alla tua poggio que1
tuoi confi-
denti,hanno trascinato i tuoi passi su (funa via sdruc-
ciolevole,ed eglino si ritrassero in addietro
,e tutte le
tue mogli e i tuoi figliuoli si daranno in balia de1
Cal-
dei, e tu stesso non fuggirai lor dalle mani,perchè
saraifatto prigione dal Re di Babilonia,e questa città
consunterassi dallefiamme ( i ). Ma poiché queste parole
f!
(1 ) (minia XXX Vili. 17.
. » « -
k Dìi
200
noi persuasero, e perseverò nella propria malvagità e nel
delitto, Iddio dopo tre anni c dopo di aver fatta palese
la sua clemenza e F ingratitudine di lei,diede la città
in potere degf inimici. Ed entrati che furono senza osta-
colo che si fosse, ridussero in cenere l’abitazione di Dio
e quella del Re, e il prefetto de cuochi diede alle fiam-
me le case di Gerusalemme ed ogni edificio maggiore,
e divelse le mura della città;
il fuoco intanto dilfonde-
vasi dappertutto soffiandovi per entro il giuramento che
era guida e continuo eccitatore di quelle fiamme divora-
trici;ma il popolo nella città e i ministri del Re furono
tratti in ischiavitù dal prefetto de'cuochi; e i Caldei man-
darono in pezzi le colonne di rame ed i basamenti e il
mare di bronzo elierano nella casa del Signore,e por-
tarono via le caldaie aneli esse di rame,e gli schidion-
celli,e le caraffe,
e i" piccioli mortai,e tutti i vasi di
bronzo con che si faceva il servigio ; e rapirono i turi-
boli,e i bacini (f oro e (f argento. Quanto poi alle due
colonne,ai basamenti ed al mare, tutto fu derubalo da
Nabuzardan il prefetto de' cuochi. Si trascinarono die-
tro Sarea primo sacerdote,e Safari secondo
,ed i tre
guardiani della soglia. Fu condotto via dalla città an-
che un eunuco oliera commissario della gente di guer-
ra, e cinque uomini de famigliari del Re, e Safari
capitano dell1
esercito, e quegli che facea le rassegne,
ed altri sessanta uomini che trascinati dinanzi al Re di
Babilonia li percosse e li uccise tutti (i). Ricordatevi
adunque della falce che ruota in giro ed entra nella casai ^
(1) IV dei Re. XXV. Discordano le traduzioni, e leggono di-
muiuente: princepi mililiac, mayislcr laniorum ; nel greco ci sla
Xfjytgxyiipsg (praefeelus coquorum): io dovea attenermi al lesto; mapiù volentieri mi sarei appigliato a chiamarlo o condottiero dell’ eser-
cito, o capitano delle guardie,
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20
1
di colui che giura, ne sgomina lo pareli, e ne tri-
tura le travi e le pietre. Ricordatevi come colesto
giuramento, entrato uella città, distrusse le case, il
tempio, le mura, gli ediGcii più splendidi, e la ri-
dusse ad un mucchio di mine, nè il santo de’ santi,
nè i sacri vasi, nè altra cosa che fosse valsero a trat-
tenere il gasligo della destra vendicatrice «li Dio, per-
chè si violò il fatto giuramento. Che se la città pe-
riva sì miseramente, più lagrimevoli e crudeli erano
le disavventure che piombavano sopra «lei Re, e co-
me cotesla falce rotaolesi schiantò gli edifico tutti, co-
sì colse anche lui fuggitivo, Il Re, sta scritto, se ne
fuggì di notte dalla città,mentre i Caldei le erano
sopra d ogni intorno,per la via della porta fra le due
mura ; ma /’ esercito de Caldei gli letuie dietro e lo
raggiunse,
e lo prese,e lo condusse al Re di Babilo-
nia: e il Re di Babilonia venne con Sedecia alla finale
sentenza,e Je scannare i figliuoli sotto gli occhi del
padre,
indi glieli abbacinò,e lo pose Jra ceppi
,e lo
tradusse in Babilonia. E che dir si vuole quel venire
con Sedecia alla finale sentenza? Che da esso chiese
ragione, che venne cou esso ai palli, e prima scannò i
figliuoli di lui alfiuchè fosse lo spettatore della propria
calamilade, e poscia che vide quella desolantissima tra-
gedia,Io accecò. Ma chiedo di nuovo, e perchè si fece
inai tutto questo? Perchè Sedecia fosse oggetto di gran-
de scuola ai Barbari ed ai Giudei che abitavano colà,
e vedendolo imparassero da quel cieco quanto sia enor-
me delitto il giuramento, nè costoro sollauto, ma quei
tulli che si trovassero lunghesso la via, e se si abbattessero
nel Re cinto di ferri e abbacinato, apprendessero anche
essi dal terrore dell infortunio quanto sia grave il peso
della colpa. Quindi è che uno tra i Profeti disse: Non
27
Iti
L• •
*
Iff
202
vedrà Babilonia (i). Un al Irò: Sarà trascinato in Ba-
bilonia (2 ). Le profezie sembrerebbero tra di loro con-
trarie, ma non lo sono, perchè son vere ambedue: es-
sendo eh’ egli non vide Babilonia, e fu in Babilonia tra-
dotto. Come dunque non vide Babilonia? Perchè fu
abbacinato nella Giudea: cbè dove si violò il giuramento
ne fu anche punita la violazione, e il reo dovette pagarne
il fio. Com è che si trascinò in Babilonia ? Cinto dalle
catene di schiavo. Poiché dunque erano i principali
gaslighi 1 abbacinamento e la schiavitude, così i prolcti
se li divisero, e questi disse : non vedrà Babilonia ; faltro :
in Babilonia sarà tradotto : esprimendo la schiavitude.
Ammaestrati dunque, o miei fratelli, e da ciò che ora
dissi, e da quello che in precedenza vi ho annunziato, e tut-*
lo insieme raccogliendo, vi prego ad una voce e vi scon-
giuro cessiamo da cotesta malvagia consuetudine e
stolta. Che se anticamente appresso de’ Giudei, quando
la legge non era per anco ridotta alla sua perfezione, e
molto si tollerava con essi, tanta ira e schiavitù ed ecci-
dio da un solo giuramento derivarono; e che dovranno
ora aspettarsi coloro che giurano, ora che abbiamo una
legge che severamente lo vieta, e di più una sì ampia
inlerprelazion della legge? Forse ciò che si chiede da noi
è d’ intervenire a cotesle adunanze, e di ascoltare quel
che si dice ? Sì certamente, e ne soprasta un giudizio
più grave, se, accorrendo con frequenza ad udire, nonadempiamo ciò che ne viene insegnato. E qual difesa
avrern noi ? Qual perdono, se raccogliendoci in questo luo-
go dalla prima etade fino all ultima vecchiaia, ed essendo
ammessi a tanta ricchezza di addottrinamento, pure per-
sistiamo nelle iniquità antiche, e non ci adoprianio a
(1 )Kzccliielc, XII. • 5.
(2) Geremia, XXXH. 5.
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I
2u:.
correggere alcun difetto? Nè \i sin chi mi ponga innanzi
la consuetudine, che per poco ni" infiammerei il ira e di
dispetto alla opposizione che non possiamo correggere
l'abitudine. Ma se non correggeremo l’ abitudine, come
correggerem noi la concupiscenza che ha sue radici nella
naturale nostra depravazione? Il desiderare infatti è pro-
prio della natura; desiderar ciò che è inale, della volontà.
Il giurar poi non ebbe origine dalla volontà, ma unica-
mente dalla nostra stoltezza. E perchè voi apprendiate
che cotesto peccato crebbe non per la difficoltà di cor-
reggerlo, ma per nostra negligenza soltanto, pensiamo che.
gli uomini adempiono ad imprese assai più dilficili di
queste senza attendere guiderdone di sorta. Pensiamo
quanto faticosi e dilìicili a sopportarsi non furono i co-
mandi datici dal demonio; pure non v ebbe ostacolo
che ce ne impedisse I adempimento, llavvi forse diffi-
coltà alcuna che quella pareggi di un giovane che voglia
rendere pieghevoli in tutti i sensi le sue membra con tor-
mentarle in proprio danno, sforzandosi di continuo a
muovere in giro il corpo come si farebbe di una ruota,
attorcigliandosi sul terreo mulo, e adoprandosi a tutta
possa col travolgere delle mani e degli occhi, e con vio-
lentissime conversioni di cangiar sua natura nella don-
nesca, non pensandoci più che tanto nè alla difficoltà
dei movimenti che si richiedono, nè all ignominia che
ne deriva ? Chi, essendone spettatore, non si meraviglierà
di quelli che si traggono su palchi destinati ai balli, ove
delle corporee membra si servono come di altrettante ale?
Chi mai v'ha che non sappia starci 1’ assiduità della fatica
in luogo della virtù? Chi non rimane sbalordito in veg-
geudo di quelli che lanciano alternativamente per aria
delle spade, c tulle le riprendono di nuovo alternativa-
mente per 1 elsa? Che dirassi di quelli che portano sulla
Ztt.
20.1
fronte una lunga pertica immota così, come fosse pro-
fondamente nel terren radicata ? Nè il mirabile è questo
solo, ma sulla estremità della pertica collocano dei pic-
cioli fanciulli, e li fanno combattere tra di loro, e intanto
re la tengono ferma non altrimenti che fosse legata alla
più salda fune senza il soccorso nè delle mani, nè di ah
tra parte del corpo, ma con la sola fronte. V 5
ha chi so-
pra di una sottilissima corda cammina con quella sicurezza
medesima, con che altri camminerebbe su di una pia-
nura. Dunque colesti prodigi che avrebbero sembralo
impossibili al sol pensarli,divennero possibili in fatto
per mezzo dell’ arte. E si richiede forse,
di grazia . al-
cun d’essi nell evitare i giuramenti? Qual v’è dillicitl-
tade? qual sudore? qual arte? qual mai periglio? Usiamo
di un poca di attenzione soltanto e in breve avremo ot-
tenuto ogni cosa Nè mi dite che lo otteneste già per la
massima parte: se non Io otteneste interamente, non avete
fatto ancor nulla}poiché quel poco che per vostra negli-
genza vi rimane ancora, basterà a distruggere quel che
faceste. Accade infatti di spesso che i fabbricatori di
una casa non curandosi nel coprirla di una sola tegola che
si smosse, lascino per essa aperto il mezzo all’intera sua
distruzione. Chiunque poi facilmente può convincersi
come ciò stesso addivenga nei vestiti, ove non di rado
una picciola scucitura, che non sia raggiustata, produce
uji grande laceramento. Nè i torrenti cessano di metterci
sott’ occhio questa verità, essi che al minimo aprirsi di
picciol foro tutte vi cacciano entro le proprie acque. Lostesso succederà anche di voi, se dopo di aver sottoposto
a severa custodia voi stessi, lascierete pure una piceiola
parte mal guardata : chiudetela dunque affinchè il demo-
nio vi trovi assicurati dappertutto. Vedeste la falce? Ve-
deste il capo di Giovanili ? Udiste la storia di Saule?
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205
Udiste il motivo tifila schiasitù giudaica? Insieme a que-
sti fatti udiste anche la sentenza di Cristo che dice,che
non solamente lo spergiurare, ma il giurare pur anco in
qualunque gnisa è opera diabolica, è trama che ci tende il
crudele nostro nemico? Udiste che i giuramenti sono ac-
compagnali dagli spergiuri? Raccogliete dunque tulle co-
teste prove, e scrivetele nel vostro cuore. Non vedete come
le donne e i teneri fanciulli portino gli Evangeli sosppsi
al collo per grande amore di custodirneli, nè li depon-
gono mai dovunque sen vadano? Voi scrivete nella vo-
slr anima le leggi c gl insegnamenti evangelici *, qui non
ci è d uopo nè di argento nè di oro nè di altra moneta
per comperarvi un libo» : d’uopo avete soltanto di buon
volere c degli affetti di un'anima destata dalla sua torpi-
dezza •, e sarete più sicuri della custodia del Vangelo
riponendolo nei penetrali della vostr anima, rhe non
portandolo al di fuori. Sorgendo adunque dal letto ed
uscendo della vostra casa, ripetete la legge: In vi diro che
non giuriate per guisa alcuna ( i) •, e queste parole \i
servano ili un granile ammaestramento;poiché non ci
è già d uopo di molla fatica, ma di un poca di attenzio-
ne unicamente. E che sia vero, lo conoscete anche aper-
tissimaincntc da ciò, che chiamati i vostri figli, e atterriti
e minacciali di percosse, se mai non adempiessero questa
legge, li vedrete tosto cessare dall" abitudine. E come
non è assurdo, clic i figliuoletti per timore che baimi)
di noi adempiano questo comandamento, e noi non te-
miamo Iddio neppur a quel modo elle i nostri figli ci
lemono? Vi ripeto pertanto quello che precedentemente
vi dissi: Imponiamo a noi stessi cotesla legge di non
trattare alcun negozio o pubblico o privato prima di aver
ad essa adempiuto*, e spronati da un obbligo che ci strin-
(i) S. M.iilro V. 5$.
**T
20G ,
gerà sì dappresso, facilmente vinceremo e adorneremo noi
stessi, adorneremo anzi la città tutta. Considerate comesarà grande la gloria di udir per tutto il mondo ripetersi
che vige in Antiochia il costume corrispondente alla vo-
cazion dei Cristiani, e che ivi non si ode alcuno pronun-
ciare un giuramento, benché in grado estremo provo-
cato. Ciò udiranno le città vicine, nè le città vicine sol-
tanto, ma quelle poste agli ultimi confini della terra, che
è probabile assai che tutte coleste nuove vengano ivi
portate da que’ mercatanti che si trovano in mezzo di
voi, e di qua muovono in giro ne’ vicini e ne’ lontani
paesi. Mentre dunque gli encomiatori delle altre città
ricorderanno i porti, il foro, 1’ abbondanza delle merci,
credete che quelli che di qua parlironsi soggiungeranno,
che in altri luoghi non è dato di riscontrare ciò che si
trova in Antiochia;poiché, diranno, gli abitanti di quel-
la città soffrirebbero che lor fosse strappata la lingua
piuttosto che pronunciare un giuramento. E ciò tornerà
a voi di grande sicurezza e adornamento; nè questo
solo sarà il pruGtto, chè ne avrete una grande mercede,
poiché gli altri, punti di emulazione, vorranno imitare lo
esempio vostro. E se colui che sol uno o due ne guada-
gna a Dio, godrà di una ricchissima ricompensa, e quale
stimate voi che sia quella cui devonsi aspettare coloro
che convertano tutto il mondo? Convien dunque esser
solleciti, vigilanti, sobri . sapendo che non solo riceve-
remo il premio del profitto che noi avrem fatto nel
bene, ma di quello anche che per virtù nostra fecero gli
altri, e perciò riguarderanno con molta predilezione quel
Dio, cui ci sia dato di conseguire in perpetuo, chiamati a
godere il regno de' Cieli in Cristo Gesù nostro Signore,
al quale sia gloria ed impero insieme col Padre e lo
Spirilo santo nei secoli de’ secoli. Così sia.
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OMELIA XII
’li.»
1/ solo digiuno non Austa a /irrpararci alla comunione, marichiedcsi principalmente la virtù interna. Qual sia il
mezzo da adoprursi per deporre la memoria delle offese
ricevute, in t/ual conto tenga il Signore l'adempimento
di e/uesto precetto, e come, la ricordanza delle offese sia
un tormento che previene (/nello dell'Inferno. Vario in-
fine della necessità di schivare i giuramenti, e di (/itelli
che non ancora si sono corretti in modo che più non
giurino.
i
Il tempo che di già volge frettoloso alla fine del
digiuno ne avvisa che dobbiamo anche noi affrettarci nel
sentiero della virtù:poiché, di quella guisa che a’gareg-
giatori nel corso nulla giova l’aver oltrepassato molti sta-
dii, ove perdessero il premio *, non altrimenti anche a
noi nulla gioveranno le negazioni e i travagli del digiu-
no, se non potremo con purezza di anima accostarci al-
la sacra mensa. A ciò solo e il digiuno, e la quaresima,
e le adunanze di tanti giorni, e le concioni, e le preghie-
re, e le pubbliche istruzioni ordinaronsi, affinchè per
.t1
k
V
208
iulte coleste opere di espiazione deterse le macchie che
nel còrso di quest'anno in qualunque modo ci si attac-
carono d’attorno, venissimo ammessi a partecipare con
ispiri! ual confidenza di quell momento sacrifizio; che se
non olteniain ciò, ne riesce inutile, senza profitto, e co-
me interamente perduta ogni nostra fatica. Ciascuno a-
dunquc vada seco stesso pensando qual vizio abbia cor-
retto, qual virtude acquistato, qual colpa deterso, qual
parte di se migliorata : che se ritroverà col digiuno aver-
si fatto ricco di coleste merci preziosissime, e sarà certo
di aver apportato non lievi rimedii alle proprie ferite,
si accosti. Ma, se in ciò negligente, non può far mostra
che del digiuno, e conosce di nou essersi in alcun’altra
cosa corretto, cotestui rimanga pur fuori, ed entri allora
che tutte avrà lavale le sue colpe. Non vi sia chi si affi-
di al digiuno unicamente, mentre conservò,senz am-
menda che fosse, l'usato attaccamento ai vizi. È giusto
che si perdoni a colui che per fralezza della propria co-
stituzione non digiunò *, ma egli è impossibile che metta
innanzi alcuna scusa chi non ha gastigato le proprie col-
pe. Pel tuo corpo infermiccio non osservasti il digiuno;
ma dimmi, perchè non li se’riconci fiato co’ltioi nemici?
Puoi forse porre innauzi anche qui il pretesto della tua
infermitade? £ se mantieni tuttavia gli odii e l’antica
invidia, che mai ti resta ad allegare in tua difesa ? Certo
le membra inferme non han nulla a che fare con codesti
delitti. E dobbiamo ammirare una grande opera della
misericordia di Cristo anche in ciò, che volle lutti i prin-
cipali precetti moderatori di nostra vita non avessero ad
essere in ninna guisa impediti dalla infermità delle mem-bra. Del resto, abbisognando di tutti i divini comanda-
menti, e in ispecial modo di quelli per cui ci vcugon
proibito le inimicizie ed i perpetui rumori, e ci s’iinpo-
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-*•.r
20 si
ne ili loslo riconciliarci, così ili presente ci tratterremo
intorno a questo precetto. Siccome poi non può essere
ammesso alla sacra mensa l'uomo «Ielle* fornicazioni e
delle bestemmie;non altrimenti è tenuto lontano dalla
santa comunione colui che nutre uimistadi ed è perti-
nace nell ira : nè a torlo. Intatti quello che davasi in
braccio ad amori merelricii, o gli altrui letti contami-
nava, pose fine alla colpa saziato che ebbe l'animo inve-
recondo*, e se, ritornando in se stesso, volesse risorgere
dalla caduta, e far mostra di solenne pentimento, potreb-
be aver quinci alcuna consolazione*, ma chi persiste nel-
l'odio aggiunge ciascun giorno un nuovo peccato, sì che
la catena non arriva mai al suo termine. Le colpe della
prima specie accennata si compiono col compiersi delio-
pera infame: queste ad ogni dì che sorga si riproduco-
no$e qual perdono spererein noi che ci siamo oliceli
in pasto di tanta fiera? Con che faccia potrete chiedere
che Iddio si mostri con voi mansueto e beuiguo, mentre
voi siete co’ vostri prossimi inesorabili tanto e crudeli?
Ebbene il tuo prossimo ti caricò d improperii, e tu quan-
te volle non improperasli al Signore? E v ha forse para-
gone alcuno Ira il Signore e il suo servo? Di più, quegli
forse trattato insolentemente esacerbossi e rispose con
altra insolenza: tu sempre ti diporti insolentemente con-
tro del tuo Signore, senza eh1
egli l'abbia offeso in cosa
che sia; anzi avendoti di singolari beneficenze continua-
mente ricolmo. Pensa che se Iddio volesse chiederne
esalta ragione delle arrecategli ofTese, non rimarremmo
in vita nè anco un sol giorno. Oh se tu, esclamava
Davidde, se tu guardassi alle nostre colpe,o Signore
,
chi mai di noi sussister potrebbe ( i)? E per lasciare
28
(lì Sditilo CX XX. 5.
210
addietro gli altri tulli peccati alla sola coscienza di cia-
scun colpevole muniresti, dove, eccetto Dio, non v ha
testimonio che ne spaventi; ditemi qual lusinga di scu-
sa ci si offrirebbe, se fossimo chiamali a render conto
di questi che già son pubblici, e d uopo è confessare?
Se guardasse alla nostra torpidezza e negligenza nelle
preghiere, se al nostro atteggiamento allorché ci presen-
tiamo a lui per invocamelo, ove non dimostriamo nè
anco quel riserbo e contegno, cui,dimostrano i servi
verso de’Ior padroni, i soldati verso dei capitani,verso
de propri amici gli amici? Di vero, parlando con un ami-
co parlate almeno attentamente, ma trattenendovi con
Dio intorno alle vostre colpe, chiedendone il perdono,
supplicandone 1 oblio,grado grado v iutoqiidite
,e
quantunque chini a terra con le ginocchia, pure per le
piazze e per le case fanima divagate, ed aprile intanto
la bocca a vane e temerarie parole. Ciò poi non è che
avvenga qualche volta di rado, ma bene di spesso, e se
Iddio volesse tener conto unicamente di questo, pensa-
te voi che otterremmo così a tulfagio il perdono? Pen-
sale che si potesse addurre alcuna difesa? Io per certo
non la ci veggo.
Che se volesse schierar dinanzi gfimproperii con
che gli uni gli altri a vicenda c insultiamo; i giudicii
teinerarii con che condanniamo il nostro prossimo, e
pel solo motivo che siam maldicenti;che mai potremmo,
io vi chiedo, produrre a nostra guarentigia? E se indi
si faccia ad esaminare i curiosi nostri sguardi, e le pra-
ve cupidigie dell animo che riboccano di pensieri tur-
pi ed osceui mentre permettiamo che gli occhi vadanoqua e là errando senza freno, quale sarà la punizion che
ne aspetta ? E (piando si chiedesse ragione dei nostri
consulti, essendo certo: che chi dica pazzo al suofra-
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teìlo sì merita le fiamme <T inferno (i ); forse Irovereb-
besi chi osasse aprir bocca, muover labbro c rispondere
o molte od una parola soltanto? Inutili vanti delle pre-
ghiere, dei digiuni, delle nostre elemosine, ove si chia-
massero ud un rigoroso scrutinio, nè dal Signore, ma da
noi stessi che peccammo! Ardiremo forse levare gli oc-
chi al cielo ? Ed ove si venga al giudizio delle frodolente
doppiezze, che gli uni verso gli altri adoperiamo, ora
lodando il nostro prossimo in sul viso, e trattenendoci
in colloqui quasi amichevoli con lui, ora calunniandolo
dietro le spalle*, potremo noi forse reggere al peso dei
meritati gastighi ? Che dirò dei giuramenti, delle men-
zogne, degli spergiuri, degli sdegni ingiusti e del livore
sparso di spesso a danno non già degl inimici, ma de-
gli amici nostri ? Che del piacere che prendiamo del-
F altrui male quasi che la infelicità degli altri tornasse a
sollievo delle nostre sventure ? Che sarebbe di noi se
venissimo con giusta proporzione puniti della negli-
genza nelle pubbliche nostre elemosine? Nè potete na-
scondere a voi stessi che mentre Dio per le labbra de’
suoi profeti non di rado parla con tutti noi, ci voltiamo
in lunghi ed impeguant issimi dialoghi, anco intorno a
cose che non ci appartengon per nulla, con quelli che
ne stanno d accosto. Che se, ommessi gli altri delitti, ci
si chiedesse ragione unicamente di questo, ci rimarrebbe
forse luogo a sperare la nostra salvezza ? ÌNè crediate che
sia lieve la colpa; e se volete vederne la enormilade,
vedetela per confronto nelle cose umane: fate che men-
tre il Pretore parla con voi, anzi mentre vi parla un a-
mico di qualche importanza, lasciato sospeso quel di-
scorso, voi vi volgiate a parlare col vostro servo;
e do
i t . 1 ' iti f èrt» J '* i i’J. *4x • Ol'f X i-.'-
(1) S. Malico V. 22.
212
cotesto argomenterete il gran delitto che è quello di far
lo stesso con Dio. E se un uomo per poco che non sia
dozzinale non lascia che se ne passi senza grave risen-
timento un affronto di simil fatta;Iddio invece ciascun
dì dalle stesse o da maggiori ingiurie provocato, nè da
uno, due, tre solamente, ma da pressoché tulli noi, per-
severa in quella pazienza e mansuetudine, che suol usa-
re non solo contro di cotesti delitti, ma di altri più gra-
vi assai}poiché cotesti sono ben noti e confessati da
tutti, e d uopo sarebbe mancar d’occhi per non vederli}
ma ve ne sono degli altri intorno a quali è la coscienza
di ciascun peccatore che rende conto a se stessa. Quin-
di è che per quantunque siamo crudeli ed ingrati, ri-
chiamandoci alla memoria ciò tutto, e un sol pensiero
volgendo alla moltitudine delle nostre colpe, non potre-
mo non essere soprappresi da tanta angoscia e trepida-
zione, che non ci rimanga più tempo da pensare alle in-
giurie ricevute. Ricordatevi dei torrenti di fiamme, del-
le serpi avvelenate, del terribile giudizio, ove tutto mo-strerassi nella propria nudità e schiettezza
;pensate che
appariranno allora in pienissima luce le colpe che or
giaciono nelle tenebre. Che se perdonerai le offese a te
fatte dal prossimo, verranno anche a te cancellate in
questa vita quelle che dovrebbero manifestarsi in allora,
e te ne uscirai di questo mondo senza portarti dietro
ninno de tuoi peccati, sicché riceverai in ricambio molto
più di quello che tu donasti. Avviene spesso che com-
mettiamo delle colpe senza testimonio di sorta;ma poi
pensando che in quel giorno verran poste sotto gli occhi
di tutti, e pubblicate nel gran teatro di tutto il mondo,a tal pensiero sollevasi dalla nostra coscienza un’agitazio-
ne ed un cruccio che ue tormenta assai più della stessa
condanna. Ma n é concesso a tanti peccati, a sì gran
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213
vergogna, a sì terribili crucci sottrarci col perdonare alle
offese5poiché non havvi altra virtù che questa in guisa
alcuna pareggi. Volete conoscerne la potenza? Ebbene:
Se DIosé e Samuele,disse il Signore, mi si presentas-
sero innanzi,Vanima mia si piegherebbe ad udirli ( i ).
Ma potè 1
!
adempimento del precetto di perdonare alle
offese sottrarre allo sdegno di Dio quelli, cui Mosè e Sa-
muele a sottrarre non valsero. Fu perciò che a co-
loro, a cui prima avea pressoché tolto ogni speranza di
perdono, ingiunse tosto il precetto di perdonare, di-
cendo : Ciascuno di voi dimentichi,ma di cuore
,le in-
giurie de’proprii fratelli,e quinci innanzi più non pensi
al male dal prossimo arrecatogli (2). E avvertite che
non disse soltanto di perdonare *, ma disse di non rite-
nere nella memoria, di non pensarvi, di deporre ogn’ira,
di rimarginar le ferite interamente. Non vedete che, me-ditando di vendicarvi, tormentale in pria voi medesimi,
come se chiamaste I ira a vostro carnefice, a dilaniatrice
delle vostre viscere? E qual cosa più misera di un uomoche cova in petto continuo sdegno? Di quella guisa che
i furenti non trovano mai riposo*, così questuiti che nu-
trono odii ed hanno degli inimici, non possono godere
di pace che sia, vivono in perpetuo tumulto, aggravano
di giorno in giorno la tempesta deproprii pensieri, te-
mono d’ogni parola e d’ogni opera, e torna loro di cruc-
cio per fino il nome della persona da cui abbiano una
qualche ingiuria ricevutojoud’è che al solo ricordarla
che si faccia in loro presenza infuriano con grande ina-
sprimento di cuore, e al solo vedersela innanzi trepida-
no, inorridiscono come; se avesser tocco l’estremo dei dan-
ni. Non basta : che si crucciano all’aspetto della veste,
(1 ) Geremia XV, 1
.
(2) Zaccaria, VII 10.• »
214
della casa, del viottolo che vi conduce, e di tutto che
al lor nemico appartenga*, e se delle persone che ci tor-
nano piacevoli e care ne commuovono I1aspetto, le ve-
sti, la casa, le vie che frequentano, non appena ci si
faccian presenti;medesimamente i servi, i conoscenti,
le case, le vie degli uomini odiosi e degl’ inimici, ove ci
cadano sottocchio, o ne ricorrano in alcun altro modoal pensiero, ci dilacerano fanima, e al sorvenire di cia-
scuna immagine, ci si raddoppiano le ferite.
Abbiam forse d'uopo di tanto straccio di cuore,
di tormenti sì acerbi, di un supplizio di simil fatta?
Che se anco i vendicativi non fossero minacciati del fo-
co dell’inferno, dovrebbero tuttavia perdonare alle of-
fese del prossimo, se non altro per le angosce che dal-
l’odio stesso germogliano *, poiché essendosi preparato
dall’odio un martirio incessante, v’ha pazzia maggiore di
quella di condannar noi stessi a soffrirlo nell' istante in
cui studiamo al modo di vendicarci degli altri ? Infatti
se veggism l’inimico in qualche fortuna, scoppiam dalla
rabbia*, se avvilito, temiamo che la sventura non perda
del suo rigore, c si cangi in meglio;per cui sia che
dall’un canto, sia che dall’altro pieghino le cose, noi ri-
troviam sempre inevitabile il supplizio. Non ti adergere
a soppiantar V inimico,
dice la Scrittura (i). Nè mi
addurre a pretesto la gravezza delle ingiurie ricevute ;
chè non è ciò che li renda pertinace nell’ ira, sibbene il
non ricordarti de’ tuoi delitti e il non avere dinanzi agli
occhi le fiamme d’ inferno, e il timor santo di Dio; e
verranno le vicende luttuose di questa città a dimostrarne
come ciò sia vero. Se mentre si traevano alla condan-
na i rei de’ gravi misfatti che si commisero, e scor-
ti) Proverbi; XXIV, 17.
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geano il fuco alimentarsi nel fatale recinto, star dap-
presso i carnefici e futuri stracciatori delle loro mem-bra, alcuni degli spettatori fattosi loro incontro avesse
così parlato: Chi di voi avesse degli inimici, deponga
gli odii, e potrà allora andar salvo da cotesto terribile
supplicio-, forse non sarebbersi tutti prostrati a’ suoi
piedi, baciandoglieli? Ma che dico a’ suoi piedi? Se
non avrebbero neppur rifuggito di accettare la schiavitù
stessa, ove fosse loro stata proposta. Che se un gastigo
terreno, che pur ha fine, è valevole ad attutar Tire le
più feroci, non potrà quello della vita avvenire, ove in
tutta la sua forza si richiamasse al nostro pensiero, non
potrà non solo spegnere gli odii, ma sbandire dal cuore
ogni reo sentimento? Nè vi ha cosa più facile di quella
di depor l’ira contro 1’ uomo che vi offese. Per ciò non
vi è d’uopo d’intraprendere lunghi viaggi, d’impiegar
molli danari, di porre in mezzo molte pratiche officiose:
basta che lo vogliate, e per questa sola virtù l’opera ha
conseguito il pieno suo adempimento. E di qual punizio-
ne non sarem noi meritevoli se per le cose di questo
mondo ci assoggettiamo ai ministeri più vili, ci degra-
diamo oltre la nostra condizione, non guardiamo a di-
spendi!, ci tratteniam co’ portieri in confidenziali discorsi
per adulare ad uomini scellerati, in breve non abbiam
riguardo di dire e di fare tutto che conduca allo scopo
propostoci;per adempiere poi alla legge di Dio non so-
lo non discendiamo a supplica alcuna verso il fratello
che ne offese, ma lo terremmo per un disonore se gli ci
avvicinassimo i primi? Lo reputiam forse un disonore
l’essere noi i primi a procacciarci un premio? Invece mi
sembra che dovremmo vergognarci di persistere in quel-
lo stato di violenza, e che il disonore, il difetto, il grave
danno sarebbe l’attendere che l’ autor della ingiuria ac-
A'-T
216
corresse il primo a riconciliarsi con noi :poiché quegli
che si accosta il primo previen 1 altro nel trarne tutto
intero il profitto. Se intatti deponcle l’ ira, perchè sup-
plicate, il merito della buona opera è dovuto a lui che
vi supplica, non avendo voi adempiuto la legge per ob-
bedienza al Signore, sibbcne lasciandovi vincere dalle ai-
timi preghiere. Che se invece voi stessi senza la media-
zione di alcuno, senza che 1’ offensore vi si presentasse
dinanzi,o ricorresse alle suppliche
,lasciato ogni ri-
guardo ed indugio, foste accorsi da lui, e gli aveste con-
donate spontaneamente le fattevi provocazioni all ira;
quell’ opera rimarrebbe tutta vostra, e tutta ne riceve-
reste voi la mercede. Se io vi dicessi : digiunate, mi po-
treste mettere innanzi la fralezza del corpo; se dicessi:
siate caritatevoli verso i poveri, mi potreste opporre le
tenui vostre fortune, e il peso di educare i figliuoli; se
dicessi : convenite alle sante adunanze, verrebbero gl’in-
teressi del secolo; se dicessi: ascoltate le concioni e
apprendete la forza degli insegnamenti, verrebbe la igno-
ranza; se dicessi : fate di correggere il prossimo, rispon-
dereste ch’egli non vuole assoggettarsi alle riprensioni
vostre, e che spesso in mezzo alle correzioni medesime
foste insultati. Coteste son miserissime scuse, tuttavol-
ta sono scuse. Ma se vi dicessi: deponete l’ ira;potreste
forse addurre a vostra giustificazione alcuni dei preac-
ccnnati motivi? No certamente; nè la fralezza del cor-
po, nè la povertà, nè la ignoranza, nè le secolaresche
occupazioni, nè alcun altro simile pretesto avrebbe luo-
go, ond’è che questa colpa è più di tutte le altre imme-ritevole di perdono. Con qual animo potete ergere al
cielo le mani, scioglier la lingua, chieder mercede?
Quand’ anche volesse Iddio perdonare le colpe vostre,
voi noi concedereste avendo in petto 1 ira contro de fra-
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telli. Ma egli il vostro nemico, voi dite, è un uom crude-
le, feroce, avido d’ insulti e di vendetta •, ebbene, per ciò
stesso perdonategli le sue colpe. Sofferiste molte ingiu-
rie, foste dispogliati di molti beni, udiste spesso degli
improperii, e gravissimo ne lu il danno;per ciò adunque
bramate che piombi in ricambio qualche male sopra del
vostro inimico; ma è qui appunto ove sta il merito del
perdono; poiché volendo voi cercare il modo del riscat-
to e della vendetta, sia colle parole, o coi fatti, o colle
imprecazioni, Iddio ristarassi dal prenderla; mentre
siete voi che vi adoprate di far ragione a voi stessi. An-
zi non solo non richiederà il fio delle offese a voi prati-
cate, ma voi stessi assoggetterà ad una pena pel pochis-
simo conto che faceste di lui.
Che se avviene tra gli uomini che, percuotendo Dui
falli-ut servo, provochiamo a sdegno il. padrone, che si
ritiene per offeso nel proprio servo;e se noi tutti rice-
vendo una qualche ingiuria da gente libera o schiava,
dobbiamo attendere la sentenza dei giudici o dei padro-
ni, di guisa che ninno con sicurezza può farsi auche tra
noi giustizia da se medesimo; non dovremo a maggior
ragione attenerci a cotesta regola in que’ fatti, ove Dio
stesso si dichiara vindice severissimo? 11 prossimo vostro
vi praticò delle ingiurie, vi offese, vi fu cagione di danni
infiniti; guardatevi dal voler voi farne pagare al prossi-
mo la mercede, guardatevi dal diportarvi ingiuriosamente
contro al Signore, cedete a lui, ed egli saprà condurre
la cosa ad un Gne assai migliore di quello che voi sapre-
ste desiderare. A voi si raccomanda unicamente di
pregare per colui che offese; del resto Iddio volle ser-
bar per se medesimo le misure tutte che saranno da
prendersi intorno od esso; e dove voi lasciate in pienis-
simo suo potere ogni diritto, sarete ricompensati di
218
quella mercede eh’ egli ha di già prefissa, e di per voi •
stessi non avreste conosciuta giammai. Non iseioglietevi
pertanto in imprecazioni contro dell’ avversario vostro;
ma lasciatene arbitro il Signore: e sia che noi perdonia-
mo le ingiurie ricevute, ci riconciliamo coi nostri nemi-
ci, e preghiam per essi;s’eglino stessi non si convertiran-
no, nè cangierannosi in meglio, Iddio non perdonerà ad
essi, e non perdonerà onde provvedere al loro vantaggio.
Loderà voie mostrerà compiacersi della sapienza vostra;
punirà poi i vostri nemici, affinchè la sapienza vostra
non apparisca inferior della loro. Quindi ne segue che è
falsa quella volgar sentenza, che molti da me eccitati a
rappacificarsi, ove tornava ad essi in disgrado 1’ obbe-
dienza, addussero come scusa, ed altro non era che un
pretesto della malvagità loro: rifuggire dalla conciliazione
per non rendere più triste I’ inimico, od aver indi a
sperimentarlo più intrattabile e fiero nel suo proprio
disprezzo; e aggiungon di più che dalla comuuc si ter-
rebbe eh’ essi per viltà fossero venuti i primi agli accor-
di ed al rappacificamento cogli inimici. Son tutte cole-
ste, scuse inutili allatto;poiché quegli il cui occhio non
dorme mai, legge nei nostri pensieri;e quindi non do-
vete curarvi dei vani clamori de’ servi vostri compagni,
quando entriate in persuasione del giudice che «leve
pronunciar la sentenza sopra la vostra causa. Se poi vi sta
a cuore di non rendere favversario colla condiscendenza
vostra più triste; vorrei che vi convinceste che non è
già questa la via per cui egli divenga più triste, ina che
sarà invece per divenirlo allora che non cerchiale di pla-
carlo; poiché, «|uaiitumpie fosse lo sceleralissimo tra i
mortali, tacendo anche, e non dimostrandolo esterna-
mente, pure approverebbe in silenzio i vostri sapienti
"ostinili, e la sua coscienza non potrebbe non esser com-
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9 • .»
presa ili rispetto verso la mansuetudine vostra. Clio se
persisterà nella propria iniquitade, nè (rannerassi a cole-
ste soavissime emozioni, dovrà provare il massimo rigore
di Dio. Ed afTuiehè più chiaramente apprendiate, che,
quantunque noi preghiamo per glinimici ed offensori
nostri, tuttavia il Signore non perdona le loro colpe, se
dalla benignità nostra prendessero argomento a divenire
più tristi, vi racconterò un fatto antico. Maria praticò
un insulto a Mosè. E che fece il Signore? la coperse di
immondezza c di lepra, comunque ella fosse e buona e
casta. Essendosi poi interposto appo il Signore lo stesso
Mosè, che fu f insultalo, affinché le perdonasse, Id-
dio non accondiscese, e soggiunse: Se suo putire le
avesse sputato in faccia, non andrebbe ella confusa e
vergognosa? Ebbene rimanga dunque fuori del campoper sette giorni (i). E tale è iu fattola cosa. Se fosse
stato suo padre che avessela cacciata lungo dal proprio
cospetto, non sarebbesi forse assoggettata all' imposto
gasligo? Quindi è come se dicesse: ti lodo del fraterno
amore che mitri, della bontà e della tua mansuetudine\
ma so ben io quando convenga che le tolga d attorno la
pena che le indissi. Per lo che anche voi dimostrate ogni
possibile umanità verso dei vostri fratelli, nè vogliate
perdonar loro le offese per desiderio di maggior ven-
detta, ma per sentimento caritatevole e benigno*, e te-
nete per certo che quanto sarà maggiore in essi il dis-
prezzo dei mezzi che voi usate onde placameli, tanto
sarà maggiore la pena che a se medesimi prepareranno.
Ma che si disse mai ? Dunque imperversano nello stesso
accarezzarli che si faccia ? Sarà sempre lor colpa, c gran-
de vostro encomio, che per adempiere la legge di Dio,
. V V : Vinosa bue li oJJid -»wjfU*qa ih 0
(1) Numeri XIF, 14. ? - u< :i ...’’
1
Ì.-Ì-»
2: o
non vi arrestiate dall accarezzare colui che nella man-
suetudine vostra sorge a maggiori insulti: c Paolo disse:
eh’ è meglio che gli altri sieno accusati perchè noi fum-
mo pietosi, di quello che noi perchè gli altri lo furono.
Nè mi andate ripetendo quelle viete parole, che dobbiam
formarci riguardo per non dar motivo di credere all'i ni-
mico che siamo accorsi a lui per paura, e quindi insu-
perbisca maggiormente. Cotesle sono ragioni di un’ani-
ma puerile, malavveduta, e ridotta per umani riguardi
fino alla stupidezza. Stimi pur anco che voi gli siate corsi
incontro per tema, e la mercede vostra sarà più abbon-
devole, quando ciò conoscendo, pure soffriate tutto pa-
zientemente per amore di Dio. Conciossiachè quegli
che si riconcilia per meritarsi la stima degli uomini an-
drà privo della ricompensa promessa : mentre chi pie-
namente conosce che da molti sarà vituperato e deriso,
e nullameno anche dopo di ciò non cessa di usare ogni
mezzo alla pace, otterrà una doppia e tripla corona;
poiché egli è quel desso che il fece unicamente per amore
di Dio. Nè venite innanzi col dirmi che vi fece queste e
quelle ingiurie; poiché vi avesse anco scagliato contro
tutti i mali che si trovano sulla terra, pure anche a que-
sto patto Iddio comandò che si perdonasse!’ le offese.
Ecco ch’io levo alta la voce e predico, e grido, ed escla-
mo: niuno che abbia qualche nemico si accosti alla sacra
mensa, e riceva il corpo di Cristo; e tutti che si ac-
costano non abbiano nemico di sorta. Hai tu qualche
nemico? Non ti accostare. Vuoi tu accostarti ? Prima ti
riconcilia, e poi ti appressa al banchetto. Nè sono io che
ve! dico: ma sibbene il Dio per noi crocefisso. Ondericonciliarvi col Padre non ricusò di esser egli scannato
e di spargere tutto il suo sangue; e voi per riconciliarvi
co’vostri fratelli non volete pronunciare una parola, non
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volete accostarvi i primi. Ascoltate come intorno a co-
storo parli il Signore: Se Ut presenti la tua offerta so-
pra r altare,e quivi, ti ricordi che il tuo fratello ha
qualche cosa contro di te,non disse invia alcuno clic
perori la tua causa o supplichi a tuo favore, ma tu
stesso gli muovi incontro, mentre soggiunge: Va prima
a riconciliarli col tuo Jratello (i). 0 cosa incredibile!
Iddio non ritiene per un affronto l’omettere che si fac-
cia del dono destinato per lui; e voi Io crederete undisonore l’andare i primi a riconciliarvi con i vostri fra*
t clli ? Ditemi in grazia trovereste voi mezzo di giustifi-
cazione per coloro che in ciò violassero il divino precet-
to? Se vedeste un membro tagliato, non fareste di tutto
per riattaccarlo al corpo? Fate lo stesso verso de’ vostri
fratelli, qualora li vedete separati dall’ amicizia vostra:
volate tosto tosto al loro amplesso, non istate ad aspet-
tare eh’ essi i primi vengano a voi, sibbene affrettatevi
per guadagnar voi la corona propostavi. Abbiamo il co-
mando di avere un solo nemico, il demonio; e di non
venire a patti con esso lui : ma non dobbiamo mai es-
sere di animo avverso ai nostri fratelli, e se insorgerà
un qualche lieve disgusto non deve durar più d’un gior-
no, nè più che il sole rimanga sulforizzonte, poiché sta
scritto: Il sole non tramonti sopra dell' ira vostra (a).
Se pria del vespro deporrete la vostra rabbia otterrete
un qualche perdono da Dio;ma se la vostra bile oltre-
passerà questo limite, non v’ è più luogo a credere che
ella derivi da un fuoco subitaneo e da un tempera-
mento irritabile sì che si lascia cogliere all’ improv-
viso., e piuttosto ella nasce dalla malvagità di un animo
perverso e di scelleraggini sitibondo. Nè poi col ritar*
(1) S. Malico V. 23.
(2) Agli Etesii IV. 2fi.
‘Li*
222
do è solo che voi moviate incontro al danno di per-
dere ogni ragione di scusa, ma vi rendete assai più dif-
ficile l’esercizio della virtude richiesta;poiché, passato
un giorno, la colpa cresce: nel secondo si aumenta an-
cora, e se venga dietro il terzo ed il quarto, aggiunge-
rassi anche il quinto, e di cinque verrà n dieci, di dieci
venti, di venti cento, e così via via si farà del tutto in-
curabile la ferita •, essendoché a proporzione del tempo
crescono gl’ intervalli che ne separano. Guardati pertan-
to, o uomo, da tutte le passioni irragionevoli,nè il
pronto rappacificamento co’tuoi fratelli ti riesca a moti-
vo di rossore c vergogna, nè parlare nel seguente modo :
ÌXon ha guari ci siamo azzuffali insieme, scagliandoci in
faccia innumerevoli improperi?, e dovrò io tosto correre
a riconciliarmi? Chi non biasimerebbe la mia leggerez-
za? Niun personaggio di senno biasimerà il tuo facile
arrendimcnto;ma se persisterai nell ira allora sì che
ciascuno dileggeratti, ed aprirai un ampia strada al de-
mouio, che non solo la riconciliazione renderassi più
difficile pel tempo che vi passerà di mezzo, ma per le
circostanze pur anco che insorgeranno : conciossiachè
di quella guisa che la carità copre una gran moltitudine
di peccati (i), così la nimistade dipinge come altrettante
colpe quelle che realmente noi sono : onde ne segue che
trovili credenza appresso di costoro lutti i calunniatori
che godono degli altrui mali e li esagerano. Conosciuti
dunque tulli cotesti effetti, prevenite il vostro fratello,
soffermatelo prima che interamente vi sfugga, quand anche
vi fosse d uopo di percorrere in quel giorno tutta la città
di uscir delle mura, d intraprendere un lungo viaggio,
e lasciata ogni altra briga che in allora vi si facesse di-
ti) X. S. Pieno IV. 8.
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223
•‘C'.r
nunzi, procurale solo di riconciliarvi col vostro fratello.
Che se la cosa fosse anche diffìcile ad ottenersi, pensate
che il travaglio è sostenuto per amor di Dio, e prove-
rete una sovrabbondante consolazione, e 1’ anima, che
cerca eli sottrarsi, che paventa, che si vergogna, eccita-
tela ripetendole di spesso: A che cessi? a che ti ritiri?
A che ti scusi? Non si tratta di dinaro, non di altri
beni transitori!;ina della salvezza di noi medesimi, E
Dio che ne dà questo precetto: d’uopo è adunque che
al precetto cedano gli altri riguardi tutti. E questo come
un argomento di spiritual mercatura5non siam dunque
nè sospesi, nè pigri, e comprenda il nostro nemico che
ci diam tutta la sollecitudine per obbedire a' divini co-
mandamenti? Accresca egli il numero degl’ insulti, ne
percuota, ne faccia alcuna altra offesa più grave, e noi
sopportiam tutto generosamente, come quelli che in ciò
non tanto provvediamo al suo, quanto al nostro spiri-
tuale vantaggio, e nella sicurezza che il dì del giudizio,
più che delle altre tutte virtudi, ne verrà dall’ esercizio
di questa una maggior ricompensa. Son gravi i nostri
errori, molte le colpe, e abbiamo irritato in tante guise
il Signore: ma ne offerse secondo la sua misericordia
infinita questo mezzo di riconciliazione;non Iralasciain
dunque di approfittarci di questo tesoro preziosissimo.
E non era forse iu suo potere di comandarne la ricon-
ciliazione senza proporre mercede che si fosse? Nonhavvi certo chi si opponga a’ suoi precetti o li corregga.
'1 uliu via per I amore che ci porla ne promise una mer-
cede e grande, e ineffabile, ed eguale ai nostri desiderii
più ardenti, ne promise il perdono dei peccati renden-
done facilissimo il conseguimento.
Qual sarà adunque la sorte meritataci, se dopo la
promessa di tanto premio non obbediamo al legislatore
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ina persistiamo a disprezzamelo? E che sia veramente
disprezzo,vediamolo. Se 1 imperatore avesse promulgato
un editto ove comandasse che tutti i nemici si riconci-
liassero o fossero uccisi, forse non si affretterebbero tutti
ai vicendevoli accordi? Io la penso così. E che avverrà
dunque di noi con Iddio, se per esso lui non nutriam
quel rispetto, cui dimostriamo a’ servi nostri compagni?
Per questo ci venne imposto di dire: Perdonate a noi
come noi perdoniamo ai nostri offensori (i)Qual co-
mando più mansueto e soave? Il Signore fece noi giu-
dici di noi stessi nella remission delle colpe. Se perdo-
nerein poco, verremo perdonati di poco;se molto, di
molto; se perdoneremo sinceramente e di cuore, ne per-
donerà anche Iddio colle medesime condizioni. Se, dopo
concesso il perdono, terrete in conto di amico il vostra
offensore, Iddio farà lo stesso verso di voi. D’ onde ne
viene che quanto son maggiori le offese che taluno ne
fece, tanto più presto noi dobbiamo movergli incon-
tro,
poiché sappiamo che ne consegue da ciò che
Iddio rimetta auche a noi un maggior numero di pec-
cati. \ olete conoscere a prova che, fomentando gli udii,
non siam meritevoli di perdono che sia, nè trovarsi, ove
fossimo tali, chi perori a favor nostro? Porrò iu chiaro
ciò che dissi. Il prossimo vi offese, rapì i vostri beni,
sparlò, defraudovvi; nè ciò solo, ma ci metto dappresso
molti altri danni gravissimi,
ce ne metto quanti più
volete. Tentò di uccidervi, vi pose di fronte mille peri-
coli, vi praticò ogni maniera d ingiurie, ed usò contro
di voi tutte le scelleraggini che inventar possa 1 umanamalvagitade : e per non progredire pavidamente più
oltre, ponete che v’ abbia coperto di tali ingiurie che al
(1) 5. Manco VI. 12.
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par di voi non andò coperta persona alcuna giammai :
ed anche in simile circostanza, perseverando nell' ira,
non sareste meritevoli di perdono. Esporovvi a (piale
argomento si appoggino le mie parole. Se nn vostro servo
vi fosse debitore di cento monete d'oro, mentre a lui un
tal altro ne dovesse alcune poche (largente, e vi diman-
dasse la condonazione di sua partita, e voi imponeste a co-
testo vostro servo di sciogliere il proprio fratello dall ob-
bligo della restituzione, promettendogli che allora voi pure
condonereste a lui il suo debito che è di cento auree mo-nete, e invece il malvagio imprudentissimo uomo stran-
golasse il suo debitore;forse che alcuno valesse a togliervi
cotestui dalle mani, forse non lo flagellereste per I estrema
ingiuria che vi gettò iu faccia? E ben giustamente. MaIddio, o vendicativo, farà lo stesso, dicendoli nel di del
giudizio: Temerario, scelleratissimo servo, perdevi forse,
rimettendogli il debito, dell' aver tuo? No; ma sibbene
del mio, essendoché fosti obbligato a cancellare la sua
partita, perchè ne avevi un altra con me: infatti sta
scritto: rimetti gli altrui debili, ed io rimetterò i tuoi.
E quand' anche non avessi ciò aggiunto, era d’uopo che
tu per obbedire al padrone il facessi. Io però non volli
comandar da padrone, ma tei chiesi a quel modo che si
chiederebbe qualche fa\or da un amico; e ti promisi
die sarei per ricompensarti col mio e con sovrabbon-
dante misura: pure anche dopo di tutto questo non di-
venisti migliore. Gli uomini, quando vengono a conti, pon-
gono per ricevuto da’proprii servi quel tanto che devonoad essi: ond' è che per servirmi di un esempio; se il
servo è debitore di cento monete d'oro verso il padronec il padrone di dieci verso di lui, quando si viene ni
chiudere delle partite, il padrouc non gii rilascia mica le
Cento monete, utu dieci soltanto, c si rilien creditore di
30
fi *T
226
tulio il resto. Non è così del Signore: ma se rilasci un
legger debito al servo tuo compagno, cancella egli inte-
ramente la tua partita. E di dove rilevasi tutto questo?
Dallo stesso commento ch’ci fece alla insegnataci preghie-
ra poiché aggiunse : E certo che se voi perdonerete agli
uomini i loro mancamenti, anche il vostro Padre celeste
perdonerà a voi le vostre colpe. ( i ). E quanto grande
è la differenza tra cento dinari e diecimila talenti;tanto
è grande quella che passa tra questi e que:
debiti. E di
qual pena non sareste degni, se conoscendo di dover
ricevere mille talenti in cambio di cento, ricusaste di ri-
lasciare il pochissimo che vi si deve, e convertiste con-
tro di voi la vostra medesima preghiera? Infatti dopo di
aver detto’, perdonate a noi,come noi perdoniamo
,se
voi non perdonate, nuli’ altro con ciò chiedete da Dio,
se non ch’egli vi dinieghi ogni scusa e perdono. In ap-
presso, voi ripigliate, non oserem più dire, ci perdona,
come noi perdoniamo*, ma diremo soltanto: perdonaci.
E che importa, se anco voi noi diceste: quando Iddio
non faccia altrimenti, e perdoni di quella guisa che voi
perdonate? Ciò poi apparisce evidentemente dalla con-
seguenza che in seguito ne deduce; poiché ripiglia: Senon perdonerete agli uomini
,neppure il vostro Padre
celeste perdonerà a voi. Nè il crediate avvedimento il
non proferire intiera com è l
1
orazione. No non troncate
a mezzo la supplica, ma supplicate com’egli impose,
affinchè la necessità di proferire ciascun giorno quelle
parole formidabili vi ecciti a concedere il perdono al
vostro prossimo. Non mi dite abbiam chiesto ripetuta-
mente, pregato, supplicalo pur anco, ma non abbiarrt
potuto ottenere la riconciliazione bramata: non cessate
(1j 5. Malico. VI. 14.
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227
se prima non siete riconciliati. Conciossiachè non disse-,
lascia l’offerta, e va a pregare il tuo fratello; sibbene la-
scialat, e va a riconciliarli. Ond’ è che auchc dopo di
aver usalo molte suppliche, non dovete desistere, se
prima non otteneste 1’ intento. Iddio ciascun giorno
insta con noi nelle sue dimande, e noi non ascoltiamo;
pure non cessa egli dalle sue inchieste,e voi ricuserete
d’instare appresso d’un vostro fratello? E come potrete
andar salvi? Ma, soggiungerete, abbiam ripetuto le sup-
pliche, e fummo ripetutamente respinti,ebbene sarà
maggiore la vostra mercede,poiché di quanto 1’ avver-
sario vostro è più pertinace, e voi più perseveranti nel
chiedere, di tanto cresce il premio propostovi; e a pro-
porzione delle difficoltà incontrate nell’ adempimento di
quest’ opera di virtù, c dei disgusti provati ad ottener
questo accordo, cresce e la severità del giudicio per lui,
e lo splendore della corona per voi. Non è poi che cole-
ste verità addimandino solo approvazione, ma adempi-
mento, nè dobbiamo partircene prima di essere ritornati
all’antica amicizia. Non basta che non offendiate il vostro
nemico, che noi carichiate d’ingiurie, e che non serbiate
nell’ animo rancore alcuno contro di lui, dovete procu-
rare ch’egli pure si vesta di sentimenti caritatevoli verso
di voi.
In vero io odo molti che dicono: Io non gli sono
nemico, non mi lamento di nulla, ned ho alcuna cosa
comune con esso;ma non è già imposto da Dio, che tu
non abbia alcuna cosa comune con esso lui, sibbene che
n’abbia molte. E questa la ragione per cui è tuo fra-
tello: la ragione per cui non disse: Va e rimetti al fratei
tuo ciò che hai contro di lui ; sibbene, va e con esso
prima ti riconcilia, e s’egli ha un qualche livore contro
di te, non ismettere l’opera cominciata, ove non ti ab-
2?8
bia ricongiunto quel membro in amichevole accordo.
Voi per acquistarvi un servo dabbene e spendete dana-
ri, e fate molte parole coi mercadanti, e di spesso im-
prendete lunghissimi viaggi;e non ricorrerete ad ogni
mezzo, non vi adoprerete in ogni guisa per ritornarvi
amico il nemico vostro? Rispondetemi: con qual animo
potete invocare il Signore nelle preghiere, se ne trascu-
rate per sì fatta guisa l’adempimento? Il provvederci
di un servo non può arrecarci sì gran vantaggio -
,men-
tre per lo contrario un nemico che per opera nostra ri-
torna in amicizia con noi, si renderà propizio e bene-
volo il Signore a procacciarne facilmente il perdono delle
nostre colpe, e farà sì che godiamo di molti encomii tra
gli uomini e di molta tranquillità nella vita ", cbè non vi
ha cosa più formidabile di un nemico fosse anche solo;
mentre va di continuo rodendo la fama del viver nostro,
e a più riprese, e dovunque ne aggrava di false accuse,
e pone in tumulto così lo spirito e la nostra coscienza,
di guisa che ci troviamo come in mezzo a fierissima
tempesta. Venuti pertanto al conoscimento di ciò, met-
tiamoci da ogni maniera di cruccio e di punizione in
sicuro, e mostriamoci penetrati di rispetto verso la pre-
sente solennilade, riducendo alla pratica tutto che di-
cemmo, e concediam noi pure agli altri una di quelle gra-
zie, cui in vista della solennilade medesima speriamo
che l’imperalor ne conceda;poiché intesi da molti, che
egli per grande riverenza alle feste di Pasqua sia per
accoglier di nuovo all’ombra del favor suo la nostra cit-
tà, e tutte a lei perdonare le offese. E quale ingiustizia
non sarebbe ella dunque il pretendere che si rispettasse
dagli altri la solennità della Pasqua, onde ottenere dagli
altri il perdono de' nostri falli-
,e non averla noi in con-
to alcuno, e trascuramela affatto, ove ci s'imponesse la
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220
riconciliazione col nostro prossimo? Kè v ha certamente
altri che le sacre adunanze di questi giorni contamini «al
par di colui che le celebra con un cuore che tuttavia
di niraistade ribocca: dico meglio, non può neppur ce-
lebrarle, quantunque per dieci giorni continui non pren-
desse alcun cibo;poiché là dove germoglino inimicizie
ed odii, non vi bau digiuni, non feste che giovino. Ose-
remmo, benché da molti e forti molivi provocati, ose-
remmo toccare le sacre offerte con mani che fosser lor-
de? non vi accostale coll'anima che sia lorda, perché il
delitto è assai più grave e meritevole eli più terribil
vendei Ita, non essendovi colpa che più adempia Pani-
ma d'immondezza dell'ira che ivi entro perpetuamente
si covi. E ritenete per certo che lo spirito di mansue-
tudine non si raccoglie ove le dissensioni o gli sdegni
hanno alimento. Ma, e qual poi rimane speranza di sa-
lute ad un uomo abbandonato dallo Spirito Santo?
Quando camminerà egli nella via della rettitudine? Guar-
datevi adunque, guardatevi, dilettissimi, di non ispo-
gliarvi del soccorso di Dio, e di non precipitare voi stessi
mentre cercate di vendicarvi de’vostri nemici. Comunque
poi fosse difficile l’ adempimento del divino precetto,
la grandezza della punizione che dal trasgredirnolo no
deriva é bastevole a destare chi ancora sconsiderato e
torpido si addormisse, ed eccitamelo ad intraprendere
ogni travaglio anche il più difficile a compiersij
a ciò
si aggiunge aver noi dimostrato che l'adempimento é
facilissimo allora che ci risolviam daddovero. Non tras-
curiamo adunque la nostra salvezza, ma cerchiaio di
adoprarci in tutte guise, onde assistere, riconciliali con
ciascuno del nostro prossimo, al sacro banchetto. Che
poi lutti i divini precetti sieno facili nello adempimen-
to, lo dimostrano, ove si consideri saggiamente, que' lutti
230
che con avventurosa costanza li hanno sempre adempiu-
ti. Quanti non erano trascinati dalla rea abitudine di
giurare per modo che De ritenevano quasi impossi-
bile la correzione? Pure, per l’iufinita misericordia di
Dio, non appena cominciaste ad usare alcuna diligenza,
che toglieste in gran parte cotesta colpa di mezzo a voi;
per cui vi esorto a deporre anche ogni residuo, benché
lievissimo, onde servire altrui di modello. Che se ve ne
sono di quelli che non hanno per anco profittalo di nul-
la, £ adducono a propria scusa i lunghi anni in che per
lo passalo fur soliti a giurare, ed aggiungono essere im-
possibile che in breve tempo si divelga ciò che da molto
gettò sue radici, e profonde; io risponderei loro, che
dove si traila di adempiere il bene che Dio ne comanda,
non abbiam d'uopo d1
intervalli di tempo, di giorni, di
anni; ma di un po’ di timore soltanto e di religione, e
tutto, c in breve otterremo.
E perchè non crediate che io dica ciò sconsigliata-
mente, datemi un uomo facilissimo a giurare, tale che,
secondo il vostro giudizio, proferisca più giuramenti che
parole; datemelo per dieci giorni; e se in cotesto bre-
vissimo spazio di tempo io non lo tolga alla sua malvagia
abitudine, condannatemi all’ultimo supplicio. I passati
avvenimenti appalesano come ne’ miei detti non si con-
tenga una inutile ostentazione. Qual mai gente più irra-
gionevole c pazza dei Niniviti? Eppure colesti uomini
feroci e brutali, che non avean prima udito alcun filoso-
fo, che non erano ammaestrali nella conoscenza della
legge, non sì tosto intesero le parole del Profeta: Tre
giorni ancora e Ninice sarà distrulla (i )
,* ch’entro i
tre giorni assegnati deposero le ree loro abitudini, e
(1) S. Giovanni III, 5.
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1
231
caslo divenne il dissoluto, mansueto il feroce, modesto
e benigno il frodolento e rapace, solerte F infingardo. Nè
la conversione fu di questo o di quel vizio, nè di tre,
nè di quattro;ma tutti, e di tutti i lor vizii si corresse-
ro. E d’ onde ciò si rileva? dalle parole del Profeta ;egli
che fattosi accusatore aveva esclamato, che le grida delle
loro iniquità erano salite fino al cielo, e che in appresso
ebbe a testificare il contrario, dicendo : Iddio vide che
ciascuno erosi ritirato dalle vie della propria deprava-
zione (i). Nè disse già partilamente delle fornicazioni,
degli adulterii, dei ladronecci;sibbene dalle vie della
propria depravazione. Ma in qual modo si ritirarono?
Nel modo cui Dio conosce,ma 1* uomo non può inve-
stigare. E non abbiani forse d’onde vergognarci, se dei
barbari valsero a depor fra tre giorni i lor vizii, mentre
noi che riceviam di continuo ammaestramenti e precetti
non possiam vincere neppur una delle tante nostre abi-
tudini malvagie? V’ha di più, che dessi avean tocco il
termine estremo delle colpe; poiché, quando udite che
le grida dell’ iniquità erano salite fino a Dio, dovete in-
tendere che le iniquità erano immense; e ciò nulla me-
no poterono nello spazio di tre giorni del tutto alla virtù
convertirsi: poiché ove trovasi il timore di Dio non c’è
d’ uopo di giorni, nè d’ intervallo di tempo, come per
lo contrario dove cotesto timor sia lontano, non v’è ri-
sorsa che nasca dal trascorrere dei giorni. E come av-
viene dei vasi rugginosi che, lavati colla pura acqua,
non purgano affatto della scoria,che li ricopre
,per
quanto tempo spendessimo loro attorno : mentre po-
sti nella fornace accesa diverrebbero io un istante più
lucidi di que’ medesimi che son nuovi: non altrimenti
(1) S. Giovanili I. 2.
232
lo spirito corrotto dal veleno della colpa, ove deterga
se stesso così alla leggiera ed imprenda per ciascun
giorno alcuna penitenza, non farà mai nulla di più:
che se invece si lancierà nella ioruace, per cosi espri-
mermi, del timore di Dio, in assai breve tempo ve-
drassi di tutte macchie purificato. Non portiam dun-
que uel dì futuro la nostra conversione, poiché non
sappiamo ciò che il dì futuro porterà seco, nè andiamo
dicendo che un po alla volta vinceremo l’abitudine malva-
gia, poiché ci rimarrà cotesto un po alla volta per sem-
pre. Quindi, lasciate tutte altre espressioni, d'uopo è che
diciamo: Se non correggeremo oggi il reo costume di
giurare, non ci correggeremo più mai: no, se anco mil-
le sventure ne sovvengano, mille supplicii ne minaccino,
no, se anco dovessimo perder tutto e morire. Non si
conceda dunque al demonio il potere sopra l’infingar-
daggine nostra, nè gli si lasci luogo a proroga che sia. Se
Dio vedrà che lo spirilo è acceso, e il vostro amore o-
peroso, aneli’ egli porrà mano alla vostra conversione. V i
prego pertanto e vi scongiuro di vegliare attentamente
sopra di voi, affinchè non abbiate auche voi ad udire:
Gli abitatori di Ninwe sorgeranno a condanna dì cote-
stageaerazione (i); mentre essi una sola volta avver-
tili si convertirono, e voi richiamati di spesso ricusaste;
essi abbracciarono ogni maniera di virtù, voi nè anco io
parie dietro alla scorta di lei vi attenete: tjssi temettero
l’annunzio della distruzione, voi non paventate le mi-
nacele dello inferno : essi non godevano il vantaggio de-
gli ammaestramenti profetici, e voi invece siete conti-
nuamente da molte dottrine e grazie fortificati. Di pre-
sente però io parlo in questa guisa non per accogiouar-
(t) S. Luca I. Sa.
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235
vi de" vostri, sibbcne per parlare degli altrui peccali:
poiché so ben ciò che tièssi da prima : esser voi divenu-
ti esecutori fedeli della legge contro a’ giuramenti pre-
scritta-,ma questi» solo non è per la vostra santificazio-
ne bastevole, quando cogli avvisi non cerchiamo di cor-
reggere gli altri*, mentre non iscampò dal supplieio nep-
pur quel desso che riportò il talento, ed ebbe a restitui-
re così tutta intera la somma affidatagli senza però aver-
nda di nulla accresciuta. Perlochè non dobbiamo solo
guardare di esser noi scevri di cotesta colpa, ma non
dobbiamo inoltre cessar di adoprarci, finché non la ab-
biamo corretta anche negli altri. Ciascuno prcscuti al
Signore dieci amici da se convertiti, sien essi o sudditi,
o discepoli. Ala se non avete nè sudditi, nè discepoli, a-
vrete almeno de pressimi : dunque correggete questi. Che
poi alcuno non abbia a dirmi: ho deposto quella conti-
nua abitudiuc di giurare, ed ora ciò non mi avvidi che
di rado : d’uopo è ch’egli ometta anche cotesto di rado.
Se aveste perduta una moneta d’oro, ditemi, non vi |M>r-
lereste quinci c quindi a cercamela, non chiodereste a
ciascuno per ritrovarla ? Fate adunque lo stesso nei giu-
ramenti; e se vi accorgete di esser caduti in un solo
anche per inavvertenza, scioglietevi in gemiti cd in pian-
ti, non altrimenti che se aveste perduto ogni vostro bene.
Ripeto ciò che dissi: chiudetevi nelle vostre domestiche
pareti: raccoglietevi a meditare questo inqtorlantissimo
argomento colla moglie, coi figli, co’ vostri fiunigliari, e
procuratene la pratica, e ciascuuo ragioni seco stesso
così: non attenderò ad interesse o pubblico o privalo
che sia, se prima non avrò purificato il mio spirilo. Se
in tal modo educherete i vostri figliuoli, od essi alia
propria volta educheranno i loro :questo costume con-
scrverassi fino ulla consumazione de secoli ed alla ve-
31
234
nula di (lesù Crislo, c sarà grande il premio di quelli
ch’ebbero il vanto di piantarne le prime radici. Se i
vostri figli avranno imparato a ripetere: Credete,non
polran no concorrere ne’ teatri, mostrarsi ne chiostri,
trattenersi nel giuoco’, poiché quella parola diverrà co-
me un freno nella lor bocca, o costrigneralli anche loro
malgrado al pudore ed alla verecondia : e se tal fiata
lascierannosi vedere in que’ luoghi, cercheranno alla
prima occasione di sottrarsi. Ma troveransi alcuni, che
derideranno coleste pratiche da voi adoprate: e voi in
ricambio compiangeteli. Molti furono i derisori di Noè,
quando edificava larca: ma venne il diluvio, ed ebbe
egli giusto motivo di deriderli : o per dir meglio l’uom
giusto non li derise giammai , sibbene diede per essi
in lagrime ed in lamenti. Allorché dunque li vedrete
ridere, ricordatevi che quelli che ora digrignano, pian-
geranno nel dì terribile del giudizio, saranno forzati a
stridere orrendamente, e nelle grida lamentevoli e nei
ruggiti si ricorderann’ essi del rider che fecero, e vi ri-
corderete per voi. Quanto quel ricco non derise Laz'-
ro? ma, poiché il vide nel seno di Abramo, non altro
fece che piangere miseramente sé stesso.
Ricordevoli pertanto di ciò tutto, eccitate ciascuno
de’ vostri prossimi al sollecito adempimento di questo
precetto. Nè vai che mi ripetiate: il làrem grado grado,
lo trasporteremo all’ indimane; poiché quell’ indimanu
non arriverà forse mai. Di già passarono quaranta gior-
ni, se passerem pur anco le sante feste pasquali non
concederò davvantaggio indulgenza alcuna, non farò pre-
cedere alcun monitorio, ma userò invece della forza del-
1 autorità, e di tutto il rigore. Il pretesto della consuetu-
dine è privo interamente di appoggio. Perchè il ladro
non mette I abitudine di mezzo e non si sottraggo alla