1 Indice Introduzione _____________________________________________________________________________________________2 Origine ed evoluzione del debito pubblico italiano _______________________________________________4 1. Dall’unificazione politica alla grande guerra________________________________________________________ 4 2. La prima guerra mondiale e crisi del dopoguerra__________________________________________________ 7 3. Periodo fascista e seconda guerra mondiale ________________________________________________________ 9 4. Gli anni della ricostruzione e della crescita _______________________________________________________ 13 5. La continua crescita del debito italiano dagli anni ‘60___________________________________________ 14 Sostenibilità del debito e nascita dell’unione monetaria_______________________________________ 18 Il debito italiano dal 1980 al 1996 _____________________________________________________________________ 18 La sostenibilità nel tempo: rapporto debito/PIL _______________________________________________________________18 Il no-Ponzi game _________________________________________________________________________________________________22 La dinamica del debito pubblico ________________________________________________________________________________24 Verso l’Euro _______________________________________________________________________________________________ 27 Trattato Maastricht______________________________________________________________________________________________27 Riforme e debito: l’adozione della moneta unica_______________________________________________________________31 L’Italia del 2000___________________________________________________________________________________________ 33 Crisi dei debiti sovrani e intervento BCE __________________________________________________________ 36 Crisi finanziaria 2008/09 _______________________________________________________________________________ 36 Crisi debito sovrano italiano____________________________________________________________________________ 39 Mario Draghi: Quantitative Easing_____________________________________________________________________ 43 Politiche monetarie non convenzionali_________________________________________________________________________43 Quantitative Easing fase 2 e 3___________________________________________________________________________________50 Confronto FED – BCE ____________________________________________________________________________________________53 Effetti manovra BCE _____________________________________________________________________________________________55 Bibliografia ____________________________________________________________________________________________ 59 Sitografia_______________________________________________________________________________________________ 60
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debito pubblico slides - unich.itpandimiglio/documenti/debito pubblico... · 2018-03-21 · Il debito pubblico italiano trova le sue origini al tempo dell’unificazione politica
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1961 52.327 0,9 2.229.916 39,0 3.548.447 60,1 5.900.590 24,3 Fonte: Fausto, Domenicantonio. Lineamenti dell’evoluzione del debito pubblico in Italia (1861 – 1961). (P. 79)
• È importante sottolineare che nonostante il boom del debito di quegli anni, esso non
rappresenta un cruccio per l’Italia. Il rapporto debito/PIL, infatti, è al 29%. Questo
risultato si ottiene grazie al notevole sviluppo economico che il Paese compie nel
dopoguerra.
5. La continua crescita del debito italiano dagli anni ‘60
• Fino agli anni ’60 il debito pubblico italiano è neutrale grazie allo sviluppo economico
che mantiene il rapporto del debito rispetto al PIL a livelli assolutamente bassi.
• Il ventennio che va dal 1960 agli anni ’80 è ricco di avvenimenti per quanto riguarda
l’economia e la finanza italiana ed internazionale: si avviano importanti riforme
strutturali, scoppiano due shock petroliferi ed, infine, il grande tema dell’inflazione
galoppante.
• La prima grande riforma strutturale del periodo preso in esame risale al 1969 quando
con la legge n. 153 si vara la riforma Brodolini sul sistema pensionistico. Tra le
maggiori novità introdotte dal riassetto del sistema del regime pensionistico vi sono: il
cambiamento definitivo dal sistema a capitalizzazione a quello a ripartizione;
l’introduzione del metodo retributivo; adeguamenti in base ai prezzi.
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• Questa riforma ha serie conseguenze sui conti pubblici poiché con la novità del metodo
retributivo la rata mensile della pensione diventa una “naturale” continuazione dello
stipendio ricevuto durante l’arco della vita lavorativa.
• Altro neo che appesantisce la spesa pubblica sono le cosiddette baby – pensioni: nel
settore pubblico si arriva a percepire l’assegno post-lavorativo già dopo solo qualche
anno di lavoro.
• L’altra grande riforma è quella del sistema tributario avvenuta tra il 1973 e il ’74. Tra
le novità sostanziali si ricordano l’introduzione dell’IVA (imposta sul valore aggiunto)
e l’IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche). L’IVA è entrata in vigore con il
D.p.r. n. 633 del 1972 ed è una imposta indiretta quindi grava sui consumi. L’IRPEF,
invece, è istituita con D.p.r. n. 597 del 1973.
• Un’ulteriore questione che destabilizza l’economia non solo italiana, ma anche quella
globale riguarda gli shock petroliferi. La prima crisi si ha nel 1973 con la quarta guerra
arabo-israeliana, passata alla storia sotto il nome di conflitto del Kippur. In quella
occasione i Paesi arabi decidono, attraverso un’adunanza dell’Organization of
Petroleum Exporting Countries (Opec), di tagliare la produzione del petrolio e
aumentarne il prezzo. Questa operazione ha il chiaro fine di lanciare un forte segnale
a tutti i paesi occidentali che affiancano Israele nella guerra. In brevissimo tempo, l’oro
nero schizza da un prezzo di 3 a 12 dollari al barile.
• A distanza di pochi anni, nel 1979, scoppia il secondo shock petrolifero. In questa caso,
l’incremento che porta il petrolio a costare 30 dollari al barile, è dovuto dal blocco
della produzione dell’Iran causata dall’ascesa al potere di fazioni religiose radicali.
L’enorme crescita del prezzo del petrolio ha grosse conseguenze sui bilanci dei paesi
importatori tra cui l’Italia.
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• Una delle conseguenze degli shock petroliferi è proprio l’innalzamento generale dei
prezzi e, dunque, l’inflazione. Come mostra la tabella 5, l’Italia soffre più di ogni altro
paese della crescita dei prezzi:
Tabella 5 – prezzi al consumo nei principali gruppi di paesi (variazione percentuale rispetto
anno precedente)
1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980
Paesi industriali 13,1 11,1 8,3 8,4 7,2 9,0 11,7
Stati Uniti 11,0 9,1 5,8 6,5 7,6 11,3 13,5
Canada 10,9 10,8 7,5 8,0 8,9 9,2 10,2
Giappone 24,4 11,8 9,3 8,0 3,8 3,6 8,0
Germania Federale 7,0 5,9 4,3 3,7 2,7 4,1 5,5
Francia 13,7 11,7 9,6 9,5 9,3 10,6 13,3
Regno Unito 16,0 24,2 16,5 15,5 8,3 13,5 17,9
Italia 19,1 17,0 16,7 17,0 12,1 14,8 21,2
CEE 13,1 13,4 11,0 11,0 7,6 10,4 14,3 Fonte: Ministero del Tesoro. Relazione del direttore generale alla Commissione parlamentare di Vigilanza. Il debito pubblico in Italia 1861 – 1987. Roma, 1988.
• La media dei prezzi al consumo italiani degli anni che vanno dal 1974 all’80, infatti,
supera del 7% quella dei paesi industrializzati e del 5,3% quella dei paesi appartenenti
alla CEE.
• Al fine di normalizzare la difficile situazione nel 1974 l’Italia ratifica con il Fondo
Monetario Internazionale (FMI) uno stand-by loan. Il prestito prevede uno sforzo da
parte dello Stato per diminuire il deficit della bilancia dei pagamenti.
• Dopo soli due anni, l’Italia ricorre ad un prestito forzoso. Nel ’77 l’Italia stringe un
nuovo accordo con il Fondo Monetario Internazionale per uno stand-by loan. Nel breve
periodo (tra il ’74 e il ’78) tutto ciò permette all’Italia di mantenere una certa crescita
in termini di PIL reale.
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• A seguito del secondo shock petrolifero, nel 1980, l’economia italiana registra un trend
particolarmente negativo per quanto riguarda l’inflazione come indica la tabella 5.
• Analizzando, infine, l’andamento del rapporto debito/PIL nel ventennio che abbraccia
gli anni ’60 e ’70 si registra una grande crescita dovuta all’esplosione del debito. Il
rapporto, dunque, passa dal 31% del 1960 al 56,08% del 1980.
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Sostenibilità del debito e nascita dell’unione monetaria
Il debito italiano dal 1980 al 1996
• È noto che, conclusa la fase di sviluppo del dopoguerra, il tema del debito ha assunto
sempre più rilevanza. Col passare del tempo, infatti, è arrivato a superare
costantemente il prodotto interno lordo.
• In aggiunta a questo, il fabbisogno ha oltrepassato, attorno agli anni ’80, la decima
parte del reddito nazionale. Il tema, dunque, della sostenibilità fiscale assume una
rilevanza fondamentale per qualsiasi Stato.
• Uno Stato deve essere in condizione di rispettare i propri obblighi in materia di debito.
Deve, allora, poter versare puntualmente gli interessi e rimborsare l’intera somma
ottenuta in prestito alle relative scadenze. Affinché tutto ciò sia possibile il rapporto
tra il debito e il prodotto interno lordo di una nazione deve essere costante.
La sostenibilità nel tempo: rapporto debito/PIL
Per introdurre la discussione sul rapporto del debito/PIL, si comincia dalla seguente identità:
[1]𝐺 + 𝑇𝑅) + 𝑖𝐵 − 𝑇 = 𝑆𝐴𝐿𝐷𝑂
in cui G sta per la spesa, TR’ per indicare che si è al netto degli interessi sul debito pubblico,
i rappresenta gli interessi sul debito pubblico, B è il debito preesistente ed infine, T sono le
entrate. Se il saldo risulta positivo, deve essere finanziato. Il finanziamento può avvenire in
due modi: emettendo titoli di Stato e, dunque, coprendo il saldo attraverso debito pubblico
oppure aumentando la base monetaria.
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L’equazione dinamica che descrive il debito pubblico è:
[2]𝐺(𝑡) + 𝑇𝑅)(𝑡) + 𝑖(𝑡)𝐵(𝑡) − 𝑇(𝑡) = �̇� in cui �̇� = 898:= ∆𝐵
Il fabbisogno primario, definito come il fabbisogno della pubblica amministrazione al netto
della spesa per interessi, si può esprimere così:
[3]𝐺(𝑡) + 𝑇𝑅)(𝑡) − 𝑇(𝑡) = 𝐹
Ora si vuole sostituire la [3] nella [2] e dividere tutto per il reddito (Y) così da ottenere il
rapporto debito/PIL:
[4] 𝐹𝑌+𝑖𝐵𝑌=�̇�𝑌
Definendo con lettere minuscole le rispettive variabili in rapporto al PIL (B/Y=b) si ottiene:
[4𝑎]𝑓 + 𝑖𝑏 =�̇�𝑌
Il termine �̇� = 8CDEF
8: è pari a:
�̇� =�̇�𝑌 − 𝐵�̇�
𝑌G=�̇�𝑌−𝐵𝑌∙�̇�𝑌=�̇�𝑌− 𝑏 ∙ 𝑔
Dove g è il tasso di crescita del PIL nominale. Pertanto
�̇�𝑌= �̇� + 𝑏 ∙ 𝑔
e la 4a può essere riscritta come:
[5]�̇� = 𝑓 + (𝑖 − 𝑔)𝑏
Inoltre, il tasso di crescita del PIL nominale e il tasso di interesse nominale possono essere
scomposti nella somma fra la loro variazione reale e il tasso di inflazione:
[6]L 𝑖 = 𝑟 + 𝜋𝑔 = 𝜌 + 𝜋
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dove r è il tasso di interesse reale, 𝜌 è il tasso di crescita reale del PIL e 𝜋 rappresenta
l’inflazione. Sostituendo la [6] nella [5] e semplificando i fattori si ottiene:
[7]�̇� = 𝑓 + (𝑟 − 𝜌)𝑏
Essendo la [7] una equazione differenziale di I ordine offre due soluzioni:
1. La prima soluzione è di lungo periodo e corrisponde alla soluzione in cui �̇� = 0:
[8]�̇� = 0 → 𝑏T =𝑓
𝜌 − 𝑟
2. La seconda soluzione, invece, è dinamica. È necessario risolvere un’equazione
omogenea.
�̇� = (𝑟 − 𝜌)𝑏
�̇�𝑏= (𝑟 − 𝜌)
U�̇�𝑏𝑑𝑡 = U(𝑟 − 𝜌) 𝑑𝑡
𝑙𝑛𝑏(𝑡) + 𝑐Z = (𝑟 − 𝜌)𝑡 + 𝑐G
𝑙𝑛𝑏(𝑡) = (𝑟 − 𝜌)𝑡 + 𝑐𝑐𝑜𝑛𝑐 = 𝑐G − 𝑐Z
𝑏(𝑡) = 𝑒(]^_): ∙ 𝑒`
𝑏(𝑡) = 𝐴 ∙ 𝑒(]^_):𝑐𝑜𝑛𝐴 = 𝑒`
Sommando le due soluzioni si giunge alla soluzione completa:
[9]𝑏(𝑡) = 𝐴 ∙ 𝑒(]^_): + 𝑏T
Per trovare il valore di A si può partire dal valore iniziale di b(t)= b(0):
𝑏(0) = 𝐴 + 𝑏T𝑝𝑒𝑟𝑐𝑢𝑖𝐴 = 𝑏(0) − 𝑏T
La soluzione completa sarà pertanto:
[9𝑎]𝑏(𝑡) = d𝑏(0) − 𝑏Te𝑒(]^_): + 𝑏T
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È interessante, poi, osservare cosa accade alla [9a] quando il tempo (t) tende all’infinito.
Esistono due casi:
1. 𝑟 > 𝜌 ⇒ 𝑏 ⟶ ∞
cioè quando il tasso di interesse reale è maggiore del tasso di crescita reale del PIL
allora il debito col passare del tempo cresce senza controllo. Il risultato è un debito
insostenibile.
Grafico 2 – Andamento del rapporto debito/PIL insostenibile
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2. 𝜌 > 𝑟 ⟹ 𝑏 = 𝑏T
cioè quando il tasso di crescita reale del PIL è maggiore al tasso di interesse reale allora
il debito col passare del tempo diminuisce tendendo a 𝑏T . Il risultato è un debito
sostenibile.
Grafico 3 – Andamento del rapporto debito/PIL sostenibile
Come ultima notazione si vuole sottolineare, rispetto alla [8], che se si è nell’impossibilità di
poter agire sul tasso reale di interesse (r) o sul tasso reale di crescita del reddito (𝜌), allora, si
deve necessariamente agire sul fabbisogno primario (f). Lo Stato deve, quindi, o diminuire la
spesa (G) oppure deve aumentare le tasse (T) e, dunque, le entrate.
Il no-Ponzi game
• Dopo aver analizzato i fattori che determinano la sostenibilità del debito pubblico di
un Paese nel lungo periodo, è interessante focalizzare l’attenzione su una particolare
condizione che è nota come no-Ponzi game.
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• Si ipotizzi che il tasso di interesse nominale (i) sia maggiore del tasso di crescita
nominale del PIL (g). Affinché si verifichi la condizione no-Ponzi game il debito
pubblico (B) deve crescere in maniera minore rispetto al tasso di interesse. In presenza
di questi eventi il debito se attualizzato, come mostra la [1], è pari a zero.
[1] lim:→op
𝐵:(1 + 𝑖):
= 0
• Ponendo l’attenzione sul rapporto debito/PIL, invece, il saggio di crescita dello stesso
rapporto deve essere inferiore rispetto a quello della differenza tra il tasso di interesse
e il tasso di crescita del reddito.
• Il no-Ponzi game per avere successo necessita la creazione di una serie positiva di
avanzi di bilancio che se attualizzata è in grado di coprire il debito di partenza:
•
[2]𝐵q = r−(𝐹s − ∆𝑀s)(1 + 𝑖)s
p
suZ
in cui F è il fabbisogno primario e ∆M è la variazione della base monetaria del tesoro.
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La dinamica del debito pubblico
• Al fine di giudicare l’andamento nel tempo del rapporto del debito sul PIL e analizzare
la sostenibilità del debito stesso, bisogna monitorare tre fattori: il fabbisogno primario
(f), il tasso di interesse reale (r) e il tasso reale di crescita del reddito nazionale (𝜌).
• Per comprendere meglio l’evoluzione del debito pubblico a partire dagli anni ’80, si
osservi la tabella 6:
Tabella 6 – Fattori caratteristici riguardo l’andamento del rapporto debito/PIL espressi in
percentuale
Anno r 𝜌 fRapporto
debito/PIL
1980 -7,91 4,26 9,72 58,95
1981 -5,70 0,58 11,60 61,09
1982 -3,35 0,23 14,07 66,40
1983 -2,24 0,95 14,33 71,99
1984 0,71 2,66 14,10 77,36
1985 2,31 2,55 14,70 84,26
1986 3,05 2,89 12,23 88,18
1987 3,68 3,13 11,60 92,53
1988 3,04 4,11 11,53 94,86
1989 3,91 2,92 11,19 98,04
1990 2,98 2,06 11,02 100,62
1991 3,11 1,13 11,42 104,19
1992 6,52 0,52 11,06 111,43
1993 6,42 -1,16 11,44 120,25
1994 5,42 2,11 10,20 124,79
1995 4,24 2,93 7,51 124,02
1996 4,58 1,15 6,16 123,94
Fonte: Marano, Angelo. Economia e Impresa, 8. La dinamica del debito pubblico. Un’analisi del caso italiano, 1980 –
1996. (pp. 23-24)
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• Analizzando i dati della tabella 7, il primo punto su cui bisogna soffermarsi è la
differenza tra i tassi di crescita reale del PIL e i tassi di interesse reale.
Si possono individuare tre diversi intervalli di tempo:
1. il primo che va dall’80 al ’84 in cui i tassi di interesse sono negativi o nulli, mentre
quelli di crescita, eccetto nel 1980, si trovano poco sopra lo zero;
2. il secondo che va dal 1985 al ’90 in cui r e 𝜌 vanno di pari passo;
3. il terzo periodo che comprende il quinquennio tra il ’91 e ’96 vede un enorme gap tra
tassi di interesse e quelli di crescita, con i primi che superano con costanza i secondi
con una consistenza tra il 2% e il 7%.
• Il secondo punto da rimarcare è l’andamento del fabbisogno rispetto al PIL (f). A
partire dagli anni ’80, f assume un rilievo sempre maggiore: raggiunge prima la decima
parte del reddito, poi aumenta fino a toccare percentuali altissime attorno al 15%. Tra
l’87 e il ’93 si stabilizza su quota 11% per poi iniziare a calare.
• Il terzo elemento da considerare è la crescita del rapporto debito su PIL. Con il passare
degli anni il rapporto cresce vertiginosamente.
• Gli anni ’80 si aprono con una percentuale non preoccupante, in quanto il livello del
debito è di appena il 58% rispetto al PIL. Dopo solo un decennio, il debito eguaglia il
reddito per poi sorpassarlo negli anni ’90. A metà del decennio che precederà l’avvento
del nuovo millennio, il rapporto debito/PIL supera quota 120%.
• In questo frangente i tassi non sembrano determina la grande crescita che si ha nel
rapporto tra il debito e il PIL.
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• Ciò che realmente spinge questo tasso a crescere consistentemente è il fabbisogno
primario, che attestandosi su percentuali superiori al 10% diventa un grave per il
debito. Appena f comincia a calare nel 1994 anche il rapporto debito/PIL che fino a
quell’anno era lievitato senza mai fermarsi, inverte il trend.
• Infine, dal punto di vista della storia economica e finanziaria dell’Italia emergono in
particolare tre eventi in questo quindicennio:
1. l’introduzione nel 1979 del sistema monetario europeo (SME) per i paesi della
Comunità Europea (esclusa la Gran Bretagna in un primo momento);
2. il cosiddetto “divorzio” nel 1981 tra Banca d’Italia e il Ministero del Tesoro;
3. la ratifica del Trattato di Maastricht agli inizi degli anni ’90.
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Verso l’Euro
• In questa sezione si analizza cosa abbia significato per i Paesi europei, ed in particolare
per l’Italia, la ratifica del Trattato di Maastricht. Questo Patto rappresenta l’evento più
importante per l’Europa e, dunque, anche per l’Italia.
• Risulta fondamentale, non solo, perché si va verso l’adozione di una moneta unica, ma
anche perché si cerca di introdurre dei vincoli per aumentare la stabilità e la solidità
dei conti pubblici dei vari Stati.
Trattato Maastricht
• Il Trattato di Maastricht è stato firmato nell’omonima città olandese nel 1992, per poi
entrare in vigore nel 1993. Questo Trattato rappresenta un passaggio fondamentale per
la storia dell’Unione Europea poiché porterà gli stati membri ad adottare una sola
moneta: l’euro. Il documento ratificato prevede una serie di vincoli da rispettare per i
Paesi che formeranno l’area monetaria:
• Saggi di interesse nominali;
• Saggio di inflazione;
• Equilibrio nel cambio;
• Rapporto debito su PIL;
• Rapporto deficit su PIL.
• I cosiddetti parametri di Maastricht possono essere raggruppati in due macro categorie:
i primi tre sono di natura monetaria, mentre gli ultimi due sono di natura fiscale.
1. La macro categoria di natura monetaria prevede in ambito di tassi di interesse nominali
che sia fatta la media dei tre paesi che hanno i prezzi più bassi, e che ad essa sia
concessa una estensione massima di 200 punti base.
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2. Per ciò che concerne il saggio di inflazione, ancora una volta, si considera la media dei
tre paesi che hanno conseguito i migliori risultati, e che essa non sia superata del 1,5%.
3. Per equilibrio nel cambio, infine, si vuole che i Paesi rispettino per due anni le
condizioni di massima fluttuazione previste dallo SME.
• La macro categoria di natura fiscale, invece, stabilisce che, per i Paesi appartenenti
all’area euro, il rapporto debito su PIL e quello deficit su PIL non superino
rispettivamente il 60% e il 3%.
• Il primo indicatore mira a evidenziare la sostenibilità nel lungo periodo del debito di
un paese, mentre il secondo vuole rilevare la buona gestione. Emerge dal Trattato,
inoltre, la possibilità da parte degli Stati di poter sforare il rapporto deficit su PIL in
casi straordinari e per un limitato periodo di tempo.
• Tornando al valore scelto per il rapporto debito su PIL, non è altro che una media dei
vari debiti sovrani che gravano sugli Stati che prendono parte alla stesura del Trattato
di Maastricht.
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• Per avere una visione complessiva della situazione economica e finanziaria si osservi
la tabella 7 che offre gli indici di alcuni dei 15 Paesi dell’Unione Europea nel 1994:
Tabella 7 – Indici in percentuale di una parte dei Paesi UE
Inflazione Tassi di interesse Deficit/PIL Debito/PIL
Austria 3,6 6,4 -2,3 58,5
Finlandia 2,2 7,8 -5,5 58,0
Francia 1,8 6,9 -5,9 57,2
Germania 3,0 6,4 -2,9 57,2
Grecia 10,2 - -13,8 109,5
Italia 3,9 8,7 -9,7 118,3
Spagna 4,8 8,3 -7,1 64,2
Regno Unito 3,5 7,5 -9,1 92,9
Parametri 3,5 8,77 3,0 60,0 Fonte: Schilirò, Daniele. I criteri del Trattato di Maastricht, l’Europa e l’euro: debito pubblico in Italia e crescita. 2002.
• Dalla tabella 7 emerge che per quanto riguarda il tasso di inflazione, tra i Paesi
considerati, risultano fuori dal parametro di riferimento l’Austria, la Grecia, l’Italia e
la Spagna.
• Entrando nello specifico, solo la Grecia presenta una pesante distorsione nell’indice
dei prezzi con un valore quasi tre volte tanto sopra il massimo consentito.
• Passando poi al tasso di interesse, tutti gli Stati considerati rientrano nel parametro
stabilito a Maastricht.
• Sul versante del rapporto deficit su PIL, anche in questo caso, i Paesi rispettano il
limite del 3%. Grave ritardo, invece, si registra nel rispetto del rapporto debito su PIL,
in particolare per l’Italia e la Grecia.
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• Tornando al Trattato di Maastricht, in esso sono contenute altre regole che vanno oltre
i parametri precedentemente analizzati. Alcune di esse sono le linee guida che
porteranno alla nascita della Banca Centrale Europea (BCE). Sono, inoltre, presenti
sistemi per controllare il rispetto degli impegni presi dagli Stati ed infine, vi è la no
bail-out clause.
• Quest’ultima fa si che nel momento in cui uno degli Stati entra in difficoltà economico
– finanziarie non possa essere aiutato. La ratio è quella di non trascinare in una
recessione l’intera Unione.
• Qualche anno dopo il Trattato di Maastricht, il Consiglio europeo si riunisce nella
capitale olandese per riaffermare e rafforzare i principi di stabilità e rigore già sanciti
nell’accordo del 1992-93. Col Trattato di Amsterdam, nel 1997, porta alla luce il Patto
di Stabilità e Crescita.
• In esso viene introdotto la Procedura per Disavanzi Eccessivi (PDE): un processo
articolato in più fasi che culmina in una pena inflitta allo Stato che non è virtuoso nei
conti pubblici.
• Nel 1998 undici Paesi tra cui l’Italia entrano ufficialmente a far parte dell’area euro.
Solo questi, infatti, hanno i requisiti minimi per adottare la nuova valuta. È così che
nel gennaio del 1999 si compie il primo passo verso quella che sarà una grande unione
monetaria.
• Sempre in quell’anno acquisisce piena operatività la BCE: l’istituto con sede a
Francoforte sul Meno è investito del compito di attuare la politica monetaria. Il primo
governatore della Banca è l’olandese Wim Duisenberg.
• Ciò che emerge, infine, dall’analisi del Trattato di Maastricht e di quello di Amsterdam
è che l’Europa è dotata di una solida e indipendente istituzione quale è la BCE, ma
soffre di un decentramento dei poteri a livello economico e finanziario.
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• Gli Stati sovrani mantengono, dunque, la supremazia nelle decisioni di carattere
fiscale. Tutto ciò si traduce in una frammentazione del potere e un conseguente
indebolimento della stessa Unione Europea. Il capitolo III tratterà ampiamente le
fragilità del sistema Europa rispetto alle crisi economiche.
Riforme e debito: l’adozione della moneta unica
• Il passo più consistente compiuto dall’Italia e da altri Paesi europei verso la moneta
unica, come già ricordato, avviene tra il 1992-93 con la ratifica del Trattato di
Maastricht.
• È in questo quadro che l’Italia comincia a compiere una serie di riforme e
provvedimenti mirati al raggiungimento dei criteri stabiliti nel suddetto Patto.
• Il Paese, infatti, è chiamato ad ammodernarsi e rendere i suoi apparati amministrativi
più efficienti al fine di migliorare i propri conti pubblici.
• Il Presidente Carlo Azeglio Ciampi dal 1993 si muove proprio in maniera da rafforzare
il bilancio statale e l’intero sistema economico. Attraverso un patto tra le parti sociale
che prevede la limitazione della crescita dei salari, ad esempio, riesce a frenare il
continuo lievitare dei costi.
• Dopo qualche anno, il risultato è evidente: l’inflazione italiana si attesta all’1,5%, uno
tra i valori migliori tra tutti i Paesi europei. L’esecutivo Ciampi, inoltre, riesce a
incrementare il prodotto interno lordo del Paese, aiutandolo così a centrare gli obiettivi
di bilancio per entrare nell’area Euro.
• Il successore di Ciampi è Lamberto Dini che cerca di proseguire nella “cura” del
sistema economico e finanziario italiano. Nel 1995 vara, infatti, un’importante
riorganizzazione in ambito pensionistico per consolidare il rapporto tra il debito e il
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PIL. Un altro punto chiave dell’era Dini è la crescita enorme delle entrate tributarie. Il
peso fiscale italiano attorno al 43%, a quell’epoca, è tra i più severi di tutta Europa.
Queste manovre economiche si sono rese necessarie per allineare il deficit e il debito
italiano a quelli dei Paesi più virtuosi.
• Archiviata l’esperienza Dini, è la volta di Romano Prodi. Tra il 1996 e il 1998 vengono
promosse politiche di bilancio asprissime che fanno diminuire ancora il rapporto
debito/PIL e il fabbisogno della pubblica amministrazione in maniera da consentire
all’Italia di poter adottare l’euro. Prodi si è incaricato, inoltre, di risanare la
disoccupazione che supera ampiamente l’11%. Particolarmente drammatica è la
situazione occupazionale dei giovani.
• L’insieme delle novità apportate in questo settore passano alla storia come “pacchetto
Treu” dal nome del suo ideatore il Ministro del Lavoro Tiziano Treu.
L’evoluzione del bilancio italiano nell’ultimo decennio del XX secolo può essere riassunta
con la tabella 8:
Tabella 8 – Bilancio pubblico italiano (espresso in percentuale rispetto al PIL)
Debito 118,2 124,3 123,8 122,7 120,2 116,4 114,6 110,5 Fonte: Schilirò, Daniele. I criteri del Trattato di Maastricht, l’Europa e l’euro: debito pubblico in Italia e crescita. 2002.
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• Come si può notare grazie agli interventi dei governi Ciampi, Dini e Prodi i maggiori
indicatori presenti nella tabella 8 mostrano un trend positivo.
• La spesa pubblica si riduce di oltre il 10%, la spesa per interessi si dimezza,
l’indebitamento netto cala da oltre il 10% all’1,5% e anche il fabbisogno complessivo
dall’11% del 1993 arriva a poco più del 2%.
• Per ciò che concerne il saldo primario, si nota che assume costantemente valori
negativi.
• Il rapporto debito su PIL dopo aver toccato il picco di 124,3% nel 1994 si riduce fino
al 110,5% del 2000.
• Ciò che ha inciso maggiormente in questa riduzione del rapporto debito/PIL è
senz’altro sia la riduzione del tasso di interesse che ha come conseguenza un minor
onere in termini di uscite per lo Stato sia la crescita del prodotto interno lordo che
trovandosi al denominatore aiuta a ridurre il rapporto.
L’Italia del 2000
• I primi anni del nuovo Millennio si aprono con grandi speranze: la recente adozione
della moneta unica è sinonimo di stabilità e, dunque, fiducia da parte dei cittadini e dei
mercati. In Itala dopo il governo Prodi, il vincitore delle elezioni politiche del 2001 è
Silvio Berlusconi.
• Il nuovo premier eredita, dal punto di vista dei conti pubblici, una situazione di
generale miglioramento rispetto al decennio precedente. Questo è sicuramente dovuto
alle varie riforme e alle politiche intraprese dai governi precedenti per centrare gli
obiettivi richiesti da Maastricht.
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• Il governo Berlusconi rimane in carica per circa 4 anni. A capo del Ministero di
Economia e Finanza c’è Giulio Tremonti. La linea economica che guida il governo è
quella della riduzione fiscale. Il nuovo esecutivo vuole invertire la rotta in merito alla
continua crescita delle tasse che aveva dominato l’ultimo decennio del XX secolo ed
era stata necessaria per stabilizzare deficit e debito. Come si apprende, infatti, dalla
tabella 9 la pressione fiscale scende dal 40,1% del 2001 al 39,1% del 2005. Altre
manovre importanti che vengono attuate sono: la riforma fiscale, l’innalzamento della
soglia minima mensile per le pensioni e la resa più flessibile del mercato del lavoro.
• Nelle elezioni del 2006 la guida dell’Italia viene affidata nuovamente a Romano Prodi.
A capo del Ministero di Economia e Finanza viene nominato Tommaso Padoa
Schioppa. L’ex vice direttore di Banca d’Italia, considerato come un tecnico e dunque
apartitico, nel 2007 si trova nelle condizioni di dover varare una importante legge
finanziaria. L’intento di Padoa Schioppa è quello di far accelerare l’economia italiana.
Nel 2008 dopo che il Senato toglie la fiducia al governo Prodi, il Premier si dimette.
• Nel complesso, osservando la tabella 9, si evince che il debito pubblico rispetto al PIL,
ad eccezione dell’anno 2001, si mantiene poco al di sopra del 100%. Il saldo primario,
invece, che è la differenza tra le entrate e le uscite dello Stato oscilla tra valori che
vanno circa dallo 0,5% al 3,0%. Si nota, successivamente, che la pressione fiscale cala
di un punto percentuale durante il governo Berlusconi, per poi risalire oltre il 41%. Il
PIL, infine, appare quasi sempre in crescita tranne nell’anno 2003 in cui è
sostanzialmente fermo e nel 2008 che registra un segno negativo per via dello scoppio
della crisi mondiale finanziaria.
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Tabella 9 – Debito, saldo primario e pressione fiscale (espressi in percentuale PIL)