1 Indice Introduzione ____________________________________________________________________ 2 1. Origine ed evoluzione del debito pubblico italiano ____________________________________ 4 1.1 Dall’unificazione politica alla grande guerra __________________________________________ 4 1.2 La prima guerra mondiale e crisi del dopoguerra ______________________________________ 6 1.3 Periodo fascista e seconda guerra mondiale ___________________________________________ 7 1.4 Gli anni della ricostruzione e della crescita___________________________________________ 10 1.5 La continua crescita del debito italiano dagli anni ‘60__________________________________ 11 2. Sostenibilità del debito e nascita dell’unione monetaria ______________________________ 14 2.1 Il debito italiano dal 1980 al 1996___________________________________________________ 14 2.1.1 La sostenibilità nel tempo: rapporto debito/PIL______________________________________________ 15 2.1.2 Il no-Ponzi game _____________________________________________________________________ 18 2.1.3 La dinamica del debito pubblico _________________________________________________________ 19 2.2 Verso l’Euro ____________________________________________________________________ 20 2.2.1 Trattato Maastricht____________________________________________________________________ 21 2.2.2 Riforme e debito: l’adozione della moneta unica_____________________________________________ 23 2.3 L’Italia del 2000 _________________________________________________________________ 24 3. Crisi dei debiti sovrani e intervento BCE __________________________________________ 26 3.1 Crisi finanziaria 2008/09 __________________________________________________________ 26 3.2 Crisi debito sovrano italiano_______________________________________________________ 28 3.3 Mario Draghi: Quantitative Easing _________________________________________________ 30 3.3.1 Politiche monetarie non convenzionali ed il “Bazooka” _______________________________________ 31 3.3.2 Quantitative Easing fase 2 e 3 ___________________________________________________________ 35 3.3.3 Confronto FED – BCE_________________________________________________________________ 37 3.3.4 Effetti manovra BCE __________________________________________________________________ 38 Conclusioni ____________________________________________________________________ 41 Bibliografia ____________________________________________________________________ 43 Sitografia _____________________________________________________________________ 44
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Indicepandimiglio/documenti/debito pubblico.pdf4 1. Origine ed evoluzione del debito pubblico italiano In questo primo capitolo si vogliono ricercare le origini del debito pubblico
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1. Origine ed evoluzione del debito pubblico italiano ____________________________________ 4 1.1 Dall’unificazione politica alla grande guerra __________________________________________ 4 1.2 La prima guerra mondiale e crisi del dopoguerra ______________________________________ 6 1.3 Periodo fascista e seconda guerra mondiale ___________________________________________ 7 1.4 Gli anni della ricostruzione e della crescita ___________________________________________ 10 1.5 La continua crescita del debito italiano dagli anni ‘60 __________________________________ 11
2. Sostenibilità del debito e nascita dell’unione monetaria ______________________________ 14 2.1 Il debito italiano dal 1980 al 1996___________________________________________________ 14
2.1.1 La sostenibilità nel tempo: rapporto debito/PIL ______________________________________________ 15 2.1.2 Il no-Ponzi game _____________________________________________________________________ 18 2.1.3 La dinamica del debito pubblico _________________________________________________________ 19
2.2 Verso l’Euro ____________________________________________________________________ 20 2.2.1 Trattato Maastricht ____________________________________________________________________ 21 2.2.2 Riforme e debito: l’adozione della moneta unica_____________________________________________ 23
2.3 L’Italia del 2000 _________________________________________________________________ 24 3. Crisi dei debiti sovrani e intervento BCE __________________________________________ 26
3.1 Crisi finanziaria 2008/09 __________________________________________________________ 26 3.2 Crisi debito sovrano italiano _______________________________________________________ 28 3.3 Mario Draghi: Quantitative Easing _________________________________________________ 30
3.3.1 Politiche monetarie non convenzionali ed il “Bazooka” _______________________________________ 31 3.3.2 Quantitative Easing fase 2 e 3 ___________________________________________________________ 35 3.3.3 Confronto FED – BCE _________________________________________________________________ 37 3.3.4 Effetti manovra BCE __________________________________________________________________ 38
1961 52.327 0,9 2.229.916 39,0 3.548.447 60,1 5.900.590 24,3 Fonte: Fausto, Domenicantonio. Lineamenti dell’evoluzione del debito pubblico in Italia (1861 – 1961). (P. 79)
Infine, è importante sottolineare che nonostante il boom del debito di quegli anni, esso non
rappresenta un cruccio per l’Italia. Il rapporto debito/PIL, infatti, è al 29%. Questo risultato si ottiene
grazie al notevole sviluppo economico che il Paese compie nel dopoguerra.
1.5 La continua crescita del debito italiano dagli anni ‘60
Fino agli anni ’60, dunque, il debito pubblico italiano è neutrale grazie allo sviluppo economico che
mantiene il rapporto del debito rispetto al PIL a livelli assolutamente bassi. Il ventennio che va dal
1960 agli anni ’80 è ricco di avvenimenti per quanto riguarda l’economia e la finanza italiana ed
internazionale: si avviano importanti riforme strutturali, scoppiano due shock petroliferi ed, infine, il
grande tema dell’inflazione galoppante.
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La prima grande riforma strutturale del periodo preso in esame risale al 1969 quando con la legge n.
153 si vara la riforma Brodolini sul sistema pensionistico. Tra le maggiori novità introdotte dal
riassetto del sistema del regime pensionistico vi sono: il cambiamento definitivo dal sistema a
capitalizzazione a quello a ripartizione; l’introduzione del metodo retributivo; adeguamenti in base
ai prezzi e così via. Questa riforma ha serie conseguenze sui conti pubblici poiché con la novità del
metodo retributivo la rata mensile della pensione diventa una “naturale” continuazione dello stipendio
ricevuto durante l’arco della vita lavorativa. Altro neo che appesantisce la spesa pubblica sono le
cosiddette baby – pensioni: nel settore pubblico si arriva a percepire l’assegno post-lavorativo già
dopo solo qualche anno di lavoro.
L’altra grande riforma è quella del sistema tributario avvenuta tra il 1973 e il ’74. Tra le novità
sostanziali si ricordano l’introduzione dell’IVA (imposta sul valore aggiunto) e l’IRPEF (imposta sul
reddito delle persone fisiche). L’IVA è entrata in vigore con il D.p.r. n. 633 del 1972 ed è una imposta
indiretta quindi grava sui consumi. L’IRPEF, invece, è istituita con D.p.r. n. 597 del 1973.
Un’ulteriore questione che destabilizza l’economia non solo italiana, ma anche quella globale
riguarda gli shock petroliferi. La prima crisi si ha nel 1973 con la quarta guerra arabo-israeliana,
passata alla storia sotto il nome di conflitto del Kippur. In quella occasione i Paesi arabi decidono,
attraverso un’adunanza dell’Organization of Petroleum Exporting Countries (Opec), di tagliare la
produzione del petrolio e aumentarne il prezzo. Questa operazione ha il chiaro fine di lanciare un
forte segnale a tutti i paesi occidentali che affiancano Israele nella guerra. In brevissimo tempo, l’oro
nero schizza da un prezzo di 3 a 12 dollari al barile. A distanza di pochi anni, nel 1979, scoppia il
secondo shock petrolifero. In questa caso, l’incremento che porta il petrolio a costare 30 dollari al
barile, è dovuto dal blocco della produzione dell’Iran causata dall’ascesa al potere di fazioni religiose
radicali. L’enorme crescita del prezzo del petrolio ha grosse conseguenze sui bilanci dei paesi
importatori tra cui l’Italia.
Una delle conseguenze degli shock petroliferi è proprio l’innalzamento generale dei prezzi e, dunque,
l’inflazione. Come mostra la tabella 5, l’Italia soffre più di ogni altro paese della crescita dei prezzi:
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Tabella 5 – prezzi al consumo nei principali gruppi di paesi (variazione percentuale rispetto
anno precedente)
1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980
Paesi industriali 13,1 11,1 8,3 8,4 7,2 9,0 11,7
Stati Uniti 11,0 9,1 5,8 6,5 7,6 11,3 13,5
Canada 10,9 10,8 7,5 8,0 8,9 9,2 10,2
Giappone 24,4 11,8 9,3 8,0 3,8 3,6 8,0
Germania Federale 7,0 5,9 4,3 3,7 2,7 4,1 5,5
Francia 13,7 11,7 9,6 9,5 9,3 10,6 13,3
Regno Unito 16,0 24,2 16,5 15,5 8,3 13,5 17,9
Italia 19,1 17,0 16,7 17,0 12,1 14,8 21,2
CEE 13,1 13,4 11,0 11,0 7,6 10,4 14,3 Fonte: Ministero del Tesoro. Relazione del direttore generale alla Commissione parlamentare di Vigilanza. Il debito pubblico in Italia 1861 – 1987. Roma, 1988.
La media dei prezzi al consumo italiani degli anni che vanno dal 1974 all’80, infatti, supera del 7%
quella dei paesi industrializzati e del 5,3% quella dei paesi appartenenti alla CEE. Al fine di
normalizzare la difficile situazione nel 1974 l’Italia ratifica con il Fondo Monetario Internazionale
(FMI) uno stand-by loan. Il prestito prevede uno sforzo da parte dello Stato per diminuire il deficit
della bilancia dei pagamenti. Dopo soli due anni, l’Italia ricorre ad un prestito forzoso. Nel ’77 l’Italia
stringe un nuovo accordo con il Fondo Monetario Internazionale per uno stand-by loan. Nel breve
periodo (tra il ’74 e il ’78) tutto ciò permette all’Italia di mantenere una certa crescita in termini di
PIL reale. A seguito del secondo shock petrolifero, nel 1980, l’economia italiana registra un trend
particolarmente negativo per quanto riguarda l’inflazione come indica la tabella 5.
Analizzando, infine, l’andamento del rapporto debito/PIL nel ventennio che abbraccia gli anni ’60 e
’70 si registra una grande crescita dovuta all’esplosione del debito. Il rapporto, dunque, passa dal
31% del 1960 al 56,08% del 1980.
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2. Sostenibilità del debito e nascita dell’unione monetaria
Nel secondo capitolo si continuerà ad analizzare l’andamento del debito pubblico, ma si focalizzerà
l’attenzione sulla sua sostenibilità nel medio – lungo termine. Si studieranno, poi, gli impatti che
hanno sul debito sovrano italiano la creazione dell’Unione Europea Monetaria e l’adozione della
moneta unica: l’euro.
Nella prima parte del capitolo verrà introdotta l’identità che descrive il rapporto debito su PIL e,
dunque, si comincerà a discutere in merito alla sostenibilità delle passività dello Stato. Saranno,
inoltre, evidenziate le condizioni per cui un debito può essere considerato sostenibile nel tempo e si
porterà all’attenzione un caso particolare: il no-Ponzi game. Nella seconda parte, invece, verrà
ampiamente discusso il Trattato di Maastricht e le conseguenze dei parametri concordati nel Patto.
Nella terza parte, infine, si ripercorreranno i primi anni del III millennio, e dunque, i primi tempi in
cui l’Italia ha adottato la moneta unica.
2.1 Il debito italiano dal 1980 al 1996
È noto che, conclusa la fase di sviluppo del dopoguerra, il tema del debito ha assunto sempre più
rilevanza. Col passare del tempo, infatti, è arrivato a superare costantemente il prodotto interno lordo.
In aggiunta a questo, il fabbisogno ha oltrepassato, attorno agli anni ’80, la decima parte del reddito
nazionale. Il tema, dunque, della sostenibilità fiscale assume una rilevanza fondamentale per qualsiasi
Stato. Uno Stato deve essere in condizione di rispettare i propri obblighi in materia di debito. Deve,
allora, poter versare puntualmente gli interessi e rimborsare l’intera somma ottenuta in prestito alle
relative scadenze. Affinché tutto ciò sia possibile il rapporto tra il debito e il prodotto interno lordo
di una nazione deve essere costante. Il reddito di una nazione, infine, deve crescere alla stessa velocità
con cui cresce il debito.
Nella prima parte di questa sezione verrà analizzata la formula che delinea la dinamica del rapporto
debito/PIL. In particolare, si cercheranno le condizioni necessarie per ottenere sostenibilità nella
gestione del debito pubblico. Inoltre, verrà sottolineata l’importanza che assume il fabbisogno della
pubblica amministrazione sulla tenuta dei conti statali.
Nella seconda parte si condurrà un esame per quanto riguarda le condizioni che rendono possibile il
no-Ponzi game.
Nella terza parte, invece, attraverso i risultati ottenuti dall’analisi condotta in principio, si vuole
approfondire il contesto della finanza pubblica italiana dal 1980 al ’96 ponendo l’accento sulla
dinamica del debito.
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2.1.1 La sostenibilità nel tempo: rapporto debito/PIL
Per introdurre la discussione sul rapporto del debito/PIL, si comincia dalla seguente identità:
[1]𝐺 + 𝑇𝑅) + 𝑖𝐵 − 𝑇 = 𝑆𝐴𝐿𝐷𝑂
in cui G sta per la spesa, TR’ per indicare che si è al netto degli interessi sul debito pubblico, i
rappresenta gli interessi sul debito pubblico, B è il debito preesistente ed infine, T sono le entrate. Se
il saldo risulta positivo, deve essere finanziato. Il finanziamento può avvenire in due modi: emettendo
titoli di Stato e, dunque, coprendo il saldo attraverso debito pubblico oppure aumentando la base
monetaria.
L’equazione dinamica che descrive il debito pubblico è:
[2]𝐺(𝑡) + 𝑇𝑅)(𝑡) + 𝑖(𝑡)𝐵(𝑡) − 𝑇(𝑡) = �̇� in cui �̇� = 898:= ∆𝐵
Il fabbisogno primario, definito come il fabbisogno della pubblica amministrazione al netto della
spesa per interessi, si può esprimere così:
[3]𝐺(𝑡) + 𝑇𝑅)(𝑡) − 𝑇(𝑡) = 𝐹
Ora si vuole sostituire la [3] nella [2] e dividere tutto per il reddito (Y) così da ottenere il rapporto
debito/PIL:
[4]𝐹𝑌 +
𝑖𝐵𝑌 =
�̇�𝑌
Definendo con lettere minuscole le rispettive variabili in rapporto al PIL (B/Y = b) si ottiene:
[4𝑎]𝑓 + 𝑖𝑏 =�̇�𝑌
Il termine �̇� = 8CDEF
8: è pari a:
�̇� =�̇�𝑌 − 𝐵�̇�
𝑌G =�̇�𝑌 −
𝐵𝑌 ∙
�̇�𝑌 =
�̇�𝑌 − 𝑏 ∙ 𝑔
Dove g è il tasso di crescita del PIL nominale. Pertanto
�̇�𝑌 = �̇� + 𝑏 ∙ 𝑔
e la 4a può essere riscritta come:
[5]�̇� = 𝑓 + (𝑖 − 𝑔)𝑏
Inoltre, il tasso di crescita del PIL nominale e il tasso di interesse nominale possono essere scomposti
nella somma fra la loro variazione reale e il tasso di inflazione:
[6]L 𝑖 = 𝑟 + 𝜋𝑔 = 𝜌 + 𝜋
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dove r è il tasso di interesse reale, 𝜌 è il tasso di crescita reale del PIL e 𝜋 rappresenta l’inflazione.
Sostituendo la [6] nella [5] e semplificando i fattori si ottiene:
[7]�̇� = 𝑓 + (𝑟 − 𝜌)𝑏
Essendo la [7] una equazione differenziale di I ordine offre due soluzioni:
1. La prima soluzione è di lungo periodo e corrisponde alla soluzione in cui �̇� = 0:
[8]�̇� = 0 → 𝑏T =𝑓
𝜌 − 𝑟
2. La seconda soluzione, invece, è dinamica. È necessario risolvere un’equazione omogenea.
�̇� = (𝑟 − 𝜌)𝑏
�̇�𝑏 =
(𝑟 − 𝜌)
U�̇�𝑏 𝑑𝑡 =
U(𝑟 − 𝜌) 𝑑𝑡
𝑙𝑛𝑏(𝑡) + 𝑐Z = (𝑟 − 𝜌)𝑡 + 𝑐G
𝑙𝑛𝑏(𝑡) = (𝑟 − 𝜌)𝑡 + 𝑐𝑐𝑜𝑛𝑐 = 𝑐G − 𝑐Z
𝑏(𝑡) = 𝑒(]^_): ∙ 𝑒`
𝑏(𝑡) = 𝐴 ∙ 𝑒(]^_):𝑐𝑜𝑛𝐴 = 𝑒`
Sommando le due soluzioni si giunge alla soluzione completa:
[9]𝑏(𝑡) = 𝐴 ∙ 𝑒(]^_): + 𝑏T
Per trovare il valore di A si può partire dal valore iniziale di b(t)= b(0):
𝑏(0) = 𝐴 + 𝑏T𝑝𝑒𝑟𝑐𝑢𝑖𝐴 = 𝑏(0) − 𝑏T
La soluzione completa sarà pertanto:
[9𝑎]𝑏(𝑡) = d𝑏(0) − 𝑏Te𝑒(]^_): + 𝑏T
È interessante, poi, osservare cosa accade alla [9a] quando il tempo (t) tende all’infinito. Esistono due
casi:
1. 𝑟 > 𝜌 ⇒ 𝑏 ⟶ ∞
cioè quando il tasso di interesse reale è maggiore del tasso di crescita reale del PIL allora il
debito col passare del tempo cresce senza controllo. Il risultato è un debito insostenibile.
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Grafico 2 – Andamento del rapporto debito/PIL insostenibile
2. 𝜌 > 𝑟 ⟹ 𝑏 = 𝑏T
cioè quando il tasso di crescita reale del PIL è maggiore al tasso di interesse reale allora il
debito col passare del tempo diminuisce tendendo a 𝑏T. Il risultato è un debito sostenibile.
Grafico 3 – Andamento del rapporto debito/PIL sostenibile
Come ultima notazione si vuole sottolineare, rispetto alla [8], che se si è nell’impossibilità di poter
agire sul tasso reale di interesse (r) o sul tasso reale di crescita del reddito (𝜌), allora, si deve
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necessariamente agire sul fabbisogno primario (f). Lo Stato deve, quindi, o diminuire la spesa (G)
oppure deve aumentare le tasse (T) e, dunque, le entrate.
2.1.2 Il no-Ponzi game
Dopo aver analizzato i fattori che determinano la sostenibilità del debito pubblico di un Paese nel
lungo periodo, è interessante focalizzare l’attenzione su una particolare condizione che è nota come
no-Ponzi game. Come sarà illustrato nelle prossime righe, questa singolare condizione porta a pagare
il debito attraverso l’emissione di altro debito. È proprio questa la peculiarità che la rende tanto
interessante quanto improbabile da praticare.
Si ipotizzi che il tasso di interesse nominale (i) sia maggiore del tasso di crescita nominale del PIL
(g). Affinché si verifichi la condizione no-Ponzi game il debito pubblico (B) deve crescere in maniera
minore rispetto al tasso di interesse. In presenza di questi eventi il debito se attualizzato, come mostra
la [1], è pari a zero.
[1] lim:→op
𝐵:(1 + 𝑖): = 0
Ponendo l’attenzione sul rapporto debito su PIL, invece, il saggio di crescita dello stesso rapporto
deve essere inferiore rispetto a quello della differenza tra il tasso di interesse e il tasso di crescita del
reddito.
Il no-Ponzi game per avere successo necessita la creazione di una serie positiva di avanzi di bilancio
che se attualizzata è in grado di coprire il debito di partenza:
[2]𝐵q =r−(𝐹s − ∆𝑀s)(1 + 𝑖)s
p
suZ
in cui F è il fabbisogno primario e ∆M è la variazione della base monetaria del tesoro.
Grazie alla [1], uno Stato non deve più preoccuparsi di onorare il debito accumulato, ma al tempo
stesso è costretto a emettere altro debito per pagare gli interessi passivi.
Molte critiche sono mosse nei confronti del no-Ponzi game. Le maggiori annotazioni che vengono
fatte a questo modello sono due: la prima è quella per cui si riterrebbe solvente uno Stato il cui
rapporto debito su reddito possa aumentare all’infinito, a condizione che cresca meno di (i-g); la
seconda ritiene debole la spiegazione secondo cui lo stock di debito se attualizzato, quasi si
annullerebbe.
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2.1.3 La dinamica del debito pubblico
Dalla sezione 2.1.1 si è appreso che al fine di giudicare l’andamento nel tempo del rapporto del debito
sul PIL e analizzare la sostenibilità del debito stesso, bisogna monitorare tre fattori: il fabbisogno
primario (f), il tasso di interesse reale (r) e il tasso reale di crescita del reddito nazionale (𝜌).
Per comprendere meglio l’evoluzione del debito pubblico a partire dagli anni ’80, si osservi la tabella
6:
Tabella 6 – Fattori caratteristici riguardo l’andamento del rapporto debito/PIL espressi in
percentuale
Anno r 𝜌 f Rapporto
debito/PIL
1980 -7,91 4,26 9,72 58,95
1981 -5,70 0,58 11,60 61,09
1982 -3,35 0,23 14,07 66,40
1983 -2,24 0,95 14,33 71,99
1984 0,71 2,66 14,10 77,36
1985 2,31 2,55 14,70 84,26
1986 3,05 2,89 12,23 88,18
1987 3,68 3,13 11,60 92,53
1988 3,04 4,11 11,53 94,86
1989 3,91 2,92 11,19 98,04
1990 2,98 2,06 11,02 100,62
1991 3,11 1,13 11,42 104,19
1992 6,52 0,52 11,06 111,43
1993 6,42 -1,16 11,44 120,25
1994 5,42 2,11 10,20 124,79
1995 4,24 2,93 7,51 124,02
1996 4,58 1,15 6,16 123,94
Fonte: Marano, Angelo. Economia e Impresa, 8. La dinamica del debito pubblico. Un’analisi del caso italiano, 1980 –
1996. (pp. 23-24)
Analizzando i dati della tabella 7, il primo punto su cui bisogna soffermarsi è la differenza tra i tassi
di crescita reale del PIL e i tassi di interesse reale. Si possono individuare tre diversi intervalli di
tempo: il primo che va dall’80 al ’84 in cui i tassi di interesse sono negativi o nulli, mentre quelli di
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crescita, eccetto nel 1980, si trovano poco sopra lo zero; il secondo che va dal 1985 al ’90 in cui r e
𝜌 vanno di pari passo; il terzo periodo che comprende il quinquennio tra il ’91 e ’96 vede un enorme
gap tra tassi di interesse e quelli di crescita, con i primi che superano con costanza i secondi con una
consistenza tra il 2% e il 7%.
Il secondo punto da rimarcare è l’andamento del fabbisogno rispetto al PIL (f). A partire dagli anni
’80, come ricordato all’inizio del capitolo II, f assume un rilievo sempre maggiore: raggiunge prima
la decima parte del reddito, poi aumenta fino a toccare percentuali altissime attorno al 15%. Tra l’87
e il ’93 si stabilizza su quota 11% per poi iniziare a calare.
Il terzo elemento da considerare è la crescita del rapporto debito su PIL. Con il passare degli anni il
rapporto cresce vertiginosamente. Gli anni ’80 si aprono con una percentuale non preoccupante, in
quanto il livello del debito è di appena il 58% rispetto al PIL. Dopo solo un decennio, il debito
eguaglia il reddito per poi sorpassarlo negli anni ’90. A metà del decennio che precederà l’avvento
del nuovo millennio, il rapporto debito/PIL supera quota 120%.
In questo frangente i tassi non sembrano determina la grande crescita che si ha nel rapporto tra il
debito e il PIL. Ciò che realmente spinge questo tasso a crescere consistentemente è il fabbisogno
primario, che attestandosi su percentuali superiori al 10% diventa un grave per il debito. Appena f
comincia a calare nel 1994 anche il rapporto debito/PIL che fino a quell’anno era lievitato senza mai
fermarsi, inverte il trend.
Infine, dal punto di vista della storia economica e finanziaria dell’Italia emergono in particolare tre
eventi in questo quindicennio: l’introduzione nel 1979 del sistema monetario europeo (SME) per i
paesi della Comunità Europea (esclusa la Gran Bretagna in un primo momento), il cosiddetto
“divorzio” nel 1981 tra Banca d’Italia e il Ministero del Tesoro e la ratifica del Trattato di Maastricht
agli inizi degli anni ’90.
2.2 Verso l’Euro
La sezione 2.2 tende ad analizzare cosa abbia significato per i Paesi europei, ed in particolare per
l’Italia, la ratifica del Trattato di Maastricht. Come già evidenziato in precedenza, questo Patto
rappresenta forse l’evento più importante per l’Europa e, dunque, anche per l’Italia. Risulta
fondamentale, non solo, perché si va verso l’adozione di una moneta unica, ma anche perché si cerca
di introdurre dei vincoli per aumentare la stabilità e la solidità dei conti pubblici dei vari Stati.
Nella prima parte di questa sezione saranno spiegati i parametri economici e finanziari introdotti dal
Trattato di Maastricht. Verranno, inoltre, approfondite le tematiche riguardati l’istituzione di una
nuova banca centrale e l’introduzione di sistemi di controllo rispetto ai patti concordati tra gli Stati.
Nella seconda parte, invece, si ripercorreranno le riforme e le nuove politiche adottate dai vari governi
21
in Italia, affinché sia stato possibile l’ingresso nell’Unione monetaria. Si potranno apprezzare gli
sforzi compiuti dallo Stato per cercare di rientrare nella maggior parte degli obiettivi stabiliti.
2.2.1 Trattato Maastricht
Il Trattato di Maastricht è stato firmato nell’omonima città olandese nel 1992, per poi entrare in vigore
nel 1993. Questo Trattato rappresenta un passaggio fondamentale per la storia dell’Unione Europea
poiché porterà gli stati membri ad adottare una sola moneta: l’euro. Il documento ratificato prevede
una serie di vincoli da rispettare per i Paesi che formeranno l’area monetaria:
• Saggi di interesse nominali;
• Saggio di inflazione;
• Equilibrio nel cambio;
• Rapporto debito su PIL;
• Rapporto deficit su PIL.
I cosiddetti parametri di Maastricht possono essere raggruppati in due macro categorie: i primi tre
sono di natura monetaria, mentre gli ultimi due sono di natura fiscale.
La macro categoria di natura monetaria prevede in ambito di tassi di interesse nominali che sia fatta
la media dei tre paesi che hanno i prezzi più bassi, e che ad essa sia concessa una estensione massima
di 200 punti base. Per ciò che concerne il saggio di inflazione, ancora una volta, si considera la media
dei tre paesi che hanno conseguito i migliori risultati, e che essa non sia superata del 1,5%. Per
equilibrio nel cambio, infine, si vuole che i Paesi rispettino per due anni le condizioni di massima
fluttuazione previste dallo SME.
La macro categoria di natura fiscale, invece, stabilisce che, per i Paesi appartenenti all’area euro, il
rapporto debito su PIL e quello deficit su PIL non superino rispettivamente il 60% e il 3%. Il primo
indicatore mira a evidenziare la sostenibilità nel lungo periodo del debito di un paese, mentre il
secondo vuole rilevare la buona gestione. Emerge dal Trattato, inoltre, la possibilità da parte degli
Stati di poter sforare il rapporto deficit su PIL in casi straordinari e per un limitato periodo di tempo.
Tornando al valore scelto per il rapporto debito su PIL, non è altro che una media dei vari debiti
sovrani che gravano sugli Stati che prendono parte alla stesura del Trattato di Maastricht.
Per avere una visione complessiva della situazione economica e finanziaria si osservi la tabella 7 che
offre gli indici di alcuni dei 15 Paesi dell’Unione Europea nel 1994:
22
Tabella 7 – Indici in percentuale di una parte dei Paesi UE
Inflazione Tassi di interesse Deficit/PIL Debito/PIL
Austria 3,6 6,4 -2,3 58,5
Finlandia 2,2 7,8 -5,5 58,0
Francia 1,8 6,9 -5,9 57,2
Germania 3,0 6,4 -2,9 57,2
Grecia 10,2 - -13,8 109,5
Italia 3,9 8,7 -9,7 118,3
Spagna 4,8 8,3 -7,1 64,2
Regno Unito 3,5 7,5 -9,1 92,9
Parametri 3,5 8,77 3,0 60,0 Fonte: Schilirò, Daniele. I criteri del Trattato di Maastricht, l’Europa e l’euro: debito pubblico in Italia e crescita. 2002.
Dalla tabella 7 emerge che per quanto riguarda il tasso di inflazione, tra i Paesi considerati, risultano
fuori dal parametro di riferimento l’Austria, la Grecia, l’Italia e la Spagna. Entrando nello specifico,
solo la Grecia presenta una pesante distorsione nell’indice dei prezzi con un valore quasi tre volte
tanto sopra il massimo consentito. Passando poi al tasso di interesse, tutti gli Stati considerati
rientrano nel parametro stabilito a Maastricht. Sul versante del rapporto deficit su PIL, anche in questo
caso, i Paesi rispettano il limite del 3%. Grave ritardo, invece, si registra nel rispetto del rapporto
debito su PIL, in particolare per l’Italia e la Grecia.
Tornando al Trattato di Maastricht, in esso sono contenute altre regole che vanno oltre i parametri
precedentemente analizzati. Alcune di esse sono le linee guida che porteranno alla nascita della Banca
Centrale Europea (BCE). Sono, inoltre, presenti sistemi per controllare il rispetto degli impegni presi
dagli Stati ed infine, vi è la no bail-out clause. Quest’ultima fa si che nel momento in cui uno degli
Stati entra in difficoltà economico – finanziarie non possa essere aiutato. La ratio è quella di non
trascinare in una recessione l’intera Unione.
Qualche anno dopo il Trattato di Maastricht, il Consiglio europeo si riunisce nella capitale olandese
per riaffermare e rafforzare i principi di stabilità e rigore già sanciti nell’accordo del 1992-93. Col
Trattato di Amsterdam, nel 1997, porta alla luce il Patto di Stabilità e Crescita. In esso viene
introdotto la Procedura per Disavanzi Eccessivi (PDE): un processo articolato in più fasi che culmina
in una pena inflitta allo Stato che non è virtuoso nei conti pubblici.
Nel 1998 undici Paesi tra cui l’Italia entrano ufficialmente a far parte dell’area euro. Solo questi,
infatti, hanno i requisiti minimi per adottare la nuova valuta. È così che nel gennaio del 1999 si compie
il primo passo verso quella che sarà una grande unione monetaria. Sempre in quell’anno acquisisce
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piena operatività la BCE: l’istituto con sede a Francoforte sul Meno è investito del compito di attuare
la politica monetaria. Il primo governatore della Banca è l’olandese Wim Duisenberg.
Ciò che emerge, infine, dall’analisi del Trattato di Maastricht e di quello di Amsterdam è che l’Europa
è dotata di una solida e indipendente istituzione quale è la BCE, ma soffre di un decentramento dei
poteri a livello economico e finanziario. Gli Stati sovrani mantengono, dunque, la supremazia nelle
decisioni di carattere fiscale. Tutto ciò si traduce in una frammentazione del potere e un conseguente
indebolimento della stessa Unione Europea. Il capitolo III tratterà ampiamente le fragilità del sistema
Europa rispetto alle crisi economiche.
2.2.2 Riforme e debito: l’adozione della moneta unica
Il passo più consistente compiuto dall’Italia e da altri Paesi europei verso la moneta unica, come già
ricordato, avviene tra il 1992-93 con la ratifica del Trattato di Maastricht. È in questo quadro che
l’Italia comincia a compiere una serie di riforme e provvedimenti mirati al raggiungimento dei criteri
stabiliti nel suddetto Patto. Il Paese, infatti, è chiamato ad ammodernarsi e rendere i suoi apparati
amministrativi più efficienti al fine di migliorare i propri conti pubblici.
Il Presidente Carlo Azeglio Ciampi dal 1993 si muove proprio in maniera da rafforzare il bilancio
statale e l’intero sistema economico. Attraverso un patto tra le parti sociale che prevede la limitazione
della crescita dei salari, ad esempio, riesce a frenare il continuo lievitare dei costi. Dopo qualche anno,
il risultato è evidente: l’inflazione italiana si attesta all’1,5%, uno tra i valori migliori tra tutti i Paesi
europei. L’esecutivo Ciampi, inoltre, riesce a incrementare il prodotto interno lordo del Paese,
aiutandolo così a centrare gli obiettivi di bilancio per entrare nell’area Euro.
Il successore di Ciampi è Lamberto Dini che cerca di proseguire nella “cura” del sistema economico
e finanziario italiano. Nel 1995 vara, infatti, un’importante riorganizzazione in ambito pensionistico
per consolidare il rapporto tra il debito e il PIL. Un altro punto chiave dell’era Dini è la crescita
enorme delle entrate tributarie. Il peso fiscale italiano attorno al 43%, a quell’epoca, è tra i più severi
di tutta Europa. Queste manovre economiche si sono rese necessarie per allineare il deficit e il debito
italiano a quelli dei Paesi più virtuosi.
Archiviata l’esperienza Dini, è la volta di Romano Prodi. Tra il 1996 e il 1998 vengono promosse
politiche di bilancio asprissime che fanno diminuire ancora il rapporto debito/PIL e il fabbisogno
della pubblica amministrazione in maniera da consentire all’Italia di poter adottare l’euro. Prodi si è
incaricato, inoltre, di risanare la disoccupazione che supera ampiamente l’11%. Particolarmente
drammatica è la situazione occupazionale dei giovani. L’insieme delle novità apportate in questo
settore passano alla storia come “pacchetto Treu” dal nome del suo ideatore il Ministro del Lavoro
Tiziano Treu.
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L’evoluzione del bilancio italiano nell’ultimo decennio del XX secolo può essere riassunta con la
tabella 8:
Tabella 8 – Bilancio pubblico italiano (espresso in percentuale rispetto al PIL)
Debito 118,2 124,3 123,8 122,7 120,2 116,4 114,6 110,5 Fonte: Schilirò, Daniele. I criteri del Trattato di Maastricht, l’Europa e l’euro: debito pubblico in Italia e crescita. 2002.
Come si può notare grazie agli interventi dei governi Ciampi, Dini e Prodi i maggiori indicatori
presenti nella tabella 8 mostrano un trend positivo. La spesa pubblica si riduce di oltre il 10%, la
spesa per interessi si dimezza, l’indebitamento netto cala da oltre il 10% all’1,5% e anche il
fabbisogno complessivo dall’11% del 1993 arriva a poco più del 2%. Per ciò che concerne il saldo
primario, si nota che assume costantemente valori negativi. Il rapporto debito su PIL dopo aver
toccato il picco di 124,3% nel 1994 si riduce fino al 110,5% del 2000. Ciò che ha inciso maggiormente
in questa riduzione del rapporto debito/PIL è senz’altro sia la riduzione del tasso di interesse che ha
come conseguenza un minor onere in termini di uscite per lo Stato sia la crescita del prodotto interno
lordo che trovandosi al denominatore aiuta a ridurre il rapporto.
La valutazione che si può dare, almeno in questo primo periodo esaminato, riguardo l’adozione
dell’euro da parte dell’Italia e la conseguente maggior integrazione politica a livello sovranazionale
è assolutamente positiva.
2.3 L’Italia del 2000
I primi anni del nuovo Millennio si aprono con grandi speranze: la recente adozione della moneta
unica è sinonimo di stabilità e, dunque, fiducia da parte dei cittadini e dei mercati. In Itala dopo il
governo Prodi, il vincitore delle elezioni politiche del 2001 è Silvio Berlusconi. Il nuovo premier
eredita, dal punto di vista dei conti pubblici, una situazione di generale miglioramento rispetto al
decennio precedente. Questo è sicuramente dovuto alle varie riforme e alle politiche intraprese dai
governi precedenti per centrare gli obiettivi richiesti da Maastricht.
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Il governo Berlusconi rimane in carica per circa 4 anni. A capo del Ministero di Economia e Finanza
c’è Giulio Tremonti. La linea economica che guida il governo è quella della riduzione fiscale. Il
nuovo esecutivo vuole invertire la rotta in merito alla continua crescita delle tasse che aveva dominato
l’ultimo decennio del XX secolo ed era stata necessaria per stabilizzare deficit e debito. Come si
apprende, infatti, dalla tabella 9 la pressione fiscale scende dal 40,1% del 2001 al 39,1% del 2005.
Altre manovre importanti che vengono attuate sono: la riforma fiscale, l’innalzamento della soglia
minima mensile per le pensioni e la resa più flessibile del mercato del lavoro.
Nelle elezioni del 2006 la guida dell’Italia viene affidata nuovamente a Romano Prodi. A capo del
Ministero di Economia e Finanza viene nominato Tommaso Padoa Schioppa. L’ex vice direttore di
Banca d’Italia, considerato come un tecnico e dunque apartitico, nel 2007 si trova nelle condizioni di
dover varare una importante legge finanziaria. L’intento di Padoa Schioppa è quello di far accelerare
l’economia italiana. Nel 2008 dopo che il Senato toglie la fiducia al governo Prodi, il Premier si
dimette.
Nel complesso, osservando la tabella 9, si evince che il debito pubblico rispetto al PIL, ad eccezione
dell’anno 2001, si mantiene poco al di sopra del 100%. Il saldo primario, invece, che è la differenza
tra le entrate e le uscite dello Stato oscilla tra valori che vanno circa dallo 0,5% al 3,0%. Si nota,
successivamente, che la pressione fiscale cala di un punto percentuale durante il governo Berlusconi,
per poi risalire oltre il 41%. Il PIL, infine, appare quasi sempre in crescita tranne nell’anno 2003 in
cui è sostanzialmente fermo e nel 2008 che registra un segno negativo per via dello scoppio della crisi
mondiale finanziaria.
Tabella 9 – Debito, saldo primario e pressione fiscale (espressi in percentuale PIL)